04-Leganti malte intonaci

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04-Leganti malte intonaci
I caratteri costruttivi dell’edilizia storica. I leganti, le malte, gli intonaci
I leganti, le malte e gli intonaci
In Italia, paese ricco di calcari ma meno di rocce
solfatiche, da sempre la calce è stato il legante per
eccellenza, a differenza di altre regioni europee, dove
questo ruolo era condiviso con il gesso. Malte gessose
si ritrovano con frequenza in Italia solo nella Sicilia
orientale, nel Bolognese ed in parte delle Marche.
Legate a calce sono le malte di quasi tutti i muri
dell’edilizia storica italiana, anche se spesso si
sottovaluta il ruolo rivestito, anche in Italia, dall’argilla
nel suo impiego come legante, assai più diffuso di
quanto comunemente si creda. La calce è il legante
con il quale è stata realizzata anche la maggior parte
degli intonaci antichi. La persistenza del suo impiego
si è avuta anche quando sul mercato è stato introdotto
il cemento, ma il fatto che questo legante fosse capace
di dar luogo a malte di maggior resistenza di quelle
tradizionali, con una presa più rapida e quindi più
facilmente lavorabili, ha condotto, prima alla
coesistenza dei due leganti, e poi, nella seconda metà
di questo secolo, ad un impiego generalizzato di malte
standardizzate contenenti quasi sempre parti di legante
cementizio. La complessità geologica della penisola
italiana si rifletteva nelle diverse forme di
approvvigionamento di calcare. Quello di cava è
sempre stato il più diffuso, ma in vaste aree delle
penisola ad esso si è sempre affiancato quello fluviale
e spesso le due fonti sono coesistite. Ad esempio, nel
Veneto la disponibilità di ciottoli calcarei o calcareodolomitici nei grandi fiumi è stata, insieme con la facilità
di trasporto, una delle ragioni della localizzazione lungo
i fiumi Piave, Brenta, Tagliamento di molte delle fornaci
da calce, e questa localizzazione in alcuni casi è
continuata fino ai nostri giorni.
Fig.5. Malta in cocciopesto, ben identificabile dai frammenti laterizi
di varia granulometria, del Palazzo di Galerio a Salonicco.
Altrove, come a Firenze, all’approvvigionamento
fluviale si affiancava quello di cava, che era il principale,
data anche la presenza di numerosi affioramenti
calcarei nelle vicinanze della città. Qui la disponibilità
di calcari con tenori diversi di marnosità veniva sfruttata
per la produzione di calci aeree o calci debolmente
idrauliche che, chiamate ‘calcina dolce’ o ‘calcina forte’,
venivano impiegate rispettivamente per malte da
intonaco o da muro, mentre con i ciottoli era impossibile
determinare in partenza la qualità della calce che si
sarebbe prodotta, non potendone conoscere il tenore
di argilla contenuto nel calcare.
Fig.6. Muratura in ciottoli di fiume e listature laterizie legata da una
malta terrosa.
Un’ ulteriore fonte di approvvigionamento, che a quanto
pare per un certo tempo è stata tutt’altro che
trascurabile, è stata costituita dai ruderi romani, dei quali
si cuocevano i marmi, che pur essendo dei calcari
metamorfici puri o purissimi sono utilizzabili solo per
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produrre calci di cattiva qualità, a causa della troppo
grande dimensione dei cristalli. Alla frammentazione
geografica dell’Italia è corrisposta per lungo tempo un’
analoga frammentazione politica in piccoli stati, e
questa circostanza ha comportato l’evolversi di
tradizioni, ivi comprese quelle costruttive, spesso
diverse anche per località molto vicine. Si è così
sviluppata anche un’ enorme varietà di tecniche
esecutive di malte, intonaci e finiture superficiali,
rimaste distinte nelle diverse regioni. Un’ eco di questa
varietà la si ritrova nelle opere dei trattatisti che, a partire
dal rinascimento, non mancano di indicare quali siano
gli intonaci più appropriati per eseguire specifici lavori:
le numerose tecniche indicate da ogni autore sono
strettamente legate all’ambito territoriale operativo
proprio di ciascun trattatista.
L’organizzazione dei lavoratori in corporazioni, che
obbligavano gli appartenenti, spesso col vincolo del
giuramento, a mantenere segrete le tecnologie, ha
anch’essa contribuito alla proliferazione di tecniche nel
campo dell’edilizia antica. Con la scomparsa delle
corporazioni e con l’unificazione e omologazione della
prassi costruttiva avvenuta a partire dalla rivoluzione
industriale del XIX secolo si è verificata anche la
scomparsa delle professioni e delle figure tradizionali
degli operatori e, successivamente, la perdita di gran
parte delle tecniche antiche. Le tecniche di
realizzazione delle diverse qualità di intonaco,
specifiche delle varie aree, sono state dimenticate, e
con queste l’utilizzo , e quindi la produzione, di molti
dei materiali necessari per la loro esecuzione. Prima
fra tutte la calce in zolle. Le calci antiche, che oggi
ritroviamo negli edifici del passato, erano nella
stragrande maggioranza calci aeree, ossia calci
producibili con tecnologie semplici per la loro bassa
temperatura di cottura, e solo alla fine del XVIII secolo
si indagheranno e comprenderanno le proprietà delle
calci idrauliche, spianando la strada alla loro
produzione. La necessità di leganti resistenti in ambienti
umidi veniva in passato risolta quasi sempre
aggiungendo alle calci aeree dei prodotti idraulicizzanti,
Fig.7. in questa pagina
soluzioni costruttive: tipi di giunti tra concio e concio;
muratura di pietrame a faccia vista a corsi regolari con ossatura in
calcestruzzo oppure in mattoni pieni;
esecuzione dell’armatura: con sviluppo a cunei (errata) e a corsi
orizzontali estesi (corretta);
esecuzione del muro a sacco (corretta a sinistra, errata a destra);
muri a sacco: se il muro è di piccolo spessore perde in resistenza
e può verificarsi l’apertura in tre parti
(da G. K. Koenig, B. Furiozzi, F. Brunetti, Tecnologia delle costruzioni,
Firenze 1990).
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piuttosto che con l’impiego di calci idrauliche, che solo
in pochissimi casi erano prodotte e impiegate
consapevolmente come tali, e quasi sempre si trattava
ancora di calci debolmente idrauliche. Dalla tradizione
romana è derivato il vasto impiego della pozzolana,
utilizzata ovviamente soprattutto laddove
l’approvvigionamento di questa sabbia vulcanica era
facile, ossia il Lazio e la Campania. Altrove le calci
venivano rese idrauliche con l’aggiunta di laterizio
macinato, dando luogo al cocciopesto.
La calce, considerato comunemente un materiale di
scarse proprietà leganti, può avere invece innegabili
qualità. La resistenza delle malte che con essa si
possono formare è enorme, ben maggiore di quanto
comunemente si suppone: in realtà è sufficiente
pensare alla resistenza delle malte romane, di durezza
incomparabile, non limitandosi a prendere in
considerazione solo quella delle malte povere
dell’architettura rurale, la cui scarsa resistenza è dovuta
alla mancanza di legante sin dall’origine piuttosto che
alla cattiva qualità di questo.
Fig. 8. Facciata graffita del Palazzo dei Cavalieri a Pisa.
Le malte antiche erano di qualità estremamente
variabile. Indagini, carotaggi, analisi fatti su edifici
fiorentini hanno mostrato che in taluni casi, anche in
edifici rinomati come Palazzo Strozzi, le malte
impiegate erano estremamente magre e quasi
completamente dilavate dal tempo, tanto che i carotaggi
sono stati effettuati nelle murature con molta difficoltà
a causa della inconsistenza del nucleo murario. In altri
casi si sono incontrate murature estremamente
compatte, con malte di notevole resistenza, e questo
in edifici di Firenze, come nella Cattedrale di S.Maria
del Fiore o nelle mura urbane di Lastra a Signa. In
tutte le analisi si sono trovate sabbie fluviali, con
granulometria abitualmente varia (solo in pochi casi le
dimensioni dei granuli erano quasi uniformi).
Fig.8. in questa pagina
Particolare dell’intonaco bicromo graffito della Casa di Bianca
Cappello a Firenze
Il legante, negli esempi fiorentini, è risultato quasi
sempre essere calce aerea. La durata degli intonaci
realizzati con malta di calce è altrettanto innegabile, e
ben maggiore di quelli a malta cementizia che li hanno
incongruamente sostituiti. La porosità delle malte di
calce, lungi dall’essere un difetto, garantisce la
traspirabilità di intonaci e pitturazioni e quindi comfort
abitativo e durata dei manufatti. Lo studio di antiche
fonti ha portato alla riscoperta di numerose tecniche
esecutive antiche ormai abbandonate, anche se ancora
non tutta l’enorme varietà di finiture impiegata nel
passato è stata decodificata. Molti studi sono stati rivolti
alla conoscenza delle tecniche edili veneziane, poiché
è proprio nella città lagunare che si trovano impiegati i
materiali più vari, dal marmorino agli intonaci contenenti
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frammenti vetrosi derivanti dagli scarti di lavorazione
delle vetrerie di Murano. Il particolare ambiente
veneziano, caratterizzato da una forte presenza di
umidità, ha imposto poi nel passato l’adozione di una
serie specifica di accorgimenti costruttivi: fra questi
anche l’impiego di malte idrauliche speciali, malte di
cocciopesto, intonaci macroporosi, ecc., che non hanno
corrispondenza nelle altre parti della penisola.
Ricca e varia è anche la produzione di intonaci a Roma,
dove l’impiego di materiali a grande porosità, quali il
travertino e i tufi vulcanici, impose la stesura di intonaci
speciali di finitura (le cosiddette colle o collette), spesso
con inerti ricavati dalla pietra che si doveva ricoprire.
Questi intonaci a rasare, estremamente sottili, venivano
stesi spesso anche sulle cortine laterizie, con tecniche
simili a quelle padane, come la sagramatura in uso a
Bologna ed in Emilia-Romagna. Questa, nella sua
versione più accurata, è il risultato dell’arrotatura di un
paramento laterizio per mezzo dì un mattone e con
l’interposizione di grassello, con il prodotto finale
consistente in un velo sottilissimo di malta di
cocciopesto posta a saturare le porosità del materiale
e a rasare i giunti di connessione con un materiale di
lunghissima durata.
Fig.9. Il degrado rende evidenti gli strati (l’arriccio e i due
intonachini) e la lavorazione (raschiatura dell’intonachino scuro,
lisciatura di quello chiaro, stilatura di conci apparenti) dell’intonaco
graffito di un edificio a Pienza.
Altrettanto speciali erano le malte da intonaco per le
facciate dipinte, come quelle presenti nei principali
edifici di Genova, o graffite, diffuse ovunque ma in
particolar modo a Firenze, dove è frequente la bicromia
ottenuta con la sovrapposizione di un intonaco di malta
di calce molto grassa su di uno strato colorato in pasta
con pigmenti organici, in genere carbone vegetale.
Anche le coloriture dell’edilizia storica sono state
realizzate quasi esclusivamente a base di calce fino al
XX secolo, ma non è stato ancora completamente
chiarito il metodo applicativo, che spesso si suppone
‘a fresco’, ossia con l’applicazione di latte di calce
colorato con pigmenti minerali effettuata ad intonaco
ancora umido, mentre sembra che nella maggior parte
dei casi anche in passato si trattasse di tecnica ‘a
secco’, ossia con tinteggiatura delle stesso tipo ma
applicata ad intonaco asciutto, con il miglioramento
dell’adesione della pellicola pittorica ottenuto con
l’aggiunta di sostanze adesive, quasi sempre proteine
animali (latte, uovo, ecc.).
L’aspetto a colori trasparenti e vibranti e le velature
che caratterizzavano gli antichi edifici era dovuto per
la maggior parte all’adozione di tinteggiature a calce
colorate con terre; queste ultime ai nostri giorni non
sono più reperibili se non a costi elevati, essendo state
chiuse la maggior parte delle cave argillose dalle quali
venivano estratti.
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