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Per informazioni: sito web: http://archivio.lastampa.it email: [email protected] LA STORIA IL CASO GULOTTA <<Ho pagato con 20 anni quella strage mai commessa>> Pubblicazione: [23-07-2010, STAMPA, NAZIONALE, pag.48] Sezione: Autore: ANELLO LAURA La notte di mercoledi' e' stata la sua prima da uomo libero. Dopo 24 anni di carcere, processi, appelli, condanne, permessi, rivelazioni, richieste di revisione, semiliberta', adesso Giuseppe Gulotta ha dormito a casa, sapendo che mai piu' dovra' guardare il mondo dietro le sbarre. Libero. Per la giustizia non ancora innocente, ma libero. Una storia, la sua, sprofondata nel pozzo nero dei misteri italiani, cominciata in quella provincia di Trapani che ha partorito la madre di tutte le imposture: la morte del bandito Salvatore Giuliano. Ma Gulotta non lo ricorda piu' nessuno. Eppure anche lui e' un sasso annegato in quel pozzo, un uomo stritolato in un intreccio di mafia, Gladio, servizi deviati, in una storia che prelude in sedicesimo ai grandi depistaggi, agli accordi osceni, al grande pentolone dei segreti che quest'estate sembra sul punto di scoperchiarsi. E' la storia della strage alla casermetta di Alcamo Marina, 27 gennaio 1976, e gia' quel diminutivo sul presidio dei carabinieri fa capire quanto insensato, inspiegabile, fuori registro sia apparso subito quell'agguato ai due giovani militari dell'Arma, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, che dormivano sulle loro brande in una notte di pioggia e tuoni, in un paesone spopolato e silenzioso tra Palermo e Trapani. Un'esecuzione in stile terroristico, con la fiamma ossidrica per far squagliare il portoncino corazzato, con le divise, i tesserini e le armi portate via con accuratezza militare. <<Io quella notte dormivo - racconta Gulotta - dovevo alzarmi presto l'indomani mattina>>. Una nota stonata in una terra dove la mafia rivendicava diritto esclusivo, lontana dai fremiti, dalle tensioni sociali, dall'eversione brigatista. Eppure la macchina si mise in moto, con tanto di rivendicazione di uno sconosciuto Nucleo Sicilia Armata, fino a stritolare nei suoi meccanismi un balordo di Alcamo, Giuseppe Vesco, <<Peppe 'u pazzo>>, trovato - o fatto trovare - in possesso dell'arma del delitto. E sottoposto, come ha rivelato dopo 30 anni l'ex brigadiere Renato Olino, schiacciato dal rimorso, a un interrogatorio da Torquemada alla fine del quale fece quattro nomi: Giovanni Mandala', morto in carcere, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, scappati in Brasile. E Giuseppe Gulotta, muratore poco piu' che diciottenne. Furono botte e sevizie, pure per loro, nella caserma di Alcamo dove alla fine dovettero essere ritinteggiate le pareti per nascondere il sangue, il vomito, i segni del dolore. <<Ho passato la mia vita a cercare di dimenticare>>, racconta Gulotta che - Editrice La Stampa S.p.a. - © Tutti i diritti riservati - Per informazioni: sito web: http://archivio.lastampa.it email: [email protected] lunedi', all'una, ha avuto il foglio di scarcerazione dal penitenziario di San Gimignano dove e' stato sin dal 1990. E che ieri, per la prima volta, ha firmato - come la legge gli impone ogni settimana - alla caserma dei carabinieri del paese in cui vive, Certaldo, dove si e' trasferito nel 1978, due anni dopo il fattaccio, quando ebbe l'obbligo di allontanamento dalla Sicilia. Vent'anni in galera, e altri due prima dell'inizio del processo, un ping-pong di sentenze di primo grado, di Appello e di Cassazione che si e' concluso il 19 settembre del 1990 con l'arresto, <<quando mi portarono in galera, strappandomi dalle braccia il mio bambino di due anni e mezzo. Piangevano pure loro, i carabinieri che vennero a prendermi>>. Vent'anni a dirsi innocente, a raccontare la sua storia al magistrato che lo interrogo' la prima volta, ai giudici, ai guardiani in carcere, <<alla gente che in Toscana mi ha accolto, mi ha dato un lavoro, si e' fidata>>. Ma c'e' voluto il rimorso di quel carabiniere, e le sue rivelazioni sulle confessioni false perche' estorte con la tortura, sulla ricerca di una colpevole a qualsiasi costo, perche' scattasse la revisione del processo a Reggio Calabria. Processo che servira' solo a pronunciarsi sull'innocenza di Gulotta, perche' il reato e' comunque prescritto. <<L'ultimo obiettivo della mia vita>>, dice lui. Che nonostante l'odissea attraversata, fa invidia a Gandhi, a Mandela, ai saggi buddisti. <<Come sono sopravvissuto? Prefissandomi obiettivi da raggiungere. Vedere mia moglie e mio figlio ogni otto giorni, poi i primi permessi a partire dal '96, poi nel 2000 la semiliberta'>>. Il resto l'hanno fatto la fede e la speranza di avere verita'. Verita' pesante. Perche', secondo un poliziotto che ha ritrovato la memoria di recente, i due militari trucidati nella casermetta pagarono per avere fermato il furgone sbagliato. Doveva essere un controllo di routine, ma ai loro occhi apparvero casse piene di armi e decine di combattenti della cellula trapanese di Gladio. Che, uccisi i due militari (i quali sarebbero stati trucidati altrove e poi portati li', come il bandito di Montelepre), visse nel segreto ancora per 20 anni prima di essere scoperta. Un'ipotesi avanzata in un volantino da Peppino Impastato. <<Un depistaggio per coprire alcuni settori pericolosi e nascosti a livello istituzionale>>, scrisse. Fini' steso sui binari di un treno due anni dopo. E il giorno dopo era gia' pronta la verita' confezionata. Attentatore, anzi no: suicida. - Editrice La Stampa S.p.a. - © Tutti i diritti riservati -