Il mediatore familiare come consulente psicoforense

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Il mediatore familiare come consulente psicoforense
Il mediatore familiare come consulente psicoforense (trial consultant)
Laura Lombardi*
Non siamo liberi di scegliere quello che ci accade,
però siamo liberi di scegliere come reagire a quello che ci accade
(J.P. Sartre)
Abstract
La consulenza psicoforense si manifesta come la concretizzazione di una stretta collaborazione fra
psicologo ed avvocato; in questo caso il primo mette a disposizione del secondo tutta la sua
conoscenza in ambito psicogiuridico, per molteplici attività, di natura pre ed extra processuale, tra
cui: la deposizione dell’imputato, la preparazione del testimone esperto (perito o consulente in
ambito psicologico), la redazione di note tecnico-scientifiche con riferimenti bibliografici ad uso del
legale e di pareri tecnico-strategici, il supporto tecnico e scientifico nella preparazione dell’arringa,
la preparazione e l’analisi dell’audizione protetta del minore, ecc. La trial consultation si realizza,
quindi, in una forma di collaborazione che l’avvocato può richiedere ad uno psicologo
indipendentemente dal fatto che intenda nominarlo nel processo in qualità di consulente tecnico di
parte. La consulenza psicoforense è, infatti, una forma di partecipazione più informale rispetto alla
consulenza tecnica - ma potenzialmente molto proficua - che può essere utilizzata per fornire alle
parti delle conoscenze specifiche per la gestione della causa. Nell’articolo verrà esplicato come la
figura del mediatore familiare può proporsi anche come consulente psicoforense e le attività che
può intraprendere in casi di separazione e divorzio.
Parole chiave: trial consultation, consulenza psicoforense, mediazione familiare, separazione,
divorzio, affidamento dei figli, mediatore.
Definizione di trial consultation
In Italia, la consulenza psicoforense – nota nei Paesi anglosassoni come trial consultation – ha
conosciuto finora uno scarso sviluppo. In altri Paesi al contrario, in particolare negli Stati Uniti, è
divenuta una realtà sempre più consistente: solamente vent’anni fa questa occupazione era
estremamente rara, ma oggi il numero di trial consultants è decisamente aumentato e la consulenza
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Psicologa, mediatrice familiare e sociale AIMS. E-mail: [email protected]
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psicoforense costituisce un settore in forte espansione. L’importanza e le potenzialità di tale attività
sono state evidenziate per la prima volta - almeno al grande pubblico - nel famoso processo a O.J.
Simpson, divenuto rapidamente l’emblema dell’importanza di avvalersi di un team esperto in
selezione della giuria per ottenere un verdetto favorevole. Il famoso giocatore di football americano,
accusato nel 1994 di aver ucciso la moglie ed il suo amante, ottenne infatti una sentenza di
assoluzione dalle gravissime accuse - nonostante un pesante carico indiziario nei suoi confronti probabilmente proprio grazie all’oculata selezione della giuria operata dagli esperti di cui si
avvalsero i suoi legali. Come è noto, infatti, nei Paesi di Common Law la giuria popolare, cui è
affidato il verdetto nei confronti dell’imputato, è selezionata dall’accusa e dalla difesa attraverso la
conoscenza preliminare dei potenziale giudici, i cui preconcetti, opinioni, abitudini, stili di vita,
etc... vengono indagati al fine di ottenere una composizione della giuria il più possibile favorevole,
ovvero un collegio giudicante che si ritiene - in base al profilo testato attraverso l’impiego di giurie
simulate - possa essere maggiormente incline ad accogliere la tesi che si vuole sostenere ed infine
ad emettere la sentenza desiderata. Nel processo a O. J. Simpson, l’omicidio della giovane Nicole
Brown e dell'amico Ronald Goldman erano da intendersi, secondo l’accusa, come l’epilogo di una
lunga serie di violenze domestiche perpetrate dal celebre giocatore di football, descritto come
abitualmente manesco e violento nei confronti della moglie, già denunciato più volte dalla stessa e
mai rassegnato alla separazione. Entrambe le équipe di consulenza, dell’accusa e della difesa, si
resero conto - attraverso l’utilizzo di giurie simulate - che, in maniera del tutto inaspettata e
controintuitiva, le donne afroamericane erano meno propense a collegare automaticamente i
maltrattamenti domestici all’omicidio, mostrando di considerare le violenze fisiche tra le pareti di
casa non troppo deplorevoli. Il procuratore distrettuale decise di non affidarsi alle conclusioni dei
suoi consulenti, ma si sbagliò: la giuria, composta prevalentemente da donne afro-americane
assolse, dopo sole tre ore di camera di consiglio, l’imputato, confermando quindi la bontà delle tesi
espresse dai trial consultants.
Come è possibile verificare anche attraverso i molteplici siti Internet che offrono servizi di
consultazione psicoforense, in America le attività di un trial consultant - diverse dalla selezione
delle giurie - sono molteplici. Tra le più richieste troviamo l’impiego delle giurie simulate ai fini di
implementare le strategie difensive più efficaci: in questi casi il team di esperti si avvale di una
giuria “simile” (per composizione socio-demografica) a quella reale e attraverso la simulazione del
processo individua le argomentazioni e gli stili argomentativi maggiormente convincenti e quindi
potenzialmente più efficaci nel persuadere la giuria reale. Un’altra attività molto richiesta è la
preparazione del testimone (witness preparation), che consiste nella pianificazione della
deposizione del teste (rispetto ai contenuti, ma naturalmente anche rispetto alle modalità)
e
naturalmente del contro-esame, attraverso un vero e proprio allenamento del soggetto che sarà
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sottoposto al fuoco della cross-examination avversaria. Una variante di tale attività è la
preparazione del consulente tecnico (expert witness preparation), la cui credibilità è oggetto di
puntigliosa verifica e tenace accanimento da parte dell’avversario. Un altro settore di intervento è
costituito dalla ricerca sulla petril publicity, ossia la valutazione dell’impatto sulla giuria della
diffusione a mezzo stampa di notizie relative al caso prima del processo: tale operazione consente di
calibrare con cura il tenore delle dichiarazioni rilasciate ai giornalisti, nonché valutare l’opportunità
di eventuali fughe di notizie, etc…
La trial consultation in Italia
In Italia, la consulenza psicoforense è un’attività allo stato, per così dire, embrionale: il ritardo,
rispetto ai Paesi anglosassoni, dipende solo in parte dal diverso ordinamento – che nel nostro Paese
non consente molte attività che sono invece previste e lecite negli Stati Uniti – mentre in maggiore
misura è da ricondurre, a nostro avviso, ad una certa diffidenza con cui la psicologia è accolta nei
Tribunali italiani. Nel nostro Paese, le professioni di avvocato e di psicologo sembrano procedere su
cammini paralleli destinati ad incontrarsi solo occasionalmente durante perizie e consulenze
tecniche. Seppur sia il diritto che la psicologia si occupano prevalentemente del comportamento
umano le due comunità di studiosi si ispirano a presupposti diversi che lungi dal predisporre ad un
dialogo integrativo tendono ad enfatizzare una pretesa reciproca di incompatibilità. Nonostante le
paure immotivate e la sfiducia di un campo (il mondo giuridico) rispetto all’altro (il mondo
psicologico), la psicologia giuridica è oggi un ambito di ricerca, di studi, di professionalità in grado
di ricondurre a unità conoscenze e competenze provenienti dal sistema scientifico di appartenenza
attraverso una funzione elaborativa che nel diritto e nella giustizia riconosce il proprio campo
d’azione.
La consulenza psicoforense si manifesta come la concretizzazione di una stretta collaborazione fra
psicologo ed avvocato; in questo caso il primo mette a disposizione del secondo tutta la sua
conoscenza in ambito psicogiuridico, per molteplici attività, di natura pre ed extra processuale, tra
cui: la deposizione dell’imputato, la preparazione del testimone esperto (perito o consulente in
ambito psicologico), la redazione di note tecnico-scientifiche con riferimenti bibliografici ad uso del
legale e di pareri tecnico-strategici, il supporto tecnico e scientifico nella preparazione dell’arringa,
la preparazione e l’analisi dell’audizione protetta del minore, ecc…
La trial consultation si realizza, quindi, in una forma di collaborazione che l’avvocato può
richiedere ad uno psicologo indipendentemente dal fatto che intenda nominarlo nel processo in
qualità di consulente tecnico di parte. La consulenza psicoforense è, infatti, una forma di
partecipazione più informale rispetto alla consulenza tecnica - ma potenzialmente molto proficua 3
che può essere utilizzata per fornire alle parti delle conoscenze specifiche per la gestione della
causa. Queste conoscenze, come si dimostrerà successivamente, possono rivelarsi decisamente utili
in ambito civile, ad esempio, nei casi di separazione e divorzio non consensuale dove si creano delle
situazioni relazionali esasperanti sia per i coniugi che per i figli; l’intervento psicologico può andare
al di là della consulenza tecnica per offrire all’avvocato e al cliente degli strumenti per
l’accettazione e la gestione della situazione conflittuale in corso. In queste circostanze lo psicologo
può dare chiarimenti ai clienti sul significato psicologico della separazione e del divorzio;
rispondere a quesiti relativi agli effetti sui figli della separazione dei genitori; aiutare i coniugi a
promuovere una riflessione sulle cause che li hanno portati alla separazione; aiutare il legale
nell’attività di conciliazione laddove possibile o proporre altrimenti una mediazione.
In Canada, Stati Uniti e Australia (Degoldi B., 2008) si sta affermando la Interdisciplinary
collaborative separation and divorce ovvero una modalità di risoluzione delle dispute tra coniugi in
fase di separazione che prevede la collaborazione di avvocati (collaborative family lawyers),
professionisti della salute mentale (psicologi/counselor) e clienti. Questo modello prevede un
contratto tra i diversi attori finalizzato al raggiungimento di accordi soddisfacenti per entrambe le
parti attraverso il rispetto di una serie di regole quali: sospensioni delle iniziative giudiziarie,
rispetto tra le parti, attenzione al futuro e non al passato, focus sui bisogni e gli interessi dei minori,
comunicazione onesta e basata sulla reciproca fiducia, ricerca delle diverse soluzioni e alternative,
rinuncia preliminare degli avvocati a rappresentarli legalmente qualora non venisse raggiunto un
accordo, etc.
Laddove il conflitto tra le parti è troppo acceso e non è possibile ricorrere a una qualche forma di
mediazione o separazione collaborativa, una delle attività del trial consultant consiste nel
coadiuvare il legale di una delle due parti nella redazione di un’istanza volta ad ottenere una perizia
di carattere psicologico. A questo proposito sempre più frequenti sono le situazioni in cui un
genitore lamenta gravi difficoltà di accesso al figlio per colpa dell’ex-coniuge, ritenuto responsabile
di “boicottare” la relazione genitore-figlio. In molte di queste situazioni può essere utile una
valutazione preliminare da parte del trial consultant che può rintracciare dagli atti processuali e da
eventuali altre “prove” raccolte dal genitore (corrispondenza con l’ex-coniuge, registrazioni di
telefonate con il bambino, etc…) segni di una possibile Sindrome da Alienazione Parentale
(Gulotta, Cavedon e Liberatore, 2008) e quindi formulare al Giudice un’istanza perché disponga
immediatamente una perizia volta a verificare le rispettive competenze genitoriali e l’eventuale
esistenza di tale distorsione relazionale. Talvolta tale condizione si instaura dopo un certo periodo
dalla separazione e quindi è possibile disporre di molto materiale da esaminare: il comportamento
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del figlio nei confronti del genitore non convivente e della famiglia estesa, stralci di telefonate tra il
bambino e il genitore “alienato”, atti di causa, etc.
Anche in ambito penale l’intervento dello psicologo può rivelarsi indispensabile, per aiutare la
vittima a superare il trauma o per preparare l’imputato o la parte civile ad affrontare il processo
(Gulotta, 2002).
Un altro tipo di collaborazione potrebbe posizionarsi più su un versante strategico: lo psicologo
esperto di dinamiche processuali potrebbe coadiuvare il legale a studiare il processo, a prendere
decisioni in merito a quali testimoni presentare e a come presentarli, come contro-esaminare quelli
della parte avversa, quali interpretazioni dare alle prove, che tipo di argomentazioni utilizzare
durante l’arringa e così via.
La psicologia può, infatti, essere applicata nel processo in modo diretto o indiretto.
Direttamente può essere utilizzata in relazione ai suoi contenuti come scienza. Pensiamo ad esempio
alla psicologia della testimonianza, la quale mostra come ciascuno di noi percepisca della realtà
quegli aspetti più consoni ai propri criteri selettivi ed interpretativi: ecco perché di fronte ad uno
stesso fatto due persone possono dare versioni diverse senza mentire e come addirittura siano
“sospette” due versioni identiche di un medesimo fatto offerte da due testimoni diversi...
L’uso indiretto, invece, non si riferisce tanto ai contenuti, quanto ai modi di ragionare della
psicologia. Le diverse teorie psicologiche possono avere una duplice funzionalità: da un lato essere
viste “come altrettanti modelli di concettualizzazione della condotta e di argomentazione sulla
stessa” (Gulotta, 1987, p. 21) e dall’altro offrire all’avvocato degli strumenti per orientare il proprio
lavoro nella scelta dei testimoni, nell’esame crociato, e così via. In ambito penale questo tipo di
collaborazione potrebbe permettere al legale di utilizzare conoscenze psicologiche per scegliere
tattiche e strategie processuali al fine di costruire una difesa puntuale ed efficace. Il processo
italiano è infatti
ispirato ad un modello accusatorio dove la prova si costruisce durante il
dibattimento. Per ricostruire l’evento di cui si discute e per “spiegare, intenzionare e motivare le
condotte dei protagonisti” (Gulotta, 2002, p. 1333), il legale avrebbe l’opportunità, mediante la
consulenza psicoforense, da un lato di argomentare la propria interpretazione dei fatti con dei
riferimenti di carattere psicologico che lo rendano più persuasivo e convincente, dall’altro di
usufruire di nuovi strumenti psicologici per preparare gli interrogatori o per stendere l’arringa.
Un ambito di intervento che in una certa misura coniuga l’uso diretto e quello indiretto della
psicologia applicata alle scienze forensi è la psicologia investigativa. Poiché la recente normativa
consente agli avvocati di svolgere attività investigative, i difensori devono acquisire gli strumenti
utili per cimentarsi in questo nuovo campo e per svolgere questo tipo di attività la psicologia può
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offrire strumenti utili. La psicologia investigativa viene definita come un metodo di studio dei
fenomeni sociali (Gulotta, 1995; 2007); lo psicologo che osserva la vita quotidiana è una persona,
quindi, che sa congetturare su ciò che sta avvenendo o su fatti accaduti basandosi su parametri della
scienza sociale. Se il fenomeno sociale studiato è il crimine si può parlare allora di psicologia
investigativa forense, che va intesa non solo per stabilire chi è l’autore sconosciuto di un crimine ed
eventualmente come lo ha compiuto, ma anche per indagare i casi in cui è necessario comprendere
il perché ciò sia avvenuto, in quali circostanze ed in quali condizioni psicologiche (Gulotta, 2008);
predominante in questo caso sarà avere un supporto conoscitivo dei processi di pensiero che solo
uno psicologo può dare.
Un importante ambito di intervento per lo psicologo forense è quello relativo alla psicologia della
testimonianza, soprattutto in età evolutiva.
L’intervento dello psicologo con una formazione forense, oltre che clinica dell’età evolutiva, è
opportuno ogni volta che, a diverso titolo, si renda necessario l’ascolto del minore nel processo
penale: che si tratti dell’imputato, della vittima o del testimone. Fuori dalla perizia e dalla
consulenza tecnica – in cui lo psicologo è chiamato a ricoprire la veste di ausiliario, perito del
giudice o consulente di parte - la trial consultation può realizzarsi in altre attività. Innanzitutto
nell’esame del testimone minorenne in indagini difensive: come è noto, infatti, il nostro
ordinamento (artt. 391 bis e seguenti del c.p.p inseriti dalla L397/2000) oggi prevede per i difensori
la facoltà di condurre indagini difensive riconoscendo loro la facoltà di assumere testimonianze.
Così come accade quando il minore è sentito dalla polizia giudiziaria o dal Pubblico Ministero è
ovviamente opportuno che anche il legale si avvalga di un ausiliario psicologo che lo assista nel
delicato compito di interrogare un minore. Un’altra attività in cui può essere molto proficuo per il
legale avvalersi del trial consultant riguarda la redazione di atti che richiedano conoscenze tecnicoscientifiche in materia di testimonianza minorile. Tra questi: la richiesta di audizione protetta del
minore in Incidente Probatorio o di accertamento tecnico sulla capacità testimoniale del minore. Ai
fini dell’accoglimento della richiesta, può essere infatti molto utile argomentare con riferimenti
scientifici e bibliografici l’importanza di un’audizione tempestiva e secondo specifiche modalità,
così come la necessità di una preliminare verifica delle effettive capacità mnestiche, cognitive e
linguistiche del minore, presupposto imprescindibile della capacità testimoniale. In molti casi si
rivela estremamente utile la preparazione anticipata dell’audizione protetta in incidente probatorio:
non sempre, infatti, è consentito al consulente dell’avvocato assistere all’audizione e quindi
intervenire attivamente affinché sia realizzata l’intervista secondo le migliori modalità. Quando
l’audizione protetta in incidente probatorio si svolge al di fuori di una perizia, non sempre il
consulente delle parti è ammesso in aula. In questi casi una pianificazione anticipata delle domande
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(sulla base di precedenti dichiarazioni rese, rintracciabili ad esempio nelle denunce, nelle SIT, etc.),
ma soprattutto una nota tecnica sulle modalità con cui deve essere condotta l’intervista può essere
molto utile al difensore. Talvolta è auspicabile la redazione di una serie di raccomandazioni
tecniche e di domande da rivolgere al minore da depositare direttamente al Giudice. Un passo
successivo consiste nell’analisi, nella valutazione e nell’eventuale critica di tutto il materiale audiovideo relativo alle audizioni del testimone minorenne: naturalmente il materiale relativo
all’incidente probatorio (che - come le principali linee guida in materia di raccolta della
testimonianza raccomandano - è sempre videoregistrato) e laddove esista anche la registrazione di
altre audizioni (ad esempio di polizia giudiziaria o del PM, ma anche eventuali registrazioni
“domestiche”, spesso prodotte nel fascicolo processuale). A questo punto compito del trial
consultant può essere quello di evidenziare eventuali errori di conduzione dell’intervista - quali la
presenza di domande inducenti e suggestive - e valutare gli indicatori della credibilità clinica
relativi all’intervista in oggetto: il comportamento non verbale del testimone, eventuali segnali di
una possibile induzione esterna a riferire, ecc… Altra situazione piuttosto frequente è la richiesta di
collaborazione nella redazione di parti di motivi d’appello aventi ad oggetto tematiche inerenti la
psicologia della testimonianza e nello specifico l’analisi della testimonianza del minore: in questi
casi deve essere strategicamente selezionata la letteratura scientifica di sostegno delle proprie
argomentazioni e puntualmente utilizzata per evidenziare aspetti a proprio favore e criticare invece
ciò che risulterebbe svantaggioso.
Nella redazione dei motivi d’appello il contributo dello psicologo può essere molto utile anche
relativamente a molte altre tematiche di pertinenza psicologica, magari non evidenziate a
sufficienza nel processo di primo grado. Di seguito alcuni quesiti con cui ci siamo confrontati nel
nostro lavoro di trial consultants in ambito penale. L’approccio, anche per la singolarità di certe
situazioni e degli emblemi scientifici che le connotano, richiede l’approfondimento di tematiche
psicologiche a volte inusuali: dal riconoscimento di una sicura correlazione fra determinate
emozioni emerse in singoli comportamenti non verbali, alla possibilità di sopprimere
volontariamente aspetti della nostra memoria, dagli effetti che può creare il contagio sociale, alle
dinamiche interne e alle caratteristiche intrinseche di particolari gruppi devianti (come ad esempio
le sette sataniche), dalle implicazioni psicologiche della scelta di stipulare un’assicurazione sanitaria
agli eventuali effetti dell’esposizione di immagini violente sul comportamento umano, ecc… Lo
studio scientifico e la redazione di note tecniche sono, quindi, un florido campo applicativo della
trial consultation che possono poi essere efficacemente utilizzate in diverse fasi e attività
processuali
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Per quel che concerne le attività, un ambito di applicazione della trial consultation riguarda - come
abbiamo già anticipato – l’assistenza al legale nella preparazione della cross-examination. Nel
sistema italiano chi si presenta al dibattimento (in qualità di testimone, imputato, parte civile ed
esperto) può essere sottoposto a quattro tipi di esame: l’esame diretto, il controesame, il riesame e
l’esame da parte del giudice. Tutte queste situazioni richiedono, nella dialettica processuale,
un’adeguata preparazione che dia conto della complessità delle emergenze processuali e degli
aspetti tecnico-scientifici. Molti sono i fattori che devono essere contemplati durante la
preparazione dell’esame crociato. Lo psicologo giuridico può aiutare l’avvocato a pianificare la
cross-examination, cioè cercare, per quanto possibile, di prevedere le possibili alternative di
risposta generate da una stessa domanda, in maniera tale da acquisire quelle informazioni che
saranno funzionali per sostenere e costruire la propria strategia difensiva. Per l’esame è importante
organizzare una sequenza di domande che permetta di raggiungere l’obiettivo prefissato in modo
chiaro e coerente. Nel controesame ovviamente la possibilità di raggiungere l’obiettivo è molto più
complicata poiché chi fa le domande può solo ipotizzare ciò che l’esaminato ha intenzione di dire.
Costruire una mappa della cross-examination è quindi funzionale allo scopo: cercando di prevedere
le possibili risposte del teste, è possibile diminuire il margine di improvvisazione durante il
dibattimento (Gulotta, 2003). Durante la cross-examination, inoltre, può essere utile per l’avvocato
avvalersi della collaborazione dello psicologo per scegliere come formulare le domande, tenendo
conto sia dei singoli elementi che le compongono, che dei fini e degli obbiettivi che si vogliono
raggiungere formulandole. Tutto questo senza perdere di vista il contesto in cui la domanda è posta
che, essendo caratterizzato da una forte e stressante disparità di ruoli, porta l’interrogato ad essere
particolarmente sensibile a pressioni suggestive. Particolare importanza riveste l’aspetto pragmatico
(Watzlavick et al., 1967), ossia come l’atteggiamento di chi pone la domanda incida sulla risposta
dell’altro (Gulotta, 2003).
In particolare, l’assistenza del consulente psicoforense può essere di fondamentale importanza in
tutti quei casi in cui a testimoniare sia un professionista dell’area psicologica (consulente tecnico
del giudice o di parte, perito, terapeuta, psicologo dei servizi sociali, ecc…), nonché laddove
l’esame del testimone sia finalizzato a mettere in luce aspetti psicologici rilevanti per comprendere
la criminogenesi della vicenda. Avvalersi di una consulenza psicoforense per la preparazione
dell’esame e del controesame di psicologi e psichiatri può permettere di utilizzare tattiche e
strategie più pertinenti all’obiettivo che si intende perseguire.
Momento conclusivo del processo e interessante ambito di intervento per lo psicologo è infine
l’assistenza al legale nella preparazione dell’arringa. Nel momento dell’arringa l’avvocato deve far
emergere tutta la sua arte oratoria per cercare di sostenere e dare credibilità alla propria tesi
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difensiva. E’ tuttavia necessario ricorrere a precise strategie per catturare, focalizzare e mantenere
l’attenzione dei Giudici: molto spesso, infatti, per il collegio giudicante può essere un vero sforzo
cognitivo stare ad ascoltare per ore i difensori. Come può lo psicologo aiutare a superare questa
impasse? L’esperto di scienze umane può supportare il legale attraverso l’analisi delle tecniche più
utili per catturare l’attenzione, l’esame dei momenti nei quali presentare determinati documenti e
soprattutto le determinazioni circa le modalità con cui esporli.
L’impiego di tecnologie multimediali da parte degli avvocati costituisce un’innovativa metodologia
processuale in grado di integrare efficacemente il tradizionale ricorso, nel processo penale, alla
retorica e alla produzione documentale scritta. Il consulente psicoforense si propone di assistere
l’avvocato nella selezione, nell’elaborazione e nella realizzazione del materiale audiovisivo di cui
avvalersi per accrescere l’efficacia dell’oratoria: grafici in grado di rendere immediata l’evoluzione
o l’ampiezza di un fenomeno, immagini capaci di rendere visibili aspetti che più difficilmente
risulterebbero chiari attraverso la descrizione linguistica, tabelle di confronto tra dichiarazioni
fornite da diversi testimoni su un medesimo tema o da uno stesso testimone in momenti differenti,
nonché stralci di audizioni in Incidente Probatorio o di intercettazioni ambientali.
L’impiego di materiale audio-video durante l’arringa - video, grafici, diagrammi, audio, stralci di
incidenti probatori, indagini difensive, intercettazioni ambientali, etc. - non solo incuriosisce e
quindi aiuta a mantenere e stimolare l’attenzione degli interlocutori, ma incide altresì in termini di
persuasione.
Le immagini hanno notevole importanza probante poiché permettono di catturare percettivamente e
di fissare in memoria gesti, movimenti oculari, movimenti del corpo, pause ed altri atteggiamenti
che rivelano stati psicologici ed emozioni dell’individuo o della situazione in esame. Tutti questi
elementi vanno inevitabilmente ad influire nel processo decisionale del giudicante.
Ogni essere umano è, infatti, portato ad economizzare il proprio pensiero, attraverso strategie ed
euristiche, pertanto, ogni informazione presentata in una modalità già di per sé semplificata (come
potrebbe essere uno schema grafico) viene prontamente percepita, compresa ed immagazzinata in
memoria. Oltre a ciò, l’efficacia dei grafici è anche riconducibile alla naturale tendenza dell’uomo a
“spazializzare” i problemi complessi, come quelli di ragionamento (Berthoz, 2004). Quindi, poiché
coloro che dovranno giudicare si trovano nella condizione cognitiva di percepire, comprendere e
valutare diverse versioni delle stesso fatto, il più delle volte opposte, ma entrambe con gli stessi
supposti valori di credibilità, presentare un evento già organizzato in modo spaziale aumenterà la
probabilità di venire meglio compreso, preconfezionando un percorso mentale dell’informazione
(Berthoz, 2004).
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In un’ottica strategico-difensiva, l’uso di tecniche multimediali accresce notevolmente il portato
informativo, non solo perché una sola immagine può valere quanto mille parole e l’esposizione
reale, dal vivo, all’oggetto può valerne migliaia di più ancora (Nisbett, Ross, 1989), ma anche
perché conduce l’osservatore ad arrivare per proprio conto alle conclusioni prospettate
dall’emittente. Questo è un aspetto di particolare rilievo, posto che ognuno di noi è maggiormente
disposto a credere alle proprie bugie che alle verità degli altri (Gulotta, Puddu, 2004).
La Giustizia non può quindi, per definizione, operare prescindendo dall’Uomo, dalla conoscenza
dei suoi processi emotivi, affettivi, cognitivi, comportamentali, motivazionali, relazionali. Non può
prescindervi perché umane sono le denunce, le cause e i procedimenti giudiziari; umane sono le
dinamiche degli eventi indagati e le loro ripercussioni; umane sono le prove e le testimonianze
raccolte, gli errori conoscitivi e valutativi, le tesi e le argomentazioni formulate; umano è il
linguaggio utilizzato; umani sono i ruoli e i conflitti processuali, i codici di legge e le loro
interpretazioni; umani sono i giudizi, le decisioni della corte e le loro implicazioni.
Sia il diritto che la psicologia si occupano prevalentemente del comportamento umano: l’uno per
indicare ciò che è lecito e ciò che è vietato e per dare al giudice gli elementi necessari al fine di
precisare le responsabilità individuali, l’altra - la psicologia - per spiegare la condotta umana, i
processi psicologici che regolano la vita dell’Uomo, le sue scelte, le motivazioni, le sue condotte, le
responsabilità, le regole sociali, i rapporti interpersonali (Gulotta, 2002).
La figura del mediatore familiare all’interno della trial consultation
Chi si rivolge ad un avvocato per una separazione chiede un aiuto più globale, finendo per
accreditare all’avvocato un ruolo ben superiore e diverso da quello che sono le sue competenze. La
persona che deve affrontare la fine del suo rapporto coniugale si trova di fronte a sentimenti,
emozioni, ansie e difficoltà relazionali che combattono con la necessità di riorganizzazione del
proprio futuro, in un momento in cui la conflittualità fra i coniugi è forte e la comunicazione
difficile.
Gli avvocati più sensibili a questo aspetto cercano di arrabattarsi tra consigli e senso comune, ma
spesso questo non basta, poiché serve la competenza di un esperto in materia che fin dai primi
incontri con i rispettivi clienti collabori con il legale affinché faccia comprendere alle persone
implicate in queste cause cosa sta succedendo loro, come poter affrontare il momento di particolare
crisi e come farlo superare non solo agli adulti, ma anche ai loro figli. Risulta, quindi, fondamentale
una collaborazione tra psicologo/mediatore ed avvocato che va al di là della specifica esigenza di
attuare una mediazione o una consulenza, poiché l’esperto in relazioni familiari e diritto, attraverso
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le sue conoscenze ed il suo sapere può aiutare i vari protagonisti della vicenda (compresi gli
avvocati) a far fronte in modo consapevole, responsabile e maturo delle complicate dinamiche che
emergono durante una separazione.
Come precedentemente sottolineato l’esperto in questo campo può dare, ad esempio,:
 chiarimenti ai clienti sul significato psicologico della separazione e del divorzio;
 chiarimenti rispetto agli effetti sui figli;
 collaborazione nel risalire alle cause che hanno portato i coniugi alla separazione;
 aiuto nell’attività di conciliazione, se possibile, altrimenti di mediazione;
 collaborazione in relazione ad eventuali istanze volte ad ottenere una perizia di carattere
psicologico;
 collaborazione per il raggiungimento del cosiddetto “divorzio psichico”.
Sappiamo, infatti, che con la separazione ed il divorzio si pone fine alla coppia coniugale, ma non a
quella genitoriale, così come sappiamo che questa fase è un processo evolutivo che porta
inevitabilmente la famiglia ad una nuova organizzazione, ma per far sì che questo accada i
protagonisti devono essere consapevoli di quanto sta loro succedendo; spesso, però, le persone
affrontano tale fase con inconsapevolezza e forti timori, per questo motivo fondamentale diventa la
presenza di una figura professionale che sappia condurli. Sotto questa veste il mediatore familiare
assume ed è portatore di nuove conoscenze su tutto ciò che concerne il mondo della famiglia e la
sua riorganizzazione a seguito di una separazione.
In questo contesto verranno spiegati in modo più specifico gli ambiti per cui la figura del mediatore,
quale consulente psicoforense, può essere d’aiuto nel fare chiarezza, sia al cliente sia all’avvocato,
rispetto a tutta una serie di tematiche che possono emerge durante il lungo processo di disunione, in
particolare nella fase iniziale, quando ormai si è decisi nel separarsi ma non si sa come andare
avanti.
Implicazioni dell’affidamento condiviso
Nonostante il mediatore conosca la nuova normativa in campo di diritto familiare, non è tanto
compito suo spiegarla a livello giurisprudenziale (compito, infatti, spettante all’avvocato), ma
piuttosto far capire ai genitori che sono in procinto di separarsi cosa implica per loro ed i loro figli
questa nuova disciplina, quale cambiamento ha portato rispetto ai loro ruoli genitoriali.
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La legge n.54, entrata in vigore l’8 febbraio 2006 all’art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli)
cita
Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere
un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e
istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i
parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il
giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla
prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta
prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori
oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro
presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di
essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli.
Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta
ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i
genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli, relative all'istruzione, all'educazione
e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità,
dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è
rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il
giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi
liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli
in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da
determinare considerando:
1. le attuali esigenze del figlio;
2. il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4. le risorse economiche di entrambi i genitori;
5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato
dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non
risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia
tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».
Con il nuovo termine affidamento condiviso si sottolinea, quindi, la partecipazione di entrambi i
genitori alla cura e all’educazione dei figli; l’affido dei figli viene dato di regola ad entrambi i
genitori, riconoscendo il diritto dei minori a mantenere rapporti continuativi e significativi con gli
ambiti parentali delle due famiglie, attuando una flessibilità della frequentazione in base ad accordi
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prestabiliti che obbligano la presenza e partecipazione attiva sia della madre che del padre e
conservando l’esercizio della patria potestà per entrambi i genitori che mantengono in questo modo
in egual misura (rispetto al loro status economico ovviamente) i compiti di cura e mantenimento dei
propri figli.
Questo tipo di affidamento è stato voluto dal legislatore per un concreto svolgimento del ruolo
genitoriale da parte di tutti e due i coniugi e per consentire al figlio di vivere un rapporto filiale con
entrambi i genitori. Per questo l’esperto, mediatore e consulente psicoforense dell’avvocato, può far
capire che il canale del dialogo fra gli ex partner, per questo tipo di affidamento, deve essere
spianato, liberato da ostacoli estranei all’interesse del figlio, anche se profondamente radicato
nell’animo dei genitori; se mancano le premesse per riconoscere l’altro, non più come proprio
compagno, ma come genitore del proprio figlio, allora fin da subito è bene consigliare al cliente una
mediazione familiare che favorisca il ripristino di una comunicazione responsabile fra i due.
Ovviamente non sarebbe il consulente stesso a proporsi quale mediatore, ma il caso dovrebbe essere
affidato ad un collega.
Se invece si nota nelle persone solo un senso di disorientamento rispetto a quanto sta per affrontare
il mediatore-consulente può dare delle chiare direttive, delle chiavi di lettura su questa fase critica di
passaggio. Poiché l’affido condiviso, in qualche modo, introduce a livello pubblico e normativo una
sorta di famiglia “indissolubile” (Giannella, Palumbo, Vigliar, 2007), per quel che concerne le
responsabilità che rimangono tra i partner e nel rapporto con i figli nell’interesse di quest’ultimo, è
bene quindi spiegare fin da subito quali sono i punti nodali nella fase di separazione che devono
essere affrontati per non far soffrire più del dovuto l’intero nucleo familiare.
Il nodo della conflittualità
La pace è nella nostra cultura, il conflitto non piace, si cerca di evitare, lo si fa tacere; vi è una
necessità a fare pace comunque e subito, a non litigare (come dicono le mamme ai loro bambini); la
pace è nella nostra educazione, è un nostro dovere. Ma spesso non va così ed il conflitto insorge,
dobbiamo renderci conto che esso non va sottaciuto, non va represso, ma è una parte naturale delle
relazioni umane e quindi va vissuto. Anche quello che si origina dalle separazioni.
Il conflitto, in generale, nasce da due verità, da due ragioni considerate inoppugnabili e valide da
sostenere allo stesso modo. Se partiamo da questo presupposto non esiste una parte che possa avere
ragione e una che ha torto. Il conflitto sprona a guardare al nostro modo di relazionarci e ci invita di
conseguenza a modificare lo stile con il quale incontriamo l’altro. Quando parliamo di relazioni non
possiamo non parlare di conflitto; addirittura possiamo affermare che la relazione è conflitto, che la
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diversità che si mette in gioco in ogni contatto relazionale genera inevitabilmente dinamiche
conflittuali (Martello, 2008). Il conflitto è, dunque, un elemento base della relazione; senza di esso
la relazione si potrebbe considerare fasulla, in quanto le parti coinvolte non avrebbero la possibilità
di esprimersi realmente. E’ proprio l’emergere del conflitto che ci permette di porci in rapporto con
la diversità dell’altro obbligandoci a riposizionare i confini tra noi e l’altro e quindi definire, di
conseguenza, la relazione in cui siamo implicati.
Attualmente i nostri conflitti trovano risposte poco adeguate; spesso ci si rassegna a metterci una
pietra sopra, evitando così il problema, o si delegano le decisioni alla Giustizia che trova a volte
soluzioni che non sono né rapide, né efficaci, non cogliendo quella dimensione più forte e centrale
che accompagna il conflitto, ovvero quella emotiva. Nei palazzi di giustizia non c’è spazio per
questa dimensione poiché si lavora sui fatti. Le soluzioni a cui arriva un giudice possono bloccare la
comunicazione tra le parti, soffocare la possibilità di esprimere il proprio malessere sotteso alla
contesa ed impedire il reciproco riconoscimento, imponendo logiche competitive e distruttive.
Gli avvocati, da parte loro, non riescono a ristabilire una comunicazione sana e civile fra le parti in
causa; anzi, il più delle volte innestano uno stato di escalation conflittuale (attraverso l’utilizzo ed il
deposito - reale o minacciato - di varie memorie, segnalazioni, ricorsi, ecc) che porta
inevitabilmente alla perdita dei reali bisogni ed esigenze di ciascuno; in questi casi occorre la
presenza di una figura terza – quale è il mediatore - che aiuti a costruire modalità più consone di
vivere il conflitto, di gestirlo ed affrontarlo.
Anche le persone che hanno deciso di separarsi devono comprendere che litigare ed avere diversi
punti di vista rispetto alla situazione emergente non è patologico, bensì normale e comprensibile,
ma se si aggrappano solo al conflitto, questo le fa cadere in un baratro di infelicità perenne, in cui la
visione del mondo si restringe a tal punto che l’unica ragione di vita diventa il conflitto stesso,
attraverso una sistematica guerra alla controparte; in questo modo vengono attivate dinamiche
paranoiche improntate alla distruttività reciproca: le parti non riescono ad andare più oltre ai fatti,
ad andare oltre il conflitto.
Nella separazione, spesso, l’iter giudiziario che i coniugi devono sostenere comunica loro
implicitamente un messaggio che finisce per rafforzare i sentimenti e comportamenti che sono per
tanti versi opposti a quelli necessari ai loro figli e a loro stessi, per superare costruttivamente la crisi
della separazione: si sentono e si comportano da individui infantilizzati e passivizzati, ai limiti della
patologia e della devianza, colpevoli, irresponsabili, individui che di fatto delegano la gestione dei
propri affetti più intimi, la quotidianità stessa dei propri figli ad altri, figli che spesso finiscono per
trattare come prede e ostaggi (Bouchard, Mierolo, 2000). Quando le coppie separate non
cooperano, non trovano un accordo condiviso, un contenitore capace di trasformare il dolore in
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speranze per il futuro e capacità di ricominciare, tramutano la loro sofferenza in un senso di
fallimento senza fine, da cui possono tracimare rabbia, aggressività, vendetta: tutti stati d’animo
che, invece di aiutare a trovare un nuovo percorso, aggiungo macerie alla distruzione già in atto.
In tutti questi casi vi è l’esigenza di dare un’opportunità per affrontare in modo alternativo la crisi
separativa, un modo che riesca a “governare” il conflitto che contrappone gli ex coniugi e che li
supporti nelle modalità di interazione migliore da attuare; questa alternativa viene data dal
consulente psicoforense che, da una parte dà consigli, suggerisce, spiega i diversi meccanismi che
entrano in gioco in queste situazioni e le varie possibili soluzioni; dall’altra - in tutti quei casi in cui
il conflitto è ad un livello tale da non poter essere adeguatamente affrontato dalle parti, prese
singolarmente - propone all’assistito ed al suo avvocato la partecipazione a dei colloqui di
mediazione familiare, affinché i toni dell’ostilità siano smorzati e le parti in causa possano trovare
accordi plausibili ed adeguati per tutti, facendo capire che in questi casi non ci sono né vincitori né
vinti e che entrambi le parti possono uscirne o vincitori o perdenti di un benessere comune, ossia
quello dei figli.
Il nodo della bigenitorialità
Un altro versante che è bene spiegare a chi arriva impreparato alla separazione è che l’attuale
sistema normativo in tema di affidamento si basa su un concetto molto importante, diritto
fondamentale sia dei genitori che dei minori, ossia la bigenitorialità: la presenza e partecipazione
attiva di entrambi i genitori alla cura, alla crescita e all’educazione dei figli. Deve essere spiegato a
tutte quelle persone che vorrebbero o tenderebbero ad escludere fin da subito l’altro genitore che
questo concetto, fatto proprio dal legislatore, comporta il riconoscimento da parte di ciascun della
genitorialità dell’altro come valore permanente che non si limita al periodo felice della coppia, ma
rimane anche dopo la separazione o il divorzio. Vivere consapevolmente la propria genitorialità
significa perciò garantire il diritto ai figli che l’amore dei genitori è “per sempre” anche quando
l’amore nella coppia non c’è più. Il diritto dei figli alla bigenitorialità è sinonimo di rispetto nei loro
confronti ed evita loro il danno esistenziale che viene inflitto quando i genitori duellano senza
esclusione di colpi per effetto di un intenso ed insanabile conflitto.
Il consulente psicoforense, ed in particolar modo il mediatore, si pone l’obiettivo principale di
sostenere ed aiutare le coppie in crisi anche prima che arrivino alla fase della separazione vera e
propria, attraverso una ristrutturazione della comunicazione che riconosca il valore comune della
responsabilità, della pari dignità dell’essere e restare genitori anche quando il rapporto di coppia
finisce ed una risoluzione nella gestione delle emozioni negative, offrendo loro un terreno di
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pacificazione per vivere una più risolta dimensione della relazione interpersonale all’interno della
famiglia e dei suoi componenti anche quando la famiglia non c’è più.
Il concetto di bigenitorialità ha, di fatto, introdotto un elemento deterrente di comportamenti e prassi
scorrette che si erano andate costruendo nel regime della vecchia legge, in casi di affidamento
esclusivo, in cui uno dei due genitori veniva escluso dalla vita del proprio figlio o si autoescludeva
disinteressandosene totalmente. Questo diritto deve far capire che i genitori si devono manifestare,
durante la separazione, duttili, con buon senso, responsabili e competenti in ordine alla gestione dei
figli; per far questo spesso le persone hanno bisogno che qualcuno di fidato, competente ed esperto
li aiuti in questo irto e complesso passaggio, in un momento in cui vorrebbero pensare o pensano
solo a loro stessi.
I diritti dei figli
Di frequente negli studi legali si presentano persone accecate dalla loro voglia di rivalsa, di far
riscattare i loro diritti e di rivincita su una persona che ha fatto loro un torto (nei casi delle
separazioni frequenti sono i sentimenti di dolore, rabbia, frustrazione, angoscia, senso di colpa,
ecc.), non pensando che per attuare tutto ciò vanno contro ad una serie infinita di atti che inficiano il
loro benessere e quello delle persone che stanno loro vicino, in modo particolare i propri figli.
La separazione è spesso dolorosa sia per gli adulti che per i figli, ma mentre per i primi si tratta del
fallimento di un progetto di convivenza, un progetto che ha aspetti affettivi e patrimoniali, un
progetto di collaborazione per crescere insieme; per i figli, invece, c’è molto di questo, ma anche un
attacco diretto alla propria sicurezza esistenziale, la messa in discussione di un bisogno/diritto di
contare sugli adulti che la nostra specie ha iscritto profondamente in ciascuno di noi da milioni di
anni (Pellai, Tamborini, 2009).
Negli anni il tempo del rispetto dei diritti dei figli e dell’infanzia si è via via accentuato nella nostra
società e cultura, come in altri Paesi. Dopo la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo,
sottoscritta a New York nel 1989 (resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991) e la
Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 (resa esecutiva in Italia con la legge n.177 del 20
marzo 2003), la legge del 2006 fa propria un’importante istanza culturale individuando, per la prima
volta come proprio, il “diritto dei figli” (quali, ad esempio, a frequentare entrambi genitori o i
nonni), introducendo così una regolazione giuridica all’interno del diritto di famiglia, che non solo
tiene conto dell’interesse del minore, ma ne fa la linea guida per la regolazione giuridica stessa
(Giannella, Palumbo, Vigliar, 2007).
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Uno tra i più importanti diritti riconosciuti ai minori (sopra gli anni dodici o anche in età inferiore se
giudicato capace di discernimento) è quello di essere ascoltato (art.155 sexies del c.c.), diritto
fondamentale in quanto viene data la possibilità al fanciullo di esprimere liberamente la sua
opinione, cercando di comprendere le sue esigenze ed i suoi problemi. L’innovazione della legge
sull’affido dà spazio in questo senso al figlio al quale viene riconosciuto il diritto di esprimere la
propria posizione; rimane comunque il fatto di far capire ai genitori che i bambini non sono
marionette nelle loro mani e che questo momento di ascolto non può essere utilizzato a proprio
beneficio, (convincendo, ad esempio, il minore, con sotterfugi, a dire ciò che loro vogliono che lui
dica), ma è un momento di assoluta libertà e tranquillità, in cui è il minore al centro dell’interesse e
dell’attenzione di tutti i protagonisti della vicenda che sono lì ad ascoltare i suoi bisogni e le sue
richieste.
L’etica della responsabilità ad educare
I genitori che si trovano nella fase di un cambiamento irreversibile del loro sistema famiglia
dovrebbero far propria l’idea che il lavoro degli adulti nei confronti dei propri figli deve rimanere
costante nel tempo, sia pur trasformato nelle modalità operative e nel contesto di riferimento.
I genitori, conviventi o separati, hanno un compito che da solo basta a dare un senso a una vita:
dimostrare con l’esempio che anche se non si va d’accordo, anche se la convivenza tra gli adulti
non è più pensabile, è possibile mantenere un impegno comune per aiutare i figli a entrare nel
mondo contando sul sostegno, sulla guida e sull’affetto di un padre e di una madre (Pellai,
Tamborini, 2009).
Un bambino, grazie al proprio contesto familiare dovrebbe, quindi, riuscire a sviluppare una
conoscenza di sé, una fiducia in se stesso e una stima di sé (Giannella, Palumbo, Vigliar, 2007).
Affinché ciò accada è utile ed indicativo che un consulente riporti, come una sorta di decalogo per i
genitori separati, questo elenco proposto da Iori (2006) su quali sono gli impegni e le responsabilità
dei genitori:
 impegno a sentirsi genitori per tutta la vita;
 mantenimento di contatti sereni e frequenti con il genitore più lontano;
 aiutare i ragazzi ad adattarsi alle situazioni familiari successive;
 informarli con franchezza ed onestà senza escluderli dalle decisioni che li riguardano;
 mostrarsi genitori affidabili nonostante la rottura della coppia;
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 avere cura dei sentimenti che i ragazzi provano durante e dopo la separazione tenendo conto
della loro età;
 adoperarsi reciprocamente per non demolire l’immagine dell’altro genitore e non
coinvolgere i bambini nelle controversie di coppia evitando soprattutto di stabilire alleanze
che ingenerino conflitti di fedeltà;
 assumere le responsabilità educative secondo una prospettiva di educazione condivisa che
abbia a cuore prioritariamente la difesa del vero interesse del figlio.
Ovviamente tutto ciò non è sicuramente facile, soprattutto all’inizio della separazione dove
prevalgono sentimenti di disfatta e sconforto per il lutto relazionale, ma è bene fin da subito far
comprendere questo quadro ai rispettivi genitori, evidenziando loro che, mettendosi in gioco per
continuare il loro ruolo educativo, nonostante le ostilità e le ferite, salvaguardano non solo i propri
figli, ma anche se stessi e possono gioire dell’intima e profonda soddisfazione della genitorialità
offrendo, nonostante il cambiamento, sicurezza e stabilità.
Il più importante potere educativo dei genitori separati è perseguire uno spazio che permetta di
superare la situazione; se un progetto familiare costruito insieme finisce, non per questo (e questo è
il nodo centrale da far capire alle persone quando si separano ed ai loro figli) finisce la progettualità
che concerne il futuro dei figli.
Il nodo della comunicazione dei sentimenti
Una delle domande che spesso i genitori chiedono ai professionisti è: come comunichiamo a nostro
figlio la nostra decisione di non vivere più assieme? Queste persone, spesso divise da insanabili
contrasti di natura sentimentale e patrimoniale, delusi, aggressivi e rancorosi per come è finito il
loro progetto di convivenza, provano la medesima angoscia al pensiero delle reazioni dei figli alla
comunicazione della loro separazione. Entrambi sanno bene che questa comunicazione, anche se da
tempo prevista e temuta, non può che destare una tempesta di emozioni alle quali i figli reagiranno
in modi molto personali e non sempre prevedibili; ecco allora che l’esperto in separazioni e conflitti
può aiutare, rassicurare, comunicare ai genitori come poter affrontare e superare questo momento
particolarmente critico; il consulente psicoforense, può far riflettere, suggerire e dare spunti su
come i genitori possono entrare in comunicazione con i loro bambini in questi momenti così
difficoltosi della loro esistenza.
Fin dai primissimi incontri i genitori devono capire che la separazione non dovrebbe mai avvenire
all’insaputa di un figlio, perché i bambini sanno già tutto, capiscono quello che sta succedendo in
famiglia, vedono l’invisibile, e nonostante questo hanno bisogno di chiarimenti espliciti e diretti dai
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propri genitori per affrontare la moltitudine dei sentimenti e degli stati d’animo che stanno
sperimentando, come la paura, la tristezza, la rabbia, il senso di colpa, la vergogna e l’impotenza,
ecc. Il professionista che accoglie le insicurezze della coppia può spiegare loro come reagire,
affrontare e sciogliere questi problematici nodi, tenendo ovviamente conto dell’età ed il sesso del
figlio, della fase del ciclo di vita che la famiglia sta attraversando, della personalità di ogni singolo
componente e della modalità di gestione del conflitto e facendo loro utilizzare modalità differenti
per mettersi in “contatto” con i propri figli, quali video, filastrocche, storie, ecc.
Comunicare con i propri figli con onestà emotiva il conflitto che si sta vivendo come genitori è
un’occasione che può trasformare il dolore della separazione in un momento di crescita e un modo
per rispettare la dignità del bambino. Raccontandogli la verità non solo su quello che ha unito e
unisce la coppia, ma anche su ciò che la divide, gli si spiega che la separazione è solo coniugale e
non genitoriale. A tale scopo Pellai e Tamburini (2009) hanno stilato delle regole d’oro che i
genitori dovrebbero seguire per aiutare il figlio a capire che mamma e papà si lasciano, ma non lo
lasciano:
1. separarsi con lo stesso stile con cui si intraprende un viaggio molto avventuroso di cui non
si conoscono le tappe e non si possono prevedere le condizioni metereologi che, ma ci si può
dotare di ausili di protezione, ci si può documentare, allenare in modo che l’imprevedibilità
diventa un’occasione per affrontare gli ostacoli, uscendo rafforzati dall’esperienza, avendo
imparato l’arte della flessibilità, della pazienza, dell’accettazione e della comprensione
altrui;
2. comunicare con le parole e…con tutto il resto perché un bambino si vuole sentire
rassicurato, protetto, amato ed è fondamentale fargli capire, tramite la comunicazione
verbale e non verbale, che continuerà ad avere relazioni amorevoli, calde ed affettuose con
entrambi i genitori. Non è facile per i piccoli esprimere i propri sentimenti a parole, spesso
questi riversati in azioni che vanno comprese; se un figlio potesse parlare con onestà e
chiarezza questa è la lista di cose che vorrebbe dire ai propri genitori:

Voglio che entrambe rimaniate coinvolti nella mia vita. Se potete scrivetemi lettere, fatemi
telefonate, chiedetemi un milione di cose. Quando non vi dimostrate coinvolti nella mia vita,
a me sembra di non essere importante e di non meritarmi il vostro affetto;

Per favore non litigate troppo e cercate di andare d’accordo, per quanto questo sia possibile
per una mamma e un papà che si separano. Cercate di trovare un’intesa su tutto ciò che mi
riguarda. Quando litigate per causa mia, penso di essere stato io a fare qualcosa di sbagliato
e mi sento colpevole;
19

Voglio bene ad entrambi e amo ogni istante che trascorro con ciascuno di voi. Perciò quando
siete con me non mostratevi mai arrabbiati oppure gelosi, non fatemi domande su cosa fa e
chi vede l’altro genitore, perché questo mi fa immaginare che volete che io stia dalla parte di
uno o dell’altro e abbia delle preferenze nei vostri confronti;

Se dovete dirvi delle cose, fatelo direttamente e non utilizzate me come un ambasciatore dei
vostri messaggi;

Quando parlate del genitore assente, dite di lui/lei solo cose belle oppure, se non ci riuscite
stata zitti;

Non dimenticate mai che voglio che entrambi rimaniate un punto di riferimento per la mia
vita. Ho bisogno di una mamma e di un papà per diventare grande, imparare ciò che è
importante per me, per ricevere aiuto quando ho dei problemi.
3. rispettare riti e routine anche dopo la separazione per far capire ai propri figli che mamma e
papà sono attenti ai piccoli particolari e alle loro abitudini che non cambieranno in maniera
drastica;
4. trovare un accordo preventivo su come spiegare al figlio la separazione è un passaggio
importante; i genitori dovrebbero:
-
decidere insieme il momento per farlo e il modo in cui raccontarlo, prima che uno dei
due lasci la casa coniugale;
-
cercare di essere entrambi presenti;
-
essere rispettosi l’uno dell’altro, per quanto possibile;
-
annunciare con chiarezza ai bambini quali sono i cambiamenti ai quali andranno
incontro, soprattutto in relazione a dove vivranno, con chi e come si svolgeranno le
routine relative all’accompagnamento a scuola e alle altre attività extrascolastiche;
-
cercare di fornire un senso di sicurezza e programmazione rispetto a ciò che succederà a
breve e medio termine, senza però sommergerli di troppe informazioni
-
fare molta attenzione alle reazioni del bambino.
5. avere cura di se stessi, perché per poter essere d’aiuto al proprio figlio occorre riuscire a
prendersi cura di noi stessi, così da poter essere emotivamente e fisicamente disponibili nei
confronti dei maggiori bisogni dei piccoli. E’ importante che entrambi i genitori:
-
evitino di isolarsi emotivamente dal contesto sociale e relazionale cui appartengono;
-
sappiano da chi è composto il proprio gruppo sociale di supporto e come contattarlo in
tempi brevi per richieste di aiuto;
20
-
sappiano come prendersi cura del proprio stato di salute e di quello dei propri figli;
-
facciano movimento, conducano una vita fisicamente attiva e, in generale, aderiscano a
uno stile di vita improntato al benessere;
-
registrino in un diario periodico i proprio sentimenti, emozioni, reazioni relativi agli
accadimenti che si verificano,
-
cerchino in tutti i modi di mantenere il sorriso e alto lo spirito nella vita di tutti i giorni:
anche se la casa è abitata dal dolore per la separazione, continua a esserci un gran
bisogno, soprattutto per i bambini, di buonumore e risate.
Spesso, quando le coppie hanno superato l’iniziale fase di rabbia e delusione per il matrimonio
fallito, la paura che manifestano maggiormente è quella di sbagliare con i loro figli, di non sapere
come comportarsi in determinate situazioni. Anche in questo caso avere a disposizione un esperto in
materia che possa chiarire, dare consigli ed affrontare insieme le diverse tematiche riportate dai
genitori può essere una fonte di inesauribile ricchezza. Ovviamente non si ha una formula magica
universale, ma vi sono delle linee guida su cosa i genitori dovrebbero e non dovrebbero fare mai in
generale, affinché i figli stiano bene:
 mai litigare con l’ex partner di fronte a loro o al telefono in loro presenza;
 mai fornirgli dettagli sgradevoli o negativi sul comportamento dell’altro genitore;
 cercare di rendere prioritario lo sviluppo di una relazione con l’ex partner orientata
verso uno stile amichevole;
 cercare di interagire con l’altra persona in modo più cordiale e gentile possibile;
 concentrarsi sui punti di forza e sulle risorse di tutti i membri della famiglia;
 nel caso ci si senta sopraffatti da sentimenti di rabbia, paura, lutto o vergogna
rispetto al partner è fondamentale chiedere un aiuto specialistico.
Mantenere una relazione civile e rispettosa con il partner da cui ci si vuole dividere porta i propri
figli a sentirsi autorizzati ed in grado di comunicare le proprie emozioni, il senso di lutto e perdita
che la separazione comporta, avendo modo di attraversare la tempesta emotiva che li aspetta ed
uscendone come persone più forti e resilienti.
Il genitore oltre che a comunicare, in qualsiasi situazione, ma in particolare nei casi di separazione,
deve anche saper ascoltare il proprio figlio; abbiamo visto come la legge sull’affido preveda che il
giudice possa ascoltare il minore, ma prima di pensare a far ascoltare i minori in un sistema
giudiziario si dovrebbe cercare di prestare loro attenzione all’interno della propria famiglia.
21
Riconoscere loro il diritto di esprimersi, di manifestare le proprie opinioni, esigenze, bisogni è una
forma di rispetto ed anche un modo di mettersi nei loro panni.
Ascoltarli e quindi chiedere il loro parere è un modo per renderli partecipi, per rassicurarli rispetto
alle paure sul loro futuro. Generalmente i genitori invece tendono ad attribuire il proprio punto di
vista sia perché non vogliono mettere in discussione scelte che potrebbero non essere condivise sia
perché pensano di sapere cosa sia bene per i propri figli. La mancanza di dialogo, invece, comporta
un’emarginazione ed una scarsa importanza alle esigenze dei figli che sicuramente può determinare
una forma di autosvalutazione. E’ fondamentale, quindi, sollecitare i figli ad esprimere i propri
sentimenti e stati d’animo, attraverso un ascolto empatico ed una comprensione profonda, in modo
da condividere l’elaborazione del disagio. Affinché i figli si sentano meno smarriti nel disagio che li
attraversa essi devono sentire che c’è uno spazio intimo di ascolto e di accoglienza in primis nei
genitori, loro punto di riferimento (Giannella, Palumbo, Vigliar, 2007).
Conclusioni
La Psicologia giuridica è oggi un ambito non solo di ricerca, ma anche di studio, di professionalità
in grado di ricondurre a unità conoscenze e competenze provenienti da campi di sapere diversi: la
presenza della competenza giuridica accanto a quella psicologica è il preludio per favorire e
valorizzare la comunicazione intersistemica.
Come ben delineato da Puddu “la giustizia non può, per definizione, operare prescindendo dagli
uomini; dalla conoscenza dei loro processi emotivi, affettivi, cognitivi, comportamentali,
motivazionali, relazionali, biologici, fisiologici, sociali, culturali. Non può prescindere, perché
umane sono le denunce, le cause e i procedimenti giudiziari; umane sono le dinamiche degli eventi
indagati; umane sono le loro ripercussioni; umani sono strumenti, procedure e metodi mediante i
quali si effettuano investigazioni, accertamenti e ri-costruzioni di fatti; umane sono le prove e le
testimonianze raccolte; umani sono gli errori conoscitivi e valutativi in agguato; umane sono le
attribuzioni di causa e di responsabilità; umane sono le tesi e le argomentazioni formulate; umano
è il linguaggio utilizzato; umani sono i ruoli e i conflitti processuali; umani sono i codici di legge e
le loro interpretazioni; umani sono i giudizi e le decisioni della corte; umani sono i significati delle
sentenze come le loro applicazioni e implicazioni.” (Puddu, 2009, pag. 11). Sia il diritto sia la
psicologia si occupano prevalentemente del comportamento umano: l’uno per indicare ciò che è
lecito e ciò che è vietato e per dare al giudice gli elementi necessari al fine di precisare le
responsabilità individuali, l’altra - la psicologia - per spiegare la condotta umana, i processi
psicologici che regolano la vita dell’Uomo, le sue scelte, le motivazioni, le sue condotte, le
responsabilità, le regole sociali, i rapporti interpersonali (Gulotta, 2002).
22
La consulenza psicoforense mira, quindi, ad intensificare quel rapporto, per ora ancora molto
distante, fra mondo giuridico e mondo psicologico, attraverso il proliferare di tutta una serie di
attività che vanno ben al di là del campo giudiziale e che servono per promuovere forme di aiuto
extragiudiziario, sia agli avvocati che alle persone che si affidano ai legali.
Si è potuto costatare come in campo penale, civile e minorile i servizi che uno psicologo di
formazione forense può offrire sono molteplici e di natura differente. Nello specifico, per quanto
riguarda l’ambito civile, nelle situazioni di separazione, si avverte l’esigenza di offrire alle persone
che attraversano la crisi separativa un’opportunità per affrontare in modo alternativo e non
antagonistico alla via giudiziaria, il conflitto che spesso le contrappone. La consulenza psicoforense
e la mediazione familiare sono le forme più innovative di queste proposte che si prefiggono come
scopo quello di non lasciare da soli né genitori né figli in una fase tanto difficile della loro esistenza.
I genitori in difficoltà chiedono esplicitamente o implicitamente di ritrovare fiducia e speranza, in
un periodo in cui i loro conflitti si radicalizzano e la battaglia tra le parti diviene sempre più dura,
rischiando di compromettere gravemente i rapporti tra di loro e con i loro figli; è per questo che un
atteggiamento amichevole, un linguaggio semplice e chiaro, disponibilità, competenza
professionale e vicinanza umana possono rendere risolvibili molte crisi attraverso un’approfondita
opera di chiarimento e di sostegno (Scaparro, 2009).
23
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