fiore del deserto - Lo Spettacolo del Veneto
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fiore del deserto - Lo Spettacolo del Veneto
Federazione [email protected] Italiana Cinema d’Essai INTERPRETI: Liya Kebede, Sally Hawkins, Timothy Spall SCENEGGIATURA: Sherry Hormann FOTOGRAFIA: Ken Kelsch MONTAGGIO: Clara Fabry MUSICHE: Martin Todsharow SCENOGRAFIA: Jamie Leonard DISTRIBUZIONE: Ahora NAZIONALITÀ: Gran Bretagna, Germania, Australia, Francia DURATA: 120 Min [email protected] wwww.spettacoloveneto.it Associazione Generale Italiana dello Spettacolo di Sherry Hormann PRESENTAZIONE E CRITICA Waris è una bellissima ragazza somala che si ritrova catapultata nel cuore di Londra, a piedi nudi e con un passaporto fasullo in mano. A Londra incontrerà prima un'aspirante ballerina, Marylin, che, malgrado il temperamento bizzarro e la diffidenza iniziale, diventerà la sua migliore amica, e poi un celebre fotografo di moda, che saprà riconoscere in lei il potenziale di apparire sulle copertine di tutto il mondo. Ma Waris ha un passato oscuro, di cui fanno parte alcuni eventi traumatici nella nativa Somalia: l'infibulazione che tocca in sorte a moltissime bambine africane e il matrimonio combinato, a 13 anni, con un vecchio di cui diventerebbe la quarta moglie. Waris, il cui nome significa Fiore del deserto, si sottrae al suo destino scappando prima a Mogadiscio poi in Inghilterra, dove prenderà a poco a poco consapevolezza non solo della sua bellezza fuori dal comune ma anche dei suoi diritti come donna e come essere umano. FIORE DEL DESERTO racconta la vera storia di Waris Dirie, top model di fama internazionale nonché portavoce ufficiale della campagna dell'Onu contro le mutilazioni femminili. Dirie ha ripercorso la sua vita avventurosa nell'autobiografia su cui è basata la sceneggiatura del film, scritta dalla regista americana di origini tedesche Sherry Hormann, e realizzata da una giovane casa di produzione indipendente di Verona, la Ahora! Film. La scelta più importante era naturalmente quella della protagonista, ed è la più felice del film: ad interpretare Waris è un'altra supermodella che proviene dalla stessa parte del mondo (anche se è etiope e non somala), Liya Kebede, che al suo debutto cinematografico si rivela non solo perfetta per il ruolo, ma anche un'ottima interprete. È dai tempi dell'esordio di Audrey Hepburn, allora conosciuta solo come modella, in Vacanze romane che non si vedeva un passaggio così riuscito dalle passerelle di moda al grande schermo. Kebede, di una bellezza devastante, sa essere leggera e profonda, comunica gravitas africana e desiderio di emancipazione londinese, grazia e timidezza, paura e determinazione, ingenuità e buon senso, suprema vulnerabilità e altrettanto suprema dignità. Accanto a lei funziona molto bene Sally Hawkins nei panni dell'amica Marylin, in qualche modo non meno seducente di Waris, vulcanica e pasticciona, goffa e sfacciata, sgarrupata e orgogliosa. Le scene fra le due attrici sono le più divertenti di un film che deve raccontare anche la tragedia ma riesce a farlo alternando il melodramma ai momenti comici. Timothy Spall nei panni del celebre fotografo Terry Donaldson e Juliet Stevenson in quelli della direttrice di un'agenzia di modelle con la sindrome di Pigmalione sono adeguati comprimari. Hormann ha un forte senso del cinema, evidente in alcune sequenze - come la scena dello specchio e quella della scala mobile - e fa scelte coraggiose come quella di mescolare orrore e comicità - la scena della visita ginecologica - anche se talvolta cede alla sottolineatura retorica, gravata da una musica incessante che accompagna tutte le parti drammatiche del film. Ma è impossibile non innamorarsi di Waris-Liya che saltella sul set fotografico o si raggomitola in un portone londinese, che prima tiene gli occhi bassi per pudore e modestia e poi li solleva con fierezza davanti alla sala conferenze del Palazzo di vetro. Questa è quel che si chiama una star performance, e poiché il film si regge interamente su di lei, Liya Kebede traghetta FIORE DEL DESERTO fuori dal pericolo di trasformarsi in un feuilleton televisivo. (www.mymovies.it) La regista e sceneggiatrice di origine tedesco-americana Sherry Hormann ha colpito molto positivamente il pubblico di Venezia ricevendo quasi cinque minuti di applausi ininterrotti per la sua nuova pellicola DESERT FLOWER. Il film è stato presentato nella sezione dedicata agli autori della 66 edizione della Mostra Internazionale d’Arte cinematografica ed è ispirato alla vita della top model Waris Dirie e al dramma dell’infibulazione. Dopo aver letto il romanzo autobiografico intitolato DESERT FLOWER la cineasta ne è rimasta profondamente colpita e turbata tanto da desiderare di realizzare un film su questo tema così importante e attuale. La prima tappa obbligata è stata dunque quella di incontrare Waris Dirie che ha ________________________________________________________________________________ di Sherry Hormann accettato di buon grado l’idea di Hormann, ma ha posto delle condizioni: la prima era di mostrare una scena in cui una bambina veniva mutilata e infibulata, la seconda era di mettere un po' di umorismo, così che il film diventasse un inno alla gioia di vivere e non un documentario sulla sofferenza. Attraverso flash back la giovane protagonista, interpretata dalla modella-attrice etiope Liya Kebede, lo spettatore scopre la storia di questa bellissima e dolce ragazza, vivendo con lei la traversata del deserto e l’orrore della mutilazione. E’ un tema importante e soprattutto attuale, che coinvolge tutto il continente africano dove in molti stati è ancora praticato e lentamente, grazie ai flussi migratori, si sta diffondendo anche nei paesi più occidentalizzati dall’Europa all’America. Un atto legalizzato dalla tradizione che da anni la top model Waris Dirie combatte con tutte le sue forze pubblicando oltretutto diversi libri tanto da essere stata nominata da Kofi Annan ambasciatrice Onu per le mutilazioni genitali femminili. Come spiegano i titoli di coda, secondo i dati dell’ONU circa 6 mila bambine ogni giorno subiscono l’infibulazione e poche sopravvivono, perchè o muoiono dissanguate o a causa di infezioni. DESERT FLOWER è costituito da una partitura perfettamente equilibrata con un alternarsi di momenti drammatici e allegri, ricordando i toni della commedia americana. E’ proprio questo alternarsi armonioso dei due elementi portanti e caratterizzanti che rendono la pellicola piacevole e capace di parlare al cuore dello spettatore, di spingerlo a pensare, di commuoverlo senza però tormentarlo. La violenza è presente nel film, ma vi è sempre rispetto e delicatezza nel descriverla ed è proprio questa gentilezza che riesce a far breccia nel cuore del pubblico. DESERT FLOWER è a metà fra dramma e commedia, capace di sedurre il pubblico. (www.filmup.leonardo.it) Non è prescritta dal Corano e di questo è a conoscenza mezzo mondo. Eppure la pratica dell’infibulazione rende vittime circa 6mila bambine ogni giorno, secondo i dati raccolti dall’ONU. Anche Waris Dirie, somala, a 3 anni è stata mutilata. Bellezza rarissima e per questo diventata una delle top model più richieste di tutto il pianeta, la vita le ha regalato dolore e successo a livelli estremi. La sua incredibile autobiografia, DESERT FLOWER (Fiore del deserto, significato del suo nome) ha venduto 11 milioni di copie e oggi è diventato un film, omonimo, per mano della regista tedesco americana Sherry Hormann. Intensa nei panni della Dirie, bimba nomade che da sola fugge dal villaggio a Mogadiscio e poi si ritrova e Londra, è la modella-attrice etiope Liya Kebede, che condivide l’intensa ricostruzione cinematografica con i britannici Sally Hawkins e Timothy Spall. Della durata di due ore e imbastito secondo la convenzione narrativa che procede tra linearità e flashback, DESERT FLOWER nasce per il suo contenuto straripante e per questo si trattiene nei limiti dell’anti-velleitarismo linguistico, con qualche venatura melodrammatico-musicale di troppo. L’apertura nell’aridità del deserto somalo, i bambini, le capre e la miseria fanno da naturale contrasto con il luccichio delle passerelle e con il regno dell’apparire, nel quale Waris, filiforme emanazione di grazia, emerge per la straordinaria sintesi di potere erotico e sguardo indifeso. “Il giorno che ha cambiato la mia vita” diventa il cuore del discorso: non è quando il popolare fotografo di moda inglese Terry Donaldson (Spall) la nota, donna delle pulizie in un fast food qualunque, lingua inglese quasi inesistente, paura dell’aria circostante, bensì è “quel momento, da bambina, in cui mia madre mi ha mutilata. Nel deserto. Il sangue, le lacrime, gli urli”. Il ricordo mai rimosso da Waris non ha causato odio verso la propria famiglia, ma l’ha portata con intelligenza ad utilizzare il suo successo per denunciare le atrocità di una pratica disumana davanti alle Nazioni Unite: per questo l’ex segretario generale Kofi Annan l’ha nominata ambasciatrice straordinaria dell’ONU. (www.cinematografo.it) ________________________________________________________________________________