Seconda stella a destra questo è il cammino e poi diritto, fino al

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Seconda stella a destra questo è il cammino e poi diritto, fino al
Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi diritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te
porta all’isola che non c’è
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UCCELLI
Entra la cornacchia, poi esce
Entra Pistetero seminando sassi
PISTETERO - Avete visto il mio uccello?
Entra Euelpide
EUELPIDE - Dritto dici di andare, dove si vede quell’albero?
PISTETERO - (alla cornacchia) In malora! (ad Euelpide) Quella invece gracchiava che bisogna tornare
indietro.
EU. - Disgraziato, perché vagabondiamo su e giù? Continuando così ci rimetteremo la pelle, e senza frutto.
PI. - Povero me, che do retta ad una cornacchia, e mi trovo a percorrere una strada che non finisce mai!
EU. - Povero me, che do retta a un corvo, e mi trovo ridotte in polvere le unghie dei piedi!
PI. - Ora poi non so più dove siamo.
Rientra la cornacchia, non vista dai due
EU. - Bel lavoro ha combinato il venditore di uccelli, quel pazzo di Filocrate: ci assicura che quella là ci
avrebbe indicato Tereo, l’upupa, l’uomo che diventò uccello; e ce l’ha venduta per tre oboli. Invece non
sa far altro che beccare.(poi vede la cornacchia) Che fai là a bocca aperta? Ci vuoi portare di nuovo in
mezzo alle rocce? Non c’è strada da questa parte.
PI. - Neanche un sentiero.
EU. - Ma la cornacchia? Sta dicendo qualcosa sulla strada?
PI. - Certo, gracchia diversamente da prima.
EU. - Ma non è assurdo che noi, che vogliamo andare...a quel paese, e abbiamo tutto pronto, non riusciamo
poi a trovare la strada? Noi, cari spettatori, soffriamo di un male opposto a quello di un immigrato. Chi
non è cittadino, lo vuole diventare per forza, noi, che siamo cittadini di diritto, membri di una famiglia e
di una tribù, senza che nessuno ci butti fuori siamo scappati via con le ali ai piedi. Non odiamo la nostra
città, non neghiamo che sia grande e felice, e uguale per tutti nel riscuotere multe. Ma le cicale cantano
sui rami un mese o due; gli Ateniesi cantano per tutta la vita nei tribunali. Perciò noi percorriamo questo
cammino e forniti di pentola, di canestro, di rami di mirto, il corredo rituale per chi fonda una città,
cerchiamo un posto tranquillo dove stabilirci per vivere. Ora stiamo andando da Tereo per sapere se lui,
nei suoi voli, ha mai visto una città del genere.
PI. - Senti!
EU. - Che c’è?
PI. - E’ un po’ che la cornacchia indica qualcosa, in alto.
EU. - Qui ci sono uccelli, senza dubbio. Se si fa un po’ di rumore lo sapremo subito.
PI. - Sai cosa dovresti fare? Sbatti la gamba contro la roccia.
EU. - E tu la testa, così il rumore sarà doppio.
PI. - Coraggio, bussa con questa pietra
EU. - Va bene. Ragazzo!
PI. - Che dici? Chiami ragazzo l’upupa? Chiamala piuttosto col suo verso.
EU. - Va bene. Batterò un’altra volta (fa il verso dell’upupa)
Entra l’Upupa
EU. - Per Eracle, che bestia è questa, con le piume e tre pennacchi?
UP. - Chi mi cerca?
EU. - I dodici dèi ti hanno mal ridotto, mi pare.
UP. - Mi schernite per via delle penne? Sappiate, stranieri, che una volta ero un uomo.
EU. - Non ridiamo di te.
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UP. - E di che allora?
EU. - E’ il tuo becco che ci sembra ridicolo.
UP. - E’ colpa di Sofocle, che mi ha conciato così nelle sue tragedie. Sono Tereo.
EU. - Tereo? Ma sei un uccello o un pavone?
UP. - Un uccello.
EU. - E le ali?
UP. - Sono cadute.
EU. - Per qualche malattia?
UP. - No, d’inverno tutti gli uccelli perdono le piume e poi le rimettono nuove. Ma voi piuttosto chi siete?
EU. - Noi? Uomini.
Up. - Qual è il vostro paese?
EU. - La città dalle belle triremi.
UP. - Giudici, allora?
EU. - Tutto il contrario: anti - giudici.
UP. - Non se n’è persa la razza?
EU. - Cercando bene ne puoi trovare qualcuno, in campagna.
UP. - Che siete venuti a fare qui?
EU. - Vogliamo parlare con te.
UP. - Perché?
EU. - Primo, perché eri un uomo come noi, un tempo; facevi debiti come noi, un tempo; cercavi di non
pagarli come noi, un tempo. Poi, presa forma d’uccello, volavi intorno per terra e cielo; e ora possiedi
l’esperienza di uomo e quella di uccello, insieme. Siamo venuti da te, supplici, se potessi indicarci una
città morbida, dove si possa sdraiarcisi sopra, come una pelliccia.
UP. - Cerchi una città maggiore di Atene?
EU. - Maggiore no, ma più adatta a noi.
UP. - Qual è allora la tua città ideale?
EU. - Dove le preoccupazioni maggiori sono queste: la mattina un amico bussa alla mia porta e mi dice: “
Per Zeus Olimpio, vieni da me oggi, dopo il bagno, coi bambini: do un pranzo di nozze. Non mancare:
altrimenti non farti poi vedere quando mi trovo nei guai.”
Piuttosto, che vita si fa tra voi uccelli? Dovresti saperlo bene.
UP. - Non brutta, a farci l’abitudine. Si vive senza borsa, prima di tutto.
EU. - E con questo hai tolto un bell’impiccio.
UP. - Ci nutriamo nei giardini di sesamo bianco, di mirto, papaveri e menta.
EU. - Una vita da nababbi.
PI. - Ecco, vedo un grande disegno per la stirpe degli uccelli, una grande potenza, se mi date retta.
UP. - In che?
PI. - Fondate una città.
UP. - E che razza di città potremmo fondare noi uccelli?
PI. - Davvero? Hai detto parole dementi. Guarda giù.
UP. - Sto guardando.
PI. - Ora guarda in alto.
UP. - Sto guardando.
PI. - Gira il collo.
UP. - Perdio, ci guadagnerò molto a farmi venire il torcicollo.
PI. - Hai visto nulla?
UP. - Nuvole e cielo.
PI. - E il cielo non è il polo degli uccelli?
UP. - Come?
PI. - Sarebbe come dire, il loro posto. Ma poiché gira attorno, e dentro ad esso tutto si muove, si chiama
polo. Ma una volta che l’abbiate abitato e fortificato, avrete non più un polos, ma una polis. E avrete
potere sugli uomini come sulle cavallette e farete morire gli dèi di fame.
UP. - In che modo?
PI. - Tra gli dèi e la terra c’è l’aria di mezzo. E come noi, quando vogliamo andare a Delfi, chiediamo il
passaggio ai Beoti, così quando gli uomini faranno sacrifici agli dèi, se gli dèi non vi pagano il tributo,
non lascerete passare il fumo dell’arrosto.
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UP. - Evviva! Per la terra, le tagliole, le rane, le reti, non ho mai sentito disegno più acuto. Voglio fondarla
con te questa città, se gli altri uccelli sono d’accordo.
PI. - Chi potrebbe spiegargliela, questa faccenda?
UP. - Tu stesso. Io sono stato lungo tempo con loro e, per quanto siano barbari, gli ho insegnato a parlare.
PI. - Puoi chiamarli qui?
UP. - Facilissimo.
POPOPOI POPOI, POPOPOPOI POPOI;
venite qui compagni alati;
volate qui di corsa al mio richiamo.
TRIOTO, TRIOTO, TOTOBRIX.
TOROTORO TOROTORO TOTIX,
CHICCABAU, CHICCABAU,
TOROTORO TOROLILIX
PI. - Quanti uccelli! Come cinguettano, come strillano correndo!
EU. - Ma ce l’hanno con noi, per caso?
PI. - Ahimè, hanno il becco aperto e guardano proprio verso di noi.
EU. - Sembra anche a me
CORO - Chi - chi - chi - chi m’ha chiamato? Dove sta?
UP. - Eccomi: sono qui che vi aspetto e non abbandono gli amici.
CO. - Che - che - che vuoi dirmi di bello?
UP. - Una cosa di comune interesse: sicura, giusta, utile, piacevole. Sono arrivati due uomini, due sottili
ragionatori...
CO. - Dove? Come? Che dici?
UP. - Dico che sono arrivati due uomini, portando con sé le basi di un’impresa gigantesca.
CO. - Che dici, tu che hai combinato il maggior guaio che abbia visto da quando son nato?
UP. - Non aver paura.
CO. - Li sbraneremo! Ma non indugiamo più a spennarli, a beccarli. Dov’è il comandante? Faccia avanzare
l’ala destra.
EU. - Ci siamo. Povero me; dove scappo?
PI. - Vuoi star fermo?
EU. - Già, per essere sbranato.
PI. - E come pensi di scappare?
EU. - Non lo so.
PI. - Te lo dico io: restiamo fermi e combattiamo con le nostre pentole!
Per prima cosa io dico che ci deve essere una città degli uccelli, e tutto il cielo in giro e tutto lo spazio
vuoto bisogna recingerli con mura di cotto come Babilonia.
EU. - O Cebrione, o Porfirione, che terribile città!
PI. - Poi, una volta costruita la città, si rivendicherà da Zeus l’impero. Se dice di no, e non si ravvede
prontamente, proclameremo contro di lui la guerra santa e proibiremo agli di dèi di passare per la nostra
terra per andare a sedurre Danae, Leda, Semele ed Alcmena. E se vengono lo stesso, gli va messo un
sigillo lì, in modo che non se le possano più fottere. Manderemo poi un uccello - araldo agli uomini, per
informarli che d’ora in avanti dovranno sacrificare ai nuovi dèi, gli uccelli, e solo in subordine agli dèi.
E bisognerà accoppiare convenientemente a ogni dio l’uccello che più gli si adatta. Se si sacrifica ad
Afrodite, sacrificare orzo alla passera, e se a Zeus re viene immolato un montone, bene, re è anche il
colibrì, e, prima che a Zeus, gli andrà immolato un moscerino, ma con due palle!
EU. - Bella, quest’idea del moscerino. E quanto a Zeus, lasciatelo tuonare!
CO. - O tu, che una volta odiosissimo sei ora diventato per me il più caro degli uomini, non sarà mai che di
mia volontà io trasgredisca il tuo consiglio. E per quanto bisogna agire, ce ne occupiamo noi, ma dove
bisogna pensare, sta tutto in te.
PI. - Aspetta, bisogna fare un passo indietro. Come faremo a vivere con voi che avete le ali, noi che non
sappiamo volare?
UP. - E’ facile: c’è una piccola radice che, se la masticate, vi spuntano le ali immediatamente.
PI. - Allora muoviamoci.
(escono)
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(Rientrano Pistetero ed Euelpide)
PI. - Ecco fatto. Per Zeus, non ho mai visto cosa più ridicola.
EU. - Di che ridi?
PI. - Delle tue rapide ali. Sai a chi somigli? A un’oca dipinta per due soldi.
EU. - E tu a un merlo, col capo spennacchiato.
PI. Non c’è niente di meglio o più piacevole che avere le ali. Se qualcuno di voi spettatori le
avesse...poniamo che abbia fame e sia stufo dei cori tragici: se ne vola a casa a pranzare e dopo aver
pranzato ritorna a volo tra noi. Se qualcun altro ha un bisogno, non deve essudare nel mantello, ma si
leva a volo, scorreggia e torna qui dopo aver ripreso fiato. Ancora, se uno ha un’amante e vede il marito
che sta nelle prime file, con un colpo d’ali va a casa, se la fotte e poi vola qui di nuovo. Insomma, non vi
pare che sia una gran cosa avere le ali?
CO. - Orsù, che c’è da fare?
PI. - Prima di tutto dare un nome alla nostra città, grande e glorioso; poi, sacrificare agli dèi.
EU. - D’accordo.
CO. - E allora che nome le mettiamo?
EU. - Uno preso di qui, dalle nuvole, dalle regioni celesti, un nome grandioso.
PI. - Ti piace un nome come Nubicuculia?
CO. - Sì, sì; hai trovato un gran bel nome davvero. Magnifica città. Ma chi sarà il dio patrono? Per chi
tesseremo il peplo?
EU. - Perché non mantenere Atena?
PI. - No, non può essere ben ordinata una città dove una dea sta in piedi con l’armatura e molti uomini
tengono la spola.
EU. - E chi presiederà il muro pelargico?
PI. - Un uccello.
CO. - Uno dei nostri? E di che razza?
PI. - Un gallo, che è il più coraggioso di tutti, si dice: un pulcino di Ares.
EU. - Pulcino, nostro signore!
PI. - (a Euelpide) Intanto tu va su e aiuta i muratori. Porta la ghiaia, spogliati, impasta la calce, porta su il
secchio, casca dalla scala, disponi le sentinelle, tieni acceso il fuoco, fa la ronda col campanello e resta a
dormire sul posto. Spedisci gli araldi uno su, agli dèi, uno giù dagli uomini. Poi di nuovo qui subito, da
me.
EU. - E tu resta tranquillo, e sarai mandato in culo...da me!
PI. - Su da bravo, va’ dove ti mando. Nulla di ciò che ho detto si può fare senza la tua opera. Io faccio
chiamare il sacerdote per la processione e per compiere il sacrificio alle nuove divinità.
(escono tutti tranne il Coro)
CO. - A noi che tutto vediamo
e tutto possiamo
sacrificheranno i mortali con suppliche e preghiere.
Tutta la terra guardiamo
e proteggiamo i prodotti della terra
distruggendo le specie animali
che divorano con bocca vorace,
[…]
(rientra Pistetero)
PI. - Il responso delle vittime è favorevole. Ma nessun messo è ancora arrivato a portarci notizie del muro.
Proviamo a sentire. Ecco però che sta arrivando qualcuno di corsa: sembra che stia facendo l’Olimpiade.
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(entra un messo)
1° MESSAGGERO - Dov’è, dov’è, dov’è il nostro capo Pistetero?
PI. - Sono qui.
1° ME. - Il muro è pronto.
PI. - Bene.
1° Me. - E’ un lavoro bellissimo e imponente. Sulla cima potrebbero passare quello spaccone di Achille con
due carri tirati da cavalli come quello di Troia, tanto è largo.
PI. - Per Eracle!
1° ME. - L’altezza l’ho misurata io: è di cento braccia.
PI. - Perdio, quanto è grande: e chi l’ha costruito?
1° ME. - Gli uccelli, da soli, niente muratori egiziani, né tagliapietre, né falegnami. Da soli, in modo
incredibile. Trentamila gru venute dalla Libia portavano nel gozzo le pietre per le fondamenta, e i
pellicani col becco le hanno squadrate. Diecimila cicogne hanno fabbricato i mattoni; i pivieri e gli
altri uccelli di fiume hanno portato su l’acqua.
PI. - E la calcina?
1° ME. - L’hanno portata gli aironi coi secchi
PI. - Ma come hanno fatto a metterla nei secchi?
1° ME. - Una bella trovata: le oche coi piedi, zampettando come avessero delle pale.
PI. - Cosa non sanno fare...le oche!
1° ME. - Le anatre hanno indossato il grembiule e portavano i mattoni; sopra volavano le rondini con la
cazzuola sul dorso, come i garzoni, e nel becco tenevano la calcina.
PI. - Chi ce lo fa fare, di ingaggiare manovali a pagamento? E le parti in legno, chi le ha fatte?
1° ME. - Sempre i pellicani, carpentieri abilissimi, hanno squadrato col becco le porte; e facevano un
fracasso che sembrava di stare in un arsenale. Ora dappertutto ci sono porte con buone sbarre e ben
custodite. Passano le ronde coi campanelli, ovunque sono posti di guardia e fuochi sulle torri. Io
vado a fare il bagno; tu pensa al resto. (esce)
CO. - Che fai? Ti sorprende che il muro sia stato costruito così in fretta?
PI. - Lo credo bene, perdio: non sembra vero! Ma ecco una sentinella, con un altro messaggio. Corre verso
di noi, con un’aria bellicosa.
(entra un altro messo)
2° MESSAGGERO - All’armi! All’armi!
PI. - Che c’è?
2° ME. - E’ successa una cosa terribile. E’ arrivato un dio da parte di Zeus e ha passato le porte, sfuggendo
alla sorveglianza dei corvi, che fanno il turno di giorno.
PI. - Un fatto davvero terribile e indegno. Chi è questo dio?
2° ME. - Non lo sappiamo; ma ha le ali.
PI. - Dovevate inseguirlo subito, con le guardie.
2° ME. - Immediatamente abbiamo mandato i nostri arcieri a cavallo: trentamila sparvieri. E si sono mossi
tutti gli uccelli muniti di artigli: gheppi, avvoltoi, poiane, aquile, falconi e falconetti. Il cielo risuona
della caccia al dio, dello strepito delle ali e della furia. Non può essere lontano.
PI. - Prendete archi e fionde. I servi tutti qui. Tirate, colpite, e qualcuno mi passi la fionda.
(strofe)
CO. - (minaccioso)- E’ la guerra, guerra indicibile
tra noi e gli dei: sorvegliate
il cielo nuvoloso, nato dall’Erebo,
e nessun dio passi a nostra insaputa.
[…]
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NUVOLE
CO. - Nuvole eterne, forme visibili splendide di rugiada, leviamoci dall’Oceano, nostro padre, che cupo
risuona alle cime boscose di monti inaccessibili; di là scorgeremo cime lontane, e la sacra terra
irrigata, ricca di messi, e fiumi scroscianti, divini, e il mare dal cupo rimbombo.
Senza posa la luce dell’aria risplende di raggi abbaglianti. Deponiamo la nube di pioggia che vela il
nostro volto immortale, e di lontano volgiamo lo sguardo alla terra.
SO. – O nuvole venerande, allora avete udito la mia invocazione!
(a Euelpide) E tu, hai sentito la loro voce e il tuono mugghiante che riempie di venerazione?
EU. – E io le venero, eccome, illustrissime dee, e voglio rispondere alla scarica di tuoni con una scarica di
scorregge: ( a Socrate) mi fanno tanto tremare di paura che, lecito o no, mi scappa di cacare.
SO. – Vedi di risparmiarci le spiritosaggini e non fare come certi comicastri. Zitto: lo stuolo di dee sta
cantando.
CO. – Vergini della pioggia,veniamo alla splendida terra di Atena, ad ammirare l’amabile città di Cecrope,
patria di eroi, dove è il culto di riti ineffabili e il tempio accoglie gli iniziati durante i sacri misteri; lì
gli dèi ricevono offerte, lì sono templi immensi e statue, processioni solenni, vittime coronate per i
sacrifici e feste in ogni stagione; lì, all’inizio della primavera, c’è la festa di Bacco, le armoniose gare
dei cori, la cupa bellezza del flauto.
EU. – In nome di Zeus, Socrate, ti prego, dimmi chi sono queste qui, che hanno cantato una roba così
solenne. Saranno mica delle eroine?
SO. – Niente affatto: sono Nuvole del cielo, divinità protettrici dei disoccupati: sono loro che ci rendono
capaci di pensare…
CO. - di parlare…
SO. - di riflettere…
CO. - e di incantare…
SO. - e di raggirare…
CO. - e di muovere all’attacco…
SO. - e al contrattacco.
EU. – Ecco perché solo a sentirne la voce l’anima mia si è alzata in volo, e già va cercando quisquilie e
sottigliezze fumose: ho una voglia di pigliare un’ideuzza, sbatterla contro un’idea e imbastirci su tutto
un discorso d’opposizione. Insomma, se è possibile, ho proprio voglia di parlarci di persona.
SO. – Allora guarda là. Eccole che arrivano – sono tantissime! – passando per valli e per boschi.
PI. – Oh illustrissime dee! Ormai sono dappertutto.
CO. – Non sapevi che noi siamo dee? Non ci credevi nemmeno, eh?
PI. – No. Pensavo che foste nebbia, rugiada, fumo.
SO. – Ma non lo sai che sono loro a dar da mangiare a intellettuali di ogni tipo? Indovini…
CO. – praticoni…
SO. - capelloni perdigiorno, con anelli alle dita ed unghie curate…
CO. - e poi ci sono i cantori di cori ciclici con la loro musica contorta…
SO. - i cialtroni spaziali, tutti scansafatiche buoni a nulla. Le Nuvole nutrono questi pelandroni e loro le
cantano in versi.
EU. - Ma dimmi, come si spiega, se sono nuvole davvero, che sembrano donne? Quelle che conosco io non
sono mica così.
SO. – E come, allora?
PI. – Non ti so dire di preciso; sembrano bioccoli di lana cardata, tutto tranne che donne, insomma. Queste
qui, per dire, hanno il naso.
Salute a voi, o mie signore! E ora, vi prego, se già ad altri l’avete concesso – voi che siete onnipotenti –
levate anche per me la vostra voce fino al cielo.
CO. – Salute a te, vecchio rudere a caccia di discorsi cari alle Muse. E tu, sacerdote di quisquilie e ciarle,
dicci di cosa hai bisogno. Non daremmo ascolto a nessun altro specialista dello spazio – tranne che a
Margherita Hack.
PI.+ EU - Per la Terra madre, che voce! Santa, solenne, prodigiosa!
SO. – Lo credo bene: queste soltanto sono divinità, tutto il resto è una balla.
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EU. – Per la Terra madre! Vuoi dire che per voi Zeus, Zeus Olimpio non è un dio?
SO. – Quale Zeus? Non dire sciocchezze! Zeus nemmeno esiste.
PI. – Ma che dici? E allora chi fa piovere? Comincia a spiegarmi questo punto.
SO. – Loro, naturalmente. Te lo dimostrerò con prove schiaccianti. Di’ un po’, dove mai hai visto piovere
senza nuvole? Fosse Zeus, dovrebbe far piovere anche a ciel sereno, mentre loro non ci sono.
EU. – Per Apollo, sei riuscito a sviluppare proprio bene il discorso con questo ragionamento: e pensare che
prima io credevo davvero che fosse Zeus a pisciare in un setaccio! Ma dimmi: chi è che tuona, che mi
dà la tremarella?
SO. – Sono loro che tuonano, rotolando.
PI. – Ma come? Tu hai davvero il coraggio di pensarle tutte!
SO. – Quando si sono riempite di grosse quantità d’acqua, e sono costrette a muoversi, il peso dell’acqua le
fa pendere per forza verso il basso; allora cozzano con tutto il peso una contro l’altra, scoppiano e
fanno un gran fracasso.
PI. – Ma chi è che le costringe a muoversi? Non è Zeus?
SO. – Niente affatto, è un vortice d’aria.
PI. – Vortice? Questa non la sapevo: Zeus non esiste e al suo posto ormai regna Vortice.
CO. – Dicci pure cosa possiamo fare per te; non resterai deluso, visto che ci onori, ci veneri e ti sforzi di
essere bravo.
EU. – Mie Signore, avrei solo questa modestissima richiesta: parlare diecimila volte meglio di tutti i Greci.
CO. – Sarai esaudito: d’ora in poi nessuno in parlamento farà passare più proposte di te.
EU. – No, no, niente politica: nessuna faccenda impegnativa. Non è questo che desidero; a me basta rivoltare
la giustizia a mio vantaggio e così sfuggire ai creditori.
CO. – Otterrai ciò che brami : non desideri poi grandi cose. Affidati pure ai nostri ministri.
DISCORSO MIGLIORE – Vieni qua, e mostrati agli spettatori! Con la tua faccia tosta!
DISCORSO PEGGIORE – “Va’ dove ti porta il cu…ore”. Davanti a un bel pubblico, ti faccio fuori molto
meglio!
DIS. M. – Farmi fuori tu? E chi sei?
DIS. P. – Un discorso
DIS. M. – Sì, ma quello peggiore!
DIS. P. – Però ti vinco, tu che ti credi migliore di me.
DIS. M. – Con che trucchi?
DIS. P. – Idee nuove di zecca: le invento sul momento.
DIS. M. – Roba che va di moda, lo so. Grazie a questi imbecilli! ( indica gli spettatori )
DIS. M. – Intelligenti, vorrai dire!
DIS. M. – Io ti rovino…
DIS. P. – Dimmi come!
DIS. M. – Mi basta dire il giusto.
DIS. P. – E io ti confondo, e così ti stendo! Senti questa: Giustizia non esiste! Proprio per niente!
DIS. M. – Non esiste, tu dici?
DIS. P. – Dimmi allora dov’è!
DIS. M. – Presso gli dei.
DIS. P. – Se esiste, come mai Zeus non ha fatto la brutta fine che si meritava, quando ha messo in catene suo
padre?
DIS. M. – Ahimé, ci siamo ! Il morbo avanza…! Datemi un catino! (fa per vomitare)
DIS. P. – Sei un vecchio balordo e squinternato.
DIS. M. – E tu un rottin…, uno svergognato !
DIS. P. – Troppa grazia ! Queste son rose...
DIS. M. – Buffone !
DIS. P. – ... e fiori.
DIS. M. – Tutta colpa tua, se oggi non c’è un ragazzo che è uno che voglia andare a scuola ! Se ne
accorgeranno gli Ateniesi, prima o poi! Le belle cose che insegni a questi scervellati!
DIS. P. – Non sarai tu, vecchio come il cucco, a far da maestro a lui! (indica Euelpide )
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CO. – Smettetela ! Basta coi litigi e gli insulti ! Tu, piuttosto, spiega cosa insegnavi ai ragazzi d’una volta, e
tu codesta tua nuova educazione. Così, sentendovi discutere, lui può farsi un’idea, scegliere da chi
andare a scuola. Allora, chi parla per primo ?
DIS. P. – A lui la parola : gliela cedo. Poi, in base a ciò che dirà, lo crivellerò di ideuzze e di paroline nuove
e alla fine, se solo apre bocca, gli pungerò di argomenti tutta la faccia e gli occhi, come uno sciame di
vespe.
DIS. M. – Dirò dunque com’era l’antica educazione, quand’ero in auge io che proclamavo il giusto, e vigeva
temperanza. In primo luogo, i ragazzi, guai se li si sentiva fiatare! Poi, quando si recavano dal maestro
di musica, dovevano andarci in fila per due, in bell’ordine, fianco a fianco, e nudi, anche se nevicava
fitto. A tavola non era permesso fare gli ingordi e gli sguaiati o i troppi disinvolti, come… incrociare i
piedi.
DIS. P. – Tutta roba vecchia e sorpassata.
DIS. M. – Eppure è proprio con questa roba che la mia educazione ha allevato i combattenti di Maratona,
una generazione di eroi ! Tu, invece, a quella odierna insegni a drappeggiarsi nei mantelli! Perciò
coraggio, ragazzo: scegli me, il Discorso migliore! Imparerai a odiare la piazza e a tenerti lontano dai
bar, a vergognarti di ciò di cui ci si deve vergognare e a prendere fuoco se ti sfottono, ad alzarti dalla
sedia appena si avvicina un anziano e a non essere insolente con i genitori o non contraddire tuo padre
e chiamarlo Matusa per rinfacciargli l’età.
DIS. P. – Ragazzo, se darai ascolto a ciò che ti dice lui, ti chiameranno “cocco di mamma”! A dire il vero, è
da un pezzo che mi sento strozzare le viscere e brucio dalla voglia di scompigliare tutta questa roba
con argomenti contrari. Del resto, i filosofi mi hanno chiamato anche Pensiero debole, io il Discorso
peggiore, proprio perché sono stato io il primo in assoluto ad aver l’idea di contraddire … le leggi e la
giustizia: scegliersi i discorsi peggiori e vincere lo stesso, non c’è oro che lo paghi!
Tu te la prendi con le chiacchiere in piazza, io le approvo, invece. Fosse cosa riprovevole, mai Omero
avrebbe fatto parlare in piazza Nestore, l’oratore per eccellenza. Né gli altri saggi. E ora vengo alla
lingua: i giovani non la devono esercitare, dice lui; io invece sostengo che sì, devono. Dice anche:
siate casti! Altro errore, e che errore! Hai mai visto, finora, la castità giovare a qualcuno?
DIS. M. – Tante di quelle volte!
DIS. P. – (a Euelpide) Considera, giovanotto, tutte le conseguenze della temperanza, quanti piaceri ti perdi:
ragazzi, donne, giocate ai dadi, spanciate sopraffine, bevute, risate da sgolarsi! Ebbene, che vivi a fare,
se ti privi di queste cose? Perduto sei, se non ci sai fare con le parole! Ma se sei dei nostri e un marito
ti pesca nel letto di sua moglie, gli potrai sempre obiettare che tu non hai fatto nulla di male e che la
colpa semmai è di Zeus: anche lui – spiegagli – non ce la fa a resistere all’amore e alle donne. E tu,
che sei un povero mortale, essere da più di un dio! Mica puoi, no?
DIS. M. – E se, per darti retta, si ritrova punito pubblicamente con un rafano nel culo, riuscirà a dimostrare
che non è un rottin…?
DIS. P. – Che dirai, se ti batto su questo punto?
DIS. M. – Starò zitto.
DIS. P. – E allora dimmi: gli avvocati, da che file provengono?
DIS. M. – Dai rottin...
DIS. P. – D’accordo. E i poeti tragici?
DIS. M. – Dai rottin…
DIS. P. – Ben detto! E i politici?
DIS. M. – Dai rottin…
DIS. P. – Vedi dunque che dicevi una sciocchezza? Guarda ora gli spettatori: chi sono, in maggioranza?
DIS. M. – Sto guardando…
DIS. P. – E cosa vedi?
DIS. M. – Perbacco! La stragrande maggioranza è di rottin…! Questo qui, per esempio, io lo conosco: è
entrato senza pagare!... E anche quello! Questo, con la zazzera, pure…
DIS. P. – Concludendo?
DIS. M. – Mi hai battuto! Brutti rottin…, prendetevi il mio mantello! Tanto, io passo dalla vostra parte…
(escono entrambi )
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CO. – A che porta l’amore per le cose disoneste!
EU. - O Nuvole, siete voi la causa dei miei mali, voi cui ho affidato tutto di me!
CO. - Tu solo sei responsabile dei tuoi guai! Ti sei volto a mal fare!
PI. - Ma perché non me l’avete detto allora, invece di montare la testa a un povero campagnolo, che se ne
va in cerca della città ideale?
CO. - Noi ci comportiamo sempre così quando vediamo che uno si fa prendere dal desiderio di mal fare: lo
cacciamo in qualche brutto guaio, così impara a temere gli dei!
SO. - Lezione dura, Nuvole, ma giusta!
Gira e gira non avete capito che siamo sempre ad Atene?
Ma ora basta! Andiamo a dormire!
(escono tutti)
ECCLESIAZUSE
(S’avanza furtivamente una donna, seguita ben presto da altre, tutte travestite da uomini)
PRASSAGORA. – Occhio splendente della mia fiaccola, manda, con la tua fiamma, il segnale convenuto. A
te sola sveliamo i nostri segreti. Ormai è vicina l’alba; l’Assemblea tra poco sarà aperta. Noi dobbiamo
occupare i posti e ivi posare le nostre membra senza essere riconosciute. Che può essere successo? Che non
abbiano le barbe posticce di cui si era detto di munirci? O è stato loro troppo difficile prendere di nascosto i
vestiti dei propri mariti? Ma ecco che vedo una fiaccola che s’avanza. Meglio che mi ritiri qui dietro; non
vorrei che chi s’avanza fosse un uomo.
(Si nasconde nella stradicciola: dalla destra s’avanza una donna, seguita ben tosto da altre donne; portano
tutte un bastone, scarpe da uomo e un mantello sul braccio)
I DONNA (alle sue compagne)- E’ tempo di andare; l’araldo, mentre noi si veniva, ha fatto sentire un
momento fa, per la seconda volta, il suo grido.
PRASS. (fra sé) – E io che per attendervi ho vegliato tutta la notte! (avvicinandosi alla porta vicina) Debbo
chiamare la mia vicina, grattando pian piano alla porta, che suo marito non si accorga di nulla.
II DON. (uscendo dalla sua casa, abbigliata da uomo, un bastone in mano) – Mentre mi stavo infilando le
scarpe, ho sentito il tocco leggero delle tue dita; chi poteva dormire? Mio marito per tutta la notte non ha
fatto altro che manovrare sotto le coperte; solo poco fa sono riuscita a portargli via il mantello.
III DON. – Oh, ecco ancora Clinarete e Sostrata che s’avanzano e con loro anche Filanete.
PRASS. – Volete sbrigarvi? Glice ha giurato che l’ultima arrivata pagherà tre boccali di vino e un quartuccio
di ceci.
IV DON. – E la moglie di Smicizione non la vedi, che arranca in quelle scarpe da uomo?
V DON. – Del resto mi sembra la sola che abbia potuto uscire senza difficoltà dalla casa del marito.
VI DON.- E la vedi la moglie dell’oste, Geusistrata, che tiene nella mano la sua lampada?
PRASS. – E quella di Filodoreto e quella di Cherefonte, che io vedo avvicinarsi e molte altre, quanto di
meglio c’è in Atene.
VII DON. – E’ dopo aver superato molti e gravi guai, o carissima, che sono potuta uscire di casa senza farmi
vedere: mio marito, per tutta la notte, non ha fatto altro che tossire disperatamente per essersi ieri sera
rimpinzato di sardelle.
PRASS. – Sedetevi, e dal momento che vi vedo tutte qui radunate, lasciate che vi chieda se avete fatto o no
tutto quello che è stato deciso nelle feste Scire.
VIII DON. – Io sì. Anzitutto ho le ascelle più irsute di un pruneto, così come si era convenuto. Poi, ogni
volta che mio marito se ne andava all’Assemblea, io mi ungevo tutto il corpo e tutto il giorno mi facevo
rosolare al sole.
I DON. – Io pure. Ho gettato fuori di casa, per prima cosa, il rasoio per diventare pelosa e non assomigliare
più per nulla ad una donna.
PRASS. – E ce le avete le barbe che avevamo convenuto di appiccicarci quando ci saremmi riunite?
IV DON. – Sì, per Ecate, ecco che bella barba ho!
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IX DON. – Anch’io, e ce l’ho più bella di quella di Epicrate!
PRASS. – E voi che dite?
IX DON. – Dicono di sì, col cenno del capo. Abbiamo fatto tutto. Abbiamo infatti calzature spartane, e
mazze e mantelli da uomo, proprio come s’era detto.
X DON. – In quanto a me, ho portato via di nascosto questo randello a mio marito, che dormiva.
PRASS. – Va’ anche tu lì. Sono decisa io stessa, dopo aver cinto questa corona, a parlare in vostra difesa.
IX DON. – Vi prego, o dèi, di portare a buon fine i miei disegni. Mi sta a cuore questo paese non meno di
quanto stia a voi. Ciò che mi affligge e non riesco a sopportare è di vedere i malanni della città.
VII DON. – Infatti io là vedo servirsi sempre di capi malvagi, e se uno è buono un giorno, diventa poi
malvagio per dieci giorni. E se si prova a ricorrere ad un altro, questo farà peggio ancora.
X DON. – E’ difficile far intendere ragione a gente scontrosa: voi temete quelli che vi vogliono bene e
leccate sempre quelli che non vogliono saperne di voi.
PRASS. – Ora sì che hai fatto le lodi a dovere!
II DON. – La causa di tutto ciò siete voi, o Ateniesi, che consumando in paghe i beni pubblici non badate che
al vostro interesse particolare, pensando ciascuno di voi a ciò che guadagnerà. E lo Stato se ne va a rotoli.
PRASS. – Ma se mi darete ascolto, vi potrete ancora salvare.
VIII DON. – Io affermo che bisogna affidare alle donne il governo della città, giacché anche nelle nostre
case ci serviamo della loro opera di sorveglianti e di amministratrici!
TUTTE – Bene, bene, per Zeus, bene! Brava, brava!
VII DON. – E vi dimostrerò che, quanto a costumi, esse sono migliori.
VI DON. – Punto primo: tutte lavano la lana nell’acqua calda, secondo l’antica usanza, e non le vedi mai
mutare a caso.
III DON. - Ora la città degli Ateniesi, se si attenesse a questo saggio principio, se non andasse cercando
invano novità a destra e a manca, non si salverebbe forse?
XII DON. – Esse friggono stando sedute, come si faceva prima
II DON. – Portano sul capo dei fardelli, come si faceva prima
PRASS. – Celebrano le Tesmoforie, come si faceva prima
IX DON. – Ad esse dunque, o cittadini, affidiamo lo Stato senza perderci in vane chiacchiere e non
chiediamoci che cosa intendiamo fare, ma permettiamo semplicemente che comandino, questo solo
considerando che, essendo anzitutto madri, si daran pensiero di salvare i soldati.
XI DON. – E in quanto ai mezzi di sussistenza, chi sarà mai più sollecito di una madre a procurarli?
IX DON. – A far quattrini la donna è ingegnosissima; se poi va al potere, molto difficilmente potrà essere
ingannata. Lascio il resto. Se mi darete ascolto in ciò, trascorrerete felici la vostra esistenza.
(Entra un gruppetto di Ateniesi di ritorno dall’Assemblea)
I° ATENIESE - Ma che fai! Stai cacando?
BLEPIRO - Io, neanche per idea. Sto rialzandomi, come vedi.
II° ATENIESE - E hai addosso la tunica di tua moglie?
BLEP. - E’ quello che mi è capitato per le mani al buio.
Ma voi da dove venite?
III° ATENIESE - Dall’Assemblea
BLEP. - E’ già finita?
IV° ATENIESE - All’alba
BLEP. - Allora, avete preso i tre oboli?
I° ATENIESE - Magari! Siamo arrivati troppo tardi!
BLEP. - Come è successo?
IV° AT. - C’era una folla enorme, mai vista, che si ammassava nella Pnice.
III° AT. - Era uno spettacolo vedere l’assemblea tutta piena di gente con la pelle candida.
I° AT. - Insomma non abbiamo avuto niente.
BLEP. - Allora non prendo niente neanch’io, se ci vado adesso?
I° AT. - Adesso? Caro mio, neppure se fossi stato là al secondo canto del gallo.
BLEP. - Me infelice! Ma cosa si discuteva, per radunarsi tanta gente così presto?
II° AT. - Oh niente: i pritani avevano messo all’ordine del giorno la salvezza dello stato.
I° AT. - E subito si è intrufolato per primo Neoclide, il cisposo.
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III° AT. - Il popolo – te lo puoi immaginare – urlava: “Come può avere il coraggio di parlare in pubblico, e
per di più sulla salvezza dello stato, chi non è nemmeno capace di curare la salvezza di suoi
occhi?”
I° AT. - Lui si guarda i giro e grida il suo “Che fare?
BLEP. - Pestare insieme aglio e silfio, aggiungervi euforbia spartana, e ungere le palpebre ogni sera: questo
gli avrei detto, se ero presente.
I° AT. - Subito dopo saltò fuori il grande Eveone (sembrava nudo a tutti, ma lui sosteneva di avere il
mantello).
IV° AT. - Tenne un discorso veramente democratico: “Voi vedete bene che io stesso ho necessità di essere
salvato…
I° AT. - …e di qualche lira anche…
IV° AT. -…eppure voglio dirvi come è possibile salvare la città e i cittadini. Se in inverno, i tintori fornissero
un mantello a chi ne ha bisogno, nessuno si prenderebbe più la pleurite. Chi non ha né letto né
coperte dovrebbe avere il diritto di andare…
I° AT. - …dopo il bagno…
IV° AT. - a dormire a casa dei conciatori di pelle; e chi gli chiude la porta in faccia d’inverno sia
condannato a pagare un’ammenda di tre pellicce.”
III° AT. - Bene, perdio, ma doveva aggiungere un altro articolo, e nessuno avrebbe votato contro: “I
mercanti di farina devono fornirne a tutti i poveri tre misure, altrimenti guai a loro!”
II° AT. - Dopo ancora, saltò su a parlare un bel ragazzo con la pelle bianca, e cominciò a dire che
bisognava affidare il governo della città alle donne. Subito la massa dei “visi pallidi” cominciò ad
applaudire e a urlare che aveva ragione.
I° AT. - Invece, i contadini, mugugnavano.
BLEP. - Perché avevano una testa, perdio!
III° AT. - Ma erano in minoranza; e lui gridava più forte, dicendo ogni bene delle donne, e di te ogni male.
BLEP. - E che diceva?
I° AT. - Prima di tutto, che sei un furfante.
BLEP. - E tu?
I° AT. - Io non c’entro. E poi, che sei un ladro.
BLEP. - Solo io?
I° AT. - e un sicofante!
BLEP. - Solo io?
III° AT. - E tutta questa brava gente! (Indicando il pubblico)
BLEP. - Come negarlo?
IV° AT. - La donna invece, diceva, è accorta e abile a far soldi. Non vanno tutte le volte a spifferare i
segreti delle Tesmoforie, come facciamo io e te coi segreti del consiglio.
BLEP. - Non ha mica torto, perdio!
II° AT. - E poi le donne si prestano tra loro vestiti, gioielli, coppe, soldi, da sole a sole, senza bisogno di
testimoni, e restituiscono tutto senza tirare a fregarsi - che è quello che fa la maggior parte di noi.
III° AT. - Se è per questo, anche quando ci sono i testimoni.
I° AT. - E poi non fanno la spia, non intentano processi, non cospirano contro la democrazia. E così via:
un mucchio di elogi sul conto delle donne.
BLEP. - Che cosa è stato deciso?
IV° AT. - Di affidare loro il governo
III° AT. - E’ l’unica cosa - pare - che ancora non è successa nella nostra città.
BLEP. - Questo è stato deciso?
TUTTI - Sììììììììììì.
BLEP. - E sono stati affidati a loro tutti i compiti dei cittadini?
TUTTI - Sì.
BLEP. - Quindi io non andrò più in tribunale, ci andrà mia moglie?
I° AT. - E neanche manterrai più la famiglia: ci penserà tua moglie.
BLEP. - E non dovrò più lamentarmi, alla mattina?
II° AT. - Ti dico che ormai è affare delle donne.
I° AT. - Tu puoi restartene tranquillamente a casa a scorreggiare.
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