Studio mediante microscopia e spettroscopia a scansione tunnel di

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Studio mediante microscopia e spettroscopia a scansione tunnel di
Università degli studi de l’Aquila
Facoltà di Scienze MM. FF. NN.
Corso di Laurea in Fisica
Tesi di Laurea
Studio mediante microscopia e
spettroscopia a scansione tunnel di
leghe manganese - germanio
Laureando
Maurizio Donarelli
Relatore
Prof.Luca Ottaviano
Anno Accademico 2004-2005
Indice
1 Introduzione
1.1 La Spintronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2 Introduzione ai DMS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2 Apparato sperimentale
2.1 STM . . . . . . . . . . . .
2.2 STS . . . . . . . . . . . .
2.3 Cenni sulla realizzazione di
2.4 Produzione dei campioni .
. . . . . .
. . . . . .
punte per
. . . . . .
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l’STM
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1
2
4
4
9
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Capitolo 1
Introduzione
1.1
La Spintronica
La spintronica è un campo multidisciplinare in cui il tema centrale è la manipolazione dei gradi di libertà dovuti allo spin in sistemi nello stato solido.
Lo scopo della spintronica è quello di capire le interazioni esistenti fra lo spin
della particella presa in esame e l’ambiente solido circostante, al fine di poter
costruire dispositivi di notevole interesse tecnologico. I problemi che bisogna
risolvere sono molteplici, primo fra tutti il modo con cui possiamo polarizzare il sistema in esame,quanto tempo quest’ultimo rimane polarizzato, come
possiamo rivelare lo spin.
La generazione di polarizzazione di spin si basa usualmente sulla creazione
di uno squilibrio fra la popolazione con spin up (N↑ ) e quella con spin down
(N↓ ). Ciò può essere ottenuto in molti modi. Tradizionalmente si usano
tecniche ottiche, in cui fotoni polarizzati circolarmente trasferiscono il loro
momento angolare alle particelle del campione, polarizzandone lo spin. Un
altro modo è l’iniezione elettrica di spin in cui un elettrodo magnetico è
connesso con il campione; quando della corrente porta elettroni con lo spin
polarizzato, dall’elettrodo al campione, si accumula uno squilibrio di spin in
quella zona. Il rate con cui si accumula questo squilibrio dipende dal tempo
di rilassamento dello spin. Questo usualmente è dell’ordine dei nanosecondi,
mentre per le applicazioni il range va dai pico ai microsecondi.
Su questa idea si basa il transistor a effetto di campo di spin (SFET) di
Datta-Das in figura.
La spintronica sfrutta anche lo sviluppo di nuovi materiali, come i semicon-
1.2 Introduzione ai DMS
2
duttori organici, i ferromagneti organici e i semiconduttori ferromagnetici.
Infatti, in materiali ferromagnetici, lo spin delle particelle tende a disporsi
in direzione parallela a quella della magnetizzazione del materiale ferromagnetico usato.
Già nel 1936 Mott gettò le basi per l’interpretazione del trasporto di spin polarizzato. Egli capı̀ che a temperature sufficientemente basse gli elettroni con
momenti magnetici di spin paralleli o antiparalleli alla magnetizzazione del
ferromagnete non si mischiano nei processi di scattering. Da ciò, la conduttività può allora essere espressa come la somma di due diverse ed indipendenti
parti per le due diverse proiezioni dello spin; la corrente nei ferromagneti è,
cioè, spin-polarizzata. Questo è anche noto come il modello delle due correnti
ed è stato esteso negli anni Sessanta dello scorso secolo da Fert e Campbell.
Il modello proposto da Julliere illustra invece come la resistenza di un dispositivo può essere cambiata manipolando l’orientazione relativa delle magnetizzazioni M1 ed M2 dei due ferromagneti F1 ed F2 in figura. dove I è un
isolante.
C’è evidenza di una grande polarizzazione di spin nei semiconduttori ferromagnetici del III e del V gruppo come (GaMn)As.
Da quanto detto risulta evidente l’importanza che ha acquistato negli ultimi anni lo sviluppo di nuovi materiali, in particolar modo i semiconduttori
ferromagnetici, per la spintronica. In questa gamma di materiali rientrano
i semiconduttori magnetici diluiti (DMS), di cui andiamo a fare una breve
introduzione.
1.2
Introduzione ai DMS
Lo studio di semiconduttori che siano anche ferromagnetici ha una storia
lunga ma intermittente. Alla fine degli anni Sessanta, inizio anni Settanta
del secolo scorso, ci fu un grande interesse nei materiali calcogenoidi con base
di Eu. Negli anni Ottanta si drogarono magneticamente semiconduttori del
II e del VI gruppo come CdMnSe, CdMnTe, PbSnMnTe, etc., in cui il Mn
rappresenta l’elemento ferromagnetico.
L’idea dei semiconduttori magnetici diluiti (o DMS dall’acronimo inglese),
dove una piccola concentrazione (< 10%) di atomi magneticamente attivi,
solitamente Mn, è distribuita in una matrice ospite di semiconduttore, era
(ed è) appetibile, perché questi sistemi posseggono sia proprietà semiconduttive che ferromagnetiche. Costruire questi materiali è però problematico
1.2 Introduzione ai DMS
3
a causa della tendenza degli atomi di manganese a segregare, non essendo
termicamente stabili nella matrice di semiconduttore.
Come detto, una componente chiave per la spintronica è lo sviluppo di
nuovi semiconduttori ferromagnetici. Dopo lo sviluppo con successo del
Ga1−x M nx As e del In1−x M nx As come semiconduttori ferromagnetici (con
x ' 1% − 10%), l’attività intensa di ricerca in tutto il mondo ha portato alla
scoperta di proprietà ferromagnetiche (a temperatura ambiente e più basse)
in molti semiconduttori magnetici. È attualmente non chiaro se le proprietà
ferromagnetiche siano intrinseche del sistema o siano dovute ai clusters che
si formano a causa della tendenza del manganese a segregare; inoltre la presenza di questi clusters spesso complica la determinazione della temperatura
di Curie del sistema.
Lo studio dei DMS, in particolare del Ga1−x M nx As, ha portato alla scoperta di un doppio ruolo svolto dalle impurità di manganese: in primo luogo
portano uno spin locale dovuto al fatto che questo elemento possiede la shell
d piena a metà,producendo cosı̀ momenti magnetici locali, in secondo luogo
drogano il sistema con buche, producendone, in principio, una per atomo
di Mn. La densità numerica di queste buche che agiscono da portatori di
carica tuttavia è di almeno un ordine di grandezza più piccola della densitá
numerica degli ioni di manganese.
L’uso di questi semiconduttori ferromagnetici integra la spintronica con l’elettronica basata sull’utilizzo dei semiconduttori. La scelta dei semiconduttori è
dovuta al fatto che in quest’ultimi il fattore di Landé (g) può risultare anche
notevolmente differente da g per l’elettrone libero, generando cosı̀ degli splitting Zeeman di energia (pari a ∆E = −gµB H) fra la banda di conduzione e
quella di valenza notevolmente maggiori.
È importante notare che l’esistenza di proprietà ferromagnetiche nei DMS
sembra essere indipendente dal fatto che il sistema sia metallico o isolante.
In molti sistemi che mostrano proprietà ferromagnetiche, come InMnAs,
GaMnSb, GeMn, etc., la metallicità non è necessariamente una precondizione
per l’esistenza di ferromagnetismo in questi sistemi.
Capitolo 2
Apparato sperimentale
Lo studio delle leghe Manganese Germanio è stato da noi effettuato tramite
tecniche di microscopia a scansione tunnel (STM) e spettroscopia a scansione
tunnel (STS).
Lo sviluppo di queste due tecniche è legato all’esigenza nella fisica delle
superfici di conoscere la loro struttura nella maniera più accurata possibile.
2.1
STM
La tecnica di Scanning Tunneling Microscopy (STM) è una tecnica di microscopia a scansione di sonda introdotta nel 1982 da Binnig e Roher, premi
Nobel per la Fisica nel 1986 per tale scoperta. Essenzialmente, una punta
metallica, spostandosi nelle dimensioni planari x ed y, fa una scansione della
superficie in esame, fornendo punto per punto il valore z(x,y) e dando una
mappatura della superficie.
Il principio di funzionamento si basa sulla meccanica quantistica e in particolare sull’effetto tunnel. La probabilità per una particella (nel nostro caso
un elettrone) di passare dalla regione I alla regione III in figura 1 è:
PI−III = Ce−2kd
(2.1)
Con C una costante, d lo spessore della barriera di potenziale e k dato
dalla seguente espressione:
s
k=
2m
(V − E)
h̄2
(2.2)
2.1 STM
5
con E l’energia della particella incidente la barriera di potenziale.
Nel nostro caso la regione I sarà la punta (tip) e la III il campione (sample).
La regione II invece rappresenterà la zona di vuoto fra tip e sample.
Applicando una differenza di potenziale (ddp) opportuna (al massimo di 1
o 2 V) e portando tip e sample a distanze dell’ordine di qualche angstrom
avremo passaggio di elettroni per effetto tunnel. Mantenendo costante questa
corrente di tunneling tramite un circuito di retroazione si riesce ad ottenere
l’immagine topografica della superficie con risoluzione atomica, registrando
gli spostamenti in z del piezoelettrico che supporta la punta. Viene usato un
piezoelettrico perché si vuole una sensibilità in z dell’ordine del picometro
e ciò non si può ottenere tramite spostamenti di tipo meccanico, ma solo
sfruttando la capacità della cella cristallina di questo materiale di deformarsi
sotto l’azione di un campo elettrico.
Approccio di Bardeen Per il calcolo della corrente di tunneling, Bardeen
propose nel 1961 un approccio che andiamo a descrivere. Tramite la regola
d’oro di Fermi la probabilità di transizione da uno stato quantico ad un altro
|M |2 ρf , dove |M |2 rappresenta l’ampiezza di transizione e ρf la
è pari a 2π
h̄
densitá degli stati finale.
Bardeen immagina di lavorare non più con funzione d’onda di singola particella ma con quelle totali del sistema. La transizione avviene dallo stato m
del metallo a nella zona I allo stato n del metallo b nella zona III.
Indicheremo da ora in avanti:
ψo : funzione d’onda dello stato del sistema in cui m è occupato e n no
ψmn : funzione d’onda dello stato in cui l’elettrone si è portato da m in n
Avremo cosı̀ le seguenti equazioni di Schroedinger:
cψ =W ψ H
c
H
o o
o o mn ψmn = Wmn ψmn
(2.3)
valide rispettivamente per z < za e per z > zb .
Otteniamo cosı̀ la funzione d’onda totale del sistema:
Ψ = a(t)ψo e−iWo t +
X
bmn (t)ψmn e−iWmn t
(2.4)
m,n
avendo posto h̄=1, essendo cioè passati in unità naturali.
Se scriviamo l’equazione di Schroedinger dipendente dal tempo avremo:
2.1 STM
6
c
H(t)Ψ(t)
= E(t)Ψ(t)
da cui:
Mmn =
Z Z Z
V
(2.5)
c − W |ψ
< ψo |H
mn mn > dτ
con V = ∀z : z ≤ za .
Consideriamo due elettrodi (uno a sinistra, L, e uno a destra, R) inizialmente
isolati e con la seguente hamiltoniana:
h̄2 2 b
∇ + VL(R)
(2.6)
L(R) = −
2m
Avviciniamo ora L ed R e stimiamo la probabilità che un elettrone neld con energia prossima a E F , cioè all’energia di Fermi, detto
l’autostato di H
L
µ
d
ψµ , transiti nell’autostato di HR detto ψν , non occupato.
L’hamiltoniana totale del sistema sarà:
c
H
2
c = − h̄ ∇2 + Vb + Vb
H
L
R
(2.7)
2m
i
L
ψµ (r, t) = a(t)ψµL e− h̄ Eµ t +
X
i
R
bν (t)ψνR e− h̄ Eν t
(2.8)
ν
e inserendo ψµ nell’equazione di Schroedinger dipendente dal tempo si
ha:
a(t) = 1
bν (t) = [P {
EµL
(2.9)
i
1
L
R
} − iπδ(EµL − EνR )] < ψνR |VbR |ψµL > e− h̄ (Eµ −Eν )t (2.10)
R
− Eν
Definiamo ora l’operatore densità di corrente Jbµ (r, t) in questo modo:
Jbµ (r, t) = −
eh̄ ∗
(ψ ∇ψµ − ψµ ∇ψµ∗ )
2mi µ
(2.11)
Per cui la corrente Iµ sarà data da:
Iµ =
Z Z
S
b dS
Jµ · n
(2.12)
2.1 STM
7
da cui, attraverso il teorema di Gauss-Green, si giunge a:
Iµ =
eh̄ Z +∞ Z +∞ Z zi L∗ 2 R
(ψµ ∇ ψν − ψνR ∇2 ψµL∗ )d3 r
)
2mi −∞ −∞ −∞
ν
i
eh̄
L
R
−b∗ν (t)e− h̄ [Eν −Eµ ] (−
)
2mi
Z
Z
Z
X
i
L
R
[bν (t)e h̄ [Eµ −Eν ]t (−
−∞
−∞
zi
+∞
+∞
−∞
(ψνR∗ ∇2 ψµL − ψµL − ψµL ∇2 ψν R ∗)d3 r]
(2.13)
eh̄ R +∞ R +∞ R zi
R 2 L∗ 3
L∗ 2 R
Detto Jbµν = − 2mi
−∞ −∞ −∞ (ψµ ∇ ψν − ψν ∇ ψµ )d r avremo:
Iµ =
X
i
L
i
R
L
R
∗
[bν (t)e− h̄ (Eµ −Eν )t Jµν + b∗ν (t)e− h̄ (Eν −Eµ )t Jµν
]
(2.14)
nu
Dato che:
2
c = − h̄ (∇2 + Vb + Vb )
H
R
L
(2.15)
2m c b
(H − VR − VbL )
h̄2
(2.16)
2m
allora:
∇2 = −
c − Vb ), perciò possiamo
(H
Per z < zi , abbiamo VR ' 0, quindi ∇2 = − 2m
R
h̄2
scrivere:
Jb
µν
ie Z +∞ Z +∞ Z zi L∗ c
= −
[ψµ (H − EµL )ψνR ]d3 r =
h̄ −∞ −∞ −∞
ie Z +∞ Z +∞ Z +∞ L∗ c
[ψ (H − EµL )ψνR ]d3 r
=− {
h̄ −∞ −∞ −∞ µ
−
Z
+∞
−∞
Z
+∞
−∞
Z
+∞
zi
[ψµL∗ ψνR ]d3 r}
(2.17)
c=H
c + Vb = H
c Vb ; inoltre fino ad adesso abbiamo trattato
Tuttavia, H
R
L
L R
il tunneling di un solo elettrone, mentre invece vogliamo il contributo alla
corrente di tutti gli elettroni che possono fare tunneling, quindi di tutti quelli
vicini all’energia di Fermi; perciò dovremo moltiplicare per la densità di stati
(DOS) al livello di Fermi nL (EF ) e per eV dovuto alla presenza (seppur
piccola) di un potenziale di bias. Moltiplichiamo inoltre per 2 a causa del
2.1 STM
8
fatto che 2 elettroni possono occupare lo stesso livello energetico (l’uno con
spin ↑, l’altro con spin ↓). Otterremo cosı̀ alla fine:
I = 2eV
X
δ(Eµ − EF )Iµ
(2.18)
µ
con EF l’energia di Fermi.
Sviluppando i conti e scrivendo I in funzione di |Jµν | definito poco prima
avremo:
I = −4πh̄V
X
|Jµν |2 δ(EµL − EνR )δ(Eµ − EF )
(2.19)
µν
Approccio di Tersoff e Hamann L’approccio di Bardeen non spiega il
legame esistente fra la corrente di tunneling e la DOS della punta (assimilabile
all’elettrodo R di Bardeen) e del campione (l’elettrodo L). Nel paragrafo
precedente abbiamo considerata eV piccola, tale da non indurre nel sistema
nessun tipo di variazione significativa.Ora prendiamo eV leggermente più
grande, anche se dovremo sempre soddisfare la condizione eV Φ (con Φ
la funzione lavoro del campione) per poter applicare il metodo perturbativo.
Cosı̀ abbiamo:
4πe X
δ(EµL0 − EνR0 )[θ(EνR0 − EFR0 ) − θ(EµL0 − EFL0 )]| < ψνR0 |VbR |ψµL0 > |2
h̄ µν
(2.20)
Dove le funzioni θ altro non sono che le funzioni di distribuzione di FermiDirac allo zero assoluto e | < ψn uR0 |VbR |ψµL0 > |2 = |Jµν |2 .
I nuovi autovalori dell’energia sono legati ai vecchi da:
I=−
EµL0 = EµL +
eV
2
eV
2
Da cui possiamo ricavare il nuovo valore di I:
EνR0 = EνR −
I=−
4h̄π X
δ(EµL − EνR + eV )[θ(EνR − EFR ) − θ(EµL − EFL )]|Jµν |2
e µν
(2.21)
(2.22)
(2.23)
2.2 STS
9
0 2
avendo posto |Jµν
| ' |Jµν |2 .
L’innovazione introdotta dall’approccio di Tersoff e Hamann consiste nel considerare il tip come una sferetta di raggio R centrata nella posizione di riferimento ro e tenendo in considerazione soltanto funzioni d’onda sferiche. Se
si considera perciò l’approssimazione sferica, per cui i due numeri quantici l
ed m sono nulli, si ottiene la funzione d’onda del tip cosı̀ definita:
ψνT = Cl
e−k|r−ro |
k|r − ro |
(2.24)
All’interno della costante Cl figura un termine esponenziale dipendente dal
raggio di curvatura della punta.
Per quanto riguarda il sample la funzione di stato che gli viene associata è:
√ 2
1 X
2
ψµ = Ω 2
(2.25)
e [|k| |KG | ]
G
q
dove k = 2mΦ
e KG = K|| + G|| con K|| vettore d’onda di Bloch e G|| un
h̄2
vettore del reticolo reciproco proiettato sul piano della superficie.
2.2
STS
Dalla teoria di Tersoff e Hamann discende:
I(r, V ) =
Z
+∞
−∞
f (eV )[1−f (eV )]ρs (r, E)ρt (r, ±eV ∓E)T (E, eV, z)dE (2.26)
dove r è la posizione del centro di curvatura della punta, V la tensione
fra punta e campione, f (eV ) è la funzione di distribuzione di Fermi-Dirac,
ρs e ρt rispettivamente le DOS di campione e punta, z la distanza fra tip e
sample, T è un fattore di trasmissione cosı̀ definito:
−2z
T (E, eV, z) = e
q
2m Φs +Φt
[ 2 + eV
2
h̄2
−E]
(2.27)
dove m è come al solito la massa dell’elettrone.
Se facciamo l’approssimazione di basse temperature, avremo che la (2.26)
può essere riscritta in questo modo:
2.2 STS
10
I(r, V ) =
Z
0
eV
ρs (r, E)ρt (r, ±e V ∓E )T (E, eV, z)dE
(2.28)
Da ciò è possibile notare la dipendenza di I dalle DOS di tip e sample e
dalle loro funzioni lavoro.
Cambiando le modalità di operazione dello strumento si può ottenere sia I
in funzione di V (I(V )) sia I in funzione della distanza tip-sample (I(z)).
Spettroscopia I(V ) Per avere le curve di I in funzione di V si opera
nel seguente modo: si mantiene z costante, ci si ferma su un punto del
campione, si sgancia il circuito di feedback, si fa variare la tensione fra tip
e sample in un range da noi stabilito e si ottiene cosı̀ la curva I(V ) punto
per punto. La STS nella modalità I(V ) permette di indagare con risoluzione
spaziale atomica la DOS degli stati pieni e vuoti attorno al livello di Fermi,
dà informazioni sulle gap energetiche attorno all’energia di Fermi EF con una
precisione dei centesimi di eV (essendo a temperatura ambiente, cioè circa
300 K, KB T ' 25meV ).
dI
La I(V ), in particolare la conduttanza normalizzata dVI , fornisce informazioni
V
sulla densità degli stati.
Infatti:
dI
= ρs (eV )ρt (0)T (eV, eV ) + B(V )
(2.29)
dV
con
Z eV
dT (eV, E)
dρt (±eV ∓ E)
[ρs (E)ρt (±eV ∓E)
B(V ) =
+ρs (E)
T (eV, E)]dE
dV
dV
0
(2.30)
Assumendo ρt costante o comunque lentamente variabile, in prima approssimazione il secondo termine dell’integrale si annulla. Abbiamo perciò
che la conduttanza normalizzata diviene:
dI
dV
I
V
=
ρs (E)ρt (±eV ∓E) dT (E,eV )
dE
eT (eV,eV )
dV
R
T
(E,eV
)
eV
1
ρs (E)ρt (±eV ∓ E) T (eV,eV ) dE
eV 0
ρs (eV )ρt (eV ) +
R eV
0
(2.31)
Poichè l’integrale al numeratore e quello al denominatore sono funzioni lentamente variabili in V , si può scrivere:
dI
dV
I
V
' ρs (eV )ρt (0)
(2.32)
2.2 STS
11
e, dato che abbiamo assunto ρt (0) costante, avremo:
dI
dV
I
V
∝ ρs (eV )
(2.33)
Nei grafici della conduttanza normalizzata si può osservare un fondo sperimentale sul quale si sovrappongono le strutture della DOS del sample più o
meno evidentemente a seconda della distanza di tunneling.È per questo motivo che bisogna mantenere una distanza di scansione z dell’ordine di qualche
angstrom, altrimenti perderemmo completamente le informazioni sulla DOS
del sample.
Abbiamo assunto in prima approssimazione ρt (0) costante. In realtà la DOS
dI
della punta influisce sulla conduttanza normalizzata e i grafici della dVI che
V
otterremo saranno effettivamente delle convoluzioni delle due DOS, quella
del tip e quella del sample. Il peso della DOS del tip aumenta via via che ci
si avvicina a EF . Tuttavia è osservabile che il peso della DOS del tip sulla
conduttanza normalizzata è praticamente nullo per V > 0, cioè per E > EF .
Spettroscopia I(z) Per avere le curve I(z) si opera nel seguente modo: si
mantiene la tensione costante fra tip e sample, ci si ferma su un punto del
campione, si sgancia il circuito di feedback, si sposta a passi di frazioni di
angstrom la punta verso il campione, ottenendo cosı̀ valori diversi della corrente di tunneling in funzione della distanza z. Lo studio di queste curve, più
precisamente della loro derivata logaritmica, fornisce indicazioni sulle variazioni della funzione lavoro locale del campione. Partendo dalla equazione
(2.26) possiamo approssimare la corrente di tunneling a:
I(z) ' Io e−2kz
(2.34)
con z la distanza punta-campione e k l’inverso della lunghezza di decadit
, cioè l’altezza vista
mento già definita prima, in cui assumiamo Φ = Φs +Φ
2
dall’elettrone nel processo di tunneling, media aritmetica fra le funzioni lavoro di tip e sample. Anche in questo caso abbiamo sfruttato l’ipotesi già
fatta in precedenza che eV Φ.
Facendo il logaritmo di I, derivandolo rispetto a z e quadrandolo abbiamo:
(
d ln I 2
8mΦ
) ' 4k 2 = 2
dz
h̄
(2.35)
2.3 Cenni sulla realizzazione di punte per l’STM
12
Anche in questo caso, assumiamo che la funzione lavoro del tip (Φt ) non
cambi, allora avremo che:
d ln I 2
)
(2.36)
dz
Otteniamo cosı̀ informazioni sulla funzione lavoro della superficie con
risoluzione atomica.
Φs ∝ (
2.3
Cenni sulla realizzazione di punte per l’STM
Per avere misure accurate con l’STM è necessario avere una punta con un
raggio di curvatura R ≤ 10nm . Molti materiali sono stati proposti come
punte per l’STM, nel nostro caso sono state utilizzate punte di Ni e di W.
È possibile realizzare le punte sia tramite metodi meccanici (tagliando un filo
del materiale di cui si vuole il tip), sia tramite processi elettrochimici.
Andiamo a descrivere brevemente questi ultimi processi.
In un caso si procede come segue: ci si procura un filo di W di circa 150 µm di
diametro; lo si immerge in una soluzione elettrolitica in cui sono disposti due
elettrodi; si applica una differenza di potenziale tra il filo di W e l’elettrodo
dell’ordine di qualche volt; fatto ciò avviene la seguente reazione chimica:
W + 8OH − ==> W O4 + 4H2 O + 6e−
(2.37)
dopo aver atteso circa 15 minuti, il filo si spezza in 2 parti, una sola delle
quali sarà la nostra punta, in quanto l’altra andrà persa.
Nel secondo caso si procede realizzando un anello di platino del diametro di
5 − 6mm. Si prepara una soluzione acquosa di KOH come nel caso precedente. Successivamente si immerge l’anello nella soluzione, cercando di creare
un film sottile di soluzione nell’anello stesso. Si infila un pezzetto di filo di W
nell’anello, in maniera tale che la soluzione acquosa formi un doppio menisco
nel punto in cui tocca il filo. Si collega l’anello al negativo e il filo di W
al positivo di un generatore di tensione continua dell’ordine del volt. Cosı̀
avviene la stessa reazione chimica già scritta. Il vantaggio di questo metodo
sta nel fatto che bisogna aspettare meno tempo (circa 8 minuti) e si ottengono due punte per STM, entrambe utilizzabili per le nostre misure.
2.4 Produzione dei campioni
2.4
13
Produzione dei campioni
I campioni di DMS possono essere realizzati tramite varie tecniche. L’obiettivo è sempre quello di ottenere uno stato in cui il manganese si trovi nella
matrice ospite di germanio, possibilmente senza segregare. Come si vedrà,
ciò è piuttosto difficile, anche prestando particolare attenzione nel processo
di produzione dei campioni.
Il metodo classico, utilizzato piú frequentemente è il ”molecular beam epitaxy” (MBE). Questa è una tecnica per la crescita epitassiale attraverso
l’interazione di uno o molti fasci atomici o molecolari che incidono su una
superficie di un substrato cristallino riscaldato. Le sorgenti di materiale solido da impiantare sono disposte in celle di evaporazione per ottenere una
distribuzione angolare delle molecole o degli atomi nel fascio. Il substrato
è scaldato alla temperatura necessaria e, se ce ne fosse il bisogno, ruotato
continuamente per ottenere una crescita omogenea del campione.
Per essere sicuri che il fascio colpirà il campione, dobbiamo avere che il libero
cammino medio delle particelle incidenti sia più grande delle dimensioni della
camera dove avviene il processo. Da questa condizione si ottiene che la pressione sia di circa 10−5 T orr. Tuttavia, bisogna essere sicuri anche del fatto
che il campione cresca in un modo abbastanza ”pulito” cioè che non presenti
impurezze. Ciò si può ottenere solo in condizioni di ultra alto vuoto (UHV),
cioè con pressioni dell’ordine dei 10−10 T orr. Il campione viene scaldato anche per questo motivo. La MBE però presenta alcune problematiche. Nel
caso dei campioni di MnGe da noi utilizzati, si nota che la diluizione del Mn
nella matrice semiconduttiva è fortemente dipendente dalla temperatura cui
viene portato il campione e già a temperature relativamente basse si nota che
i films diventano fortemente ferromagnetici, a causa della nascita di clusters
di M n5 Ge3 . Ci sono inoltre dei precipitati ricchi di manganese con dimensioni dell’ordine dei films.
Per questi motivi si è preferito usare tecniche di impiantazione ionica. Le tecniche di impiantazione ionica permettono una maggiore diluizione del manganese nella matrice, come da noi voluto.
La tecnica di impiantazione ionica si basa sul seguente principio: degli atomi
droganti e ionizzati vengono accelerati tramite un campo elettrostatico contro un bersaglio, con energia sufficiente a penetrare nel bersaglio stesso.
Come sorgente di ioni si usa un plasma di materiale drogante; gli ioni vengono
accelerati mediante campi elettrici sostenuti da tensioni costanti dell’ordine
delle decine di kV. Il fascio di ioni viene selezionato in massa tramite un
2.4 Produzione dei campioni
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metodo spettroscopico che si basa sulla Forza di Lorenz per cui particelle
con masse diverse, sotto l’azione di un campo magnetico vengono deviate
con orbite di raggio diverso. Tramite una fenditura è possibile selezionare gli
ioni con prefissata traiettoria, selezioniamo dunque gli ioni M n+ . Dopo ciò
il fascio viene ulteriormente accelerato tramite un campo longitudinale che
porta detto fascio a energie dell’ordine dei 100keV .
A questa energia gli ioni M n+ colpiscono la matrice di Ge nel suo piano
cristallografico con indici di Miller (100), penetrando in essa. L’urto degli
ioni con la matrice porta a danni nella struttura cristallina stessa, per questo
la matrice viene scaldata a 300o C; a questa temperatura infatti il trattamento termico cede energia al sistema, che una volta tornato a temperatura
ambiente tende a ricomporre i danni effettuati dall’urto con il fascio ionico.
Questo è il primo dei problemi da affrontare nella tecnica di impiantazione
ionica. L’altro problema è costituito dal cosiddetto ”channeling”: la struttura
cristallina della matrice ospite di Germanio fa sı̀ che esistano dei ”canali”,
lungo i quali potrebbero muoversi degli ioni con una bassa probabilità di
interazione nucleare. Cosı̀ si avrebbe un processo poco riproducibile, la distribuzione della concentrazione ionica nella matrice sarebbe diversa da quella che si avrebbe senza questo inconveniente, risulterebbe difficile realizzare
degli strati drogati superficiali. Per ovviare a questi inconvenienti si ruota
leggermente il campione di Germanio (nel nostro caso, e usualmente, di 7o ).
Una volta usate tutte queste accortezze si ottengono delle traiettorie per ogni
M n+ e un profilo in profondità della concentrazione di Mn nella matrice di
Ge, che si possono osservare in figura (a) e (b) rispettivamente.
Come è osservabile, l’andamento è quasi gaussiano, e presenta un massimo, che equivale alla massima profondità proiettata lungo l’asse perpendicolare al piano (100), per z ' 57nm.
L’impiantazione ionica dei M n+ a 100keV è stata effettuata a dosi di 1 ×
, 2 × 106 atomi
e 4 × 106 atomi
, ottenendo concentrazioni medie di vol106 atomi
cm2
cm2
cm2
ume di circa 3, 6 e 12% rispettivamente.
C’è tuttavia da notare che il riscaldamento della matrice di Ge (il cosiddetto
annealing) provoca una maggiore mobilità termica degli ioni M n+ , che tenderanno maggiormente a segregare, formando clusters ricchi di Manganese.
Questo è un inconveniente, che andrebbe risolto. Si potrebbe pensare a scaldare il campione a temperature intermedie fra quelle che permetterebbero la
riduzione drastica dei difetti e quelle che diminuirebbero la probabilità degli
ioni di segregare in clusters. Un altro metodo sviluppato solo recentemente
2.4 Produzione dei campioni
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è quello di impiantare gli ioni nello stesso modo, scaldando però solo alcuni
punti del campione, attraverso un impulso laser. In questo modo la superficie verrebbe riscaldata, ovviando quindi la creazione di difetti nella struttura cristallina della matrice, e tuttavia l’impulso laser sarebbe troppo breve
perchè gli ioni abbiano la possibilità di segregare in cluster. Questo metodo
di impiantazione è però attualmente troppo costoso e impegnativo per cui è
tuttora poco utilizzato in confronto all’impiantazione ionica tradizionale e al
MBE.