roberto e la tempera delle matite

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roberto e la tempera delle matite
C’ERA UNA VOLTA,
in un paese piccino, un bambino di nome Roberto. Roberto viveva in una casina sui monti, proprio in fondo a una
strada magica che attraversava boschi e campi e che, a volte, scompariva, ma volte portava nel cielo; sì, perché
quando la nebbia copriva le valli e le case sul fondo, quella
di Roberto sbucava dalle nuvole e si affacciava sul sole.
Che fosse una strada magica lo si sapeva, anche perché
dalla sua casa passavano tutti gli angeli, ma, soprattutto,
coloro che portano doni ai bambini, così, San Nicola, Santa Lucia, Babbo Natale, la Befana e perfino il coniglietto
pasquale, non dimenticavano mai di fermarsi per riposare
un po’, e lasciavano un regalo.
Lungo la strada vivevano tanti animali, alcuni cortesi e alcuni scontrosi, ma tutti salutavano Roberto quando passava, anche se lui, a volte, non li sentiva perché era distratto,
ma loro non si offendevano perché sapevano che gli voleva bene.
Si dice, ma non possiamo esserne sicuri, che nel bosco ci
fossero anche i leoni, le zebre, le giraffe e gli elefanti, ma
sicuramente si nascondevano bene, perché nessuno li aveva visti.
Roberto percorreva la strada tutti i giorni, per andare nella
sua scuolina, che era la più piccola del mondo, ma era anche la più bella perché ancora s’imparava e ci si divertiva
con poco, non come nelle altre scuole, dove la strega di
Leno aveva lanciato il suo malefico incantesimo.
Un bel giorno Roberto, mentre tornava a casa saltellando
sulla strada magica, mentre pensava al panino che gli
avrebbe preparato la mamma, vide un cartello che non
aveva mai notato prima, si fermò e, dato che aveva imparato, lesse con attenzione: tempera matite a 200 m.
“oibò” pensò Roberto, “non sapevo che qui ci fosse un
negozio, quasi quasi vado a vedere”. Prese il nuovo sentie-
ro e, poco dopo, vide una casina di legno, con una porta
nel mezzo e due finestrelle ai lati, il tetto spiovente e un
comignolo che mandava fumo. Davanti alla porta, su una
panchina, era seduto un signore con i capelli bianchi e la
barba, che assomigliava a babbo Natale.
<Buon giorno Roberto>, disse il signore, <devi temperare una matita?>
Roberto fu sorpreso che il signore conoscesse il suo nome
e gli chiese <ma sei babbo Natale?> < ma no> rispose il
vecchio, <io sono un nonno> <sei il mio nonno?> <diciamo che sono il nonno di tutti i bambini che vengono
qua a fare la punta alle matite, tu hai una matita da appuntire?>
Roberto, in effetti, aveva spuntato le matite per cui prese
l’astuccio e disse <sì, ne ho tante>
<controlliamo> disse il signore, <andiamo dentro>.
Dentro era un posto bellissimo, tutte le pareti, meno una
dove c’era il camino, erano coperte di scaffali pieni di matite, c’erano matite di ogni forma e colore, tutte sistemate,
in ordine, in piccoli cassetti trasparenti, cosicché si potessero vedere; in mezzo alla stanza due tavoli pieni di oggetti
strani e fogli bianchi sparsi qui e là; davanti al camino una
grande poltrona, e una piccina, troppo piccola anche per
Roberto, che era un bambino.
Roberto guardava affascinato tutte quelle matite e faticava
molto a tenere le manine ferme, non osando aprire i cassetti perché l’uomo lo stava guardando. <Allora, mi fai
vedere le tue matite?>, Roberto aprì l’astuccio, sempre
guardando le pareti, <mmmm, sono conciate proprio male>, disse il signore, <vediamo che si può fare>, e prese le
matite e le appoggiò sul tavolo, sopra una pezza di stoffa
morbida, poi, con una lente grande quanto la testa di Roberto, le guardò una a una, girandole e rigirandole sopra,
sotto, soffermandosi sulla punta.
<Ora procediamo, ma queste povere matite hanno sofferto molto, speriamo si riprendano>; quindi iniziò a strofinarle con un panno morbido, passandole da una pezza a
un’altra, poi con un pennellino asciutto ripulì la punta, <ci
vuole un pennello di peli di tasso maschio, per far bene
questo lavoro>, spiegò, <invece, per inumidire, è meglio
quello fatto con i peli della coda di cinghiale>, prese un
secondo pennellino e lo intinse in un vasetto, prima di ripassarlo sulla punta delle matite.
A questo punto le matite erano belle lucide e pulite, ma
ancora spuntate, <ora procediamo all’affilatura degli
strumenti> disse il vecchio, prese un piccolo rasoio e lo
passò su una striscia di cuoio per cento volte, poi, con la
lama così affilata, lisciò le punte delle matite: <questa non
è ancora la tempera vera e propria, serve per preparare il
legno e smussare eventuali irregolarità>, poi, finito questo
lavoro, prese le matite e le portò sul secondo tavolo, dove
c’era una macchina enorme, con una manovella e una serie
di buchini, di diversa misura, sull’altro lato.
Prese un righello, che aveva pure quello una serie di buchini, e provò, una ad una le matite, facendole entrare nei
buchi, separandole poi in tre mucchietti.
Roberto continuava a guardare, non pensava che temperare una matita fosse così complicato, ma era affascinato da
tutto quell’affaccendarsi che stette, stranamente, zitto.
Una volta separate le matite, il signore si avvicinò alla
macchina, la aprì, mise un poco di olio sugli ingranaggi,
poi prese da un cassetto dei piccoli cilindri che inserì in
corrispondenza dei buchi, chiuse lo sportello e disse a Roberto: <ora gira la manovella>, e mentre Roberto girava la
manovella inserì nei buchi, uno per volta, uno strumento
affusolato di metallo <serve per affilare le lame> disse,
mentre si sentiva il rumore di metallo che strideva, <e ora
le matite>, ne prese da quelle del primo mucchietto e la
inserì nel primo buco, dopo poco la estrasse, la guardò, la
mise da parte e prese la seconda. Continuò così fino a che
non ebbe finito il primo mucchietto, poi iniziò col secondo, nel secondo buco, e poi col terzo.
Finto che ebbe, prese ogni matita, la controllò con la lente
e la ripassò prima con una cartavetro finissima e poi con
un panno di pelle di daino; finalmente le ridette a Roberto
che le guardò mentre il signore diceva: <vedi, ora ogni
matita ha la sua punta giusta, molto affilata e sottile per le
matite dure, che servono a disegnare i bordi, più squadrata
per quelle colorate, che devono far risaltare le forme, arrotondata e dolce per i pastelli che danno vita al disegno.>
Roberto stava per mettere via le sue matite quando, da un
cantuccio, una vocina disse: <ma perché non gli fai una
matita nuova?>
Roberto si girò, non gli sembrava ci fosse nessun altro nella stanza, e, con sua grande sorpresa vide un omino piccino, anche lui con la barba bianca e con un grande cappello
rosso a cono, appoggiato a un rametto che, vicino a lui,
pareva un tronco.
<Oh, ben tornato mastro Cerquino, posso presentarvi il
mio amico Roberto, un vero appassionato di matite che
abita qui vicino>,
<lo so dove abita, ogni tanto passo di lì per prendere
qualcosa nel suo orticello, con messer porcospino o col
signor leprotto ci facciamo delle scorpacciate, peccato che
ogni tanto arrivi qualche cagnolino a rompere le scatole.>
Roberto guardava sorpreso l’omino, che intanto si era tolto gli stivali e si era seduto sulla poltroncina vicino al fuoco. <hai ancora un po’ di quell’ottimo idromele?> chiese,
<oggi è proprio freddo fuori>; <ma allora sei tu che mi
mangi la verdura, non ruberai anche i polli per caso?>
<gli gnomi non mangiano i polli, anzi non mangiano proprio carne, chi prende i polli è madama volpe>, rispose
l’omino, <e poi andiamoci piano con le parole, io non rubo, prendo solo qualche foglia di insalata e qualche frutto,
che non sono tuoi, ma della pianta che li fa>.
<Su, su, non discutere con questo gnomo brontolone per
quattro foglie di insalata, diamogli l’idromele e tu assaggia
questo succo di more,> disse il vecchio a Roberto, <piuttosto ha ragione, pensiamo a farti una matita nuova, che
ne dici?>
Nel sentire le parole matita nuova Roberto iniziò a saltellare, <sì, sì, posso scegliere tra tutte quelle?> Disse indicando gli scaffali, <se vuoi, ma io direi di farne una nuova,
una matita speciale, costruita apposta per te, che ne dici?>
<ma come si costruisce una matita? E quanto ci vuole?>
chiese Roberto preoccupato, pensando che se per temperare ci aveva messo delle ore, per farne una potevano passare giorni, <la mamma mi aspetta, sarà preoccupata>,
<hai ragione, è meglio avvisarla> <le telefoniamo> <telefonare? Non ho il telefono, ma le mandiamo un messaggio>, si affacciò alla porta e chiamò <Celerina! Vieni presto, c’è da portare un messaggio>, poi rientrò, prese un
foglio di carta <allora, cosa scriviamo?> <che stiamo facendo una matita nuova>, rispose Roberto, <si giusto, ma
forse vorrà sapere dove sei, aspetta, scriverò: Roberto è
con me, così starà tranquilla> <ma la mia mamma ti conosce?> <certo, veniva anche lei qui a temperare le matite, quando era piccola>; a quel punto si sentì come un
grattare sull’uscio, il vecchio aprì la porta e fuori, sulla soglia, c’era una tartaruga che guardava in su, <sei arrivata
finalmente, corri che c’è da portare un messaggio alla
mamma di Roberto>, e le mise in bocca il foglio piegato,
la tartaruga annui e si avviò lungo la strada, <mi raccomando, non fermarti come tuo solito a giocare con gli
scoiattoli>, le disse il vecchio prima di rientrare.
<Allora, Roberto, iniziamo a fare la matita, innanzi tutto
serve il legno, mastro Cerquino, lei che suggerisce?>
Lo gnomo si era addormentato sulla poltroncina, con il
bicchiere vuoto in mano, sentendosi chiamare fece un salto <eh! Che c’è? Chi mi vuole?> <mastro Cerquino, serve
il legno per la matita>, <Ginepro, per questo bambino
consiglierei il ginepro> rispose, <andiamo> e si avviò
verso la porta seguito dal vecchio e da Roberto che era
sempre più curioso. Lo gnomo si addentrò nel bosco,
sempre seguito dagli altri due, ogni tanto si fermava, alzava la testa e annusava l’aria dicendo poi: <per di qua>,
oppure <per di la>. <Senti l’odore del ginepro?> chiese
Roberto, <in realtà no, sento il profumo di pasta e fagioli
che sta preparando mia moglie, la gnoma Filippina, il ginepro so benissimo dove è,> e si fermò proprio davanti
ad una pianta, piena di bacche blu scuro, <questo va benissimo>, disse. Il vecchio prese l’accetta e tagliò il tronco, <sai,> disse rivolto a Roberto, <il ginepro fu la prima
pianta usata per far matite, la tua verrà proprio bene.>
Tornati alla casa, il signore pulì il tronco dai rami, poi lo
mise su una sega circolare e ne fece alcune assicelle, sottili
come metà di una matita, poi con un altro strumento, scavò nelle assicelle dei solchi; a questo punto si rivolse allo
gnomo: <e che facciamo per la mina?> <per questo bisognerebbe chiedere ai nani, sai benissimo che io non mi
occupo di ciò che c’è sotto terra, e la grafite si trova in
giacimenti sotterranei>, <ma come si fanno le mine?>
chiese Roberto curioso, <le mine sono fatte di grafite, un
minerale che ha la stessa composizione del carbone, o dei
diamanti, non scalda come il carbone ma è più utile dei
diamanti, la grafite viene polverizzata e mescolata con argilla, più argilla c’è più la matita verrà dura, poi l’impasto
viene, ancora molle, spinto attraverso dei buchi da cui
escono dei fili, come gli spaghetti, che dopo cotti nel forno, diventano le mine delle matite.>
<va bene, mastro Cerquino, ma ora ci servirebbe proprio
una mina, come facciamo?> <ho capito, vado a cercare
un nano>, disse lo gnomo. Dopo un po’ lo videro tornare
con la faccia tutta sporca e, sulle spalle, una fascina di mine: <lo sapevo io, ora quando torno a casa Filippina mi
sgriderà, ho sporcato tutti i vestiti> <e anche la faccia>
rise il vecchio, poi prese le mine, le sistemò nei solchi di
un’assicella, ne sovrappose un’altra e mise il tutto dentro
una macchina, tirò una leva e, quando la macchina si riaprì, come per magia Roberto vide che le assicelle erano
diventate matite, <ora non ci resta che lisciarle, metterci
un po’ di vernice e fare la punta, e le matite saranno pronte all’uso.>
Roberto non stava più nella pelle, voleva usare subito una
di quelle matite per fare il più bel disegno che avesse mai
fatto, perché ormai aveva capito che quelle erano matite
magiche, e che tutto ciò che avrebbe disegnato sarebbe
diventato vero.
Il vecchio prese una matita, la mise in un astuccio e la diede a Roberto, tieni, ne basta una, non serve neppure fargli
la punta, questa matita non finirà mai, se tu non vuoi, perché dentro ci sono tutti i tuoi pensieri e le tue fantasie,
poi, pian piano, si riempirà anche dei tuoi ricordi, ma tocca a te fare in modo che i disegni siano sempre bellissimi.
Roberto prese la matita, ringraziò il signore, diede la mano
allo gnomo e corse a casa: <mamma, mamma, guarda, ho
una matita nuova>, <che bella>, disse la mamma, <sembra la mia di quando ero bambina, ora fai un disegno>,
<subito>, rispose Roberto, <farò il più bel disegno che tu
possa immaginare>, prese un foglio grande, ma grande,
come il mondo, e iniziò a disegnare una casina tra le nuvole, il papà, la mamma, due cagnolini e due gatti, una zebra,
dieci polli, e poi.. una stradina magica che portava a una
scuoletta, la neve e il sole, la volpe …e poi…ancora sta
disegnando.