MARIANNA DELL`AQUILA Cinema e fumetti Hulk di Ang Lee: il

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MARIANNA DELL`AQUILA Cinema e fumetti Hulk di Ang Lee: il
MARIANNA DELL’AQUILA
Cinema e fumetti
Hulk di Ang Lee: il cinema come adattamento o traduzione
Racconto orale e racconto scritto
Ad un primo livello d’indagine, emerge che la “parentela” tra il linguaggio
cinematografico e quello fumettistico (in realtà illusoria, come vedremo più
avanti) risiede nella loro comune appartenenza all’orizzonte semantico delle
immagini. L’ipotesi che sussiste all’analisi che verrà affrontata, tuttavia, tiene
conto non soltanto della differenza tra la natura “fotografica e in movimento”
dell’immagine filmica e quella “disegnata e statica” del fumetto, ma soprattutto
della sequenzialità, il principio strutturale grazie al quale il cinema e il fumetto
sono forme diverse di racconto per immagini basato sulla successione di
eventi. Come scrive Daniele Barbieri,
[…] al loro primissimo inizio le parentele strutturali tra cinema e
fumetto non erano più marcate che quelle tra due linguaggi presi a caso
[…] Il cinema era “scrittura del movimento”, ovvero cinematografo; al
fumetto invece il movimento serviva solo occasionalmente, per meglio
caratterizzare certe situazioni. […] La vocazione narrativa colse presto
entrambi, indirizzandoli per strade, nella loro diversità, singolarmente
parallele. In un certo senso, la possibilità del movimento indirizzò il
cinema al racconto, mentre la possibilità di raccontare diede al movimento
un senso e un’importanza cruciale nel fumetto. [...] Due origini evidentemente distinte, ma una vocazione comune: mostrare la durata,
ricostruire il tempo, raccontare per immagini ¹.
Barbieri evidenzia come l’immagine, principio del linguaggio visivo, sia cosa
ben diversa dalla parola: il racconto verbale infatti «ha uno sviluppo temporale
univoco e sicuro» 2, mentre la lettura delle parti che compongono un’immagine
non è basata su un ordine prestabilito. Mancando quest’ordine, viene meno
nell’immagine il tempo e quindi il racconto vero e proprio. Nel cinema e nel
fumetto, di norma, con la messa in sequenza delle immagini, con il loro montaggio, si definisce il tempo (diegetico e extradiegetico) della narrazione.
‫ ٭‬Il presente articolo è un’elaborazione della tesi di laurea cinema e fumetti. Due esempi di
intermedialità: 2001: odissea nello spazio, il fumetto ispirato al cinema; L’incredibile Hulk, il cinema
ispirato al fumetto, discussa nell’a.a. 2003-2004, Università di Roma ‘La Sapienza”, relatore Antonella
Ottai, correlatore Giacomo Daniele Fragapane.
Un testo di immagini sequenziali viene percepito come «percorso di
lettura» costituito dalla successione di «situazioni di lettura» che determinano
la prospettiva della fruizione del testo. Tuttavia, a differenza del discorso
verbale, tale fruizione avviene con un processo più intuitivo che intellettuale,
basato sull’esperienza del fruitore stesso. La comprensione di un testo a
fumetti, ad esempio, si basa su quella che Scott McCloud ha definito closure,
ossia il processo in base al quale attraverso l’osservazione delle parti si
percepisce l’intero ³.
Stabilito il principio strutturale della sequenzialità, emerge proprio da
questo la contraddittorietà del concetto di “parentela”. Se da un lato il tempo
del film è il presente, vale a dire il tempo del suo stesso svolgersi al quale lo
spettatore è soggetto, dall’altro il tempo della narrazione del fumetto (non nel
fumetto) è direttamente subordinato alle scelte del lettore. Da qui la differenza
fondamentale tra cinema e fumetti, che Barbieri indica come analoga a quella
tra un “testo orale” e un “testo scritto”, ovvero tra un racconto che avviene e
poi scompare rimanendo parziale nella memoria del destinatario e un testo che
esiste materialmente e che si dà alla lettura come e quando si vuole 4.
È principalmente nella modulazione dei tempi di lettura, quindi, che sussiste la
reale distanza tra i due linguaggi. La “velocità di lettura” di un testo filmico è
costante,
vale
a
dire
subordinata
allo
scorrere
della
pellicola,
indipendentemente dalle scelte stilistiche e significative attuate in ogni singola
inquadratura; quella del fumetto, invece, ancor più di un discorso scritto a
parole, dipende dai fattori che modulano la velocità di lettura di ogni singola
vignetta e il ritmo di una sequenza, come la “dimensione” e la “complessità”
del testo contenuto in ogni singola immagine. A questo proposito, gli esempi rilevanti di modulazione articolata di un testo a fumetti sono molti, ma per
rimanere nell’ambito dei rapporti tra cinema e fumetti possiamo riportare due
casi emblematici, ognuno dei quali testimonia rispettivamente un esempio di
interrelazione stilistica tra i due media.
A Batman: il ritorno del Cavaliere oscuro (1987) di Frank Miller sono
comunemente riconosciuti dei legami non espliciti con il linguaggio
cinematografico, perché l’autore «non utilizza il cinema per evocare nel lettore
un contesto filmico, piuttosto utilizza il lettore come se questi fosse uno
spettatore cinematografico» 5. Miller, infatti, fa leva sulle conoscenze del
lettore in quanto spettatore cinematografico, «in modo da avere maggiori
possibilità narrative specificamente fumettistiche» 6.
Barbieri prende in esame la sequenza rappresentata nelle tavole 24 e 25
dell’edizione italiana7, in cui sono realizzati due effetti di derivazione
cinematografica: il flashback e il ralenti. L’intera sequenza (totalmente priva di
parole) mostra, attraverso il ricordo del protagonista, i momenti dell’uccisione
dei suoi genitori. Se da un lato il flashback viene introdotto da una serie di
inquadrature che “staccano” dall’uomo adulto all’immagine del bambino (inqq.
1-14), dall’altro il ralenti viene effettuato con una lunga sequenza di vignette
(inqq. 15-32) in cui sono inquadrati alcuni particolari dell’azione: il dito che
preme sul grilletto, la cartuccia che salta, la mano che preme sul petto del
bambino. In questo caso, il tempo di lettura necessario per la comprensione
della sequenza è più lungo rispetto a quello effettivamente rappresentato,
poiché vuole rinviare al tempo interiore del protagonista: la temporalità della
narrazione non emerge dai segmenti narrativi nelle singole vignette, ma dalla
loro sequenzialità.
Un esempio nettamente opposto è quello dell’adattamento a fumetti di
2001: odissea nello spazio di Stanley Kubrick per opera del disegnatore
americano Jack Kirby 8. In questo caso, infatti, l’autore utilizza il linguaggio
filmico non come fonte ispiratrice, ma come vero e proprio referente. La
«lentezza» 9 e la «fotografia» 10 che rendono l’opera kubrickiana un caso
esteticamente unico, vengono “riproposte” nel testo a fumetti attraverso due
espedienti tecnico - drammaturgici specifici: il collage di figure tratte dal vero e
la splash-page. Il primo permette all’autore di concentrare in singole tavole il
tempo e il campo delle inquadrature ambientate nello spazio; il secondo invece, che consiste nella creazione di vignette grandi quanto una o due tavole
intere, permette di sintetizzare i tempi filmici delle sequenze più lunghe e
significative. Contrariamente all’opera di Miller, qui non si procede per
frammentazione, ma per sintesi: il tempo fìlmico viene “sintetizzato” nel campo
di una o due tavole, affinché il tempo necessario per la comprensione
dell’immagine coincida (nei limiti imposti dalla natura del fumetto in quanto
arte sequenziale statica) con il tempo di lettura di una sequenza filmica.
È improprio affermare che Jack Kirby sia stato l’inventore della splash-page,
ma senza dubbio è stato il primo disegnatore di fumetti capace di ricavarne la
massima efficacia. Il suo stile, infatti, si è evoluto nella splash-page a partire
dalla metà degli anni Sessanta con la creazione dei supereroi per la casa
editrice americana Marvel Comics. Questo tipo di immagine ben si adattava ai
nuovi personaggi perché permetteva di creare un effetto più dinamico delle
figure e del ritmo narrativo. Nell’adattamento di 2001 l’autore utilizza le
conoscenze che il lettore ha del fumetto, e in particolare dei suoi lavori, non
tanto per ampliare le potenzialità narrativo - figurative del fumetto, piuttosto
per ottenere una sorta di sincronismo tra le tavole disegnate e il loro referente
cinematografico.
Come scrive Chion, 2001: odissea nello spazio è un film che s’impone come
«discontunuum»11 un film che “esibisce” la sua divisione in parti e “scopre” la
sua forma, è «un film in cui diventa rilevante il principio tecnico del collage di
momenti che serve a fabbricare, a costituire il film» 12. In questa prospettiva,
paradossalmente, la staticità del disegno fumettistico e la composizione
classica delle tavole di Kirby 13 sembrano prestarsi spontaneamente
all’adattamento, non solo perché la sequenzialità delle vignette è costruita in
base ad un lavoro di selezione e montaggio di elementi significanti, ma soprattutto perché esibisce la sua forma nello spazio vuoto tra le vignette e nel
passaggio alle splash-page, creando un ritmo narrativo e di lettura discontinuo.
La versione a fumetti di 2001 rientra nella generalità degli adattamenti
fumettistici di opere cinematografiche che ha caratterizzato costantemente la
storia dei rapporti tra le due arti, ma certamente rappresenta un caso unico
per la complessità del film di riferimento. Kirby, d’altronde, è considerato uno
dei maestri del genere “supereroistico” americano, per la rivoluzione grafica del
suo stile (basato sulla diversa concezione della vignetta, intesa non più come
contenitore di un’immagine, ma come parte integrante della drammaturgia del
fumetto) e per la vastità delle sue opere, alle quali ancora oggi il cinema
attinge con l’obiettivo della restituzione di una spettacolarità simile a quella
delle tavole disegnate. La questione diventa molto complessa quando, nel caso
della trasposizione cinematografica del fumetto, un film è ispirato alle storie del
genere “supereroistico” americano la cui fenomenologia narrativa ha luogo
soprattutto nella serializzazione dei testi (ci riferiamo in particolare alla
tipologia del comic-book). La serializzazione conferisce alla storia un carattere
non autoconclusivo e fa sì che la comprensione di un testo abbia luogo sulla
costante oscillazione tra il tempo diegetico e quello extradiegetico della
narrazione. Nel genere “supereroistico” seriale, infatti, il percorso di lettura non
è dato dalla singola storia, ma dal contesto narrativo che si è sviluppato nel
corso degli anni: in questo modo ha luogo una sincronia tra la temporalità del
lettore e quella editoriale, generando nella mente del lettore una sorta di processo di selezione mnemonica che lo aiuta nella continua ricostruzione del
corpus narrativo. Da parte sua il fumetto seriale (insieme al disegno animato
serializzato) contiene una serie di fattori definibili come selezionatori costanti
che aiutano il lettore nel processo di identificazione e ricostruzione, come
l’iconografia dei personaggi e la loro psicologia. Questi fattori rappresentano un
riferimento importante anche per coloro che si cimentano nella trasposizione
cinematografica di una storia nata a fumetti (indipendentemente dal risultato
ottenuto).
La scomposizione filmica
Storicamente il fenomeno degli adattamenti filmici di storie a fumetti ha
validità non soltanto nello sfruttamento commerciale della popolarità di certi
personaggi, ma soprattutto nella capacità di concretizzare sullo schermo quel
dinamismo spettacolare (sempre più evoluto) che nel fumetto si realizza
attraverso la fantasia del lettore.
Il senso dell’adattamento filmico risiede oggi principalmente nell’utilizzo
delle tecnologie digitali, che favoriscono una realizzazione iconograficamente e
strutturalmente più fedele al referente fumettistico. Per questo motivo, l’analisi
verterà adesso sul film Hulk (2003) del regista coreano Ang Lee, una delle
creazioni più emblematiche della nuova corrente cine fumettistica 14 in quanto
testimonianza di un valido tentativo di formulazione metalinguistica.
In realtà come vedremo, il film è strutturato su piani paralleli che non
interagiscono: da un lato la dimensione percettiva spazio-temporale del film
(come se fosse un fumetto) attraverso il montaggio in split-screen; dall’altro
l’indagine psicoanalitica del protagonista, a cui sono funzionali il disegno
digitalizzato del gigante verde e l’impostazione “teatrale” di alcune scene.
Nel 1966, presso il laboratorio di una base militare americana, lo scienziato
David Banner sta svolgendo delle ricerche per la creazione di nuova formula
genetica da applicare sul genere umano. In seguito alla mancata
autorizzazione da parte del Generale Ross, il comandante della base, Banner
inizia segretamente la sperimentazione su se stesso e sul figlio Bruce. Quando
viene scoperto, lo scienziato attiva il conto alla rovescia per l’esplosione di un
ordigno nucleare e confessa tutto alla moglie; la donna reagisce violentemente
fino a che il marito non la uccide sotto gli occhi innocenti del figlio.
Con un considerevole salto temporale arriviamo ai nostri giorni, nelle stanze di
un laboratorio scientifico; il dottor Bruce Banner (Eric Bana) è un giovane
scienziato di talento impegnato nella sperimentazione della “nano-macchina”,
un apparecchio elettronico che grazie all’impiego dei raggi gamma potrebbe
favorire la riproduzione delle cellule umane. La sua più stretta collaboratrice è
la dottoressa Betty Ross (Jennifer Connely), figlia del Generale nonché ex
fidanzata alla quale Bruce è intimamente ancora legato. Nel giorno del collaudo
della nano-macchina qualcosa non funziona e Bruce, nel tentativo di salvare un
collega, viene colpito dalle radiazioni. L’uomo tuttavia è miracolosamente e
inspiegabilmente salvo, ma da quel momento qualcosa cambierà nella sua vita:
sarà per sempre soggetto alla trasformazione in un mostro dalla pelle verde e
dalla forza sovrumana alla quale tutti daranno la caccia, compreso il padre.
Dal punto di vista narrativo, il film rispetta sostanzialmente la trama del
fumetto originario 15 ispirandosi soprattutto al ciclo dello sceneggiatore
americano Peter David della fine degli anni Ottanta. Tuttavia manca quella
pianificazione narrativa tipica del genere “supereroistico” americano, e si tende
invece ad una caratterizzazione più realistica ed attuale della vicenda e dei
personaggi. Ang Lee, infatti, vuole creare un nesso tra elementi filmici e realtà,
nonostante la fonte ispiratrice sia il mondo “surreale” del fumetto. Il regista, ad
esempio, attualizza all’interno della vicenda il ruolo di personaggi come Bruce e
Betty, mostrandoli come ragazzi facilmente identificabili con qualsiasi giovane
d’oggi alle prese con la carriera, con l’amore, con la famiglia e la società.
Il film riprende dal fumetto anche il tema della sperimentazione scientifica 16
come chiave della vicenda, senza tuttavia che si manifesti una critica reale
contro la sperimentazione sull’uomo (Hulk è il risultato di una manipolazione
genetica i cui effetti sono scatenati dall’improvvisa esposizione del soggetto ad
un flusso di radiazioni). La trasformazione dell’uomo in bestia diventa infatti un
espediente
narrativo
per
“rivelare”
il
conflitto
represso
tra
razionalità/irrazionalità, uno strumento per indagare la psiche umana e
l’origine di un simile conflitto che, in questo caso, viene individuata nel
rapporto tra padre e figlio.
Nella prospettiva dell’indagine della rappresentazione psicologica del
personaggio, va sottolineato innanzitutto, che l’incarnazione bestiale e
involontaria del protagonista non viene mai nominata con l’appellativo
popolarmente conosciuto di Hulk (“ammasso”). L’identità enunciata di Hulk
esiste solamente nel titolo del film. In questo modo la metamorfosi bestiale di
Bruce Banner diventa il canale della rivelazione del suo inconscio, un’esibizione
della parte sconosciuta (quindi indefinibile) della sua psiche. Non a caso,
l’accettazione di sé avviene attraverso una sorta di redenzione dalla figura
paterna che nel film è raccontata, prima, con un processo d’indagine
“drammatica” del rapporto tra padre e figlio, poi, con la rappresentazione
(esteticamente molto più cinematografica e “supereroistica”) della lotta fisica
tra il gigante verde e la figura a sua volta mostruosa del padre 17 che si
concluderà con la vittoria del primo.
Il montaggio “fumettistico” del film, al contrario, non è strettamente
funzionale all’approfondimento psicologico del protagonista. Piuttosto, rispetto
ad altri film contemporanei ugualmente ispirati ai fumetti, la struttura “a
vignette”
dello
schermo
conferisce
alla
forma
filmica
una
composizione/scomposizione spazio-temporale unica. In tal senso si potrebbe
dire che Ang Lee cerchi una sintesi (quasi) perfetta tra spettatore e lettore
riguardo allo Spettatore implicito, e tra regista e disegnatore riguardo
all’Autore implicito 18.
Drammaturgia dell’inconscio
Verrà adesso analizzata la prima parte della sequenza della lotta tra
padre e figlio, poiché impostata “drammaticamente” contraddicendo, in un
certo senso, l’estetica “fumettistica” che caratterizza il resto del film. Ci
troviamo, dal punto di vista narrativo, nella fase finale della vicenda, in
cui, enunciato ormai il dualismo Banner/Hulk, i due protagonisti sono stati
arrestati e stanno per essere condotti ad un incontro decisivo.
- Inqq. 1-5 (split-screen). Inquadratura in Primissimo piano di Nick Nolte che
si “riduce” a dettaglio degli occhi nella parte alta dello schermo (inq. 1).
L’attore sta seduto, da destra gli si avvicina un soldato del quale sono
inquadrate solamente le gambe; l’inquadratura “scorre” alla sinistra dello
schermo (inq. 2). Due soldati camminano accanto a Banner ammanettato:
l’inquadratura occupa tutta la fascia inferiore dello schermo (inq. 3). La
macchina da presa stacca su una panoramica in esterno (notturno) di un
bunker militare (inqq. 4-5). Il dettaglio degli occhi resta costante m tutto il
segmento.
Questo split-screen è un esempio di come l’organizzazione “fumettistica” dello schermo permetta al regista di sintetizzare i tempi e gli
spazi filmici. In altri casi esso è utilizzato per creare una simultaneità
spaziale e temporale dei diversi punti di vista dai quali si può effettuare
una ripresa cinematografica.
- Inqq. 6-10. Interno. Betty, il generale e molti soldati stanno aspettando
l’arrivo di David Banner. li generale sta impartendo ordini. Il segmento è
costruito su continui raccordi tra il Primo piano di Betty e quello del padre.
- Inq. 11. Interno. Semi-soggettiva di un soldato rivolto verso due schermi.
Nel campo di uno dei due schermi c’è l’immagine di Bruce Banner
ammanettato e seduto su una sorta di pedana che si trova al centro del
bunker e a cui si accede per mezzo di una piccola gradinata simile a quella
dei palcoscenici nelle sale teatrali.
- lnq. 12. Primissimo piano di Jennifer Connely (voce off del soldato
precedentemente inquadrato).
- Inq. 13. Esterno. L’auto con Nick Nolte a bordo è in arrivo.
- Inq. 14. Primissimo piano del generale.
- Inqq. 15-16. Esterno. Panoramica dall’alto dell’auto che si avvicina
all’ingresso del bunker.
- lnq. 17. Inquadratura a mezzo busto del generale. Dietro di lui ci sono Betty
e alcuni soldati.
- Inqq. 18-24. David Banner scende dall’auto e si dirige verso l’ingresso.
- Inqq. 25-26. Raccordo tra il campo lungo dell’interno del bunker (la
macchina da presa
compie un lieve spostamento in avanti in direzione del
palco si cui sta Bruce Banner) e quella del padre che avanza. Il raccordo
mostra che il lento movimento della prima inquadratura è in realtà una
soggettiva di Nick Nolte.
Dal punto di vista scenografico l’inquadratura 25 mostra, ancor più delle
precedenti, l’impostazione teatrale della scena. Il “palcoscenico” su cui sta
seduto Eric Bana è in realtà occupato da due sedie ed è illuminato dai fasci di
luce di due riflettori che s’incrociano proprio in corrispondenza della pedana,
mentre intorno è tutto buio. Inoltre, come vedremo più avanti, la
drammatizzazione dell’incontro tra padre e figlio verrà sottolineata dall’assenza
di suoni off che, invece, sono una costante delle inquadrature fin qui elencate.
-
Inq. 27. Dettaglio di uno schermo con l’immagine della pedana.
Inq. 28. Primo piano di Betty.
Inq. 29. Campo lungo angolato. David Banner si avvicina al palco.
Inq. 30. Primo piano laterale di Eric Bana. Al centro dell’inquadratura c’è la
figura intera di Nick Nolte che viene progressivamente focalizzata.
Terminano i suoni off e inizia la lunga scena del dialogo tra padre e figlio.
- Inqq. 31-36 (split-screen). Il segmento è costruito sul montaggio simultaneo
delle inquadrature del padre e di quelle del figlio.
- Inqq. 37-63. La sequenza è strutturata su costanti raccordi tra i due
personaggi (quasi sempre inquadrati in Primo piano).
Potremmo dire che la macchina da presa segue il dialogo assumendo la
posizione e il continuo spostamento del punto di vista di uno spettatore che
assiste a una messa in scena teatrale.
- lnqq. 64-72. La struttura del segmento è simile alla precedente. Nella prima
inquadratura vediamo Nick Nolte allontanarsi da Bana con uno scatto
violento, per rivolgere il suo discorso al pubblico fuori campo, l’esercito.
- lnq. 73. Bruce urla al padre di andare via
- Inq. 74. Primissimo piano di Bruce Banner.
- Inq. 75-76. David Banner si rimette seduto di fronte al figlio.
- lnq. 76-77. Campo medio del “palcoscenico” con i due attori. Improvvisamente David Banner si alza e morde con violenza un cavo elettrico.
Dal punto di vista drammaturgico si tratta di un momento cruciale della
storia, poiché prelude alla metamorfosi mostruosa del padre di Bruce
Banner, ma soprattutto perché di lì a poco avrà luogo la lotta fisica tra i
due mostri, dalla quale uscirà vincitore Hulk. La vittoria del gigante verde
non solo rappresenta la definitiva redenzione dell’eroe dalla figura paterna
e dal conflitto con la parte irrazionale della sua psiche, ma soprattutto
consente al protagonista di vivere più coscientemente la sua doppia
identità.
«Intersemioticità» del cine-fumetto
Secondo la definizione di Nicola Dusi, si potrebbe dire che Ang Lee abbia
effettuato una traduzione «intersemiotica» 19 attuando “soppressioni” e
“condensazioni” di alcuni elementi del testo di partenza che, inevitabilmente,
vengono innescate dal processo della trasposizione cinematografica perché
servono al film«per ancorare la propria coerenza discorsiva e interpretativa»2.
Hulk di Ang Lee, in tal senso, è un esempio di traduzione/trasposizione più che
di adattamento, poiché, come scrive Dusi,
[…] se riflettiamo sulla qualità di elasticità dei linguaggi richiamata
parlando di espansione e di condensazione, possiamo sostenere che il
processo di trasposizione mette semplicemente in evidenza ciò che ogni
traduzione compie rispetto al suo testo di partenza. Tanto più se la
consideriamo, in termini inferenziali, come un processo interpretativo
posto su livelli testuali differenti, processo in cui vi è un continuo
accrescimento del senso rispetto al testo di partenza. [...] Una
trasposizione può scegliere le zone e i livelli di massima equivalenza
espressiva nei quali esercitare una stretta traduzione intersemiotica,
all’interno di una scelta interpretativa esplicita21.
Hulk è un film basato su una struttura estetico-drammaturgica “digitalizzata”.
L’utilizzo delle tecnologie digitali (split-screen e motion picture) consente al
regista non soltanto la sintesi iconografica nella figura dell’eroe tra immagine
disegnata e immagine fotografica, ma soprattutto di creare sullo schermo
quella frammentazione spazio - temporale tipica del montaggio fumettistico.
Come è stato evidenziato precedentemente, Ang Lee utilizza lo split-screen
soprattutto per creare la simultaneità spazio-temporale dei diversi punti di
vista dai quali si può effettuare una ripresa cinematografica. Così facendo il
regista riprende la tecnica del montaggio sequenziale di vignette per mostrare
la simultaneità tra segmenti narrativi. Questo tipo di montaggio serve per
creare una continuità nel percorso di lettura, permettendo al lettore di avere
una panoramica spazio-temporale maggiore. Spesso accade che vignette lette
sequenzialmente rappresentino soggetti, luoghi o momenti non direttamente
correlati: la comprensione di un simile passaggio rientra nel processo di ricostruzione del corpus della storia compiuto dal lettore, nella closure. In Hulk
di Ang Lee, ad esempio, accade che le inquadrature in split-screen mostrino
simultaneamente personaggi che si trovano in luoghi diversi alle prese con
faccende differenti. In questo caso lo spettatore-lettore ha la possibilità di
sapere tutto ciò che sta accadendo in un solo segmento temporale
rappresentato, ma in luoghi differenti.
Tutto ciò fa sì che nel film di Ang Lee abbia luogo una sintesi dei tempi e dei
campi filmici veri e propri. Infatti, le inquadrature che normalmente sono
montate su una sorta di struttura orizzontale (come la pellicola) qui al
contrario sono impiantate su un percorso non lineare nel quale il loro
accostamento simultaneo sullo schermo prende il posto della loro normale
sequenzialità.
Pur senza addentrarci nell’analisi specifica delle scene in splitscreen (perché
significherebbe analizzare gran parte del film), possiamo quindi riconoscere in
Hulk il superamento della continuità spazio-temporale delle inquadrature
filmiche a cui lo spettatore è soggetto, vedendosi riconoscere anche il ruolo di
lettore. Una simile identificazione ha luogo anche grazie alla ricostruzione in
motion picture della figura del gigante verde non soltanto perché essa riprende
fedelmente l’iconografia più conosciuta del personaggio, ma anche perché
viene sintetizzata nella ripresa fotografica del contesto in cui è inserita,
consentendo al lettore-spettatore di percepirla come figura reale. In questo
modo, viene realizzata una aderenza perfetta di figure irreali in un contesto
reale così come accade nel dinamismo grafico delle tavole disegnate.
La questione è più complessa riguardo al sonoro (evidentemente uno degli
elementi di maggior distacco tra cinema e fumetto). In Hulk, nonostante il
montaggio fumettistico adottato dal regista, i tempi di lettura sono più veloci di
quelli di un fumetto, soprattutto grazie alla connessione tra immagine e suoni.
Lo spettatore, ad esempio, può contemporaneamente guardare e ascoltare il
dialogo tra due personaggi, senza che la sua fruizione avvenga su piani
interpretativi diversi. Lo spettatore può continuare a guardare il contenuto
dell’inquadratura anche nel caso in cui ci siano delle voci off che, anzi, lo
aiutano a creare una sorta di “raccordo” tra ciò che è in campo e ciò che è fuori
campo, rendendo più immediato il processo di percezione. Nel fumetto, invece,
questo non è possibile (nonostante esistano delle precise tecniche anche per
rappresentare degli elementi fuori campo) perché l’attenzione del lettore oscilla
continuamente dall’immagine al testo scritto presenti nel campo di una stessa
inquadratura determinando una lettura non simultanea delle parti e più lenta.
In Hulk di Ang Lee non avviene il superamento di questa distanza, ma nella
sua complessità il montaggio filmico è costruito (forse anche al di là delle reali
intenzioni del regista) con una simultaneità tra immagine e parole. Basti
pensare, ancora una volta, alla scena dell’incontro tra Bruce Banner e il padre
precedentemente analizzata, nella quale la macchina da presa segue il dialogo
tra i due personaggi come lo sguardo di uno spettatore teatrale che si muove
seguendo i soggetti parlanti.
In questo senso, anche gli effetti sonori che accompagnano molti passaggi
da un’inquadratura all’altra, simili al rumore dello sfogliare le pagine, sono una
testimonianza di come Ang Lee abbia assunto il fumetto sia come referente
narrativo per la storia, sia come referente strutturale per la realizzazione di un
peculiare linguaggio filmico.
NOTE
1
D. Barbieri, in www.danielebarbieri.it.
Ivi.
3
S. McCloud, Capire il fumetto, in 5. Santarelli, Fare fumetti. Linguaggio e narrazione
dall’idea alla storia disegnata, Roma, Dino Audino, 2003, p. 13. La closure ha luogo nello
spazio che divide le vignette: nel passaggio da un’inquadratura a quella successiva, il lettore
deve basarsi sulla propria esperienza per ricostruire l’intera azione. Se, ad esempio, ci
troviamo di fronte all’inquadratura a mezzo busto di un uomo, noi percepiamo la sua figura
intera; se la vignetta è seguita dall’inquadratura dell’uomo che bacia una donna, la nostra
intuizione ci permette di collegare le due immagini trasformandole in un’unica azione.
4
L’oralità è inserita in un flusso che non può essere fermato; le parole sono nell’aria per
un attimo e poi scompaiono per sempre. chi racconta sa bene quanto può giocare sulla
2
memoria del già detto e sul fatto che chi ascolta non ha che la propria memoria per
confrontare quello che viene raccontato ora con quello che è stato raccontato in precedenza.
Chi racconta a voce sa bene l’effetto che produce l’accelerazione o il rallentamento della
velocità delle parole. La lettura di un testo scritto, invece, comporta molta più attività da parte
del fruitore: è il lettore stesso infatti a regolare il meccanismo di movimentazione del testo che
legge. [.1 Comunque il testo è sempre tutto lì, pronto ad essere ripercorso e confrontato, ma
del tutto immobile senza la nostra attività vivificatrice di lettura”. D. Barbieri, in
www.danielebarbieri.it.
5
D. Barbieri, I linguaggi del fumetto, Milano, Bompiani, 2002, pp. 261-264.
6
Ivi, p. 261
7
F.Miller, Batman: the Dark Knight Returns; trad. it. Batman: il ritorno del cavaliere
oscuro, Milano, Rizzoli, 1989.
8
J. Kirby, 2001: a Space Odissey, Usa, Marvel Comics, 1976, basato su un soggetto di
Stanley Kubrick con la concessione della MGM, 1968; trad. it. 2001: odissea nello spazio,
supplemento a Captain America, n. 110, Milano, Editoriale Corno, giugno 1977.
9
«2001 è un film lento [...]. Ma questa sua lentezza gli è necessaria per permetterci di
modificare la nostra percezione, di adattarla a uno spazio nuovo. 2001 è un film di
assuefazione allo spazio, dunque molto progressivo. [...] Questa lentezza va inoltre collegata al
formato dell’immagine: 2001 è concepito per le sale in Cinerama, dove basta la dimensione
dello schermo a creare un evento sensoriale. [...] Il tempo della proiezione si trasforma così in
un rituale». M. Chion, Un’odissea del cinema. Il “2001” di Kubrick, Torino, Lindau, 2000, p.
118.
10
L’immagine secondo Kubrick è la fotografia. [...] Fare un film non è fotografare la
realtà, ma fotografare la fotografia della realtà. […] Tutto il fare cinema di Stanley Kubrick
sembra procedere in tale direzione, quello della messa in posa e della esposizione. [...] Il fare
cinema, se è necessario (ed è necessario) il riferimento alla mappa delle arti visive
contemporanee, funziona come un collage di istantanee, riguardanti il soggetto, il set, la
recitazione, il montaggio. […] Collage a cui il movimento, come effettivamente accade, si
aggiunge illusoriamente». F. De Bernardinis, L’immagine secondo Kubrick, Torino, Lindau,
2003, pp. 9-12. Nel testo a fumetti non viene rispettato il significato estetico appena espresso,
piuttosto viene riproposta per mezzo del collage la verosimiglianza di alcuni oggetti e della loro
messa in campo, nel tentativo di rispettate l’accuratezza di Stanley Kubrick nella costruzione
dei modellini spaziali e nella loro ripresa, affinché lo spettatore avesse la sensazione che quelle
scene fossero realmente ambientate nell’universo.
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Proponendo un confronto con l’opera letteraria di Tolstoj, Chion scrive che mentre lo
scrittore russo «affronta il romanzo come quadro estensibile indefinitamente, Kubrick manovra
questo livello dei dettagli come un effetto formale legato ai tempi imposti dal cinema. Nella sua
opera l’aspetto “nei minimi particolari” di certe parti sottolinea assai di più la violenza di una
rottura o di uno slittamento, che sopravviene nello svolgersi inesorabile del film. E mentre un
romanzo si percorre, si sfoglia, o si divora secondo il ritmo deciso a proprio piacimento dal
lettore, nel cinema è il regista che impone il ritmo con cui girare le pagine. E il cinema di
Kubrick, con i suoi tempi così calcolati e il suo montaggio implacabile, affilato come un rasoio,
dà l’impressione di girare le pagine con un’autorità che non ammette repliche. Il “girare le
pagine” è costituito, specialmente in molti passaggi di 2001, dal raccordo delle inquadrature.
[…] Tutto insomma in Kubrick fa sì che il film s’imponga come un discontinuum […] perché non
si fonde con nessuno dei luoghi in cui si manifesta […]». M. Chion, Un’odissea del cinema. Il
‘2001” di Kubrick, cit., pp. 67-68.
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Ivi, pp. 87-88.
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Kirby utilizza un montaggio classico di massimo 7 vignette (quadrate o rettangolari)
per pagina, creando sequenze di 4 o 5 tavole intervallate da una o due splashpage.
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il termine è stato coniato nel corso degli studi sui legami linguistico-strutturali tra
fumetto e cinema dalla semiologia francese già negli anni Sessanta. I riferimenti bibliografici
più recenti, prevalentemente di area franco-belga, sono: Aa.Vv., cinéma Action. cinéma et
bande dessinée, Paris, Ed. Corlet, 1990; Aa.Vv., Spécial: cinéma et bande dessinée, *Cinéma
71>’, n. 159, Paris, 1996; M. Kolp, Le language cinématographique en bande dessinée,
Bruxelles, Revue de L’Université de Bruxelles, 1999. Attualmente, con la definizione “cinefumetto” può essere indicata la corrente cinematografica caratterizzata principalmente
dall’utilizzo delle tecnologie digitali per la creazione di nessi più evidente con gli originali
fumettistici. L’inizio di questa nuova corrente è individuabile, indicativamente, con il film Blade
(1998) di Stephen Norrington, con Wesley Snipes nel ruolo del protagonista, ispirato al
personaggio nato come comprimario di Tomb of Dracula (1972) di Mani Wolfman e Gene
Colan.
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The Incredible Hulk fu creato nel 1962 da Stan Lee e Jack Kirby per la Marvel Comics,
ma fu sospeso solamente dopo sei numeri (gli unici disegnati da Kirby) e ripreso qualche anno
dopo, ottenendo un successo enorme che avrebbe reso la serie una delle pietre miliari della
casa editrice americana.
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Negli anni Sessanta le nuove tendenze del fumetto americano (e non solo) si ispiravano
soprattutto ai primi importanti risultati raggiunti in ambito scientifico sulla manipolazione
genetica; anche se il fumetto non può essere considerato l’anticipatore di certe tematiche,
tuttavia è stato (insieme alla televisione) il mezzo di comunicazione di massa che più
direttamente ha saputo raccontare il progresso scientifico e i timori dell’uomo di fronte ad un
simile fenomeno.
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Nel fumetto originale, il personaggio del padre di Bruce Banner compare per la prima
volta (insieme al ricordo dell’uccisione della madre) nell’episodio La psicanalisi di Hulk di Peter
David, senza tuttavia diventare un comprimario ed essere soggetto ad una metamorfosi
mostruosa. Per questo motivo, gli autori del film ne hanno deliberatamente definito il ruolo di
antagonista, attribuendogli la capacità di trasformazione in un mostro che risulta, dal punto di
vista iconografico, come la fusione di due nemici di Hulk nella serie a fumetti: l’Uomo
assorbente e Zzzax.
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«Con i termini di Autore implicito e Spettatore implicito vengono definite figure astratte
che rappresentano i principi generali che reggono il testo: vale a dire, rispettivamente, la
“logica” che lo informa (l’Autore implicito) e la “chiave” secondo cui esso va preso (lo
Spettatore implicito). I...] Se si vuole, dunque, si può dire che nella figura dell’Autore implicito
è in qualche modo rintracciabile il “progetto comunicativo” che sta alla base del film, così come
il film, realizzandolo, lo mette a nudo; e che nella figura dello Spettatore implicito sono invece
rintracciabili le “condizioni di lettura che il film idealmente presuppone, a partire dalle
disposizioni che dà alle sue carte~. F. Casetti, F. di Chio, Analisi del film, Milano, Bompiani,
1996, p. 221.
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una traduzione intersemiotica c’è sempre la possibilità di trasporre una sìtuazione
fissata a livello narrativo nel testo di partenza in nuove configurazioni discorsive arricchite di
dettagli, oppure di ingrandirla in percorsi figurativi che non siano contraddittori con la scelta di
fondo». N. Dusi, Il cinema come traduzione. Da un medium all’altro: letteratura, cinema,
pittura, Torino, Utet, 2004, p. 136.
20
lvi, p. 137.
21
lbidem