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Editoriale di Marina Fabiano La cassetta degli attrezzi... Di cosa dispone il coach (e il manager-coach) per far bene il suo lavoro? Diciamo che ormai la fase formativa di base è completata, ben consapevoli che l’addestramento non ha mai un momento conclusivo, ma soltanto fasi in itinere. A questo punto, come il medico costruisce la sua “valigetta” per visitare i suoi pazienti avendo a disposizione gli oggetti necessari, il coach deve approntare la sua cassetta degli attrezzi, strumenti più o meno concreti che, nel tempo, lo aiuteranno ad “essere” il professionista che si immagina. Gli strumenti a disposizione sono davvero innumerevoli, oltre che svariati e diversi tra loro. Pretendere di descriverne molti sarebbe arrogante: mi limiterò a presentarne alcuni, frutto dell’esperienza personale e di colleghi che hanno accettato di condividere le proprie conoscenze. Resto però qui a disposizione per raccogliere altre testimonianze (email: hello@ coachmag.it) da condividere in un prossimo futuro, per indirizzare eventuali quesiti o rispondere ad ulteriori domande. Non siate timidi. D’altra parte sappiamo bene che ognuno si affeziona agli strumenti che ritiene più vicini al proprio modo di pensare, o a quelli di cui ha pratica, a volte dimenticando che la ricerca del nuovo arricchisce la cassetta degli attrezzi, rende il professionista aperto ad altre esperienze, gli permette di ampliare competenze e capacità. Tutto ciò fa reputazione e immagine, network e occasioni di lavoro. Succede così che si scoprano attrezzi provenienti da ambienti laterali al coaching, come lo storytelling, il teatro, la narrazione o la lettura condivisa; e che si inventino applicazioni fuori dai binari già tracciati, entro le cui confortevoli tracce stavamo tranquillamente (professionalmente) passeggiando, che ci portino a comprendere qualcosa in più del nostro personale stile di coaching, per renderci ancor più unici ed efficaci. Questo numero di CoachMag, il 4° dalla sua nascita, il 1° del 2011, si presenta particolarmente ricco ed ampio, seppure limitato dallo spazio, per contenere strumenti concreti e supporti a sostegno, idee innovative e spunti fondamentali: ad ognuno il compito di far affiorare visioni e modelli per continuare (o cominciare) un nuovo periodo formativo e di crescita personale/professionale. Buona lettura. Marina Fabiano Direttore Editoriale [email protected] www.coachmag.it COACHMAG Numero 4 Febbraio 2011 Direttore Editoriale Marina Fabiano [email protected] In redazione (questo numero) Stefania Savi Sheyla Rega Pier Marinoni Monica Giordani Enrico Illuminati Paolo Terni Roberta Buzzacchino Mattia Rossi Fabrizia Ingenito Grafica e impaginazione Luca Gentile [email protected] Direzione e Redazione Marina Fabiano Via Baranzate, 57 Novate Milanese (MI) Tf: 347 3061024 e-mail: [email protected] sito: www.coachmag.it _ Diffusione e periodicità Online, .pdf scaricabile, in abbonamento annuale Quattro numeri all’anno, trimestrali Copie arretrate, 8€ Abbonamento annuale 4 numeri, 25€ [email protected] tf. 347 3061024 Pubblicità Rivista online, sito e newsletter [email protected] tf: 347 3061024 L’editore dichiara di aver usato ogni mezzo per riconoscere i diritti d’autore del materiale e delle informazioni utilizzate, e resta ovviamente a disposizione per adempiere agli obblighi di legge nel caso non avesse ottemperato pienamente. Indice 02....... I colori del Team di Stefania Savi. 04....... Il questionario nato per il coaching di Sheyla Rega. 05....... Il questionario MBTI e il coaching di Pier Marinoni 07....... I segreti del 360° di Marina Fabiano 09....... MRG:un salto sfidante di Marina Fabiano 11....... Lo Yoga della risata di Monica Giordani 15....... Individual Effectiveness di Enrico Illuminati 17....... Il metodo Coaching “Orientato alla Soluzione” di Paolo Terni 19....... Orientarsi nella complessità: coaching e mappe mentali di Roberta Buzzacchino 27....... L’oracolo di Mattia Rossi Sit Up 13....... SitUp - Situazioni Appiccicose I costi di una sessione o di un percorso di Coaching Il punto di vista di “Italian Coaching Group” di Linkedin Life Coaching 21....... Il coaching come strumento per la conciliazione di Fabrizia Ingenito Contaminazioni 23....... Coaching & Teatro, competenze intrecciate Intervista di Marina Fabiano a Monica Faggiani 23....... Eventi e Web 23....... Libri in Gocce Perchè abbonarsi? * * * * * Per ricevere regolarmente, ogni trimestre, la tua copia di CoachMag. Per informarti, formarti, conoscere le novità del coaching, gli stili e i casi di colleghi-coach. Per essere aggiornato sugli eventi nazionali e internazionali che trattano di coaching. Per essere parte di un network di coach, manager-coach, persone (come te) che condividono la cultura del coaching. Per…perché lo fai? Dimmi la tua opinione, partecipa alla costruzione dei prossimi numeri di CoachMag, scrivi a [email protected] I colori del Team Un percorso dall’efficacia personale alla produttività di gruppo Di Stefania Savi L’esigenza comune a numerose aziende è – sempre più spesso - sviluppare team efficaci. L’obiettivo è far in modo che le persone appartenenti a un gruppo di lavoro sappiano far squadra: comunicare meglio tra loro, coordinarsi e supportarsi a vicenda nel raggiungimento di obiettivi comuni in meno tempo e con minor fatica. Una sfida non da poco. Per rispondere a questa necessità trovo utile una modalità in grado di coniugare chiarezza, divertimento ed efficacia, i cui ingredienti fondamentali sono un questionario e – ovviamente - le persone coinvolte nel progetto. Lo strumento di cui parlo è il questionario di sviluppo comportamentale Insights Discovery®, che offre a mio parere l’immenso vantaggio di essere di facile comprensione (ma non per questo superficiale) e semplice da ricordare nelle sue chiavi di lettura, cosa che lo differenzia ad esempio dall’MBTI, molto simile nell’impianto teorico e altrettanto valido: sfido chiunque non sia del mestiere a ricordare dopo anni tutte le sigle ENTJ o ISFP… Nel dettaglio Andiamo un po’ più nel dettaglio. L’Insights Discovery® trova le sue basi concettuali nella teoria dei Tipi Psicologici di Jung (1921). Jung aveva suddiviso le persone a partire dalla loro attitudine naturale, ossia il modo di reagire alle esperienze, e aveva coniato così i termini di estroversione e introversione per descrivere in che modo gli individui alimentano le proprie energie. Poi aveva identificato due tipologie di funzioni: - le funzioni razionali, legate al processo di presa di decisione: Pensiero (decidere attraverso un’analisi logica impersonale e distaccata) Sentimento (decidere con modalità soggettiva e interessata) - le funzioni irrazionali, legate al sistema di raccolta dei dati: Sensazione (interesse nell’attuale e nel presente) Intuizione (interesse verso le possibilità e il futuro). Questa base teorica è stata ripresa da Jolande Jacobi nel 1941, che ha inserito i tipi psicologici junghiani all’interno di una ruota, successivamente resa ancora più intuitiva da Andrewall’interno di una ruota, successivamente resa ancora più intuitiva da Andrew Lothian, fondatore di Insights Learning & Development Ltd e creatore dell’Insights Discovery, che ha assegnato a ciascuna categoria un colore identificativo. Attraverso un’analisi delle preferenze, che va ad incrociare le suddette dimensioni junghiane, si delineano 4 combinazioni denominate energie, ciascuna identificata da un colore (blu, rosso, giallo e verde), che in modo molto istintivo riconduce alle caratteristiche del tipo. Blu, rosso, verde e giallo Prendiamo l’energia blu ad esempio. Cromaticamente ricorda il mare, la profondità, la sensazione del freddo: infatti è associata a uno stile comportamentale razionale, logico e oggettivo, tipico di una persona orientata alla perfezione e al dettaglio, centrata sull’investigare, osservare, pensare e tendente a mantenere la calma anche sotto pressione. L’energia rossa, che rimanda all’idea della Ferrari, quindi la velocità, le performance sfidanti, la passionalità, è tipica invece di chi ama ottenere risultati immediati, agire con logica e ordine concentrandosi su fatti concreti, rispondendo rapidamente agli eventi esterni: è caratteristica di persone audaci, decisive, determinate. L’energia di colore verde, che evoca la natura, la quiete, la tranquillità si manifesta in uno stile che favorisce l’intensità, la riflessione, la ricerca dell’armonia e del consenso; caratterizza coloro che amano riflettere sull’aspetto soggettivo delle persone, ancorare le decisioni ai propri valori più profondi e che vengono percepiti come sostenitori premurosi e informali. Infine l’energia gialla, che fa pensare al sole e all’estate, quindi all’allegria e al divertimento, appartiene alle persone estremamente socievoli, orientate ad agire, intrattenere e coinvolgere gli altri, desiderose di relazioni esterne positive; è associata agli individui creativi, ottimisti, socievoli. Ciascuno di noi possiede tutte e quattro le energie-colore, ma la mescolanza di queste varia da persona a persona in base all’ordine di preferenza e alla loro intensità. Di conseguenza, con alcune energie ci sentiamo più a nostro agio, con altre siamo semplicemente un po’ più impacciati, ma non per questo non in grado di utilizzarle. Ed ecco che subentra la necessità di conoscersi a fondo, eventualmente di allenarsi, per acquisire disinvoltura anche verso quei comportamenti che possono essere funzionali per il nostro ruolo, ma che utilizziamo in modo meno spontaneo. Semplice, vero? Sfumature e mezze tinte A partire da questi 4 macro tipi, si apre tutto un ventaglio di sfumature di colori, orientate dalle preferenze specifiche di ciascun individuo, fino ad arrivare alla declinazione di ben 72Tipi psicologici. I Profili, descrittivi di ogni tipo, sono poi potenzialmente quasi infiniti, grazie ad un evoluto software di elaborazione e creazione del Profilo Personale. L’Insights Discovery fotografa così le proprie preferenze naturali, senza tuttavia identificare buoni o cattivi, dal momento che l’obiettivo dichiarato è semplicemente quello di avviare un processo di consapevolezza e sviluppo. Permette quindi di conoscere meglio se stessi, identificando punti di forza e aree migliorabili, ma anche di comprendere gli altri, poiché incrementa la capacità di riconoscere gli STRUMENTI PER IL COACHING –– 04 stili comportamentali di ciascuno e di capire i loro bisogni, per sapervisi adeguare con successo. In effetti, la sintonia con il resto del mondo dipende in gran parte dalla nostra capacità di saper accomodare di volta in volta il nostro comportamento agli altri e alla situazione, tramite semplici strategie interpersonali: so cosa ti aspetti da me, come vorresti che io comunicassi con te, cosa ti serve e io cerco di rispondere alle tue necessità, pur senza snaturare il mio approccio e le mie peculiarità. Nella condivisione dei risultati, i colori danno un tono ludico e piacevole alla restituzione: le persone non si sentono giudicate, si identificano con stupore nei profili (per esperienza personale posso dire che si riconoscono in media dall’80 al 95% dei casi)1 e riescono facilmente a ricordare le caratteristiche di ciascun colore, riconoscendole con una certa chiarezza nei colleghi. Diventa in questo modo semplice -perché no!- giocare tutti assieme provando ad esempio a calarsi nei panni di un colore diverso, immaginando di ragionare e comportarsi secondo le sue modalità, così da capirle a fondo e condividere reciprocamente le aspettative. Tutto il team può essere facilmente proiettato sulla ruota dei colori: ciò consente di condividere gli stili relazionali di ciascuno, le modalità comunicative preferite (interessanti le due pagine del report finale intitolate “Come comunicare con me” e “Come NON comunicare con me”), potenziando così al massimo la possibilità di sviluppare avvicinamenti personalizzati e certamente molto più efficaci, nell’ottica del reciproco allineamento. I colori creano quasi per magia, a fine giornata, un linguaggio condiviso per cui diventa molto più semplice, ad esempio, darsi un feedback col sorriso, seppur cogliendo nel segno e trasmettendo un preciso messaggio, ben accolto perché privo di critica o giudizio. Unico punto di attenzione, ad esser sinceri, è il rischio di incorrere in banalizzazioni e categorizzazioni: come ogni strumento “tipologico” può indurre alcuni a semplificare TP IBMB MP ST RB MB GDC DL LN *Le sigle nella ruota sono le iniziali delle persone coinvolte, in modo che sia semplice identificare se stessi e gli altri. 05 –– STRUMENTI PER IL COACHING inserendo le persone in rigide categorie comportamentali, perdendo la visione delle sfumature e delle caratteristiche individuali di ciascuno. Non è tuttavia difficile ovviare a questo pseudo-problema ricordando costantemente ai partecipanti l’importanza di non generalizzare, ma di utilizzare i colori come guida senza perdere di vista la specificità e l’unicità di ognuno. Ma in pratica? Concludo con qualche dettaglio pratico: l’Insights Discovery ha un questionario poco complesso che si compila in circa 15-25 minuti. È disponibile sia in carta che online; è tradotto in 22 lingue: in ambienti internazionali, ciascuno ha la possibilità di completarlo nella sua madrelingua, particolare da non trascurare. Il Profilo che ne deriva ha una comprovata attendibilità, validità, stabilità temporale e affidabilità test-retest e si può rielaborare in moduli a seconda delle esigenze. Il report finale può essere più snello o completo, quindi più economico o dispendioso (dettaglio da non sottovalutare dati i budget sempre più ridotti a disposizione delle aziende): ad esempio, specificatamente per le figure commerciali, è possibile ottenere un dettagliato resoconto sullo stile di vendita con tanto di mirati consigli di sviluppo. Uno strumento multiforme e poliedrico insomma, che io mi sento assolutamente di consigliare, non solo in ambito di team, perché valido a 360 gradi nel mondo della consulenza, dal coaching, come supporto alla formazione, alla selezione e nella gestione dei talenti. di Stefania Savi* 1. Per gli appassionati, o gli esperti, di statistica psicometrica, invece, possiamo specificare che l’indice di “Face Validity” del Profilo Personale Insights Discovery è pari a 0,92. Il che, in pratica, significa che su 100 frasi mediamente 92 sono riconosciute dal soggetto come vere e ben descrittive di sé. Per quanto riguarda la “taratura “italiana, l’ultima effettuata (con anche verifica della Fedeltà nel tempo del reattivo, tramite una impostazione “Test-retest “) ha coinvolto un campione bilanciato di 332 managers italiani di vario livello e di organizzazioni molto diversificate e dimensionate, nonché ulteriori elaborazioni di verifica su circa altre 3000 singole compilazioni. L’analisi degli items ha dimostrato un miglioramento rispetto alla versione precedente del questionario; evidenziati i 4 fattori (i “colori Insights”), è emerso come l’indice di correlazione tra le due misurazioni condotte a distanza di tempo vadano da 0,80 a 0,90 secondo l’indice di correlazione di Pearson, e da 0,90 a 0,94 per il coefficiente di affidabilità CronbachAlfa. Al Test di Split-half l’indice rilevato per l’intero Evaluator è stato pari a 0,86. Ricordiamo, a margine, di come per tutti gli indici suddetti nella comunità scientifica internazionale sia riconosciuto come adeguato un valore pari a 0,70 (abbondantemente superato, come si noterà,in tutte le analisi svolte). Analisi svolta dall’Università di Westminster. Il questionario nato per il Coaching Di Sheyla Rega Il DoLquest® viene utilizzato nei percorsi di coaching in quanto permette sin da subito di creare un linguaggio comune con il coachee e di mapparne le caratteristiche principali, grazie a dei livelli di lettura che permettono di esplorare sempre più in profondità il profilo individuale: Le tendenze cognitive: partendo da basi scientifiche definiscono quali son le modalità prevalenti di funzionamento della mente individuale e le sue macrotendenze. Ideato per facilitare i percorsi di coaching individuali e di gruppo, DoLquest® viene creato integrando i paradigmi delle neuroscienze e della sistemica: basi che consentono di confrontarsi efficacemente con la complessità. Lavora su migliaia di possibilità per rappresentare l’unicità di ogni candidato e del suo ambiente, senza alcun giudizio di valore. Fornisce una immagine sfumata del profilo cognitivo e d’azione delle persone, del loro stile di leadership, dei loro stili decisionali, delle loro leve motivazionali, dei loro potenziali e dei loro fattori di successo. Il tutto, integrato alle possibili interazioni - positive o negative - di questo modo di essere in un contesto dato. Di matrice europea, tiene conto dell’intelligenza emozionale e razionale, della logica binaria e di quella ciclica, delle dimensioni personali, del team e dell’impresa. Le quattro “Porte d’Entrata”: inquadrano le chiavi motivazionali personali, le modalità di comunicazione preferenziali (stile di vendita, di negoziazione, di gestione delle tensioni), i bisogni personali per realizzarsi nel lavoro. Fornisce inoltre indicazioni su come gli altri ci percepiscono e perché. La 3° generazione DoLquest® si definisce uno strumento di 3° generazione che permette ad ogni individuo di capire il proprio stile di management ed il suo impatto sugli altri. Favorisce un processo di autoanalisi senza giudizi di valore sulla persona, punto chiave alla radice di una reale comprensione di se stessi e degli altri. Non si tratta del solito strumento di assessment basato su una prima “classificazione delle persone” per poi catalogare gli individui, bensì di un assessment decisamente più completo, basato sull’analisi sistemica delle caratteristiche individuali. DoLquest® permette di capire il proprio stile di management e di comunicazione ed il suo impatto sugli altri. Il suo valore aggiunto risiede nel proporre un bilancio approfondito delle abilità individuali integrando la conoscenza del potenziale e delle caratteristiche personali con le esigenze del proprio ambiente lavorativo. Le domande da farsi Grazie a questa mappatura ad ampio raggio del profilo personale, DoLquest® permette di trovare le risposte a domande importanti, quali: - Qual è il mio canale di comunicazione preferenziale? - Qual è la percezione che gli altri hanno di me? Perché? - Quali sono le persone con le quali entro più facilmente in relazione? Con quali faccio più fatica? Perché? - Quali sono le radici del mio stile di management e di leadership? Quali sono i miei possibili blocchi al cambiamento? - Come posso comprendere le conseguenze delle mie decisioni al fine di anticiparle? - Come posso motivare persone diverse? - Quali sono le mie aree di sviluppo? E quelle dei team che gestisco? - Quali sono i punti di forza su cui posso agire con maggior facilità in un ambiente complesso e mutevole? - Qual è il mio intrinseco valore aggiunto come persona? E quello relativo al contesto in cui agisco? Il questionario, disponibile in diverse lingue, è compilabile direttamente on-line (tempo richiesto circa 30 min). Il debriefing approfondito del profilo, della durata di circa due ore, viene svolto in presenza da un coach/consulente certificato. Il Modus Operandi: mette a fuoco gli elementi chiave del processo decisionale individuale, sia ciò che si considera che ciò che si tende a trascurare. I Pilastri: definiscono i talenti personali, i punti di forza su cui far leva e insieme i punti di attenzione su cui eventualmente centrare un percorso di crescita personale. I Potenziali: forniscono indicazioni sui potenziali di sviluppo personali, le preziose risorse nel “cassetto”. STRUMENTI PER IL COACHING –– 06 A ognuno il suo stile DoLquest® è inoltre uno strumento fondamentale per la crescita dei coach in quanto permette di mappare le caratteristiche fondamentali del proprio stile dominante di coaching. DoLquest® identifica quattro macro stili di coaching: Lo stile “Vision oriented”: ne fanno parte coloro che sono convinti che per raggiungere i propri obiettivi di coaching, il coachee debba prima di tutto identificare un obiettivo di medio/lungo periodo, una visione, un sogno da raggiungere; la ricerca è centrata sul “dove” e sul “perché”. Il coach porterà il suo coachee a riflettere su “dove lo portano le sue azioni” e sul “senso” delle sue scelte. Il coach è convinto che il senso del coaching sia portare il suo cliente ad alzare lo sguardo e guardare in avanti. Secondo lui, il coachee sarà motivato a cambiare comportamento, quando avrà chiarito la sua visione e le sue attese per il futuro. Lo stile “Relation oriented”: ne fanno parte coloro che sono convinti che il primo obiettivo del coach sia quello di aiutare il coachee a riflettere sia sulle sue emozioni che sulle sue relazioni in generale, la loro qualità, la loro importanza. Il coaching è centrato sull’ “Essere”, sul “Sentire” sulla “Consapevolezza emotiva”. Il coach porterà il coachee a fare un lavoro approfondito su di sé. Secondo lui, il coachee sarà motivato a crescere quando si sentirà apprezzato, riconosciuto e accettato per ciò che è come persona. Lo stile “To do”: è lo stile centrato sul fare. Ne fanno parte i coach convinti che l’obiettivo principale del coaching sia aiutare le persone a trovare un metodo per risolvere le loro criticità ed avere una miglior qualità di vita. Questo approccio si sviluppa secondo il principio “un passo per volta: a piccoli passi, si ottengono i cambiamenti desiderati”. Il coach porterà il suo coachee ad organizzare e pianificare meglio le sue azioni quotidiane, a rassicurarlo più che a sfidarlo. Lo stile “Performance oriented”: ne fanno parte coloro che portano i loro coachee ad analizzare in modo logico e razionale i fatti; li invitano a distaccarsi dalle loro emozioni in modo da avere una visione più obiettiva. Per loro l’obiettivo principale del coaching è quello di portare il coachee a migliorare la sua performance. Secondo lui, il coachee sarà motivato a crescere quando avrà individuato un obiettivo di performance oggettivo e sfidante. Con DoLquest i coach possono dunque individuare facilmente le leve motivazionali al cambiamento dei loro coachee, capire le radici dei loro bisogni per poi incrociarli con il loro “stile naturale di coaching”. 07 –– STRUMENTI PER IL COACHING Con l’esperienza di DoLquest® nel coaching è stato dimostrato che la cosiddetta “affinità di pelle” tra coach e coachee avviene quando lo stile di comunicazione dominante del coach è simile a quello del coachee. Ma la sfida più grande per la crescita professionale di un coach risiede nell’apprendere il linguaggio e la metodologia specifica per fare coaching a persone che hanno uno stile diverso dal proprio. I nostri coachee diventano in questi casi i nostri più grandi maestri. di Sheyla Rega* www.dolquest.com Il questionario MBTI e il Coaching Di Pier Marinoni Cos’è l’ MBTI Il Myers-Briggs Tipe Indicator (MBTI) è un questionario basato sulla “teoria dei tipi psicologici” dello psichiatra svizzero Jung. Identifica le caratteristiche che differenziano le persone e che, oltre a generare comportamenti diversi, possono essere fonte di malintesi e di comunicazione inefficace. Basandosi sulle proprie osservazioni, Jung concluse che le differenze comportamentali degli individui derivano dalla tendenza innata nelle persone ad usare la mente in modi diversi. Agendo secondo queste tendenze, tutti sviluppano modelli comportamentali diversi. Quindi, i modelli comportamentali sono organizzati in quattro coppie di preferenze che descrivono quattro attività : Energia: in che modo la persona si motiva, tramite l’estroversione o l’introversione Percezione : quello cui una persona fa attenzione e, in un’ottica aziendale, il modo in cui ama dare o ricevere informazioni, tramite la sensorialità o l’intuizione Decisione : in che modo una persona prende decisioni, se tramite il pensiero o le emozioni Vita: lo stile di vita adottato da una persona ed il modo in cui tende ad agire, tramite il giudizio o la percezione Il combinarsi di queste preferenze genera i 16 ”tipi psicologici” definiti da Myers e Briggs ( due studiose americane che, partendo dalle teorie di Jung, strutturarono nel secolo scorso il questionario odierno). In linea generale, il questionario permette di far emergere: - Le caratteristiche del “tipo psicologico” cui si appartiene - Il potenziale massimo: come si tende ad agire - Come gli altri possono percepire la persona - Le aree potenziali di crescita, anche in relazione a situazioni di stress. Tale colloquio interiore permette alla persona di migliorare sia la coscienza di sè e delle proprie preferenze di comportamento sia di acquisire consapevolezza della percezione che gli altri hanno di noi. Utilizzo dell’MBTI nell’ Executive Coaching In primo luogo l’MBTI è utile come base diagnostica per un percorso di crescita individuale (quale ad esempio il coaching one to one). In generale lo si può considerare appartenente alla categoria degli strumenti (tra cui il feedback a 360°, l’MBO, o altri tools che individuano preferenze comportamentali) che permettono al coach (e al coachee) di avere una sorta di assessment da cui partire per un programma di coaching individuale. L’MBTI in particolare è adatto alla “restituzione” del feedback iniziale in quanto permette al coach di discutere col coachee di alcune sue preferenze nel modo di pensare, lavorare e rapportarsi agli altri. Questa riflessione, condivisa con il coach e stimolata dalla lettura del report finale, permette al coachee di riconoscere (attraverso uno strumento “neutro” che non dà giudizi di valore) alcune sue caratteristiche, di vederne gli aspetti positivi ma anche le aree di miglioramento. E’ quindi un buon strumento per aiutare a definire, all’inizio del processo, gli obiettivi di sviluppo del percorso di coaching. Questo, in particolare, può essere indicato quando l’azienda mette a disposizione del coachee il programma di coaching, senza, tuttavia, aver individuato dei chiari obiettivi, ma piuttosto delle “aree” generiche su cui andare a lavorare. La discussione su queste “aree”, unitamente alla riflessione sui comportamenti agiti in azienda, stimolata dall’MBTI, permettono al coach e al coachee di precisare meglio gli obiettivi del percorso. Un secondo utilizzo dell’MBTI è relativo al Team Coaching. Il Team Coaching, richiesto dall’azienda per aiutare i gruppi a lavorare meglio insieme, vede riuniti colleghi che agiscono nella medesima funzione, oppure un Management Team, o ancora gruppi interfunzionali. Le diverse caratteristiche dei membri del team nel modo di pensare, agire e relazionarsi, possono creare malintesi e frizioni, che tendono a reprimere l’efficacia del team stesso. Il coach che ha il compito di supportare il team a trovare un funzionamento efficace, ha nell’MBTI uno strumento di lavoro prezioso. All’inizio viene fatto compilare il questionario individualmente: la “restituzione” avviene, in genere, in gruppo. Al team viene spiegato cos’è l’MBTI, come funziona e le caratteristiche individuali che evidenzia. Il messaggio trasmesso da parte del coach è che ogni caratteristica è “positiva”, che ogni diversità personale genera delle aree di forza e che anche caratteristiche diverse dalle nostre sono “giuste” ed utili, anche se possiamo far fatica a entrare in contatto con esse e con gli individui che le manifestano. In seguito vengono restituiti e condivisi con i partecipanti i profili dei “tipi psicologici” che emergono dal report. In tal modo il gruppo ha evidenza dei diversi “tipi” che lo compongono. Infine si presenta una “mappa” in cui sono riportati le tipologie dei diversi partecipanti e su questo si avvia una discussione facilitata dal coach su come comunicare meglio tra individui che hanno “tipi” molto diversi tra loro, avendo capito che queste differenze sono innate e “naturali” e che non devono generare confitti. A seguire, la discussione verte su come ogni membro del team può “trarre vantaggio” da membri del suo team che presentano “tipi” diversi dal suo, su determinati compiti in cui le proprie caratteristiche non sono particolarmente indicate. Il risultato di un team coaching di questo tipo è di permettere ai suoi membri di conoscersi meglio, di far diminuire conflitti legati a caratteristiche individuali non comprese e di aumentare la cooperazione e l’efficacia. Grazie all’MBTI questo processo avviene efficacemente e in tempi relativamente rapidi. di Pier Marinoni* STRUMENTI PER IL COACHING –– 08 I segreti del 360° Di Marina Fabiano Tanto per cominciare: in cosa consiste un buon 360°? Se ne sente parlare nell’ambito della valutazione delle competenze, ma poi ognuno ne deriva un significato diverso. Come appassionata utilizzatrice dello strumento, mi permetto di dire la mia. Un sistema di valutazione della leadership a 360° permette di identificare alcune interessanti aree di riflessione. Dato che nessuno di noi è un leader perfetto, è virtualmente utile sapere come siamo percepiti dagli altri, quelli che ci vedono all’opera quotidianamente, e non solo come ci vediamo noi nel nostro personalissimo specchio tinteggiato di rosa. Un ottimo 360° è prima di tutto anonimo, chi parla di noi non è riconoscibile e quindi è più onesto che mai. Dal nostro punto di vista, dobbiamo sforzarci di leggerlo come elemento di ulteriore miglioramento professionale, non certo come giudice dei nostri amati comportamenti abitudinari. Un 360° dimostra che “quanto percepito è reale”. Possiamo decidere di metterci sulla difensiva e discutere i risultati, ma visto che questi rappresentano la media dei pareri degli osservatori (il questionario della MRG Management Research Group rivela soltanto il punto di vista del capo (se ne consideriamo uno solo), altrimenti colleghi e collaboratori, o clienti ed altre categorie di osservatori si mescolano ed offrono una percezione mediata), dobbiamo proprio farcene 09 –– STRUMENTI PER IL COACHING una ragione e fissare la realtà. Inoltre, i comportamenti osservati e valutati dovrebbero essere confrontati con la situazione dell’azienda e del mercato di riferimento (ad esempio, quali sono i comportamenti ideali richiesti ai leader in questo momento e in questo contesto?). Un’analisi della leadership a 360° non va fatta per completare un percorso di valutazione delle performance di fine anno, ma deve avere obiettivi identificati e dichiarati. Il consulente che utilizza strumenti del genere di solito è certificato dal produttore, ha seguito corsi formativi, ha parecchia esperienza e si tiene aggiornato sull’evoluzione dell’oggetto. Il 360° della MRG utilizza un questionario basato su molteplici scelte (ipsativo), di difficilissimo auto-imbroglio, con elementi ripetitivi e di controllo casuale a prova di leader perfetto. Anche gli osservatori, mentre rispondono, non sanno a quali comportamenti si stanno riferendo, e perciò l’accuratezza delle risposte è (quasi) garantita. Infine, ciò che ritengo particolarmente appropriato per un 360°, è l’azione. Non serve a nulla ottenere una visione esterna della propria leadership, confrontata all’autovalutazione, per il gusto di sapere. Il passo obbligato è l’agire orientandosi su uno o due comportamenti che si desidera migliorare, in quanto se ne rilevano evidenti vantaggi. Lo strumento di MRG offre ampia documentazione a supporto del cosa fare e in quali occasioni, dal condividere i risultati con i diversi canali comunicativi (capi, colleghi, collaboratori), al confrontarsi con una sorta di leadership ideale stabilita dal management team, al concordare comuni azioni pratiche con gli osservatori o con un coach. Il linguaggio diventa subito condiviso e compreso, lo si impara fin da piccoli leader, il feedback è chiaro e accettabile. di Marina Fabiano Info a www.mrg.com Da Manager a leader: un salto sfidante Di Marina Fabiano (liberamente tratto da un’idea di ROBERT KABACOFF, Management Research Group www.mrg.com) Da impiegato di staff a manager è un bel passo: richiede capacità e comportamenti non facili. Dopo aver faticosamente accumulato alcune abilità stando in prima linea, non è detto che queste vadano bene nel passaggio successivo. Anzi, sicuramente ne occorrono altre, per transitare dal contributo individuale all’orientare un team di persone, e poi al dirigere un gruppo di manager. Le persone, e le aziende, sono molto interessate affinché questa transizione avvenga nel modo più efficace possibile, ma spesso non fanno abbastanza perché ciò accada e lasciano che tutto avvenga per caso, per grazia ricevuta o per eventuale iniziativa del protagonista. Impiegati desiderosi di fare carriera, di diventare supervisori, coordinatori, manager e poi leader, hanno bisogno di una mappa per orientarsi. Quali comportamenti da leader, quali abilità e competenze sono le più importanti? Quali oggi, e quali domani? Su cosa è meglio investire? I comportamenti del leader si aggiornano Nel 2010, la Società Management Research Group (www.MRG.com ), proprietaria di un sistema di valutazione della leadership a 360° tra i migliori al mondo, ha eseguito uno studio su larga scala partendo proprio da queste domande. Sono stati studiati circa 3000 manager di prima linea e 9000 leader in oltre 1500 organizzazioni americane, in 18 settori diversi. Ogni partecipante è stato inserito in un progetto di analisi dell’efficacia della leadership a 360°, cioè considerando i punti di vista di capi, colleghi e collaboratori, con un questionario orientato a 22 comportamenti da leader e più di 20 modalità di misura dell’efficacia. I comportamenti analizzati sono nell’area dell’innovazione, persuasione, comunicazione, orientamento strategico, gioco di squadra e tensione ai risultati. Le unità di misura dell’efficacia comprendono credibilità, attitudine al business, attenzione alle persone e potenzialità future. Comportamenti fondamentali del manager di prima linea La ricerca ha fatto emergere 7 comportamenti fondamentali. I manager che praticano questi atteggiamenti sono percepiti – da capi, colleghi e collaboratori - come i più efficienti. In ordine decrescente di importanza, questi sono: Pensiero strategico: in particolare, l’approccio strategico alla soluzione dei problemi e al prendere decisioni. Questi manager dimostrano di analizzare l’impatto futuro delle decisioni odierne, comprendono le interdipendenze all’interno della propria organizzazione e quindi l’impatto delle proprie decisioni su altri reparti e sull’intero sistema, hanno sempre in mente la domanda: “Dove stiamo andando, e come ci possiamo arrivare?” Comunicazione: dichiarare con chiarezza le proprie aspettative, esprimere il proprio pensiero, mantenere un flusso informativo costante e appropriato. Questi manager sono convinti dell’importanza di tenere gli altri aggiornati. Tecnicismo: acquisire e mantenere conoscenze approfondite del proprio ambiente. Questi manager sono immensamente preparati ed usano le loro credibili esperienze per guidare gli altri. Entusiasmo: lavorare con energia e intensità, esprimere emozioni. Questi individui sanno usare la propria passione per coinvolgere gli altri e tenerli motivati, catturare il loro interesse a livello emotivo, aiutandoli a sentirsi bene, facendo loro apprezzare il lavoro. Empatia: dimostrare attenzione alle persone e alle loro esigenze. Questi manager sviluppano relazioni strette con gli altri, investono tempo per conoscerli, enfatizzano valori come generosità e gentilezza, dimostrando sincero interesse per il benessere altrui. Controllo: non trascurare nulla, fissare momenti di condivisione delle azioni concordate, monitorare il procedere delle attività, assicurarsi che le promesse siano mantenute. Queste persone seguono il lavori dati in delega per accertarsi che qualità e quantità procedano di pari passo. Orientamento gestionale: cercare di influire stando in posizione di autorità, facendosi carico delle responsabilità, guidando gli altri e le loro energie. Questi manager cercano le occasioni per emergere, amano influenzare ed apprezzano l’essere alla guida, anche in posizione laterale. Imparano a sentirsi a proprio agio in situazioni direttive e sanno confrontarsi con gli inevitabili conflitti. STRUMENTI PER IL COACHING –– 10 E’ ovvio che i comportamenti appena descritti interagiscono e si fondono tra di loro. Il tecnicismo aggiunge profondità all’approccio strategico; empatia ed entusiasmo permettono di assumere ampie responsabilità senza perderne traccia, grazie ad un accurato controllo che non appaia troppo direttivo; la chiarezza comunicativa rende facile la relazione manageriale. Competenze vincenti per manager esperti Alcuni comportamenti si sovrappongono ai precedenti; altri se ne aggiungono: Il pensiero strategico è sempre importante, egualmente ad ogni livello dell’organizzazione, ben consapevoli che più si sale più la visione temporale si allarga. I manager di prima linea saranno quindi orientati tra i 6 mesi e i 2 anni, un senior manager guarderà oltre, dai 3 ai 10 anni. Benché, lo sappiamo bene, le incognite economiche e l’andamento dei mercati obbligano a sviluppare un certo strabismo strategico, dal breve al lunghissimo, a scansione continua. Comunicare persuadendo. Comunicare soltanto non è più sufficiente, occorre inserire capacità di influenzare gli altri portandoli ad apprezzare il proprio punto di vista, convincendoli della bontà delle proprie idee. Il mondo della politica insegna, senza strafare. Il tecnicismo diventa gestione delle conoscenze. Non è più così importante possedere tecnicismi profondi, diventa indispensabile sapere dove – e da chi – recuperare le informazioni necessarie, quali sono le fonti credibili e cosa far fare per ottenere risultati. Delega e controllo. Va ampliata l’abilità di delegare, affidarsi al contributo di altri, mantenere un elevato ma non invasivo controllo delle fasi in corso, essere a conoscenza delle capacità altrui, saper dare adeguati feedback. Che c’è di nuovo? Con l’aiuto di MRG e dei suoi strumenti, abbiamo elencato una serie di comportamenti di leadership tra i più importanti, per manager di primo livello e oltre. La sfida risiede nel comprendere quali abilità possediamo, quali sono potenziali, quali vacillano: quindi stilare un elenco di obiettivi comportamentali da raggiungere e – con il valido supporto di un buon coach – avviarsi verso la propria carriera, quella che, possibilmente, scegliamo di intraprendere. di Marina Fabiano* 11 –– STRUMENTI PER IL COACHING Yoga della Risata (ydr) in 5 punti Di Monica Giordani 1. “Ridere senza motivo” : questo è lo Yoga della Risata!!! In una cultura dove non si può ridere senza motivo e ci deve sempre essere una valida ragione per ridere … valida per chi? Mi verrebbe da dire…. Ecco dunque come lo ydr è uno strumento al di là degli schemi convenzionali, innovativo e rivoluzionario nella sua stessa definizione. Si tratta di un nuovo concetto dove chiunque può ridere senza motivo, non abbiamo bisogno di barzellette, scherzi o film comici. L’intenzione è quella di non coinvolgere l’aspetto cognitivo e bypassare il sistema intellettivo che normalmente agisce da freno sulla risata spontanea. 2. Ridiamo come forma di esercizio, quello che viene fatto è ridere in gruppo, come una sorta di esercizio, ma quando ci si guarda l’un l’altro e si entra in uno stato di giocosità, la risata stimolata diventa reale e contagiosa. 3. Lo Yoga della risata si basa sul presupposto scientifico che il corpo non avverte la differenza tra una risata reale e una indotta (se fatte con volontà) e si producono gli stessi benefici sia a livello fisiologico che psicologico. 4. La ragione per cui è chiamato Yoga della risata è perché si combinano esercizi di Yoga della risata con esercizi di respirazione Yoga (Pranayama) che consentono l’apporto di maggior ossigeno nel nostro corpo, e ciò ci fa sentire più energici e rinvigoriti 5. Lo Yoga della Risata (Hasya Yoga) è nato in India nel 1995 ad opera di un medico, il Dr.Madan Kataria, ed ebbe inizio con sole 5 persone in un parco di Mumbai. Ora ci sono più di 60.000 Club in più di 60 paesi nel mondo. Lo Yoga della risata (ydr) è uno straordinario metodo rivoluzionario per ridere senza motivo. L’incredibile successo è dovuto alla straordinaria combinazione di tecniche di risata tramite esercizi di creatività e di movimento, di carattere ludico e relazionale che partono dal recupero della giocosità tipica dei bambini, con tecniche di respirazione dello yoga e stretching. I benefici sono enormi, fisici ma non solo, dall’aumento dell’autostima al miglioramento delle relazioni. Il risultato non solo è sorprendente per la sua immediatezza, ma soprattutto per la sua profondità. Intervista di Marina Fabiano a Monica Giordani Domanda: Parliamo di strumenti di coaching: ritieni che lo YOGA DELLA RISATA possa essere definito “uno strumento”? Perché? Risposta: Assolutamente SI, è uno straordinario strumento di coaching per rimuovere inibizioni, barriere e convinzioni limitanti che ci impediscono di essere autentici e di esprimere al meglio le nostre qualità. Il Coach con la C maiuscula (come ben dice Dilts) è colui che aiuta il proprio cliente ad essere allineato ai propri valori ad agire con spinta propulsiva di cui solo la congruenza e l’allineamento sono portatori. Sono convinta che il coachee possa raggiungere risultati eccellenti, soprattutto liberando la propria autenticità per poter esprimere il meglio di sé ed ”osare essere se stesso” in una società che tende ad incasellare ed etichettare le persone in base ai ruoli e ai comportamenti. Inoltre uno dei compiti principali del coach è quello di aiutare il cliente ad osservare le situazioni da diverse prospettive, ad aiutarlo a sviluppare flessibilità e creatività. La produzione endogena di endorfine ottenuta attraverso il ridere, incrementa la creatività, ciò che ci consente di produrre nuove soluzioni a vecchi problemi e quindi di generare comportamenti attuali più funzionali ai risultati che vogliamo conseguire. Lo ydr è anche un potentissimo strumento per fa comprendere alla gente che la felicità e la risata sono stati mentali, che non devono essere condizionati dagli alti e bassi della vita. “La qualità della nostra vita dipende dallo stato della nostra mente.” Sri Ravi Shankar Lo YdR ci aiuta dunque ad impare a “gestire gli stati mentali”, a promuovere un’attitudine mentale positiva per entrare in contatto con le situazioni negative; ci aiuta a rapportarci con situazioni e persone difficili nella maniera migliore. D: Con quale stato d’animo le persone si avvicinano a questa “novità”? R: Ho quasi sempre riscontrato “curiosità” e “interesse” nelle persone che si avvicinano allo Yoga della risata. C’è un gran desiderio di giocosità e di leggerezza (soprattutto negli ambiti aziendali). Può capitare che durante la pratica, alcune persone si “vergognino” e possano essere tentate di allontanarsi. Sono persone molto timide ed introverse, che durante la sessione di risata, devono fare i conti con se stesse e con i propri limiti; mettono in moto i vari meccanismi di difesa (se esprimono il bisogno di migliorarsi suggerisco loro STRUMENTI PER IL COACHING –– 12 un programma di ydr one-to-one appositamente studiato che dura dalle 4 alle 8 sessioni). L’abilità del coach/ leader di risata sarà quella di intervenire delicatamente, calibrando le difficoltà e modulando di conseguenza l’intervento. Vi faccio un esempio delle obiezioni più frequenti e delle risposte suggerite: Obiezione: “….. ma io rido già spesso durante la giornata …” Risposta: Al fine di ottenere i benefici scientificamente provati della risata, bisogna ridere in maniera continuativa per almeno 10-15 minuti, mentre la risata naturale non dura che pochi secondi. Per ottenere il massimo dei benefici dalla risata questa deve essere forte e fragorosa e provenire dal diaframma. Potrebbe non essere socialmente accettabile ridere fragorosamente, ma la sessione di risata “ci autorizza” a ridere di pancia. La risata spontanea che facciamo nella nostra quotidianità dipende da molte ragioni e condizioni, ciò significa che la risata è lasciata al caso, può capitare o no. Nella sessione della risata invece, questa non è lasciata al caso ma deriva dal nostro impegno. Obiezione: “come posso imparare a ridere se non ho mai riso?” Risposta: Il nostro corpo può essere “programmato per ridere”, e pensare di fare é come fare (tecnica delle visualizzazioni). Inoltre la ripetizione è la madre di ogni insegnamento (condizionamento cani di Pavlov) E continuando a riprodurre la risata programmiamo il nostro corpo a ridere. Obiezione: “come si fa a ridere se non ho lo spirito per ridere?” Risposta: Puoi cambiare il tuo “umore” con la risata e questo è spiegato con la teoria scientifica del “motion creates emotion”. Chi è depresso parla lentamente e si muove lentamente. La mente è collegata al corpo, ecco perché diciamo alle persone “esci a farti un giro” . Il tuo corpo può controllare la tua mente. Madan Kataria dice: ”Porta il tuo corpo a ridere e la tua mente riderà con lui” ovvero, se ci si comporta come una persona felice, la chimica di questo stato mentale diventa reale. G.B.Shaw soleva dire ” la vita non cessa di essere divertente quando le persone muoiono come non cessa di essere seria quando esse ridono” D: Lo sanno tutti che ridere fa bene. In azienda, ce lo permettono o può essere considerato una perdita di tempo dai seri professionisti tutti dediti al business? R: Il lavoro è una cosa seria e non seriosa!!! A causa del troppo stress, il posto di lavoro è diventato un luogo troppo “serioso”. Si tende spesso 13 –– STRUMENTI PER IL COACHING a credere che le persone serie siano più responsabili e più produttive, ma ciò non è per nulla vero. Le persone più efficaci sono quelle che prendono sì il lavoro seriamente, ma che sanno anche prendere se stessi alla leggera. Lo Yoga della risata, un fenomeno che ebbe inizio come movimento Social Club, è ora entrato nelle aziende, fornendo alle organizzazioni potenti benefici operativi. I dirigenti d’azienda hanno scoperto che con l’introduzione di sessioni della risata, il posto di lavoro diventa un luogo più felice, l’efficienza aumenta, la comunicazione migliora, le vendite e la produttività, così come la creatività, incrementano; l’affiatamento e il gioco di squadra migliorano, la malattia e l’assenteismo diminuiscono, e c’è meno turnover. In conclusione, grazie agli studi scientifici, e alla copertura dei media su scala mondiale, anche i seri professionisti tutti dediti al business si stanno sensibilizzando e dimostrano un interesse verso queste sorprendenti e semplici tecniche. (vedi numerose pubblicazioni nel TIME Magazine, National Geographic, Wall Street Journal, Los Angeles Times, Daily Telegraph e molti altri, come pure note reti televisive come BBC, CNN, ZDF (Germania), NHK (Giappone), ABC news (USA) e la stessa RAI. D: Quali sono gli scopi primari per concedersi una bella risata? R: La risata è un dono della Natura, e quindi lo scopo primario, dal mio punto di vista, è quello di connettersi con la “Fonte”: gli uomini sono nati per essere felici e giocosi mentre la tristezza è una patologia. La dott.ssa Jane Yip, psicologa e ricercatrice australiana, afferma che lo YdR: «(...)è l’inizio di un progetto sociale che porterà alla pace, con un potenziale per unire il mondo che non tiene conto della razza, del sesso, della classe sociale o dell’affiliazione politica o del credo religioso, in quanto si ride tutti allo stesso modo». Ridere cambia l’atteggiamento mentale, dona un senso di benessere e di leggerezza, sviluppa la personalità e la maggiore consapevolezza di sé aumentando la propensione alla leadership e provocando un miglioramento della capacità di lavorare in team con un incremento della creatività. E non dimentichiamo che è anche un ottimo esercizio per persone impegnate: oggigiorno si è così occupati che spesso non si ha il tempo per fare dell’esercizio fisico. Il Dr. Williams Fry dell’università di Stanford ha dimostrato che 10 minuti di sana risata equivalgono a 30 minuti sul vogatore. Non in termini di movimenti muscolari, ma di resistenza cardio-polmonare. E’ stato provato scientificamente che in 20/30 minuti l’organismo riesce a rigenerarsi in modo straordinario sia sotto il profilo del benessere fisico che del benessere fisico che del benessere psicologico, con modalità del tutto naturali, per nulla faticose, anzi divertenti. D: Esiste una tecnica anche per ridere o si può fare ognuno a modo suo? R: Il fulcro dello Yoga della Risata è: ridere senza motivo come forma di esercizio. Si tratta di un insieme di semplicissime tecniche, da fare sia da soli che in gruppo: le possiamo sintetizzare nei “4 passi” : 1. Battito delle mani canto e movimento 2. Esercizi di respirazione profonda (pranayama) 3. Recupero della giocosità dei bambini 4. Esercizi di risata Imparare queste tecniche è semplicissimo: oggi lo si può fare facilmente anche in Italia, e in contesti diversi (gli incontri devono essere condotti da Leader certificati, mentre la formazione Leader deve essere fatta da Teacher certificati). Come? - frequentando gratuitamente un Club della risata - partecipando ad un workshop di approfondimento - certificandosi LYL (Laughter Yoga Leader) con un corso specifico di 2 giorni consecutivi - tramite incontri individuali con un coach certificato LYL A tutti voi: provare per credere!! Mark Twain: “E’ inutile prendere sul serio la vita, tanto non se ne esce vivi” Per approfondimenti visitare il sito ufficiale internazionale del Dott.Kataria www.laughteryoga.org e quello dell’Associazione Italiana Yoga della Risata: www.yogadellarisata.it di Monica Giordani* STRUMENTI PER IL COACHING –– 14 Individual Effectiveness Di Enrico Illuminati L’Individual Effectiveness è un tool di Intelligenza Emotiva sviluppato da JCA Occupational Psychologists (www.jca. eu.com) con il Centre for Applied Emotional Intelligence. Fornisce la misura di 16 scale dell’IE che variano dalla considerazione di sé e degli altri, alla fiducia, la flessibilità e determinazione, alle abilità di relazione, assertività e capacità di gestire i conflitti. Questo strumento consente di mettere in evidenza le caratteristiche fondamentali che determinano la leadership di successo, le relazioni basate sulla fiducia, l’alta performance, il benessere e la produttività. Il questionario è composto da 132 domande a cui rispondere on-line e può essere erogato al coachee sia sottoforma di self-assessment che di feedback 360°. Osservando il Framework IE di JCA qui sotto, il collegamento tra i tre livelli (atteggiamenti, emozioni ed azioni) e le diverse parti (intrapersonale –sé- ed interpersonale –altri-) dell’IE, è necessario per consentire l’equilibrio e la coerenza dei nostri comportamenti ed obiettivi, e determina la nostra efficacia personale. Questo strumento può essere utilizzato trasversalmente in tutte le specialità di Coaching dal Life all’Executive. Di seguito riportiamo alcune testimonianze di Coach Professionisti che lo utilizzano nella loro pratica di Coaching. Ioia Rocco – Corporate Coach Utilizzo questo tool con Quadri e Dirigenti. A livello di Quadro, l’Individual Effectiveness è utile per identificare quali caratteristiche dell’Intelligenza Emotiva della persona influenzano o sono di ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo di Coaching. Soprattutto quando gli obiettivi sono multipli e ricadono nella sfera delle relazioni con gli altri. E’ uno strumento accelerante per scoprire alcune dinamiche interne del coachee, che lo possono ostacolare nel raggiungimento dell’obiettivo. In particolare permette di rilevare il proprio atteggiamento di base predominante (equilibrio fra la Considerazione di sé e degli altri). Costituisce una sorta di punto di partenza importante per affrontare temi come la gestione dei conflitti, la negoziazione, la gestione dei collaboratori, in quanto rappresenta l’approccio emergente del Coachee al tema. Come strumento autovalutativo, mette la persona nello stato mentale di accettare il risultato più rapidamente, perché è lì, nero su bianco. Con i Dirigenti, quando le competenze si danno per acquisite ed il livello è già alto, permette di individuare facilmente l’area che potrebbe far fare l’ulteriore salto di qualità. Franca Bisi –Corporate Coach Lavoro prevalentemente in ambito Corporate, ed è uno strumento che propongo in contesti di sviluppo, facendo un lavoro preparatorio in cui la persona ha voglia di mettersi in discussione. Questo strumento mi ha sorpreso per la sua efficacia nell’andare in profondità alle radici dei comportamenti: è come se i comportamenti metaforicamente fossero i rami dell’albero, gli atteggiamenti e “mindset” le radici che sono rappresentati in questo tool dalla Considerazione di sé e degli altri, da cui deriva poi tutto ciò che ci sta sopra. Quando si utilizzano questo tipo di strumenti, il rischio può essere di imbarazzo ad entrare in queste aree e va quindi utilizzato con riservatezza. In Azienda, laddove di solito c’è la triangolazione Committente, Coach e Coachee, la mia tendenza è che l’oggetto sia riservato alla relazione fra Coach e Coachee. Camilla Rovelli – Career & Business Coach Ritengo l’Individual Effectiveness uno strumento molto efficace come punto di partenza per il Coachee per evidenziare aspetti personali di cui di solito non si parla e non si dà attenzione, in particolare la Consapevolezza di sé e degli altri. Ho riscontrato nello strumento la grande capacità di favorire nel Coachee dei forti “insight” che gli rivelano per la prima volta aspetti che non aveva mai considerato. E’ uno strumento considerato di sviluppo, e quindi non ha senso utilizzarlo da solo ma è necessario affiancarlo ad un percorso di Coaching. Quando si parla di Intelligenza Emotiva, c’è la tendenza a considerarla erroneamente un argomento che ha poco a che fare con il business, ed è per questo che c’è una certa diffidenza iniziale quando lo si propone in ambito Corporate; il mio riscontro, e quello dei miei Clienti, è invece il grande valore che lo strumento possiede per consentire una maggiore conoscenza di sé su aspetti che di solito non vengono considerati. L’Intelligenza Emotiva (QE Quoziente Emozionale) affianca il più noto QI (Quoziente Intellettivo) e le abilità. Non tenere conto dell’’IE/QE vuol dire lavorare solo sul 50% della persona. E’ per questo che ritengo che questo strumento abbia un impatto maggiore in Azienda. Sergio Amatulli –Corporate Coach Utilizzo l’Individual Effectiveness all’inizio di percorsi di Coaching come fonte di “feedback” iniziale per delineare/individuare gli obiettivi del percorso. Spesso è una bussola che indica la direzione da prendere. Risulta essere un “feedback” del Manager sul comportamento Aziendale come autoanalisi, momento di riflessione che consente un grande aumento della consapevolezza. A volte la committenza può non aver dato feedback specifici al Coachee e quindi diventa un quarto elemento nella triangolazione iniziale. Avvantaggia il processo di Coaching poiché diventa più breve. Alcuni elementi sarebbero potuti emergere comunque durante il percorso ma lo strumento accelera questa scoperta, come se si fosse più avanti nelle sessioni. Al Coachee piace la “neutralità” poiché non è un feedback calato dall’alto ma dato da sé stesso, più facile da accettare. A differenza di altri strumenti, è molto calato sull’individuo e meno sull’essere incasellato in categorie (testimonianza di Clienti); altro aspetto rilevante è che il Coachee viene inserito in un gruppo di confronto specifico, e quindi il suo profilo personale ha un riscontro più coerente rispetto alla sua posizione professionale o al contesto in cui opera. Il Distributore esclusivo in Italia è Foresight S.r.L. www. foresightcompany.it. di Enrico Illuminati* Lo strumento Individual Effectiveness ed il logo sono un marchio registrato di JCA Occupational Psychologists Limited. JCA si riserva tutti i diritti ed è il proprietario esclusivo nel mondo www.jca.eu.com. STRUMENTI PER IL COACHING –– 16 Situazioni Appiccicose Sono quei momenti in cui non sai bene come proseguire il dialogo, quando cominci a pensare di essere inadeguato nel tuo ruolo di coach (e di managercoach). Cambiare argomento? Insistere? Dichiarare “non so più che dire…”? Ad ogni edizione, CoachMag propone una situazione appiccicosa e chiede a tre coach esperti di esprimere il proprio parere. Le Tariffe di una sessione o di un percorso di Coaching Il punto di vista di Linkedin, Italian Coaching Group Post tratti da una discussione sul tema “i costi del coaching”. Ne riporto alcune parti, per la conoscenza di chi frequenta poco i social network, incoraggiandovi ad andare a leggere non solo tutta la discussione, ma anche i risultati della ricerca pubblicata da Coaching Studio http://coachingstudio.it/2010/12/13/tariffe-del-coaching Dialogo avviato da Riccardo Montanari: mi piacerebbe sapere qual è la media secondo voi del costo che un cliente paga per una sessione di Coaching. Chiara Bottini: credo dipenda da una serie di fattori: 1) il tipo di lavoro che coach e coachee dovranno sviluppare insieme (quante sessioni sono individuate come “opportune” da parte di entrambi); 2) che tipologia di coaching (life, business, executive, ecc) e, quindi, se saranno previsti incontri anche con i responsabili del coachee oppure no 3) se il cliente in questione è in contatto diretto col coach oppure c’è di mezzo una società provider, attraverso cui il coach acquisisce clienti 4) il livello di esperienza del coach Detto questo, nella mia esperienza il range varia dai 350 ai 1000 euro a sessione... ma c’è anche chi chiede di più.... Riccardo Montanari: anche io ero fasato su queste tariffe e c’è davvero chi chiede anche di più (secondo me con ragione). Le mie sessioni rientrano nel range che lei ha detto, solo che a volte la gente strabuzza gli occhi a sentire queste cifre... Ho aperto pertanto questo post x capire se ero overprice, oppure c’è chi chiede davvero poco pur di “trovare clienti”. Chiara Bottini: capisco perfettamente! Il fatto che non si entri ancora nella mentalità di pagare le competenze piuttosto che i “minuti” impiegati nella sessione (senza contare tutto il lavoro che c’è dietro) non agevola le professioni ad altissimo valore intellettuale, come il coaching o anche la formazione.... Tuttavia la strada della consulenza sembra disseminata di committenti “imperfetti” e, spesso, la “guerra dei poveri”, con le tariffe a ribasso, è una sgradevole necessità da cui non è semplice stare lontani, per non inquinare il mercato.... Marco Valerio Ricci: mi sembra che le tariffe di cui si parla siano di gran lunga eccessive e che contribuiscano a creare confusione in un mercato che è già particolarmente confuso. Quando i miei allievi mi chiedono quanto farsi pagare indico un range che va dai €60,00 a sessione per i neo-certificati fino ai €200,00 per chi ha un’esperienza veramente notevole nell’ambito life, mentre in ambito business la forbice si alza a €120,00 - €500,00 - organizzati in pacchetti. Inoltre è fondamentale che siano chiari a priori durata e aspettative comportamentali del coach, troppe volte ho trovato persone che si erano rivolte a coach che la “tiravano per le lunghe”…ed ovviamente non erano soddisfatti del servizio! Riccardo Montanari : sono d’accordo sull’etica e i confini della professione. Per il resto 60 Euro per una sessione di life coaching, mi pare veramente uno schiaffo alla professionalità di una persona che già ha investito soldi e tempo su sè stessa. 120 Euro x il business, mi pare un pugno più che uno schiaffo. E comunque se riuscite a mangiare con queste tariffe buon per voi... Chiara Bottini: La competenza dovrebbe essere pagata. E dovrebbe essere etica non in quanto pagata 100 piuttosto che 500, ma in quanto seria, trasparente, ricca di contenuti reali (non immaginari...) e utile, così come da aspettative del committente. Mettere ordine è buona cosa (albi, tariffe, ecc), soprattutto se non si aspira a livellare ciò che non si può livellare. Poi..se si dovesse arrivare al tariffario fisso a 60 euro l’ora, beh, ognuno farà le sue scelte...credo.... 17 –– STRUMENTI PER IL COACHING Riccardo Montanari: A 60 Euro (Io sono di Milano) cambierei sicuramente professione. Allora paghiamo i piloti degli aerei come quelli dell’ATAC o dell’ATM? Oppure tra guidare un autobus ed un aereo ci vogliono competenze diverse? E tra pilotare un aereo x Ryanair o Emirates c’è differenza? Mattia Rossi: Se chiedi a un autista dell’ATM, rischi di sentirti rispondere che lui lavora 8 ore filate in mezzo al casino, venendo insultato, rischiando aggressioni fisiche ecc ecc, mica come quei damerini dei piloti che lavorano 2 ore e riposano 2 giorni, e sarebbe giusto che li prendesse lui 10mila euro al mese... Invece se chiedi a un passeggero, ti risponderà che ovviamente guidare il tram è più facile ed è giusto che i piloti d’aereo siano pagati di più dei tramvieri. … non considero quale differenza ci sia tra pilotare Ryanair piuttosto che British, bensì quale differenza di esperienza vivo io come cliente. Nonché quanti soldi oggettivamente come cliente posso permettermi di spendere. Inoltre. Da un lato ciascuno coltiva il proprio mercato come la sua professionalità e le circostanze gli consentono di fare, e dunque vende il proprio valore soggettivo al prezzo più vantaggioso che ha l’abilità di spuntare. Dall’altro, mi pare ci sia ancora molto ma molto lavoro da fare per diffondere un messaggio percepibile e intelligibile da parte della gran massa del mercato potenziale, e in questo credo sia molto utile consolidare una definizione di coaching con relative linee generali per far capire con immediatezza di che cosa stiamo parlando. Il coaching ancora deve spiegare alla “gggente” che cosa sia esattamente. E in questo credo che le associazioni professionali possano e anzi oserei dire debbano giocare un ruolo di primo piano - senza intaccare l’area di autonomia e creatività che caratterizza questa come tutte le professioni. Alla fine credo che arriveremo alla situazione che vivono tutte le professioni: ci sono quelli che arrancano sulle tariffe minime, quelli che si fanno la loro strada dignitosamente, e quelli che ci si pagano lo yacht a Montecarlo. Eppure sono tutti definiti commercialisti o avvocati o architetti… e non credo che nessuno di quelli con lo yacht si lamenti che quelli con la Panda deprimono l’immagine e la dignità della professione. Semplicemente, ognuno si posiziona nella sua fascia di mercato, affidando la remunerazione del proprio lavoro non ad una generica e astratta dignità della professione bensì alla propria personale soggettiva capacità di erogare valore e di gestirlo imprenditorialmente. Serenella Panaro: credo che molto dipenda dal target al quale ci rivolgiamo. Se si lavora con clienti life (che perlopiù In Italia ancora non hanno idea di cosa sia il coaching) o si lavora con giovani o con persone in cerca di lavoro è assolutamente impossibile applicare le cifre che ha indicato Riccardo. Condivido con voi però anche questa soddisfazione non meramente economica. Ho fatto sessioni con uno studente davvero talentuoso che ha iniziato a lavorare in una multinazionale e che confrontandosi con il suo manager che gli raccontava i gran benefici che otteneva nel lavoro con il proprio coach, gli ha risposto, sorprendendolo, che anche lui, studente alle prime esperienze aveva il suo coach! Credo che la nostra sia una professione importante e dovrebbe democratizzarsi sempre più allargando i target di riferimento. Non intendo -svendersi-(attenzione!) ma neanche creare l’idea che o sei Rockefeller o non puoi permetterti di lavorare con un coach. La professionalità e la competenza non dipendono da quanto chiedi, a mio avviso. Occorre mantenersi su quote adeguate alla professione (non troppo basse, altrimenti è volontariato!) ma applicare il giusto prezzo per il giusto target, accompagnando il tutto con una riflessione personale su quale per noi, singoli professionisti Coach, sia il limite personalmente accettabile. Valentina Licciano: ho letto con molto interesse tutti i vostri commenti... Da neofita ho apprezzato davvero le vostre parole sulle tariffe e soprattutto i commenti sulla professionalità del coach... Ho 31 anni e sono appena diventata coach di 3° livello con specializzazione in Life Coaching. Non sono ancora iscritta ad ICF ma presto mi iscriverò dopo aver fatto tanta tanta tanta pratica :) A ragione di questo vi dico che sposerò la filosofia della migliore tariffa soggettiva commisurata all’esperienza. Se all’inizio, senza alcun nome alle spalle, senza alcuna garanzia dovessi affacciarmi al mercato con una tariffa di 250 euro a sessione, credo fortemente che il mio suicidio sarebbe letale... Credo anche però che tra Business e Life ci siano parecchie differenze e che tutto debba essere commisurato al target che ti cerca e che ha bisogno di un coach. Roberto Roppi Brenta: 50€ x h di media. Per un’impresa non profit anche 20€ x h. A Marchionne 500€ x h, magari aggiungendoci un buon Team Building presso una fabbrica polacca e procedendo molto lentamente, come il falegname che mi ha montato la cucina. Giovanna Giuffredi: interessante scambio su un tema che pone molti interrogativi soprattutto ai neo coach. Un Coach appena uscito dalla mia scuola chiede circa 60 euro, specificando anche che è un neo coach. In tal modo il mercato non viene inquinato, ma è chiaro e trasparente il livello di formazione e di esperienza. Aumentando la seniority, acquisendo anche una certificazione per esempio ICF, si comincia a chiedere di più. Nel Life si arriva anche a 200/300 euro a ora. Il Coaching non deve essere un intervento d’elite. Per questo motivo ho fondato quest’anno un Associazione non profit che offre servizi di Coaching a tariffe agevolate e in tal modo agevolo anche i neo coach che vogliono fare esperienza e sono interessati a tematiche sociali. Quando si parla di Business e in particolare di Executive, le tariffe cambiano e, sempre in base alla seniority del coach, vanno da 400€ a 2000€ a sessione. Come sappiamo non esiste un albo professionale e sul mercato il coaching ha davvero molte sfumature. Personalmente mi muovo in ambito ICF, dove sono definiti sia il codice etico che gli standard professionali. Dal mio punto di vista deve essere chiaro come riconoscere e declinare in comportamenti specifici le famose 11 competenze ICF e come sviluppare un percorso di coaching, sia sul piano relazionale che di governance. Ma come molti di voi hanno sottolineato, credo che sia giusto agire nel rispetto della diversità degli approcci, purché con etica e responsabilità. Giulio Ardenghi: Sono allineato, più o meno, con i costi orari di una sessione di business coaching, almeno qui in Italia. La differenza è che io contrattualizzo anche una parte in funzione dei risultati ottenuti. Risultati concordati col cliente e di carattere quantitativo, e quindi indiscutibili. Questa parte la esprimo in valore assoluto e non in %. Quindi la mia esperienza sembra premiare un doppio approccio: fisso orario + bonus a raggiungimento risultati da parte del cliente. Bene, interessante discussione. E con ciò? Dov’è la Situazione Appiccicosa e quali sono le soluzioni suggerite? Rinnovo l’invito ad esplorare la ricerca effettuata dalla Comunità di Pratica Milano 1 (avviata da Sheyla Rega, risultati elaborati da Valerie Ryder, comunicazione a cura di Marina Fabiano) e pubblicata da Coaching Studio e a tirare, ognuno, le proprie conclusioni. STRUMENTI PER IL COACHING –– 18 Il metodo coaching “Orientato alla Soluzione” Di Paolo Terni Di questi tempi, trovare clienti che abbiano il budget per 6, 8, 10 o piu’ sessioni di coaching è estremamente difficile. D’altro canto, “accorciare” il percorso standard di coaching non è un’idea che tipicamente ci attrae - come coach vogliamo offrire il miglior servizio possibile al cliente. Come fare? Anche se in un contesto ben diverso, in una situazione simile si trovarono un gruppo di terapeuti del Milwaukee Brief Therapy Family Center sul finire degli anni ’70: una numerosa comunità da seguire e poche risorse economiche. Fortunatamente, il gruppo di terapeuti guidati da Steve De Shazer e Insoo Kim Berg era composto da anime curiose e fortemente orientate alla ricerca. Si impegnarono quindi in un progetto di sperimentazione empirica per capire che cosa fosse necessario e che cosa no per ottenere risultati in terapia. In altri termini, non partirono da una teoria - semplicemente iniziarono a sperimentare e a misurare, creando un protocollo di intervento tramite un lento processo evolutivo di tipo darwiniano, mutando una domanda qui, un commento là, e osservando i risultati. Nel corso degli anni, mantenendo questo stretto approccio empirico, iniziarono ad emergere alcune sorprendenti conclusioni: 1. è possibile avere esiti altrettanto positivi di lunghi percorsi di terapia anche in solo due o tre sessioni 2. trasferire il ruolo di esperto dal terapeuta al cliente è il metodo migliore per stimolare il cliente ad agire e a risolvere i suoi problemi 3. un’analisi del problema, cosi come prescritta dal modello medico e dal classico modello di problem solving, non è necessaria per il successo della terapia. Da questo ultimo punto il nome “Orientato alla Soluzione” (Solution-focused), in contrapposizione ad un “orientamento al problema” tipico dei modelli di intervento classici. Studi successivi svolti in psicologia hanno confermato che non c’è correlazione fra insight sulle cause del problema e soluzione del problema stesso - una persona può sapere benissimo quale episodio ha determinato certi comportamenti disfunzionali, ma questo ancora non dice niente su come cambiarli. Se conoscere le cause del problema fosse sufficiente a risolverlo, non esisterebbe la sindrome da post-stress traumatico: l’evento traumatico è chiaro e presente, il problema è come superarlo! I protocolli terapeutici “orientati alla soluzione” si sono 19 –– STRUMENTI PER IL COACHING affinati nel corso del tempo e ormai sono ben consolidati, nella pratica e nella ricerca. Sono stati poi adattati negli anni 2000 per l’impiego nella consulenza (Mark Mc Kergow, Paul Z; Jackson, “Solution Focus”; trad. it. “Punta alla soluzione”, Franco Angeli, 2010) e nel Coaching (Insoo Kim Berg, Peter Szabo “Brief Coaching for Lasting Solutions”, Norton, 2005). L’approccio orientato alla soluzione, dal mio punto di vista, è l’incarnazione pratica delle aspirazioni del coaching, cosi come articolate dalla definizione di coaching presente sul sito della Federazione Italiana Coach. Il “Solution-focus” offre infatti un protocollo (ovverosia una serie di domande e di passi precisi) ben codificato, pragmatico, scientificamente validato, che mette radicalmente al centro dell’intervento il cliente e che è esclusivamente orientato alle possibilità future. Vantaggi commerciali I vantaggi di questo metodo da un punto di vista commerciale sono chiari: aprire al coaching il mercato di persone ed organizzazioni che non possono permettersi percorsi di coaching articolati su di un numero elevato di sessioni, garantendo loro la stessa qualità di risultati, raggiunti nel giro di un paio di sessioni. In particolare, trovo molto utile l’approccio “orientato alla soluzione” per: - executive coaching: uno degli assunti base dell’approccio orientato alla soluzione è che il cliente è l’esperto - questo tipo di atteggiamento paga nel coaching con gli alti livelli, persone che hanno poco tempo, hanno maturato parecchia esperienza ed hanno bisogno di riorganizzarla cognitivamente e di accedervi più che di imparare qualcosa di nuovo. - life coaching: laddove il cliente si sente “bloccato” o deve prendere una decisione, lo sguardo al futuro che una conversazione “orientata alla soluzione” offre è particolarmente utile; il protocollo è disegnato per aiutare il cliente a prestare attenzione ai piccoli cambiamenti in atto nel presente, alla luce del futuro desiderato - e spesso questa è la chiave di volta per andare al di là degli ostacoli percepiti dal coachee. Come membro della Faculty di Solutionsurfers Brief Coach Training, il gruppo guidato da Peter Szabo, e quindi nella veste di formatore di altri coach, apprezzo molto l’efficacia del metodo orientato alla soluzione come strumento da proporre ai principianti; il protocollo è semplice e fornisce al coach alle prime armi una solida struttura su cui ancorare il proprio intervento, senza perdersi in mille tecniche ma focalizzandosi sugli elementi necessari per condurre una sessione di coaching di successo. La prima edizione italiana del corso di formazione al Solution-Focused Brief Coaching di Solutionsurfers si terrà nel 2011, rendendo finalmente disponibile anche ai coach di lingua italiana questo interessante metodo di coaching. di Paolo Terni* Orientarsi nella complessità: Coaching e mappe mentali Di Roberta Buzzacchino Stiamo vivendo un momento senza precedenti, dove tutto si trasforma rapidamente. Nel mondo che sta emergendo la complessità è una condizione irriducibile quanto ineluttabile che, se da una parte genera confusione e incertezza, dall’altra offre la possibilità di ripensare noi stessi in modo nuovo, creativo e innovativo. A volte però non è facile orientarsi nella complessità. Immaginiamo la vita come un gomitolo fatto di tanti fili di colori diversi (famiglia, lavoro, passioni, desideri, responsabilità…) che si possono aggrovigliare creando nodi che non ci consentono di tessere la nostra trama. Come fare per dipanare la matassa e far sì che ciascun filo possa, nell’unicità del suo colore, rendere più prezioso il nostro tessuto? In questo contesto il coaching è uno strumento potente per orientarsi nella complessità e raggiungere gli obiettivi attinenti alla sfera non solo personale ma anche professionale. Durante il percorso di coaching può essere utile il metodo delle mappe mentali messo a punto dal cognitivista inglese Tony Buzan agli inizi degli anni ’70. La mappa mentale: cos’è e come si fa Una mappa mentale è la rappresentazione grafica del pensiero attraverso parole e immagini secondo una struttura gerarchico-associativa che si sviluppa in senso radiale. Essa si basa sulla capacità naturale della mente umana di associare idee e pensieri in maniera non lineare e permette di sfruttare al meglio le potenzialità latenti dell’emisfero destro del nostro cervello, cioè quello che elabora le informazioni in modo globale, creativo, intuitivo, emotivo e farlo lavorare in sinergia con l’emisfero sinistro che invece è logico, razionale. Per realizzare una mappa mentale partiamo dal centro del foglio, in posizione orizzontale, dove rappresentiamo l’argomento da sviluppare con parole e immagini. Procediamo in senso orario tracciando un ramo e poi un altro, e poi un sottoramo, sui quali scriviamo parole chiave accompagnate da immagini. Continuiamo creando legami fra un ramo e l’altro, fino a che non costruiamo una trama complessa che rappresenta tutto il processo del nostro pensiero. In una mappa mentale l’organizzazione sinsemica* degli elementi di scrittura (parole chiave e immagini) permette di visualizzare correlazioni che con la scrittura alfabetocentrica, lineare e sequenziale sarebbe molto difficile rendere. Per questo la mappa mentale favorisce il processo creativo che richiede un’alternanza tra pensiero logico e analogico, alla ricerca di un ordine che produca un senso nuovo. Mappe mentali per il coach La mappa mentale è uno strumento utile nei diversi ambiti di coaching (life, business, aziendale) e in particolar modo nel career coaching che, situandosi nel punto di intersezione tra i precedenti ambiti, permette di “dipanare la matassa” favorendo la visualizzazione dei molteplici elementi che sono oggetto di analisi. Il mind mapping può essere applicato in ogni fase del coaching. Pensiamo al primo colloquio con il coachee durante il quale è fondamentale un ascolto attivo: fare domande specifiche, mantenere alta l’attenzione e prendere appunti per “catturare” le parole chiave cioè quelle significative che aiutano ad avere una visione globale. Anche al termine di una sessione di coaching può essere utilizzata una mappa mentale per definire, insieme al coachee, azioni concrete da compiere. In questo caso un classico elenco numerato di cose da fare sarebbe molto limitativo perché non permetterebbe di creare associazioni, collegamenti e trovare anche soluzioni inaspettate. Con una mappa mentale, invece, possiamo scrivere sui rami principali verbi all’infinito che sottolineano l’idea dell’azione (contattare, preparare, esplorare…) mentre nei rami secondari specificare i dettagli (chi, cosa, dove, quando…) STRUMENTI PER IL COACHING –– 20 Mappa mentale per il coachee A questo punto la mappa mentale passa nelle mani del coachee che la utilizzerà per riflettere, scegliere e agire in modo molto concreto. Non si troverà di fronte ad una lista da spuntare o un “compito da eseguire” ma, rappresentando il proprio pensiero con parole, immagini e colori, potrà esprimere le proprie emozioni insieme alla razionalità. La struttura radiale di una mappa mentale, infatti, esalta la capacità creativa liberandola dalla staticità di una rappresentazione lineare caratterizzata da un’inizio e da una fine. Spesso si ha bisogno di uno spazio maggiore, di un più ampio campo visivo perché i problemi richiedono di liberarsi degli schemi consueti per dare respiro alla libera associazione di idee e ampliare l’orizzonte delle soluzioni. Con una mappa mentale i pensieri, come i fili di un gomitolo, si dipaneranno in modo dinamico e multidimensionale: ogni parola ne richiamerà molte altre con collegamenti e legami che aiuteranno a sviluppare il pensiero. Introdurre il mind mapping all’interno di un percorso di coaching può essere un valore aggiunto perchè il coachee apprenderà un metodo utile da utilizzare successivamente in campi come: creatività (generare idee individualmente o in gruppi di lavoro; facilitare il confronto; accelerare il passaggio dalla fase di elaborazione a quella esecutiva) analisi (rappresentare, valutare e comparare varie idee in fase di problem solving) comunicazione (veicolare le informazioni in modo semplice e intuitivo enfatizzando i collegamenti logici, facilitando la dialettica e il confronto) organizzazione (strutturare le attività, assegnare i tempi, raccogliere le informazioni necessarie) documentazione (progettare strutture documentali, scrivere in modo efficace). di Roberta Buzzachino* * Per sinsemìa si intende la disposizione deliberata e consapevole di elementi di scrittura nello spazio con lo scopo di comunicare, attraverso l’articolazione spaziale, in modo ragionevolmente univoco e secondo regolarità. Queste regolarità possono essere valide soltanto per quel testo – ma coerenti, rigorose e interpretabili senza bisogno dell’aiuto dell’autore – oppure definite da precisi schemi e abitudini di fruizione consolidate. Coaching e Storytelling L’Oracolo Di Mattia Rossi Fabrizio stava facendo appello a tutta la sua esperienza di coach: la sessione era iniziata da un pezzo, ma ancora faticava a prendere una forma intelligibile. Giorgio era un coachee impegnativo, pieno di energia ma pure di dubbi e di inquietudini. Tutto quello che finora si era capito era che Giorgio non era soddisfatto della sua vita, in particolare del suo lavoro, che probabilmente non lo era mai stato, che era stufo di quella situazione. Fabrizio stava ancora cercando di individuare il punto fermo da cui partire per fare chiarezza. - Che cosa pensavi un istante prima di decidere di contattarmi? Giorgio ci pensò su qualche secondo: prima con palese scetticismo, mormorando qualcosa come “e chi se lo ricorda?”, poi drizzandosi di colpo sulla sedia schioccando le dita. - Avevo in mente molte cose, ma almeno una la ricordo con chiarezza: stavo ripensando a un episodio di parecchi anni fa. Ero laureato da poco e lavoravo a co.co.co. in un’agenzia di organizzazione eventi. Un giorno mi spediscono all’aeroporto per recuperare il relatore di un convegno. Lo conoscevo di fama: aveva avuto incarichi in associazioni economiche provinciali e regionali, e in quel periodo viveva a Bruxelles come membro di una commissione economica dell’Unione Europea. Non conoscevo bene quell’organismo, così gli domandai in che cosa consisteva e come ci si arrivava. Per tutta risposta lui raccontò la sua vita. Costui fino a circa 40 anni aveva fatto il professore di lettere alle superiori. Si dilettava di storia locale, con particolare interesse per gli aspetti economici e sociali, il che lo aveva portato a conoscere un sacco di imprenditori e artigiani. Un giorno, chiacchierando con il proprietario di un piccolo laboratorio tessile, salta fuori che questo tizio avrebbe voluto andarsene in pensione, ma gli dispiaceva chiudere l’azienda perché gli affari andavano bene e dava lavoro a parecchie persone. D’altro canto, non aveva figli e non sapeva a chi passare la mano. Per farla breve: è andata a finire che nel giro di due o tre anni l’attuale relatore di fama aveva affiancato il vecchio titolare, mollato il posto di insegnante statale, e iniziato la carriera dell’imprenditore. Era entrato nell’associazione di categoria, era stato eletto negli organi direttivi, e di gradino in gradino aveva avuto la nomina a rappresentare l’Italia in quel certo organismo comunitario. Ora lui girava l’Europa a tenere conferenze, viveva tra Roma e Bruxelles, e dell’azienda si occupava il figlio. Io stavo guidando, ma quando arrivammo a destinazione non ricordavo un solo metro della strada fatta: avevo ascoltato totalmente rapito questa vicenda così originale, e così entusiasmante. Mi aveva fatto un effetto strano. Non ho mai capito bene come o perché... Vorrei dirti che mi è piaciuta, ma il punto non è che era una “bella storia”… Ora, lo so che ti sembrerà stupido, ma è un fatto che quando siamo scesi da quell’auto io avevo una sensazione di famigliarità, come se avesse raccontato la mia storia, capisci? Come se fosse una previsione che riguardava me. Un oracolo, ecco: avevo questa assurda sensazione che questo tizio non mi avesse raccontato la propria vita, ma avesse previsto la mia. “Sensazione assurda” lo dico adesso: allora l’ho presa come una cosa pacifica, l’ho presa e l’ho messa lì. - Lì… dove? Silenzio interdetto. - Bella domanda. Lì dove? Altra pausa. - Beh, ho pensato che quello era un bel modo per fare qualcosa di interessante nella vita. Fra i nostri clienti c’era un politico di un certo livello, e io ero il suo ghostwriter: gli ho detto che mi sarebbe piaciuto fare una carriera del genere, arrivare in quella commissione. E lui mi aveva risposto “perché no?”. Solo che poi… la cosa è morta lì. Ci ho pensato per alcune settimane, e poi ogni tanto successivamente mi è capitato di pensare “sarebbe bello..”. Ma niente più. - Mi stai dicendo che sei qui per lavorare a quell’obiettivo? Ottenere l’incarico a Bruxelles? Giorgio fece una smorfia, lo sguardo per un momento perso nel vuoto. - Eh… Magari… Ma ormai… Non è successo niente di quello che sarebbe dovuto succedere per renderlo possibile, e poi mi sono allontanato da quegli ambienti. Dovrei ricominciare tutto da capo, mi ci vorrebbero anni… E poi… a ben guardare non è che adesso il mio interesse… Tacque, lasciando incompleta la frase ma scuotendo la testa con un sospiro scoraggiato. - In quale modo questa storia può esserti utile oggi? - Per ricordarmi che sono arrivato a 40 anni senza aver combinato niente? - Ok. Siamo nel 2020. Hai una vita che ti soddisfa pienamente. Un giovane laureato ti chiede come ci sei arrivato. Quale storia racconti tu? - Sinceramente non lo so. Voglio dire, non so che cosa direi esattamente, nel merito, perché non riesco proprio a pensare che cosa potrei aver fatto, quale tipo di lavoro. STRUMENTI PER IL COACHING –– 22 Però so che voglio raccontare una storia entusiasmante e avvincente come quella. Trasmettere la stessa sensazione di vitalità, di freschezza… Giorgio si interruppe di botto e guardò il coach. - Racconterò una storia di freschezza? - Come ti sentivi mentre ascoltavi? - Mi sentivo… fresco? Naaaa … che stupidaggini… Silenzio. Nella testa di Giorgio stava vibrando qualcosa. - Sollevato. Ottimista. Sollevato. Non so perché, non so che cosa diavolo significa, ma mi viene da risponderti che mi sentivo sollevato. Che vuol dire? - Lui raccontava e tu ti sentivi ottimista e sollevato… Ascoltando le poche parole di Fabrizio, Giorgio si era acceso. - E lo sai perché? - Perché? - Perché mi stava dicendo una cosa che ho capito solo adesso, a 15 anni di distanza! I suoi occhi brillavano. Fabrizio attese che proseguisse. - Mi stava dicendo che si può fare! - Si può fare…? - Si può cambiare! Ora Giorgio aveva alzato la voce, e si agitava sulla sedia. - Si può fare! Si può aprire la finestra e cambiare aria, far entrare aria fresca… aprire la porta e andare là fuori a farmi i fatti miei… Guardava il coach con occhi scintillanti. - A costruire la mia vita. La mia storia. - La tua storia. Giorgio adesso guardava oltre Fabrizio, ma i suoi occhi non erano persi nel vuoto: stavano fissando un punto ben preciso. 23 –– STRUMENTI PER IL COACHING - Che idiota sono stato - mormorò. - Ora che farai per la tua storia? - La mia storia... Prima di tutto bisogna che ci creda, nella mia storia. Ecco, prima mi hai chiesto in quale modo quella storia mi può essere utile oggi, e adesso so risponderti: mi dà l’appiglio per credere nella possibilità di cambiare la mia vita. Del resto, non è un caso che avessi in mente questa faccenda quando ho deciso di chiamarti. Soltanto, non era la mia storia: l’ho capito adesso, quando mi sono reso conto che mi hai chiesto quale storia avrei raccontato io. Avevo ragione a parlare di oracolo, ma non a dire che aveva previsto la mia vita: gli oracoli non facevano previsioni, semmai davano risposte che poi bisognava interpretare. Dovevo cogliere il senso, non copiare la trama: quella, la trama dico, ognuno ha la propria. Giorgio ebbe una lieve esitazione, poi aggiunse: - Sempre che sia interessante, che ne valga la pena… - Interessante per chi? Giorgio contemplò il pavimento per alcuni secondi, poi rispose con decisione: - Beh… per l’interessato, suppongo, come minimo. E direi che a me la trama della mia storia interessa… - Allora raccontamela: sono tutt’orecchi. Fabrizio si accomodò per ascoltare, mentre il suo coachee si abbandonava contro lo schienale e con un profondo sospiro si apprestava a raccontare una nuova, avvincente storia. di Mattia Rossi* Life Coaching Il coaching come strumento per la conciliazione Di Fabrizia Ingenito Dal prossimo 20 marzo 2011, in caso di lite, sarà obbligatorio iniziare un procedimento di mediazione per raggiungere un accordo (conciliazione) prima di ricorrere al tribunale. L’obbligatorietà della mediazione a fini conciliativi sarà in vigore, secondo quanto stabilito dal D.Lgs 4 marzo 2010 n.28, per le controversie in materia di: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Per tutto il resto ognuno di noi ha la libertà di richiedere con un’istanza l’inizio di un procedimento di mediazione in qualunque controversia civile e commerciale. Perché parlare di conciliazione stragiudiziale in una rivista che si occupa di coaching? Dallo studio delle possibilità di sinergia tra il procedimento di mediazione e le competenze di coaching, è nato il Coaching Conciliativo 1: il coaching si propone come strumento al servizio della conciliazione, supportandone tutte le fasi e sviluppandone le potenzialità. Vediamo come. Il conciliatore è la figura professionale designata a condurre l’attività di mediazione tra le parti coinvolte in una controversia al fine di raggiungere un accordo conciliativo. I principi e i valori che il conciliatore deve rispettare rispecchiano gli stessi principi che guidano l’etica del coaching: imparzialità, riservatezza, gestione del conflitto di interesse. E’ su questa base di principi ed etica comune che è possibile dare senso all’altissimo valore di pacificazione che la conciliazione ha la possibilità di esprimere, rispetto all’attuale modalità prevalente di risoluzione dei conflitti in sede processuale civile. La figura del conciliatore è pertanto determinante nella gestione del conflitto tra le parti e nella scoperta degli aspetti di condivisione che potranno condurre verso un accordo. L’accordo, nell’accezione conciliativa, dovrà essere soddisfacente per le parti e non aderire a principi di giustizia secondo diritto, dovrà essere nelle mani di chi è coinvolto e non nelle mani di un giudice che decide per loro. Il conciliatore infatti è neutrale, non decide e quindi non emette sentenze: ciò che ha valore è solo quanto condiviso nell’accordo di conciliazione. Emerge quindi la condizione necessaria, ma decisamente non sufficiente, della formazione tecnico-giuridica del conciliatore acquisibile attraverso una formazione specifica e quindi attraverso lo studio della normativa di riferimento. Emerge anche, molto chiaramente, che la differenza tra un buon conciliatore e un conciliatore inefficace, sarà data dalle sue competenze comunicativo-relazionali e non dalla conoscenza normativa. Come potrebbe infatti un conciliatore poco allenato all’imparzialità, all’ascolto, al rispetto della comunicazione delle 1. Fabrizia Ingenito “Conciliare con il coaching” – Ed.Franco Angeli 2010 parti, condurre un procedimento all’insegna della neutralità, che favorisca la più pura espressione dei protagonisti dell’accordo che va a crearsi? Come potrebbe tale accordo mettere pace definitiva rispetto alla lite se il conciliatore favorisce, anche non intenzionalmente, una delle parti? Come potrebbe l’accordo esprimere la sua forza di patto tra liberi individui se influenzato da pareri, opinioni, consigli, sfiducia nella capacità decisionale delle parti? Ed ecco che le competenze di coaching vengono in aiuto e alimentano le varie fasi del procedimento previste dalla legge. Il coach ha totale fiducia nel suo partner ed è per questo che si mette in disparte al fine di dare supporto all’espressione degli altri e non di se stesso. Ascolta e rispetta gli obiettivi dei suoi partner e li affianca nel percorso di cui essi stessi stabiliscono modi e tempi. Fa domande che stimolino la loro consapevolezza rispetto a sé, allo sviluppo e al raggiungimento dei propri obiettivi. Riflettiamo dunque su quale rivoluzione di pacificazione potrebbe essere operata attraverso conciliatori professionisti che abbiano acquisito competenze di coaching. Una nuova professione I “coach conciliatori” possono giocare un rilevante ruolo rispetto ad un cambiamento di alto valore e di benessere sociale: favorire il passaggio dalla cultura della lite alla cultura della conciliazione. Si consideri anche che il procedimento di mediazione dura per legge un massimo di 4 mesi contro un tempo minimo di 4 anni di permanenza nelle aule di un tribunale. Ciò significa che la propria vita non rimarrà più sospesa all’emissione di una sentenza che potrebbe paralizzare iniziative commerciali e private per un imprecisato numero di anni, concludendo vicende litigiose e di disaccordo a volte addirittura oltre la vita degli stessi istanti. Inoltre, una delle profonde differenze tra il tribunale e la camera di conciliazione è che da una sentenza emessa all’interno del tribunale inevitabilmente vengono fuori un vincitore e un vinto; il conflitto non è affatto concluso, quasi sempre riemerge, riacceso dalla parte sconfitta che chiede “giustizia”, dai malumori, dalla voglia di rivalsa. Si diventa ancora più “nemici”, in attesa della prossima mossa. Lo spirito conciliativo viaggia invece attraverso una dimensione win-win: se l’accordo è raggiunto, incontra gli interessi delle parti, e magari permette di mantenere una buona relazione, tutti i partecipanti hanno vinto; se non lo è, tutti hanno perso un’occasione di chiudere in tempi brevi, in modo soddisfacente e con vantaggi fiscali ed economici, un conflitto in essere. E se non si concilia? Cosa accade infine se l’accordo non è raggiunto? Si ritorna in tribunale, ma stavolta diventa il tribunale il sistema di risoluzione alternativa delle controversie, l’ultima ratio in cui vengono però penalizzati i comportamenti considerati ostativi alla mediazione. Cosa costa tentare una mediazione ed essere protagonisti della propria vita? Molto poco. Per la prima volta nella storia del diritto civile italiano, e quindi nel quotidiano di tutti noi, i vantaggi pesano in modo assai più evidente e concreto di eventuali svantaggi. Indiscutibilmente vale la pena di tentare, ed altrettanto indiscutibilmente vale la pena che il coaching si metta al servizio di opportunità e scelte di vita adulte, mature e responsabili in contesti diversi da quelli in cui generalmente opera, favorendole e supportandole con i gli strumenti e le competenze che possiede. di Fabrizia Ingenito* STRUMENTI PER IL COACHING –– 24 Contaminazioni Intervista a Monica Faggiani, attrice e maestra di dizione per Teatri Possibili (Milano) Di Marina Fabiano L’abilità teatrale è una possibile competenza del coach? E del manager-coach? Per certo, la capacità di comunicare attraverso il movimento del corpo, il saper modulare la voce e la postura, contenere o indirizzare l’espressione, ed anche interpretare un ruolo, all’occorrenza, fanno di una persona un individuo più convincente. Ne parlo con Monica Faggiani, Direttore di Teatri Possibili, maestra di dizione, attrice: Chi sono i suoi allievi di dizione? Non vorrei parlare solo di dizione, che senza dubbio è importante, ma partirei dalla scuola di teatro. Alla nostra scuola si iscrivono avvocati, ingegneri, imprenditori, manager di ogni provenienza settoriale. Abbiamo di recente ampliato i corsi proprio perchè le richieste di iscrizione sono notevolmente aumentate. Cosa cercano queste persone dai corsi che proponete? Desiderano imparare ad essere più convincenti nel loro eloquio, saper scandire bene le parole, comunicare in modo incisivo ed efficace, acquisire padronanza nel porsi verso gli altri. Cosa che in azienda – a quanto pare – è sempre più utile. Spesso arrivano ai corsi di propria iniziativa, talvolta sono le aziende che suggeriscono un breve corso per essere più sciolti nel parlare in pubblico. Di recente abbiamo seguito alcuni manager che dovevano imparare a dare notizie sgradevoli (ad esempio, licenziare qualcuno), dimostrando empatia ma restando fermi nei loro pur antipatici obiettivi. Oppure professionisti che volevano essere in grado di dare feedback negativi con coraggio e fermezza. Quanto durano i vostri corsi e quanto tempo occorre per vederne i risultati? Abbiamo corsi di teatro che si articolano su tre anni. Il primo anno è quello più frequentato; chi poi desidera approfondire la carriera di attore/attrice sicuramente prosegue, ma anche le persone che avevano iniziato 25 –– STRUMENTI PER IL COACHING per necessità di lavoro spesso vanno avanti perchè si divertono e riconoscono benefici personali, oltre che professionali. I partecipanti scoprono presto che un percorso teatrale porta una maggior consapevolezza di sé, delle proprie potenzialità comunicative non solo per via dei contenuti, ma anche con l’utilizzo di risorse non sempre conosciute, come la voce, lo sguardo, i movimenti del corpo, il modo di modulare le parole. In questi casi si parte con un corso di 4 mesi, a fronte del quale viene rilasciato un attestato: beninteso se si viene promossi! Per i risultati, dipende dagli obiettivi. Per eliminare un accento dialettale forse un anno non basta, anche se i miglioramenti sono percepibili. Per riscontri meno impegnativi, un ciclo di 4 mesi è già sufficiente E’ sempre necessario seguire corsi completi o esistono delle scorciatoie? Come dicevo, dipende dagli obiettivi della persona o dell’azienda. Ci occupiamo anche di formazione aziendale: in questo caso strutturiamo corsi di 2 o 3 giornate per parlare in pubblico con efficacia, completi di riprese video per ripercorrere insieme i possibili miglioramenti espressivi. Allora usiamo il metodo del role-playing (sempre con testi teatrali, ma anche con testi condivisi) e della simulazione situazionale: imparare a governare le emozioni riconoscendole ed interagendo con esse è uno degli obiettivi più ricorrenti. di Marina Fabiano* Eventi e Web Executive Coaching Conference New York, 29-30.3.2011 Meeting the leadership needs in the changing landscape of business Occasione di alto livello per ascoltare con le proprie orecchie come le aziende vincenti hanno inserito il coaching nelle proprie modalità di sviluppo della leadership e per entrare in contatto con esponenti del coaching di esperienza internazionale. Il programma è disponibile alla pagina coachmag.it/eventi/. Per registrarsi andare al sito www.conferenceboard.org/ coaching ICF – IX Conferenza Italiana sul Coaching Roma, 23 marzo 2011 Conferenza Italiana sul Coaching di ICF. Tema dell’evento: Il talento come motore dello sviluppo. Tutte le informazioni al sito ICF o iscrivendoti alla newsletter. 2011 International & Italian Coaching Week (ICW) Dal 7 al 13 febbraio 2011 Torna in Italia la Coaching Week. I coach di tutto il mondo celebrano e promuovono – tutti insieme, nello stesso periodo - questa affascinante professione. Scarica lo “Speciale Scuole di Coaching” da www.coachmag.it http://blog.ted.com/ TED è un sito non profit per comunicare le “idee che vale la pena di diffondere”. Il nome è l’acronimo di Technology, Entertainment, Design; dal 1984 – data della sua sua nascita – lo scopo si è ampliato. Tengono due conferenze annuali, una negli USA, l’altra in UK. Pubblicano video di impatto, sponsorizzano progetti sociali. Ispirante. http://www.formagora.it/ Piazza virtuale di incontro tra aziende che cercano formazione e professionisti che propongono i propri corsi. Nulla vieta di proporre il coaching: la vedo come un’interessante occasione per allargare il proprio mercato di riferimento. La registrazione è gratuita. 26 –– STRUMENTI PER IL COACHING Libri in gocce Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte. di Marianella Sclavi ed. Bruno Mondadori Un’antropologa, tre ingredienti, sette regole: il risultato è un libro che si propone di indicare la via per sentirsi “a proprio agio nel disagio”, quel disagio che nasce nell’incontro con il diverso, con lo straniero, con lo “strano”. E lo fa con chiarezza, efficacia e gradevolezza di scrittura. Un coach ci trova sollecitazioni destinate sia alla sua formazione di base che alla sua attività professionale. Da un lato infatti si tratta di quel “saper ascoltare liberi da filtri e condizionamenti inconsci” che contraddistingue un buon coach ancor prima – e forse di più – della capacità di porre la famigerata domanda giusta; dall’altro, il terreno su cui si muove l’autrice è quell’incontro-scontro tra culture diverse sul quale tanti coach vengono chiamati in aiuto di manager espatriati o alle prese con situazioni conflittuali. Marianella Sclavi divide il volume in tre parti, secondo quello che chiama “il triangolo magico dell’arte di ascoltare”: ascolto attivo, autoconsapevolezza emozionale, gestione creativa dei conflitti. Approfondendo tali aspetti, unisce teoria, osservazione sul campo e dialogo con gli studenti in aula. Alla fine di ciascuna sezione ripete l’enunciazione delle “sette regole dell’arte di ascoltare”, le quali per un coach possono essere un buon ripasso, o un punto di vista diverso e quindi stimolante su un tema cruciale, o anche un attrezzo in più da mettere nell’apposita cassetta. Giacché antropologa o coach… non fa poi molta differenza. Recensione di Mattia Rossi Segue Libri in Gocce Il SineQuaNon – l’invenzione della speranza (di Diego Giob - pseudonimo) ed Lampi di stampa Un romanzo come “strumento del coaching”, per allenare l’intuito. Ogni tanto abbiamo bisogno delle favole per rendere meno amara la pressante realtà quotidiana, talvolta irta di inutili ostacoli. Quando poi il racconto ben si associa alle situazioni che conosciamo per esperienza diretta, diventa ancor più leggero l’adattarlo, come una pellicola trasparente, al nostro oggi comune, per avere il coraggio di innescare un domani migliore. Il SineQuaNon è il nostro personale miraggio, quello che ci costruiamo in testa nei momenti di attesa, tra una realtà e l’altra, con la speranza che si materializzi in ciò di cui avevamo proprio bisogno, di cui non possiamo più fare a meno. In attesa del prossimo SineQuaNon. Era tanto che aspettavo una storia così, dove il mondo del lavoro viene trattato con paradossale ironia, esponendolo al ridicolo della verità nascosta da un sorriso. E’ perciò che mi ha entusiasmato e ne ho colto spunti di collegamento con il coaching. Uno su tutti: se le aziende (le persone che dirigono le aziende) conoscessero e applicassero le modalità relazionali che il coaching insegna, il mondo del lavoro sarebbe migliore. Di certo, avrebbe risultati eccellenti con sforzi ridotti. Prossima Uscita 10 Maggio 2011 Si parlerà di Coaching Interculturale e Diversità Recensione di Marina Fabiano Manda le tue proposte, i tuoi articoli, i tuoi consigli, le tue domande a: [email protected] Parla di CoachMag con il tuo network, diffondi il coaching.