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Per ricevere regolarmente, ogni trimestre, la tua copia di CoachMag
Editoriale
di Marina Fabiano
La cassetta degli attrezzi...
Di cosa dispone il coach (e il manager-coach) per far bene il suo lavoro?
Diciamo che ormai la fase formativa di base è completata, ben consapevoli che
l’addestramento non ha mai un momento conclusivo, ma soltanto fasi in itinere.
A questo punto, come il medico costruisce la sua “valigetta” per visitare i suoi
pazienti avendo a disposizione gli oggetti necessari, il coach deve approntare la sua
cassetta degli attrezzi, strumenti più o meno concreti che, nel tempo, lo aiuteranno
ad “essere” il professionista che si immagina. Gli strumenti a disposizione sono
davvero innumerevoli, oltre che svariati e diversi tra loro. Pretendere di descriverne
molti sarebbe arrogante: mi limiterò a presentarne alcuni, frutto dell’esperienza
personale e di colleghi che hanno accettato di condividere le proprie conoscenze.
Resto però qui a disposizione per raccogliere altre testimonianze (email: hello@
coachmag.it) da condividere in un prossimo futuro, per indirizzare eventuali quesiti
o rispondere ad ulteriori domande. Non siate timidi.
D’altra parte sappiamo bene che ognuno si affeziona agli strumenti che ritiene più
vicini al proprio modo di pensare, o a quelli di cui ha pratica, a volte dimenticando
che la ricerca del nuovo arricchisce la cassetta degli attrezzi, rende il professionista
aperto ad altre esperienze, gli permette di ampliare competenze e capacità. Tutto ciò
fa reputazione e immagine, network e occasioni di lavoro.
Succede così che si scoprano attrezzi provenienti da ambienti laterali al coaching,
come lo storytelling, il teatro, la narrazione o la lettura condivisa; e che si inventino
applicazioni fuori dai binari già tracciati, entro le cui confortevoli tracce stavamo
tranquillamente (professionalmente) passeggiando, che ci portino a comprendere
qualcosa in più del nostro personale stile di coaching, per renderci ancor più unici ed
efficaci.
Questo numero di CoachMag, il 4° dalla sua nascita, il 1° del 2011, si presenta
particolarmente ricco ed ampio, seppure limitato dallo spazio, per contenere
strumenti concreti e supporti a sostegno, idee innovative e spunti fondamentali: ad
ognuno il compito di far affiorare visioni e modelli per continuare (o cominciare) un
nuovo periodo formativo e di crescita personale/professionale.
Buona lettura.
Marina Fabiano
Direttore Editoriale
[email protected]
www.coachmag.it
COACHMAG
Numero 4
Febbraio 2011
Direttore Editoriale
Marina Fabiano
[email protected]
In redazione (questo numero)
Stefania Savi
Sheyla Rega
Pier Marinoni
Monica Giordani
Enrico Illuminati
Paolo Terni
Roberta Buzzacchino
Mattia Rossi
Fabrizia Ingenito
Grafica e impaginazione
Luca Gentile
[email protected]
Direzione e Redazione
Marina Fabiano
Via Baranzate, 57
Novate Milanese (MI)
Tf: 347 3061024
e-mail: [email protected]
sito: www.coachmag.it
_
Diffusione e periodicità
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L’editore dichiara di aver usato ogni mezzo
per riconoscere i diritti d’autore del materiale
e delle informazioni utilizzate, e resta ovviamente
a disposizione per adempiere agli obblighi di
legge nel caso non avesse ottemperato pienamente.
Indice
02....... I colori del Team
di Stefania Savi.
04....... Il questionario nato per il coaching
di Sheyla Rega.
05....... Il questionario MBTI e il coaching
di Pier Marinoni
07....... I segreti del 360°
di Marina Fabiano
09....... MRG:un salto sfidante
di Marina Fabiano
11....... Lo Yoga della risata
di Monica Giordani
15....... Individual Effectiveness
di Enrico Illuminati
17....... Il metodo Coaching “Orientato alla Soluzione”
di Paolo Terni
19....... Orientarsi nella complessità: coaching e mappe mentali
di Roberta Buzzacchino
27....... L’oracolo
di Mattia Rossi
Sit Up
13....... SitUp - Situazioni Appiccicose
I costi di una sessione o di un percorso di Coaching
Il punto di vista di “Italian Coaching Group” di Linkedin
Life Coaching
21....... Il coaching come strumento per la conciliazione
di Fabrizia Ingenito
Contaminazioni
23....... Coaching & Teatro, competenze intrecciate
Intervista di Marina Fabiano a Monica Faggiani
23....... Eventi e Web
23....... Libri in Gocce
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I colori del Team
Un percorso dall’efficacia
personale alla produttività di
gruppo
Di Stefania Savi
L’esigenza comune a numerose aziende è – sempre più
spesso - sviluppare team efficaci. L’obiettivo è far in modo
che le persone appartenenti a un gruppo di lavoro sappiano
far squadra: comunicare meglio tra loro, coordinarsi e
supportarsi a vicenda nel raggiungimento di obiettivi comuni
in meno tempo e con minor fatica. Una sfida non da poco.
Per rispondere a questa necessità trovo utile una modalità
in grado di coniugare chiarezza, divertimento ed efficacia,
i cui ingredienti fondamentali sono un questionario e –
ovviamente - le persone coinvolte nel progetto. Lo strumento
di cui parlo è il questionario di sviluppo comportamentale
Insights Discovery®, che offre a mio parere l’immenso
vantaggio di essere di facile comprensione (ma non per
questo superficiale) e semplice da ricordare nelle sue chiavi
di lettura, cosa che lo differenzia ad esempio dall’MBTI,
molto simile nell’impianto teorico e altrettanto valido: sfido
chiunque non sia del mestiere a ricordare dopo anni tutte le
sigle ENTJ o ISFP…
Nel dettaglio
Andiamo un po’ più nel dettaglio. L’Insights Discovery®
trova le sue basi concettuali nella teoria dei Tipi Psicologici
di Jung (1921). Jung aveva suddiviso le persone a partire
dalla loro attitudine naturale, ossia il modo di reagire alle
esperienze, e aveva coniato così i termini di estroversione
e introversione per descrivere in che modo gli individui
alimentano le proprie energie. Poi aveva identificato due
tipologie di funzioni:
- le funzioni razionali, legate al processo di presa di
decisione:
Pensiero (decidere attraverso un’analisi logica
impersonale e distaccata)
Sentimento (decidere con modalità soggettiva e
interessata)
- le funzioni irrazionali, legate al sistema di raccolta dei
dati:
Sensazione (interesse nell’attuale e nel presente)
Intuizione (interesse verso le possibilità e il futuro).
Questa base teorica è stata ripresa da Jolande Jacobi nel
1941, che ha inserito i tipi psicologici junghiani all’interno
di una ruota, successivamente resa ancora più intuitiva
da Andrewall’interno di una ruota, successivamente resa
ancora più intuitiva da Andrew Lothian, fondatore di Insights
Learning & Development Ltd e creatore dell’Insights
Discovery, che ha assegnato a ciascuna categoria un colore
identificativo. Attraverso un’analisi delle preferenze, che va
ad incrociare le suddette dimensioni junghiane, si delineano
4 combinazioni denominate energie, ciascuna identificata
da un colore (blu, rosso, giallo e verde), che in modo molto
istintivo riconduce alle caratteristiche del tipo.
Blu, rosso, verde e giallo
Prendiamo l’energia blu ad esempio. Cromaticamente
ricorda il mare, la profondità, la sensazione del freddo:
infatti è associata a uno stile comportamentale razionale,
logico e oggettivo, tipico di una persona orientata alla
perfezione e al dettaglio, centrata sull’investigare, osservare,
pensare e tendente a mantenere la calma anche sotto
pressione.
L’energia rossa, che rimanda all’idea della Ferrari, quindi
la velocità, le performance sfidanti, la passionalità, è tipica
invece di chi ama ottenere risultati immediati, agire con
logica e ordine concentrandosi su fatti concreti, rispondendo
rapidamente agli eventi esterni: è caratteristica di persone
audaci, decisive, determinate.
L’energia di colore verde, che evoca la natura, la quiete, la
tranquillità si manifesta in uno stile che favorisce l’intensità,
la riflessione, la ricerca dell’armonia e del consenso;
caratterizza coloro che amano riflettere sull’aspetto
soggettivo delle persone, ancorare le decisioni ai propri
valori più profondi e che vengono percepiti come sostenitori
premurosi e informali.
Infine l’energia gialla, che fa pensare al sole e all’estate,
quindi all’allegria e al divertimento, appartiene alle persone
estremamente socievoli, orientate ad agire, intrattenere e
coinvolgere gli altri, desiderose di relazioni esterne positive;
è associata agli individui creativi, ottimisti, socievoli.
Ciascuno di noi possiede tutte e quattro le energie-colore,
ma la mescolanza di queste varia da persona a persona
in base all’ordine di preferenza e alla loro intensità. Di
conseguenza, con alcune energie ci sentiamo più a nostro
agio, con altre siamo semplicemente un po’ più impacciati,
ma non per questo non in grado di utilizzarle. Ed ecco che
subentra la necessità di conoscersi a fondo, eventualmente
di allenarsi, per acquisire disinvoltura anche verso quei
comportamenti che possono essere funzionali per il nostro
ruolo, ma che utilizziamo in modo meno spontaneo.
Semplice, vero?
Sfumature e mezze tinte
A partire da questi 4 macro tipi, si apre tutto un ventaglio di
sfumature di colori, orientate dalle preferenze specifiche di
ciascun individuo, fino ad arrivare alla declinazione di ben
72Tipi psicologici. I Profili, descrittivi di ogni tipo, sono poi
potenzialmente quasi infiniti, grazie ad un evoluto software
di elaborazione e creazione del Profilo Personale.
L’Insights Discovery fotografa così le proprie preferenze
naturali, senza tuttavia identificare buoni o cattivi, dal
momento che l’obiettivo dichiarato è semplicemente quello
di avviare un processo di consapevolezza e sviluppo.
Permette quindi di conoscere meglio se stessi, identificando
punti di forza e aree migliorabili, ma anche di comprendere
gli altri, poiché incrementa la capacità di riconoscere gli
STRUMENTI PER IL COACHING –– 04
stili comportamentali di ciascuno e di capire i loro bisogni,
per sapervisi adeguare con successo. In effetti, la sintonia
con il resto del mondo dipende in gran parte dalla nostra
capacità di saper accomodare di volta in volta il nostro
comportamento agli altri e alla situazione, tramite semplici
strategie interpersonali: so cosa ti aspetti da me, come
vorresti che io comunicassi con te, cosa ti serve e io cerco
di rispondere alle tue necessità, pur senza snaturare il mio
approccio e le mie peculiarità.
Nella condivisione dei risultati, i colori danno un tono
ludico e piacevole alla restituzione: le persone non si
sentono giudicate, si identificano con stupore nei profili
(per esperienza personale posso dire che si riconoscono
in media dall’80 al 95% dei casi)1 e riescono facilmente a
ricordare le caratteristiche di ciascun colore, riconoscendole
con una certa chiarezza nei colleghi. Diventa in questo
modo semplice -perché no!- giocare tutti assieme
provando ad esempio a calarsi nei panni di un colore
diverso, immaginando di ragionare e comportarsi secondo
le sue modalità, così da capirle a fondo e condividere
reciprocamente le aspettative.
Tutto il team può essere facilmente proiettato sulla ruota
dei colori: ciò consente di condividere gli stili relazionali di
ciascuno, le modalità comunicative preferite (interessanti
le due pagine del report finale intitolate “Come comunicare
con me” e “Come NON comunicare con me”), potenziando
così al massimo la possibilità di sviluppare avvicinamenti
personalizzati e certamente molto più efficaci, nell’ottica del
reciproco allineamento.
I colori creano quasi per magia, a fine giornata, un
linguaggio condiviso per cui diventa molto più semplice,
ad esempio, darsi un feedback col sorriso, seppur cogliendo
nel segno e trasmettendo un preciso messaggio, ben accolto
perché privo di critica o giudizio.
Unico punto di attenzione, ad esser sinceri, è il rischio di
incorrere in banalizzazioni e categorizzazioni: come ogni
strumento “tipologico” può indurre alcuni a semplificare
TP
IBMB MP
ST RB
MB
GDC
DL
LN
*Le sigle nella ruota sono le iniziali delle persone coinvolte,
in modo che sia semplice identificare se stessi e gli altri.
05 –– STRUMENTI PER IL COACHING
inserendo le persone in rigide categorie comportamentali,
perdendo la visione delle sfumature e delle caratteristiche
individuali di ciascuno. Non è tuttavia difficile ovviare
a questo pseudo-problema ricordando costantemente ai
partecipanti l’importanza di non generalizzare, ma di
utilizzare i colori come guida senza perdere di vista la
specificità e l’unicità di ognuno.
Ma in pratica?
Concludo con qualche dettaglio pratico: l’Insights
Discovery ha un questionario poco complesso che si
compila in circa 15-25 minuti. È disponibile sia in carta che
online; è tradotto in 22 lingue: in ambienti internazionali,
ciascuno ha la possibilità di completarlo nella sua
madrelingua, particolare da non trascurare. Il Profilo che
ne deriva ha una comprovata attendibilità, validità, stabilità
temporale e affidabilità test-retest e si può rielaborare
in moduli a seconda delle esigenze. Il report finale può
essere più snello o completo, quindi più economico o
dispendioso (dettaglio da non sottovalutare dati i budget
sempre più ridotti a disposizione delle aziende): ad esempio,
specificatamente per le figure commerciali, è possibile
ottenere un dettagliato resoconto sullo stile di vendita con
tanto di mirati consigli di sviluppo.
Uno strumento multiforme e poliedrico insomma, che io mi
sento assolutamente di consigliare, non solo in ambito di
team, perché valido a 360 gradi nel mondo della consulenza,
dal coaching, come supporto alla formazione, alla selezione
e nella gestione dei talenti.
di Stefania Savi*
1. Per gli appassionati, o gli esperti, di statistica psicometrica, invece, possiamo
specificare che l’indice di “Face Validity” del Profilo Personale Insights Discovery è
pari a 0,92. Il che, in pratica, significa che su 100 frasi mediamente 92 sono riconosciute
dal soggetto come vere e ben descrittive di sé. Per quanto riguarda la “taratura “italiana,
l’ultima effettuata (con anche verifica della Fedeltà nel tempo del reattivo, tramite una
impostazione “Test-retest “) ha coinvolto un campione bilanciato di 332 managers
italiani di vario livello e di organizzazioni molto diversificate e dimensionate, nonché
ulteriori elaborazioni di verifica su circa altre 3000 singole compilazioni. L’analisi degli
items ha dimostrato un miglioramento rispetto alla versione precedente del questionario;
evidenziati i 4 fattori (i “colori Insights”), è emerso come l’indice di correlazione tra le
due misurazioni condotte a distanza di tempo vadano da 0,80 a 0,90 secondo l’indice
di correlazione di Pearson, e da 0,90 a 0,94 per il coefficiente di affidabilità CronbachAlfa. Al Test di Split-half l’indice rilevato per l’intero Evaluator è stato pari a 0,86.
Ricordiamo, a margine, di come per tutti gli indici suddetti nella comunità scientifica
internazionale sia riconosciuto come adeguato un valore pari a 0,70 (abbondantemente
superato, come si noterà,in tutte le analisi svolte). Analisi svolta dall’Università di
Westminster.
Il questionario
nato per il Coaching
Di Sheyla Rega
Il DoLquest® viene utilizzato nei percorsi di coaching
in quanto permette sin da subito di creare un linguaggio
comune con il coachee e di mapparne le caratteristiche
principali, grazie a dei livelli di lettura che permettono di
esplorare sempre più in profondità il profilo individuale:
Le tendenze cognitive: partendo da basi scientifiche
definiscono quali son le modalità prevalenti di
funzionamento della mente individuale e le sue
macrotendenze.
Ideato per facilitare i percorsi di coaching individuali
e di gruppo, DoLquest® viene creato integrando i
paradigmi delle neuroscienze e della sistemica: basi
che consentono di confrontarsi efficacemente con
la complessità. Lavora su migliaia di possibilità per
rappresentare l’unicità di ogni candidato e del suo
ambiente, senza alcun giudizio di valore. Fornisce una
immagine sfumata del profilo cognitivo e d’azione
delle persone, del loro stile di leadership, dei loro stili
decisionali, delle loro leve motivazionali, dei loro
potenziali e dei loro fattori di successo. Il tutto, integrato
alle possibili interazioni - positive o negative - di questo
modo di essere in un contesto dato.
Di matrice europea, tiene conto dell’intelligenza
emozionale e razionale, della logica binaria e di
quella ciclica, delle dimensioni personali, del team e
dell’impresa.
Le quattro “Porte d’Entrata”: inquadrano le chiavi
motivazionali personali, le modalità di comunicazione
preferenziali (stile di vendita, di negoziazione, di
gestione delle tensioni), i bisogni personali per realizzarsi
nel lavoro. Fornisce inoltre indicazioni su come gli altri
ci percepiscono e perché.
La 3° generazione
DoLquest® si definisce uno strumento di 3° generazione
che permette ad ogni individuo di capire il proprio stile
di management ed il suo impatto sugli altri. Favorisce
un processo di autoanalisi senza giudizi di valore
sulla persona, punto chiave alla radice di una reale
comprensione di se stessi e degli altri. Non si tratta del
solito strumento di assessment basato su una prima
“classificazione delle persone” per poi catalogare
gli individui, bensì di un assessment decisamente
più completo, basato sull’analisi sistemica delle
caratteristiche individuali. DoLquest® permette di capire
il proprio stile di management e di comunicazione ed
il suo impatto sugli altri. Il suo valore aggiunto risiede
nel proporre un bilancio approfondito delle abilità
individuali integrando la conoscenza del potenziale e
delle caratteristiche personali con le esigenze del proprio
ambiente lavorativo.
Le domande da farsi
Grazie a questa mappatura ad ampio raggio del profilo
personale, DoLquest® permette di trovare le risposte a
domande importanti, quali:
- Qual è il mio canale di comunicazione preferenziale?
- Qual è la percezione che gli altri hanno di me?
Perché?
- Quali sono le persone con le quali entro più
facilmente in relazione? Con quali faccio più fatica?
Perché?
- Quali sono le radici del mio stile di management e
di leadership? Quali sono i miei possibili blocchi al
cambiamento?
- Come posso comprendere le conseguenze delle mie
decisioni al fine di anticiparle?
- Come posso motivare persone diverse?
- Quali sono le mie aree di sviluppo? E quelle dei team
che gestisco?
- Quali sono i punti di forza su cui posso agire
con maggior facilità in un ambiente complesso e
mutevole?
- Qual è il mio intrinseco valore aggiunto come
persona? E quello relativo al contesto in cui agisco?
Il questionario, disponibile in diverse lingue, è
compilabile direttamente on-line (tempo richiesto circa
30 min). Il debriefing approfondito del profilo, della
durata di circa due ore, viene svolto in presenza da un
coach/consulente certificato.
Il Modus Operandi: mette a fuoco gli elementi chiave
del processo decisionale individuale, sia ciò che si
considera che ciò che si tende a trascurare.
I Pilastri: definiscono i talenti personali, i punti di forza
su cui far leva e insieme i punti di attenzione su cui
eventualmente centrare un percorso di crescita personale.
I Potenziali: forniscono indicazioni sui potenziali di
sviluppo personali, le preziose risorse nel “cassetto”.
STRUMENTI PER IL COACHING –– 06
A ognuno il suo stile
DoLquest® è inoltre uno strumento fondamentale per
la crescita dei coach in quanto permette di mappare le
caratteristiche fondamentali del proprio stile dominante
di coaching. DoLquest® identifica quattro macro stili di
coaching:
Lo stile “Vision oriented”: ne fanno parte coloro che
sono convinti che per raggiungere i propri obiettivi di
coaching, il coachee debba prima di tutto identificare un
obiettivo di medio/lungo periodo, una visione, un sogno
da raggiungere; la ricerca è centrata sul “dove” e sul
“perché”. Il coach porterà il suo coachee a riflettere su
“dove lo portano le sue azioni” e sul “senso” delle sue
scelte. Il coach è convinto che il senso del coaching sia
portare il suo cliente ad alzare lo sguardo e guardare in
avanti. Secondo lui, il coachee sarà motivato a cambiare
comportamento, quando avrà chiarito la sua visione e le
sue attese per il futuro.
Lo stile “Relation oriented”: ne fanno parte coloro che
sono convinti che il primo obiettivo del coach sia quello
di aiutare il coachee a riflettere sia sulle sue emozioni
che sulle sue relazioni in generale, la loro qualità, la
loro importanza. Il coaching è centrato sull’ “Essere”,
sul “Sentire” sulla “Consapevolezza emotiva”. Il coach
porterà il coachee a fare un lavoro approfondito su di sé.
Secondo lui, il coachee sarà motivato a crescere quando
si sentirà apprezzato, riconosciuto e accettato per ciò che
è come persona.
Lo stile “To do”: è lo stile centrato sul fare. Ne fanno
parte i coach convinti che l’obiettivo principale del
coaching sia aiutare le persone a trovare un metodo per
risolvere le loro criticità ed avere una miglior qualità di
vita. Questo approccio si sviluppa secondo il principio
“un passo per volta: a piccoli passi, si ottengono i
cambiamenti desiderati”. Il coach porterà il suo coachee
ad organizzare e pianificare meglio le sue azioni
quotidiane, a rassicurarlo più che a sfidarlo.
Lo stile “Performance oriented”: ne fanno parte coloro
che portano i loro coachee ad analizzare in modo logico
e razionale i fatti; li invitano a distaccarsi dalle loro
emozioni in modo da avere una visione più obiettiva.
Per loro l’obiettivo principale del coaching è quello
di portare il coachee a migliorare la sua performance.
Secondo lui, il coachee sarà motivato a crescere quando
avrà individuato un obiettivo di performance oggettivo e
sfidante.
Con DoLquest i coach possono dunque individuare
facilmente le leve motivazionali al cambiamento dei
loro coachee, capire le radici dei loro bisogni per poi
incrociarli con il loro “stile naturale di coaching”.
07 –– STRUMENTI PER IL COACHING
Con l’esperienza di DoLquest® nel coaching è stato
dimostrato che la cosiddetta “affinità di pelle” tra coach
e coachee avviene quando lo stile di comunicazione
dominante del coach è simile a quello del coachee. Ma la
sfida più grande per la crescita professionale di un coach
risiede nell’apprendere il linguaggio e la metodologia
specifica per fare coaching a persone che hanno uno stile
diverso dal proprio. I nostri coachee diventano in questi
casi i nostri più grandi maestri.
di Sheyla Rega*
www.dolquest.com
Il questionario
MBTI e il Coaching
Di Pier Marinoni
Cos’è l’ MBTI
Il Myers-Briggs Tipe Indicator (MBTI) è un questionario
basato sulla “teoria dei tipi psicologici” dello psichiatra
svizzero Jung. Identifica le caratteristiche che differenziano
le persone e che, oltre a generare comportamenti diversi,
possono essere fonte di malintesi e di comunicazione
inefficace. Basandosi sulle proprie osservazioni, Jung
concluse che le differenze comportamentali degli individui
derivano dalla tendenza innata nelle persone ad usare la
mente in modi diversi. Agendo secondo queste tendenze,
tutti sviluppano modelli comportamentali diversi.
Quindi, i modelli comportamentali sono organizzati in
quattro coppie di preferenze che descrivono quattro attività :
Energia: in che modo la persona si motiva, tramite
l’estroversione o l’introversione
Percezione : quello cui una persona fa attenzione e, in
un’ottica aziendale, il modo in cui ama dare o ricevere
informazioni, tramite la sensorialità o l’intuizione
Decisione : in che modo una persona prende decisioni, se
tramite il pensiero o le emozioni
Vita: lo stile di vita adottato da una persona ed il modo in
cui tende ad agire, tramite il giudizio o la percezione
Il combinarsi di queste preferenze genera i 16 ”tipi
psicologici” definiti da Myers e Briggs ( due studiose
americane che, partendo dalle teorie di Jung, strutturarono
nel secolo scorso il questionario odierno). In linea generale,
il questionario permette di far emergere:
- Le caratteristiche del “tipo psicologico” cui si appartiene
- Il potenziale massimo: come si tende ad agire
- Come gli altri possono percepire la persona
- Le aree potenziali di crescita, anche in relazione a
situazioni di stress.
Tale colloquio interiore permette alla persona di migliorare
sia la coscienza di sè e delle proprie preferenze di
comportamento sia di acquisire consapevolezza della
percezione che gli altri hanno di noi.
Utilizzo dell’MBTI nell’ Executive Coaching
In primo luogo l’MBTI è utile come base diagnostica per
un percorso di crescita individuale (quale ad esempio il
coaching one to one). In generale lo si può considerare
appartenente alla categoria degli strumenti (tra cui il
feedback a 360°, l’MBO, o altri tools che individuano
preferenze comportamentali) che permettono al coach (e al
coachee) di avere una sorta di assessment da cui partire per
un programma di coaching individuale.
L’MBTI in particolare è adatto alla “restituzione” del
feedback iniziale in quanto permette al coach di discutere
col coachee di alcune sue preferenze nel modo di pensare,
lavorare e rapportarsi agli altri. Questa riflessione,
condivisa con il coach e stimolata dalla lettura del report
finale, permette al coachee di riconoscere (attraverso uno
strumento “neutro” che non dà giudizi di valore) alcune
sue caratteristiche, di vederne gli aspetti positivi ma anche
le aree di miglioramento. E’ quindi un buon strumento per
aiutare a definire, all’inizio del processo, gli obiettivi di
sviluppo del percorso di coaching. Questo, in particolare,
può essere indicato quando l’azienda mette a disposizione
del coachee il programma di coaching, senza, tuttavia, aver
individuato dei chiari obiettivi, ma piuttosto delle “aree”
generiche su cui andare a lavorare. La discussione su queste
“aree”, unitamente alla riflessione sui comportamenti agiti
in azienda, stimolata dall’MBTI, permettono al coach e al
coachee di precisare meglio gli obiettivi del percorso.
Un secondo utilizzo dell’MBTI è relativo al Team
Coaching.
Il Team Coaching, richiesto dall’azienda per aiutare i gruppi
a lavorare meglio insieme, vede riuniti colleghi che agiscono
nella medesima funzione, oppure un Management Team, o
ancora gruppi interfunzionali. Le diverse caratteristiche dei
membri del team nel modo di pensare, agire e relazionarsi,
possono creare malintesi e frizioni, che tendono a reprimere
l’efficacia del team stesso.
Il coach che ha il compito di supportare il team a trovare
un funzionamento efficace, ha nell’MBTI uno strumento
di lavoro prezioso. All’inizio viene fatto compilare il
questionario individualmente: la “restituzione” avviene, in
genere, in gruppo. Al team viene spiegato cos’è l’MBTI,
come funziona e le caratteristiche individuali che evidenzia.
Il messaggio trasmesso da parte del coach è che ogni
caratteristica è “positiva”, che ogni diversità personale
genera delle aree di forza e che anche caratteristiche diverse
dalle nostre sono “giuste” ed utili, anche se possiamo far
fatica a entrare in contatto con esse e con gli individui che le
manifestano. In seguito vengono restituiti e condivisi con i
partecipanti i profili dei “tipi psicologici” che emergono dal
report. In tal modo il gruppo ha evidenza dei diversi “tipi”
che lo compongono.
Infine si presenta una “mappa” in cui sono riportati le
tipologie dei diversi partecipanti e su questo si avvia una
discussione facilitata dal coach su come comunicare meglio
tra individui che hanno “tipi” molto diversi tra loro, avendo
capito che queste differenze sono innate e “naturali” e che
non devono generare confitti. A seguire, la discussione verte
su come ogni membro del team può “trarre vantaggio” da
membri del suo team che presentano “tipi” diversi dal suo,
su determinati compiti in cui le proprie caratteristiche non
sono particolarmente indicate.
Il risultato di un team coaching di questo tipo è di permettere
ai suoi membri di conoscersi meglio, di far diminuire
conflitti legati a caratteristiche individuali non comprese e di
aumentare la cooperazione e l’efficacia.
Grazie all’MBTI questo processo avviene efficacemente e in
tempi relativamente rapidi.
di Pier Marinoni*
STRUMENTI PER IL COACHING –– 08
I segreti del 360°
Di Marina Fabiano
Tanto per cominciare: in cosa consiste un buon 360°? Se ne
sente parlare nell’ambito della valutazione delle competenze,
ma poi ognuno ne deriva un significato diverso.
Come appassionata utilizzatrice dello strumento, mi permetto
di dire la mia. Un sistema di valutazione della leadership
a 360° permette di identificare alcune interessanti aree di
riflessione. Dato che nessuno di noi è un leader perfetto, è
virtualmente utile sapere come siamo percepiti dagli altri,
quelli che ci vedono all’opera quotidianamente, e non solo
come ci vediamo noi nel nostro personalissimo specchio
tinteggiato di rosa. Un ottimo 360° è prima di tutto anonimo,
chi parla di noi non è riconoscibile e quindi è più onesto che
mai. Dal nostro punto di vista, dobbiamo sforzarci di leggerlo
come elemento di ulteriore miglioramento professionale,
non certo come giudice dei nostri amati comportamenti
abitudinari.
Un 360° dimostra che “quanto percepito è reale”. Possiamo
decidere di metterci sulla difensiva e discutere i risultati,
ma visto che questi rappresentano la media dei pareri degli
osservatori (il questionario della MRG Management Research
Group rivela soltanto il punto di vista del capo (se ne
consideriamo uno solo), altrimenti colleghi e collaboratori, o
clienti ed altre categorie di osservatori si mescolano ed offrono
una percezione mediata), dobbiamo proprio farcene
09 –– STRUMENTI PER IL COACHING
una ragione e fissare la realtà. Inoltre, i comportamenti
osservati e valutati dovrebbero essere confrontati con la
situazione dell’azienda e del mercato di riferimento (ad
esempio, quali sono i comportamenti ideali richiesti ai leader
in questo momento e in questo contesto?).
Un’analisi della leadership a 360° non va fatta per completare
un percorso di valutazione delle performance di fine anno,
ma deve avere obiettivi identificati e dichiarati. Il consulente
che utilizza strumenti del genere di solito è certificato dal
produttore, ha seguito corsi formativi, ha parecchia esperienza
e si tiene aggiornato sull’evoluzione dell’oggetto. Il 360°
della MRG utilizza un questionario basato su molteplici scelte
(ipsativo), di difficilissimo auto-imbroglio, con elementi
ripetitivi e di controllo casuale a prova di leader perfetto.
Anche gli osservatori, mentre rispondono, non sanno a quali
comportamenti si stanno riferendo, e perciò l’accuratezza delle
risposte è (quasi) garantita.
Infine, ciò che ritengo particolarmente appropriato per un
360°, è l’azione. Non serve a nulla ottenere una visione
esterna della propria leadership, confrontata all’autovalutazione, per il gusto di sapere. Il passo obbligato è l’agire
orientandosi su uno o due comportamenti che si desidera
migliorare, in quanto se ne rilevano evidenti vantaggi. Lo
strumento di MRG offre ampia documentazione a supporto del
cosa fare e in quali occasioni, dal condividere i risultati con
i diversi canali comunicativi (capi, colleghi, collaboratori),
al confrontarsi con una sorta di leadership ideale stabilita dal
management team, al concordare comuni azioni pratiche con
gli osservatori o con un coach. Il linguaggio diventa subito
condiviso e compreso, lo si impara fin da piccoli leader, il
feedback è chiaro e accettabile.
di Marina Fabiano
Info a www.mrg.com
Da Manager a
leader: un salto
sfidante
Di Marina Fabiano
(liberamente tratto da un’idea di ROBERT KABACOFF,
Management Research Group www.mrg.com)
Da impiegato di staff a manager è un bel passo: richiede
capacità e comportamenti non facili. Dopo aver
faticosamente accumulato alcune abilità stando in prima
linea, non è detto che queste vadano bene nel passaggio
successivo. Anzi, sicuramente ne occorrono altre, per
transitare dal contributo individuale all’orientare un
team di persone, e poi al dirigere un gruppo di manager.
Le persone, e le aziende, sono molto interessate
affinché questa transizione avvenga nel modo più
efficace possibile, ma spesso non fanno abbastanza
perché ciò accada e lasciano che tutto avvenga per
caso, per grazia ricevuta o per eventuale iniziativa
del protagonista. Impiegati desiderosi di fare carriera,
di diventare supervisori, coordinatori, manager e poi
leader, hanno bisogno di una mappa per orientarsi. Quali
comportamenti da leader, quali abilità e competenze sono
le più importanti? Quali oggi, e quali domani? Su cosa è
meglio investire?
I comportamenti del leader si aggiornano
Nel 2010, la Società Management Research Group
(www.MRG.com ), proprietaria di un sistema di
valutazione della leadership a 360° tra i migliori al
mondo, ha eseguito uno studio su larga scala partendo
proprio da queste domande. Sono stati studiati circa
3000 manager di prima linea e 9000 leader in oltre 1500
organizzazioni americane, in 18 settori diversi. Ogni
partecipante è stato inserito in un progetto di analisi
dell’efficacia della leadership a 360°, cioè considerando
i punti di vista di capi, colleghi e collaboratori, con un
questionario orientato a 22 comportamenti da leader e più
di 20 modalità di misura dell’efficacia.
I comportamenti analizzati sono nell’area
dell’innovazione, persuasione, comunicazione,
orientamento strategico, gioco di squadra e tensione ai
risultati. Le unità di misura dell’efficacia comprendono
credibilità, attitudine al business, attenzione alle persone
e potenzialità future.
Comportamenti fondamentali del manager di prima linea
La ricerca ha fatto emergere 7 comportamenti
fondamentali. I manager che praticano questi
atteggiamenti sono percepiti – da capi, colleghi e
collaboratori - come i più efficienti.
In ordine decrescente di importanza, questi sono:
Pensiero strategico: in particolare, l’approccio
strategico alla soluzione dei problemi e al prendere
decisioni. Questi manager dimostrano di analizzare
l’impatto futuro delle decisioni odierne, comprendono le
interdipendenze all’interno della propria organizzazione
e quindi l’impatto delle proprie decisioni su altri reparti e
sull’intero sistema, hanno sempre in mente la domanda:
“Dove stiamo andando, e come ci possiamo arrivare?”
Comunicazione: dichiarare con chiarezza le proprie
aspettative, esprimere il proprio pensiero, mantenere
un flusso informativo costante e appropriato. Questi
manager sono convinti dell’importanza di tenere gli altri
aggiornati.
Tecnicismo: acquisire e mantenere conoscenze
approfondite del proprio ambiente. Questi manager
sono immensamente preparati ed usano le loro credibili
esperienze per guidare gli altri.
Entusiasmo: lavorare con energia e intensità, esprimere
emozioni. Questi individui sanno usare la propria
passione per coinvolgere gli altri e tenerli motivati,
catturare il loro interesse a livello emotivo, aiutandoli a
sentirsi bene, facendo loro apprezzare il lavoro.
Empatia: dimostrare attenzione alle persone e alle loro
esigenze. Questi manager sviluppano relazioni strette
con gli altri, investono tempo per conoscerli, enfatizzano
valori come generosità e gentilezza, dimostrando sincero
interesse per il benessere altrui.
Controllo: non trascurare nulla, fissare momenti di
condivisione delle azioni concordate, monitorare il
procedere delle attività, assicurarsi che le promesse siano
mantenute. Queste persone seguono il lavori dati in
delega per accertarsi che qualità e quantità procedano di
pari passo.
Orientamento gestionale: cercare di influire stando
in posizione di autorità, facendosi carico delle
responsabilità, guidando gli altri e le loro energie. Questi
manager cercano le occasioni per emergere, amano
influenzare ed apprezzano l’essere alla guida, anche
in posizione laterale. Imparano a sentirsi a proprio
agio in situazioni direttive e sanno confrontarsi con gli
inevitabili conflitti.
STRUMENTI PER IL COACHING –– 10
E’ ovvio che i comportamenti appena descritti
interagiscono e si fondono tra di loro. Il tecnicismo
aggiunge profondità all’approccio strategico; empatia ed
entusiasmo permettono di assumere ampie responsabilità
senza perderne traccia, grazie ad un accurato
controllo che non appaia troppo direttivo; la chiarezza
comunicativa rende facile la relazione manageriale.
Competenze vincenti per manager esperti
Alcuni comportamenti si sovrappongono ai precedenti;
altri se ne aggiungono:
Il pensiero strategico è sempre importante, egualmente
ad ogni livello dell’organizzazione, ben consapevoli che
più si sale più la visione temporale si allarga. I manager
di prima linea saranno quindi orientati tra i 6 mesi e i 2
anni, un senior manager guarderà oltre, dai 3 ai 10 anni.
Benché, lo sappiamo bene, le incognite economiche
e l’andamento dei mercati obbligano a sviluppare un
certo strabismo strategico, dal breve al lunghissimo, a
scansione continua.
Comunicare persuadendo. Comunicare soltanto non è
più sufficiente, occorre inserire capacità di influenzare gli
altri portandoli ad apprezzare il proprio punto di vista,
convincendoli della bontà delle proprie idee. Il mondo
della politica insegna, senza strafare.
Il tecnicismo diventa gestione delle conoscenze. Non
è più così importante possedere tecnicismi profondi,
diventa indispensabile sapere dove – e da chi –
recuperare le informazioni necessarie, quali sono le fonti
credibili e cosa far fare per ottenere risultati.
Delega e controllo. Va ampliata l’abilità di delegare,
affidarsi al contributo di altri, mantenere un elevato
ma non invasivo controllo delle fasi in corso, essere a
conoscenza delle capacità altrui, saper dare adeguati
feedback.
Che c’è di nuovo?
Con l’aiuto di MRG e dei suoi strumenti, abbiamo
elencato una serie di comportamenti di leadership tra i
più importanti, per manager di primo livello e oltre. La
sfida risiede nel comprendere quali abilità possediamo,
quali sono potenziali, quali vacillano: quindi stilare un
elenco di obiettivi comportamentali da raggiungere e –
con il valido supporto di un buon coach – avviarsi verso
la propria carriera, quella che, possibilmente, scegliamo
di intraprendere.
di Marina Fabiano*
11 –– STRUMENTI PER IL COACHING
Yoga della Risata
(ydr) in 5 punti
Di Monica Giordani
1. “Ridere senza motivo” : questo è lo Yoga della
Risata!!! In una cultura dove non si può ridere senza
motivo e ci deve sempre essere una valida ragione per
ridere … valida per chi? Mi verrebbe da dire…. Ecco
dunque come lo ydr è uno strumento al di là degli schemi
convenzionali, innovativo e rivoluzionario nella sua
stessa definizione.
Si tratta di un nuovo concetto dove chiunque può ridere
senza motivo, non abbiamo bisogno di barzellette,
scherzi o film comici. L’intenzione è quella di non
coinvolgere l’aspetto cognitivo e bypassare il sistema
intellettivo che normalmente agisce da freno sulla risata
spontanea.
2. Ridiamo come forma di esercizio, quello che viene
fatto è ridere in gruppo, come una sorta di esercizio, ma
quando ci si guarda l’un l’altro e si entra in uno stato di
giocosità, la risata stimolata diventa reale e contagiosa.
3. Lo Yoga della risata si basa sul presupposto
scientifico che il corpo non avverte la differenza tra
una risata reale e una indotta (se fatte con volontà) e si
producono gli stessi benefici sia a livello fisiologico che
psicologico.
4. La ragione per cui è chiamato Yoga della risata
è perché si combinano esercizi di Yoga della risata
con esercizi di respirazione Yoga (Pranayama) che
consentono l’apporto di maggior ossigeno nel nostro
corpo, e ciò ci fa sentire più energici e rinvigoriti
5. Lo Yoga della Risata (Hasya Yoga) è nato in India nel
1995 ad opera di un medico, il Dr.Madan Kataria, ed
ebbe inizio con sole 5 persone in un parco di Mumbai.
Ora ci sono più di 60.000 Club in più di 60 paesi nel
mondo.
Lo Yoga della risata (ydr) è uno straordinario metodo rivoluzionario per
ridere senza motivo.
L’incredibile successo è dovuto alla straordinaria combinazione di tecniche
di risata tramite esercizi di creatività e di movimento, di carattere ludico e
relazionale che partono dal recupero della giocosità tipica dei bambini, con
tecniche di respirazione dello yoga e stretching. I benefici sono enormi, fisici
ma non solo, dall’aumento dell’autostima al miglioramento delle relazioni. Il
risultato non solo è sorprendente per la sua immediatezza, ma soprattutto per
la sua profondità.
Intervista di Marina Fabiano a Monica Giordani
Domanda: Parliamo di strumenti di coaching: ritieni
che lo YOGA DELLA RISATA possa essere definito
“uno strumento”? Perché?
Risposta: Assolutamente SI, è uno straordinario
strumento di coaching per rimuovere inibizioni,
barriere e convinzioni limitanti che ci impediscono di
essere autentici e di esprimere al meglio le nostre qualità.
Il Coach con la C maiuscula (come ben dice Dilts) è
colui che aiuta il proprio cliente ad essere allineato ai
propri valori ad agire con spinta propulsiva di cui solo
la congruenza e l’allineamento sono portatori. Sono
convinta che il coachee possa raggiungere risultati
eccellenti, soprattutto liberando la propria autenticità
per poter esprimere il meglio di sé ed ”osare essere
se stesso” in una società che tende ad incasellare ed
etichettare le persone in base ai ruoli e ai comportamenti.
Inoltre uno dei compiti principali del coach è quello di
aiutare il cliente ad osservare le situazioni da diverse
prospettive, ad aiutarlo a sviluppare flessibilità e
creatività.
La produzione endogena di endorfine ottenuta attraverso
il ridere, incrementa la creatività, ciò che ci consente di
produrre nuove soluzioni a vecchi problemi e quindi di
generare comportamenti attuali più funzionali ai risultati
che vogliamo conseguire.
Lo ydr è anche un potentissimo strumento per fa
comprendere alla gente che la felicità e la risata sono stati
mentali, che non devono essere condizionati dagli alti e
bassi della vita.
“La qualità della nostra vita dipende dallo stato della
nostra mente.” Sri Ravi Shankar
Lo YdR ci aiuta dunque ad impare a “gestire gli stati
mentali”, a promuovere un’attitudine mentale positiva
per entrare in contatto con le situazioni negative; ci
aiuta a rapportarci con situazioni e persone difficili nella
maniera migliore.
D: Con quale stato d’animo le persone si avvicinano a
questa “novità”?
R: Ho quasi sempre riscontrato “curiosità” e “interesse”
nelle persone che si avvicinano allo Yoga della risata.
C’è un gran desiderio di giocosità e di leggerezza
(soprattutto negli ambiti aziendali). Può capitare che
durante la pratica, alcune persone si “vergognino” e
possano essere tentate di allontanarsi. Sono persone
molto timide ed introverse, che durante la sessione di
risata, devono fare i conti con se stesse e con i propri
limiti; mettono in moto i vari meccanismi di difesa (se
esprimono il bisogno di migliorarsi suggerisco loro
STRUMENTI PER IL COACHING –– 12
un programma di ydr one-to-one appositamente studiato
che dura dalle 4 alle 8 sessioni). L’abilità del coach/
leader di risata sarà quella di intervenire delicatamente,
calibrando le difficoltà e modulando di conseguenza
l’intervento.
Vi faccio un esempio delle obiezioni più frequenti e
delle risposte suggerite:
Obiezione: “….. ma io rido già spesso durante la
giornata …”
Risposta: Al fine di ottenere i benefici scientificamente
provati della risata, bisogna ridere in maniera
continuativa per almeno 10-15 minuti, mentre la risata
naturale non dura che pochi secondi. Per ottenere il
massimo dei benefici dalla risata questa deve essere forte
e fragorosa e provenire dal diaframma. Potrebbe non
essere socialmente accettabile ridere fragorosamente, ma
la sessione di risata “ci autorizza” a ridere di pancia.
La risata spontanea che facciamo nella nostra
quotidianità dipende da molte ragioni e condizioni, ciò
significa che la risata è lasciata al caso, può capitare o no.
Nella sessione della risata invece, questa non è lasciata al
caso ma deriva dal nostro impegno.
Obiezione: “come posso imparare a ridere se non ho
mai riso?”
Risposta: Il nostro corpo può essere “programmato
per ridere”, e pensare di fare é come fare (tecnica delle
visualizzazioni). Inoltre la ripetizione è la madre di
ogni insegnamento (condizionamento cani di Pavlov)
E continuando a riprodurre la risata programmiamo il
nostro corpo a ridere.
Obiezione: “come si fa a ridere se non ho lo spirito per
ridere?”
Risposta: Puoi cambiare il tuo “umore” con la risata e
questo è spiegato con la teoria scientifica del “motion
creates emotion”. Chi è depresso parla lentamente e si
muove lentamente. La mente è collegata al corpo, ecco
perché diciamo alle persone “esci a farti un giro” . Il tuo
corpo può controllare la tua mente. Madan Kataria dice:
”Porta il tuo corpo a ridere e la tua mente riderà con lui”
ovvero, se ci si comporta come una persona felice, la
chimica di questo stato mentale diventa reale.
G.B.Shaw soleva dire ” la vita non cessa di essere
divertente quando le persone muoiono come non cessa di
essere seria quando esse ridono”
D: Lo sanno tutti che ridere fa bene. In azienda,
ce lo permettono o può essere considerato una
perdita di tempo dai seri professionisti tutti
dediti al business?
R: Il lavoro è una cosa seria e non seriosa!!!
A causa del troppo stress, il posto di lavoro è
diventato un luogo troppo “serioso”. Si tende spesso
13 –– STRUMENTI PER IL COACHING
a credere che le persone serie siano più responsabili e
più produttive, ma ciò non è per nulla vero. Le persone
più efficaci sono quelle che prendono sì il lavoro
seriamente, ma che sanno anche prendere se stessi alla
leggera.
Lo Yoga della risata, un fenomeno che ebbe inizio
come movimento Social Club, è ora entrato nelle
aziende, fornendo alle organizzazioni potenti benefici
operativi. I dirigenti d’azienda hanno scoperto che con
l’introduzione di sessioni della risata, il posto di lavoro
diventa un luogo più felice, l’efficienza aumenta, la
comunicazione migliora, le vendite e la produttività,
così come la creatività, incrementano; l’affiatamento e il
gioco di squadra migliorano, la malattia e l’assenteismo
diminuiscono, e c’è meno turnover.
In conclusione, grazie agli studi scientifici, e alla
copertura dei media su scala mondiale, anche i
seri professionisti tutti dediti al business si stanno
sensibilizzando e dimostrano un interesse verso queste
sorprendenti e semplici tecniche. (vedi numerose
pubblicazioni nel TIME Magazine, National Geographic,
Wall Street Journal, Los Angeles Times, Daily Telegraph
e molti altri, come pure note reti televisive come BBC,
CNN, ZDF (Germania), NHK (Giappone), ABC news
(USA) e la stessa RAI.
D: Quali sono gli scopi primari per concedersi una
bella risata?
R: La risata è un dono della Natura, e quindi lo scopo
primario, dal mio punto di vista, è quello di connettersi
con la “Fonte”: gli uomini sono nati per essere felici e
giocosi mentre la tristezza è una patologia.
La dott.ssa Jane Yip, psicologa e ricercatrice australiana,
afferma che lo YdR: «(...)è l’inizio di un progetto sociale
che porterà alla pace, con un potenziale per unire il
mondo che non tiene conto della razza, del sesso, della
classe sociale o dell’affiliazione politica o del credo
religioso, in quanto si ride tutti allo stesso modo».
Ridere cambia l’atteggiamento mentale, dona
un senso di benessere e di leggerezza, sviluppa
la personalità e la maggiore consapevolezza di
sé aumentando la propensione alla leadership e
provocando un miglioramento della capacità di
lavorare in team con un incremento della creatività.
E non dimentichiamo che è anche un ottimo esercizio
per persone impegnate: oggigiorno si è così occupati
che spesso non si ha il tempo per fare dell’esercizio
fisico. Il Dr. Williams Fry dell’università di Stanford
ha dimostrato che 10 minuti di sana risata equivalgono
a 30 minuti sul vogatore. Non in termini di movimenti
muscolari, ma di resistenza cardio-polmonare. E’
stato provato scientificamente che in 20/30 minuti
l’organismo riesce a rigenerarsi in modo straordinario
sia sotto il profilo del benessere fisico che del benessere
fisico che del benessere psicologico, con modalità del
tutto naturali, per nulla faticose, anzi divertenti.
D: Esiste una tecnica anche per ridere o si può fare
ognuno a modo suo?
R: Il fulcro dello Yoga della Risata è: ridere senza
motivo come forma di esercizio. Si tratta di un insieme di
semplicissime tecniche, da fare sia da soli che in gruppo:
le possiamo sintetizzare nei “4 passi” :
1. Battito delle mani canto e movimento
2. Esercizi di respirazione profonda (pranayama)
3. Recupero della giocosità dei bambini
4. Esercizi di risata
Imparare queste tecniche è semplicissimo: oggi lo si può
fare facilmente anche in Italia, e in contesti diversi (gli
incontri devono essere condotti da Leader certificati,
mentre la formazione Leader deve essere fatta da Teacher
certificati). Come?
- frequentando gratuitamente un Club della risata
- partecipando ad un workshop di approfondimento
- certificandosi LYL (Laughter Yoga Leader) con un
corso specifico di 2 giorni consecutivi
- tramite incontri individuali con un coach certificato
LYL
A tutti voi: provare per credere!!
Mark Twain: “E’ inutile prendere sul serio la vita, tanto
non se ne esce vivi”
Per approfondimenti visitare il sito ufficiale
internazionale del Dott.Kataria www.laughteryoga.org
e quello dell’Associazione Italiana Yoga della Risata:
www.yogadellarisata.it
di Monica Giordani*
STRUMENTI PER IL COACHING –– 14
Individual
Effectiveness
Di Enrico Illuminati
L’Individual Effectiveness è un tool di Intelligenza Emotiva
sviluppato da JCA Occupational Psychologists (www.jca.
eu.com) con il Centre for Applied Emotional Intelligence.
Fornisce la misura di 16 scale dell’IE che variano dalla
considerazione di sé e degli altri, alla fiducia, la flessibilità
e determinazione, alle abilità di relazione, assertività e
capacità di gestire i conflitti. Questo strumento consente
di mettere in evidenza le caratteristiche fondamentali
che determinano la leadership di successo, le relazioni
basate sulla fiducia, l’alta performance, il benessere e la
produttività. Il questionario è composto da 132 domande a
cui rispondere on-line e può essere erogato al coachee sia
sottoforma di self-assessment che di feedback 360°.
Osservando il Framework IE di JCA qui sotto, il
collegamento tra i tre livelli (atteggiamenti, emozioni
ed azioni) e le diverse parti (intrapersonale –sé- ed
interpersonale –altri-) dell’IE, è necessario per consentire
l’equilibrio e la coerenza dei nostri comportamenti
ed obiettivi, e determina la nostra efficacia personale.
Questo strumento può essere utilizzato trasversalmente in
tutte le specialità di Coaching dal Life all’Executive.
Di seguito riportiamo alcune testimonianze di Coach
Professionisti che lo utilizzano nella loro pratica di
Coaching.
Ioia Rocco – Corporate Coach
Utilizzo questo tool con Quadri e Dirigenti. A livello di
Quadro, l’Individual Effectiveness è utile per identificare
quali caratteristiche dell’Intelligenza Emotiva della
persona influenzano o sono di ostacolo al raggiungimento
dell’obiettivo di Coaching. Soprattutto quando gli obiettivi
sono multipli e ricadono nella sfera delle relazioni con
gli altri. E’ uno strumento accelerante per scoprire alcune
dinamiche interne del coachee, che lo possono ostacolare
nel raggiungimento dell’obiettivo. In particolare permette
di rilevare il proprio atteggiamento di base predominante
(equilibrio fra la Considerazione di sé e degli altri).
Costituisce una sorta di punto di partenza importante per
affrontare temi come la gestione dei conflitti, la negoziazione,
la gestione dei collaboratori, in quanto rappresenta l’approccio
emergente del Coachee al tema. Come strumento autovalutativo, mette la persona nello stato mentale di accettare
il risultato più rapidamente, perché è lì, nero su bianco. Con
i Dirigenti, quando le competenze si danno per acquisite ed
il livello è già alto, permette di individuare facilmente l’area
che potrebbe far fare l’ulteriore salto di qualità. Franca Bisi –Corporate Coach
Lavoro prevalentemente in ambito Corporate, ed è uno
strumento che propongo in contesti di sviluppo, facendo
un lavoro preparatorio in cui la persona ha voglia di
mettersi in discussione. Questo strumento mi ha sorpreso
per la sua efficacia nell’andare in profondità alle radici dei
comportamenti: è come se i comportamenti metaforicamente
fossero i rami dell’albero, gli atteggiamenti e “mindset”
le radici che sono rappresentati in questo tool dalla
Considerazione di sé e degli altri, da cui deriva poi tutto ciò
che ci sta sopra. Quando si utilizzano questo tipo di strumenti,
il rischio può essere di imbarazzo ad entrare in queste aree e
va quindi utilizzato con riservatezza.
In Azienda, laddove di solito c’è la triangolazione
Committente, Coach e Coachee, la mia tendenza è che
l’oggetto sia riservato alla relazione fra Coach e Coachee.
Camilla Rovelli – Career & Business Coach
Ritengo l’Individual Effectiveness uno strumento molto
efficace come punto di partenza per il Coachee per
evidenziare aspetti personali di cui di solito non si parla e
non si dà attenzione, in particolare la Consapevolezza di sé e
degli altri.
Ho riscontrato nello strumento la grande capacità di favorire
nel Coachee dei forti “insight” che gli rivelano per la prima
volta aspetti che non aveva mai considerato.
E’ uno strumento considerato di sviluppo, e quindi non
ha senso utilizzarlo da solo ma è necessario affiancarlo ad
un percorso di Coaching. Quando si parla di Intelligenza
Emotiva, c’è la tendenza a considerarla erroneamente un
argomento che ha poco a che fare con il business, ed è per
questo che c’è una certa diffidenza iniziale quando lo si
propone in ambito Corporate; il mio riscontro, e quello dei
miei Clienti, è invece il grande valore che lo strumento
possiede per consentire una maggiore conoscenza di sé su
aspetti che di solito non vengono considerati. L’Intelligenza
Emotiva (QE Quoziente Emozionale) affianca il più noto
QI (Quoziente Intellettivo) e le abilità. Non tenere conto
dell’’IE/QE vuol dire lavorare solo sul 50% della persona.
E’ per questo che ritengo che questo strumento abbia un
impatto maggiore in Azienda.
Sergio Amatulli –Corporate Coach
Utilizzo l’Individual Effectiveness all’inizio di percorsi di
Coaching come fonte di “feedback” iniziale per
delineare/individuare gli obiettivi del percorso. Spesso è una
bussola che indica la direzione da prendere.
Risulta essere un “feedback” del Manager sul
comportamento Aziendale come autoanalisi, momento
di riflessione che consente un grande aumento della
consapevolezza. A volte la committenza può non aver
dato feedback specifici al Coachee e quindi diventa un
quarto elemento nella triangolazione iniziale.
Avvantaggia il processo di Coaching poiché diventa
più breve. Alcuni elementi sarebbero potuti emergere
comunque durante il percorso ma lo strumento accelera
questa scoperta, come se si fosse più avanti nelle sessioni.
Al Coachee piace la “neutralità” poiché non è un feedback
calato dall’alto ma dato da sé stesso, più facile da accettare.
A differenza di altri strumenti, è molto calato sull’individuo
e meno sull’essere incasellato in categorie (testimonianza
di Clienti); altro aspetto rilevante è che il Coachee viene
inserito in un gruppo di confronto specifico, e quindi il suo
profilo personale ha un riscontro più coerente rispetto alla
sua posizione professionale o al contesto in cui opera.
Il Distributore esclusivo in Italia è Foresight S.r.L. www.
foresightcompany.it.
di Enrico Illuminati*
Lo strumento Individual Effectiveness ed il logo sono
un marchio registrato di JCA Occupational Psychologists Limited. JCA si
riserva tutti i diritti ed è il proprietario esclusivo nel mondo www.jca.eu.com.
STRUMENTI PER IL COACHING –– 16
Situazioni Appiccicose
Sono quei momenti in cui non sai bene come proseguire il
dialogo, quando cominci a pensare di essere inadeguato
nel tuo ruolo di coach (e di managercoach). Cambiare
argomento? Insistere? Dichiarare “non so più che dire…”?
Ad ogni edizione, CoachMag propone una situazione
appiccicosa e chiede a tre coach esperti di esprimere il
proprio parere.
Le Tariffe di una
sessione o di un
percorso di Coaching
Il punto di vista di Linkedin, Italian Coaching Group
Post tratti da una discussione sul tema “i costi del
coaching”. Ne riporto alcune parti, per la conoscenza di
chi frequenta poco i social network, incoraggiandovi ad
andare a leggere non solo tutta la discussione, ma anche
i risultati della ricerca pubblicata da Coaching Studio
http://coachingstudio.it/2010/12/13/tariffe-del-coaching
Dialogo avviato da Riccardo Montanari: mi piacerebbe sapere qual è la media
secondo voi del costo che un cliente paga per una sessione di Coaching.
Chiara Bottini: credo dipenda da una serie di fattori:
1) il tipo di lavoro che coach e coachee dovranno sviluppare insieme (quante sessioni sono individuate come “opportune” da parte di
entrambi);
2) che tipologia di coaching (life, business, executive, ecc) e, quindi, se saranno previsti incontri anche con i responsabili del coachee oppure
no
3) se il cliente in questione è in contatto diretto col coach oppure c’è di mezzo una società provider, attraverso cui il coach acquisisce clienti
4) il livello di esperienza del coach
Detto questo, nella mia esperienza il range varia dai 350 ai 1000 euro a sessione... ma c’è anche chi chiede di più....
Riccardo Montanari: anche io ero fasato su queste tariffe e c’è davvero chi chiede anche di più (secondo me con ragione). Le mie sessioni
rientrano nel range che lei ha detto, solo che a volte la gente strabuzza gli occhi a sentire queste cifre... Ho aperto pertanto questo post x
capire se ero overprice, oppure c’è chi chiede davvero poco pur di “trovare clienti”.
Chiara Bottini: capisco perfettamente! Il fatto che non si entri ancora nella mentalità di pagare le competenze piuttosto che i “minuti”
impiegati nella sessione (senza contare tutto il lavoro che c’è dietro) non agevola le professioni ad altissimo valore intellettuale, come il
coaching o anche la formazione.... Tuttavia la strada della consulenza sembra disseminata di committenti “imperfetti” e, spesso, la “guerra dei
poveri”, con le tariffe a ribasso, è una sgradevole necessità da cui non è semplice stare lontani, per non inquinare il mercato....
Marco Valerio Ricci: mi sembra che le tariffe di cui si parla siano di gran lunga eccessive e che contribuiscano a creare confusione in
un mercato che è già particolarmente confuso. Quando i miei allievi mi chiedono quanto farsi pagare indico un range che va dai €60,00
a sessione per i neo-certificati fino ai €200,00 per chi ha un’esperienza veramente notevole nell’ambito life, mentre in ambito business
la forbice si alza a €120,00 - €500,00 - organizzati in pacchetti. Inoltre è fondamentale che siano chiari a priori durata e aspettative
comportamentali del coach, troppe volte ho trovato persone che si erano rivolte a coach che la “tiravano per le lunghe”…ed ovviamente non
erano soddisfatti del servizio!
Riccardo Montanari : sono d’accordo sull’etica e i confini della professione. Per il resto 60 Euro per una sessione di life coaching, mi pare
veramente uno schiaffo alla professionalità di una persona che già ha investito soldi e tempo su sè stessa. 120 Euro x il business, mi pare un
pugno più che uno schiaffo. E comunque se riuscite a mangiare con queste tariffe buon per voi...
Chiara Bottini: La competenza dovrebbe essere pagata. E dovrebbe essere etica non in quanto pagata 100 piuttosto che 500, ma in quanto
seria, trasparente, ricca di contenuti reali (non immaginari...) e utile, così come da aspettative del committente. Mettere ordine è buona cosa
(albi, tariffe, ecc), soprattutto se non si aspira a livellare ciò che non si può livellare. Poi..se si dovesse arrivare al tariffario fisso a 60 euro
l’ora, beh, ognuno farà le sue scelte...credo....
17 –– STRUMENTI PER IL COACHING
Riccardo Montanari: A 60 Euro (Io sono di Milano) cambierei sicuramente professione. Allora paghiamo i piloti degli aerei come quelli
dell’ATAC o dell’ATM? Oppure tra guidare un autobus ed un aereo ci vogliono competenze diverse? E tra pilotare un aereo x Ryanair o
Emirates c’è differenza?
Mattia Rossi: Se chiedi a un autista dell’ATM, rischi di sentirti rispondere che lui lavora 8 ore filate in mezzo al casino, venendo insultato,
rischiando aggressioni fisiche ecc ecc, mica come quei damerini dei piloti che lavorano 2 ore e riposano 2 giorni, e sarebbe giusto che li
prendesse lui 10mila euro al mese... Invece se chiedi a un passeggero, ti risponderà che ovviamente guidare il tram è più facile ed è giusto
che i piloti d’aereo siano pagati di più dei tramvieri. … non considero quale differenza ci sia tra pilotare Ryanair piuttosto che British, bensì
quale differenza di esperienza vivo io come cliente. Nonché quanti soldi oggettivamente come cliente posso permettermi di spendere.
Inoltre.
Da un lato ciascuno coltiva il proprio mercato come la sua professionalità e le circostanze gli consentono di fare, e dunque vende il proprio
valore soggettivo al prezzo più vantaggioso che ha l’abilità di spuntare.
Dall’altro, mi pare ci sia ancora molto ma molto lavoro da fare per diffondere un messaggio percepibile e intelligibile da parte della gran
massa del mercato potenziale, e in questo credo sia molto utile consolidare una definizione di coaching con relative linee generali per
far capire con immediatezza di che cosa stiamo parlando. Il coaching ancora deve spiegare alla “gggente” che cosa sia esattamente. E in
questo credo che le associazioni professionali possano e anzi oserei dire debbano giocare un ruolo di primo piano - senza intaccare l’area di
autonomia e creatività che caratterizza questa come tutte le professioni.
Alla fine credo che arriveremo alla situazione che vivono tutte le professioni: ci sono quelli che arrancano sulle tariffe minime, quelli
che si fanno la loro strada dignitosamente, e quelli che ci si pagano lo yacht a Montecarlo. Eppure sono tutti definiti commercialisti
o avvocati o architetti… e non credo che nessuno di quelli con lo yacht si lamenti che quelli con la Panda deprimono l’immagine e la
dignità della professione. Semplicemente, ognuno si posiziona nella sua fascia di mercato, affidando la remunerazione del proprio lavoro
non ad una generica e astratta dignità della professione bensì alla propria personale soggettiva capacità di erogare valore e di gestirlo
imprenditorialmente.
Serenella Panaro: credo che molto dipenda dal target al quale ci rivolgiamo. Se si lavora con clienti life (che perlopiù In Italia ancora
non hanno idea di cosa sia il coaching) o si lavora con giovani o con persone in cerca di lavoro è assolutamente impossibile applicare le
cifre che ha indicato Riccardo. Condivido con voi però anche questa soddisfazione non meramente economica. Ho fatto sessioni con uno
studente davvero talentuoso che ha iniziato a lavorare in una multinazionale e che confrontandosi con il suo manager che gli raccontava
i gran benefici che otteneva nel lavoro con il proprio coach, gli ha risposto, sorprendendolo, che anche lui, studente alle prime esperienze
aveva il suo coach!
Credo che la nostra sia una professione importante e dovrebbe democratizzarsi sempre più allargando i target di riferimento. Non intendo
-svendersi-(attenzione!) ma neanche creare l’idea che o sei Rockefeller o non puoi permetterti di lavorare con un coach. La professionalità
e la competenza non dipendono da quanto chiedi, a mio avviso. Occorre mantenersi su quote adeguate alla professione (non troppo basse,
altrimenti è volontariato!) ma applicare il giusto prezzo per il giusto target, accompagnando il tutto con una riflessione personale su quale
per noi, singoli professionisti Coach, sia il limite personalmente accettabile.
Valentina Licciano: ho letto con molto interesse tutti i vostri commenti... Da neofita ho apprezzato davvero le vostre parole sulle tariffe e
soprattutto i commenti sulla professionalità del coach... Ho 31 anni e sono appena diventata coach di 3° livello con specializzazione in Life
Coaching. Non sono ancora iscritta ad ICF ma presto mi iscriverò dopo aver fatto tanta tanta tanta pratica :)
A ragione di questo vi dico che sposerò la filosofia della migliore tariffa soggettiva commisurata all’esperienza. Se all’inizio, senza alcun
nome alle spalle, senza alcuna garanzia dovessi affacciarmi al mercato con una tariffa di 250 euro a sessione, credo fortemente che il mio
suicidio sarebbe letale... Credo anche però che tra Business e Life ci siano parecchie differenze e che tutto debba essere commisurato al
target che ti cerca e che ha bisogno di un coach.
Roberto Roppi Brenta: 50€ x h di media. Per un’impresa non profit anche 20€ x h. A Marchionne 500€ x h, magari aggiungendoci un
buon Team Building presso una fabbrica polacca e procedendo molto lentamente, come il falegname che mi ha montato la cucina.
Giovanna Giuffredi: interessante scambio su un tema che pone molti interrogativi soprattutto ai neo coach. Un Coach appena uscito
dalla mia scuola chiede circa 60 euro, specificando anche che è un neo coach. In tal modo il mercato non viene inquinato, ma è chiaro
e trasparente il livello di formazione e di esperienza. Aumentando la seniority, acquisendo anche una certificazione per esempio ICF, si
comincia a chiedere di più. Nel Life si arriva anche a 200/300 euro a ora. Il Coaching non deve essere un intervento d’elite. Per questo
motivo ho fondato quest’anno un Associazione non profit che offre servizi di Coaching a tariffe agevolate e in tal modo agevolo anche i neo
coach che vogliono fare esperienza e sono interessati a tematiche sociali. Quando si parla di Business e in particolare di Executive, le tariffe
cambiano e, sempre in base alla seniority del coach, vanno da 400€ a 2000€ a sessione.
Come sappiamo non esiste un albo professionale e sul mercato il coaching ha davvero molte sfumature. Personalmente mi muovo in ambito
ICF, dove sono definiti sia il codice etico che gli standard professionali. Dal mio punto di vista deve essere chiaro come riconoscere e
declinare in comportamenti specifici le famose 11 competenze ICF e come sviluppare un percorso di coaching, sia sul piano relazionale che
di governance. Ma come molti di voi hanno sottolineato, credo che sia giusto agire nel rispetto della diversità degli approcci, purché con
etica e responsabilità.
Giulio Ardenghi: Sono allineato, più o meno, con i costi orari di una sessione di business coaching, almeno qui in Italia. La differenza è
che io contrattualizzo anche una parte in funzione dei risultati ottenuti. Risultati concordati col cliente e di carattere quantitativo, e quindi
indiscutibili. Questa parte la esprimo in valore assoluto e non in %. Quindi la mia esperienza sembra premiare un doppio approccio: fisso
orario + bonus a raggiungimento risultati da parte del cliente.
Bene, interessante discussione. E con ciò? Dov’è la Situazione Appiccicosa e quali sono le soluzioni suggerite?
Rinnovo l’invito ad esplorare la ricerca effettuata dalla Comunità di Pratica Milano 1 (avviata da Sheyla Rega,
risultati elaborati da Valerie Ryder, comunicazione a cura di Marina Fabiano) e pubblicata da Coaching Studio
e a tirare, ognuno, le proprie conclusioni.
STRUMENTI PER IL COACHING –– 18
Il metodo coaching
“Orientato alla
Soluzione”
Di Paolo Terni
Di questi tempi, trovare clienti che abbiano il budget per 6,
8, 10 o piu’ sessioni di coaching è estremamente difficile.
D’altro canto, “accorciare” il percorso standard di coaching
non è un’idea che tipicamente ci attrae - come coach
vogliamo offrire il miglior servizio possibile al cliente.
Come fare?
Anche se in un contesto ben diverso, in una situazione
simile si trovarono un gruppo di terapeuti del Milwaukee
Brief Therapy Family Center sul finire degli anni ’70: una
numerosa comunità da seguire e poche risorse economiche.
Fortunatamente, il gruppo di terapeuti guidati da Steve De
Shazer e Insoo Kim Berg era composto da anime curiose e
fortemente orientate alla ricerca.
Si impegnarono quindi in un progetto di sperimentazione
empirica per capire che cosa fosse necessario e che cosa no
per ottenere risultati in terapia. In altri termini, non partirono
da una teoria - semplicemente iniziarono a sperimentare e
a misurare, creando un protocollo di intervento tramite un
lento processo evolutivo di tipo darwiniano, mutando una
domanda qui, un commento là, e osservando i risultati.
Nel corso degli anni, mantenendo questo stretto approccio
empirico, iniziarono ad emergere alcune sorprendenti
conclusioni:
1. è possibile avere esiti altrettanto positivi di lunghi
percorsi di terapia anche in solo due o tre sessioni
2. trasferire il ruolo di esperto dal terapeuta al cliente è
il metodo migliore per stimolare il cliente ad agire e a
risolvere i suoi problemi
3. un’analisi del problema, cosi come prescritta dal
modello medico e dal classico modello di problem
solving, non è necessaria per il successo della terapia.
Da questo ultimo punto il nome “Orientato alla Soluzione”
(Solution-focused), in contrapposizione ad un “orientamento
al problema” tipico dei modelli di intervento classici.
Studi successivi svolti in psicologia hanno confermato
che non c’è correlazione fra insight sulle cause del
problema e soluzione del problema stesso - una persona
può sapere benissimo quale episodio ha determinato
certi comportamenti disfunzionali, ma questo ancora non
dice niente su come cambiarli. Se conoscere le cause del
problema fosse sufficiente a risolverlo, non esisterebbe la
sindrome da post-stress traumatico: l’evento traumatico è
chiaro e presente, il problema è come superarlo!
I protocolli terapeutici “orientati alla soluzione” si sono
19 –– STRUMENTI PER IL COACHING
affinati nel corso del tempo e ormai sono ben consolidati,
nella pratica e nella ricerca. Sono stati poi adattati negli anni
2000 per l’impiego nella consulenza (Mark Mc Kergow,
Paul Z; Jackson, “Solution Focus”; trad. it. “Punta alla
soluzione”, Franco Angeli, 2010) e nel Coaching (Insoo Kim
Berg, Peter Szabo “Brief Coaching for Lasting Solutions”,
Norton, 2005).
L’approccio orientato alla soluzione, dal mio punto di vista,
è l’incarnazione pratica delle aspirazioni del coaching, cosi
come articolate dalla definizione di coaching presente sul
sito della Federazione Italiana Coach. Il “Solution-focus”
offre infatti un protocollo (ovverosia una serie di domande e
di passi precisi) ben codificato, pragmatico, scientificamente
validato, che mette radicalmente al centro dell’intervento
il cliente e che è esclusivamente orientato alle possibilità
future.
Vantaggi commerciali
I vantaggi di questo metodo da un punto di vista
commerciale sono chiari: aprire al coaching il mercato di
persone ed organizzazioni che non possono permettersi
percorsi di coaching articolati su di un numero elevato
di sessioni, garantendo loro la stessa qualità di risultati,
raggiunti nel giro di un paio di sessioni.
In particolare, trovo molto utile l’approccio “orientato alla
soluzione” per:
- executive coaching: uno degli assunti base
dell’approccio orientato alla soluzione è che il cliente è
l’esperto - questo tipo di atteggiamento paga nel coaching
con gli alti livelli, persone che hanno poco tempo, hanno
maturato parecchia esperienza ed hanno bisogno di
riorganizzarla cognitivamente e di accedervi più che di
imparare qualcosa di nuovo.
- life coaching: laddove il cliente si sente “bloccato” o
deve prendere una decisione, lo sguardo al futuro che
una conversazione “orientata alla soluzione” offre è
particolarmente utile; il protocollo è disegnato per aiutare
il cliente a prestare attenzione ai piccoli cambiamenti
in atto nel presente, alla luce del futuro desiderato - e
spesso questa è la chiave di volta per andare al di là degli
ostacoli percepiti dal coachee.
Come membro della Faculty di Solutionsurfers Brief
Coach Training, il gruppo guidato da Peter Szabo, e
quindi nella veste di formatore di altri coach, apprezzo
molto l’efficacia del metodo orientato alla soluzione
come strumento da proporre ai principianti; il protocollo
è semplice e fornisce al coach alle prime armi una solida
struttura su cui ancorare il proprio intervento, senza perdersi
in mille tecniche ma focalizzandosi sugli elementi necessari
per condurre una sessione di coaching di successo.
La prima edizione italiana del corso di formazione al
Solution-Focused Brief Coaching di Solutionsurfers si terrà
nel 2011, rendendo finalmente disponibile anche ai coach di
lingua italiana questo interessante metodo di coaching.
di Paolo Terni*
Orientarsi nella
complessità:
Coaching e mappe
mentali
Di Roberta Buzzacchino
Stiamo vivendo un momento senza precedenti, dove tutto
si trasforma rapidamente. Nel mondo che sta emergendo
la complessità è una condizione irriducibile quanto
ineluttabile che, se da una parte genera confusione e
incertezza, dall’altra offre la possibilità di ripensare noi
stessi in modo nuovo, creativo e innovativo.
A volte però non è facile orientarsi nella complessità.
Immaginiamo la vita come un gomitolo fatto di tanti
fili di colori diversi (famiglia, lavoro, passioni, desideri,
responsabilità…) che si possono aggrovigliare creando
nodi che non ci consentono di tessere la nostra trama.
Come fare per dipanare la matassa e far sì che ciascun
filo possa, nell’unicità del suo colore, rendere più
prezioso il nostro tessuto?
In questo contesto il coaching è uno strumento potente
per orientarsi nella complessità e raggiungere gli
obiettivi attinenti alla sfera non solo personale ma anche
professionale.
Durante il percorso di coaching può essere utile il metodo
delle mappe mentali messo a punto dal cognitivista
inglese Tony Buzan agli inizi degli anni ’70.
La mappa mentale: cos’è e come si fa
Una mappa mentale è la rappresentazione grafica del
pensiero attraverso parole e immagini secondo una
struttura gerarchico-associativa che si sviluppa in senso
radiale. Essa si basa sulla capacità naturale della mente
umana di associare idee e pensieri in maniera non lineare
e permette di sfruttare al meglio le potenzialità latenti
dell’emisfero destro del nostro cervello, cioè quello
che elabora le informazioni in modo globale, creativo,
intuitivo, emotivo e farlo lavorare in sinergia con
l’emisfero sinistro che invece è logico, razionale.
Per realizzare una mappa mentale partiamo dal centro
del foglio, in posizione orizzontale, dove rappresentiamo
l’argomento da sviluppare con parole e immagini.
Procediamo in senso orario tracciando un ramo e poi
un altro, e poi un sottoramo, sui quali scriviamo parole
chiave accompagnate da immagini. Continuiamo creando
legami fra un ramo e l’altro, fino a che non costruiamo
una trama complessa che rappresenta tutto il processo del
nostro pensiero.
In una mappa mentale l’organizzazione sinsemica*
degli elementi di scrittura (parole chiave e immagini)
permette di visualizzare correlazioni che con la scrittura
alfabetocentrica, lineare e sequenziale sarebbe molto
difficile rendere. Per questo la mappa mentale favorisce il
processo creativo che richiede un’alternanza tra pensiero
logico e analogico, alla ricerca di un ordine che produca
un senso nuovo.
Mappe mentali per il coach
La mappa mentale è uno strumento utile nei diversi
ambiti di coaching (life, business, aziendale) e in
particolar modo nel career coaching che, situandosi nel
punto di intersezione tra i precedenti ambiti, permette di
“dipanare la matassa” favorendo la visualizzazione dei
molteplici elementi che sono oggetto di analisi.
Il mind mapping può essere applicato in ogni fase del
coaching. Pensiamo al primo colloquio con il coachee
durante il quale è fondamentale un ascolto attivo: fare
domande specifiche, mantenere alta l’attenzione e
prendere appunti per “catturare” le parole chiave cioè
quelle significative che aiutano ad avere una visione
globale.
Anche al termine di una sessione di coaching può essere
utilizzata una mappa mentale per definire, insieme al
coachee, azioni concrete da compiere. In questo caso
un classico elenco numerato di cose da fare sarebbe
molto limitativo perché non permetterebbe di creare
associazioni, collegamenti e trovare anche soluzioni
inaspettate. Con una mappa mentale, invece, possiamo
scrivere sui rami principali verbi all’infinito che
sottolineano l’idea dell’azione (contattare, preparare,
esplorare…) mentre nei rami secondari specificare i
dettagli (chi, cosa, dove, quando…)
STRUMENTI PER IL COACHING –– 20
Mappa mentale per il coachee
A questo punto la mappa mentale passa nelle mani del
coachee che la utilizzerà per riflettere, scegliere e agire
in modo molto concreto. Non si troverà di fronte ad
una lista da spuntare o un “compito da eseguire” ma,
rappresentando il proprio pensiero con parole, immagini
e colori, potrà esprimere le proprie emozioni insieme alla
razionalità.
La struttura radiale di una mappa mentale, infatti, esalta
la capacità creativa liberandola dalla staticità di una
rappresentazione lineare caratterizzata da un’inizio e da
una fine. Spesso si ha bisogno di uno spazio maggiore, di
un più ampio campo visivo perché i problemi richiedono
di liberarsi degli schemi consueti per dare respiro alla
libera associazione di idee e ampliare l’orizzonte delle
soluzioni. Con una mappa mentale i pensieri, come i
fili di un gomitolo, si dipaneranno in modo dinamico e
multidimensionale: ogni parola ne richiamerà molte altre
con collegamenti e legami che aiuteranno a sviluppare il
pensiero.
Introdurre il mind mapping all’interno di un percorso di
coaching può essere un valore aggiunto perchè il coachee
apprenderà un metodo utile da utilizzare successivamente
in campi come: creatività (generare idee individualmente
o in gruppi di lavoro; facilitare il confronto; accelerare il
passaggio dalla fase di elaborazione a quella esecutiva)
analisi (rappresentare, valutare e comparare varie idee
in fase di problem solving) comunicazione (veicolare le
informazioni in modo semplice e intuitivo enfatizzando
i collegamenti logici, facilitando la dialettica e il
confronto) organizzazione (strutturare le attività,
assegnare i tempi, raccogliere le informazioni necessarie)
documentazione (progettare strutture documentali,
scrivere in modo efficace).
di Roberta Buzzachino*
* Per sinsemìa si intende la disposizione deliberata e consapevole di
elementi di scrittura nello spazio con lo scopo di comunicare, attraverso
l’articolazione spaziale, in modo ragionevolmente univoco e secondo
regolarità. Queste regolarità possono essere valide soltanto per quel testo
– ma coerenti, rigorose e interpretabili senza bisogno dell’aiuto dell’autore –
oppure definite da precisi schemi e abitudini di fruizione consolidate.
Coaching
e Storytelling
L’Oracolo
Di Mattia Rossi
Fabrizio stava facendo appello a tutta la sua esperienza
di coach: la sessione era iniziata da un pezzo, ma ancora
faticava a prendere una forma intelligibile. Giorgio era
un coachee impegnativo, pieno di energia ma pure di
dubbi e di inquietudini. Tutto quello che finora si era
capito era che Giorgio non era soddisfatto della sua vita,
in particolare del suo lavoro, che probabilmente non lo
era mai stato, che era stufo di quella situazione. Fabrizio
stava ancora cercando di individuare il punto fermo da
cui partire per fare chiarezza.
- Che cosa pensavi un istante prima di decidere di
contattarmi?
Giorgio ci pensò su qualche secondo: prima con
palese scetticismo, mormorando qualcosa come “e chi
se lo ricorda?”, poi drizzandosi di colpo sulla sedia
schioccando le dita.
- Avevo in mente molte cose, ma almeno una la ricordo
con chiarezza: stavo ripensando a un episodio di parecchi
anni fa. Ero laureato da poco e lavoravo a co.co.co.
in un’agenzia di organizzazione eventi. Un giorno mi
spediscono all’aeroporto per recuperare il relatore di un
convegno. Lo conoscevo di fama: aveva avuto incarichi
in associazioni economiche provinciali e regionali, e in
quel periodo viveva a Bruxelles come membro di una
commissione economica dell’Unione Europea. Non
conoscevo bene quell’organismo, così gli domandai
in che cosa consisteva e come ci si arrivava. Per tutta
risposta lui raccontò la sua vita.
Costui fino a circa 40 anni aveva fatto il professore di
lettere alle superiori. Si dilettava di storia locale, con
particolare interesse per gli aspetti economici e sociali, il
che lo aveva portato a conoscere un sacco di imprenditori
e artigiani. Un giorno, chiacchierando con il proprietario
di un piccolo laboratorio tessile, salta fuori che questo
tizio avrebbe voluto andarsene in pensione, ma gli
dispiaceva chiudere l’azienda perché gli affari andavano
bene e dava lavoro a parecchie persone. D’altro canto,
non aveva figli e non sapeva a chi passare la mano. Per
farla breve: è andata a finire che nel giro di due o tre
anni l’attuale relatore di fama aveva affiancato il vecchio
titolare, mollato il posto di insegnante statale, e iniziato la
carriera dell’imprenditore. Era entrato nell’associazione
di categoria, era stato eletto negli organi direttivi, e di
gradino in gradino aveva avuto la nomina a rappresentare
l’Italia in quel certo organismo comunitario. Ora lui
girava l’Europa a tenere conferenze, viveva tra Roma e
Bruxelles, e dell’azienda si occupava il figlio.
Io stavo guidando, ma quando arrivammo a destinazione
non ricordavo un solo metro della strada fatta: avevo
ascoltato totalmente rapito questa vicenda così originale,
e così entusiasmante. Mi aveva fatto un effetto strano.
Non ho mai capito bene come o perché... Vorrei dirti
che mi è piaciuta, ma il punto non è che era una “bella
storia”… Ora, lo so che ti sembrerà stupido, ma è un
fatto che quando siamo scesi da quell’auto io avevo una
sensazione di famigliarità, come se avesse raccontato la
mia storia, capisci? Come se fosse una previsione che
riguardava me. Un oracolo, ecco: avevo questa assurda
sensazione che questo tizio non mi avesse raccontato
la propria vita, ma avesse previsto la mia. “Sensazione
assurda” lo dico adesso: allora l’ho presa come una cosa
pacifica, l’ho presa e l’ho messa lì.
- Lì… dove?
Silenzio interdetto.
- Bella domanda. Lì dove?
Altra pausa.
- Beh, ho pensato che quello era un bel modo per fare
qualcosa di interessante nella vita. Fra i nostri clienti
c’era un politico di un certo livello, e io ero il suo ghostwriter: gli ho detto che mi sarebbe piaciuto fare una
carriera del genere, arrivare in quella commissione. E lui
mi aveva risposto “perché no?”. Solo che poi… la cosa è
morta lì. Ci ho pensato per alcune settimane, e poi ogni
tanto successivamente mi è capitato di pensare “sarebbe
bello..”. Ma niente più.
- Mi stai dicendo che sei qui per lavorare a
quell’obiettivo? Ottenere l’incarico a Bruxelles?
Giorgio fece una smorfia, lo sguardo per un momento
perso nel vuoto.
- Eh… Magari… Ma ormai… Non è successo niente
di quello che sarebbe dovuto succedere per renderlo
possibile, e poi mi sono allontanato da quegli ambienti.
Dovrei ricominciare tutto da capo, mi ci vorrebbero
anni… E poi… a ben guardare non è che adesso il mio
interesse…
Tacque, lasciando incompleta la frase ma scuotendo la
testa con un sospiro scoraggiato.
- In quale modo questa storia può esserti utile oggi?
- Per ricordarmi che sono arrivato a 40 anni senza aver
combinato niente?
- Ok. Siamo nel 2020. Hai una vita che ti soddisfa
pienamente. Un giovane laureato ti chiede come ci sei
arrivato. Quale storia racconti tu?
- Sinceramente non lo so. Voglio dire, non so che cosa
direi esattamente, nel merito, perché non riesco proprio
a pensare che cosa potrei aver fatto, quale tipo di lavoro.
STRUMENTI PER IL COACHING –– 22
Però so che voglio raccontare una storia entusiasmante e
avvincente come quella. Trasmettere la stessa sensazione di
vitalità, di freschezza…
Giorgio si interruppe di botto e guardò il coach.
- Racconterò una storia di freschezza?
- Come ti sentivi mentre ascoltavi?
- Mi sentivo… fresco? Naaaa … che stupidaggini…
Silenzio. Nella testa di Giorgio stava vibrando qualcosa.
- Sollevato. Ottimista. Sollevato. Non so perché, non so che
cosa diavolo significa, ma mi viene da risponderti che mi
sentivo sollevato. Che vuol dire?
- Lui raccontava e tu ti sentivi ottimista e sollevato…
Ascoltando le poche parole di Fabrizio, Giorgio si era acceso.
- E lo sai perché?
- Perché?
- Perché mi stava dicendo una cosa che ho capito solo
adesso, a 15 anni di distanza!
I suoi occhi brillavano. Fabrizio attese che proseguisse.
- Mi stava dicendo che si può fare!
- Si può fare…?
- Si può cambiare!
Ora Giorgio aveva alzato la voce, e si agitava sulla sedia.
- Si può fare! Si può aprire la finestra e cambiare aria, far
entrare aria fresca… aprire la porta e andare là fuori a farmi i
fatti miei…
Guardava il coach con occhi scintillanti.
- A costruire la mia vita. La mia storia.
- La tua storia.
Giorgio adesso guardava oltre Fabrizio, ma i suoi occhi non
erano persi nel vuoto: stavano fissando un punto ben preciso.
23 –– STRUMENTI PER IL COACHING
- Che idiota sono stato - mormorò.
- Ora che farai per la tua storia?
- La mia storia... Prima di tutto bisogna che ci creda, nella
mia storia. Ecco, prima mi hai chiesto in quale modo quella
storia mi può essere utile oggi, e adesso so risponderti: mi
dà l’appiglio per credere nella possibilità di cambiare la mia
vita. Del resto, non è un caso che avessi in mente questa
faccenda quando ho deciso di chiamarti. Soltanto, non era la
mia storia: l’ho capito adesso, quando mi sono reso conto che
mi hai chiesto quale storia avrei raccontato io. Avevo ragione
a parlare di oracolo, ma non a dire che aveva previsto la mia
vita: gli oracoli non facevano previsioni, semmai davano
risposte che poi bisognava interpretare. Dovevo cogliere il
senso, non copiare la trama: quella, la trama dico, ognuno ha
la propria.
Giorgio ebbe una lieve esitazione, poi aggiunse:
- Sempre che sia interessante, che ne valga la pena…
- Interessante per chi?
Giorgio contemplò il pavimento per alcuni secondi, poi
rispose con decisione:
- Beh… per l’interessato, suppongo, come minimo. E direi
che a me la trama della mia storia interessa…
- Allora raccontamela: sono tutt’orecchi.
Fabrizio si accomodò per ascoltare, mentre il suo coachee si
abbandonava contro lo schienale e con un profondo sospiro si
apprestava a raccontare una nuova, avvincente storia.
di Mattia Rossi*
Life Coaching
Il coaching come strumento
per la conciliazione
Di Fabrizia Ingenito
Dal prossimo 20 marzo 2011, in caso di lite, sarà obbligatorio
iniziare un procedimento di mediazione per raggiungere
un accordo (conciliazione) prima di ricorrere al tribunale.
L’obbligatorietà della mediazione a fini conciliativi sarà in
vigore, secondo quanto stabilito dal D.Lgs 4 marzo 2010 n.28,
per le controversie in materia di: condominio, diritti reali,
divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione,
comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante
dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica
e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo
di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Per tutto
il resto ognuno di noi ha la libertà di richiedere con un’istanza
l’inizio di un procedimento di mediazione in qualunque
controversia civile e commerciale.
Perché parlare di conciliazione stragiudiziale in una rivista
che si occupa di coaching?
Dallo studio delle possibilità di sinergia tra il procedimento di
mediazione e le competenze di coaching, è nato il Coaching
Conciliativo 1: il coaching si propone come strumento al servizio
della conciliazione, supportandone tutte le fasi e sviluppandone le
potenzialità.
Vediamo come.
Il conciliatore è la figura professionale designata a condurre
l’attività di mediazione tra le parti coinvolte in una controversia
al fine di raggiungere un accordo conciliativo. I principi e i valori
che il conciliatore deve rispettare rispecchiano gli stessi principi
che guidano l’etica del coaching: imparzialità, riservatezza,
gestione del conflitto di interesse. E’ su questa base di principi
ed etica comune che è possibile dare senso all’altissimo valore di
pacificazione che la conciliazione ha la possibilità di esprimere,
rispetto all’attuale modalità prevalente di risoluzione dei conflitti
in sede processuale civile. La figura del conciliatore è pertanto
determinante nella gestione del conflitto tra le parti e nella
scoperta degli aspetti di condivisione che potranno condurre
verso un accordo. L’accordo, nell’accezione conciliativa,
dovrà essere soddisfacente per le parti e non aderire a principi
di giustizia secondo diritto, dovrà essere nelle mani di chi è
coinvolto e non nelle mani di un giudice che decide per loro. Il
conciliatore infatti è neutrale, non decide e quindi non emette
sentenze: ciò che ha valore è solo quanto condiviso nell’accordo
di conciliazione. Emerge quindi la condizione necessaria, ma
decisamente non sufficiente, della formazione tecnico-giuridica
del conciliatore acquisibile attraverso una formazione specifica
e quindi attraverso lo studio della normativa di riferimento.
Emerge anche, molto chiaramente, che la differenza tra un buon
conciliatore e un conciliatore inefficace, sarà data dalle sue
competenze comunicativo-relazionali e non dalla conoscenza
normativa. Come potrebbe infatti un conciliatore poco allenato
all’imparzialità, all’ascolto, al rispetto della comunicazione delle
1. Fabrizia Ingenito “Conciliare con il coaching” – Ed.Franco Angeli 2010
parti, condurre un procedimento all’insegna della neutralità, che
favorisca la più pura espressione dei protagonisti dell’accordo che
va a crearsi?
Come potrebbe tale accordo mettere pace definitiva rispetto alla
lite se il conciliatore favorisce, anche non intenzionalmente,
una delle parti? Come potrebbe l’accordo esprimere la sua forza
di patto tra liberi individui se influenzato da pareri, opinioni,
consigli, sfiducia nella capacità decisionale delle parti?
Ed ecco che le competenze di coaching vengono in aiuto e
alimentano le varie fasi del procedimento previste dalla legge. Il
coach ha totale fiducia nel suo partner ed è per questo che si mette
in disparte al fine di dare supporto all’espressione degli altri e non
di se stesso. Ascolta e rispetta gli obiettivi dei suoi partner e li
affianca nel percorso di cui essi stessi stabiliscono modi e tempi.
Fa domande che stimolino la loro consapevolezza rispetto a sé,
allo sviluppo e al raggiungimento dei propri obiettivi. Riflettiamo
dunque su quale rivoluzione di pacificazione potrebbe essere
operata attraverso conciliatori professionisti che abbiano acquisito
competenze di coaching.
Una nuova professione
I “coach conciliatori” possono giocare un rilevante ruolo rispetto
ad un cambiamento di alto valore e di benessere sociale: favorire
il passaggio dalla cultura della lite alla cultura della conciliazione.
Si consideri anche che il procedimento di mediazione dura per
legge un massimo di 4 mesi contro un tempo minimo di 4 anni
di permanenza nelle aule di un tribunale. Ciò significa che la
propria vita non rimarrà più sospesa all’emissione di una sentenza
che potrebbe paralizzare iniziative commerciali e private per
un imprecisato numero di anni, concludendo vicende litigiose e
di disaccordo a volte addirittura oltre la vita degli stessi istanti.
Inoltre, una delle profonde differenze tra il tribunale e la camera
di conciliazione è che da una sentenza emessa all’interno del
tribunale inevitabilmente vengono fuori un vincitore e un vinto; il
conflitto non è affatto concluso, quasi sempre riemerge, riacceso
dalla parte sconfitta che chiede “giustizia”, dai malumori, dalla
voglia di rivalsa. Si diventa ancora più “nemici”, in attesa della
prossima mossa. Lo spirito conciliativo viaggia invece attraverso
una dimensione win-win: se l’accordo è raggiunto, incontra gli
interessi delle parti, e magari permette di mantenere una buona
relazione, tutti i partecipanti hanno vinto; se non lo è, tutti
hanno perso un’occasione di chiudere in tempi brevi, in modo
soddisfacente e con vantaggi fiscali ed economici, un conflitto in
essere.
E se non si concilia?
Cosa accade infine se l’accordo non è raggiunto? Si ritorna in
tribunale, ma stavolta diventa il tribunale il sistema di risoluzione
alternativa delle controversie, l’ultima ratio in cui vengono però
penalizzati i comportamenti considerati ostativi alla mediazione.
Cosa costa tentare una mediazione ed essere protagonisti della
propria vita? Molto poco. Per la prima volta nella storia del diritto
civile italiano, e quindi nel quotidiano di tutti noi, i vantaggi
pesano in modo assai più evidente e concreto di eventuali
svantaggi. Indiscutibilmente vale la pena di tentare, ed altrettanto
indiscutibilmente vale la pena che il coaching si metta al servizio
di opportunità e scelte di vita adulte, mature e responsabili in
contesti diversi da quelli in cui generalmente opera, favorendole e
supportandole con i gli strumenti e le competenze che possiede.
di Fabrizia Ingenito*
STRUMENTI PER IL COACHING –– 24
Contaminazioni
Intervista a Monica Faggiani,
attrice e maestra di dizione
per Teatri Possibili
(Milano)
Di Marina Fabiano
L’abilità teatrale è una possibile competenza del coach? E
del manager-coach? Per certo, la capacità di comunicare
attraverso il movimento del corpo, il saper modulare la
voce e la postura, contenere o indirizzare l’espressione,
ed anche interpretare un ruolo, all’occorrenza, fanno di
una persona un individuo più convincente.
Ne parlo con Monica Faggiani, Direttore di Teatri
Possibili, maestra di dizione, attrice:
Chi sono i suoi allievi di dizione?
Non vorrei parlare solo di dizione, che senza dubbio è
importante, ma partirei dalla scuola di teatro. Alla nostra
scuola si iscrivono avvocati, ingegneri, imprenditori,
manager di ogni provenienza settoriale. Abbiamo di
recente ampliato i corsi proprio perchè le richieste di
iscrizione sono notevolmente aumentate.
Cosa cercano queste persone dai corsi che proponete?
Desiderano imparare ad essere più convincenti nel loro
eloquio, saper scandire bene le parole, comunicare in
modo incisivo ed efficace, acquisire padronanza nel porsi
verso gli altri. Cosa che in azienda – a quanto pare – è
sempre più utile. Spesso arrivano ai corsi di propria
iniziativa, talvolta sono le aziende che suggeriscono un
breve corso per essere più sciolti nel parlare in pubblico.
Di recente abbiamo seguito alcuni manager che dovevano
imparare a dare notizie sgradevoli (ad esempio, licenziare
qualcuno), dimostrando empatia ma restando fermi nei
loro pur antipatici obiettivi. Oppure professionisti che
volevano essere in grado di dare feedback negativi con
coraggio e fermezza.
Quanto durano i vostri corsi e quanto tempo occorre
per vederne i risultati?
Abbiamo corsi di teatro che si articolano su tre anni. Il
primo anno è quello più frequentato; chi poi desidera
approfondire la carriera di attore/attrice sicuramente
prosegue, ma anche le persone che avevano iniziato
25 –– STRUMENTI PER IL COACHING
per necessità di lavoro spesso vanno avanti perchè si
divertono e riconoscono benefici personali, oltre che
professionali. I partecipanti scoprono presto che un
percorso teatrale porta una maggior consapevolezza di
sé, delle proprie potenzialità comunicative non solo per
via dei contenuti, ma anche con l’utilizzo di risorse non
sempre conosciute, come la voce, lo sguardo, i movimenti
del corpo, il modo di modulare le parole. In questi casi
si parte con un corso di 4 mesi, a fronte del quale viene
rilasciato un attestato: beninteso se si viene promossi!
Per i risultati, dipende dagli obiettivi. Per eliminare un
accento dialettale forse un anno non basta, anche se
i miglioramenti sono percepibili. Per riscontri meno
impegnativi, un ciclo di 4 mesi è già sufficiente
E’ sempre necessario seguire corsi completi o esistono
delle scorciatoie?
Come dicevo, dipende dagli obiettivi della persona o
dell’azienda. Ci occupiamo anche di formazione aziendale:
in questo caso strutturiamo corsi di 2 o 3 giornate per
parlare in pubblico con efficacia, completi di riprese
video per ripercorrere insieme i possibili miglioramenti
espressivi. Allora usiamo il metodo del role-playing
(sempre con testi teatrali, ma anche con testi condivisi) e
della simulazione situazionale: imparare a governare le
emozioni riconoscendole ed interagendo con esse è uno
degli obiettivi più ricorrenti.
di Marina Fabiano*
Eventi e Web
Executive Coaching Conference
New York, 29-30.3.2011
Meeting the leadership needs in the changing
landscape of business
Occasione di alto livello per ascoltare con le proprie
orecchie come le aziende vincenti hanno inserito il
coaching nelle proprie modalità di sviluppo della
leadership e per entrare in contatto con esponenti del
coaching di esperienza internazionale. Il programma
è disponibile alla pagina coachmag.it/eventi/. Per
registrarsi andare al sito www.conferenceboard.org/
coaching
ICF – IX Conferenza Italiana sul Coaching
Roma, 23 marzo 2011
Conferenza Italiana sul Coaching di ICF. Tema
dell’evento: Il talento come motore dello sviluppo.
Tutte le informazioni al sito ICF o iscrivendoti alla
newsletter.
2011 International & Italian Coaching Week (ICW)
Dal 7 al 13 febbraio 2011
Torna in Italia la Coaching Week.
I coach di tutto il mondo celebrano e promuovono –
tutti insieme, nello stesso periodo - questa affascinante
professione. Scarica lo “Speciale Scuole di Coaching”
da www.coachmag.it
http://blog.ted.com/
TED è un sito non profit per
comunicare le “idee che vale la pena
di diffondere”. Il nome è l’acronimo
di Technology, Entertainment,
Design; dal 1984 – data della sua
sua nascita – lo scopo si è ampliato. Tengono due conferenze
annuali, una negli USA, l’altra in UK. Pubblicano video di
impatto, sponsorizzano progetti sociali. Ispirante.
http://www.formagora.it/
Piazza virtuale di incontro tra
aziende che cercano formazione
e professionisti che propongono i
propri corsi.
Nulla vieta di proporre il coaching:
la vedo come un’interessante occasione per allargare il
proprio mercato di riferimento. La registrazione è gratuita.
26 –– STRUMENTI PER IL COACHING
Libri in gocce
Arte di ascoltare e mondi
possibili. Come si esce dalle
cornici di cui siamo parte.
di Marianella Sclavi
ed. Bruno Mondadori
Un’antropologa, tre ingredienti, sette regole: il risultato
è un libro che si propone di indicare la via per sentirsi
“a proprio agio nel disagio”, quel disagio che nasce
nell’incontro con il diverso, con lo straniero, con lo
“strano”. E lo fa con chiarezza, efficacia e gradevolezza
di scrittura. Un coach ci trova sollecitazioni destinate
sia alla sua formazione di base che alla sua attività
professionale. Da un lato infatti si tratta di quel “saper
ascoltare liberi da filtri e condizionamenti inconsci” che
contraddistingue un buon coach ancor prima – e forse
di più – della capacità di porre la famigerata domanda
giusta; dall’altro, il terreno su cui si muove l’autrice è
quell’incontro-scontro tra culture diverse sul quale tanti
coach vengono chiamati in aiuto di manager espatriati o
alle prese con situazioni conflittuali. Marianella Sclavi
divide il volume in tre parti, secondo quello che chiama
“il triangolo magico dell’arte di ascoltare”: ascolto
attivo, autoconsapevolezza emozionale, gestione creativa
dei conflitti. Approfondendo tali aspetti, unisce teoria,
osservazione sul campo e dialogo con gli studenti in
aula. Alla fine di ciascuna sezione ripete l’enunciazione
delle “sette regole dell’arte di ascoltare”, le quali per
un coach possono essere un buon ripasso, o un punto di
vista diverso e quindi stimolante su un tema cruciale,
o anche un attrezzo in più da mettere nell’apposita
cassetta. Giacché antropologa o coach… non fa poi molta
differenza.
Recensione di Mattia Rossi
Segue Libri in Gocce
Il SineQuaNon – l’invenzione
della speranza
(di Diego Giob - pseudonimo)
ed Lampi di stampa
Un romanzo come “strumento del coaching”, per allenare
l’intuito.
Ogni tanto abbiamo bisogno delle favole per rendere
meno amara la pressante realtà quotidiana, talvolta irta
di inutili ostacoli. Quando poi il racconto ben si associa
alle situazioni che conosciamo per esperienza diretta,
diventa ancor più leggero l’adattarlo, come una pellicola
trasparente, al nostro oggi comune, per avere il coraggio
di innescare un domani migliore. Il SineQuaNon è il
nostro personale miraggio, quello che ci costruiamo in
testa nei momenti di attesa, tra una realtà e l’altra, con la
speranza che si materializzi in ciò di cui avevamo proprio
bisogno, di cui non possiamo più fare a meno. In attesa
del prossimo SineQuaNon.
Era tanto che aspettavo una storia così, dove il mondo del
lavoro viene trattato con paradossale ironia, esponendolo
al ridicolo della verità nascosta da un sorriso. E’
perciò che mi ha entusiasmato e ne ho colto spunti di
collegamento con il coaching. Uno su tutti: se le aziende
(le persone che dirigono le aziende) conoscessero e
applicassero le modalità relazionali che il coaching
insegna, il mondo del lavoro sarebbe migliore. Di certo,
avrebbe risultati eccellenti con sforzi ridotti.
Prossima Uscita
10 Maggio 2011
Si parlerà di
Coaching
Interculturale
e Diversità
Recensione di Marina Fabiano
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