Formato PDF - Liceo Marie Curie Meda

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Il periodo successivo allo Zarathustra
Come abbiamo già anticipato, Così parlò Zarathustra è il testo definitivo
della filosofia di Nietzsche, nel senso che in esso il filosofo esprime e comunica in
forma compiuta la sua visione del mondo e della vita. I concetti fondamentali del suo
pensiero (morte di Dio, superuomo, volontà di potenza), che erano l’esito di
precedenti immagini, non saranno più abbandonati, ma continuamente rielaborati,
aggiungendo riflessioni che ne facilitano l’interpretazione senza però che ne muti in
modo sostanziale il significato.
Ci soffermeremo adesso su tutta la produzione posteriore ad eccezione
dell’opera postuma la quale, essendo stata oggetto di numerose osservazioni critiche
e avendo favorito interpretazioni fra loro distanti del pensiero di Nietzsche, è più
opportuno trattare separatamente.
Nelle numerose e famosissime opere che seguono il capolavoro (e che
vengono pubblicate a un ritmo febbrile nei pochi anni che separano Nietzsche dalla
follia), il filosofo realizza quella che egli stesso chiama filosofia del martello: la sua
intenzione è di frantumare e sgretolare la filosofia tradizionale, la religione e la
morale; ovvero demolire in modo definitivo tutta quella tradizione occidentale che
fa da ostacolo alla affermazione del superuomo e che si concentra nel
platonismo e nel cristianesimo.
Come già ci è capitato altrove di notare, la critica di Nietzsche non è mai
precisa dal punto di vista concettuale; non è nelle singole affermazioni che va
valutata la forza della sua riflessione, bensì nell’immagine che traspare della sua
epoca, di un’epoca di trasformazioni profonde che Nietzsche intuisce con molto più
acume dei suoi contemporanei.
E in questa fase che appare il noto programma nietzschiano di
capovolgimento di tutti i valori o, meglio, tra svalutazione di tutti i valori. Poiché
ogni costruzione filosofica è creata dall’uomo, che si illude riguardo l’esistenza di
verità oggettive, bisogna imporre un nuovo senso della vita, in base al quale
l’uomo non si sottomette a valori universali già dati, ma crea egli stesso i valori
che intende seguire.
Già ora possiamo accennare a un problema interpretativo che affronteremo in
modo esauriente nell’ultima parte di questi appunti; da una parte si potrebbe
intendere l’affermazione di Nietzsche come il diritto del più forte a costruirsi da sé le
leggi in modo da non restare sottomesso alla volontà della massa (e abbiamo visto
che alcune affermazioni di Nietzsche tendono a far valere questa posizione). Si tratta
di un’affermazione reazionaria e autoritaria, dove si afferma il diritto del più forte; e
dove prevale un deciso soggettivismo morale, laddove ogni norma si giustifica per il
semplice fatto di essere voluta da chi la pone.
Un’altra interpretazione, che vuole sottrarre Nietzsche alla pesante eredità
del pensiero totalitario, afferma che Nietzsche non intende negare l’obiettività dei
valori, ma intende rendere consapevoli che essi si formano a partire dalla attività
umana e dipendono dal modo in cui l’uomo concepisce la propria esistenza nel
mondo. In questo senso la tra svalutazione dei valori non sarebbe un invito a
imporre le ragioni della forza, bensì a liberarsi dalla situazione alienante in cui
l’uomo, nella società di massa e dopo la morte di Dio, è venuto a trovarsi.
Vi dico subito – e anche qui anticipo un concetto che verrò completamente
delineando alla fine – che non intendo uscire da tale ambiguità che, secondo me, è
presente in modo evidente in Nietzsche e non può essere sciolta; intendo invece farvi
comprendere come, proprio in ragione di tale ambiguità, la filosofia di Nietzsche
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acquisti un’importanza fondamentale per l’età contemporanea e ancora oggi suscita
problemi e questioni di assoluta urgenza.
Il primo scritto pubblicato dopo la Zarathustra possiede un titolo
estremamente significativo, se riferito a quanto abbiamo appena detto: Al di là del
bene e del male. Nietzsche in fondo, in queste opere, riprende quell’analisi critica
che aveva contraddistinto il suo periodo “illuministico”, ma arricchisce di molto la
sua interpretazione. Non afferma solo che tutte le culture universalistiche sono
prodotte dall’uomo in una condizione di alienazione, ma associa la creazione di ogni
verità metafisica alla volontà di potenza. L’uomo crea queste false visioni non
perché colpito da verità trascendenti, ma perché la volontà di potenza che
caratterizza il suo essere aspira a fare delle proprie visioni delle creature
universali. Di conseguenza le stesse false verità sono espressione della ricchezza di
vita.
Nietzsche non pensa affatto (e questa sicuramente è una lacuna grave del suo
pensiero, se non fosse che la grandezza di Nietzsche riesce ad approfittare persino
dell’ingenuità di alcune sue affermazioni!) che l’uomo si sia interrogato sull’essere
delle cose, sulla loro materialità (che cioè il suo ragionamento, come buona parte
della filosofia, sia di tipo esclusivamente ontologico). Egli riduce qualsiasi pensiero
a una motivazione psicologistica, a un problema di valore: “io penso che l’essere
sia così perché così la vita si configura in questo modo”. Questo atteggiamento può
anche essere giusto per comprendere i contenuti alienanti di molte teorie, ma lascia
aperto un problema dell’essere cui bisognerebbe comunque dare una risposta; cosa
che Nietzsche non fa, riducendo ogni questione a una pulsione esistenziale.
Ovviamente, questo rifiuto della ontologia dipende dalla negazione del
platonismo, dalla volontà di quest’ultimo di voler porre ordine nella tragica
disposizione del mondo. Permane dunque – come nella prima opera – il riferimento
positivo alla cultura greca dell’età della tragedia. Si comprende quindi la critica al
cristianesimo come “orientalizzazione del mondo antico”, “capovolgimento dei
valori aristocratici”, “rivolta degli schiavi orientali contro i loro padroni”.
Non dobbiamo commettere però l’errore di leggere in modo superficiale
queste affermazioni, per quanto improbabili o scostanti possano apparirci a una
prima lettura. In Nietzsche non c’è, infatti, una superficiale negazione del fenomeno
religioso e, in opposizione, l’esaltazione di una vita dedita unicamente alle
soddisfazioni più materiali, alla fruizione di ciò che genericamente viene considerato
dal cristianesimo come peccato.
Nietzsche intende – e questo può, come sempre, apparirci più
rassicurante e nello stesso tempo più inquietante – esaltare la potenza del
singolo, forgiare gli uomini nuovi; la religione allora non viene del tutto
rifiutata, in quanto essa serve allo Spirito Libero per raggiungere la potenza,
sono strumento di cultura e di educazione, forgia gli uomini e sollecita in loro la
volontà di potenza. Da qui l’esaltazione di ascetismo e castità, “mezzi
indispensabili per educarsi e nobilitarsi, quando una razza vuole trionfare sulla sua
origine plebea”.[Anche quest’ultima espressione, terribile nell’apparenza, è
ambigua: compare certamente l’aristocraticismo intellettuale e il disprezzo per la
massa, ma questa emancipazione sembra possibile a qualsiasi popolo, non vi è una
aprioristica selezione biologica].
Anche quando Nietzsche contrappone alla morale degli schiavi (di cui il
cristianesimo è l’espressione suprema) la morale dei signori, quella che è
consapevole della distanza di sé dalla massa, delle elevate condizioni della propria
anima, della gerarchia (contro il livellamento degli schiavi), non intende
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necessariamente invitare allo sfruttamento, bensì incitare ogni singolo a trovare la
propria nobiltà, la propria singolarità. La virtù nobile, guerresca, “ama i componenti
di una ristretta comunità, nella quale l’uomo elevato si trova tra i suoi simili, tra
quelli del suo rango, ma disprezza tutti gli umili, coloro che pensano [l’attività
teoretica non coincide però necessariamente con una condizione sociale], che vivono
secondo il proprio utile [anche il conformismo dei ricchi, dunque], che non si
prodigano [anche in senso solidaristico?]” La morale aristocratica pone essa i
valori, quella degli schiavi li trova pronti; la prima è attiva, la seconda è passiva.
Lo scritto successivo si intitola Genealogia della morale; anche in questo
caso Nietzsche si rifa al “metodo genealogico” che aveva teorizzato nel “periodo
illuministico”. A differenza di quegli scritti però, Nietzsche non risale solo
all’origine storica di un processo di alienazione ma, come abbiamo già accennato,
pone in connessione la storia della metafisica con l’esercizio della volontà di
potenza.
Anche in questo caso Nietzsche si mantiene su un crinale ambiguo all’interno
del quale egli gioca, suggerendo una serie di immagini non sempre coerenti. Da una
parte la volontà di potenza sembra una forza cosmica (come in Schopenhauer) o,
al limite, biologica, interessando ogni essere vivente (ma anche ogni ente inanimato,
che impone da sé la propria presenza) come tale; dall’altra la volontà di potenza si
carica a volte di significati soggettivistici, indicando la potenza del singolo e
identificandosi con l’istinto guerriero, la sopraffazione nella inevitabile lotta per la
vita.
Nell’opera che stiamo esaminando Netzsche propone quasi un excursus
storico in merito alla perdita dell’istinto guerriero a favore di un appiattimento
servile verso morali umilianti. A partire dalla distinzione tra “morale dei signori” e
“morale degli schiavi”, egli suddivide la prima in una dei guerrieri e in una dei
sacerdoti. Il guerriero ha la virtù del copro. Il sacerdote quella dello spirito [a
dimostrare che il dionisiaco intende anche le azioni spirituali e intellettuali, e non
solo fisiche]. Secondo Nietzsche, è proprio a partire dalla rivalità tra guerrieri e
sacerdoti che si origine il rovesciamento nella morale degli schiavi. I sacerdoti
sono i signori spodestati che mobilitano contro i guerrieri tutti i deboli, i
sofferenti, i maltrattati.
Questo movimento nel potere Nietzsche lo vede storicamente realizzarsi
attraverso gli ebrei. E si apre a questo punto un altro capitolo delicato
dell’interpretazione di Nietzsche, quello di un eventuale antisemitismo, rivendicato
dalla esegesi nazista. Noi affronteremo in modo preciso il problema più avanti, a
partire dall’opera postuma e a partire dei rapporti del filosofo con la sorella
Elizabeth.
E’ certo che Nietzsche derise e contestò più volte l’antisemitismo diffuso tra
la borghesia tedesca della Germania bismarkiana (Bismark era effettivamente un
antisemita e numerosi discorsi parlamentari del periodo erano orientati in questo
senso; paradossalmente, con la svolta estremista successiva, della Germania
Guglielmina, l’antisemitismo scomparve, nel senso che il nuovo Kaiser aveva ottimi
rapporti di collaborazione con la comunità ebraica del paese), ma è indubbio che vi
siano prese di posizione imbarazzanti che, se messe in relazione con la storia della
sua famiglia successivamente alla morte di Nietzsche possono sembrare inquietanti.
Egli vede negli ebrei il popolo sacerdotale: “Sono stati gli ebrei ad avere
osato, con terrificante consequenzialità, stringendolo ben saldo con i denti dell’odio
più abissale (l’odio dell’impotenza), il rovesciamento dell’aristocratica equazione di
valore (buono = nobile = potente = bello = felice = caro agli dei), ovvero: i miserabili
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soltanto sono i buoni, i poveri, gli impotenti, gli umili, i sofferenti, gli indigenti, gli
infermi, i deformi”
Seguendo l’excursus storico, dall’ebraismo si sarebbe originato il
cristianesimo; il Rinascimento avrebbe visto un breve risvegliarsi dei valori antichi;
la Rivoluzione francese avrebbe visto imporsi in modo definitivo la morale degli
schiavi, con però la luce, breve, di Napoleone.
Come si nota Nietzsche tende a identificare il cristianesimo (e la sua morale) con
tutti gli eventi di massa della storia occidentale (addirittura con la Rivoluzione
francese); egli quindi intende – e ciò conferma quanto abbiamo detto all’inizio del
corso – il cristianesimo essenzialmente come sistema di valori.
Nell’opera che stiamo analizzando compare un altro aspetto di straordinaria
importanza, ed è il riconoscimento della crudeltà naturale dell’uomo; qui
Nietzsche si richiama (anche se esplicitamente non lo dice) ancora una volta a
Schopenhauer e, andando più in la, ad Hobbes. Nietzsche coglie quella che è una
convinzione – come abbiamo visto in questi anni – di molte teorie filosofiche: la
crudeltà gli sembra connaturata all’essenza umana, è un impulso fondamentale, una
voglia di veder soffrire e far soffrire, voglia che sarebbe un ingrediente orgiastico dei
popoli forti e primitivi. Ma anche nelle civiltà la prassi della “punizione”
nasconderebbe l’istinto alla crudeltà.
Nietzsche ricava in fondo con coerenza il concetto di natura umana dalla sua
visione del mondo; ciò gli permette anche brillanti riflessioni interpretative, come la
critica al socialismo. Rimane però, rispetto agli autori sopra citati, un margine di
ambiguità. Mentre negli altri casi la consapevolezza della crudeltà fondamentale
della natura umana comportava una visione pessimista della vita che, o si
isolava nella sua solitudine, o concepiva la relazione sociale nei termini del più
duro autoritarismo, in Nietzsche si avverte una sorta di compiacimento. La
crudeltà nasce infatti dal desiderio di superare la propria minorità ed il
principale stimolo vitale che aiuta il soggetto a emanciparsi.
D’altra parte, se il superuomo esercita la propria violenza all’esterno, nelle
morali degli schiavi tale crudeltà è, secondo Nietzsche, interiorizzata, rivolta
all’interno, soffocando la propria vitalità. Da un certo punto di vista, quindi,
sembrerebbe che la libertà superomistica sia un miglior antidoto per contenere gli
eccessi della crudeltà che non quello di inserirli in una dimensione di massa.
A Genealogia della morale segue un altro noto scritto, L’Anticristo, che però
nulla aggiunge alle valutazioni sul cristianesimo che abbiamo già ricordato.
E’ importante però notare il carattere radicale di quest’opera, dove la novità
non sta tanto nei contenuti (Nietzsche si limita a riepilogare ciò che già ha detto negli
scritti precedenti), quanto nel tono. La prosa e lo stile esprimono un odio senza pari,
con un carico impressionante di ingiurie e sospetti. Il tono è aspro, egli vuole
offendere, colpire in faccia i valori, capovolgerli in base a una “logica anticristiana”.
Anche in questo caso vale però quanto abbiamo detto poco fa: più che la
religione cristiana, a Nietzsche sta a cuore attaccare tutto il sistema di valori che dal
cristianesimo ha avuto origine, e che coinvolge anche avvenimenti o teorie distanti
dalla religione. Il cristianesimo è per Nietzsche la più potente apparizione nella storia
dello spirito di uno smarrimento dell’istinto dell’uomo europeo. Da qui si capisce
quanto la critica al cristianesimo rivesta per il filosofo un ruolo fondamentale, da qui
la radicalità dell’opera.
Dal punto di vista teologico, l’opera presenta alcuni spunti analitici
interessanti, in quanto si ritrovano, in forma decisamente più articolata, in
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riflessioni teologiche rilevanti dell’età contemporanea. Ad esempio la distinzione
tra la figura di Cristo, giudicata positivamente (Gesù non è il fondatore di una chiesa,
ma è anzi la semplice negazione di ogni organizzazione, dell’ordine gerarchico del
giudaismo) e San Paolo, che attuò una premeditata mistificazione del cristianesimo.
Paolo avrebbe fatto sparire l’unica realtà del cristianesimo, la beatitudine, il Regno di
Dio, la gioia della mansuetudine. Avrebbe invece trasferito la beatitudine oltre la
morte; Paolo significa la vittoria del giudaismo ortodosso, del prete giudeo su Gesù
di Nazareth.
Paolo sarebbe inoltre l’inventore della dottrina dell’Ultimo Giudizio,
come mezzo per fondare in modo nuovo e più radicale una tirannia dei preti e
formare una mandria. Paolo avrebbe portato a termine quel processo di decadenza
del cristianesimo, che cominciò con la morte del Redentore, con il cinismo logico di
un rabbino. Il concetto cristiano di peccato sarebbe la più grande forma di
autoprofanazione dell’uomo, un attentato dei preti alla vita. In Paolo Nietzsche vede
il duplice insorgere della casta sacerdotale e di tutti i valori della decadenza.
Dell’ultima opera pubblicata da Nietzsche in vita, Il crepuscolo degli idoli,
non abbiamo tempo di parlare. Da una parte è opera complessa, in quanto Nietzsche,
in modo per lui insolito, affronta in modo più analitico i problemi filosofici
dell’essere. Così facendo, egli inaugura una visione dell’essere che si sarebbe
sviluppata in modo determinante nella filosofia del ‘900; questo ci porterebbe però a
scadere in un tecniscimo che abbiamo sinora evitato e che nulla aggiungerebbe alle
nostre riflessioni.
L’opera postuma
Siamo giunti alla conclusione. Abbiamo svolto in modo direi pressoché
completo il laborioso (e complesso) itinerario filosofico di Friedrich Nietzsche,
dobbiamo – come sempre avviene in ultimo – provare a proporre delle osservazioni
conclusive.
Sino ad oggi noi abbiamo sicuramente conosciuto una filosofia importante,
ma forse – nonostante qualche mia anticipazione – non ci è ancora chiara la sua
straordinaria rilevanza (quasi unica nella storia della filosofia), soprattutto perché in
molti punti il pensiero del filosofo sembra contestabile, vuoi per l’inconsistenza di
alcune sue osservazioni critiche sulle tradizioni che intende distruggere, vuoi per
l’ambiguità morale che alcune sue proposte presentano.
Dobbiamo quindi oggi affrontare il problema dell’interpretazione di
Nietzsche e valutare l’azione che la sua filosofia ebbe nel corso del secolo XX, sia
nella prima metà – negli anni bui di quel secolo -, sia nella seconda metà e ancora
oggi. L’opera postuma – ovvero le opere che vennero pubblicate dopo la morte del
filosofo – hanno avuto a questo proposito un ruolo fondamentale, proprio perché, nel
momento in cui vennero diffuse, furono immediatamente messe in contatto con la
temperie culturale di quei difficili anni.
In realtà, più che l’intera opera postuma, della quale fa parte anche il
fondamentale e voluminoso epistolario, ci interessa un’unica opera, che fece scalpore
e sulla quale si aprì un contrastato dibattito che – come vedremo – è tutt’ora in corso.
Nietzsche – già lo sappiamo – fu intellettualmente inattivo a partire dal 1888,
ma negli anni immediatamente precedenti la malattia fu attivissimo; lo Zarathustra
venne scritto fra il 1883 e il 1885 e da allora fino al 1888 Nietzsche pubblicò ben
sette volumi di notevole importanza (noi ne abbiamo citati appena quattro).
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Contemporaneamente, e anche forse nel primissimo periodo della sua malattia,
Nietzsche stava lavorando a un’opera che considerava decisiva per il suo
pensiero, una sorta di summa dove la verità del superuomo veniva totalmente
dispiegata e non solo, come era nelle altre opere, declinata al futuro. Lasciò
quindi una mole enorme di appunti sparsi, di riflessioni, di pensieri, senza alcuna
però sistematica connessione; il lavoro era allo stato preliminare e, inoltre, la
scrittura di Nietzsche aforismatica, metaforica, per parabole, non lascia ben
comprendere la giusta successione dei pensieri.
Ebbene, tutto questo immenso materiale rimase a disposizione della sorella
del filosofo, Elizabeth, e della madre di lui. Fu soprattutto però la prima che si
occupò di tenere alta la memoria del fratello, grazie alla quale, contemporaneamente,
si assicurò anche una notevole posizione morale e una discreta rendita. E’ doveroso
dire – prima di fare le giuste osservazioni critiche alla discutibile personalità di
questa donna – che ella ebbe in effetti un’autentica venerazione per il fratello e
un’immensa stima intellettuale. Lo accudì negli anni della malattia ed esiste una
drammatica foto del filosofo, poco prima della morte, che giace come un bambino fra
le braccia della sorella.
Già negli anni ’90 dell’800, comunque, la fama di Nietzsche si era
giustamente diffusa in Germania e il valore dei suoi scritti, dopo le polemiche del
primo periodo, venne riconosciuto; inoltre, la malattia del filosofo, congiunta al
carattere personale del suo pensiero e del suo stile di scrittura, crearono attorno alla
sua figura un alone mitico. Le persone che avevano avuto contatto con lui ne
scrissero, iniziarono a rilasciare dichiarazioni (per esempio quelle a posteriori del
Wilamowitz sulla polemica in merito a La nascita della tragedia). Nel 1894 Lou
Andreas-Salomé, una donna di cui Nietzsche era stato innamorato ma, pur in parte
corrispondendo, aveva rifiutato una richiesta di matrimonio, pubblica un testo
intitolato Friedrich Nietzsche nelle sue opere. Nel 1895 la sorella Elizabeth Förster
(cognome da sposata)-Nietzsche pubblica la Vita di Friedrich Nietzsche. Nel 1894,
intanto, era stato fondato, in casa della madre, il primo “Archivio Nietzsche” che, nel
1896, verrà stabilmente trasferito a Weimar, grazie anche al contributo finanziario di
un amico.
In tutta questa febbrile attività, la sorella intende anche pubblicare nella sua
interezza i frammenti postumi lasciati dal fratello, dando vita a quella opera summa
che egli intendeva più di ogni altra cosa pubblicare. Nel 1906, dopo questo arduo
lavoro di riscrittura, viene dato alle stampe il volume La volontà di potenza. Se
dovessimo individuare in questo testo una svolta o un esito decisivo del pensiero di
Nietzsche sbaglieremmo; in realtà, così come per le opere precedenti, Nietzsche
ritorna sui suoi soliti temi, fornendo anche fondamentali nuove interpretazioni, ma
rimane nel quadro speculativo ormai definitivamente tracciato con lo Zarathustra.
Per comprendere però la fortuna – e anche la maledizione – di questo testo,
dobbiamo tornare alla biografia di Elizabeth. Nel 1884 si fidanzerà – per
successivamente sposarlo con l’agitatore wagneriano e antisemita Bernhard Förster,
il quale coinvolgerà Elizabeth in un allucinante progetto (che ebbe però successo), di
fondare un colonia tedesca in Paraguay, una sorta di comunità eletta tesa ad isolare e
a far riprodurre una razza tedesca pura. Da questa comunità passarono nel secondo
dopoguerra numerosi criminali nazisti che riuscirono a fuggire, tra cui lo stesso dott.
Mengele; tale comunità, fra l’altro, esiste tutt’ora. (Ne esiste tra l’altro una simile –
anche se Elizabeth non c’entra nulla – nello stesso Cile, complice fra l’altro delle
violazioni dei diritti umani perpetrati dal regime del generale Pinochet).
Sull’antisemitismo di Nietzsche ci siamo già espressi sopra; anche da questo
punto di vista il filosofo manifesta una certa ambiguità; alcune affermazioni
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fortemente imbarazzanti sono presenti nell’ultimo testo; è vero però che Nietzsche
derideva tale atteggiamento della sorella e l’esaltazione di Förster. L’antisemitismo
bismarkiano lo disprezzava e discusse più volte con la sorella a proposito,
chiamandola “oca molesta e presuntuosa, o scusandoci con gli amici dottor Rèe e
Lou Salomé: “Da ultimo mi rimane il compito assai ingrato di riparare in certa
misura col dottor Rée e con la signorina Salomé i danni provocati da mia sorella”.
Affermazioni che sono state più volte citate per salvare Nietzsche dall’accusa di
antisemitismo, ma che dovrebbero essere accolte, insieme alle altre, all’interno di un
ritratto complesso del filosofo, difficilmente decifrabile in modo definitivo.
Bernhard Förster muore anche lui prematuramente, addirittura prima di
Nietzsche, nel 1899. Il suo antisemitismo militante, oltre alla sua concerta attività
pratica, ne fanno sicuramente un precursore di quella cultura radicale che avrebbe
drammaticamente preso il potere in Germania negli anni ’30. Questo amore segnò
però irrimediabilmente le convinzioni ideologiche di Elizabeth, destinata ad
appoggiare il radicale nazionalismo germanico e il nazismo hitleriano, sia nella
prima fase di conquista del potere, sia divenendo una delle personalità più stimate del
regime .
Nel pubblicare la Volontà di potenza, Elizabeth voleva dimostrare la
concordanza tra la propria ideologia e la filosofia del fratello; ovvero fare di
Nietzsche il precursore dell’antisemitismo, del nazionalismo radicale, di una idea
dello Stato fondata sul culto del capo. E, a suo parere, proprio molte affermazioni
contenute nella Volontà di potenza dimostravano questo. Non tutto ciò che è scritto
in quest’opera in realtà ha questi toni (per la maggior parte Nietzsche continua a
proporre e ad approfondire riflessioni che già conosciamo), ma - come abbiamo già
detto – a volte Nietzsche sembra propendere per una visione prevaricatrice della
volontà di potenza, riflettendola nei rapporti fra gli individui.
A partire da quest’opera e dalla interpretazione – oltre che dalla continua
campagna propagandistica a favore del fratello e del marito portata avanti da
Elizabeth – Nietzsche entra a far parte della cultura della destra estrema. Sia chiaro,
pur in forma discutibile la tematica del superomismo (da Dostojevskij a D’Annunzio)
era già diffusa in Europa, ma i fascismi se ne appropriarono in un modo che – pur
ammettendo che in Nietzsche sia presente un margine di ambiguità – è sicuramente
molto rozzo rispetto alle straordinarie pagine del filosofo.
L’archivio Nietzsche a Weimar venne sostenuto dai governi dell’estrema
destra; numerose furono le donazioni di Mussolini, e divenne un luogo di culto per i
nazisti, i cui gerarchi (e Hitler stesso) venivano ricevuti da Eliuzabeth. Quando
questa morì (nel 1935), ormai anziana, Hitler andò a renderle omaggio realmente
commosso.
Al di là di questa immagine pubblica di Nietzsche, non c’è dubbio che in quel
periodo fiorirono anche studi filosoficamente rilevanti e a tutt’oggi fondamentali
(come quello di Heidegger, filosofo anche lui compromesso con il nazismo ma che
analizza Nietzsche da un punto di vista squisitamente filosofico). Nel secondo
dopoguerra, proprio a fronte dell’importanza del pensiero di Nietzsche e degli studi
che lo riguardano, si avvertì la necessità di un’edizione critica che rendesse ragione
del pensiero del filosofo. Nell’archivio di Weimar – a quell’epoca all’interno della
Repubblica Democratica Tedesca – per anni lavorarono i due studiosi italiani,
Giorgio Colli e Mazzino Montanari.
Ebbene, in base proprio al lavoro operato sugli scritti postumi e sui
manoscritti conservati (sui quali lavorò Elizabeth), ne venne fuori una nuova
edizione degli scritti postumi, quella critica definitiva, che, a parere dei due curatori
(ma soprattutto poi nella scolastica successiva), denazificava Nietzsche, mostrando
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quanto il lavoro di sistemazione degli appunti da parte della sorella fosse stato
arbitrario, parziale, teso a creare una forzata concordanza con le suo convinzioni
ideologiche.
Per i decenni successivi questo lavoro ha permesso una rinascita degli studi
nietzschianie un’esaltazione degli aspetti più rilevanti della sua filosofia,
sottolineandone gli aspetti emancipativi, fondamentali per comprendere lo spirito
della modernità. Opinione diffusa era dunque che la Volontà di potenza, come scrisse
Gianni Vattimo, uno dei maggiori studiosi italiani di Nietzsche, era stata contraffatta
per finalità ideologiche.
Sennonché, nel 1993, ad opera di un altro studioso italiano, Maurizio Ferrarsi,
è uscita una nuova edizione de La Volontà di Potenza, che ha in buona parte
rovesciato questo convinzione diffusa e che, come era lecito aspettarsi, suscitò in
quell’anno numerose polemiche. Sia chiaro, l’intento di Ferraris – a mio parere
convincente – non è certo quello di “nazificare” Nietzsche; egli steso riconosce
l’assurdità di questo dibattito, dal momento che sarebbe impossibile rendere
responsabile un uomo di qualcosa avvenuto un quarantennio dopo la sua morte
intellettuale. Egli intende però restituire il filosofo alla sua ambiguità e denuncia
come l’aver operato per eliminare in tutti i modi ciò che poteva apparire
preoccupante rispetto a un’ideologia reazionaria così devastante quale il nazismo, era
come accettare, in modo però capovolto, il colpevole errore ideologico di Elizabeth,
cercando forzate relazioni – sia pure per opposizione – con una temperie culturale
estranea al filosofo per ovvi motivi cronologici.
Su che cosa si basano le convinzioni di questo studioso? sul fatto che,
attraverso una attenta ricostruzione del lavoro svolto da Colli e da Montinari, nessun
testo risulta contraffatto da Elizabeth, e che tutte le affermazioni ivi contenute erano
effettivamente state concepite dal filosofo. Il lavoro di Elizabeth può essere discusso
in merito alla compilazione, alla successione di pensieri che effettivamente, per la
loro natura, è difficile concepire nella sequenza pensata da Nietzsche. Ma tutti i
contenuti sono effettivamente pensieri di Nietzsche.
D’altra parte, aggiunge lo studioso, i numerosi studi su Nietzsche realizzati
quando ancora non era disponibile la versione Colli-Montinari sono tutt’ora rilevanti
e, di conseguenza, non è vero che quei testi portavano alla contraffazione del
pensiero di Nietzsche..
Dopo questo lungo preambolo, vediamo di osservare almeno qualche
contenuto di questa discussa opera: nella sua struttura, l’opera non presenta per noi
novità. I primi due libri trattano della morte di Dio, il terzo della volontà di potenza e
il quarto del superuomo e dell’Eterno ritorno. Vorrei soffermarmi non tanto su alcune
precisazioni teoriche che approfondiscono tematiche da noi già viste (e che pure le
rinnovano e che sono l’aspetto più interessante del libro),quanto sulle affermazioni
imbarazzanti che ho citato.
Ad esempio, nel terzo libro la volontà di potenza viene esaminata in quattro
capitoli: La volontà di potenza come conoscenza; La volontà di potenza della natura;
La volontà di potenza come società e individuo; La volontà di potenza come arte.
Soffermiamoci sulla visione della società e dell’individuo:egli interpreta lo stato
come un’immagine di forza; si volge contro lo svilimento democratico dello stato,
che ne vuole fare un’istituzione morale.
Oppure, nella istituzione, per esempio, del Matrimonio, egli vede la chiara
espressione di una volontà di potenza. Così opta per il matrimonio come espressione
di forza da parte di una stirpe che vuole crescere in proprietà e figli; e si esprime
contro il matrimonio d’amore.
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La potenza viene vista anche nelle forme giuridiche statali, in tutto il sistema
di pena e di colpa, ecc. Come nello Stato, egli trova le tracce della Volontà di
potenza nel Grande singolo, nell’Individuo. Chi si eleva al di sopra della massa, non
rappresenta un valore morale superiore, ma semplicemente una maggiore potenza
della vita.
Per comprendere però quest’opera è soprattutto importante il IV libro; se è
vero che Nietzsche si riferisce e tutti i concetti fondamentali già apparsi nelle opere
precedenti, pure mai li aveva così strettamente intrecciati fra loro come in queste
pagine, permettendo forse di delineare in modo più lucido l’immagine del mondo che
egli ha in mente. Inoltre questo libro possiede uno scopo pratico; in queste pagine
Nietzsche intende agire da filosofo; non vuole soltanto esprimere conoscenze, vuole
preparare decisioni storiche – universali, vuole mutare l’umanità.
La sua filosofia della Volontà di Potenza vuole diventare potere. Per potere
Nietzsche intende la dottrina dei pochi che sono chiamati al più alto potere, i
Signori della Terra.
In queste pagine Nietzsche, quando parla del superuomo, intende l’uomo
forte, l’uomo nobile, l’uomo grande o supremo. Il superuomo è una realizzazione
concreta che l’umanità deve intraprendere, che si concretizza in una gerarchica.
La dottrina nietzschiana della gerarchia si volge polemicamente non soltanto
contro il livellamento moderno ma anche contro l’idea cristiana dell’uguaglianza
degli uomini di fronte a Dio. Egli la chiama: “il non plus ultra del cretinismo” che
“finora sia esistito sulla terra”.
Gli uomini non sono uguali, anche nel regno degli uomini opera la Volontà di
Potenza; ciò che determina il rango dell’uomo è “unicamente il quantum di potenza
e niente altro”. “E’ necessaria una dichiarazione di guerra degli uomini superiori
contro la massa”; tale dichiarazione di guerra non implica sterminare la massa,
impresa che sarebbe impossibile, ma servirsi di essa per non diventarne schiavo.
L’uomo superiore deve essere in relazione con la massa nella forma dello
stratagemma. L’esistenza delle masse significa, di per sé, una garanzia degli uomini
superiori di fronte a se stessi, alla loro azione di violenza. [E’ interessante
quest’ultimo punto, in quanto evidenzia, pur nell’ottica reazionaria, una radicale
diversità dal nazismo; è necessaria l’esistenza di “dominabili” per riconoscersi nella
propria superiorità. In un senso più morbido e accettabile,una vita diventa degna nel
momento in cui sa emanciparsi dalla cultura di massa e valorizzare la propria
singolarità.]
Nietzsche esige dunque l’organizzazione di una forma di autorità dei forti ,
una aristocrazia, che nell’epoca delle masse si serve delle masse, una lega di
cospiratori formata da uomini superiori, che con un doppio scopo, uno dichiarato ed
uno segreto, governano le masse e le costringono in schiavitù [e qui la versione
morbida, prima suggerita, in parte naufraga].
Nell’ultimo capitolo, a proposito di Zarathustra, si afferma che egli è “il
grande pensiero educatore”, che condanna le razze deboli che non lo sopportano, e
conduce alla potenza le razze forti, che lo considerano come un grandissimo
beneficio..
Vi propongo alcuni pensieri di questo genere:
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Da Friedrich Nietzsche, La volontà di potenza:
854.
Ma trovo costretto a ristabilire la gerarchia nell'epoca del suffrage universel, cioè
nell'epoca in cui ciascuno ha diritto di erigersi a giudice di tutto e di tutti.
855.
Ciò che determina il rango, ciò che toglie il rango, sono unicamente delle quantità
di potenza: e nient'altro.
856.
La volontà di potenza. Come dovrebbero essere fatti gli uomini che intraprendono
in se stessi questa trasvalutazione? La gerarchia come ordinamento della potenza: la
guerra e il pericolo sono premesse perché un livello gerarchico conservi le sue
condizioni di esistenza. Il modello grandioso: l'
uomo nella natura - la creatura più
debole, più accorta acquista il dominio, assoggettandosi le potenze più stupide.
857.
Io distinguo fra un tipo di vita ascendente e un altro tipo di vita, quello della
decadenza, della frammentazione, della debolezza. Si deve credere che la
questione della gerarchia si possa in generale porre soltanto come alternativa fra
questi due tipi?
858.
Del rango decide la quantità di potenza che tu sei: il resto è
pusillanimità. L'
annientamento delle razze decadenti. Decadenza. dell'
Europa.
L'
annientamento delle valutazioni servili. Il dominio sulla terra, come mezzo per
produrre un tipo superiore. L'
annientamento della tartuferia, che si chiama "morale" (il cristianesimo, una forma isterica dell'
onestà: Agostino, Bunyan). *
L'
annientamento del suffrage universel, cioè del sistema grazie al quale le nature
inferiori si impongono alle superiori a norma di legge. L'
annientamento della mediocrità e del suo valore. (Gli unilaterali, individui e popoli; esempio: gli inglesi;
tendere alla pienezza della natura accoppiando gli opposti; mescolare le razze a tal
fine.) Il nuovo coraggio - nessuna verità a priori (gli assuefatti alla fede cercano
simili verità!), ma libera subordinazione a un pensiero dominante, che ha un tempo
peculiare: per esempio, il tempo come proprietà dello spazio ecc.
859.
Vantaggio dell' appartarsi dalla propria epoca. Mettersi in disparte da
entrambi i movimenti, dalla morale individualistica e da quella collettivistica perché anche la prima non conosce la gerarchia e vuol dare a ognuno la medesima libertà che hanno tutti. I miei pensieri non ruotano intorno al grado di
libertà che va concesso all'
uno o all'altro o a tutti, ma al grado di potenza che l'uno
o l'altro deve esercitare su altri o su tutti, ovvero intorno alla misura in cui un
sacrificio della libertà, e persino la schiavitù, offra una base alla produzione di un
tipo superiore. Sulla massima scala: come si potrebbe sacrificare l'evoluzione
dell'umanità per far sì che venga all'
esistenza una specie superiore all'
uomo?
863.
Il concetto di "uomo forte e uomo debole" si riduce a questo: nel primo caso
si è ereditata molta energia (se ne ha una certa somma), nel secondo caso se ne è
ereditata ancora poca.
Eredità insufficiente, dispersione dell'
eredità. La debolezza può essere un fenomeno iniziale: "ancora poca forza"; oppure un fenomeno
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finale: "non più forza". Il punto principale è questo: dove si trovi una grande forza, e
dove si debba esercitarla. La massa, essendo la somma dei deboli, reagisce
lentamente; si guarda da molte cose per le quali è troppo debole - dalle quali non
può '
ricavare utile alcuno; non crea, non progredisce...
Questo, contro la teoria che nega l'individuo forte e crede che sia la massa
a "fare le cose". E la stessa differenza che intercorre fra generazioni diverse: l'
uomo
attivo e la massa possono essere distanti di cinque o sei generazioni: è una differenza
cronologica... .
860.
Del rango. Orribile conseguenza dell' "uguaglianza": va a finire che
,ognuno crede di avere un diritto su qualsiasi problema. E andata perduta ogni
gerarchia.
861.
È necessario che gli uomini superiori dichiarino guerra alla massa! Non
c'
è luogo in cui i mediocri non si radunino per diventare padroni! Tutto ciò che
rammollisce, addolcisce, valorizza il "popolo" o il "femminino", agisce a favore del
su/frage universel, ossia del dominio degli uomini inferiori. Ma noi vogliamo
esercitare rappresaglie e portare alla luce e citare in giudizio tutta questa economia
(che in Europa incomincia con il cristianesimo).
862.
C'
era bisogno di una dottrina abbastanza forte per produrre effetti di
selezione e disciplina: rafforzatrice per i forti, paralizzante e distruttrice per gli
stanchi del mondo.
872.
I diritti che un uomo si prende sono proporzionali ai doveri che si
impone, ai compiti rispetto a cui si sente all'
altezza. La maggioranza degli uomini
non ha diritto all'esistenza, ma costituisce una disgrazia per gli uomini superiori.
875.
L'uomo superiore e l'uomo del gregge. Quando mancano i grandi uomini, si
rendono semidei o Dei i grandi uomini del passato: il prorompere della religione
dimostra che l'
uomo non trova più piacere negli uomini ("e nemmeno nella donna",
come dice Amleto). Oppure si mettono molti uomini in un solo mucchio, se ne fanno
dei parlamenti, e si desidera che agiscano come tiranni. La "tirannia" è un affare da
uomini grandi: questi fanno fessi gli uomini dappoco.
873.
Fraintendimento dell'egoismo da parte delle nature volgari, che non sanno
nulla della brama di conquista e della insaziabilità del grande amore, nonché delle
straripanti sensazioni di forza che soggiogano, costringono, vogliono impiantarsi nel
cuore - dell'
impulso che muove l'
artista verso la sua materia. Spesso, la passione dell'
attività cerca soltanto un terreno. Nell' "egoismo" comune vuole conservarsi
precisamente il non-ego, la mediocrità estrema, l'uomo generico - e questo
indigna, se non è colto dai piùrari, dai più fini e dai meno mediocri. Infatti, costoro
giudicano cosl: "noi siamo più nobili! Importa più la nostra conservazione che quella
di quel bestiarile!".
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874.
La degenerazione dei dominatori e dei ceti dominanti ha creato la massima
scempiaggine della storia! Senza i cesari romani e senza la società romana il delirio
del cristianesimo non sarebbe giunto a dominare.
Quando gli uomini dappoco sono assaliti dal dubbio che gli uomini superiori
esistano o meno, allora il pericolo è grande! E si finisce per scoprire che ci sono virtù
anche presso gli uomini dappoco, soggiogati, poveri di spirito, e che al cospetto di
Dio gli uomini sono uguali: sinora, il non plus ultra del cretinismo sulla faccia della
terra! Infatti, gli uomini superiori hanno finito per misurare se stessi con il criterio
della virtù degli schiavi – si sono trovati superbi ecc., hanno trovato riprovevoli tutte
le loro qualità superiori!
Quando comandavano Nerone e Caracolla, sorse il paradosso secondo cui
l’uomo più umile avrebbe maggior valore di quello che siede lassù. E si fece strada
un’immagine di Dio più lontana possibile dall’immagine dei potenti – il Dio in
croce!
Come vedete, si tratta di pensieri poco simpatici; può essere forse triste
terminare un autore con queste parole. Eppure, soprattutto quando non c’è la volontà
di sottrarre un pensatore alle sue responsabilità, è cosa giusta farlo per rimarcarne
l’importanza assoluta. Ma non un’importanza in negativo (che potrebbe anche
essere), ma in positivo, che ora dobbiamo cercare di comprendere sia pure contro
voglia, dopo questi ultimi pensieri. Che pure – e lo dico senza voler essere
provocatorio – nulla tolgono al valore delle interpretazioni “libertarie” di Nietzsche.
Innanzitutto – e lo ribadisco – la filosofia di Nietzsche è fondamentale per
quanto profeticamente riesce a comprendere del proprio tempo, pur vivendo lo stesso
filosofo questa comprensione in modo contrariato. Non si tratta quindi di condividere
quanto Nietzsche afferma, ma di cogliere ciò che egli intuitivamente avverte di quel
fondamentale cambio d’epoca. O meglio, noi dobbiamo condividere in Nietzsche
proprio quelle osservazioni che sono decisive per comprendere la nuova sensibilità
filosofica che gli stesso contribuisce a formare, ma non confondere necessariamente
queste analisi con le conclusioni che il filosofo stesso ne trae.
Per fare un esempio, il concetto di superuomo manifesta una carica di
ambiguità sia in senso positivo sia negativo; ma rimane un concetto fondamentale
per capire la condizione umana nell’epoca post – metafisica. Possiamo dunque
valorizzarlo in modo fruttuoso senza per forza accogliere le immagini radicali e
disturbanti che Nietzsche propone in alcune pagine della sua opera postuma. E
d’altra parte, non è semplice, seguendo il suo percorso intellettuale, interpretare
quelle pagine sparse come un esito o un convincimento già presente (pur essendo
Nietzsche una personalità aristocratica e conservatrice).
E allora, se noi valutiamo tutta la storia del Novecento, vediamo che la
filosofia di Nietzsche diventa un potente strumento interpretativo; non perché il suo
pensiero sia antesignano dei totalitarismi, ma perché descrive drammaticamente – e a
volte con preoccupazione – l’orizzonte in cui quegli avvenimento acquistano un
senso nella loro drammatica originalità. L’assenza di valori trascendenti, la volontà
di prendere allora decisioni supreme, la necessità di sfuggire alla alienazione e al
conformismo di massa, sono tutte esigenze – abbiamo visto – presenti nei pensatori
poco precedenti a Nietzsche e a lui posteriori. E se tali analisi li conducono poi a
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scelte discutibili ciò non comporta l’inefficacia del loro pensiero. Perché figure come
Heidegger, o Schmitt o Gentile rimangono straordinarie al di là delle loro scelte e le
precise responsabilità storiche e politiche? Semmai, Nietzsche ci aiuta a capire
perché si potevano effettuare queste scelte, come mai intelligenze supreme si
lasciarono ingannare, perché all’epoca c’era un bisogno di prendere decisioni
immediate, risolute e radicali che oggi sottoponiamo facilmente acritica.
Ma non solo Nietzsche riveste importanza ai fini di una valutazione storica e
filosofica, ma anche i nostri tempi sono a mio parere – e pur con tutti gli altri
contributi da considerare – da lui incredibilmente illuminati. Il degenerare della
cultura di massa in evidente ignoranza anche dei ceti prima più colti, la perdita dei
valori, il conformismo dei comportamenti, l’alienazione e l’infelicità crescente. Il
fare affidamento solo sul denaro, che oggi valorizza le aspirazioni (lo si desidera di
per sé prima ancora di chiedersi come impiegarlo), non è manifestazione della
Volontà di Potenza, ma indica l’alienazione massima che, nel linguaggio di
Nietzsche, sta nella incapacità dell’uomo di creare nuovi valori e diventare schiavo di
logiche insulse.
Da questo punto di vista, tutti i concetti fondamentali che abbiamo esaminato
di Nietzsche, si prestano ad indicare il decadimento della nostra epoca e, suggerendo
in parte una via d’uscita (l’interpretazione “morbida” di Nietzsche, ovvero sapersi
singolarmente emancipare dalla umiliante sottocultura di massa, rimane valido), ci
indica anche i possibili esiti drammatici di questa deriva se non viene recuperata,
gravida di inquietanti conseguenze.
E’ uscito due anni fa un testo fondamentale, e forse definitivo,
sull’interpretazione della filosofia di Nietzsche rispetto alla cultura reazionaria. E’
sempre opera di uno studioso italiano, ed è stato recensito in modo egregio anche in
Germania.
Domeni Losurdo –Nietzsche, il ribelle aristocratico.
Si tratta di un volume molto ampio di cui è impossibile una sinossi; viene
però contestata la famosa edizione Colli-Montinari, di cui si evidenziano anche
inesattezza di traduzione nel tentativo di stemperare l’ambiguità di alcuni concetti
nietzschiani.
Consiglio di leggere, però, come contributo conclusivo, un’intervista
dell’autore, su:
http://www.hermesnet.it/materiali/interviste/losurdo_intervista.html