STUDIO PRELIMINARE SUI POTENZIALI NUOVI MERCATI DI
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STUDIO PRELIMINARE SUI POTENZIALI NUOVI MERCATI DI
STUDIO PRELIMINARE SUI POTENZIALI NUOVI MERCATI DI SBOCCO PER LO SPORT SYSTEM MONTEBELLUNESE A cura di Daniela Bruniera Settembre 2004 È consentito l’utilizzo, anche parziale, del contenuto degli interventi riportati, purché venga fatto riferimento alla fonte PREFAZIONE Nell’ambito delle attività di studio dell’economia locale, la Camera di Commercio di Treviso si occupa anche dell’internazionalizzazione e delle prospettive di sbocco sui mercati esteri delle produzioni delle imprese locali. Le strategie di sviluppo economico, infatti, non possono non tenere conto delle possibilità di collocamento dei maggiori o nuovi beni e servizi prodotti o di valide alternative agli sbocchi esistenti, sia sul mercato interno che su quelli esteri, in presenza di una competizione globale crescente. La ricerca di nuove opportunità di mercato, infatti, diventa essenziale proprio nell’attuale situazione, in cui la domanda dei Paesi avanzati è stazionaria ed è sempre più accesa la concorrenza dei Paesi emergenti. In realtà, la diversificazione dei Paesi di sbocco è complessivamente modesta, sia per l’Italia che per il Veneto, che per la stessa provincia di Treviso. Osservando i flussi di esportazione della bilancia commerciale, oltre ai nostri tradizionali partners europei (Germania, Francia e Gran Bretagna) ed agli Stati Uniti, sono pochi i Paesi significativi. Eppure nel mondo, oltre ai Paesi maggiori ed a quelli che vivono a livello di sussistenza, esistono Paesi avanzati poco indagati dai nostri operatori, ma con buone capacità di spesa e pure è presente un’ampia gamma di Paesi in via di sviluppo con redditi relativamente bassi, ma in progressivo rapido aumento, senza infine tener conto che in ogni Paese vive una classe agiata più o meno numerosa. Naturalmente, un’analisi di mercato non può essere generica, ma deve essere condotta almeno a livello settoriale. L’Ente camerale, quindi, che da tempo svolge analisi di settore/distretto sotto vari aspetti, si deve impegnare anche su questo fronte per fornire agli operatori dei principali comparti della nostra provincia linee-guida non soltanto sull’innovazione tecnologica ed organizzativa, ma anche in quella commerciale, tra cui è importante una più approfondita indagine sui mercati esteri alternativi a quelli usuali. Al riguardo, si è ritenuto di iniziare dal settore della calzatura sportiva, e dallo “sportsystem” più in generale, che caratterizza il distretto di Montebelluna, il quale, essendo unico in Italia per la sua specifica configurazione produttiva, non dispone di quelle analisi di mercato preliminari che invece sono presenti per altri settori più diffusi nel nostro Paese. Il metodo scientifico utilizzato per la selezione dei mercati-Paesi è quello previsto dal prof. Giorgio Pellicelli nel suo libro “Il marketing internazionale”, Etas, Milano, 1999, che prevede selezioni progressive di Paesi, partendo da un’analisi a tavolino sino ad individuare un ristretto numero di Paesi appetibili sui quali le imprese interessate possono poi effettuare gli approfondimenti più specifici recandosi “in loco”. 3 Si tratta, quindi, di un’analisi di mercato settoriale che funge da guida preliminare per ogni PMI del distretto, la quale viene così a disporre di una selezione globale preliminare già pronta dei potenziali Paesi di sbocco, sui quali poter fare poi gli approfondimenti del caso alla luce delle specifiche produzioni aziendali. In questo modo, il presente volume costituisce un risparmio netto di tempi e di costi per le imprese del distretto (che altrimenti, singolarmente ed autonomamente, dovrebbero attuare pazientemente una selezione di mercati in maniera pressoché uniforme) ed inoltre rappresenta un patrimonio conoscitivo di base a disposizione del settore medesimo. Ovviamente, questo è solo un contributo di partenza che può essere sviluppato con indagini più evolute dalla comunità distrettuale o dalle singole imprese, mentre questo stesso schema di indagine preliminare può essere adottato per qualsiasi altro settore. Si ringrazia la dott.ssa Daniela Bruniera (laurea specialistica in Economia degli scambi internazionali) autrice della ricerca, che ha saputo applicare con profitto ad un settore concreto la metodologia generale. Si ringraziano pure: il prof. Giorgio Pellicelli, noto esperto in materia e docente dell’Università di Torino, che ha fornito più volte al sistema camerale veneto utili indicazioni e spiegazioni sulle indagini da compiere, ed i professori Aldo e Valentina Durante che attraverso le loro pubblicazioni hanno permesso un inquadramento appropriato del settore e delle esigenze del distretto. Camera di Commercio Treviso 4 INDICE Presentazione Pag 9 CAPITOLO I CARATTERI, OBIETTIVO E METODOLOGIE DEL LAVORO 1.1 Breve storia, situazione attuale e caratteristiche del distretto dellascarpa sportiva di Montebelluna » 11 1.2 Scopo, ambito e limiti della ricerca » 21 1.3. Aspetti metodologici del lavoro » 25 CAPITOLO II PRIMA FASE DELLA RICERCA: SELEZIONE DEI MERCATI CON MAGGIOR POTENZIALE 2.1 Introduzione » 29 2.2 Analisi quantitativa dei paesi » 30 2.3 Analisi qualitativa dei paesi » 48 2.4 Selezione dei paesi con maggiore potenziale » 54 2.5 Risultati della selezione » 68 CAPITOLO III SECONDA FASE DELLA RICERCA: ANALISI STRATEGICA DEI PAESI 3.1 Introduzione » 73 3.2 L’Argentina » 75 3.2.1 Situazione politica e sociale » 76 3.2.2 Quadro economico e principali variabili » 77 3.2.3 Analisi della domanda potenziale » 79 3.2.4 Relazioni con l’estero » 79 3.2.5 Rischio Paese » 83 3.3 L’Australia » 85 3.3.1 Situazione politica e sociale » 86 3.3.2 Quadro economico e principali variabili » 87 3.3.3 Analisi della domanda potenziale » 89 3.3.4 Relazioni con l’estero » 90 3.3.5 Rischio Paese » 95 3.4 Il Cile » 97 3.4.1 Situazione politica e sociale » 98 3.4.2 Quadro economico e principali variabili » 99 3.4.3 Analisi della domanda potenziale » 102 3.4.4 Relazioni con l’estero » 102 3.4.5 Rischio Paese » 106 3.5 La Cina » 109 5 3.6 3.7 3.8 3.9 3.10 3.11 3.5.1 Situazione politica e sociale 3.5.2 Quadro economico e principali variabili 3.5.3 Analisi della domanda potenziale 3.5.4 Relazioni con l’estero 3.5.5 Rischio Paese La Corea del Sud (o Repubblica Democratica Coreana) 3.6.1 Situazione politica e sociale 3.6.2 Quadro economico e principali variabili 3.6.3 Analisi della domanda potenziale 3.6.4 Relazioni con l’estero 3.6.5 Rischio Paese La Finlandia 3.7.1 Situazione politica e sociale 3.7.2 Quadro economico e principali variabili 3.7.3 Analisi della domanda potenziale 3.7.4 Relazioni con l’estero 3.7.5 Rischio Paese La Nigeria 3.8.1 Situazione politica e sociale 3.8.2 Quadro economico e principali variabili 3.8.3 Analisi della domanda potenziale 3.8.4 Relazioni con l’estero 3.8.5 Rischio Paese La Norvegia 3.9.1 Situazione politica e sociale 3.9.2 Quadro economico e principali variabili 3.9.3 Analisi della domanda potenziale 3.9.4 Relazioni con l’estero 3.9.5 Rischio Paese I Paesi Bassi 3.10.1 Situazione politica e sociale 3.10.2 Quadro economico e principali variabili 3.10.3 Analisi della domanda potenziale 3.10.4 Relazioni con l’estero 3.10.5 Rischio Paese La Polonia 3.11.1 Situazione politica e sociale 3.11.2 Quadro economico e principali variabil 3.11.3 Analisi della domanda potenziale 3.11.4 Relazioni con l’estero 3.11.5 Rischio Paese 6 » » » » » » 110 111 113 114 119 121 » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » 122 123 126 127 130 131 132 133 135 136 140 141 142 143 144 144 145 147 148 149 151 151 154 157 158 159 161 162 166 167 168 169 171 171 176 3.12 La Russia (Federazione Russa) 3.12.1 Situazione politica e sociale 3.12.2 Quadro economico e principali variabili 3.12.3 Analisi della domanda potenziale 3.12.4 Relazioni con l’estero 3.12.5 Rischio Paese 3.13 La Svezia 3.13.1 Situazione politica e sociale 3.13.2 Quadro economico e principali variabili 3.13.3 Analisi della domanda potenziale 3.13.4 Relazioni con l’estero 3.13.5 Rischio Paese 3.14 La Svizzera 3.14.1 Situazione politica e sociale 3.14.2 Quadro economico e principali variabili 3.14.3 Analisi della domanda potenziale 3.14.4 Relazioni con l’estero 3.14.5 Rischio Paese CAPITOLO IV SELEZIONE FINALE DEI MERCATI DI SBOCCO 4.1 Il ruolo della concorrenza 4.2 Selezione conclusiva dei paesi Conclusioni Bibliografia » » » » » » » » » » » » » » » » » » 177 177 179 182 183 187 189 190 191 192 193 197 199 200 201 201 202 203 » 205 » 217 » 227 » 229 7 PRESENTAZIONE Il presente lavoro indaga su uno dei principali temi che attualmente le aziende si trovano a dover affrontare: l’internazionalizzazione. La questione non viene trattata in termini generali, ma si riferisce alla sola politica di esportazione in paesi diversi da quello di appartenenza delle aziende in esame. Queste ultime non sono considerate in termini astratti e generali, sono, invece, esclusivamente appartenenti al distretto della calzatura sportiva di Montebelluna. Nello specifico, il fine ultimo di questo progetto è quello di identificare mercati di sbocco sostitutivi a quelli attualmente preferiti dalle aziende dello sport system montebellunese. La ricerca ha inizio delineando le caratteristiche principali del distretto ed illustrando nel dettaglio le metodologie ed i limiti di questo lavoro. Il capitolo seguente analizza con criteri sia quantitativi, sia qualitativi, tutti i paesi del mondo per rendere possibile una prima selezione di quei mercati che presentano potenzialità rilevanti ai nostri fini. La successiva classificazione dei prodotti del distretto in categorie agevolerà l’individuazione di un primo gruppo di paesi che verranno, nel capitolo tre, analizzati dettagliatamente sotto diversi punti di vista: politico, sociale ed economico. Nel capitolo quattro, lo studio attento e scrupoloso delle caratteristiche di ciascun mercato, integrato con le propensioni sportive e le tendenze culturali del Paese, ci permetterà di selezionare definitivamente un numero molto ristretto di paesi che, dal nostro punto di vista, dovrebbero incontrare e soddisfare le esigenze di internazionalizzazione delle aziende montebellunesi. Si ritiene necessario premettere che la presente ricerca non ha pretese di essere assoluta, per cui si invitano le aziende ad utilizzarla come base e spunto per ulteriori indagini che terranno in considerazioni le peculiarità e le caratteristiche proprie di ognuna di esse, con lo scopo di creare e ampliare il loro vantaggio competitivo a livello non solo nazionale, ma globale. 9 CAPITOLO I CARATTERI, OBIETTIVO E METODOLOGIE DEL LAVORO 1.1 Breve storia, situazione attuale e caratteristiche del distretto della scarpa sportiva di Montebelluna Il distretto di Montebelluna rappresenta una delle principali aree di specializzazione produttiva in Veneto e costituisce uno dei sistemi locali più noti e distintivi nel panorama dei distretti industriali italiani. La sua importanza deriva non solo dalla consistenza produttiva e occupazionale, ma anche dalla tipologia del suo sviluppo, ricco di competenze tecniche ed imprenditoriali locali che hanno fatto di quest’area la capitale mondiale della calzatura sportiva. L’attività calzaturiera in Montebelluna e nelle sue vicinanze si sviluppa agli inizi del secolo scorso, con la concentrazione nell’area di attività artigianali dedite alla produzione di calzature da montagna, anche se le radici di questo “saper fare” risalgono alla tradizione veneziana dei calegheri e degli zavatteri. La zona di Montebelluna viene scelta come punto centrale di tale produzione per motivi territoriali, in quanto si trova a metà strada tra i mercati di approvvigionamento dei pellami (area del bassanese e dell’alto vicentino) e quelli di sbocco dei prodotti finiti (zona predolomitica pedemontana e delle Alpi nord-orientali). Per tutto il XIX secolo gli artigiani producono prevalentemente zoccoli in legno e dalmare, capostipiti della pedula da montagna. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la ripresa e lo sviluppo del territorio vengono favoriti dalla domanda stabile di calzature da parte dei boscaioli e dei montanari e dalla graduale diffusione delle pratiche alpinistiche, in particolare, dello sci. Fino alla metà degli anni Sessanta è lo scarpone da sci a primeggiare all’interno del distretto, che vede un aumento generalizzato della spesa per la maggior parte dei segmenti della domanda di articoli sportivi tradizionali. La seconda metà degli anni Sessanta rappresenta un momento di grande innovazione e cambiamento radicale per il distretto: la suola iniettata in PVC (che sostituisce la tradizionale suola in gomma cucita a mano) e il processo di produzione dello scafo da sci tramite iniezione di materiale plastico rivoluzionano completamente il processo produttivo e danno vita allo scarpone da sci in plastica. Questo porta le aziende, soprattutto quelle di medio-grandi dimensioni, a dover sostenere notevoli investimenti in impianti, tecnologia e risorse umane e ad esternalizzare alcune fasi del ciclo 11 produttivo verso le aziende più piccole, le quali, a loro volta, le trasferiscono ai piccoli artigiani. Nascono così, negli anni Settanta, nuove industrie a supporto di quella calzaturiera (ad esempio l’industria dei componenti in metallo, quella degli stampi e stampaggi ad iniezione, ecc.), che vanno a costituire un ricco indotto e contribuiscono a creare “un’area produttiva locale che presenta le caratteristiche di cluster settoriale integrato su base locale”1. Questi anni rappresentano il momento di massima espansione e di diversificazione delle attività economiche distrettuali. Il decennio successivo manifesta un andamento in controtendenza con il precedente: la caduta del tasso di crescita della domanda, l’aumento della competizione anche a livello internazionale, l’aggravarsi del fenomeno della sovracapacità produttiva locale, i problemi finanziari legati alle continue necessità di ricerca ed innovazione, nonché pessime condizioni climatiche caratterizzate da inverni miti e poco nevosi, contribuiscono a creare una situazione critica all’interno del distretto, che si ripercuote a livello sia nazionale sia estero. Il superamento di tale crisi avviene grazie alla radicata tendenza all’innovazione e alla diversificazione delle aziende, alla ricerca della qualità del prodotto e del gusto per l’estetica, alla maggior attenzione verso le attività di ricerca e sviluppo e di marketing. In questo periodo si manifestano nuovi processi di concentrazione aziendale e si avviano le prime joint venture internazionali tra imprese locali e gruppi stranieri. Il processo di massiccia diversificazione nato in questi anni porta le aziende a rivolgere la loro attenzione verso i settori dell’abbigliamento sportivo, dei pattini in linea, dello snowboard, fino ad arrivare all’attuale tendenza che vede il rilancio della scarpa comoda da città, prodotta secondo il know how e l’antica tradizione che risale ai primi artigiani. A questo punto, sintetizzando, le condizioni che hanno permesso lo sviluppo dell’industria calzaturiera a Montebelluna sono le seguenti: il mercato che, svolgendo la funzione di collegamento tra pianura e montagna, ha dato vita ad un sodalizio tra artigiani (scarperi) e montanari, i primi in qualità di produttori, i secondi di clienti; la presenza della piccola proprietà, con una forte spinta imprenditoriale, ha favorito il senso di intraprendenza ed autonomia; il territorio, in particolare il bosco del Montello, che rappresenta le “radici” della domanda di calzature da montagna;la tradizione veneziana, che ha trasmesso nella società quel senso estetico che si trasformerà, poi, in gusto per il design ed il colore, elementi; 1 Corò G., Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 79. 12 la tradizione veneziana, che ha trasmesso nella società veneta quel senso estetico che si trasformerà, poi, in gusto per il design ed il colore, elementi che qualificano e rendono uniche le calzature montebellunesi. Attualmente nel distretto di Montebelluna (che si estende su un territorio nel quale sono presenti una decina di comuni) sono presenti circa 430 imprese specializzate nella produzione di calzature ed attrezzature sportive, con oltre 8600 dipendenti2. Confrontando tali dati con quelli del 2001, è possibile notare come il numero di aziende sia diminuito quasi dell’8%, mentre il numero di addetti registra una riduzione pari al 4%. Nonostante questo andamento, il ruolo di assoluto rilievo che tale distretto assume nel panorama industriale, sia nazionale sia internazionale, risulta evidente analizzando le quote della produzione settoriale realizzate nell’area. Qui, infatti, vengono prodotte, in riferimento alla produzione italiana, il 60% delle scarpe da ciclismo e l’80% dei pattini da ghiaccio e a rotelle. Per quanto concerne la produzione mondiale, vengono realizzati il 25% dei pattini in linea, il 50% delle scarpe da montagna tecniche, il 65% dei doposci, il 75% degli scarponi da sci e l’80% degli stivali da motociclismo. Nonostante il calo registrato nell’occupazione e nel numero di aziende, nel 2002 il valore della produzione complessiva di Montebelluna ha registrato un incremento del 3,3%, in particolare, la produzione di calzature è aumentata del 6,3% in quantità e del 4,1% in valore. Questo andamento risulta in controtendenza con quello registrato nel settore della calzatura italiana, che vede una diminuzione della produzione del 4,4% in quantità e del 1,5% in valore. I grafici 1.1 e 1.2 mostrano la composizione della produzione e del fatturato del 2002 per comparti. Si può notare come su una produzione totale di 34.511.665 Euro il 33,10% sia rappresentato dal comparto città e tempo libero, seguito per il 21,66% da quello della montagna e per il 9,58% da quello dello sci. Questi tre comparti primeggiano anche nel fatturato, nel quale, su un totale di 1.570.191.580 Euro, ne rappresentano rispettivamente il 23,21%, 17,05% e 14,01%. 2 Fonte informativa: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, Montebelluna, 2002. 13 Figura 1.1 Composizione della produzione del 2002 per comparti Calcio 4,45% Ciclismo 1,38% 9,58% Città e tempo libero 1,86% 0,28% Doposci 7,06% 1,44% Jogging/running 0,85% 3,33% 3,65% Montagna Moto 33,10% Pattini in linea Pattini da ghiaccio 21,66% 1,81% Sci 9,55% Sicurezza Snow Board Telemark Tennis Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato. Figura 1.2 Composizione del fatturato del 2002 per comparti 1,95% 1,68% 0,60%3,74% 1,32% 14,01% 0,54% 15,59% 3,34% 1,78% 1,29% 3,86% 23,21% 5,47% 17,05% 3,56% 1,01% Abbigliamento Accessori Calcio Ciclismo Città e tempo libero Dopo sci Jogging/running Montagna Moto Pattini in linea Pattini da ghiaccio Sci Sicurezza Snow Board Telemark Tennis Varie Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato. Nonostante la situazione critica del settore della calzatura a livello nazionale, il distretto di Montebelluna manifesta, quindi, capacità di sviluppo, grazie alla differenziazione. Questa considerazione può essere dimostrata osservando i dati registrati nell’anno 2000 sulla produzione a quantità e valore. Rispetto al 2001, il comparto abbigliamento mantiene un livello di produzione abbastanza costante, a differenza della scarpa da ciclismo (-5,5% in quantità e -11,8% in valore), del mercato del jogging/running (-37,8% e 32,8%), del pattino inline (-17,7% e -15,5%), dello scarpone da sci (-1,3% e -11,5%), dello snowboard (-6,9% e -7,7%) e del telemark (-11,8% e -2,6%). Registrano, invece, una crescita il comparto della scarpa da calcio (+12,2% 14 in quantità e +21,5% in valore), lo stivale da motociclismo (+10,1% e +7,4%), le scarpe da sicurezza (+110,5% e 78,5%), i doposci (+5,5% e +8%) ed, infine, la scarpa da montagna, che può essere definita il best product montebellunese del 2002, grazie ad un aumento del 27,2% in quantità e del 26,3% in valore. L’andamento di quest’ultimo articolo è particolarmente importante, in quanto non interessa solo poche grandi aziende, ma anche molti piccoli produttori e testimonia la vitalità della tradizione calzaturiera di Montebelluna. Questi dati confluiscono nel fatturato della calzatura del distretto, nel quale, in particolar modo confrontando l’andamento del fatturato a partire dal 1985 fino al 2002 (figura 1.3), emerge ancora una volta la crescente importanza rivestita dai comparti città e tempo libero, montagna, sci e abbigliamento. Figura 1.3 Evoluzione del fatturato per comparti dal 1985 al 2002 400.000.000 350.000.000 300.000.000 250.000.000 200.000.000 150.000.000 100.000.000 50.000.000 0 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 Abbigliamento e accessori Calcio Città e tempo libero Doposci Jogging/running Moto Pattini Sicurezza Telemark Varie 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 Basket** Ciclismo Danza e aerobica* Fondo Montagna Pallavolo*** Sci Snow Board Tennis * Il comparto danza e aerobica è compreso nel comparto varie dal 2001. ** Il comparto basket è compreso nel comparto varie dal 1997. *** Il comparto pallavolo è compreso nel comparto varie dal 2000. Fonte: i dati derivano da Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002. Il fatturato è espresso in Euro. 15 Montebelluna, dunque, è il cuore della produzione di articoli sportivi italiani. Risulta utile precisare che, generalmente, con il termine articolo sportivo ci si riferisce a un prodotto (abbigliamento, calzatura, attrezzo, accessorio) che viene utilizzato o indossato per fare sport. Tuttavia, l’utilizzo di un articolo non è più sufficiente per definirlo sportivo o meno, in quanto molto spesso il suo uso è soggettivo e dipende dall’atteggiamento e dallo spirito che identifica il praticante. Per questo motivo, in base alla attuali tendenze di mercato, potrebbe risultare utile suddividere il “pianeta sport” in cinque classi distinte sotto il profilo strategico, all’interno delle quali collocare i vari comparti della produzione montebellunese, per rendere più agevole e affidabile la previsione degli andamenti e la pianificazione: • competition: rientrano in questa categoria gli sport che prevedono una prestazione agonistica, in particolare il calcio, il ciclismo e lo sci da competizione. Tutti e tre questi comparti manifestano un andamento negativo, il primo a causa della crisi di alcune società calcistiche, il secondo a causa del fenomeno del doping ed il terzo per il cambiamento delle mode, che portano gli italiani a trascorrere le vacanze sempre più all’estero, soprattutto in località esotiche che offrono prezzi molto competitivi, a discapito delle località sciistiche nazionali. Montebelluna mantiene il suo ruolo di leader di nicchia, invece, negli articoli dedicati al motociclismo (soprattutto lo stivale) ed al ciclismo da strada. Un ruolo importante è rivestito, inoltre, dal tennis e, quindi, dalla relativa scarpa, e dal pattinaggio, soprattutto da quello su ghiaccio. • Street: all’interno di questo insieme troviamo le “tre S su tavola”: surf, skate e snowboard. Questi sport sono considerati di aggregazione e consistono in un vero e proprio stile di vita per i praticanti, tanto da farli sentire parte di un gruppo. L’alta qualità, soprattutto dal punto di vista tecnico, che caratterizza i prodotti del distretto non è sufficiente, purtroppo, a farli apprezzare dai clienti che, privilegiando l’aspetto esteriore, li considerano molto più articoli di moda, piuttosto che sportivi. • Wellness: fanno parte di questo gruppo tutte le attività che mirano al miglioramento della forma fisica e della salute, come il beach volley, il cicloturismo, il golf, il jogging, il walking anche se questi ultimi anni vedono come protagoniste le attività da palestra, infatti, il 27% della popolazione italiana sta praticando o ha intenzione di praticare attività di fitness. Nonostante questo, il distretto non sta sfruttando tale business in maniera adeguata, dal momento che la presenza di aziende che si dedicano a questo comparto è estremamente limitata. • Adventure: qui troviamo tutti gli sport che si praticano in montagna o, comunque, a stretto contatto con la natura, come lo sci fuoripista ed il 16 trekking. In questo comparto Montebelluna ha saputo rispondere alle richieste di un mercato storico, riconvertendo ed innovando le produzioni, in particolare quella degli scarponi da trekking. • Luxury: in questo caso siamo di fronte all’utilizzo di capi di abbigliamento sportivi in chiave urbana. Questo è un fenomeno in rapida crescita, che vede nel soggetto interessato la ricerca di capi particolari, anche in edizione limitata, che gli permettano di distinguersi dagli altri. In questo modo il vestiario diventa di lusso. Questo è un mercato assai vitale, in cui Montebelluna riveste spesso il ruolo di follower anziché quello di leader. Un altro aspetto interessante che contraddistingue il distretto di Montebelluna è la sua vocazione all’internazionalizzazione. “L’attività di esportazione caratterizza otto imprese su dieci, e per sei di queste l’estero costituisce il mercato prevalente. I rapporti con il mercato internazionale sono consolidati da tempo: un’impresa su cinque era già stabilmente orientata all’export prima degli anni Settanta”3. Tradizionalmente, “il grado di apertura di un’economia manifatturiera passa attraverso i flussi di importexport che, in un certo senso, sono l’indicatore più semplice del livello di internazionalizzazione di un’area. E’ stato notato come conti sempre di più la qualità dell’esportato, nel senso che l’export rimane una valida forma di internazionalizzazione e, se deriva da un vantaggio competitivo basato su competenze rare ed esclusive, produce una redditività soddisfacente e permette uno sbocco di mercato stabile nel tempo”4. Nel 2002 le aziende del distretto (da qui in poi denominate aziende) hanno esportato per un ammontare di oltre 1 miliardo e 500 milioni di Euro, prediligendo, in ordine di importanza, la Germania, la Francia, gli Stati Uniti e il Canada. Seguono, poi, l’Inghilterra, il Giappone e la Spagna (figura 1.4). 3 4 Corò G., Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione, cit., p. 63. Unindustria Treviso, L’industria e il mondo. Ricerca sull’internazionalizzazione dell’industria trevigiana alla fine degli anni Novanta, rapporto di ricerca realizzato dall’Ufficio Studi e da Conexport Unindustria Treviso, Treviso, 1997, p. 8. 17 Figura 1.4 Percentuali di esportazione nel distretto di Montebelluna Italia 5% 7% Germania 14% Francia 15% 16% Spagna Inghilterra Altri Paesi Europei 20% 5% 4% 14% Usa/Canada Giappone Altri P. Extra Europei Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato. L’internazionalizzazione di un’economia non si limita, però, alle attività di importazione5 ed esportazione delle aziende, infatti, tale termine viene sempre più associato al concetto di delocalizzazione o decentramento produttivo. Attualmente nel distretto di Montebelluna, su un totale di 428 aziende, quelle che adottano tale strategia sono 90, vale a dire il 21%. Quelle maggiormente interessate a questo tipo di attività sono, in ordine di importanza, le aziende calzaturiere, quelle dell’abbigliamento e di design; i paesi nei quali avviene il decentramento produttivo sono la Romania, la Croazia e la Cina (si confrontino i grafici 1.5 e 1.6). Ciò significa che il distretto è passato da “relazioni di tipo ascrittivo, attraverso le quali un’impresa viveva il proprio ciclo di sviluppo all’interno di un orizzonte domestico, a strategie elettive, attraverso le quali la localizzazione della produzione (di impianti, attività e funzioni) diventa una delle scelte possibili entro una gamma di opzioni che contribuiscono a disegnare il proprio vantaggio competitivo6. Nel distretto di Montebelluna questo mutamento si è avviato da oramai più di un decennio e, nonostante alcune fasi di arretramento o ripensamento, il processo sembra destinato ad un’accelerazione nei prossimi anni”7. 5 I mercati di approvvigionamento delle aziende del distretto di Montebelluna sono prevalentemente nazionali. 6 A questo punto sarebbe necessario capire se e in quale misura il sistema locale sia in grado di essere parte attiva in questa corsa verso la globalizzazione, oppure se questo processo non porti ad un graduale impoverimento del tessuto artigiano tipico del distretto, con la conseguente perdita delle antiche peculiarità manifatturiere e delle caratteristiche che lo hanno reso famoso a livello internazionale. 7 Corò G., Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione, cit., p. 64. 18 Figura 1.5 attività Aziende che decentrano la produzione in base al settore di 4% 0% 3%1% 1% 0% Abbigliamento 8% 1% 3% Accoppiatura Lavorazioni varie Calzaturifici Commerciali Designer Prod. Macchinari Stampaggio 79% Suolettifici Tomaifici Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato Uno degli elementi chiave che distinguono il distretto di Montebelluna e gli permettono di mantenere una posizione di vantaggio competitivo a livello sia nazionale sia internazionale deriva, dunque, anche dalle scelte strategiche delle imprese, tra le quali diventa fondamentale quella relativa alla delocalizzazione produttiva. Ma il successo competitivo delle imprese distrettuali non deriva solo da questo, è, infatti, strettamente legato alla “capacità di mantenere attivo il processo di apprendimento, all’interazione continua con i cambiamenti della domanda, al potenziamento dei saperi contestuali attraverso l’incorporazione delle innovazioni tecnologiche e all’adeguamento a queste trasformazioni della divisione tecnica e sociale del lavoro”8. 8 Ibidem, p. 110. 19 Figura 1.6 geografica Aziende che decentrano la produzione in base all’area Romania Croazia 8% 2% Ungheria 11% 44% Serbia Rep. Ceca Rep. Slovacca 7% Altri P. Europei 5% 6% 3% 5% Cina 9% Far East Altri P. Extra Europei Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato Flessibilità e dinamismo sono, quindi, due chiavi di successo per il distretto, all’interno del quale è presente un sistema specializzato di piccole e medie imprese che tende a formare un tutt’uno con la comunità locale, creando un insieme di saperi pratici difficilmente imitabile o ricreabile all’esterno. Ed è grazie a questa “socializzazione dei saperi pratici che all’interno del distretto le informazioni circolano con notevole velocità e le innovazioni tendono a diffondersi rapidamente”9. Nonostante questo, Montebelluna beneficia di una sorta di “unità nella diversità e diversità nell’unità, poiché, malgrado la vitalità e l’intraprendenza espressa dai numerosi individualismi, l’insieme del mondo imprenditoriale condivide la stessa cultura produttiva e le medesime origini psicologico-sociali”10. Ciò significa che nel distretto “un piccolo imprenditore è, innanzi tutto, membro della comunità-rete e parte di una squadra. Egli sa che il suo successo dipende dalla cooperazione, più che dalla concorrenza… anche i lavoratori sentono di appartenere ad un sistema più che ad una singola azienda”11. Questi ed altri fattori hanno decretato la competitività e l’unicità a livello mondiale del Made in Montebelluna ed hanno permesso al distretto di conquistare e mantenere la posizione di leadership internazionale nella produzione di scarpe da montagna prima, di calzature sportive poi, e dello sport system di oggi. 9 Ibidem, p. 112. Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, cit., p. 3. 11 Gurisatti P., Il Nord-Est Italiano: nascita di un nuovo modello di organizzazione industriale, 1998, p. 7. 10 20 1.2 Scopo, ambito e limiti della ricerca Il distretto di Montebelluna, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, è caratterizzato da un grado elevato di internazionalizzazione nelle sue due forme più tipiche dell’esportazione e della delocalizzazione. Nonostante la crescente importanza di quest’ultima, essa non è oggetto di trattazione della presente ricerca, la quale si interessa esclusivamente delle esportazioni. Abbiamo visto come le aziende del distretto siano particolarmente propense ad esportare i loro prodotti in primo luogo verso la Germania (16% del totale esportazioni), la Francia (14%), gli Stati Uniti e il Canada (15%) e, per quantitativi inferiori, verso l’Inghilterra (5%), il Giappone (5%) e la Spagna (4%). A partire dagli anni Settanta l’offerta del distretto ha, quindi, soddisfatto quote rilevanti della domanda di quei paesi. La questione ora è la seguente: fino a quando tali mercati saranno aperti alle merci di Montebelluna? Dove andranno ad esportare le aziende del distretto nel momento in cui ciò non accadesse più? Da tali domande nasce questo progetto, il cui scopo primario è quello di fornire alle aziende del distretto di Montebelluna elementi utili a scoprire quali paesi potranno, in un futuro ormai prossimo, sostituire i mercati di esportazione tradizionali. Questo lavoro, quindi, mira a mostrare alle aziende vari mercati alternativi da penetrare con i propri prodotti, già conosciuti ed apprezzati a livello internazionale. I nuovi e potenziali mercati verranno scelti seguendo una specifica metodologia (illustrata nel successivo paragrafo) che, nella fase finale, porta all’individuazione di tre o quattro paesi verso i quali le aziende potrebbero indirizzare i loro prodotti esistenti con una buona probabilità di successo. Questo permette di ampliare le condizioni che determinano il vantaggio competitivo di Montebelluna e di aggiungere una nuova componente al classico modello di Porter che utilizza lo schema del “diamante” per analizzare la dinamica del vantaggio competitivo sia di intere nazioni, sia di singole aree. L’individuazione di nuovi mercati per il distretto contribuisce ad accrescere la sua posizione di vantaggio competitivo e si va ad aggiungere al circuito straordinariamente positivo di quattro condizioni contestuali che, secondo il modello di Porter, sono: “la presenza di un bacino qualificato di manodopera che è stato storicamente alimentato da una tradizione secolare nella lavorazione delle scarpe da montagna e che si è potuto rinnovare grazie alla diffusione sociale di capacità imprenditoriali e ad un non comune spirito di auto-organizzazione; la domanda nazionale e la passione italiana per gli sport della montagna, che continuano a rappresentare la punta avanzata e le esigenze più 21 sofisticate del consumo di attrezzature sportive e abbigliamento per la montagna sul mercato globale; la presenza di settori collegati e di supporto che costituiscono un fattore di diffusione delle innovazioni e di apprendimento tecnologico; un’ulteriore spinta all’innovazione e all’apertura verso i mercati internazionali è generata dalla dinamica concorrenziale alimentata da numerose imprese che lavorano sullo stesso prodotto, da nuovi entranti e dalla pressione indotta dalla domanda e dall’offerta nella catena del valore”12. L’apertura di Montebelluna verso nuovi mercati può, quindi, inserirsi ed ampliare quest’ultimo aspetto del diamante (una delle sue “punte”) e contribuire ad accrescere la posizione di leadership sia nazionale sia internazionale del distretto13. Se da una parte questa ricerca può portare indubbi vantaggi e fornire possibili alternative strategiche per le aziende nel breve periodo, essa presenta, comunque, dei limiti. Il primo limite consiste nel fatto che viene utilizzato un approccio di conservazione dell’esistente, in altre parole si ricercano nuovi mercati dove esportare in futuro gli stessi prodotti del presente. Ciò è fondamentale nel breve termine, ma sarebbe opportuno adottare anche un approccio innovativo, per esempio ideando prima nuovi prodotti e successivamente scegliendo i relativi mercati di sbocco, oppure selezionando in primo luogo questi ultimi e, in un secondo momento, progettando nuovi articoli che soddisfino le specifiche esigenze dei paesi scelti. Ciò ha un duplice vantaggio: il primo consiste nel fatto che l’introduzione di un’innovazione o un’invenzione rafforza le competenze14 esistenti all’interno di un’azienda (nel nostro caso anche a livello distrettuale), ossia “rende più forte la base d’esperienza preesistente e accresce il valore del sistema di risorse utilizzate dall’impresa”15. L’innovazione e l’invenzione diventano, quindi, due strategie fondamentali che permettono alle aziende dello sport system di Montebelluna di 12 Corò G., Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione, cit., pp. 112-113. Per ulteriori approfondimenti in merito al diamante del vantaggio competitivo e per lo schema del diamante del distretto di Montebelluna si veda Porter M.E., Il vantaggio competitivo delle nazioni, Mondadori, Milano, 1989, p. 167 e segg. 14 Le competenze aziendali sono potenzialità di valore di cui l’azienda dispone. Buttignon le definisce come “sistema di conoscenze e relazioni specifiche che consentono all’impresa di ordinare e governare, entro certi limiti, gli elementi di complessità che pervadono l’ambiente e il funzionamento dell’impresa”. Buttignon F., Le competenze aziendali, UTET libreria, Torino, 1996, p. 55. 15 Rispoli M., Sviluppo dell’impresa e analisi strategica, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 145. 13 22 differenziarsi e puntare sull’aspetto qualitativo del prodotto, e rappresentano, perciò, due fonti fondamentali di vantaggio competitivo sostenibile. Il secondo vantaggio deriva dal fatto che questo permette all’azienda di porsi in un’ottica di medio-lungo termine. “La chiave di questa visione non è quella di predire il futuro, ma quella di immaginare un futuro fatto di possibili cambiamenti nella tecnologia, negli stili di vita, nel lavoro, nei sistemi regolatori della società, della politica, ecc.”.16 Hamel e Prahalad17 sostengono che, nel lungo periodo, la competitività deriva dalla capacità dell’azienda di costruire, a prezzi inferiori e più velocemente della concorrenza, le core competencies18 generatrici di prodotti assolutamente nuovi19. Uno dei principali obiettivi dell’azienda deve essere, dunque, quello di identificare e sviluppare quelle capabilities organizzative, difficili da imitare, che le permettano di crearsi una posizione di vantaggio competitivo e che la distinguano dai suoi concorrenti agli occhi dei clienti. Questi ultimi assumono un ruolo sempre più importante per le aziende, in quanto sono “partner attivi nel processo congiunto di creazione del valore e non semplici ricettori passivi della creazione di valore da parte di altri”20. Il cliente soddisfatto è, di conseguenza, il patrimonio più prezioso per l’azienda e la capacità di quest’ultima di capire cosa crea valore per il cliente rappresenta una competenza distintiva21 che, a sua volta, le consente di crearsi una 16 “The goal is not to predict the future, but to image a future made possible by changes in technology, life style, work stile, regulation, global geopolitics, and the like”. Hamel G., Prahalad C.K., Competing for the Future, Harward Business School Press, Boston, 1996, preface. 17 Hamel G., Prahalad C.K., “The Core Competence of the Corporation”, in Harvard Business Review, n. 3, 1990 18 Le core competencies vengono definite dai due Autori come il sapere collettivo dell’organizzazione, in particolare come saper coordinare le diverse skills produttive ed integrare i molteplici streams tecnologici. Per approfondimenti sul tema delle competenze aziendali vedasi, tra gli altri, Ibidem, oppure Buttignon F., Le competenze aziendali. 19 “It is not enough for a company to get smaller and better and fast, as important as these tasks may be; a company must be capable of fundamentally reconceiving itself, of regenerating its core strategies, and of reinventing its industry. In short, a company must also be capable of getting different. Defending today’s leadership is no substitute for creating tomorrow’s leadership”. Hamel G., Prahalad C.K., Competing for the future, cit., pp. 16-17. 20 Normann R., Ramirez R., Designing Interactive Strategy, trad. it. Le Strategie Interattive d’Impresa, ETAS libri, Milano, 1995, cit., p. 76. 21 “It is crucial for the organization to understand what creates value for customers. Being able to read the customer’s mind may in itself be a Distinctive Competence” Il concetto di competenza distintiva viene espresso dalle seguenti citazioni: “Growth requires resources, and sustainable growth requires ongoing 23 posizione di superiorità rispetto ai concorrenti. Le stesse considerazioni posso estendersi utilmente al distretto di Montebelluna. In quest’ottica, le aziende non dovrebbero limitarsi ad offrire al proprio cliente un prodotto, ma un’offerta globale di prodotto (o proposta complessiva di valore)22, ossia un complesso di caratteristiche e vantaggi che deriva da elementi materiali e immateriali, da servizi e da altre condizioni, come quelle economiche. L’impresa, pertanto, “deve essere orientata al cliente e deve seguire la stessa direzione del suo processo valutativo e, quindi, dalle soddisfazioni da lui desiderate deve desumere le caratteristiche dell’offerta”23. Per far questo è essenziale che le aziende impostino il proprio marketing mix a partire dalla prospettiva del cliente e leghino, dunque, la logica classica delle “4 P” a quella innovativa delle “4 C”, in cui i concetti di prodotto, prezzo, punto di vendita e promozione sono derivati, rispettivamente, da quelli di customer value, costo per il cliente, convenienza e comunicazione24. Ragionando in questi termini si va al di là del tradizionale concetto di catena del valore ideato da Porter25 e rappresentato da una metafora limitativa come quella della catena di montaggio, per entrare nell’universo proposto da Normann e Ramirez delle costellazioni del valore. In questo ambito il cliente riveste un ruolo centrale, in quanto “non si limita ad essere passivamente ordinatore/acquirente/utilizzatore dell’offerta, application of resources… the organisation will have to interact with other actors in such a way that the interaction is sufficiently valuable for these actors to return some of this value in the form of a price paid for service. The crucial condition that needs to be satisfied for growth is the creation and realisation of value for others. This is a necessary, but not yet sufficient condition for growth. In addition the organisation needs to be able to appropriate some of this value for itself. Organisations need to be able to show that they perform a distinctive service if they want to continue to enjoy the funding agent's support… Rather than relying on others it is preferable in terms of robustness to rely on barriers to entry which are built-in, in terms of Distinctive Competences the organisation has which others find difficult to emulate”. Van Der Heijden K., Scenarios, Strategies and the Strategy Process, Nijenrode University Press, Breukelen, The Netherlands, 1997, pp. 10-11. In altre parole, la competenza distintiva “è una competenza sistemica che integra le altre competenze nell’esercizio coerente dell’attività”. Normann R., Ramirez R., Designing Interactive Strategy, cit., p. 76. 22 Si veda in merito Kotler P., Il marketing secondo Kotler, Il sole 24 ore, Milano, 2000. 23 Rocchi F., La creazione del valore: fini, condizioni e processi, Cafoscarina, Venezia, 2001, p. 36. 24 Si confronti Kotler P., Il marketing secondo Kotler, p. 121 e segg. 25 Si veda Porter M.E., Il vantaggio competitivo, Edizioni Comunità, Milano, 1988 e Porter M.E., Il vantaggio competitivo delle nazioni, Mondadori, Milano, 1989. 24 ma partecipa anche in una varietà di modi diversi al suo consumo, ad esempio nella consegna”26. In tali costellazioni “il valore viene co-prodotto da attori che si interfacciano l’un l’altro. Essi distribuiscono a se stessi e ad altri, esplicitamente o implicitamente, nel tempo e nello spazio, i compiti che la creazione del valore comporta”27. Questi concetti risultano particolarmente utili in un’economia come quella del distretto di Montebelluna, già caratterizzata dalla presenza di un forte indotto aziendale. Le aziende appartenenti a tale cluster si supportano a vicenda, creando un contesto dinamico dove le informazioni scorrono con libertà e le innovazioni si diffondono velocemente e, soprattutto, dove il risultato finale (il cluster stesso) diventa più della somma delle sue parti. Questi nuovi approcci, potrebbero essere estremamente utili all’interno del distretto, per rafforzare ulteriormente i legami tra le aziende, confermare ed accrescere nel lungo periodo il vantaggio competitivo che Montebelluna vanta a livello mondiale nel settore dello sport system e mantenere la leadership nell’innovazione. 1.3 Aspetti metodologici del lavoro Il presente lavoro, come accennato nel precedente paragrafo, mira ad individuare nuovi mercati presso i quali le aziende appartenenti al distretto della calzatura di Montebelluna possano esportare i prodotti già esistenti, senza mutare nessun tipo di variabile se non quella dei potenziali clienti. Seguendo, come punto di riferimento, l’impostazione fornita da Pellicelli28, è necessario trovare un metodo che ci permetta di selezionare i mercati che presentano una domanda potenziale superiore ad una determinata soglia considerata minima accettabile. Questo può essere realizzato scindendo la ricerca principalmente in tre fasi distinte (figura 1.7). 26 Normann R., Ramirez R., Designing Interactive Strategy, p. 52. 27 Ibidem. 28 Per eventuali approfondimenti si rimanda a Pellicelli G., Il marketing internazionale, ETAS Libri, Milano, 1999. 25 Figura 1.7 Le tre principali fasi dell’analisi dei mercati esteri PRIMA FASE 200 MERCATI SECONDA FASE 20-30 MERCATI TERZA FASE 3-4 MERCATI Fonte: Pellicelli G., Il marketing internazionale, cit., p.54, modificata. La prima fase considera tutti i possibili paesi del mondo (circa 200) per scremarne buona parte e scegliere un gruppo più ristretto di mercati verso i quali rivolgere analisi più dettagliate. Questa prima selezione può essere impostata seguendo varie metodologie, come quella delle esperienze precedenti che l’impresa intenzionata ad internazionalizzarsi ha effettuato in tali mercati o l’imitazione dei comportamenti delle imprese concorrenti, o ancora, riferendosi a determinati fattori chiave dell’economia. Infine, e quest’ultimo è il metodo qui utilizzato, osservando gli “stadi di sviluppo” dei mercati mondiali per definire quali siano le possibilità di assorbimento dei prodotti da parte di ogni gruppo di mercati. Generalmente, i dati che meglio si prestano a tale analisi sono il reddito pro capite, il prodotto nazionale lordo e la sua composizione, tuttavia, spesso si ritiene utile integrare tali indicatori costruendo, ad esempio, una serie di stadi di sviluppo privilegiando criteri qualitativi come la presenza di risorse naturali nel Paese, il suo livello di istruzione, ecc. La suddetta analisi, basata, quindi, su fattori economici, sociali e politici di carattere generale, permette di selezionare, tra tutti i paesi del mondo, quei 20-30 paesi che presentano il maggior potenziale di espansione per le imprese del distretto di Montebelluna e consente il passaggio dalla prima alla seconda fase del processo di ricerca. In questa fase vengono, perciò, 26 approfondite le analisi sui paesi precedentemente selezionati. Innanzi tutto, viene studiata a fondo la loro situazione politica, sociale ed economica, poi si prendono in considerazione alcune grandi variabili dell’economia, in particolare quelle che consentono di prevedere l’andamento della domanda potenziale del prodotto che si mira a vendere e che sono, oltre alle due grandezze considerate nella precedente fase, la produzione di risorse naturali del Paese, quella industriale, il tasso di disoccupazione, e così via. Successivamente si esaminano i consumi e gli investimenti pubblici e privati, allo scopo di prevedere quale sarà la domanda potenziale di beni di consumo, di beni industriali e strumentali. Infine, è importante analizzare i rapporti che il Paese in esame ha con gli altri Stati esteri, in particolare, se e quali sono le merci importate dall’estero. I mercati che hanno dato risultati positivi nelle selezioni operate nella prima e nella seconda fase necessitano di un ulteriore approfondimento dell’analisi, che ha luogo nella terza fase. In altre parole, la seconda fase ci ha permesso di individuare i 3-4 paesi che presentano un potenziale maggiore e verso i quali le imprese del distretto dovrebbero indirizzare la proprie merci. E’ necessario, a questo punto, per ciascun Paese individuato, esaminare il prodotto, i segmenti di mercato ed il mercato stesso nel quale le imprese intendono entrare, analizzare la concorrenza, definire il profilo del compratore-target delle aziende, reperire, infine, informazioni relative ai fattori di marketing mix già presenti nel mercato ed in uso da altre aziende concorrenti ed identificare eventuali vincoli di accesso al mercato. Tale fase risulta particolarmente delicata, poiché presenta un livello di approfondimento dell’analisi molto superiore alle fasi precedenti. Per questo motivo, allo scopo di ottenere informazioni il più possibile complete ed aderenti alla realtà, nonché personalizzate a seconda dell’azienda interessata alla ricerca, sarebbe opportuno inviare in loco, in ciascun Paese individuato, dirigenti o personale delle imprese che intendono espandersi all’estero, oppure attivare rapporti con consulenti locali e/o internazionali. Alla conclusione della seconda fase si è, quindi, in grado di indirizzare le imprese del distretto verso quei mercati che presentano caratteristiche tali per cui le probabilità di successo della politica di esportazione dei prodotti già esistenti siano considerate alte. A questo punto le imprese dovrebbero approfondire ulteriormente lo studio dei paesi selezionati in modo autonomo a seconda delle loro particolari esigenze e concludere il processo di ricerca ed analisi dei nuovi mercati attuando un’ultima fase (quarta fase), consistente nel continuo monitoraggio delle caratteristiche e dell’andamento dei suddetti mercati, per poter effettuare previsioni, almeno nel breve termine, allo scopo di anticipare le loro tendenze evolutive e mettere in pratica strategie atte a garantire la sopravvivenza ed il successo delle imprese italiane all’estero. 27 Si ritiene utile ricordare che l’analisi si limita a considerare il caso di imprese che mettono in atto una strategia di esportazione indiretta, mantenendo la produzione sul territorio nazionale, o che vendono all’estero principalmente attraverso intermediari. 28 CAPITOLO II PRIMA FASE DELLA RICERCA: SELEZIONE DEI MERCATI CON MAGGIOR POTENZIALE 2.1 Introduzione Un’azienda, nel nostro caso appartenente al distretto di Montebelluna, che intenda commercializzare all’estero un prodotto già affermato nel mercato nazionale o che decida comunque di ampliare le sue vendite ad un numero maggiore di mercati, si trova di fronte, teoricamente, 208 possibilità diverse, tanti quanti sono i paesi che compongono l’economia mondiale. L’obiettivo di questo capitolo è quello di permettere una prima scrematura di tali mercati allo scopo di decidere quali fra essi abbiano caratteristiche e potenziale di domanda sufficienti a rendere conveniente un’ulteriore approfondimento della ricerca. Per fare questo si ritiene utile, innanzi tutto, suddividere i vari paesi in base al loro grado di sviluppo. Dal momento che i sistemi economici passano per vari stadi di sviluppo, è possibile classificarli secondo lo stadio in cui si trovano. Non esiste accordo fra gli autori nella successione dei vari stadi in cui passa un sistema economico e sussistono varie teorie al riguardo. Qui ci limitiamo a precisare che esistono dei parametri indicatori dello stadio di sviluppo, di tipo sia quantitativo sia qualitativo. A questo proposito, per alcuni indicatori, si intende seguire la classificazione proposta dalla Banca Mondiale, istituzione e fonte informativa di livello universale. Una parte dei dati e dei raggruppamenti presentati in questa sezione, con gli opportuni aggiustamenti ed integrazioni, proviene, dunque, dal suddetto organismo che, prima di tutto, fa una distinzione tra Paesi Sviluppati e Paesi in Via di Sviluppo. In un secondo momento, i paesi vengono classificati secondo un criterio spaziale, poi sono distinti in base al reddito (reddito pro capite, PNL e composizione di quest’ultimo) e al loro grado di indebitamento. In un secondo momento verranno presi in considerazione anche alcuni indicatori di tipo qualitativo. In altre parole, si utilizzano vari criteri per aggregare tra loro paesi che presentano caratteristiche similari, allo scopo di individuare le aree che potenzialmente sono aperte ai prodotti già esistenti nel distretto di Montebelluna. Questo principio di omogeneità si utilizza anche in un’ottica strategica, che mira all’individuazione di nuovi mercati, non solo per soddisfare le esigenze di internazionalizzazione delle aziende nel breve termine, ma soprattutto per inserirle in un contesto di medio-lungo periodo che le porti, dopo aver scelto la regione di interesse, a differenziarsi, innovare ed ideare prodotti diversi che consentano la conquista di una posizione di vantaggio competitivo sostenibile in nuovi mercati. 29 2.2 Analisi quantitativa dei paesi Come punto di partenza, riteniamo utile analizzare i paesi seguendo gli indicatori quantitativi che, associati a quelli di tipo qualitativo, ci permetteranno di classificare i paesi e selezionare quelli con maggior potenziale. La tabella seguente (tabella 2.1) mira a distinguere i 208 paesi del mondo a seconda del loro grado di sviluppo, in base al quale si avranno Paesi Sviluppati (PS) e Paesi in Via di Sviluppo (PVS), comprendenti questi ultimi anche paesi in fase di pre-industrializzazione. Tabella 2.1 n. Paese 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Classificazione dei paesi in base al loro grado di sviluppo P.S. n. Paese Andorra Antigua e Barbuda Antille Paesi Bassi Aruba Australia Austria Bahamas (Isole) Bahrain Barbados Belgio Bermuda Brunei Canada Cayman (Isole) Channel (Isole) Cipro Corea (Repubblica) Danimarca Emirati Arabi Uniti Faeroe (Isole) Finlandia Francia Germania Giappone Grecia Groenlandia Guam Hong Kong (Cina) Irlanda Islanda Isola di Man Israele 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 30 P.V.S. Afghanistan Albania Algeria Angola Arabia Saudita Argentina Armenia Azerbaijan Bangladesh Belarus Belize Benin Bhutan Bolivia Bosnia ed Erzegovina Botswana Brasile Bulgaria Burkina Faso Burundi Cambogia Camerun Capo Verde Chad Cile Cina Colombia Comoros Congo (Repubblica Dem.) Congo (Repubblica) Corea (Repubblica Dem.) Costa d’Avorio 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 Italia Kuwait Liechtenstein Lussemburgo Macao (Cina) Malta Monaco Norvegia Nuova Caledonia Nuova Zelanda Paesi Bassi Polinesia Francese Portogallo Portorico Qatar Regno Unito San Marino Singapore Slovenia Spagna Svezia Svizzera USA Vergini (Isole) 31 Costa Rica Croazia Cuba Djibouti Dominica Dominica (Repubblica) Ecuador Egitto El Salvador Eritrea Estonia Etiopia Filippine Fiji Gabon Gambia Georgia Giamaica Giordania Ghana Grenada Guatemala Guinea Guinea-Bissau Guinea Equatoriale Guyana Haiti Honduras India Indonesia Iran (Repubblica Islamica) Iraq Kazakhstan Kenya Kiribati Kyrgyz (Repubblica) Lao PDR Lettonia Lesotho Libano Liberia Libia Lithuania Macedonia (FYR) Madagascar Malawi 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 32 Maldive Malesia Mali Marocco Marshall (Isole) Mauritania Mauritius Mayotte Messico Micronesia (Fed. di Stati) Moldova Mongolia Mozambico Myanmar Namibia Nepal Nicaragua Niger Nigeria Nord Mariana (Isole) Oman Pakistan Palau Panama Papua Nuova Guinea Paraguay Perù Polonia Repubblica Ceca Repubblica Centrale Africana Romania Ruanda Russia (Federazione) Salomone (Isole) Samoa (Isole) Samoa Americana San Kitts e Nevis San Tomé e Principato San Vincenzo e Grenadines Santa Lucia Senegal Serbia e Montenegro Seychelles Sierra Leone Slovacchia (Repubblica) Somalia 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207 208 Sri Lanka Sud Africa Sudan Suriname Swaziland Siria (Repubblica Araba) Tailandia Tajikistan Tanzania Timor-Leste Togo Tonga Trinidad e Tobago Tunisia Turchia Turkmenistan Ucraina Uganda Ungheria Uruguay Uzbekistan Vanuatu Venezuela (RB) Vietnam West Bank e Gaza Yemen (Repubblica) Zambia Zimbabwe Da questa tabella si evince come, su un totale di 208 paesi, solo 56 (circa il 27%) presentino un grado di sviluppo elevato, mentre la maggior parte dei rimanenti sia ancora in via di sviluppo o in una fase pre-industriale. Ai nostri fini, in prima approssimazione, è possibile sostenere che la maggior parte dei clienti potenziali per le aziende del distretto si trovi nei Paesi Sviluppati, dove la possibilità di spesa pro-capite è superiore. A questo punto è interessante suddividere i paesi seguendo un criterio territoriale, identificando, quindi, varie regioni o aree geografiche. L’importanza di questa classificazione consiste nel fatto che, individuando gruppi di paesi vicini tra loro, le aziende hanno la possibilità di sfruttare economie, sinergie e mettere in atto strategie similari relative, ad esempio, alla logistica e agli aspetti tecnici del prodotto; inoltre, anche la cultura gioca un ruolo fondamentale in quest’ambito, fungendo da elemento di aggregazione tra le popolazioni appartenenti alla stessa zona geografica. 33 Nord America (4 paesi) • Bermuda • Channel (Isole) • Canada • USA America Latina (38 paesi) • Antigua e Barbuda • Cuba • Antille Paesi Bassi • Dominica • Argentina • Dominica (Rep.) • Aruba Ecuador • Bahamas • El Salvador • Barbados • Giamaica • Belize • Grenada • Bolivia • Guatemala • Brasile • Guyana • Cayman (Isole) • Haiti • Cile • Honduras • Colombia • Messico • Costa Rica • Nicaragua Europa Occidentale (33 paesi) • Andorra • Grecia • Austria • Groenlandia • Belgio • Irlanda • Bosnia ed Erzegovina • Islanda • Cipro • Isola di Man • Croazia • Italia • Danimarca • Liechtenstein • Faeroe (Isole) • Lussemburgo • Finlandia • Macedonia (FYR) • Francia • Malta • Germania • Monaco • Panama • Paraguay • Perù • Portorico • San Kitts e Nevis • San Vincenzo e Grenadines • Santa Lucia • Suriname • Trinidad e Tobago • Uruguay • Venezuela • Vergini (Isole) • Norvegia • Paesi Bassi • Portogallo • Regno Unito • San Marino • Serbia e Montenegro • Slovenia • Spagna • Svezia • Svizzera • Turchia Europa Centro-Orientale e Stati Baltici (22 paesi) • Albania • Kyrgyz (Repubblica) • Russia (Federazione) • Armenia • Lettonia • Slovacchia (Repubblica) • Azerbaijan • Lituania • Tajikistan • Belarus • Moldova • Turkmenistan • Bulgaria • Polonia • Ucraina • Estonia • Repubblica Ceca • Ungheria • Georgia • Romania • Uzbekistan • Kazakhstan 34 Africa (54 paesi) • Algeria • Angola • Benin • Botswana • Burkina Faso • Burundi • Camerun • Capo Verde • Chad • Comoros • Congo (Repubblica) • Congo (Rep. Dem.) • Costa d’Avorio • Djibouti • Egitto • Eritrea • Etiopia • Gabon • Gambia • Ghana • Guinea • Guinea-Bissau • Guinea Equatoriale • Kenya • Lesotho • Liberia • Libia • Madagascar • Malawi • Mali • Mauritania • Mauritius • Marocco • Mayotte • Mozambico • Namibia • Niger • Nigeria • Rep. Centrale Africana • Ruanda • San Tomé e Principato • Senegal • Seychelles • Sierra Leone • Somalia • Sud Africa • Sudan • Swaziland • Tanzania • Togo • Tunisia • Uganda • Zambia • Zimbabwe Centro Oriente (14 paesi) • Arabia Saudita • Israele • Bahrain • Giordania • Emirati Arabi Uniti • Kuwait • Iran • Libano • Iraq • Oman • Qatar • Siria (Rep. Araba) • Yemen • West Bank e Gaza Asia e Oceania (43 paesi) • Afghanistan • Indonesia • Australia • Kiribati • Bangladesh • Lao PDR • Bhutan • Macao (Cina) • Brunei • Malesia • Cambogia • Maldive • Cina • Marshall (Isole) • Corea (Repubblica) • Micronesia • Corea (Rep. Dem) • Mongolia • Fiji • Myanmar • Filippine • Nepal • Giappone • Nuova Caledonia • Guam • Nuova Zelanda • Hong Kong (Cina) • Nord Mariana (Isole) • India • Pakistan • Palau • Papua Nuova Guinea • Polinesia Francese • Salomone (Isole) • Samoa • Samoa Americana • Singapore • Sri Lanca • Tailandia • Timor-Leste • Tonga • Vanuatu • Vietnam 35 Dopo aver classificato i paesi a seconda del loro sviluppo e della regione geografica di appartenenza, si ritiene utile approfondire la ricerca da un punto di vista quantitativo, considerando, innanzi tutto, il reddito pro-capite29 (tabella 2.2). Questo indicatore esprime il reddito medio individuale e viene comunemente accettato quale criterio che sintetizza efficacemente altre grandezze economiche rilevanti (salari, investimenti, prezzi, produzione, ecc.). Perché un Paese si sviluppi, è necessario che il reddito pro-capite aumenti in misura più che proporzionale all’aumento della popolazione. Esso fornisce, perciò, indicazioni sul grado di sviluppo dei paesi e consente di ordinarli secondo il “potere d’acquisto” medio dei loro abitanti. Tabella 2.2 2002) Classificazione dei paesi in base al reddito pro-capite (anno Posi- Paese zione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Bermuda Lussemburgo Svizzera Norvegia Liechtenstein USA Giappone Channel (Isole) Danimarca Irlanda San Marino Cayman (Isole) Regno Unito Svezia Hong Kong Monaco Reddito pro-capite30 (US $) …31 38,830 37,930 37,850 37,000 35,060 33,550 … 30,290 27,970 26,570 … 25,250 24,820 24,750 … Posizione Paese 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 Paesi Bassi Irlanda Finlandia Austria Belgio Germania Canada Francia Singapore Australia Italia Kuwait Israele N.Caledonia Bahamas Spagna 29 Reddito pro-capite (US $) 23,960 23,870 23,510 23,390 23,250 22,670 22,300 22,010 20,690 19,740 18,960 18,27032 16,710 14,050 14,860 14,430 Vista la complessità nella determinazione del reddito pro-capite di un Paese e la difficoltà nel reperire i dati per alcuni mercati, in questo contesto viene utilizzato il PIL pro-capite, considerandolo una sufficiente approssimazione del reddito pro-capite. 30 I valori del reddito pro-capite sono espressi in dollari americani. La fonte informativa è, come nelle classificazioni precedenti, la Banca Mondiale. Il criterio di lavoro utilizzato da quest’ultima è il metodo Atlas, fattore di conversione il cui scopo è quello di ridurre l’impatto delle fluttuazioni del tasso di cambio nella comparazione incrociata dei redditi dei vari paesi. Per approfondimenti in merito a tale metodologia si rimanda al sito ufficiale della Banca Mondiale: www.worldbank.org. 31 … dato mancante. La posizione del paese si suppone sulla base delle previsioni della Banca Mondiale. 32 I valori in corsivo non si riferiscono all’anno 2002, ma 2001 o 2000. 36 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 77 Macao (Cina) Nuova Zelanda Polinesia Franc. Cipro Grecia Bahrain Portogallo Portorico Corea (Rep.) Slovenia Barbados Antigua e Barb. Malta Arabia Saudita Oman Palau Trinidad e Tob. Seychelles S. Kitts e Nevis Messico Rep. Ceca Ungheria Croazia Polonia Uruguay Cile Estonia Costa Rica Venezuela (RB) Argentina Panama Libano Slovacchia Mauritius Santa Lucia Lituania Malesia Grenada Lettonia Domenica Gabon Botswana Belize Brasile Giamaica S. Vincenzo e G 14,380 13,710 16,150 12,320 11,660 11,130 10,840 10,950 9,930 9,810 9,750 9,390 9,200 8,460 7,720 6,780 6,490 6,530 6,370 5,910 5,560 5,280 4,640 4,570 4,370 4,260 4,130 4,100 4,090 4,060 4,020 3,990 3,950 3,850 3,840 3,660 3,540 3,500 3,480 3,180 3,120 2,980 2,960 2,850 2,820 2,820 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 119 120 120 37 Sud Africa Turchia Marshall (Isole) Domenica (R.) Fiji Russia (Fed.) Maldive El Salvador Perù Tunisia Micronesia Tailandia Suriname Romania Colombia Bulgaria Namibia Giordania Guatemala Algeria Iran (Rep. Isl.) Macedonia Kazakhistan Egitto Ecuador Samoa Tonga Serbia e M. Albania Belarus Capo Verde Bosnia e H. Turkmenistan Marocco Swaziland Paraguay Siria (R. Ar.) Vanuatu Filippine Cina West B. e Gaza Honduras Bolivia Djibouti Guyana Sri Lanka 2,600 2,500 2,270 2,230 2,160 2,140 2,090 2,080 2,050 2,000 1,980 1,980 1,960 1,850 1,830 1,790 1,780 1,760 1,750 1,720 1,710 1,700 1,510 1,470 1,450 1,420 1,410 1,400 1.380 1,360 1,290 1,270 1,200 1,190 1,180 1,170 1,130 1,080 1,020 940 930 920 900 900 840 840 121 122 123 124 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 137 138 139 140 140 141 142 142 142 143 144 145 145 146 147 148 149 149 149 150 150 151 152 152 a. b. c. d. Kiribati Armenia Ucraina Azerbaijan Indonesia Congo (Rep.) Guinea Equat. Angola Georgia Costa d’Avorio Bhutan Salomone (Is.) Camerun Papua N. G. Timor-Leste Yemen (Rep.) India Lesotho Senegal Moldova Uzbejkistan Haiti Mongolia Vietnam Guinea Mauritania Pakistan Comoros Benin Bangladesh Kenya Sudan Zambia Lao PDR Kyrgyz (Rep.) Nigeria San Tomé e P. Cambogia Gambia Tanzania Ghana Togo 810 790 770 710 710 700 700 660 650 610 590 570 560 530 520 490 480 470 470 460 450 440 440 430 410 410 410 390 380 360 360 350 330 310 290 290 290 280 280 280 270 270 153 154 155 155 156 156 157 157 158 159 160 161 161 162 162 163 164 164 165 166 166 166 166 166 166 166 166 166 166 166 167 167 167 167 168 168 168 168 168 168 168 168 Rep. Centr. Afr. Uganda Madagascar Mali Nepal Ruanda Burkina Faso Chad Mozambico Tajikistan Niger Eritrea Malawi Guinea-Bissau Liberia Sierra Leone Burundi Etiopia Congo (R. D.) Andorra (a) Aruba Brunei Faeroe (Isole) Groenlandia Guam Isola di Man Antille Olandesi Qatar Emirati A. Uniti Vergini (Isole) Samoa Am. (b) Libia Mayotte Nord Mariana I. Cuba (c) Iraq Afghanistan (d) Corea (R. D.) Myanmar Nicaragua Somalia Zimbabwe 260 250 240 240 230 230 220 220 210 180 170 160 160 150 150 140 100 100 90 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 ≥ 9,076 2,936-9,075 2,936-9,075 2,936-9,075 2,936-9,075 736-2,935 736-2,935 ≤ 735 ≤ 735 ≤ 735 ≤ 735 ≤ 735 ≤ 735 Da qui in poi la classificazione si basa sulle stime della banca Mondiale. Nel dettaglio, il valore è stimato come alto reddito, equivalente o maggiore di US $ 9,076. Valore stimato come medio-alto reddito, compreso tra US $ 2,936 e US $ 9,075. Valore stimato come basso-medio reddito, compreso tra US $ 736 a US $ 2,935. Valore stimato come basso reddito, equivalente o minore di US $ 735. 38 Nonostante alcuni dati presenti nella tabella siano antecedenti il 2002 e per alcuni paesi il reddito pro-capite sia determinato con una stima, si può notare come i primi posti della classifica siano occupati da paesi sviluppati, appartenenti soprattutto al Nord America e all’Europa Occidentale. Questi sono, quindi, i mercati che presentano un “potere d’acquisto” medio maggiore e che, di conseguenza, in prima approssimazione, potrebbero essere i più appetibili in vista di un allargamento delle esportazioni da parte delle aziende di Montebelluna. Questo perché, rispetto alle altre popolazioni, gli individui di tali paesi hanno una possibilità di spesa maggiore, vale a dire, presentano un reddito pro capite di alto livello. E’ interessante vedere, inoltre, la crescita annua percentuale del reddito pro-capite di ciascun Paese, poiché ciò permette di avere un’idea sui valori che questo indicatore potrà assumere nei prossimi anni (figura 2.1). Tuttavia, per esprimere un giudizio più attendibile è necessario proseguire analizzando i paesi secondo altri punti di vista. Altro indicatore fondamentale da considerare in questa prima fase di analisi è, oltre a quello appena esaminato, il prodotto nazionale lordo (PNL) dei vari paesi e la sua composizione. Il PNL misura il valore dei beni finali prodotti sia all’interno sia all’esterno del Paese32 ed è particolarmente utile, in quanto consente di stimare le dimensioni dei vari mercati. E’ fondamentale, poi, evidenziarne la distribuzione settoriale (o strutturale), per verificare l’importanza rivestita dai vari settori dell’economia, primario, secondario e terziario33, nella formazione del PNL (tabella 2.3). 32 Per approfondimenti in merito a PNL e PIL si veda, ad esempio, Dornbusch R, Fischer S., Macroeconomia, Il Mulino, Bologna, 1995, cap. 2 e segg. 33 Di seguito si richiama brevemente la composizione dei vari settori: • settore primario: costituito dall’attività agricola, zootecnica, forestale e dalla pesca; • settore secondario: comprende le imprese che trasformano materie prime in prodotti finiti (imprese estrattive, manifatturiere, tessili, calzaturiere, chimiche, ecc.); imprese produttrici di energia elettrica, gas e acqua; imprese di costruzioni; • settore terziario: relativo alle attività commerciali e di servizi. Esso si divide in terziario tradizionale, avanzato e sociale. Al primo appartengono i servizi prodotti dai liberi professionisti (avvocati, medici, ecc.); il secondo (anche denominato settore quaternario) comprende servizi che richiedono alta professionalità e complessi processi di trattamento delle informazioni (formazione delle risorse umane, progettazione, software, ecc.); il terzo è rivolto alla produzione di servizi ritenuti essenziali nelle società opulente (assistenza ai disabili, agli anziani, ecc.). 39 Figura 2.1 Crescita annua del reddito pro-capite dal 1990 al 2001 Fonte: World Development Indicators database, World Bank, luglio 2003. Tabella 2.3 (anno 2002) Classificazione dei paesi in base al PNL e composizione Posizione Paese 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 USA Giappone Germania Regno Unito Francia Cina Italia Canada Messico Spagna India Brasile Corea (Rep.) Paesi Bassi Australia Russia (Fed.) Svizzera Belgio Svezia Austria Arabia Saudita Polonia Turchia Norvegia Hong Kong (Cina) Danimarca Argentina Indonesia Grecia Tailandia PNL Settore (milioni di Primario US $)34 (% del PNL)35 10,110,087 1,6 4,265,616 1,6 1,870,383 1,3 1,486,194 1,0 1,342,735 2,9 1,209,528 14,8 1,097,944 2,9 2,6 700,454 4,3 596,703 3,6 594,114 22,8 501,532 9,2 497,393 4,0 473,050 3,2 386,774 3,3 386,623 6,7 307,913 1,6 274,157 1,5 239,949 1,8 221,508 2,3 190,400 181,06636 7,0 176,616 3,4 173,979 13,8 171,770 2,5 167,600 0,1 162,743 2,8 154,145 4,9 149,879 17,5 123,906 8,5 122,240 8,5 34 Settore Secondario (% del PNL) 24,9 32,6 31,0 27,4 25,6 51,2 28,9 30,6 26,5 30,2 26,0 33,4 40,9 27,1 26,4 36,5 30,4 27,2 27,3 33,1 48,0 33,8 26,5 33,5 13,4 26,2 26,6 44,4 22,3 42,0 Settore Terziario (% del PNL) 73,5 65,8 67,7 71,6 71,5 34,0 68,2 66,8 69,2 66,2 51,2 57,4 55,1 69,7 70,3 56,8 68,0 71,3 70,9 64,6 45,0 62,8 59,7 64,0 86,5 71,0 68,5 38,1 69,2 49,5 I valori del PNL sono espressi in dollari americani e classificati seguendo il metodo Atlas. La fonte informativa è, come nelle classificazioni precedenti, la Banca Mondiale, i cui dati sono aggiornati a luglio 2003. Ove necessario, tali dati sono stati opportunamente integrati con quelli resi disponibili dall’Istituto Geografico De Agostini, Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002, Novara, 2001. 35 Nella maggior parte dei paesi i dati sono relativi al 2002, tuttavia, in alcuni casi si riferiscono ad anni precedenti (dal 1998 al 2001). 36 I dati in corsivo sono relativi agli anni 2001 o 2000. 41 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 Finlandia Sud Africa Iran (Rep. Islamica) Portogallo Israele Venezuela (R.B.) Egitto (Rep. Araba) Irlanda Singapore Malesia Filippine Colombia Cile Pakistan Repubblica Ceca Perù Algeria Ungheria Nuova Zelanda Bangladesh Portorico Romania Nigeria Kuwait Ucraina Marocco Vietnam Kazakhstan Slovacchia (Rep.) Guatemala Croazia Dominica (Rep.) Tunisia Slovenia Oman Siria (Rep. Araba) Ecuador Libano Lussemburgo Costa Rica Sri Lanka Uruguay Bulgaria El Salvador Belarus Lituania 122,231 113,492 112,098 108,709 104,128 102,577 96,607 92,552 86,150 85,956 81,453 80,101 66,318 59,205 56,717 54,734 53,814 53,702 53,055 48,462 42,052 41,304 38,680 37,352 37,733 35,354 34,930 22,268 21,377 20,929 20,314 20,049 19,610 19,551 19,137 19,203 19,048 17,726 17,221 16,169 15,894 14,769 14,116 13,538 13,533 12,715 42 3,5 3,2 16,8 3,8 4,0 5,0 16,8 4,9 0,1 8,0 14,9 13,0 8,8 24,2 4,2 8,5 12,4 5,7 … 22,3 0,7 14,8 34,6 0 16,9 16,1 23,6 8,5 4,1 22,3 9,7 11,4 10,4 3,1 3,0 23,1 9,0 11,7 0,8 9,0 19,3 6,4 13,3 9,5 10,7 7,3 33,3 31,5 32,3 30,0 29,0 49,9 35,0 40,9 35,9 48,3 31,6 29,9 34,3 22,4 40,7 29,8 62,2 33,7 … 25,6 42,8 35,6 35,5 45,0 39,3 31,1 37,8 43,4 29,0 19,3 34,2 33,2 29,1 37,6 40,0 27,5 29,4 21,0 22,4 28,1 27,0 26,6 28,9 29,7 38,1 34,7 63,2 65,3 50,9 66,2 67,0 45,1 48,2 54,2 64 43,7 53,5 57,1 56,9 53,4 55,1 61,7 25,4 60,6 … 52,1 56,5 49,6 29,9 55,0 43,8 52,8 38,6 48,1 66,9 58,4 56,1 55,4 60,5 59,3 57,0 49,4 61,6 67,3 76,8 62,9 53,7 67,0 57,8 60,8 51,2 58,0 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 Panama Serbia e Montenegro Uzbekistan Sudan Kenya Costa d’Avorio Tanzania Yemen (Rep.) Cipro Angola Giordania Camerun Trinidad e Tobago Lettonia Islanda Bolivia Bahrain Giamaica Turkmenistan Paraguay Etiopia Macao (Cina) Honduras Uganda Azerbaijan Nepal Estonia Ghana Bosnia Erzegovina Botswana Congo (Rep. Dem.) Senegal Mauritius Bahamas Albania Gabon Madagascar Mozambico Haiti Malta Cambogia Zambia Macedonia (FYR) Nuova Caledonia Georgia Polinesia Francese 11,818 11,601 11,522 11,471 11,296 10,264 9,607 9,360 9,372 9,187 9,084 8,746 8,553 8,134 7,944 7,858 7,246 7,368 6,650 6,442 6,420 6,329 6,214 5,909 5,809 5,620 5,605 5,445 5,233 5,103 5,045 4,684 4,669 4,533 4,410 4,028 3,913 3,869 3,678 3,632 3,483 3,458 3,456 2,989 3,346 3,794 43 6,9 … 32,9 39,2 19,1 23,7 44,7 14,4 5,0 8,0 2,0 42,6 1,6 4,5 9,0 15,7 1,0 6,4 28,8 21,4 52,4 15,3 13,7 31,4 17,5 39,3 5,9 34,8 14,3 2,4 56,3 18,2 6,5 5,0 32,4 7,6 27,4 23,3 30,0 3,0 36,9 21,7 12,1 … 19,6 … 16,0 … 21,5 18,3 18,3 21,5 16,0 40,3 22,0 66,7 23,4 19,6 42,3 26,4 19,0 28,5 40,0 30,8 50,7 27,5 11,1 13,5 31,5 22,7 44,6 22,6 29,5 24,9 29,6 46,7 18,8 28,1 31,1 11,0 22,7 46,4 12,8 31,0 20,0 25,0 21,9 29,8 29,7 … 23,1 … 77,1 … 45,6 42,5 62,6 54,8 39,3 45,3 73,0 25,3 74,6 37,8 56,1 69,1 72,0 55,8 59,0 62,8 20,5 51,1 36,5 71,2 54,8 45,9 37,9 38,1 64,6 40,3 56,1 50,9 24,9 53,7 62,4 84,0 44,9 46,0 59,8 45,7 50,0 72,0 41,2 48,5 58,2 … 57,3 … 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 Namibia Guinea West Bank e Gaza Papua Nuova Guinea Mali Burkina Faso Barbados Benin Armenia Congo (Rep.) Niger Ruanda Fiji Chad Malawi Lao PDR Moldova Kyrgyz (Rep.) Swaziland Togo Mauritania Tajikistan Mongolia Rep. Cent. Africana Lesotho Suriname Belize Sierra Leone Burundi Eritrea Guyana Antigua e Barbuda Santa Lucia Maldive Capo Verde Djibouti Seychelles Bhutan Liberia Timor-Leste Gambia Grenada Guinea Equatoriale San Vincenzo e G. San Kitts e Nevis Salomone (Isole) 12,3 24,4 8,5 26,4 37,8 37,6 5,5 35,5 25,9 6,1 39,9 41,6 19,5 36,8 38,7 50,9 25,1 38,6 13,5 40,1 21,4 29,4 31,5 54,8 18,3 11,3 22,7 51,9 49,3 20,6 31,3 4,0 6,6 … 11,0 3,8 2,8 33,8 37,0 … 40,4 8,2 8,5 10,3 2,8 39,0 3,252 3,137 2,982 2,823 2,770 2,642 2,614 2,503 2,427 2,232 2,013 1,850 1,775 1,758 1,728 1,709 1,671 1,454 1,285 1,279 1,163 1,145 1,088 1,011 981 828 750 725 704 670 651 647 609 598 590 590 538 505 489 402 392 356 327 329 293 254 44 34,8 37,7 27,8 42,7 26,4 20,4 20,3 14,4 33,2 65,5 16,9 21,8 31,0 13,8 19,2 23,4 24,2 26,2 34,2 21,6 31,0 29,4 17,4 21,6 52,2 21,4 25,0 31,1 19,4 21,8 28,3 21,1 18,2 … 16,8 14,4 24,7 37,4 22,0 … 15,0 23,2 87,0 24,4 29,2 13,0 52,7 37,9 63,7 30,9 35,8 41,2 74,2 50,1 40,9 28,4 43,2 36,6 49,5 49,4 42,1 25,7 50,7 35,2 52,3 38,3 47,6 41,2 51,1 23,6 29,5 67,3 52,3 17,0 31,3 57,6 40,4 74,9 75,2 … 72,2 81,8 72,5 28,8 41,0 … 44,6 68,6 4,5 65,3 68,0 48,0 168 Samoa 169 Micronesia (Fed. Sta.) 170 Dominica 170 Comoros 171 Vanuatu 172 Guinea-Bissau 173 Tonga 174 Palau 175 Marshall (Isole) 176 Kiribati 177 San Tomé e Princ. 178 Afghanistan 178 Antille Paesi Bassi 178 Andorra 178 Aruba 178 Bermuda 178 Brunei 178 Cayman (Isole) 178 Channel (Isole) 178 Cuba 178 Faeroe (Isole) 178 Groenlandia 178 Guam 178 Iraq 178 Isola di Man 178 Corea (Rep. Dem.) 178 Libia 178 Liechtenstein 178 Mayotte 178 Monaco 178 Myanmar 178 Nicaragua 178 Nord Mariana (Isole) 178 Qatar 178 Samoa Americana 178 San Marino 178 Somalia 178 Emirati Arabi Uniti 178 Vergini (Isole) 178 Zimbabwe dato non disponibile. 250 242 228 228 221 193 143 142 125 77 45 … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … 17,0 … 17,5 35,4 23,0 58,1 30,8 3,9 11,9 20,7 20,0 … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … 24,0 … 23,2 10,6 12,0 12,2 14,1 12,7 15,1 6,1 17,0 … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … 59,0 … 59,3 54,0 65,0 29,7 55,1 83,4 73,0 73,2 63,0 … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … ... L’analisi del PNL e della sua composizione permette di graduare i mercati secondo la loro importanza. Dalla tabella precedente si nota come la maggior parte dei paesi collocati nella prima parte della classifica abbia un PNL di livello medio-alto o alto. Essi appartengono soprattutto alle regioni 45 dell’Europa Occidentale, dell’Asia e Oceania e del Nord America, seguono, poi, quelli dell’America Latina e dell’Europa Centro Orientale. In tali paesi (ad eccezione della Cina) il settore terziario costituisce oltre il 50% del PNL e, in alcuni casi, oltrepassa il 70% (si veda, ad esempio, USA, Francia, Belgio e Svezia), il settore secondario, invece, diminuisce d’importanza a mano a mano che aumenta il grado di industrializzazione del Paese ed, infine, quello primario riveste un ruolo del tutto marginale. Per alcuni paesi (come il Brasile, Messico, Cina, India), tuttavia, il settore manifatturiero assume un ruolo fondamentale nell’economia, che vanta la presenza di alcuni settori industriali già competitivi sui mercati internazionali. Un ulteriore indicatore quantitativo interessante ai fini di questa prima fase della ricerca è il livello di indebitamento dei singoli paesi (tabella 2.4). In tale contesto, questo indicatore può essere utile per abbozzare delle stime in merito alla ricchezza futura di un Paese e alle potenzialità del suo mercato. La Banca Mondiale distingue i paesi aderenti al WBDRS (World Bank Debtor Reporting System) in altamente e mediamente indebitati. I primi presentano un livello di servizio di debito su PNL pari all’80% e di servizio di debito sulle esportazioni pari al 60%, i secondi, invece, manifestano entrambi i valori superiori al 60%, senza raggiungere soglie di criticità. I paesi non aderenti al WBDRS vengono definiti altamente indebitati quando il debito sul PNL raggiunge il 50%, il debito sulle esportazioni il 275%, il servizio di debito sulle esportazioni il 30% e gli interessi sulle esportazioni il 20%. Vengono considerati, invece, mediamente indebitati quando tre dei quattro indicatori precedenti superano il 60%, senza raggiungere livelli critici. Infine, la Banca Mondiale include i paesi a basso o medio-basso reddito nella categoria “poco indebitati”. Tabella 2.4 (anno 2003) Classificazione dei paesi in base al livello di indebitamento Altamente Indebitati (50 paesi) Afghanistan Angola Argentina Belize Benin Brasile Burkina Faso Burundi Chad Comoros Congo (Rep. Dem.) Mediamente Indebitati (39 paesi) Bhutan Bolivia Bulgaria Cambogia Camerun Cile Colombia Croazia Dominica Estonia Filippine Poco Indebitati (55 paesi) Albania Algeria Arabia Saudita Armenia Azerbaijan Bangladesh Belarus Bosnia ed E. Botswana Capo Verde Cina 46 Non classificati (64 paesi) Andorra Antigua e B. Antille Paesi Bassi Aruba Australia Austria Bahamas Bahrain Barbados Belgio Bermuda Congo (Rep.) Costa d’Avorio Cuba Ecuador Etiopia Gabon Gambia Giordania Guinea Guinea-Bissau Guyana Indonesia Iraq Kyrgyz (Rep.) Lao PDR Libano Liberia Madagascar Malawi Mauritania Moldova Myanmar Nicaragua Niger Nigeria Pakistan Panama Perù Rep. Centr. Africana Ruanda San Tomé e P. Serbia e Montenegro Sierra Leone Somalia Sudan Siria (Rep. Araba) Tajikistan Uruguay Zambia Ghana Grenada Haiti Honduras Giamaica Kazakhstan Kenya Lettonia Malesia Mali Mongolia Papua N. Guinea Russia (Fed.) Samoa (Isole) San Kitts e Nevis San Vincenzo e G. Senegal Slovacchia (Rep.) Tailandia Tanzania Togo Tunisia Turchia Turkmenistan Uganda Ungheria Uzbekistan Zimbabwe Corea (Rep. Dem.) Costa Rica Djibouti Dominica (Rep.) Egitto El Salvador Eritrea Fiji Georgia Guatemala Guinea Equatoriale India Iran (Rep. Islamica) Kiribati Lesotho Libia Lithuania Macedonia (FYR) Maldive Marocco Mauritius Messico Mozambico Namibia Nepal Oman Paraguay Polonia Repubblica Ceca Romania Salomone (Isole) Santa Lucia Seychelles Sri Lanka Sud Africa Suriname Swaziland Tonga Trinidad e Tobago Ucraina Vanuatu Venezuela (RB) Vietnam Yemen (Rep.) 47 Brunei Canada Cayman (Isole) Channel (Isole) Cipro Corea (Rep.) Danimarca Emirati A. Uniti Faeroe (Isole) Finlandia Francia Germania Giappone Grecia Groenlandia Guam Hong Kong (Cina) Irlanda Islanda Isola di Man Israele Italia Kuwait Liechtenstein Lussemburgo Macao (Cina) Malta Marshall (Isole) Mayotte Micronesia (Fed. S.) Monaco Nord Mariana (Is.) Norvegia Nuova Caledonia Nuova Zelanda Paesi Bassi Palau Polinesia Francese Portogallo Portorico Qatar Regno Unito Samoa Americana San Marino Singapore Slovenia Spagna Svezia Svizzera Timor-Leste USA Vergini (Isole) West Bank e Gaza Fonte: World Development Indicators database, World Bank, luglio 2003. Si ritiene utile precisare che non sono da escludere a priori quei paesi che presentano un grado di indebitamento elevato o medio. Ad oggi questo non è sinonimo di sicurezza e garanzia nel commercio, ciò non toglie che nell’ottica del medio-lungo termine la situazione per quei paesi possa essere diversa e migliorare. Questo ribadisce ancora una volta che, ai nostri fini, l’indebitamento deve essere considerato come un indicatore della ricchezza futura del Paese e non come un dato statico indicante il debito di un mercato in un preciso istante. A questo punto, esauriti gli indicatori che ritenevamo interessanti sotto il profilo quantitativo, l’analisi si sposta verso gli aspetti qualitativi. 2.3 Analisi qualitativa dei paesi Vi sono aspetti, dei vari paesi, rilevanti ai fini della presente analisi che non sono suscettibili di misurazione, per i quali si considerano modalità qualitative. Tra queste appaiono di particolare interesse il tasso di crescita, le aspettative medie di vita, il tasso di mortalità infantile e il livello di analfabetismo. Questi indicatori ci consentono di avere un quadro generale relativo alle condizioni di vita di ogni singolo Paese, alla sua situazione sanitaria ad al livello di istruzione. La tabella seguente classifica i paesi in base alla numerosità della popolazione (tabella 2.5) e considera per ognuno gli indicatori sopra esposti. 48 Tabella 2.5 (anno 2002) Posizione 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 Paese Classificazione dei paesi in base agli indicatori qualitativi Popolazione (in migliaia) 1.280.975 Cina 1.048.279 India 288.369 USA 211.716 Indonesia 174.485 Brasile 144.902 Pakistan Russia (Fed.) 144.071 135.684 Bangladesh 132.785 Nigeria 127.144 Giappone 100.921 Messico 82.495 Germania 80.525 Vietnam 79.944 Filippine 69.626 Turchia 67.335 Etiopia 66.372 Egitto 65.540 Iran 61.613 Tailandia 59.442 Francia Regno Unito 58.858 57.919 Italia Congo (R.D.) 53.797 48.895 Myanmar 48.717 Ucraina Corea (Rep.) 47.640 43.745 Colombia 43.580 Sud Africa 41.180 Spagna 38.626 Polonia 37.928 Argentina 35.181 Tanzania 32.365 Sudan 31.414 Canada 31.345 Kenya 32.320 Algeria Crescita Popolazione (% annua) 0,7 1,5 0,9 1,3 1,2 2,4 -0,4 1,7 2,1 0,0 1,5 0,0 1,2 1,9 1,3 2,2 1,8 1,5 0,6 0,4 0,1 -0,1 2,7 1,2 -0,7 0,7 1,5 0,5 0,2 0,0 1,1 2,0 2,3 0,9 1,8 1,6 37 Aspettative Tasso di di vita mortalità (in anni) infantile37 70,7 63,2 78,0 66,7 68,6 63,8 65,8 62,1 45,3 81,1 73,6 77,7 69,7 69,8 69,9 42,1 68,9 69,3 69,2 79,2 77,5 78,4 45,3 57,2 68,2 73,9 71,8 46,5 78,3 73,8 74,3 43,1 58,4 79,2 45,5 70,7 31,0 67,0 7,0 33,0 31,0 84,0 18,0 51,0 110,0 …38 24,0 4,0 30,0 29,0 36,0 116,0 35,0 35,0 24,0 4,0 6,0 4,0 129,0 77,0 17,0 5,0 19,0 56,0 4,0 8,0 16,0 104,0 65,0 5,0 78,0 39,0 Il tasso di mortalità infantile è calcolato su 1000 bambini nati vivi. … dato non disponibile. 39 Dato trascurabile. 38 49 Tasso di Analfabetismo 13,6 41,2 d.t.39 12,1 12,3 55,1 0,4 58,9 33,2 d.t. 8,3 d.t. 7,1 4,6 14,0 58,5 43,1 21,9 4,2 d.t. d.t. 1,5 35,9 14,7 0,4 2,0 7,9 14,0 2,2 0,3 3,0 22,9 40,1 d.t. 15,7 31,1 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 Marocco Afghanistan Perù Uzbekistan Venezuela Malesia Iraq Nepal Uganda Corea (R.D.) Romania Arabia S. Ghana Australia Sri Lanka Yemen (Rep.) Mozambico Siria Costa d’Av. Madagascar Paesi Bassi Cile Camerun Kazakhstan Angola Ecuador Zimbabwe Cambogia Guatemala Burkina Faso Niger Mali Cuba Malawi Serbia e M. Grecia Zambia Belgio Rep. Ceca Ungheria Portogallo Senegal Belarus Tunisia Somalia Svezia 29.641 27.963 26.749 25.391 25.093 24.305 24.256 24.122 23.395 22.519 22.355 22.116 20.071 19.581 18.968 18.601 18.438 17.005 16.775 16.437 16.144 15.579 15.523 14.795 13.896 13.112 12.967 12.487 11.992 11.831 11.542 11.346 11.263 10.743 10.658 10.631 10.461 10.320 10.210 10.166 10.032 10.007 9.931 9.788 9.391 8.924 1,6 2,6 1,5 1,2 1,8 1,9 2,1 2,2 2,6 0,7 -0,3 3,3 1,6 0,9 1,2 3,0 1,9 2,4 1,9 2,7 0,7 1,1 2,1 -0,3 2,8 1,8 0,7 1,6 2,6 2,3 3,0 2,2 0,3 2,0 … 0,5 1,5 0,0 -0,2 … 0,0 2,3 -0,4 1,2 3,2 0,2 50 68,4 43,2 69,8 67,0 73,7 72,8 62,6 59,9 43,1 61,8 70,0 73,1 54,9 79,2 73,8 57,4 41,1 70,3 45,2 55,5 77,9 75,9 48,4 61,7 46,7 70,4 39,0 54,0 65,5 42,9 45,7 40,9 76,8 35,7 … 78,0 36,9 78,5 75,0 71,8 76,0 52,3 68,2 72,7 47,4 80,3 39,0 165,0 30,0 52,0 … 8,0 107,0 66,0 79,0 42,0 … 23,0 57,0 6,0 17,0 79,0 125,0 23,0 102,0 84,0 5,0 10,0 96,0 81,0 154,0 24,0 76,0 97,0 43,0 104,0 156,0 141,0 7,0 114,0 … 5,0 112,0 5,0 4,0 8,0 5,0 79,0 14,0 17,0 21,0 3,0 49,3 … 9,5 0,7 6,9 11,6 59,9 56,0 31,1 … 1,7 22,1 26,2 d.t. 7,9 51,0 53,5 23,9 49,3 31,9 d.t. 4,0 26,5 0,6 … 7,9 10,0 30,6 30,1 74,3 82,9 72,8 3,1 38,2 … 2,6 20,1 d.t. … 0,6 7,1 60,7 0,3 26,8 … d.t. 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 104 105 106 107 108 109 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 123 124 125 126 127 128 Bolivia Dominica (R.) Haiti Azerbaijan Ruanda Chad Austria Bulgaria Guinea Svizzera Burundi Hong Kong Honduras Benin El Salvador Israele Tajikistan Turkmenistan Libia Lao PDR Paraguay Slovacchia Danimarca Papua N. G. Nicaragua Sierra Leone Finlandia Georgia Giordania Kyrgyz Rep. Togo Norvegia Libano Croazia Eritrea Moldova Singapore Bosnia ed E. Costa Rica Irlanda N. Zelanda Portorico R. Centrale Af. Lituania Uruguay Liberia 8.697 8.635 8.286 8.184 8.163 8.144 8.141 7.868 7.744 7.228 7.071 6.773 6.755 6.603 6.524 6.494 6.316 5.545 5.534 5.530 5.510 5.409 5.373 5.373 5.335 5.235 5.199 5.177 5.171 5.004 4.767 4.539 4.441 4.377 4.309 4.255 4.164 4.121 3.942 3.878 3.870 3.869 3.828 3.476 3.381 3.295 2,0 1,5 1,8 0,8 1,7 2,8 0,1 -0,8 2,1 … 1,9 0,8 2,5 2,5 1,9 2,0 1,4 1,2 2,2 2,3 2,5 0,1 0,2 2,2 2,4 1,9 0,2 … 2,6 1,0 2,1 0,5 1,3 -0,2 2,4 -0,4 2,0 0,9 1,6 0,9 0,5 0,8 1,6 -0,2 0,6 2,4 51 63,6 67,2 52,0 65,2 39,8 48,4 78,7 71,8 46,2 80,0 41,7 80,0 66,1 52,7 70,1 78,7 66,6 64,6 72,3 54,5 70,8 73,3 76,6 57,2 68,7 37,4 78,0 73,3 72,0 65,2 49,6 78,8 70,8 73,8 51,1 67,0 78,4 73,9 77,6 76,9 78,2 76,5 42,1 72,7 74,6 47,1 3,0 60,0 41,0 79,0 96,0 117,0 5,0 14,0 109,0 5,0 114,0 2,7 31,0 94,0 33,0 6,0 91,0 69,0 16,0 87,0 26,0 8,0 4,0 70,0 36,0 182,0 4,0 24,0 27,0 52,0 79,0 4,0 28,0 7,0 72,0 27,0 3,0 1,6 9,0 6,0 6,0 9,5 115,0 8,0 14,0 157,0 13,4 15,6 48,1 … 30,8 54,2 d.t. 1,4 … d.t. 49,6 6,2 23,8 60,0 20,3 4,7 0,7 … 18,3 33,6 6,3 … d.t. 34,7 32,9 … d.t. … 9,1 … 40,4 d.t. 13,1 1,5 42,4 1,0 7,2 … 4,2 … … 5,9 50,4 0,4 2,3 44,1 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 W. Bank e G. Albania Congo (Rep.) Armenia E. Arabi Un. Panama Mauritania Giamaica Oman Mongolia Lettonia Kuwait Lesotho Macedonia Slovenia Namibia Botswana Gambia Estonia Trinidad e T. Gabon Guinea-Biss. Mauritius Swaziland Bhutan Fiji Guyana Cipro Timor-Leste Bahrain Dijibouti Qatar Comoros Guinea Equat. Capo Verde Lussemburgo Salomone (I.) Macao (Cina) Suriname Malta Brunei Bahamas Maldive Islanda Barbados Belize 3.212 3.195 3.190 3.072 3.049 2.940 2.828 2.613 2.539 2.449 2.335 2.104 2.087 2.038 1.992 1.823 1.712 1.376 1.358 1.318 1.291 1.253 1.212 1.088 851 823 772 765 753 672 657 610 586 481 458 444 443 443 423 397 351 314 287 284 269 253 3,7 1,0 2,7 0,4 2,4 1,5 2,5 1,0 2,4 1,3 -0,8 2,8 1,1 0,5 -0,1 1,5 0,6 2,3 -0,6 0,7 2,2 2,2 1,0 1,6 2,6 1,7 0,8 0,6 … … 1,8 2,1 2,4 2,5 2,5 0,6 3,0 0,7 0,8 0,5 1,6 1,1 2,2 0,7 0,4 2,1 52 72,7 74,0 51,6 74,8 75,4 74,9 51,0 75,7 74,1 65,5 70,4 76,9 42,7 73,4 75,9 41,5 38,1 53,4 70,6 72,4 52,9 45,4 72,5 43,7 63,2 69,5 62,3 78,1 … 73,3 43,5 74,9 61,4 51,7 69,1 77,4 69,3 79,2 70,3 78,4 76,6 69,7 69,2 79,7 74,9 74,1 21,1 23,0 81,0 31,0 8,0 19,0 120,0 17,0 12,0 61,0 17,0 9,0 91,0 22,0 4,0 55,0 80,0 91,0 11,0 17,0 60,0 130,0 17,0 106,0 74,0 18,0 54,0 5,0 … 13,0 100,0 11,0 59,0 101,0 29,0 5,0 20,0 4,0 26,0 5,0 6,0 13,0 58,0 3,0 12,0 34,0 … 14,1 17,2 1,4 22,7 7,7 58,8 12,4 25,6 1,5 0,2 17,1 15,6 … 0,3 16,7 21,1 61,1 0,2 1,5 … 59,0 14,7 19,1 … 6,5 1,3 2,6 … 11,5 33,5 17,9 43,8 15,2 24,3 d.t. … 5,7 … 7,4 8,5 4,4 2,8 … 0,3 6,3 73,7 1,3 Polinesia Fr. 240 9,7 175 1,7 N. Caledonia 220 7,0 176 73,6 … Antille P. B. 220 … 177 … 2,2 206 Vanuatu 34,0 178 68,5 1,0 176 Samoa 20,0 179 69,4 1,4 159 Guam 3,8 180 77,8 1,2 159 Santa Lucia 17,0 181 72,2 2,0 154 San Tomé 57,0 182 65,8 0,1 Channel (Is.) 149 5,8 183 79,1 … 145 Mayotte … 184 … 1,8 122 Micronesia 20,0 185 68,6 0,7 San Vincenzo 117 22,0 186 72,9 1,1 Vergini (Is.) 110 8,3 187 78,1 1,2 102 Grenada 20,0 188 73,0 0,4 101 Tonga 17,0 189 71,3 1,8 95 Kiribati 51,0 190 62,8 … 90 Aruba … 191 … 1,4 84 Seychelles 13,0 192 73,0 … Isola di Man 80 … 193 … … N. Mariana Is. 80 … 194 … 0,0 72 Dominica 14,0 195 76,6 2,7 Samoa Amer. 70 … 196 … … 70 Andorra 6,0 197 … 0,6 Antigua e B. 69 12,0 198 … … 60 Bermuda … 199 … 0,2 Groenlandia 60 … 200 … … Marshall (Is.) 53 54,0 201 … … 50 Faeroe (Is.) … 202 … 1,7 San Kitts e N. 46 20,0 203 71,3 … Cayman (Is.) 35 … 204 … … Liechtenstein 30 10,0 205 … … 30 Monaco 4,0 206 … … 30 San Marino 4,0 207 … … 20 Palau 24,0 208 … Fonte: World Development Indicators database, World Bank, luglio 2003. … … 3,3 … 1,3 … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … … Solitamente, una crescita della popolazione molto bassa, quasi nulla o negativa è indice che il Paese in questione è sviluppato. Ciò è confermato dal fatto che anche gli altri tre indicatori presi in considerazione (vita media, tasso di mortalità infantile ed analfabetismo) si attestano a livelli molto bassi, si vedano, ad esempio, gli Stati Uniti d’America che presentano un tasso di crescita della popolazione dello 0,9%, le cui aspettative di vita media per una persona sono di 78 anni, registrano un tasso di mortalità infantile del 7‰ e un tasso di analfabetismo trascurabile. Lo stesso andamento vale per i paesi che, come la Germania, 53 presentano un tasso di crescita nullo: l’aspettativa di vita è di 77,7 anni, la mortalità infantile si attesta al 4,0‰ e il livello di analfabetismo è trascurabile. La situazione è similare anche per i paesi con crescita negativa, come l’Italia, con 78,4 anni di vita media, 4,0‰ di mortalità infantile e, come nei suddetti esempi, alto livello di istruzione ed analfabetismo irrilevante. Tali società sono caratterizzate da una cultura “aperta”, dove il ruolo della donna assume sempre più rilievo. Quest’ultima non viene vista solo come moglie o madre, ma come persona istruita, dotata di capacità e spirito di intraprendenza, la cui volontà di emergere anche dal punto di vista lavorativo la spinge a sposarsi e a crearsi una famiglia raramente prima dei 30 anni. Questo contribuisce ad innalzare il livello di istruzione che, quindi, è molto alto, è accompagnato da condizioni sanitarie altrettanto elevate e porta ad un abbassamento del tasso di crescita della popolazione. Generalizzando, potremmo sostenere che questi paesi hanno un reddito pro-capite alto, PNL elevato, derivante soprattutto dal settore terziario ed, infine, un livello di indebitamento molto basso o trascurabile. Di conseguenza, potrebbero essere questi i paesi che presentano il maggior numero di potenziali clienti per i prodotti (almeno una parte) dello sport system di Montebelluna, essendo dotati di una capacità di spesa elevata. Lo stesso non può dirsi per quei paesi che presentano un alto tasso di crescita della popolazione. Essi rientrano nella categoria dei PVS e di quelli in fase di pre-industrializzazione e l’alto tasso di crescita è accompagnato da un corrispondente alto tasso di mortalità infantile, favorito dalle precarie condizioni igenico-sanitarie e dalla malnutrizione. Il livello di analfabetismo è molto elevato e il ruolo rivestito dalla donna nella società è marginale. Esempi di questi paesi sono il Pakistan, la Repubblica Democratica del Congo e il Niger, che registrano rispettivamente un tasso di crescita della popolazione pari al 2,4%, 2,7% e 3,0%, aspettative di vita di 63,8, 45,3 e 45,7 anni, un tasso di mortalità infantile dell’84‰, 35,9‰ e 82,9‰ e un tasso di analfabetismo pari al 55,1%, al 35,9% e 82,9%. Volendo generalizzare, questi paesi registrano un reddito pro-capite molto basso, modesto risulta anche il PNL, derivante soprattutto dal settore primario. Tali popolazioni presentano, dunque, una minor capacità di spesa rispetto alla categoria di paesi esaminata in precedenza, tuttavia, il nostro interesse verso questi mercati non è da escludere a priori, in quanto potrebbero risultare attraenti ed appetibili per determinate tipologie di prodotto, difficilmente vendibili in altri luoghi. 2.4 Selezione dei paesi con maggiore potenziale Dopo aver analizzato tutti i paesi del mondo secondo criteri quantitativi e qualitativi è opportuno, ora, effettuare una prima scrematura e selezionare 54 solamente quei mercati che, in base ai criteri indicati, hanno un maggior potenziale in termini di apertura ed assorbimento dei prodotti delle aziende montebellunesi. Si intende procedere seguendo la classificazione proposta nel paragrafo 1.1, la quale distingueva in chiave strategica i prodotti dello sport system in cinque grandi classi: competition, street, wellness, adventure e luxury. Accanto a queste tipologie, crediamo utile inserirne una sesta, vale a dire quella da noi denominata prodotti superati strategicamente riproponibili altrove. Si tratta di prodotti che, per vari motivi, sono usciti dal mercato e/o non si producono più, ad esempio uno scarpone da sci può uscire dalla produzione in quanto non soddisfa più determinati standard tecnici e qualitativi, superato da un nuovo prodotto che utilizza materiali innovativi, magari più leggeri e più resistenti, oppure, semplicemente, una tuta per il tempo libero può non essere più al passo con la moda. Questi ed altri prodotti possono non risultare adatti per certi paesi, soprattutto per quelli sviluppati, con un reddito pro-capite alto, dove la gente è interessata a tutto ciò che è nuovo, all’avanguardia e di tendenza, i bisogni sono raffinati ed il grado di utilizzazione dei prodotti è relativamente basso, ma possono essere “riciclati” in quei paesi dove le condizioni culturali, economiche, politiche e sociali sono medio-basse, per cui non ha importanza la marca di un prodotto, il suo livello di moda o innovazione, ma è già un fattore di differenziazione sociale il semplice fatto di possederlo o, comunque, permette di soddisfare esigenze importanti da un punto di vista tecnico, come il bisogno di protezione dagli agenti atmosferici, di agevolazione del passo, ecc. In tal modo si potranno sia vendere semplicemente in tali paesi le giacenze di prodotti delle aziende, sia utilizzare fattori produttivi che non abbiano esaurito la loro utilità per creare appositamente prodotti (che da noi sarebbero obsoleti) destinati a quel mercato, eventualmente apportando modifiche per soddisfare particolare esigenze di certe regioni. Ciò consentirebbe alle aziende di recuperare costi già sostenuti e non del tutto ammortizzati, migliorando la redditività e la penetrazione in mercati che possono divenire interessanti nel medio-lungo periodo. In questi mercati verranno venduti, quindi, prodotti a prezzi contenuti, ponendo le basi per una relazione privilegiata tra clienti e fornitori fondata sulla reciproca conoscenza e fiducia. In tal modo si può fidelizzare la clientela che, nel momento in cui dovesse avere maggior capacità di spesa, sarà propensa ad acquistare i prodotti delle stesse aziende, anche di livello, e quindi prezzo, superiori. In questa maniera le aziende si pongono nell’ottica customer oriented, ossia offrono valore al cliente dove quest’ultimo è in grado di apprezzarlo ed ha le possibilità economiche per permetterselo. A questo punto è necessario scegliere dei paesi, o aree strategicamente rilevanti, dove vendere una determinata categoria o gruppi di prodotti tra 55 loro correlati. Per la selezione dei mercati è fondamentale non solo utilizzare gli indicatori qualitativi e quantitativi esaminati in precedenza, ma altresì considerare eventuali connessioni che consentano di ottenere economie (di scala, di raggio d’azione, di apprendimento). Questo presuppone anche il giudizio personale di chi scrive, che intende semplicemente suggerire alle aziende dei possibili mercati alternativi dove esportare i prodotti, mercati che, in base a valutazioni sia oggettive sia soggettive, potrebbero essere strategicamente rilevanti. Non vengono presi in considerazione quei paesi (vedasi paragrafo 1.1) già interessati dalle esportazioni delle aziende del distretto di Montebelluna, in quanto lo scopo di questa ricerca è quello di fornire dei possibili mercati di sbocco alternativi. Si ritiene utile ricordare che le merci qui prese in considerazione per la futura esportazione sono quelle già prodotte dalle aziende, per le quali si ipotizza di mantenere la capacità, le condizioni ed i fattori produttivi attuali. L’importanza dei prodotti in termini di quantitativi di produzione rimane, dunque, quella attualmente presente all’interno del distretto ed illustrata dal grafico 2.1. E’ opportuno specificare che, come prima metodologia selettiva, verranno presi in considerazione quei paesi che hanno ottenuto i risultati migliori nelle Olimpiadi e nei campionati internazionali e mondiali di ciascuna disciplina sportiva, poiché questo indica particolare interesse del mercato verso un determinato sport e, di conseguenza, in tale contesto potrebbero esserci potenziali clienti delle aziende montebellunesi. Verranno fatte, di volta in volta, le opportune ipotesi in merito ai prodotti da considerare e alla relativa fascia di prezzo. Una volta selezionato, per ciascuna classe di prodotto, il gruppo di paesi che potenzialmente potrebbero risultare idonei ad assorbire la produzione montebellunese, verranno confrontati gli indicatori quantitativi e qualitativi precedentemente esposti di ciascun Paese, con lo scopo di scegliere quei mercati che presentano maggior potenziale e, successivamente, approfondire l’analisi di questi ultimi nella seconda fase della ricerca. 56 Grafico 2.1 2002) La produzione del distretto differenziata per prodotto (anno 10.000.000 8.000.000 6.000.000 4.000.000 2.000.000 k ni s Te n ar d em ar Te l Sc i Bo ow Sn cc io ne gh ia nli ii id a tti n Pa Pa tti n a M ot o g ta gn on nn in M op D Jo gg in g/ ru o m ci al ic l is C C os ci 0 o N. DI ARTICOLI (O PAIA) PRODOTTI 12.000.000 Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato. La prima categoria di prodotti è quella denominata competition. Come precedentemente detto, vi rientrano i prodotti destinati agli sport agonistici, come il calcio, lo sci, il ciclismo, il motociclismo, il tennis ed il pattinaggio. Di conseguenza, gli articoli prodotti dal distretto di Montebelluna che interessano questo comparto sono: le scarpe da calcio, gli sci, i doposci, gli articoli per il telemark, le scarpe da ciclismo, gli stivali da moto, le scarpe da tennis ed i pattini, sia inline, sia da ghiaccio. Questi sport, nella maggior parte dei casi, richiedono attrezzature di alta qualità ed elevato livello tecnico, per cui rappresentano un costo per il produttore, ma soprattutto per l’acquirente che, solitamente, è informato, attento e sofisticato. Per quanto riguarda il calcio, nel 2002 la produzione delle scarpe delle aziende del distretto ammonta a 2.436.630 paia40, il 90% delle quali appartenente alla fascia alta di prezzo (superiore a 60 Euro). Dato che questa ricerca mira ad esportare le merci già in produzione nel distretto senza modifiche, si ricercano nuovi paesi dove collocare, appunto, scarpe da calcio di alta qualità ad un prezzo alto. Sia le popolazioni dell’Africa, soprattutto della parte settentrionale, sia quelle dell’America Latina sono molto interessate al gioco del calcio, che viene praticato assiduamente e considerato sport nazionale. 40 Fonte informativa: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002. 57 A parere di chi scrive, i paesi che potrebbero essere particolarmente interessanti come mercati di esportazione di tale articolo rientrano in quest’ultima area e sono il Cile e l’Argentina. Entrambi hanno una lunga tradizione calcistica, che li ha portati a fregiarsi di due titoli olimpionici rispettivamente nel 2000 e nel 1996 ai giochi di Sydney ed Atlanta. I due paesi sono accomunati da altre caratteristiche: entrambi sono paesi in via di sviluppo e sono geograficamente vicini, ciò risulta vantaggioso per le aziende dal punto di vista delle economie e sinergie che si possono sfruttare, ad esempio, nella logistica. Cile ed Argentina godono di un reddito procapite medio-alto, rispettivamente di 4.260 e 4.060 dollari americani, che permette alla popolazione di acquistare prodotti appartenenti anche alle fasce di prezzo medio-alte e potrebbero essere, perciò, adatti alla vendita di scarpe da calcio di alta qualità e ad alto prezzo. Il loro PNL deriva soprattutto dal settore terziario, fatto che permette di definirli come PVS in fase di industrializzazione; il livello di indebitamento risulta medio per il Cile ed alto per l’Argentina. La vicinanza geografica accresce la somiglianza culturale tra i due paesi, fatto molto rilevante per le aziende, che potrebbero impostare, per esempio, strategie di marketing comuni, con maggiore efficacia e notevoli risparmi in termini di costi. Si osserva, inoltre, che il tasso annuo di crescita della popolazione è lo stesso (1,1%) e le aspettative di vita medie sono piuttosto alte, pari 75,9 anni per il Cile e 74,3 anni per l’Argentina. Ciò è accompagnato anche da un tasso di mortalità infantile abbastanza contenuto (rispettivamente del 10‰ e 16‰) e da un basso tasso di analfabetismo (del 4% e del 3%), che sottolineano le dignitose condizioni igenico-sanitarie e l’alto grado di istruzione della popolazione. Per questi motivi, Cile ed Argentina potrebbero essere i due mercati con maggiore potenziale per l’esportazione delle scarpe da calcio appartenenti alla fascia di prezzo più alta. All’interno della categoria competition troviamo, poi, il comparto sci: scarponi da sci, doposci e articoli per il telemark. A differenza di questi ultimi, la cui produzione nel 2002 ammonta a 95.058 articoli, gli scarponi da sci e i doposci rivestono un ruolo importante per le aziende del distretto, che in quell’anno ne hanno prodotte rispettivamente 3.307.816 e 3.297.282 paia. La maggior parte degli scarponi da sci (57% del totale) appartiene alla fascia medio-bassa di prezzo, che va da 36 a 75 Euro, mentre la maggioranza dei doposci (35%) rientra nella fascia alta, superiore ai 18 Euro. Di conseguenza, cercheremo di trovare nuovi mercati di sbocco per queste due categorie di prodotti. Due paesi che potrebbero risultare interessanti alle esportazioni future degli scarponi da sci e dei doposci sono, rispettivamente, la Finlandia e la Norvegia. Entrambi sono paesi sviluppati, appartenenti all’area dell’Europa Occidentale. La loro morfologia ed il clima sono favorevoli alle attività 58 sportive invernali, che vengono diffusamente praticate a livello sia amatoriale sia agonistico. Infatti, nei giochi invernali di Salt Lake City del 1998, entrambi i paesi hanno visto ai primi posti delle classifiche mondiali i loro campioni. Finlandia e Norvegia presentano un alto reddito pro-capite, rispettivamente di 23.510 e 37.850 dollari americani annui e, in questi termini, l’inferiorità del primo Paese rispetto al secondo lo rende, secondo il nostro punto di vista, più idoneo a ricevere nel proprio mercato gli scarponi da sci della fascia di prezzo medio-bassa. Alla Norvegia, quindi, saranno indirizzate le esportazioni di doposci appartenenti alla fascia di prezzo alta. Questa scelta viene confermata anche dai livelli di PNL: nonostante siano molto alti per ambedue, quello della Norvegia (171.770 milioni di dollari americani) è superiore a quello della Finlandia (122.231 milioni di dollari). I due paesi hanno molti aspetti in comune, a livello sia economico, sia sociale, infatti, in entrambi il settore più importante dell’economia è il terziario ed il livello di indebitamento è trascurabile. La vicinanza geografica, come nel caso delle scarpe da calcio, gioca un ruolo fondamentale per le aziende del distretto, che potrebbero sfruttare sinergie e strategie comuni. Anche la cultura, lo stile e la qualità di vita sono i medesimi: sia la Finlandia sia la Norvegia hanno un tasso molto basso di crescita della popolazione, lunghe aspettative di vita, un tasso di mortalità infantile basso e un livello di istruzione molto elevato. Entrambe queste società risultano essere molto attive economicamente, ben istruite, con condizioni igenico-sanitarie di altissimo livello; gli sport, soprattutto quelli invernali, vengono praticati regolarmente non solo come passatempo, ma, come nella maggior parte dei paesi dell’Europa Occidentale, sono considerati uno strumento utile per la salute e il mantenimento della forma fisica. Per quanto riguarda il ciclismo, il distretto di Montebelluna è specializzato nella produzione delle scarpe; nel 2002 ne sono state prodotte quasi 500.000 paia, il 79% delle quali rientrante nella fascia di prezzo media (da 36 a 45 Euro). La Francia, la Germania, gli Stati Uniti sono molto interessati a questo sport, ma sono già destinatari delle esportazioni delle aziende montebellunesi, di conseguenza è necessario trascurarli. Potrebbero essere particolarmente rilevanti come mercati di sbocco, invece, l’Australia e i Paesi Bassi. L’Australia ha scoperto di recente la passione per il ciclismo, a livello sia amatoriale sia agonistico, tanto da ottenere numerosi titoli mondiali alle olimpiadi (ai giochi di Atlanta e Sydney ben otto atleti australiani hanno conquistato il podio). Nonostante siano geograficamente lontani (l’Australia appartiene alla regione Oceanica, mentre i Paesi Bassi a quella dell’Europa Occidentale), questi due paesi hanno molti punti in comune, più di quanti generalmente si possa pensare. Entrambi sono paesi sviluppati, con un reddito annuo pro-capite molto alto (19.740 dollari americani per l’Australia e 23.960 dollari per i Paesi Bassi), un PNL altrettanto alto e pressoché identico (386.500 milioni di dollari 59 americani circa), un’analoga suddivisione settoriale che vede la predominanza del terziario (70% circa del PNL) ed, infine, un livello di indebitamento trascurabile. Australia e Paesi Bassi presentano parecchie similitudini anche per quanto concerne la situazione sociale: la prima, nonostante risenta dell’influenza della vicina regione asiatica, presenta uno stile di vita e una cultura squisitamente occidentali. Ciò è confermato dal basso tasso di crescita di entrambe le popolazioni, da condizioni sanitarie molto elevate che portano aspettative di vita piuttosto alte e un basso tasso di mortalità infantile. La popolazione risulta essere, per entrambi, molto attiva e ben istruita, i consumatori sofisticati e attenti alla qualità dei prodotti. A parere di chi scrive, quindi, questi mercati potrebbero essere delle valide alternative a quelli già esistenti, in quanto economicamente e socialmente avanzati. I Paesi Bassi presentano indubbi vantaggi dal punto di vista logistico, l’Australia, d’altro canto, è più lontana, ma il suo crescente interesse vero gli sport in generale e, in particolare verso il ciclismo, la rende molto appetibile. Gli australiani, infatti, potrebbero essere definiti come dei fanatici dello sport; praticarne almeno uno tutti i giorni a qualsiasi età è ritenuto un fatto essenziale per motivi di salute, ma molto spesso anche per soli fini estetici. Le possibili difficoltà relative ai trasporti dei prodotti potrebbero essere, comunque, compensate dalla possibilità di mettere in atto, per entrambi i paesi, strategie di marketing similari (ed in certi casi addirittura globali), con notevoli vantaggi per le aziende. Altro sport rientrante nella categoria competition è il motociclismo, composto dalle tre specialità di moto GP, enduro e motocross. Nel 2002 il distretto di Montebelluna ha prodotto circa 1.300.000 paia di stivali da moto, la maggior parte dei quali rientrante nelle fasce di prezzo media (da 44 a 60 Euro) ed alta (oltre i 60 Euro). Cercheremo, quindi, dei paesi in grado di assorbire una produzione analoga. La specialità che richiede un equipaggiamento di alta qualità, in termini sia di meccanica e tecnica, sia di abbigliamento ed accessori e, di conseguenza, viene associata ad un prezzo medio-alto, è la moto GP, mentre le altre due discipline necessitano di mezzi ed attrezzature meno sofisticate e, quindi, anche di prezzo inferiore. Dati i successi riscontrati soprattutto nel motomondiale ed in vari campionati mondiali, specialmente in moto GP, due paesi che potrebbero essere interessanti alle esportazioni di stivali da moto delle aziende del distretto sono la Finlandia e la Svezia, da anni particolarmente appassionate a questo sport. Entrambi sono paesi sviluppati, appartenenti all’Europa Occidentale e limitrofi tra loro. Ciò consentirebbe alle aziende, innanzi tutto, di sfruttare economie in termini logistici e, dal momento che la Finlandia potrebbe essere oggetto di interesse anche per le esportazioni di scarponi da sci, sarebbe possibile studiare sinergie e strategie comuni che portino ad ulteriori vantaggi. Le caratteristiche della Finlandia sono state, dunque, già esaminate 60 in precedenza e risultano molto simili a quelle della Svezia. In ambedue si nota un reddito pro capite alto (superiore ai 23.000 dollari americani), indice di un’alta qualità della vita. Il consumatore è attento, informato e può permettersi di spendere parte del suo reddito per beni voluttuari, destinati anche allo sport. Anche il PNL presenta valori molto elevati, in Svezia, supera i 220.000 milioni di dollari americani e, come per quasi tutti i paesi sviluppati, questo proviene essenzialmente dal settore terziario. Il livello di indebitamento è, infine, trascurabile. Dal punto di vista qualitativo, entrambi manifestano un tasso annuo di crescita della popolazione dello 0,2%, con lunghe aspettative di vita (78 anni in Finlandia e oltre 80 in Svezia), un bassissimo tasso di mortalità infantile ed un irrilevante grado di analfabetismo. Questi dati ci permettono di capire il livello di sviluppo sociale di entrambi i paesi, i cui abitanti risultano essere molto attivi sotto il profilo lavorativo ed altamente istruiti. La bassa mortalità e la longevità delle popolazioni sono favorite da ottime condizioni ambientali e sono accompagnate da prestazioni igenico-sanitarie molto elevate. Concludendo, le molte somiglianze economiche, sociali e culturali, nonché la vicinanza geografica tra la Finlandia e la Svezia, rendono questi mercati particolarmente attraenti per l’internazionalizzazione degli stivali da moto di medio ed alto prezzo. Ciò risulterebbe ancor più vantaggioso se le aziende abbinassero a tale politica anche quella relativa alle esportazioni degli scarponi da sci precedentemente esaminata e rivolta sempre verso i paesi nordici. Anche il tennis rientra nella categoria degli sport competition. Nel distretto vengono prodotte oltre 1.500.000 paia di scarpe (anno 2002), la maggior parte delle quali appartenente alla fascia di prezzo media o medio-bassa. Due paesi che, a nostro parere, potrebbero essere dei possibili mercati di sbocco per tali articoli sono l’Argentina e l’Australia. Entrambi vantano molti vincitori negli ultimi campionati mondiali di tennis WTA e ATP ed il loro interesse verso questa disciplina cresce di anno in anno. Ambedue sono già stati oggetto di analisi, di conseguenza sono già state delineate le loro caratteristiche principali, dal punto di vista sia economico, sia sociale e culturale. L’appartenenza a regioni geografiche diverse e lontane tra loro sicuramente non è un vantaggio in termini logistici, ma potrebbe essere conveniente per le aziende, come abbiamo visto in precedenza, sfruttare delle economie di raggio d’azione41 derivanti dall’esportazione contemporanea di diversi prodotti nello spesso Paese. Ad esempio, le 41 Le economie di raggio d’azione (o scope economy) “si ottengono quando lo svolgimento congiunto di più attività procura un incremento di costi meno che proporzionale rispetto all’aumento di risultato che ne deriva”. Volpato G., La gestione d’impresa, CEDAM, Padova, 1996, p. 939. 61 aziende potrebbero esportare in Australia sia le scarpe da ciclismo, sia quelle da tennis, oppure potrebbero destinare all’Argentina contemporaneamente queste ultime con le scarpe da calcio. Il fatto, quindi, che due paesi siano territorialmente distanti non esclude a priori il loro interesse come mercati potenziali per un determinato articolo, in quanto, anche se esistono diversità economiche e sociali, è possibile sfruttare economie e sinergie tali da rendere comunque conveniente la politica rivolta all’internazionalizzazione dei prodotti. Ultimo sport appartenente alla categoria competition è il pattinaggio. La produzione di pattini è molto similare (1.443.402 paia nel 2002) a quella delle scarpe da tennis ed è relativa sia ai pattini da ghiaccio, sia a quelli inline. Nonostante la produzione dei pattini inline sia superiore a quella dei pattini da ghiaccio, i primi stanno attraversando un periodo di crisi, con una riduzione sia in termini quantitativi, sia di valore superiore al 15% rispetto agli anni precedenti. L’andamento della produzione e delle vendite dei pattini da ghiaccio, invece, è positivo e registra una leggera crescita rispetto al 2001. Per questi motivi, si cercheranno mercati di sbocco per quest’ultima tipologia di pattini, in particolare per quelli rientranti nella fascia di prezzo media. Dati i risultati particolarmente brillanti che hanno registrato alle olimpiadi di Salt Lake City nel 2002, la Cina e la Repubblica Democratica Coreana (anche detta Corea del Sud42) potrebbero essere due paesi interessanti ai fini di questa ricerca. Entrambi sono paesi in via di sviluppo e sono geograficamente vicini. La Cina è il Paese più popoloso del mondo, con un reddito pro-capite medio-basso (940 dollari americani) e con un PNL piuttosto elevato, pari a 1.209.528 milioni di dollari americani. Il settore più importante è quello industriale, caratteristica comune a molti paesi in via di sviluppo, dove il terziario riveste ancora un ruolo marginale. Il grado di indebitamento è basso. Dal punto di vista sociale, le precarie condizione igenico-sanitarie contengono il tasso di crescita annuo della popolazione (0,7%), portando ad una vita media di circa 70-71 anni e ad un tasso di mortalità infantile molto elevato (31‰). Per quanto riguarda l’istruzione, la percentuale di analfabeti è ancora piuttosto alta (13,3%) ed il ruolo svolto dalla donna all’interno della società non è considerato paritario a quello dell’uomo. La situazione della Corea non si discosta molto da quella della Cina. Purtroppo, la mancanza di alcuni dati ci permette di fare un’analisi parziale, ma è possibile, comunque, formulare delle ipotesi. Sotto il profilo economico la Corea presenta un reddito pro-capite basso, inferiore a quello della Cina, che non supera i 735 dollari americani annui. Nonostante la deficienza di alcune informazioni relative al PNL, si suppone che questo 42 Da qui in poi, dove non diversamente specificato, la Repubblica Democratica Coreana o Corea del Sud verrà chiamata Corea. 62 derivi soprattutto dal settore secondario, data l’importanza che riveste il settore automobilistico all’interno di tale economia, vantando nomi prestigiosi come Daewoo e Hunday. Tuttavia, anche il ruolo del settore terziario sta divenendo sempre più importante all’interno del mercato. Il Paese risulta essere poco indebitato. Da un punto di vista sociale, la popolazione coreana presenta lo stesso tasso di crescita annuo di quella cinese, ma in termini assoluti il numero gli abitanti è molto inferiore e supera di poco le 22.500 unità. Le aspettative di vita sono medio-basse, di circa 62 anni. Le condizioni igenico-sanitarie sono similari a quelle della Cina e fanno registrare un tasso di mortalità infantile piuttosto elevato, pari al 42‰. Lo stesso non può dirsi, però, in merito al livello di istruzione, che risulta essere molto superiore a quello cinese e, a differenza di quest’ultimo, il tasso di analfabetismo non dovrebbe superare di molto il 2%. Da qualche decennio entrambi i paesi manifestano tendenze al miglioramento e allo sviluppo sotto tutti i punti di vista, la Cina potrebbe essere particolarmente interessante in quanto è il Paese più popoloso del mondo, per cui potrebbe essere visto inizialmente come mercato di sbocco per i pattini, ma poi per tutta una serie di articoli dedicati al turismo, soprattutto invernale. Basti pensare, infatti, che nel 2000 il numero di turisti all’interno del Paese era di circa 740 milioni e, secondo indicazioni del WTO, il settore del turismo cresce di circa il 50% l’anno, di conseguenza, se oggi gli sciatori cinesi sono poco più di un milione, nel 2020 il loro numero dovrebbe superare i 20 milioni. La Corea, a sua volta, ha dimostrato un forte interesse verso gli sport ospitando gli ultimi mondiali di calcio. In un secondo momento e seguendo una visione strategica di medio-lungo termine, questi due paesi potrebbero essere visti anche come luoghi ideali dove delocalizzare le fasi produttive e di assemblaggio dei prodotti montebellunesi, in quanto vantano costi di manodopera estremamente bassi ed un’altissima dedizione al lavoro, con orari e condizioni lavorative completamente diversi da quelli occidentali. Quindi, dati i risultati olimpionici ottenuti e la crescente importanza degli sport (praticati, comunque, non da tutta la popolazione, ma da una nicchia) la Cina e la Corea potrebbero essere viste come due paesi in grado di assorbire la produzione di pattini del distretto. Data la vicinanza territoriale, culturale e sociale, potrebbero essere utilizzate strategie comuni con la possibilità di sfruttare economie e sinergie che aumentino l’efficacia e riducano i costi. Una volta inserite in tale contesto, le aziende potrebbero, poi, valutare se altri prodotti, e quali, potrebbero essere ulteriormente esportati in tali mercati. La seconda categoria di prodotti è quella denominata street, comprendente sport quali lo skate, il surf e lo snowboard. Le aziende del distretto producono esclusivamente scarpe da snowboard, di conseguenza saranno 63 queste ultime l’oggetto della seguente analisi. Nel 2002 sono stati prodotti circa 500.000 paia di scarponi da snowboard, la maggior parte dei quali appartenente alla fascia di prezzo alta o medio-alta, motivata dall’alta qualità e dall’accuratezza tecnica degli stessi articoli. L’acquirente è, generalmente, sofisticato, competente e attento non solo alla qualità e all’affidabilità dell’articolo, ma anche alle caratteristiche estetiche. Due paesi che si sono distinti ai giochi di Nagano del 1998 e di Salt Lake City nel 2002 e che, a nostro avviso, potrebbero essere interessanti come possibili mercati di sbocco per tale tipologia di articoli, sono la Svizzera e la Norvegia. Entrambi sono paesi sviluppati ed appartenenti alla stessa zona geografica. La Norvegia è già stata oggetto di analisi e proposta come mercato potenziale per le esportazioni degli sci, di conseguenza, siamo già a conoscenza delle sue caratteristiche fondamentali. Svizzera e Norvegia presentano molte somiglianze. Innanzi tutto hanno entrambe un alto reddito pro capite, di quasi 38.000 dollari americani annui, il che denota una certa possibilità di spesa non solo per i beni necessari, ma soprattutto per quelli voluttuari, compresi quelli ad uso sportivo. Ambedue, infatti, sono paesi con un clima piuttosto rigido e perciò, interessati agli sport invernali, nei quali primeggiano in diverse discipline. Il PNL della Svizzera è alto e si attesta a 247.157 milioni di dollari americani, particolarmente elevato è il contributo derivante dal settore terziario (68% del PNL). La popolazione conta oltre 7.000 unità ed il suo tasso di crescita non sembra superare lo 0,5% annuo. Dal punto di vista sociale e lavorativo è un Paese molto attivo, le condizioni sanitarie sono di alto livello e supportate esclusivamente da strutture private. Ciò contribuisce a creare aspettative di vita di circa 80 anni e un basso tasso di mortalità infantile. Il livello di istruzione è alto e la percentuale di analfabeti è del tutto trascurabile. Data la propensione per gli sport invernali, gli ottimi risultati olimpionici ottenuti nello snowboard, le favorevoli condizioni economiche e sociali, la Svizzera e la Norvegia potrebbero essere due mercati di sbocco potenzialmente importanti per l’esportazione degli scarponi da snowboard delle aziende di Montebelluna. Nonostante i due paesi appartengano alla stessa regione geografica, non sono tra loro confinanti e, di conseguenza, risulta più difficoltoso pensare ad una strategia logistica comune. Tuttavia, seguendo le nostre ipotesi, la Norvegia sarebbe già interessata dalle esportazioni degli sci e, di conseguenza, a queste ultime potrebbero essere abbinate quelle relative alle scarpe da snowboard. La Svizzera, invece, non presenta particolari problemi di trasporto, in quanto Paese confinante con l’Italia. Altre facilitazione potrebbero derivare dalla cultura e dallo stile di vita che accomunano i due paesi, perciò le attività di ricerca, sviluppo e marketing potrebbero essere svolte simultaneamente per entrambi, ciò consentirebbe notevoli risparmi di costi e la possibilità di 64 raggiungere e sfruttare diversi tipi di economie (ad esempio, di raggio d’azione). L’analisi delle successive tre categorie risulta essere un po’ più delicata, di conseguenza si rivela necessario improntare il discorso in modo sistemico. Per quanto riguarda la categoria wellness, le aziende del distretto producono essenzialmente scarpe da jogging e running. Nel 2002 tale produzione ammontava a 623.000 paia circa, appartenenti alla fascia di prezzo media e medio-bassa. La categoria adventure prevede sport a stretto contatto con la natura, come le escursioni in montagna o il trekking e, in questo ambito, spiccano le scarpe da montagna, considerate il best product montebellunese. Nel 2002 sono state prodotte oltre sette milioni di paia di scarpe, la maggior parte delle quali appartenenti alla fascia di prezzo bassa. Tuttavia, la produzione che raggiunge i livelli massimi in termini quantitativi all’interno del distretto è quella delle scarpe e dell’abbigliamento da città e tempo libero, rientranti nella categoria luxury, con una produzione di scarpe di oltre undici milioni di paia (anno 2002). Dal momento che i suddetti sport non sono delle discipline che prevedono olimpiadi o campionati di uno certo spessore e non necessitano di particolari condizioni climatiche o territoriali per essere praticati, risulta molto difficile stabilire verso quali paesi indirizzare le esportazioni usando i criteri precedenti. Questa scelta potrebbe essere fatta in maniera del tutto casuale o sollevando un considerevole numero di ipotesi. Tuttavia, allo scopo di dare al lettore un quadro sistemico di tale ricerca, riteniamo utile, per le tre categorie sopra menzionate, non cercare uno o più mercati di sbocco per i singoli articoli, bensì collocarli in un’ottica strategica di sistema, ossia considerandoli come un tutt’uno, in modo da trovare mercati alternativi non a prodotti specifici, e quindi alle relative aziende produttrici, ma allo sport system di Montebelluna. Per questo motivo, a parere di chi scrive, alcuni paesi che potrebbero manifestare un certo interesse nei confronti delle suddette categorie di articoli potrebbero essere la Norvegia, la Finlandia, la Svizzera e l’Australia. Questi paesi sono accomunati dal fatto di essere tutti sviluppati, con condizioni economiche e sociali molto alte. Le popolazioni sono attive, ben istruite, con un reddito pro capite alto ed un altrettanto elevato PNL, derivante soprattutto dal settore terziario. Questo significa che i consumatori spendono il loro reddito anche per prodotti non strettamente necessari, come quelli sportivi, considerati, comunque, estremamente importanti per il mantenimento della salute e della forma fisica. Sono molto sofisticati, competenti ed attenti a tutto ciò che fa tendenza, per questo disposti ad acquistare anche a prezzi alti articoli che li distinguano dagli altri e che li facciano sentire parte di un certo gruppo. Questa propensione è molto sentita in Australia, dove ha grande successo il made in Italy e vestire o indossare capi di abbigliamento o calzature italiane è sinonimo di 65 prestigio, qualità e raffinatezza della persona. Norvegia, Finlandia e Svizzera, paesi ricchi di foreste e vegetazione, sono il luogo ideale per le scalate ed il trekking, mentre le attività di jogging e running possono essere praticate indistintamente in tutti e quattro i paesi. La vicinanza, in certi casi geografica, ma per tutti culturale e sociale, permetterebbe alle aziende di studiare strategie comuni ed adottare varie sinergie. Riassumendo, quindi, Australia, Norvegia, Finlandia e Svizzera potrebbero essere potenziali mercati di sbocco per le esportazioni dei prodotti appartenenti alle categorie wellness, adventure e luxury, in quanto economicamente, socialmente e culturalmente avanzati ma, soprattutto perché già possibili destinatari di altri prodotti montebellunesi. Questo ha il duplice vantaggio di offrire una visione sistemica del tutto, senza puntare su un prodotto a discapito di un altro, e di favorire il distretto di Montebelluna nel suo complesso. L’ultima categoria proposta è quella dei prodotti superati strategicamente riproponibili altrove. Come precedentemente detto, questa classe di prodotti comprende, innanzi tutto, articoli giacenti in magazzino, perché non più rispondenti agli standard qualitativi e tecnici richiesti dal mercato o in quanto considerati dal consumatore fuori moda. Possono rientrarvi, inoltre, quei prodotti costruiti appositamente con materiali, attrezzature e macchinari non più in uso presso le aziende, di conseguenza si viene a creare un articolo non vendibile nel mercato interno o in quelli classici di esportazione, ma adatto per altri paesi con condizioni economiche precarie o instabili, dove il prodotto è sconosciuto o dove quelle caratteristiche per noi considerate essenziali sono percepite come accessorie. Di conseguenza, le aziende potrebbero esportare in nuovi mercati quello che attualmente per noi è considerato sorpassato sotto vari punti di vista, oppure potrebbero utilizzare merce giacente in magazzino ed attrezzature obsolete per dar vita a prodotti appositamente studiati e creati per specifici mercati, con il vantaggio di ammortizzare costi non completamente assorbiti. In base a quanto detto, i paesi che verranno di seguito presi in considerazione come possibili mercati di sbocco sono quelli che potrebbero assorbire gli articoli appartenenti alla fascia di prezzo bassa. Anche in questo caso, tranne per un paio di eccezioni, si intende procedere in modo sistemico, cercando di privilegiare l’intero distretto piuttosto che la singola impresa. Le due eccezioni sopra menzionate riguardano la Nigeria per le scarpe da calcio e la Polonia per gli stivali da moto. La Nigeria rientra nella categoria dei PVS fa parte del continente africano. Sia le condizioni economiche, sia quelle sociali sono molto precarie. Il reddito pro capite è bassissimo e raggiunge i 290 dollari americani annui, il PNL supera di poco i 38.000 milioni di dollari e proviene soprattutto dal settore primario e secondario. Questa Paese è altamente indebitato con l’estero. La Nigeria è di gran lunga lo stato più popoloso dell’Africa con 132.785 mila abitanti, il tasso di 66 crescita annuo (2,1%) è contenuto dalle pessime condizioni igenico-sanitarie che comportano un elevatissimo tasso di mortalità infantile (110‰) e aspettative di vita di circa 45 anni. Il tasso di analfabetismo è molto alto, pari al 33,2% ed il ruolo svolto dalla donna all’interno della società è nettamente inferiore a quello dell’uomo. Nonostante queste caratteristiche rivelino un quadro economico e sociale piuttosto precario, esiste, comunque, una nicchia di popolazione che si distingue dagli altri. Queste persone vivono in condizioni dignitose e non fanno parte della categoria di poveri che comprende la maggioranza della popolazione. La loro capacità di spesa è superiore al reddito pro capite medio, tanto da potersi permettere il lusso di praticare delle attività di svago. Lo sport che in assoluto è più praticato in Nigeria è il calcio. Le squadre nigeriane hanno primeggiato nelle olimpiadi di Atlanta (1996) dimostrando di avere grande talento e professionalità. Per questi motivi, per le aziende del distretto, potrebbe essere conveniente esportare in tale Paese scarpe da calcio non più ai vertici nei nostri mercati, in quanto una parte della popolazione dimostra interesse nei confronti di tale disciplina, ma, comunque, ha limitate capacità di spesa. Come la Nigeria, anche la Polonia potrebbe essere un possibile mercato di sbocco per gli stivali da moto di basso prezzo e, quindi, medio-bassa qualità. La Polonia è un PVS appartenente alla regione dell’Europa centro-orientale, le sue condizioni economiche e sociali sono medie. Il reddito pro capite rientra nella fascia medio-alta ed è pari a 4.570 dollari americani annui; il PNL si avvicina ai 180.000 milioni di dollari ed il settore terziario predomina sugli altri due settori economici. Il Paese risulta poco indebitato. La popolazione è composta da oltre 38.000 persone ed il suo tasso di crescita è nullo; le aspettative di vita sono di circa 74 anni ed il tasso di mortalità infantile è dell’8‰. Il livello di analfabetismo, infine, è prossimo allo zero. Sulla base di questi dati possiamo dire che la Polonia è un Paese in via di sviluppo con buone possibilità di crescita, che permettono ad una parte di popolazione di dedicarsi ad attività sportive, tra le quali spicca il motociclismo. Nei campionati di tale disciplina gli atleti polacchi hanno ottenuto ottimi risultati, sia nella specialità enduro sia in quella motocross, e l’apertura di varie piste da motociclismo conferma l’interesse del Paese verso questo sport. Di conseguenza, la Polonia potrebbe essere un mercato di sbocco con un certo potenziale per gli stivali da moto di medio-bassa qualità. A parte le suddette eccezioni, è possibile considerare gli altri prodotti del distretto di Montebelluna in un’ottica di sistema, vale a dire selezionando un unico Paese dove esportare tutti i prodotti dello sport system. Il Paese che, a nostro avviso, potrebbe essere un valido mercato di sbocco per i prodotti di basso prezzo è la Federazione Russa (Russia). La Russia è un PVS facente parte dell’Europa centro orientale. La sua popolazione ha un reddito pro capite medio-basso, pari a 2.140 dollari americani annui, il PNL è prossimo 67 ai 308.000 milioni di dollari e proviene soprattutto dal settore terziario. Il livello di indebitamento è medio. Dal punto di vista sociale, la popolazione è composta da circa 144.000 persone e manifesta un tasso di crescita negativo, pari a -0,4%; le condizioni igenico-sanitarie risultano spesso precarie, ciò contribuisce a registrare un tasso di mortalità infantile del 18‰ ed aspettative di vita di circa 66 anni. Il tasso di analfabetismo si attesta allo 0,4%. E’ da sottolineare, poi, che metà della popolazione vive in condizioni di assoluta povertà, mentre all’interno del rimanente 50% esistono, comunque, ceti benestanti. Quest’ultima categoria di persone è quella con capacità di spesa maggiore e tendenza a praticare sport. La Russia, infatti, vanta numerosi campioni olimpionici in diverse discipline sportive, dal tennis (negli ultimi campionati gli atleti russi saliti sul podio sono stati ben otto) allo sci, dal ciclismo al pattinaggio. Questo dimostra una certa propensione dei russi verso l’attività sportiva che viene praticata, come precedentemente detto, solo da parte della popolazione più abbiente che, a parte una ristretta elite, non è tanto benestante quanto i paesi occidentali. Per questi motivi, si ritiene che la Russia sia un mercato di sbocco con buone potenzialità per i prodotti del distretto di medio-bassa qualità e, di conseguenza, di basso prezzo. La possibilità per le aziende montebellunesi di esportare diversi prodotti in un unico Paese permetterebbe loro di sfruttare sinergie, accrescere il livello di efficienza, ottenere economie e diversi risparmi di costi. Questo, inoltre, favorirebbe lo sport system ed il made in Italy del distretto di Montebelluna. 2.5 Risultati della selezione Concludendo, la fine di questo capitolo ci ha portati a selezionare, dai 208 paesi del mondo, un numero ristretto di paesi verso i quali concentrare la nostra attenzione e la successiva fase della ricerca. I paesi che potrebbero essere dei potenziali mercati di sbocco per l’attuale produzione delle aziende del distretto montebellunese sono: l’Argentina, l’Australia, il Cile, la Cina, la Corea (Repubblica Democratica), la Finlandia, la Nigeria, la Norvegia, i Paesi Bassi, la Polonia, la Russia (Federazione), la Svezia e la Svizzera43. Tali mercati vogliono rappresentare una base, un punto di partenza verso il quale indirizzare i futuri flussi di esportazioni delle aziende. Queste ultime potrebbero, servendosi dell’ausilio di varie istituzioni, arricchire tale base a seconda delle proprie caratteristiche aziendali e, per esempio, scoprirsi interessate non solo ai mercati qui suggeriti, ma anche a quelli limitrofi o a 43 La conclusione della prima fase della ricerca prevedeva la selezione di 20-30 Paesi. Nel nostro caso il numero di paesi selezionati è inferiore, in quanto spesso uno stesso Paese potrebbe risultare idoneo ed essere mercato di sbocco per diversi prodotti. 68 quelli che, per varie ragioni (ad esempio tecniche, economiche, logistiche, ecc.) meglio rispecchiano le necessità e gli obiettivi dell’azienda. I risultati ottenuti in questo capitolo vengono sintetizzati nella figura 2.2, che abbina ciascuno sport ai paesi selezionati, e nella tabella 2.6, che rappresenta le potenzialità di tali mercati in termini di prodotti a loro destinati. 69 Tabella 2.6 Potenzialità dei paesi in termini di prodotti destinati CAT. SPORT PAESI ARGENTINA AUSTRALIA COMPETITION WELLNESS ADVENTURE LUXURY PROD. SUPERATI HH HH CILE H CINA H COREA (REP.DEM) H FINLANDIA STREET HH H H H H H H NIGERIA H NORVEGIA H PAESI BASSI H H H H H POLONIA H RUSSIA (FED.) H SVEZIA SVIZZERA H H H H H H H H H Nel prossimo capitolo verrà affrontata la seconda fase della ricerca, di conseguenza i suddetti mercati saranno oggetto di analisi specifiche e dettagliate, allo scopo di selezionare quei 3-4 paesi verso i quali le aziende del distretto potrebbero indirizzare le esportazioni dei propri articoli nei prossimi anni. 72 CAPITOLO III SECONDA FASE DELLA RICERCA: ANALISI STRATEGICA DEI PAESI 3.1 Introduzione Al termine della prima fase della ricerca sono stati individuati i paesi che presentano maggior potenziale e sui quali si ritiene conveniente fare ulteriori analisi. In questo capitolo, dunque, si intende tracciare un quadro orientativo dei suddetti mercati, allo scopo di selezionarli ulteriormente, ma anche di preparare il terreno per un’analisi successiva nel caso in cui si decida di procedere oltre con la ricerca. Infatti, prima di avviare un programma di penetrazione commerciale su un mercato estero, le aziende dovrebbero condurre un’indagine diretta inviando in loco personale specializzato con il compito di esaminare a fondo le caratteristiche dell’economia locale. A livello aziendale, come suggerito da Porter44, sarebbe opportuno considerare non solo il grado di attrattività del Paese (o mercato), ma anche la posizione competitiva del singolo prodotto, di gruppi di prodotto, di uno o più marchi o, più in generale, del sistema Italia. Di conseguenza, a causa della difficoltà nel reperire dati di questo tipo e della soggettività richiesta da questa parte di indagine, l’analisi strategica dell’offerta dovrebbe essere oggetto di studi di ogni singola azienda. Noi procederemo rivolgendo la nostra attenzione al trend della domanda. Con questo capitolo si mira, perciò, a restringere ulteriormente il numero dei paesi precedentemente selezionati, utilizzando tecniche di analisi più raffinate, che consentano di mettere in evidenza le caratteristiche specifiche dei mercati sui quali si intende entrare. Prima di procedere si ritiene utile ricordare che vengono prese in considerazione solamente le imprese che si affidano ad una strategia di esportazione indiretta, mantenendo la produzione sul territorio nazionale oppure vendendo all’estero principalmente attraverso intermediari, mentre si escludono dalla ricerca le aziende che hanno adottato una strategia di integrazione con i mercati esteri portando su altri paesi la produzione o le reti di distribuzione. Ciò significa che la nostra analisi di mercato non 44 Per approfondimenti relativi al sistema competitivo aziendale ed al modello della concorrenza allargata si veda Porter M.E., Il vantaggio competitivo, Edizioni Comunità, Milano, 1988, capp. 1-2, in particolare, per esaminare lo schema delle cinque forze che compongono il sistema competitivo aziendale, si confronti Ibidem, p. 11. 73 includerà gli aspetti relativi alla costituzione di un’impresa (di produzione o di distribuzione) e tutte le conseguenze che questo comporta. Nello specifico, si intende procedere analizzando nel dettaglio i singoli paesi, in particolare verrà esaminata la loro situazione politica, sociale ed economica e verranno integrate, ove opportuno, le variabili economiche già osservate nella seconda fase della ricerca, allo scopo di analizzare l’andamento della domanda potenziale. Lo studio di quest’ultimo aspetto richiede indagini approfondite che, molto spesso, necessitano della presenza sul posto di personale specializzato; per questo, noi ci limitiamo a presentare i dati in nostro possesso. Le componenti della domanda potenziale sono i consumi pubblici, quelli privati e gli investimenti. A questo livello di analisi, tali indici non sono sufficienti a rivelare l’andamento della domanda, in quanto risultano ignote le potenzialità di spesa della popolazione e la distribuzione dei consumi. Ai nostri fini, questi indici assumono particolare importanza nel breve termine, in particolare le esportazioni delle aziende montebellunesi sarebbero favorite dall’alta presenza di consumi privati. Questi ultimi dipendono anche dal livello di welfare presente nel Paese e, quindi, dai consumi pubblici che, se di alta qualità, potrebbero coprire buona parte dei bisogni della popolazione; di conseguenza, i consumi privati potrebbero essere indirizzati verso beni voluttuari, come gli articoli sportivi. In certi casi, anche lo stesso concetto di bene voluttuario potrebbe essere messo in discussione, in quanto per determinate popolazioni o parti di queste, certi prodotti considerati superflui in un Paese possono avere un alto livello di utilità ed essere, quindi, indispensabili in un altro. Da qui nasce l’esigenza di avere maggiori informazioni circa la distribuzione dei consumi all’interno della popolazione e le potenzialità di spesa. In generale, dunque, è possibile sostenere che nel breve termine i consumi privati favorirebbero le esportazioni del distretto, mentre gli investimenti giocherebbero un ruolo concorrenziale, assorbendo la spesa destinata ai consumi. Nel lungo periodo, invece, gli investimenti assumono particolare importanza, in quanto agevolano i consumi privati (basti pensare alla costruzione di impianti sportivi o agli investimenti in viabilità), aumentando la ricchezza del Paese e, di conseguenza, indirizzando la spesa verso beni voluttuari. L’analisi prosegue, poi, considerando le relazioni che il singolo mercato intrattiene con l’estero, in modo da verificare la presenza di eventuali ostacoli alle esportazioni delle aziende montebellunesi, esaminando i rapporti commerciali con l’Italia e valutando il rischio per ciascun Paese. Dati i fini della presente ricerca si intende trattare analiticamente solamente le importazioni di ciascun Paese, accennando alle esportazioni nelle tabelle riassuntive della bilancia commerciale. L’ordine con cui vengono esaminati i mercati è di tipo alfabetico e non implica la maggiore o minor importanza di un Paese rispetto ad un altro. 74 3.2 L’Argentina L’Argentina è un PVS appartenente alla regione dell’America Latina. Per descriverne un quadro sintetico di base facciamo riferimento alla tabella 3.1 che espone alcuni dati principali, mentre la figura 3.1 mostra la sua posizione e la descrive geograficamente. Figura 3.1 L’Argentina: posizione e caratteristiche geografiche 75 Tabella 3.1 Dati di base Superficie Popolazione Densità di popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 2.766.889 kmq 37.928.000 circa 13,0 abitanti/kmq spagnolo cattolica (88%) Peso45 Repubblica Federale Buenos Aires Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 3.2.1 Situazione politica e sociale L’Argentina è una Repubblica Federale composta da 23 province, più la città autonoma di Buenos Aires. Il potere legislativo è esercitato dal Congresso Nazionale, formato da due camere: la Camera dei Deputati ed il Senato. Il potere esecutivo spetta al Presidente della Repubblica, che dirige personalmente e direttamente il Governo e accentra, quindi, le due qualifiche di Capo dello Stato e di Capo di Governo. Il potere giudiziario della nazione viene esercitato dalla Magistratura attraverso tribunali di distinto grado e, in ultima istanza, dalla Corte Suprema. L’argentina sta attraversando la più grave crisi economica della sua storia. Ha dichiarato il default esterno e derogato alla Legge di Convertibilità, che non soltanto fissava la parità peso/dollaro (1 peso = 1 dollaro), ma costituiva il fondamento della struttura giuridico-contrattuale dell’economia argentina. Il presidente De la Rua, eletto nel 1999 con mandato fino al 2003, ha rinunciato alla fine di dicembre 2001 e, al termine di una profonda crisi politico-istituzionale (sfociata in una successione di cinque presidenti provvisori nell’arco di meno di due mesi) ha assunto il potere esecutivo l’attuale governo di Eduardo Duhalde, eletto presidente dall’Assemblea Legislativa. Tale governo, essendo di transizione e con una legittimità teoricamente discutibile, presenta due caratteristiche fondamentali: la prima è che il suo potere di negoziazione di fronte a terzi (locali o stranieri) è debole per definizione; la seconda, assunta la prima come dato di fatto, è che il suo programma minimo di gestione dovrebbe solo appianare la strada al governo che risulterà dalla prossime elezioni tenute per via democratica normale, tramite suffragio universale. Nonostante la suddetta crisi politica, dal punto di vista sociale l’Argentina presenta condizione discrete, per quanto riguarda sia l’andamento della popolazione e le condizioni igenico45 Il Peso ha sostituito l’Austral nel gennaio 1992. Dal gennaio 2002 è stata derogata la legge di convertibilità. Dal cambio fisso stabilito sin dall’aprile 1991 si è passati ad un cambio libero. A marzo 2003 1US$ = 3,1000 pesos e 1 Euro = 3,348 pesos. 76 sanitarie, sia il livello di alfabetizzazione e scolarizzazione. Infatti, il recente sviluppo di un sistema di scuola statale, totalmente gratuito dai 6 ai 14 anni, ha incrementato il grado di alfabetizzazione della popolazione. I principali dati socio-politici sono sintetizzati nella tabella sottostante (tabella 3.2). Tabella 3.2 Principali indicatori socio-politici dell’Argentina Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % della popolazione totale Popolazione attiva in % della popolazione totale Spesa pubblica per istruzione % sul PNL Tasso di alfabetizzazione (%) Tasso di scolarizzazione (%): • Scuola inferiore • Scuola superiore • Università Indice di sviluppo umano46 VALORI 1,1 89,9 ANNO 2002 2000 38,5 1999 3,1 1999 97 2002 100 74 40 0,827 (39°) 1998 1998 1996 1999 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.2.2 Quadro economico e principali variabili L’Argentina è un Paese ricco di risorse naturali, che gode di vantaggi comparati nei settori energetico (petrolio e gas), agricolo e agroindustriale. Recentemente, a questi si è affiancata l’attività mineraria, favorita dalla deregolamentazione economica, che ha indotto una spettacolare crescita, sia degli investimenti destinati all’esplorazione ed allo sfruttamento di minerali, sia della produzione. La base industriale del Paese è rappresentata soprattutto da grandi gruppi locali e da multinazionali. Come precedentemente accennato, il 2002 è stato per l’Argentina un anno in cui la crisi economica, in progressiva espansione dalla seconda metà del 1998, è stata accompagnata da un profondo deterioramento non solo della situazione sociale, ma anche di quella finanziaria. In un quadro di continua recessione il sistema finanziario è sottoposto ad una pressione insostenibile: alle perdite subite inizialmente a causa della pesificazione asimmetrica degli 46 L’indice di sviluppo umano è un indicatore sintetico, elaborato dall’UNDP, compreso tra 0 e 1. E’ costituito sulla base della media di tre variabili: aspettativa di vita, grado di scolarizzazione e valore del PIL reale. L’Argentina si colloca ad un livello di alto sviluppo umano. 77 attivi (prestiti al settore privato) e passivi (depositi), si aggiunge la persistente fuga di depositi. Tale fenomeno continua a deteriorare i bilanci delle banche che, non potendo rispondere alla restituzione dei depositi con la cancellazione di prestiti del settore privato, devono essere assistiti da risconti della banca Centrale; in queste condizioni diventa, così, impossibile sostenere un programma monetario consistente e credibile. Oltre a questo, i rapporti tra Argentina e FMI stanno peggiorando, tanto che quest’ultimo non intende giungere ad accordi con il Paese in quanto non presenta nessun tipo di programma economico sostenibile; inoltre, il FMI non riconosce, da parte dell’attuale governo argentino, sufficiente credibilità e capacità negoziale. Conseguentemente, un accordo potrebbe venire negoziato soltanto con le future autorità Tutto questo ha portato pesanti conseguenze nell’economia argentina. Il primo fatto da rilevare è la caduta del PIL. Il risultato del 2001, con -3,9% di riduzione del prodotto reale, ha segnato per il terzo anno consecutivo la caduta di produzione e riflette l’estensione e la profondità della recessione dell’economia argentina. L’ulteriore diminuzione del 2002 (-21,5%) esprime la combinazione tra la continuità del processo recessivo e la devastazione apportata dalla crisi finanziaria cominciata con la rottura della convertibilità della valuta nazionale. Un indicatore addizionale dell’entità della recessione in corso viene dato dal tasso di disoccupazione, in media del 17,3 nel 2001. Gli indici di povertà hanno segnato un massimo storico, superiore al periodo dell’iperinflazione della fine degli anni ‘80. Altro dato importante è l’inflazione, riapparsa dopo una decade di stabilità nei prezzi. Al riguardo, gli indici dei prezzi per il 2002 mostrano variazioni positive del 70% annuale per i prezzi al consumatore e del 190% annuale per quelli all’ingrosso. Nonostante l’importanza assoluta di entrambe le variazioni, esse riflettono un ridotto trasferimento della svalutazione sui prezzi interni, tenuto conto che il peso argentino si è deprezzato di circa il 260% fino alla metà del 2002. Il livello d’inflazione (prezzi al consumatore) ha superato il 30%. Ulteriori dati economici generali vengono indicati nella tabella sottostante (tabella 3.3). 78 Tabella 3.3 Dati economici fondamentali Tasso di c. valuta locale per US$ PIL in $ a prezzi correnti (mln) Variazione annua del PIL reale (%) Variaz. della prod. industriale (%) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione (%) Rapporto debito pubblico/PIL (%) Debito estero totale in $ (mln) % sul PIL 1998 1,0 298.948 3,9 2,1 0,9 11,8 37,6 141.549 47,3 1999 1,0 283.523 -3,4 -6,6 -1,2 13,0 43,0 145.294 51,2 2000 2001 1,0 1,0 284.204 268.638 -0,8 -4,4 -0,3 -7,6 -0,9 -1,1 14,6 16,4 43,5 49,4 146.172 140.838 51,4 52,4 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.2.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono i consumi e gli investimenti, entrambi sia pubblici sia privati, ed il loro peso sul PIL del Paese. Per quanto riguarda l’Argentina, i dati disponibili in merito sono contenuti nella tabella 3.4. Tabella 3.4 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) • Consumi privati • Consumi pubblici • Investimenti 1998 69,1 12,5 19,9 1999 70,1 13,7 18,0 2000 69,3 13,8 16,2 2001 68,8 14,2 14,1 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.2.4 Relazioni con l’estero L’Argentina è membro dei principali organismi internazionali: ONU, FAO, IFAD, UNIDO, UNESCO, FMI, BIRS, BID. Ha partecipato attivamente ai negoziati nell’ambito dell’Uruguay Round del GATT e ha sottoscritto l’accordo di Marrakesh, con cui ha aderito pienamente agli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Fa parte, inoltre, di vari organismi d’integrazione regionale e l’accordo regionale di maggior importanza è il Mercosur, costituito nel 1991 al fine di pervenire alla creazione di un’area di libero scambio e all’adozione di una tariffa doganale comune tra Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, cui si sono successivamente associati il Cile e la Bolivia. L’apertura commerciale verso l’estero è uno degli aspetti fondamentali di tale accordo, che prevede la 79 deregualation del commercio estero, con la relativa liberalizzazione delle importazioni sia attraverso lo smantellamento delle barriere non tariffarie, sia tramite una riduzione unilaterale dei dazi all’importazione. La crisi economica e politica sopra menzionata ha portato pesanti conseguenza per quanto riguarda la bilancia commerciale. Importazioni ed esportazioni sono drasticamente diminuite. Durante il 2001, le esportazioni hanno raggiunto un valore totale di 26,7 miliardi di dollari, le importazioni 20,3 miliardi con un saldo della bilancia commerciale che ha raggiunto i 6,4 miliardi. Queste cifre, soprattutto se paragonate a quelle degli anni precedenti (tabella 3.5), riflettono la difficoltà di recupero delle esportazioni, dovuta all’assenza del credito estero, ma soprattutto, interno, che inibisce il recupero dell’attività produttiva e sterilizza il vantaggio nei prezzi implicito nella svalutazione, di fronte all’impossibilità di aumentare l’impiego di risorse per mancanza di finanziamento. Tabella 3.5 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ correnti (mln) • in % del PIL • variazione annua % Imp. di beni in $ correnti (mln) • in % del PIL • variazione annua % Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ correnti (mln) • in % del PIL • variazione annua % Imp. di servizi in $ correnti (mln) • in % del PIL • variazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) 1998 26.433 8,8 0,0 29.532 9,9 3,4 -3.099 4.618 1,5 4,8 9.127 3,1 3,0 -4.509 1999 23.309 8,2 -11,8 24.103 8,5 -18,4 -794 4.446 1,6 -3,7 8.601 3,0 -5,8 -4.155 2000 26.409 9,3 13,3 23.851 8,4 -1,0 2.558 4.536 1,6 2,0 8.871 3,1 3,1 -4.335 2001 26.612 9,9 0,8 19.194 7,1 -19,5 7.418 4.061 1,5 -10,5 8.201 3,1 -7,6 -4.140 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Per quanto riguarda le importazioni (tabella 3.6), i principali mercati di approvvigionamento dell’Argentina sono il Brasile e gli USA che, nel 2001 registrano quote di mercato in ascesa (rispettivamente del 26% e del 18%), nonostante si sia verificato un generale calo delle importazioni argentine. La Francia ha perduto posizione a favore della Germania, che si colloca al quarto posto tra i fornitori dell’Argentina e primo tra i paesi europei. A causa della contrazione del flusso di esportazioni verso questo Paese, registrata per 80 il secondo anno consecutivo, l’Italia ha subito una progressiva riduzione della propria quota di mercato, posizionandosi, così, al secondo posto tra i fornitori europei. Al terzo posto troviamo la Cina che, con una quota di mercato del 4,45%, è l’unico Paese, insieme all’Uruguay, che nel quadriennio 1997-2000 ha incrementato il flusso esportativo verso l’Argentina. Tabella 3.6 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2001 Brasile Stati Uniti Cile Spagna Cina Italia (6°) % del tot. 24 11 10 4 4 3 Paesi fornitori 2001 Brasile Stati Uniti Cina Germania Italia % del tot. 26 18 5 5 4 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Negli ultimi anni le importazioni dell’Argentina hanno dimostrato una dinamica piuttosto contenuta, crescendo di circa 2-3 punti percentuali annui, a causa della crisi recessiva manifestatasi nel Paese nel 1998. I principali comparti dell’import argentino sono le macchine e le apparecchiature meccaniche ed elettriche, i prodotti chimici ed organici ed i combustibili (tabella 3.7). Tabella 3.7 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2001 Combustibili Cereali Derivati di semi oleosi Oli vegetali US$ mln Beni importati 2001 4.728 Macchine e app. meccaniche 2.434 Macchine e app. elettriche 2.621 Prodotti chimici organici 1.654 Combustibili US$ mln 3.521 2.561 1.319 836 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Nel 2000, l’interscambio commerciale italo-argentino (tabella 3.8) ha prodotto un saldo favorevole al nostro Paese, che a fronte di esportazioni di merci per un valore complessivo di 963 milioni di dollari americani, ha acquistato dal partner sudamericano beni per 732 milioni di dollari. L’attivo registrato nel 2000 ha, tuttavia, evidenziato una riduzione di oltre il 65% rispetto all’anno precedente, confermando la perdita di competitività del 81 nostro export sul mercato argentino e la presenza di nuovi protagonisti in settori di tradizionale sbocco del prodotto italiano. Riguardo alla composizione dell’interscambio commerciale del 2002 prevale, tra le importazioni dell’Argentina dall’Italia, il comparto macchine, apparecchi e materiale elettrico e loro parti che ha significato, con 119,4 milioni di Euro (-70,3%) il 38,2% dei beni provenienti dall’Italia, seguito a distanza dal comparto dei prodotti dell’industria chimica e connessi con 57,49 milioni di Euro (-40,7%) pari al 19,1% degli acquisti nel nostro Paese. Assumo importanza anche le importazioni metalli e prodotti in metallo. Le esportazioni dell’Argentina verso l’Italia, invece, riguardano i prodotti alimentari, bevande e tabacco, prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, cuoio e prodotti in cuoio47. Tabella 3.8 Interscambio commerciale Italia – Argentina Esportazioni (mln di Euro) • variazione annua % Importazioni (mln di Euro) • variazione annua % Saldo (mln di Euro) Interscambio (mln di Euro) • variazione annua % 1998 1.494 -2,3 716 -2,2 778 2.210 -2,3 1999 1.277 -14,5 761 6,3 516 2.038 -7,8 2000 1.091 -14,5 960 26,1 132 2.051 0,7 2001 911 -16,6 1.005 4,8 -94 1.916 -6,6 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero dell’Argentina è la regolamentazione delle importazioni. Nel 1989 il governo argentino ha dato il via alla liberalizzazione delle importazioni con una riduzione dei dazi e l’abolizione della licenza preventiva per quasi tutti i prodotti. Attualmente sono soggetti a quote solo gli autoveicoli. Le merci di importazione sono soggette al pagamento dei seguenti diritti: • dazio doganale (ad valorem sul valore CIF per un massimo del 23%); • diritto di statistica (0,5% sul valore CIF solo per prodotti extra Mercosur); • diritto specifico (in dollari americani per unità. In alternativa al dazio ad valorem solo per alcuni prodotti tessili e calzature); • IVA (al 21%). 47 Fonte informativa: Business Atlas 2003, a cura delle Camere di Commercio Italiane all’Estero, Roma, 2003. 82 Esistono dei trattamenti preferenziali per i prodotti provenienti dal Mercosur; inoltre, alcuni beni importati da Colombia, Ecuador, Messico, Perù, Venezuela e Cuba usufruiscono di preferenze tariffarie. I prodotti provenienti dai paesi UE non beneficiano di alcun trattamento preferenziale. 3.2.5 Rischio Paese Concludiamo l’analisi del mercato argentino valutando il suo grado di rischiosità, in modo da informare in modo generale le aziende del distretto circa i potenziali rischi in cui incorrerebbero nel caso in cui decidessero di intraprendere una politica di penetrazione commerciale verso questo Paese. L’Argentina è classificata come Paese a rischio molto alto48 ( 7° categoria su 7) ed il contesto politico è la principale causa di tale condizione, che ha creato conseguenze disastrose dal punto di vista economico, finanziario e sociale. La redditività degli investimenti in questo Paese è soggetta ad un grado di volatilità molto forte, quindi, per compensare tale eccezionale rischio (o i costi assicurativi che esso comporta) sono necessarie aspettative di rendimento molto elevate. Nonostante l’Argentina rappresenti un mercato appetibile per i prodotti delle aziende dello sport system montebellunese, si ritiene utile sottolineare l’elevato grado di rischio al quale, attualmente, sarebbero soggetti gli investitori. Si consiglia, dunque, di pianificare un’eventuale politica commerciale tenendo fortemente in considerazione i fattori aleatori precedentemente descritti. 48 Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it. 83 3.3 L’Australia L’Australia è un Paese sviluppato appartenente all’Oceania, la cui posizione geografica è illustrata nella figura 3.2 e i cui dati fondamentali sono descritti nella tabella 3.9. Figura 3.2 L’Australia: posizione e caratteristiche geografiche Tabella 3.9 Dati di base Superficie Popolazione Densità di popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 7.692.030 kmq 19,581 milioni circa 2,4 abitanti/kmq inglese cattolica (27%) anglicana (22%) Dollaro Australiano (AUD) Monarchia Costituzionale Canberra Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 85 3.3.1 Situazione politica e sociale L’Australia, con una superficie di oltre 7,6 milioni di kmq ed una popolazione di oltre 19 milioni di abitanti, è una monarchia costituzionale facente parte del Commonwealth britannico, ordinata in forma federale. Capo dello Stato è, quindi, la Regina d’Inghilterra, rappresentata da un Governatore Generale. La Federazione è composta da sei Stati, ognuno con un proprio Parlamento e Governatore elettivi (New South Wales, Victoria, Queensland, South Australia, Western Australia e Tasmania) e da due Territori (Northern Territory e Australian Capital Territory). Il potere esecutivo è affidato al Consiglio Esecutivo federale, presieduto dal Primo Ministro (On. Jonh Howard). Al Parlamento federale, composto da Senato e Camera dei Pappresentanti, è affidato il potere legislativo. Attualmente il Governo liberale sta apportando diversi cambiamento alle abitudini politiche e sociali australiane. Tra i principali obiettivi perseguiti dal Governo vi sono stati: il programma di privatizzazione dei principali servizi pubblici esistenti, l’attuazione della riforma fiscale e l’aumento della competitività aziendale attraverso la concessione di incentivi fiscali alle piccole aziende, nonché la riduzione del numero dei ministri. Oltre che politicamente, anche dal punto di vista sociale, l’Australia può essere definito come un Paese stabile. Il suo grado di istruzione è considerato piuttosto alto. Il buon livello qualitativo del sistema educativo è una risorsa fondamentale per garantire l’alto livello di competenze della popolazione australiana e la sua competitività. I principali dati socio-politici vengono indicati nella tabella 3.10. Tabella 3.10 Principali indicatori socio-politici dell’Australia Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % della popolazione totale Popolazione attiva in % della popolazione totale Spesa pubblica per l’istruzione (% PIL) Spesa pubblica per la sanità (% PIL) Tasso di scolarizzazione primaria (%) Tasso di scolarizzazione secondaria (%) Istruzione universitaria (%) Indice di sviluppo umano Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 86 VALORI 0,9 84,7 66,9 5,8 8,9 101,0 152,7 79,8 0,929 (4°) ANNO 2002 2001 2001 2001 2000 1997 1997 1997 2002 3.3.2 Quadro economico e principali variabili L’importanza del settore agricolo nel contesto economico dell’Australia ha visto un significativo declino a partire dai primi anni ‘50, infatti, nel biennio 2000-2001 il rapporto sul PIL è stato del 2,7% contro l’80% registrato mezzo secolo prima. Il ridimensionamento dell’agricoltura è stato bilanciato da una forte espansione in altri settori dell’economia, in particolare nei servizi, ed è in parte legato alla bassa crescita nei mercati internazionali di taluni prodotti agricoli tradizionali. Tuttavia, i prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento costituiscono ancora una delle voci più rilevanti dell’export australiano in termini quantitativi, in particolare per quanto riguarda lana, carne, grano e zucchero, ma anche prodotti lattiero-caseari, frutta, cotone, riso e prodotti floreali. Anche se il territorio australiano si trova a fronteggiare situazioni climatiche piuttosto difficili per lo sviluppo delle coltivazioni, la superficie totale occupata da aziende agricole, nel 2000, è pari a 455,5 milioni di ettari, che rappresentano circa il 59% della superficie complessiva, di cui il 5% è destinata all’allevamento di bestiame. La terra arabile è, comunque, limitata al 6% della superficie totale, mentre la terra irrigata, pari a circa 23.000 kmq, ne rappresenta meno dell’1%. In termini di produzione, la voce principale è rappresentata dal grano con circa 24,8 milioni di tonnellate prodotte di cui oltre il 70% viene esportato; l’Australia è uno dei più grandi produttori mondiali di frutta (soprattutto mele, arance e banane) ed ha assunto notevole importanza la coltivazione della vite, facendo diventare il Paese un importante produttore di vini. Molto rilevante è anche la produzione della canna da zucchero, che pone l’Australia tra i più importanti produttori mondiali. Gli allevamenti di bestiame raggiungono dimensioni rilevanti, con 120 milioni di ovini, 27 milioni di bovini e circa 2,7 milioni di suini. A tal riguardo va sottolineato che l’Australia è il primo esportatore mondiale di lana; nel commercio mondiale la quota di mercato australiana della lana (esportata per quasi il 90% allo stato grezzo) è del 30% in generale e del 70% nel segmento delle lane fini, con un valore totale di esportazioni pari a circa 2 miliardi di dollari australiani nel 2000, rispetto a 1,6 miliardi nel 1999. Il sottosuolo australiano è ricco di minerali ed il Paese si colloca per diversi tipi di prodotti tra i primi produttori mondiali. Risulta, infatti, come primo produttore al mondo di bauxite ed alluminio; il terzo produttore di ferro, zinco e piombo; il quarto di nichel; il quinto di uranio e manganese; il sesto di argento; il settimo di oro, stagno e lignite; l’ottavo di carbone; il nono di rame ed amianto. Il carbone, il ferro, l’alluminio sono le risorse maggiormente esportate dall’Australia; in particolare le esportazioni di carbone costituiscono per il 9% il valore complessivo delle esportazioni, pari ad un valore di 8.322 milioni AUD$ nel 1999-00 (di cui 132 milioni AUD$ verso l’Italia). Il Paese dispone, inoltre, di consistenti riserve di petrolio e 87 gas naturale, di uranio e di rilevanti miniere di diamanti e pietre preziose (soprattutto opali). Anche se lo sviluppo economico australiano si è basato per molto tempo sull’esportazione delle sue risorse primarie, il settore manifatturiero rappresenta un importante comparto dell’economia australiana, costituendo il 12% del PIL ed impiegando circa il 13% della forza lavoro. In ogni caso, nonostante significativi incrementi nel valore assoluto della produzione lorda, il contributo dell’industria manifatturiera al PIL è diminuito negli ultimi 20 anni da circa il 20% all’attuale 12%. In forte calo anche l’occupazione nell’industria manifatturiera, diminuita da circa 1.250.000 occupati a circa 1.140.000 nel 2000. Questi risultati, comunque, sono influenzati dal corrispondente aumento del ricorso da parte delle industrie australiane all’out-sourcing, che ha trasferito molte attività nel settore dei servizi. La produzione industriale in alcuni comparti è considerevolmente aumentata negli ultimi 5 anni. Una forte crescita è stata registrata nella produzione del legname, della carta e suoi derivati (+14%), nella produzione di petrolio, carbone, prodotti chimici e derivati (+18%), nella lavorazione dei metalli (+14%), nella produzione di macchinari ed attrezzature (+15%) ed in altri settori industriali (+21%). L’unico comparto che ha registrato una consistente diminuzione negli ultimi 5 anni è il settore del tessile, abbigliamento e calzature, la cui produzione ha registrato un calo del 18% circa rispetto al biennio 1990-1991. Per quanto riguarda il settore dei servizi, questo contribuisce per oltre il 70% alla formazione del PIL ed assorbe il 64% degli occupati, pari a circa 5,7 milioni di persone. L’alta proporzione (29%) di impiegati part-time è una caratteristica del settore. In tale ambito, il comparto più significativo, in termini di occupazione, è costituito dal commercio al dettaglio con 1.324.600 occupati, che rappresentano circa il 15% della forza lavoro. Negli ultimi 10 anni si è registrato un incremento del 36% nella produzione lorda di tale settore; in confronto l’industria estrattiva e manifatturiera hanno fatto registrare rispettivamente aumenti del 35% e 31%, mentre la produzione lorda agricola, sempre nello stesso periodo, è diminuita dell’1%. Sul totale delle aziende private operanti in Australia, più del 66% appartiene al settore terziario. Negli ultimi anni, l’economia australiana ha registrato tassi di crescita reali della domanda interna molto consistenti, anche se durante il 2000-2001 tale trend è stato influenzato dall’introduzione, a luglio 2000, della GST (Goods and Services Tax) e dall’avvenimento dei Giochi Olimpici. L’andamento della domanda interna è una conseguenza di elevati consumi privati, di una forte domanda nel settore dell’edilizia e di rilevanti investimenti da parte delle imprese, grazie a condizioni monetarie favorevoli ed alla grande fiducia sia da parte dei consumatori, sia degli operatori economici. Ciò ha 88 reso possibile per l’Australia affrontare nel migliore dei modi la crisi finanziaria asiatica ed attenuare, così, i suoi effetti sul PIL e sul livello di occupazione. Infatti, la situazione economica australiana nel biennio 20012002 è decisamente positiva: il PIL calcolato a prezzi correnti è in continua crescita, tanto che il suo incremento nel 2001 è stato del 1,8% e nel 2002 del 2,4%. Ulteriori dati economici relativi all’Australia sono contenuti nella tabella 3.11. Tabella 3.11 Dati economici fondamentali Tasso di cambio valuta locale in € Tasso di c. valuta locale per US$ PIL in $ a prezzi correnti (mld) Variazione annua del PIL reale (%) Variaz. della prod. industriale (%) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione (%) Rapporto debito pubblico/PIL (%) Debito estero totale in $ (mld) • % sul PIL 1999 1,652 1,550 391,8 4,5 1,2 1,5 7,0 27,7 142 36,3 2000 1,589 1,725 377,0 2,8 5,4 4,5 6,3 24,2 162 43,0 2001 1,732 1,933 357,4 2,7 1,1 4,4 6,7 21,0 164 45,9 2002 1,738 1,841 398,7 3,8 3,1 3,0 6,3 18,7 179 45,0 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.3.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella seguente (tabella 3.12). Tabella 3.12 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) • Consumi privati • Consumi pubblici • Investimenti 1997-98 61,9 16,2 21,9 1998-99 59,2 18 22,8 1999-00 59,5 18,4 22,1 2000-01 60,0 22,9 17,1 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Come si può vedere dalla tabella, i consumi privati pesano per circa il 60% sul totale del PIL australiano, quindi anche piccoli cambiamenti della spesa privata hanno un significativo impatto sulla crescita economica; il commercio al dettaglio (escludendo la vendita di autoveicoli) rappresenta 89 circa il 40% del PIL e, nel periodo 2000-2001, è stato influenzato sia dall’introduzione della GST, sia dai Giochi Olimpici, infatti, in tale periodo ha registrato un aumento di 7 punti percentuali, per poi riprendere un trend più lineare e registrare, nel secondo trimestre 2001, un incremento dell’1% rispetto al trimestre precedente. La spesa in investimenti fissi lordi, al contrario, ha costituito circa il 17% del PIL. La quota relativamente bassa di investimenti rispetto ai consumi, evidenzia il problema strutturale più importante con cui l’Australia si deve confrontare: il conseguimento di un alto livello di consumi a scapito di risparmi e investimenti. 3.3.4 Relazioni con l’estero L’Australia è un paese caratterizzato da un’economia aperta e competitiva, favorevole alla libertà di movimento dei prodotti, nonché dei profitti, distinguendosi per un business environment amichevole di matrice occidentale. Storicamente l’Australia ha instaurato forti legami con il Regno Unito ed i paesi del Commonwealth; tuttavia, anche a seguito del ruolo assunto dagli Stati Uniti nel Pacifico durante la seconda guerra mondiale, si è assistito ad un notevole sviluppo delle relazioni con tale Paese. Data la sua posizione geografica, l’Australia ha stipulato un numero crescente di accordi commerciali bilaterali e multilaterali con i paesi dell’area Asia/Pacifico, tuttavia, ciò non ha pregiudicato i legami con il Regno Unito e gli altri paesi europei, che rimangono importanti nel quadro della politica estera australiana in termini di tradizione culturale, sicurezza, interessi strategici, investimenti ed accordi di cooperazione commerciale. L’Europa è il più grande partner economico dell’Australia ed è la seconda più grande destinazione per i suoi investimenti esteri. Per quanto riguarda la bilancia commerciale (tabella 3.13 e figura 3.3) si può constatare che, dopo il crollo delle esportazioni alla fine degli anni Novanta in seguito all’abbassamento della domanda e dei prezzi, gli esportatori australiani hanno cercato nuovi mercati nel tentativo di sottrarsi alla dipendenza nei confronti dell’Asia, favoriti dal deprezzamento del dollaro australiano. Il trend negativo ha raggiunto il punto di maggiore debolezza durante il mese di aprile 2001. Tuttavia, gli ultimi indicatori hanno mostrato un netto miglioramento a partire da luglio. Ciò nonostante, questa crescita ha subito un rallentamento dopo gli attacchi terroristici agli USA dell’11 settembre e in seguito al fallimento della compagnia aerea Ansett Airlines, seconda compagnia aerea nazionale dopo Qantas. 90 Tabella 3.13 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ (mln) • in % del PIL • variazione annua % Imp. di beni in $ (mln) • in % del PIL • variazione annua % Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ (mln) • in % del PIL • variazione annua % Imp. di servizi in $ (mln) • in % del PIL • variazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) 1997/98 59.984 15,9 9,4 62.386 16,6 15,9 -2.402 17.135 4,5 4,4 17.948 4,8 9,7 -813 1998/99 56.498 14,5 -3,3 64.980 16,7 7,0 -8.842 17.115 4,4 2,6 18.483 4,7 5,8 -1.368 1999/00 61.4569 15,7 8,7 69.609 17,8 7,1 -8.153 17.757 4,5 3,7 18.699 4,7 1,1 -942 2000/01 72.379 18,0 6,3 72.054 17,9 -1,1 343 19.722 4,9 1,4 19.359 4,8 -2,3 363 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Figura 3.3 Import-Export in Australia Fonte: elaborazione ICE (www.ice.it) su dati Reserve Bank of Australia, Australian Bureau of Statistics (ABS) L’apertura commerciale verso l’estero è da considerarsi uno degli aspetti prioritari di politica estera per il Governo australiano. Da molti anni, infatti, il Governo ha attuato una politica di deregulation del commercio estero, orientandosi nettamente verso l’apertura e mettendo in atto la progressiva riduzione della tassazione doganale sulle importazioni di prodotti in 91 Australia. La distribuzione geografica delle importazioni australiane (tabella 3.14) vede come dominante la posizione degli Stati Uniti, seguita da quella del Giappone. La Cina sta assumendo un ruolo sempre più importante in termini di importazioni, tanto che la sua quota è aumentata dal 6,5% del ’99 al 10,1% del 2002, in concomitanza con un incremento nel valore dell’export da 4,3 a 7 miliardi di dollari. Altri risultati interessanti sono stati prodotti dall’Indonesia (8,8%), ottavo fornitore con esportazioni pari a 2,3 miliardi di dollari nel 2002, dal Vietnam (12%), salito al quindicesimo posto con 1,2 miliardi, e dall’Irlanda (10,5%), diciottesima grazie a un valore dell’export di 843 milioni di dollari. L’Italia, all’undicesimo posto tra i fornitori nel 2002, ha manifestato una modesta capacità di accrescere il proprio peso relativo sul mercato australiano, aumentando la sua quota dal 2,9% al 3% a causa di un valore delle esportazioni passato dal 1,87 del 1999 a 2,06 miliardi di dollari del 2002. Tabella 3.14 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2001 % del tot. Paesi fornitori 2001 % del tot. Giappone Stati Uniti Corea del Sud Cina Nuova Zelanda Italia 19,4 9,7 7,8 6,2 5,9 1,1 18,2 13,0 8,8 5,7 5,3 3,1 Stati Uniti Giappone Cina Germania Regno Unito Italia (11°) Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Nel 2002 il valore delle importazioni australiane di merci (tabella 3.15) è stato di 69,5 miliardi di dollari, con un aumento del 6,2% rispetto ai 65,5 miliardi registrati nel ‘99. e del 14,5% rispetto al 2001. Nel suddetto anno le importazioni australiane di merci (considerate in termini monetari) si sono principalmente orientate verso i seguenti comparti merceologici (fra parentesi il peso sull’import totale): .3 • • • • macchine e apparecchi elettrici e di precisione (19,9%); autoveicoli (12,6%); macchine e apparecchi meccanici (11,7%); prodotti chimici e fibre sintetiche e alimentari (11,4%). 92 Tabella 3.15 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2002 US$ mln Beni importati 2002 US$ mln Metalli di base ferrosi Carbon fossile non 9.915 6.979 Petrolio greggio e gas 4.668 naturale Prodotti agricoli 4.421 Carni 3.782 Minerali di ferro 2.845 Autoveicoli 7.215 Macchine per ufficio, elaboratori, app. informatiche Petrolio greggio e gas naturale Aeromobili e veicoli spaziali Prodotti farmaceutici, chimici e botanici per usi medicinali Prodotti chimici di base 4.332 3.750 3.146 3.078 2.638 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Negli ultimi anni i rapporti commerciali tra Australia e Italia non hanno conosciuto uno sviluppo particolarmente marcato, se si eccettua forse il 2002, anno in cui i dati di fonte internazionale (GTI) fissano il valore dell’interscambio italo-australiano (tabella 3.16) a 3,18 miliardi di dollari Usa, ossia il 9% in più rispetto al 2001. Nel biennio precedente, invece, la crescita era stata piuttosto debole (4,9% in tutto), fermandosi complessivamente a 136 milioni di dollari (da 2,78 a 2,91 miliardi). Va notato che nel quadriennio 1999-2002 il saldo commerciale bilaterale è stato costantemente favorevole all’Italia, oscillando tra un minimo di 637 (2001) e un massimo di 971 (1999) milioni di dollari. Nel 2002 il valore delle importazioni australiane dall’Italia è stato di 2,06 miliardi di dollari, con un sensibile aumento rispetto al 2001 (+16,2%), che ha fatto seguito a un biennio di lieve flessione. Dal 1999 l’incremento complessivo ammonta a circa 200 milioni di dollari. Nel periodo in esame la struttura delle importazioni australiane dall’Italia ha subito alcune modifiche, non particolarmente significative: il peso del comparto meccanico, che da solo assorbe quasi un terzo dell’import, è cresciuto dell’11,7%, mentre è rimasta stabile la chimica (-0,7%). E’, invece, variato il peso dell’elettronica (+7,5%) e dei prodotti alimentari (-9,1%). Nel 2002 le importazioni australiane dall’Italia si sono principalmente distribuite nei seguenti comparti merceologici (tra parentesi il peso percentuale sul totale): • macchine ed apparecchi meccanici (30,2%); • prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (12,9%); 93 • apparecchi elettrici e di precisione (9,1%); • prodotti alimentari, bevande, tabacco (7%). Nello stesso anno, si rileva che le esportazioni australiane in Italia hanno interessato i prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca (22,9% del totale esportazioni), i prodotti delle miniere e delle cave (12,1%), i metalli e i prodotti in metallo (8,3%) e i prodotti tessili (8,2%). Tabella 3.16 Interscambio commerciale Italia – Australia Esportazioni (mln di Euro) variazione annua % Importazioni (mln di Euro) variazione annua % Saldo (mln di Euro) Interscambio (mln di Euro) variazione annua % 1998 1.702,5 7,5 948,8 -25,2 753,7 2.651,4 -7,1 1999 1.943,7 14,2 1.363,5 43,7 580,2 3.307,2 24,7 2000 1.792,1 1,5 1.522,7 11,7 449,5 3.494,8 5,7 2001 2.231,2 13,1 1.309,3 -14,0 921,9 3.540,6 1,3 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Ultimo aspetto interessante relativo al commercio estero australiano è quello relativo alla regolamentazione degli scambi49. Come membro del WTO, la normativa australiana in materia doganale prevede la libera importazione di molti prodotti, per i quali è necessario lo svincolo doganale nel rispetto delle previste procedure. Le merci dichiarate all’ufficio doganale, ove non godano di specifiche esenzioni, sono soggette a dazi. Alcune concessioni tariffarie sono applicate a particolari tipi di merci, a seconda che si tratti o meno di prodotti sostituibili con altri di produzione interna. In generale, i dazi sono applicati ad valorem sul valore delle merci importate. Oltre al dazio, le merci importate sono soggette all’applicazione della GST (Goods and Services Tax) pari al 10% del valore della merce. Il controllo delle merci in entrata è molto severo, in quanto è vigente il servizio australiano di quarantena che ha lo scopo di impedire l’ingresso nel Paese di organismi nocivi e malattie esotiche, per questo motivo, è consigliabile per le aziende italiane che vogliono esportare in Australia seguire alcuni accorgimenti tecnici, per esempio quello di non imballare la merce con della paglia, negli scatoloni per frutta, ortaggi, carne, uova o sacchetti già usati. E’ opportuno, inoltre, non utilizzare legname contenete corteggia, materiale proibito in tale Paese. 49 Fonte informativa: Business Atlas 2003. 94 3.3.5 Rischio Paese L’Australia è classificata come Paese a rischio molto basso50 (1° categoria su 7). La situazione politica, sociale ed economica è stabile e positiva. L’impatto sull’economia della peggiore siccità degli ultimi cento anni ed un possibile rallentamento del mercato immobiliare rappresentano le fonti principali di rischio in un ambiente altrimenti favorevole agli affari. Il grado di incertezza circa i rendimenti e gli incassi attesi è minimo. 50 Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 95 3.4 Il Cile Il Cile è un PVS appartenente alla regione dell’America Latina. La sua struttura geografica è illustrata nella figura 3.4, mentre le caratteristiche principali sono contenute nella tabella 3.17. Figura 3.4 Il Cile: posizione e caratteristiche geografiche 97 Tabella 3.17 Superficie Dati di base 756.626 kmq Popolazione 15.579.000 circa Densità di popolazione 20,2 abitanti/kmq Lingua ufficiale spagnolo Religione cattolica (70%) Peso cileno51 Unità monetaria Forma istituzionale Repubblica Presidenziale Sede di governo Santiango del Cile Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 3.4.1 Situazione politica e sociale Il Cile è una Repubblica Presidenziale. Il Congresso Nazionale (120 membri della Camera dei Deputati e 47 membri del Senato) e il Presidente della Repubblica, che riveste anche il ruolo di Capo del Governo, sono eletti a suffragio universale diretto. Il Cile è suddiviso in 12 regioni, più il distretto metropolitano (R.M.) di Santiago. Nel 2001 si sono tenute le ultimi elezioni parlamentari ed il Presidente, Ricardo Lagos, con l’obiettivo di dare un nuova spinta e migliorare l’immagine del proprio governo per gli anni che restano al suo mandato, ha designato 7 nuovi Ministri, avendo cura di mantenere l’equilibro politico all’interno dei partiti che costituiscono la coalizione di governo “Concertaciòn”. Il governo di Lagos, oltre a seguire i passi necessari a migliorare il livello socioeconomico del Paese adottando politiche economiche e fiscali adeguate, ha dovuto affrontare e limitare nell’ultimo periodo gli effetti della difficile situazione internazionale ed in modo particolare quella riguardante i principali paesi dell’America Latina. A tale proposito ha elaborato in collaborazione con la Sofofa, (omologa della Confindustria italiana) quella che viene definita “l’Agenda Pro Crescita”. Frutto di questa collaborazione è il documento contenente strategie relative ad otto aree tematiche: modifiche dell’attuale legislazione per favorire la competitività del Paese, politiche relative all’innovazione tecnologica, ristrutturazione della politica tributaria, del mercato dei capitali e del mercato del lavoro, ottimizzazione della destinazione della spesa pubblica, 51 Il tasso di cambio aggiornato a marzo 2003 tra Peso Cileno ed Euro è il seguente: 1€ = 799.891 CPL (fonte informativa: Business Atlas 2003). 98 semplificazione delle pratiche amministrative degli enti pubblici ed incentivazione delle esportazioni. Dal punto di vista sociale, il Paese si colloca ad un alto livello di sviluppo umano. Il sistema educativo cileno si caratterizza per un’organizzazione decentrata nella quale la gestione delle scuole viene realizzata dalle amministrazioni dei vari quartieri e da privati sotto diretto controllo del Ministero dell’Istruzione. In questo modo il sistema è costituito da scuole sovvenzionate, private e da corporazioni, che coprono tutti i livelli di istruzione, dall’asilo alle scuole superiori (licei, istituti tecnici, ecc). Nel 1998 sul territorio erano presenti 10.621 scuole, delle quali il 59,6% corrispondeva a scuole comunali e statali, il 28,8% a scuole private sovvenzionate e il 10,9% a scuole private. Attualmente sono presenti nel Paese 228 università. Ulteriori dati in merito alla situazione socio-politica del Cile sono presenti nella tabella 3.18. Tabella 3.18 Principali indicatori socio-politici del Cile Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % della popolazione totale Popolazione attiva in % della popolazione totale Spesa pubblica per l’istruzione (% PIL) Tasso di alfabetizzazione (%) Tasso di scolarizzazione (%) Scuola inferiore Scuola superiore Università Indice di sviluppo umano VALORI 1,1 84,6 38,44 2,76 96 ANNO 2002 2000 2001 2001 2002 101,3 74,9 30,3 0,825 (38°) 1996 1996 1996 1999 Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 3.4.2 Quadro economico e principali variabili Il Cile viene definito da molti esperti a livello internazionale, “l’oasi economica dell’America Latina”, soprattutto alla luce della difficile situazione che investe i paesi limitrofi: la forte crisi finanziaria dell’Argentina, l’incertezza sulla situazione brasiliana, l’instabilità politica di varie nazioni ed i conflitti armati che persistono in Colombia. Il Cile rappresenta l’eccezione, grazie alle politiche economiche adottate nell’ultimo ventennio, riconducibili, a grandi linee, alle teorie neo-liberiste e consistenti principalmente nella riduzione del ruolo dello Stato, nella privatizzazione delle grandi imprese pubbliche, nella politica di liberalizzazione e nella spinta del grado di apertura dell’economia. 99 Quest’ultimo aspetto è stato favorito dall’esistenza di una struttura normativa stabile, semplice e non discriminante, che ha garantito la libertà economica generando una forte concorrenza interna, da una legislazione tesa a favorire l’ingresso di capitali dall’estero, dalla sottoscrizione di una lunga serie di accordi commerciali di libero scambio con diversi paesi e regioni del mondo ed, infine, da una drastica e progressiva riduzione dei dazi doganali. Un altro fattore che ha evitato che il Paese soffrisse le conseguenze del difficile panorama internazionale e soprattutto regionale, è stato la diversificazione dei mercati di destinazione delle esportazioni, che rappresentano i due terzi del PIL cileno, attuata attraverso la ripartizione equilibrata fra Europa, Stati Uniti, Asia e America Latina, allo scopo di ridurre la dipendenza da un solo blocco commerciale. Tra le altre ragioni di stabilità del Paese si evidenzia, inoltre, l’adozione di una rigorosa e anticiclica politica fiscale, concentrata a mantenere elevate le riserve nazionali e a ridurre il debito pubblico limitando gli investimenti industriale e sociali. Per quanto riguarda la struttura produttiva, Il Cile è riconosciuto a livello mondiale come uno dei principali esportatori di frutta, ortaggi e vini, che costituiscono alcuni dei suoi principali motori di crescita, in particolar modo i vini godono di fama mondiale per qualità e quantità. Nel 2001, il settore agricolo, del bestiame (bovini, caprini, suini, ovini, pollame) e silvicolo ha registrato una crescita del 4,7% rispetto all’anno precedente. Il Cile, oltre ad essere favorito dal fattore stagionale, ovvero l’opposizione delle stagioni fra l’Emisfero Sud e Nord, che gli permette di offrire i propri prodotti a paesi con maggiore consumo durante il loro periodo invernale, gode anche di ottime condizioni fitosanitarie. I prodotti esportati sono più di 500, tra i quali primeggiano uva da tavola, kiwi, mele, pere, prugne e albicocche. Stati Uniti ed Europa consumano il 70% della frutta e verdura esportata. Nel sottosettore agricolo si evidenziano la produzione di semi e ortaggi, mentre in quello del bestiame emergono l’allevamento di suini e di pollame. Il settore della pesca, infine, nel 2001 ha presentato una crescita del 12,1% rispetto al precedente anno. All’interno del comparto industriale il settore più importante è senz’altro quello minerario, che contribuisce con più del 42,6% alle esportazioni cilene. Il Cile partecipa con il 35% alla produzione mondiale di rame, occupa, inoltre, il primo posto nella produzione mondiale di nitrati, iodio e litio ed il quarto posto in quella di borati. La produzione di rame in Cile é cresciuta ininterrottamente nell’ultimo decennio, infatti, da 1,6 milioni di tonnellate di rame fino prodotto nel 1990 ha raggiunto i 4,7 milioni nel 2001 (2,8% in più rispetto al 2000). Durante il 2001 l’industria manifatturiera ha registrato una flessione dello 0,3% rispetto al 2000. La produzione si è mostrata contenuta, a causa della minor domanda dei mercati esteri di prodotti di capitale o di consumo 100 durevoli, e per la tendenza delle aziende del settore a ridurre le rimanenze accumulate nel trascorso del 2000. Fra le voci componenti i beni di consumo, si evidenzia il buon andamento dei macchinari non elettrici, generato principalmente da un aumento delle esportazioni verso gli Stati Uniti. Da menzionare, inoltre, la maggior produzione di vini e liquori generatasi da una buona raccolta di uva da vino legata ad un aumento della domanda da parte dell’Inghilterra e di altri paesi europei. La produzione di mobili ha registrato una diminuzione dovuta alla chiusura di alcuni impianti per la lavorazione del legno, stesso comportamento si è registrato nell’attività dell’industria del tabacco e dell’industria dell’abbigliamento. Fra i beni intermedi si evidenzia il buon andamento dell’attività di raffinazione del petrolio e di produzione di minerali non metallici, quest’ultima favorita da un aumento della domanda del settore dell’edilizia. Al contrario, le tipografie e le aziende cartarie e cartotecniche hanno influito negativamente sull’andamento dell’industria manifatturiera a causa di un’importante diminuzione degli acquisti da parte del Brasile. Il settore forestale è uno dei più dinamici dell’economia nazionale, tanto da partecipare con il 12% al totale delle esportazioni nazionali. Le principali specie commercializzate sono il pino radiata e l’eucalipto. La produzione di mezzi di trasporto, camioncini e automobili ha registrato una flessione dovuta alla diminuzione delle esportazioni verso il Messico. La diminuzione registrata nella produzione di macchinari e accessori elettrici è derivata in parte all’instabilità della situazione economica argentina. Fra i prodotti esportati si evidenzia la crescita della produzione di carta e derivati dovuta principalmente all’aumento delle esportazioni di cellulosa verso Cina, Corea e Taiwan. Per quanto concerne il settore terziario, l’attività nell’ambito commerciale è cresciuta del 3%, derivante soprattutto dall’aumento delle vendite di prodotti agricoli e industriali. Il settore trasporti e telecomunicazioni è aumentato del 5,9% nel 2001; si evidenzia il sostenuto ritmo di crescita del settore delle telecomunicazioni generato dal servizio di telefonia mobile e dai servizi telefonici extra urbani ed internazionali. Il trasporto aereo, infine, ha visto una crescita sotto la media, generata da una flessione registrata nell’ultimo quadrimestre del 2001 a causa di un importante calo del flusso di passeggeri dopo gli attentati negli Stati Uniti. Per ulteriori informazioni economiche si rimanda alla tabella 3.19. 101 Tabella 3.19 Dati economici fondamentali 1998 1999 2000 2001 Tasso di c. valuta locale per US$ 460,29 512,81 537,93 636,39 PIL in $ a prezzi correnti (mln) Variazione annua del PIL reale (%) 73.063 3,9 67.126 -1,1 70.223 5,4 64.215 2,8 Variaz. della prod. industriale (%) -0,7 -3,4 6,7 2,5 Tasso di inflazione (%) 5,1 3,3 3,8 3,6 Tasso di disoccupazione (%) 6,2 9,7 9,2 9,2 Rapporto debito pubblico/PIL (%) n.d. n.d. n.d. n.d. Debito estero totale in $ (mln) 36.321 37.762 39.035 39.571 % sul PIL 49,7 56,3 55,6 61,6 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.4.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci consentono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella seguente (tabella 3.20). Tabella 3.20 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) Consumi privati Consumi pubblici Investimenti 1998 65,5 11,2 26,0 1999 64,1 12,0 21,9 2000 63,3 12,2 22,3 2001 61 12,1 22 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.4.4 Relazioni con l’estero Per quanto riguarda le relazioni economiche internazionali, un Paese con un mercato interno di ridotte dimensioni come quello cileno ha la necessità di partecipare attivamente al commercio internazionale con l’obiettivo di mantenere un sostenuto tasso di crescita, livelli di occupazione, tecnologie innovative ed una efficace ottimizzazione delle risorse. Esso, pertanto, intende introdursi nel contesto internazionale in modo ampio e flessibile; attraverso un inserimento che gli permetta di partecipare attivamente ai processi d’integrazione regionale e bilaterale e che assicuri un quadro legale ed economico certo agli esportatori ed importatori cileni. 102 Nell’ambito della regione sudamericana il Cile è uno dei pochi paesi che ha scelto finora di non formare parte integrante dei grandi blocchi commerciali esistenti nell’area, caratterizzandosi per una politica estera nota come regionalismo aperto, che privilegia gli accordi bilaterali con quei partner che mantengono modelli economici simili a quello in vigore nel Cile. L’inserimento cileno deve abbinare l’apertura commerciale alla protezione degli interessi nazionali, senza che questi ultimi agiscano come barriera per il commercio. Al fine di garantire questo equilibrio nel commercio bilaterale, il Cile partecipa attivamente al WTO. Nel 1996, il Cile ha sottoscritto un accordo di cooperazione con l’Unione Europea e, nel 2002, in occasione del vertice a Madrid tra UE, America Latina e Carabi, è stato siglato un accordo di associazione che comprende la creazione di una zona di libero scambio, l’attivazione di un dialogo politico e un’ampia cooperazione, copre i beni, i servizi, gli investimenti, gli appalti pubblici, la proprietà intellettuale e le risoluzioni delle controversie. Nel 2001, il clima recessivo mondiale, generato sia dalla crisi che ha colpito l’Argentina sia dalla contrazione della economia degli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre, si è tradotto in una brusca caduta del valore del commercio estero, tanto nelle importazioni quanto nelle esportazioni. Tale congiuntura economica negativa, che non si osservava dal 1982, ha colpito profondamente anche l’economia cilena, essendo una delle economie più aperte dell’America Latina. La decelerazione mondiale ha avuto ripercussioni sul Paese attraverso la contrazione della domanda esterna e la caduta dei prezzi dei beni latino-americani esportati, provocandone la diminuzione del PIL, dovuta soprattutto al peggioramento della ragione di scambio tra il Cile e il resto del mondo. Nonostante il panorama appaia fortemente negativo, il Cile rimane tuttavia un Paese con un’economia solida, dato dimostrato dal fatto che, nonostante la bilancia commerciale (tabella 3.21) abbia registrato nel 2001 un surplus di 1.563 milioni di dollari (confermando la posizione del Cile come paese fortemente esportatore), si sono registrate variazioni negative sia nelle esportazioni sia nelle importazioni, rispettivamente del 4% e del 5%. Un fattore determinante nell’evoluzione degli scambi con l’estero è attribuibile alla diminuzione dell’11,6% dei prezzi dei beni. Una variazione così negativa del commercio estero non si registrava dal 1998, anno in cui l’economa cilena ha dovuto affrontare uno scenario estremamente complesso dovuto agli effetti della crisi asiatica. Dal 1998 al 2001 il valore complessivo del commercio estero è passato da 32.178 milioni di dollari a 33.317 milioni, con una crescita del 3%. Risulta, però, importante sottolineare che lo stesso valore ha subito una brusca variazione negativa nel corso dell’ultimo anno, registrando una caduta del 4,5% e, quindi, confermando il trend negativo di cui tutte le economie mondiali stanno soffrendo. In generale, il Cile si presenta nel 103 mercato mondiale come un Paese fortemente orientato al commercio estero con un grado di apertura commerciale pari al 52%. Tabella 3.21 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di beni in $ (mln) in % del PIL variazione annua % Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di servizi in $ (mln) in % del PIL variazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) 1998 14.831 20,3 -11,0 17.347 23,7 -4,8 -2.516 4.122 5,6 0,3 4.236 5,8 4,3 -114 1999 15.616 23,3 5,3 13.952 20,8 -19,6 1.664 3.790 5,6 -8,1 4.106 6,1 -3,1 -316 2000 18.159 25,9 16,3 16.721 23,8 19,8 1.438 3.931 5,6 3,7 4.488 6,4 9,3 -557 2001 17.440 27,2 -4,0 15.877 24,7 -5,0 1.563 4.256 6,6 8,3 4.625 7,2 3,1 -369 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Per quanto concerne le importazioni cilene dal mondo (tabella 3.22), nel quadriennio 1998-2001 sono diminuite del 2,55%, passando da 15.776,23 milioni di dollari a 14.600,99 milioni. Nel 2001 l’Argentina figura come principale Paese fornitore con una quota di mercato del 18,68%, superando gli Stati Uniti che fino all’anno precedente si collocavano al primo posto. Infatti, nel suddetto periodo, il flusso di importazioni dagli USA è diminuito dell’11%, determinando un ridimensionamento della quota di mercato del Paese, scesa dal 23,8% del ‘98 al 18,16% del 2001. A conferma della crescente importanza del mercato regionale all’interno dell’America Latina, il Brasile si mantiene al terzo posto con una quota del 9,33%, in crescita in corso del quadriennio. Anche l’Asia risulta essere un’area di interscambio rilevante, soprattutto grazie alla Cina, che si afferma nel 2001 come il quarto fornitore cileno, con una quota di mercato pari al 6,35%. L’Italia ha considerevolmente perso quota nel suo ruolo di fornitore del Cile, fermandosi in undicesima posizione con una quota di mercato del 2,75%, registrando nell’ultimo quadriennio una diminuzione del 14,27%. 104 Tabella 3.22 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2001 % del tot. Paesi fornitori 2001 % del tot. Stati Uniti Giappone Regno Unito Cina Italia 18,26 12,3 7,0 5,83 4,63 18,68 18,16 9,33 6,35 2,75 Argentina Stati Uniti Brasile Cina Italia (11°) Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it I principali comparti merceologici dell’import cileno (tabella 3.23) riguardano gli apparecchi elettrici e di precisione (15,3% sull’import totale), i prodotti chimici e le fibre sintetiche artificiali (13,8%), le macchine e gli apparecchi meccanici (13,5%), i prodotti delle miniere e delle cave (13,3%) e gli autoveicoli (8,9%). Tabella 3.23 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2001 Rame US$ mln Beni importati 2001 6.084 Oli di petrolio di minerali bituminosi, greggi Uva 627 Autoveicoli da turismo Cellulosa, carta, cartoni, 518 Gas naturale editoria e tipografia Vino con denominazione 454 Apparecchi trasmittenti e d’origine ricettori US$ mln 1.727 338 320 297 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it L’interscambio con l’Italia (tabella 3.24) registra, nel 2001, una bilancia commerciale favorevole al Cile, con un saldo attivo di 413,57 milioni di dollari, confermando il costante trend positivo per il Paese sudamericano osservato nel quadriennio 1998-2001. Il saldo positivo ha raggiunto il massimo livello con 431,83 milioni di dollari nel 2000, anno che ha segnato un’inversione di tendenza; infatti nel 2001 si segnala la prima diminuzione, sebbene contenuta, del quadriennio. I comparti più rilevanti delle importazioni dall’Italia sono le macchine ed apparecchi meccanici, con un peso del 43,19% sull’import totale dal nostro Paese ed una crescita del flusso nell’ultimo anno pari a 17,4% (173,5 milioni di dollari), i prodotti chimici e le fibre sintetiche artificiali, che hanno evidenziato un progressivo incremento dell’import nel corso degli ultimi tre anni attestandosi nel 2001 a 46 milioni di dollari (+16,1% sull’anno precedente) e gli apparecchi elettrici 105 e di precisione, che alimentano un flusso importativo del Cile dal nostro Paese pari al 11,4%. I comparti più rilevanti tra le esportazioni verso l’Italia sono, invece, i metalli ed i prodotti in metallo, la carta, i prodotti di carta, stampa ed editoria ed i prodotti alimentari, le bevande ed il tabacco. Tabella 3.24 Interscambio commerciale Italia – Cile Esportazioni (mln di Euro) variazione annua % % su export tot. Italia Importazioni (mln di Euro) variazione annua % % su import tot. Italia Saldi (mln di Euro) 1998 571,7 3,7 0,3 606,3 32,8 0,3 -34,6 1999 394,05 -31,1 0,2 691,5 14,1 0,3 -29,7 2000 443,6 12,6 0,2 940,8 36,1 0,4 -49,7 2001 417,8 -5,8 0,2 981,3 4,3 0,4 -563,4 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Ultimo aspetto interessante relativo al commercio estero cileno è quello relativo alla regolamentazione degli scambi. A partire dal primo gennaio 2003 il dazio doganale generale cileno si è ridotto dal 7% al 6%. Inoltre, sui prodotti importati è obbligatorio pagare l’IVA, pari al 18% del valore CIF della merce. Esistono, poi, alcune imposte addizionali relative ai prodotti di lusso, che vanno dal 50% al 60%. Sono in vigore alcune restrizioni alle importazioni, relative ai pneumatici usati ed ai veicoli motorizzati. Alcuni prodotti necessitano, infine, di una specifica certificazione per lo sdoganamento (ad esempio, armi ed esplosivi, alimenti, carne, medicinali, ecc.). Sebbene il Cile faccia parte del sistema generale di trattamenti preferenziali fra i paesi in via di sviluppo, i prodotti privilegiati sono pochi e la riduzione dei dazi scarsa. Più importanti sono i trattamenti preferenziali nel campo degli accordi commerciali bilaterali, soprattutto quello con il MERCOSUR e con gli altri paesi dell’America Latina (Bolivia, Colombia, Ecuador, Venezuela, Perù), oltre a quelli firmati con il Canada, il Messico, e i paesi dell’America Centrale: Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e Nicaragua ed al recente Accordo di Associazione con l’Unione Europea. 3.4.5 Rischio Paese Il Cile è considerato un Paese a basso rischio (2a categoria su 7). Il grado di incertezza commerciale associato a ritorni di investimento è basso e l’attuale possibile fattore di rischio per il Paese è di tipo politico, derivante da un 106 fenomeno di corruzione in ambito governativo. Tuttavia, questo non dovrebbe deteriorare la fiducia dell’opinione pubblica nei politici cileni. Infatti, l’indice di gradimento del Presidente Ricardo Lagos dopo due anni di governo è pari al 50%. 107 3.5 La Cina La Cina è un Paese in via di sviluppo appartenente alla regione dell’Asia. Le sue caratteristiche fisiche sono illustrate nella figura 3.5, mentre i principali dati economici sono contenuti nella tabella 3.25. Figura 3.5 La Cina: posizione e caratteristiche geografiche Tabella 3.25 Dati di base Superficie Popolazione Densità di popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 9.600.000 kmq 1.280.975 circa 128.8 abitanti/kmq Putonghua (cinese mandarino) nessuna religione ufficiale Yuan/RenMinBi (CNY)52 Repubblica Socialista Pechino Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 52 Lo Yuan è detto anche RenMinBi, cioè moneta del popolo. Il tasso di cambio a marzo 2003 è pari a: 1 US$ = 8,28 RMB e 1Euro = 8,94322 RMB. 109 3.5.1 Situazione politica e sociale La Cina, denominata Repubblica Popolare Cinese (RPC), è suddivisa in 31 unità amministrative, distinte in province (22), regioni amministrative speciali (5) e municipalità (4). Il potere legislativo è affidato all’Assemblea Popolare Nazionale che, a sua volta, nomina al suo interno il Comitato Permanente. Quest’ultimo ha la funzione di esercitare i poteri tipici dell’Assemblea quando questa non è riunita in sessione. Infine, il comitato nomina il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro ed il Governo. Con oltre un miliardo di abitanti ed una grande varietà di risorse, la Cina è destinata a pesare sempre più sugli equilibri mondiali. Nel secondo dopoguerra essa ha puntato su una mobilitazione programmata delle proprie risorse umane e naturali in condizioni di relativo isolamento ed ispirandosi al modello economico socialista. Si sono registrati notevoli progressi nel grado di istruzione, si è rafforzata l’autorità dello Stato, è aumentata la produzione alimentare e la dotazione dei servizi essenziali, tutto ciò, però, ha comportato pesanti limitazioni alle libertà personali della popolazione. Infatti, per ridurre l’attuale tasso di crescita della popolazione vengono diffusi molti sistemi di contraccezione. Per scoraggiare i matrimoni non viene concessa una casa alle nuove famiglie, a meno che il marito non abbia compiuto 30 anni e la moglie 25; viene, poi, considerato socialmente scorretto avere più di un figlio, di conseguenza, le nascite successive alla prima sono sottoposte a una sorta di autorizzazione da parte degli organi pubblici di pianificazione famigliare. Lo sviluppo economico del Paese risulta essere ancora inadeguato, per questo a partire dagli anni ‘90, con lo scopo di accelerare il processo di industrializzazione, si è aperta la strada a forme di collaborazione con le potenze capitaliste, continuando, tuttavia, a reprimere duramente le varie forme di dissenso interno53. Ulteriori indicatori socio-politici sono contenuti nella tabella 3.26. 53 Fonte informativa: Cornaglia B., Lavagna E., Geografia del mondo d’oggi, Zanichelli, Bologna, 1997, p. 114 e segg. 110 Tabella 3.26 Principali indicatori socio-politici della Cina Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % della popolazione totale Popolazione attiva in % della popolazione totale Spesa pubblica per istruzione % sul PNL Tasso di alfabetizzazione (%) Tasso di scolarizzazione (%): Scuola inferiore Scuola superiore Università Indice di sviluppo umano Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.5.2 VALORI ANNO 0,7 32,1 57,9 2,3 84 2003 2000 2000 1996 2000 122,7 70,1 6,1 0,701 (98°) 1997 1997 1997 1999 Quadro economico e principali variabili Nel 1991, il Governo cinese ha accelerato il processo di riforma ed apertura del Paese e, dal 1993, ha adottato la formula di una “economia socialista di mercato”. A partire dal XIV Congresso Nazionale del Popolo del 1992, il Partito Comunista si è impegnato, infatti, a sostenere la crescita di un’economia socialista di mercato. Nell’ambito delle unità produttive è possibile, quindi, distinguere tra: • imprese statali: che operano sotto il controllo dei ministeri e degli organi amministrativi centrali e nel 2000 hanno originato il 47,3% della produzione industriale totale; • imprese collettive: attive per lo più al di fuori dell’organizzazione centrale, sono spesso poste sotto il controllo di organi amministrativi locali. Sono simili per struttura alle cooperative e nel 2000 sono state fonte di circa il 13,9% della produzione industriale totale; • imprese azionarie: il peso di tali imprese è in forte crescita (11,8% del totale), anche grazie alle ultime disposizioni normative adottate dal Governo cinese, che tende a favorire sempre di più lo sviluppo dell’impresa privata. Nel corso degli ultimi anni la struttura economica della Repubblica Popolare Cinese si è fortemente diversificata ed ormai comprende quasi tutti i principali settori produttivi. Le riforme economico-industriali che sono state realizzate negli ultimi due decenni hanno avuto come principale obiettivo la crescita dell’industria leggera, dei servizi e del commercio internazionale. La crescente importanza di tale industria è testimoniata anche dall’evidente 111 variazione del peso dei singoli settori nella composizione del PIL: in poco più di venti anni (1980-2002), l’agricoltura è passata dal 30,1% al 14,8%, mentre il terziario contribuisce oggi per il 34,0%, a fronte del 25% del passato. L’agricoltura rappresenta da sempre un settore di importanza strategica, in quanto la Cina, dotata di circa il 7% della superficie arabile globale, ospita quasi un quinto della popolazione mondiale. Nel 2000 la crescita della produzione agricola è stata del 2,8%. Con una superficie coltivata pari a circa il 10% del territorio, la Cina è uno dei maggiori produttori agricoli mondiali. Le principali coltivazioni sono: cereali (soprattutto riso, grano e soia), cotone, canna da zucchero e the; importante è anche l’allevamento di bestiame (bovini e suini). La Cina è, inoltre, il primo Paese al mondo per quanto riguarda il settore della pesca. Negli ultimi piani quinquennali è stata assegnata una notevole attenzione ai problemi di autosufficienza alimentare e di sviluppo del settore agricolo, con una sempre maggiore apertura verso l’introduzione di tecnologie innovative e di una riforma del sistema agricolo tradizionale. Sebbene molte imprese cinesi stiano soffrendo di eccesso di capacità produttiva, il settore industriale, che conta per il 51,2% circa nella formazione del PIL, ha registrato anche nel 2001 una forte crescita, pari al 7,9%, con un incremento dell’1,1% rispetto a quanto registrato nel 2000. Il valore della produzione ha segnato tassi positivi per tutte le tipologie di imprese, in particolare per le FFE (Foreign Founded Enterprises, +29,4%). Ciò conferma che per i nuovi settori economici, le aziende private e le “public company”, la crescita è molto più dinamica rispetto ai settori tradizionali e alle imprese statali (+14%), che comunque stanno recuperando posizioni. Nell’ambito dell’industria manifatturiera, che genera la maggior parte della produzione industriale, i principali comparti di attività sono rappresentati da quello degli impianti elettronici e di telecomunicazioni (8,8% della produzione manifatturiera totale), del tessile ed abbigliamento (8,7%) e degli alimentari (8,1%). Nel settore industriale è stato realizzato un passaggio significativo dall’industria pesante, che si concentra soprattutto nel nord-est e sud-est della Cina, all’industria leggera, con produzioni destinate sia al mercato interno sia a quello internazionale. Nelle aree costiere meridionali e soprattutto nelle zone economiche speciali predominano le industrie leggere (con capitali provenienti in gran parte dai NIC) produttrici di beni destinati principalmente all’esportazione. I comparti produttivi principali sono: l’agroalimentare, la farmaceutica, l’elettronica, il tessile, l’industria mineraria e quella petrolchimica. Nei prossimi anni verrà riservata particolare attenzione, oltre che all’industria agraria, alle cosiddette industrie di base (pillar industries) della meccanica, elettronica, petrolchimica, automobilistica e delle industrie high tech. 112 Lo sviluppo del terziario, che si stima nel 2001 sia cresciuto più velocemente dell’incremento del PIL reale (8,6%), continuerà anche nei prossimi anni, in quanto è considerato un settore prioritario, soprattutto per la capacità di rapida creazione di posti di lavoro che permetterebbe di assorbire la manodopera in eccesso. Questo settore sta beneficiando, infatti, dello sviluppo e della trasformazione dell’economia cinese che genera una domanda crescente di servizi in campo legale, finanziario, commerciale, ecc. A seguito dell’adesione della Cina al WTO, il Governo ha ribadito la necessità della graduale apertura del settore dei servizi, in particolare di quelli finanziari, assicurativi e commerciali. Ulteriori indicazioni circa l’economia del Paese sono contenute nella tabella 3.27. Tabella 3.27 Dati economici fondamentali Tasso di c. valuta locale per US$ PIL in $ a prezzi correnti (mld) Variazione annua del PIL reale (%) Variaz. della prod. industriale (%) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione (%) Rapporto debito pubblico/PIL (%) Debito estero totale in $ (mln) % sul PIL 1998 1999 2000 2001 8,279 954 7,8 8,9 -0,8 3,1 n.d. 154.599 16,2 8,278 1.000 7,1 8,1 -1,3 3,1 n.d. 154.223 15,4 8,279 1.081 8 9,6 0,4 3,1 n.d 145.043 13,4 8,277 1.180 7,3 9,5 0,7 3,5 n.d. 139.455 11,8 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.5.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono i consumi, gli investimenti ed il peso che questi hanno sul PIL del Paese. Per quanto riguarda la Cina, i dati disponibili in merito sono contenuti nella tabella 3.28 Tabella 3.28 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) Consumi privati Consumi pubblici Investimenti 1998 46,7 12 35 1999 47,5 12,6 35,6 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 113 2000 48 13,1 36,5 2001 46,7 12,7 37,5 Nel 2001, i consumi delle famiglie hanno registrato un andamento positivo, rilevando un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. E’, dunque, ripresa la fiducia dei consumatori in attesa degli effetti delle ristrutturazioni che stanno avendo luogo nei sistemi di previdenza sociale, istruzione, sanità ed edilizia pubblica. Infatti, l’abbandono della politica di welfare assistenzialista aveva indotto le famiglie ad un atteggiamento di radicata prudenza, nutrita anche dall’incipiente aumento dei licenziamenti per la ristrutturazione delle aziende statali non più fonti di profitto. L’aumento dei consumi ha consentito di riconsiderare la consistenza degli investimenti pubblici, il cui mantenimento agli stessi livelli sarebbe stato possibile solo a prezzo di un alto deficit di bilancio. Nel 2001 gli investimenti pubblici sono aumentati del 12%, un punto percentuale in più rispetto al 2000. I 18 miliardi di dollari americani raccolti attraverso l’emissione di Titoli di Stato (pari al 3% del PIL nazionale) utilizzati per il finanziamento delle opere pubbliche, hanno rappresentato solamente il 5% del valore totale degli investimenti cinesi che, nel 2001, hanno superato il valore di 400 miliardi di dollari USA. 3.5.4 Relazioni con l’estero Per quanto riguarda il capitolo delle relazioni internazionali, a partire dal 1979, la Cina ha adottato la cosiddetta “politica della porta aperta”, cioè di progressiva integrazione con le economie del resto del mondo e, in particolare, con quelle occidentali. Uno degli strumenti cardine di tale politica è stata l’incentivazione degli investimenti esteri, attraverso la creazione di un clima favorevole, sia dal punto di vista legislativo, sia delle infrastrutture. In quest’ottica deve anche essere vista la partecipazione della R.P.C. a diversi organismi internazionali, come FAO, WTO, IMF, APEC, ecc. Le linee della collaborazione economico-finanziaria tra l’Italia e la Cina vengono solitamente definite in sede di Commissione Mista Italo-Cinese, presieduta dai rispettivi Ministri del Commercio Estero. La bilancia commerciale (tabella 3.29) registra, nel 1998, una riduzione dell’interscambio (-0,4%) ed è seguita, nel 1999, da un incremento dell’11,3%, che ha portato il valore totale delle merci scambiate con il resto del mondo a 360,6 miliardi di dollari americani. Tale crescita è continuata, a ritmi ancora più elevati, nel 2000, quando l’interscambio ha raggiunto il valore complessivo di 474,3 miliardi di dollari (+31,5% rispetto all’anno precedente). Nel quadriennio 1997-2000 le importazioni della Cina sono aumentate più delle esportazioni con una conseguente riduzione dell’avanzo commerciale, sceso dai 40,4 miliardi del 1997 ai 24,1 miliardi del 2000. 114 Tabella 3.29 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di beni in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di servizi in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) 1998 183.529 19,2 0,5 136.915 14,4 0,3 46.614 23.895 2,5 -2,7 26.672 2,8 -4,6 -2.777 1999 194.716 19,5 6,1 158.734 15,9 15,9 35.982 26.248 2,7 9,8 31.589 3,2 18,4 -5.341 2000 249.131 23 27,9 214.657 19,9 35,2 34.474 30.431 2,8 15,9 36.031 3,3 14,1 -5.600 2001 266.154 22,6 6,8 233.824 19,8 8,9 32.330 28.909 2,4 -5 36.752 3,1 2 -7.842 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Nel quadriennio 1997-2000 le importazioni (tabella 3.30) cinesi dal mondo sono cresciute con una dinamica del 16,5%, passando dai 142,4 miliardi di dollari del 1997 ai 225,1 miliardi del 2000. Nel 1999 il valore assoluto delle importazioni è stato di 165,7 miliardi di dollari USA ed hanno manifestato un incremento del 18,2% rispetto all’anno precedente. L’alto tasso di cambio del RenMinBi (RMB) e la progressiva riduzione dell’impatto della crisi asiatica (con il recupero della capacità industriale ed esportativa dei paesi dell’Estremo Oriente) sono stati i fattori trainanti di questo risultato significativo. Nel 2000, l’aumento dei prezzi delle materie prime, ha provocato un incremento di circa l’82% delle importazioni di petrolio greggio, metalli grezzi, legno, e carta. In generale, in tale anno il principale fornitore del Paese è risultato essere il Giappone, con una quota di mercato (18,4%) in lieve contrazione a causa di una dinamica leggermente inferiore alla media (12,7%). Al secondo posto si posiziona Taiwan con l’11,3%, seguito dalla Corea del Sud con una quota mediamente stabile (10,3%) grazie ad una dinamica in linea con quella generale. Per quanto riguarda i principali paesi UE, la Germania ha registrato una dinamica superiore alla media (19%), ed è passata da una quota di mercato del 4,3% del 1997 al 4,6% del 2000, mentre le importazioni dalla Francia sono aumentate ad un ritmo nettamente inferiore a quello dell’import generale (6,8%), provocando una erosione della quota di mercato francese scesa sotto il 2%. Anche l’Italia 115 perde quote di mercato passando dall’1,7% del 1997 all’1,4% del 2000, a causa di una dinamica decisamente inferiore alla media (7,9%). Tabella 3.30 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2001 Stati Uniti Hong Kong Giappone Corea del Sud Italia (10°) % del Paesi fornitori 2001 tot. 20,4 Giappone 17,4 Taiwan 16,9 Stati Uniti 4,7 Corea del Sud 1,5 Italia (15°) % del tot. 17,6 11,2 10,8 9,6 1,6 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it La composizione merceologica delle importazioni cinesi (tabella 3.31), secondo dati di fonte locale, vede una netta prevalenza della meccanica strumentale ed il fenomeno è immediatamente associabile alla necessità di una diffusa e moderna industrializzazione, da raggiungere attraverso la tecnologia straniera. La voce più importante dell’import è, infatti, rappresentata da macchine, apparecchi meccanici, materiale elettrico e loro parti. Ciò a conferma che l’industria cinese dell’elettronica e dell’informatica è la terza nel mondo per fatturato. Si tratta, comunque, molto spesso di importazione di semilavorati che vengono utilizzati in successive fasi di processo e riesportati. La veloce industrializzazione del Paese sta dando luogo a due importanti fenomeni economici. Il primo vede il consolidarsi della Cina non soltanto come “economia di trasformazione”, ma anche come “opificio mondiale”, dove la combinazione della tecnologia straniera con le sempre migliori capacità manifatturiere del Paese consente produzioni di qualità accettabile a prezzi sensibilmente contenuti. L’altro consolidamento riguarda il ruolo di traino delle esportazioni collegate agli investimenti. Infatti, molto frequentemente, le joint venture acquistano prodotti che hanno origine nel Paese dell’investitore. Questo fenomeno è nettamente percepibile nel caso di semilavorati, parti e componenti che sono necessari alla qualità delle merci prodotte e, dunque, alla crescita delle loro possibilità di esportazione. Nel quadriennio 1997-2000 le importazioni della Cina dal mondo sono aumentate passando dai 142,4 miliardi di dollari del 1997 ai 225,1 miliardi del 2000. I principali comparti merceologici dell’import cinese sono, quindi, gli apparecchi elettrici di precisione (30% del totale importazioni), i prodotti chimici e le fibre sintetiche artificiali (14,3%), i metalli ed i prodotti in metallo (10,08%) e le macchine e gli apparecchi meccanici (10,05%). Le connotazioni tipiche di un Paese in via di sviluppo ed in rapida industrializzazione si riflettono anche nella composizione delle esportazioni 116 cinesi, dove risultano maggioritari ancora i prodotti di basso prezzo unitario, come quelli dell’industria tessile e dei componenti elettronici. Tabella 3.31 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2001 US$ mld Macchine ed apparecchi, 84,9 materiale elettrico e loro parti Indumenti e accessori di 32,4 abbigliamento Calzature ghette e oggetti 10,1 simili Giocattoli, giochi, oggetti 9,1 per divertimento o sport Beni importati 2001 Macchine ed apparecchi, materiale elettrico e loro parti Combustibili minerali, oli minerali e prodotti della loro distillazione Materie plastiche e lavori di tali materie Ghisa, ferro e acciaio US$ mld 96,5 17,5 15,3 10,9 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it La bilancia commerciale Cina-Italia risulta essere in deficit per la Cina nel biennio 1996-97, mentre a partire dal 1998 l’andamento si è invertito a suo favore. Nel 2000, il saldo passivo per il nostro Paese ammontava, quindi, a circa 724 milioni di dollari. In tale anno l’interscambio tra Italia e Cina (tabella 3.32) ha raggiunto 6,9 miliardi di dollari americani e questo rappresenta il valore più alto registrato negli ultimi anni. L’incremento rispetto all’anno precedente è stato del 23,2%, superiore alla crescita del 15,5% del 1999 e del 3,5% del biennio 1997-98. Tabella 3.32 Interscambio commerciale Italia – Cina Esportazioni (mld di Euro) variazione annua % in % su export tot. Italia Importazioni (mld di Euro) variazione annua % in % su import tot. Italia Saldo (mln di Euro) Interscambio (mld di Euro) var. assoluta (mld di Euro) 1998 1,84 -17,14 0,8 3,34 11,86 3 778 -2,50 -0,84 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 117 1999 1,83 -0,44 0,8 5,0 15,19 2,4 516 -3,17 -0,66 2000 2,38 29,77 0,9 7,03 40,51 2,7 132 -4,65 -1,48 2001 3,27 37,46 1,2 7,48 6,44 2,9 -94 4,21 -0,44 Nel 2000, il valore delle importazioni della Cina di prodotti ha raggiunto i 3,1 miliardi di dollari USA. Il dato riflette un incremento del 14,9% rispetto al ‘99. Si tratta di un buon recupero rispetto all’analogo dato del ‘98 (-7%), ma minore rispetto a quanto fatto registrare nel 1999 (+17,6%), nonché della media generale dell’import cinese (35,8%). L’Italia ha, comunque, mantenuto la quarta posizione tra i fornitori europei (la supremazia è della Germania, seguita a distanza da Francia e Regno Unito). La grande maggioranza dei prodotti importati dalla Cina è composta da macchinari, che hanno spesso costituito la base tecnologica dell’industria leggera cinese. A quest’ultima, in particolare quella tessile e della lavorazione della pelle, vengono, inoltre, fornite le materie prime ed i semilavorati necessari per i prodotti finiti. Nel dettaglio, le importazioni del comparto cuoio e prodotti in cuoio sono diminuite costantemente fino al 1998, ma a partire dal 1999 hanno fatto registrare una netta ripresa consolidatesi nel 2000. In tale anno, con una crescita del 72,6% hanno raggiunto il valore di 332 milioni di dollari. Anche se non hanno conseguito ragguardevoli importi monetari, i beni di consumo italiani stanno affermandosi lentamente anche in Cina. Si tratta di un fenomeno in via di consolidamento, grazie al riconosciuto prestigio del made in Italy, al carattere internazionale della città e all’accresciuto reddito di una parte non marginale della popolazione. Nel 2000, le esportazioni cinesi verso l’Italia hanno continuato a crescere. L’aumento del 29,8% è stato maggiore sia di quello già ampiamente positivo del 1999 (+13,7%), nonché di quello generale dell’export cinese (27,8%). La composizione merceologica delle esportazioni della Cina verso l’Italia è decisamente più articolata dell’import. I due grandi macrosettori dei beni strumentali e dei beni di consumo sostanzialmente si equivalgono. I valori più consistenti sono rilevati per i prodotti della meccanica, dell’elettronica e dell’industria tessile, per la seta, per i componenti chimici e la pelletteria. Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero della Cina è la regolamentazione delle importazioni. Le importazioni della RPC sono soggette a delle tariffe di importazione con aliquote generali o minime. Le aliquote più basse, varianti tra il 2% ed il 150%, sono applicate alle importazioni provenienti dai paesi con cui la Cina ha stipulato degli accordi di tipo Most Favoured Nation (come con l’Italia), mentre le aliquote generali, che vanno dall’8% al 180%, vengono applicate alle merci provenienti da tutti gli altri paesi. Le aliquote vengono fissate dalla Commissione per le Tariffe Doganali sulla base di una serie notevole di considerazioni, quali la necessità di alcuni beni per la realizzazione dei piani statali, la capacità dell’industria nazionale di produrre in quantità sufficienti, l’ammontare delle forniture, i prezzi medi praticati, ecc. 118 A seguito dell’adesione alla Cina nella WTO, le tariffe doganali sulla maggioranza dei prodotti subiranno riduzioni costanti e ripetute privilegiando beni strumentali e materie prime rispetto a beni di consumo. In aggiunta alle tariffe all’importazione, dal 1 gennaio 1994 è in vigore l’IVA sulle importazioni.Tale imposta, pari al 13% o al 17% a seconda del prodotto, viene applicata ad valorem sul prezzo CIF dei prodotti importati, a cui deve aggiungersi il dazio d’importazione e la tassa sui consumi gravanti sui prodotti stessi (la tassa sul consumo è in vigore solo per una decina di beni, tra cui gli alcolici, ed è pari a circa l’8%). A decorrere dal primo gennaio 1998, sono state applicate nuove agevolazioni doganali e fiscali, sia alle imprese straniere operanti in Cina sia a quelle nazionali, per le importazioni di beni capitali ad alto contenuto tecnologico nel quadro di progetti di investimento nei settori definiti prioritari dal Governo, quali l’agricoltura, l’energia, i trasporti, la petrolchimica, la farmaceutica, l’edilizia e l’elettronica. L’obiettivo principale di questa misura è quello di attrarre un crescente numero di investimenti esteri, con particolare enfasi sulle importazioni di tecnologie e macchinari avanzati, così da migliorare la struttura industriale e lo sviluppo tecnologico cinese, consentendo una maggiore razionalizzazione economica e produttiva, oltre ad un riequilibrio delle disomogeneità socio-economiche nello sviluppo tra le regioni centro-occidentali e meridionali costiere del Paese. Esistono, infine, dei trattamenti preferenziali, infatti, con i paesi con cui la Cina ha sottoscritto l’accordo The Most Favoured Nation (MFN), tra cui l’Italia, i dazi all’importazione su tutte le merci sono ridotti rispetto ai prodotti provenienti da altri paesi. 3.5.5 Rischio Paese La Cina è classificata con Paese a rischio esiguo (2a categoria su 7). La prospettiva di rischio globale del Paese sta migliorando grazie ai favorevoli sviluppi commerciali, macroeconomci e di rischio esterno, tuttavia, esiste la possibilità che si verifichino delle tensioni a livello sociale, dato l’eccesso di manodopera, che comporterebbe non solo un aumento della disoccupazione, ma limiterebbe anche la domanda interna. Inoltre, le incertezze dovute ai timori circa l’impatto a medio termine dell’ingresso al WTO e il rischio politico normalmente associato alla Cina incoraggia il risparmio interno rispetto ai consumi. L’eccesso di offerta per i principali beni di consumo rappresenta un crescente problema ed è questo è il motivo principale della recente deflazione dell’indice dei prezzi al consumo. 119 3.6 La Corea del Sud (o Repubblica Democratica Coreana) La Corea del Sud (da qui in poi denominata Corea), come la Cina, è un Paese in via di sviluppo appartenente alla regione asiatica. La figura 3.6 ne illustra le principali caratteristiche geografiche, mentre la tabella 3.33 contiene i dati fondamentali. Figura 3.6 La Corea: posizione e caratteristiche geografiche Tabella 3.33 Dati di base Superficie Popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 99.143 kmq 22.519.000 circa coreano buddismo Won (KRW) Repubblica Presidenziale Seoul Fonte informativa: sitodell’ICE: www.ice.it 121 3.6.1 Situazione politica e sociale La Corea del Sud rappresenta la tredicesima economia mondiale, la terza in Asia orientale dopo Cina e Giappone, una delle realtà più solide tra i paesi emergenti. Il Presidente Roh Moo-hyun intende riformare l’economia coreana per renderla più aperta, competitiva e trasparente. L’obiettivo finale è quello di raddoppiare il reddito pro capite in dieci anni (da 10 mila a 20 dollari), privilegiando gli aspetti ridistribuitivi e di riequilibrio della struttura economica nazionale, promovendo lo sviluppo regionale (circa metà del PIL viene prodotto nella regione di Seoul, dove si concentrano anche i principali istituti finanziari, le università e centri di ricerca), limitando la posizione dominante dei grandi conglomerati industriali (i chaebol) e favorendo la crescita delle piccole e medie aziende. Per quanto riguarda l’istruzione, tra le giovani generazioni si può parlare di scolarità pari al 100%. Il sistema scolastico ed universitario è caratterizzato da due elementi fondamentali: la competizione ed il confucianesimo. Quest’ultimo disciplina ogni aspetto della vita dei suoi adepti. L’obbedienza ai superiori, il rispetto delle gerarchie e una vita frugale e moderata sono concetti insegnati sin da piccoli ed hanno di certo favorito un ambiente politico ed economico molto rigido come quello coreano. Lo stesso ruolo che il confucianesimo riserva alle donne, marginale nel campo del lavoro, ma fondamentale in quello dell’assistenza ai malati, ai figli e agli anziani, ha rinviato la nascita di un stato sociale avanzato, permettendo al governo di destinare le risorse alla costituzione di infrastrutture e al sostegno della produzione. L’importanza dello studio è una componente fondamentale della cultura moderna coreana; tuttavia, il rispetto dei principi confuciani, basati sull’imitazione, la ripetizione e l’assimilazione acritica, impedisce nei ragazzi lo sviluppo della fantasia e dell’inventiva con ripercussioni negative per il progresso tecnologico del Paese. Gli studenti delle scuole medie, inferiori e superiori, seguono con regolarità corsi paralleli a quelli ufficiali, con giornate scolastiche che durano fino a 14 ore. Tale visione estremista della cultura scolastica ha portato il governo all’emanazione di leggi per bloccare questa pratica di “lezioni extra”, che oltre a mortificare la vita quotidiana di tutte le giovani generazioni rappresenta un pesante fardello finanziario per le famiglie. Il livello, i metodi e i contenuti dell’insegnamento sono, comunque, piuttosto bassi: in generale chi va a ricoprire incarichi di alta responsabilità o prestigio (nell’amministrazione pubblica, nelle aziende, in campo culturale o in quello scientifico) ha sempre completato i suoi studi all’estero (USA e, di recente, Europa). Solo in questi ultimi anni il governo ha preso coscienza di tale effetto negativo e sta cercando di modificare dalle fondamenta i metodi di insegnamento, a qualsiasi livello. Ulteriori indicatori socio-politici sono contenuti nella tabella 3.34. 122 Tabella 3.34 Principali indicatori socio-politici della Corea Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % popolazione totale della Spesa pubblica per sanità % sul PNL Spesa pubblica per istruzione % sul PNL Tasso di analfabetismo (%) Tasso di scolarizzazione (%): Università Indice di sviluppo umano VALORI ANNO 0,7 81,9 2003 2000 2,5 3,7 2,2 1998 1997 2000 21,1 0,854 (31°) 1995 2002 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002 3.6.2 Quadro economico e principali variabili La struttura economica coreana è il risultato dell’interazione di fattori storici, politici e culturali. Il boom economico è iniziato nel 1961 con il colpo di stato che ha portato al potere i militari nella figura del generale Park. Prima di allora la Corea del Sud era tra i paesi più poveri, superata persino dalla Corea del Nord. Trent’anni di dominazione coloniale giapponese e una guerra civile avevano ostacolato lo sviluppo di un’efficiente sistema produttivo. Non potendo nemmeno godere delle risorse del sottosuolo di cui la Corea del Sud è priva, la politica economica della giunta militare ha portato alla creazione di un’industria fortemente concentrata e rivolta alle esportazioni. Le importazioni sono state ridotte al minimo ed è stata concessa l’autorizzazione solo a quei beni (materie prime, semilavorati e tecnologia) necessari alla crescita della produzione locale. Nei settori considerati strategici è stata favorita la nascita di monopoli a carattere pubblico o privato e sono state fortemente sostenute le esportazioni. Lo Stato ha assunto anche il controllo del credito e ha garantito salari bassi e pace sociale. L’appoggio offerto dal generale Park ai monopolisti privati ha finito col favorire la nascita di enormi gruppi industriali operanti in vari settori, denominati chaebol. Questi ultimi sono un insieme di aziende controllate da una stessa famiglia e legate da rapporti economici e finanziari. I chaebol non hanno, tuttavia, alcun significato in campo giuridico, essendo teoricamente vietata la costituzione di holding. Ciò li pone al di sopra della legge e tale posizione ha favorito lo svilupparsi di legami non certo trasparenti col mondo politico e finanziario. All’inizio, i chaebol si sono interessati esclusivamente al campo dell’industria leggera, tessile ad esempio, per 123 sfruttare l’abbondante manodopera a basso costo presente nel Paese. Una volta raggiunto un adeguato livello di accumulazione, essi hanno investito in modo ingente per la costituzione di una solida industria pesante (acciaio, cantieristica, elettronica) divenendo l’asse portante dell’economia coreana. Successivamente, la crisi asiatica del 1997, ha messo in evidenza gli aspetti negativi di tale gestione: mancanza di trasparenza, un elevato rapporto debito/capitale (spesso superiore al 400%) ed un legame perverso con le istituzioni finanziarie. I chaebol sono stati criticati, per la prima volta nella storia economica del Paese ed hanno dovuto subire una serie di restrizioni da parte della nuova amministrazione. Le Olimpiadi del 1988 e le successive elezioni del 1993 hanno portato la democrazia nel Paese, ciò nonostante la struttura economica è rimasta invariata. L’inevitabile globalizzazione di un’economia matura, quale quella coreana, non ha scalfito il modo della Corea di rapportarsi con gli altri, ma ha aperto notevolmente il Paese, che è entrato a far parte di importanti organizzazioni internazionali quali il WTO e l’OCSE. Tale fase di liberalizzazione ha prodotto un periodo di grande espansione tra il 1994 e il 1996 per poi incappare in una grave recessione alla fine del 1997. Solo con l’avvento, nel 1998, del Presidente Kim Dae Jung, i chaebol, asse portante dell’industria coreana, sono stati definitivamente messi in discussione ed è stato favorito l’ingresso di capitale straniero, sia sotto forma di investimenti diretti, sia di investimenti di portafoglio. La tumultuosa crescita economica degli ultimi trent’anni ha prodotto un’incisiva ristrutturazione della struttura produttiva, basata essenzialmente sul declino del settore agricolo a favore di quello industriale. Se nel 1970, infatti, l’agricoltura copriva il 23,3% del PIL con un numero di addetti pari al 52,9% della forza lavoro, nel 2002 la quota del PIL è scesa al 3,9% e il numero di addetti è sceso all’11%54. La principale coltura è il riso, punto di forza dell’alimentazione locale con un consumo annuo pro-capite di 136 kg; ne consegue che il 51% delle aree coltivabili è destinato a tale produzione. Per anni l’agricoltura aveva permesso di mantenere un elevato grado di indipendenza alimentare, attualmente la tendenza verso un’alimentazione più variata e meno legata al riso (occidentalizzazione della dieta coreana) ha reso necessaria l’importazione di grandi quantità di prodotti agricoli. Il settore secondario, come precedentemente detto, vede il ruolo predominante dei chaebol. Grandi gruppi privati, come Hyundai, Samsung, Daewoo e LG hanno avuto un ruolo decisivo nello sviluppo di alcuni settori industriali sud-coreani assieme ad alcune grandi aziende pubbliche (Korea Telecom, POSCO, Korea Heavy Industries, ecc.). I settori in cui si sono concentrate le attività industriali degli chaebol e delle grandi aziende 54 Dati aggiornati ad ottobre 2003. Fonte informativa: www.ice.it 124 pubbliche negli anni ‘60 e ‘70 sono stati principalmente l’acciaio, la cantieristica navale, le costruzioni e i grandi lavori all’estero, la petrolchimica. Poi, negli anni ‘80 e ‘90, il settore automobilistico, degli elettrodomestici, le telecomunicazioni e la componentistica elettronica. Il progressivo innalzamento del livello qualitativo dei prodotti e la sostanziale stabilità dei bassi prezzi hanno reso negli anni le merci sud-coreane sempre più diffuse, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e in tutta l’Asia: marchi come Hyundai, Samsung, Daewoo sono ora familiari e comuni ai consumatori di tutto il mondo. Oggi la Corea sta perseguendo una ristrutturazione dell’intero settore che favorisca la nascita della piccola e media impresa, trascurata per anni dal governo, e porti ad un ridimensionamento dei chaebol. Una volta raggiunta la fase di industrializzazione matura, la Corea ha registrato un lieve declino del settore manifatturiero a vantaggio del terziario che occupa una quota del PIL pari al 55,1% (2002). Il settore finanziario sta subendo grandi trasformazioni in questi ultimi anni. In primo luogo, la crisi asiatica e le drastiche misure di risanamento imposte dal Governo hanno portato alla chiusura di diversi enti per bancarotta, altri sono stati, invece, assorbiti da quelli più floridi. Altro settore dei servizi particolarmente attraente per gli investitori internazionali è quello alberghiero. La svalutazione dello won e la crisi del mercato immobiliare hanno favorito la nascita di complessi turistici. La diffusa tendenza alla cementificazione che si registra in Corea facilita la nascita di alberghi e ristoranti, non solo nelle grandi città ma anche nelle località turistiche. Ulteriori dati economici vengono indicati nella tabella sottostante (tabella 3.35). Tabella 3.35 Dati economici fondamentali 2000 1.043,19 1.130,9 416.789 9,3 17,23 2,26 4,12 19,26 129.856 28,12 Tasso di cambio valuta locale in € Tasso di c. valuta locale per US$ PIL in $ a prezzi correnti (mld) Variazione annua del PIL reale (%) Variaz. della prod. industriale (%) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione (%) Rapporto debito pubblico/PIL (%) Debito estero totale in $ (mln) • % sul PIL Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 125 2001 1.154,83 1290,9 427.934 3,2 1,02 4,07 3,75 16,99 114.896 26,85 2002 1.175,50 1.251 476.417 6,3 7,44 2,76 3,08 12,30 116.731 24,50 3.6.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono i consumi e gli investimenti ed il loro peso sul PIL del Paese. Per quanto riguarda la Corea, i dati disponibili sono contenuti nella tabella 3.36. Tabella 3.36 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) • Consumi privati • Consumi pubblici • Investimenti 2000 56,26 10,03 28,19 2001 58,12 10,33 26,88 2002 59,13 10,56 26,69 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Per trent’anni i consumi sono stati considerati in generale superflui e, comunque, da indirizzare all’interno del Paese, ad esempio, prodotti agricoli come riso, patate e fagioli avrebbero dovuto garantire l’autosufficienza. Solamente a metà degli anni ‘90 i consumi hanno cominciato ad assumere l’andamento e le caratteristiche di un Paese industrializzato, con un progressivo, seppur lento, miglioramento della percezione da parte dei consumatori dell’importanza della qualità, del disegno, dell’assistenza postvendita. Nella seconda metà degli anni ‘90 circa il 50% del PIL è stato destinato ai consumi privati. La crisi asiatica ha però inciso sui consumi che sono scesi, nel 1998, del 12% non solo per la difficile congiuntura sofferta dal sistema, ma anche per la necessità di risparmiare e ripristinare una situazione finanziaria compromessa. Al contrario dei consumi, gli investimenti sono stati l’elemento trainante dello sviluppo. Nella prima fase (dal 1962 al 1990) si sono prevalentemente concentrati nei settori poi diventati portanti della struttura industriale coreana (acciaio, cantieristica navale, elettronica, automobili, petrolchimico); nella seconda fase (dai primi anni ‘90) i chaebol (soprattutto Hyundai, Samsung, Daewoo, LG, SK) hanno cominciato ad investire all’estero, per conquistare in modo solido e duraturo mercati altrimenti di difficile penetrazione. Tra il 1979 e il 1996 gli investimenti sono cresciuti ad un tasso medio annuo del 15%. Nell’ultimo quadriennio l’andamento dei consumi e degli investimenti è stato assai dinamico: i primi sono passati da 264 milioni di dollari americani del 2000 agli oltre 286 del 2002; l’ammontare totale degli investimenti ha registrato un andamento altalenante, passando da un picco di 130 miliardi nel 2000 a 115 nel 2001, per poi risalire sino a 127 nel 2000. 126 3.6.4 Relazioni con l’estero Per quanto riguarda le relazioni internazionali della Corea, questa fa parte dei principali organismi internazionali, primo fra tutti l’ONU. Il FMI ha avuto un ruolo decisivo per il superamento della crisi asiatica grazie al prestito di 58,5 miliardi di dollari, la cui prima tranche è stata restituita dalla Corea nei primi mesi del 2001, e ad una forte pressione sulle autorità per riformare drasticamente il Paese. La Corea è entrata nel WTO nel 1995 e nell’OCSE nel 1996, ingresso simbolico del Paese nel grande mercato internazionale. Per quanto riguarda i rapporti con i paesi europei, questi sono stati ulteriormente cementati con il terzo meeting dell’ASEM svoltosi recentemente a Seul. L’Unione Europea sta, inoltre, dando il proprio appoggio alla sunshine policy, che mira alla mediazione tra i due paesi. A livello commerciale, invece, è ancora irrisolta la questione fra UE e Corea del Sud relativa al settore delle costruzioni navali che potrebbe, in caso di mancato accordo, portare i due contendenti dinanzi alla WTO. La Corea è, infine, membro della Banca Asiatica di Sviluppo e dell’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation). Fino al 1994 la Corea del Sud era un Paese fortemente protetto, essendo la limitazione delle importazioni un elemento fondante della politica economica della giunta militare. Durante gli anni ‘80 i mercati occidentali venivano invasi dai prodotti dei grandi conglomerati coreani. Solo a partire dal 1993 la Corea si è aperta al resto del mondo accettando la concorrenza straniera nel suo territorio. L’ingresso della Corea prima nel WTO e poi nell’OCSE rappresenta simbolicamente questo cambiamento. Questa nuova strategia è risultata ancora più marcata con lo scoppio della crisi asiatica, che ha costretto il Paese a cercare capitale estero per risollevarsi. L’elevato grado di apertura commerciale è testimoniato dal rapporto tra importazioni ed esportazioni sul PIL, pari al 65%; anche il grado di penetrazione delle importazioni si mantiene su livelli che rafforzano l’apertura del Paese alla globalizzazione dei mercati (il 31,8% della domanda interna è soddisfatta dalle importazioni mondiali). I principali indicatori della bilancia commerciale e di commercio estero relativi agli anni 2000-2002 sono contenuti nella tabella 3.37. Tabella 3.37 Principali indicatori di commercio estero 2000 175.782 38,07 21,09 159.181 34,47 Esp. di beni in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di beni in $ correnti (mln) • in % del PIL 127 2001 151.371 35,37 -13,89 137.979 32,24 2002 162.554 34,12 7,39 148.374 31,14 • variazione annua % Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ correnti (mln) • in % del PIL • variazione annua % Imp. di servizi in $ correnti (mln) • in % del PIL • variazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) 36,29 16.601 29.700 6,43 11,95 33.674 7,24 13,29 -3.974 -13,32 13.392 29.602 6,92 -0,33 33.128 7,68 -1,62 -3.526 7,53 14.180 28.143 5,91 -4,93 35.603 7,47 8,28 -7.461 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Per quanto riguarda le importazioni della Corea dal mondo (tabella 3.38), nel quadriennio 1998-2000 sono cresciute con una dinamica media annua del 8,3%, passando dai 119,7 miliardi di dollari americani del 1999 ai 152 del 2002. In tale periodo gli Stati Uniti sono stati superati dal Giappone, che attualmente è il principale partner commerciale della Corea del Sud, con un peso del 19,5% sull’import complessivo e una dinamica di crescita del 7,2%. Gli USA fanno, infatti, registrare una flessione del proprio export in Corea: 22,7 milioni di USD nel 2002 contro i 24,7 del 1999. Particolarmente significativa la performance della Cina (il Paese ha raddoppiato il valore dell’export verso la Corea dagli 8,4 milioni di dollari americani del ‘99 a 16,5 del 2002) con una quota, in crescita, del 10,9%; segue l’Arabia Saudita (4,9% di quota). Nel complesso l’Unione Europea esporta in Corea per un valore pari a circa il 10% del totale. In particolare, la Germania conferma il suo ruolo guida con una quota sull’import complessivo della Corea del 3,6%; l’Italia, sia pur rappresentando una quota marginale sull’import complessivo coreano (1,5%), registra nel quadriennio una dinamica di crescita di tutto rispetto, pari al 21,5% (2,2 milioni di dollari il valore dell’export nel 2002 contro 1,2 del ’99), che le consente di sopravanzare la Francia la quale, pur registrando una dinamica positiva ma inferiore alla media, vede ridursi la propria quota a meno del 1,4%. Tabella 3.38 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2002 Stati Uniti Cina Giappone Hong Kong Italia % del tot. 20,1 14,6 9,3 6,2 1,3 Paesi fornitori 2002 Giappone Stati Uniti Cina Arabia Saudita Italia Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 128 % del tot. 19,4 14,9 10,9 4,9 1,5 Nel periodo preso in esame, i principali prodotti dell’import coreano sono gli apparecchi elettrici di precisione (27,9% nel 2002), i prodotti delle miniere e delle cave (18,6%), i metalli ed i prodotti in acciaio (9,8%), i prodotti chimici e le fibre sintetiche artificiali (9,8%). Anche le esportazioni sono cresciute, passando dai 143 miliardi del 1999 ai 162 del 2002 (tabella 3.39). Tabella 3.39 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2002 App. elettrici di precisione US$ mln Beni importati 2002 58.870,65 App. elettrici di precisione Autoveicoli 17.343,73 Prodotti di miniere e cave Prodotti chimici 15.112,84 Metallo e prodotti in metallo Macchine e app. meccanici 12.289,28 Prodotti chimici US$ mln 42.424,04 28.315,67 14.937,53 14.886,56 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it L’interscambio commerciale Italia - Corea (tabella 3.40), in attivo per la Corea sino al 2001, ha cambiato segno nell’ultimo anno per effetto di un sostenuto incremento delle importazioni dall’Italia (+27%). La variazione del 2002 si è manifestata per lo più nei comparti tradizionali del sistema Italia: macchine e apparecchi meccanici, apparecchi elettrici, cuoio e prodotti in cuoio, prodotti tessili, prodotti chimici. La dinamica delle importazioni coreane dall’Italia risulta, pertanto, positiva nell’ultimo quadriennio (+21,5). Le esportazioni coreane verso l’Italia, invece, hanno interessato il comparto degli autoveicoli, degli apparecchi elettronici di precisione, dei mezzi di trasporto, delle macchine ed apparecchi meccanici e dei prodotti chimici e delle fibre sintetiche artificiali. Tabella 3.40 Interscambio commerciale Italia – Corea del Sud Esportazioni (mln di Euro) variazione annua % Importazioni (mln di Euro) variazione annua % Saldo (mln di Euro) Interscambio (mln di Euro) variazione annua % 2000 1830,156 54,28 2249,263 27,79 -419,107 4079,419 38,5 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 129 2001 2035,252 11,21 2360,061 4,93 -324,809 4395,313 7,7 2002 2177,006 6,96 2387,327 1,16 -210,321 4564,333 3,8 Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero della Corea è la regolamentazione delle importazioni. Il processo di liberalizzazione degli scambi ha preso avvio nel 1983, con l’emanazione di un’apposita legge (Tariff Act). In base a tale legge e agli impegni presi in ambito GATT e WTO, il processo di liberalizzazione è quasi concluso e, al momento, in Corea sono stati liberalizzati all’importazione il 99,3% dei settori. Il sistema adottato è a lista negativa, di conseguenza non è necessaria alcuna autorizzazione, neppure relativamente al sistema di pagamento, a meno che i beni non rientrino nella lista di quelli che non si possono importare se non con specifica autorizzazione. Attualmente l’aliquota doganale media applicata alla maggioranza dei prodotti è dell’8% (ad esempio per le automobili ed i beni di lusso). Alcuni prodotti godono di un dazio ridotto pari al 5%; altri, come i prodotti dell’elettronica, di consumo ed il vino, di un dazio del 15%. Il governo può modificate tali tariffe, per proteggere l’industria nazionale e mantenere stabile il livello dei prezzi, adottando le cosiddette Elastic Tariffs o, in alternativa, le Adjustment Tariffs. Le prime possono variare, rispetto alla tariffa base, fino al 40%; le seconde fino a 100%. In aggiunta al dazio doganale i prodotti di importazione sono soggetti all’imposta sul valore aggiunto (viene applicata sul valore CIF delle merci maggiorato del dazio doganale; l’aliquota è attualmente del 10%) e all’imposta di consumo (utilizzata per una serie di prodotti considerati di lusso, tipicamente dei settori della gioielleria, pellicceria, liquori, automobili, caffè, ecc. e varia dal 10 al 100%). La Corea, infine, concede tariffe preferenziali ad alcuni paesi in via di sviluppo nell’ambito di speciali accordi TNCD (Trade Negotiations with Developping Countries). 3.6.5 Rischio Paese Per quanto riguarda il rischio Paese, la Corea del Sud viene collocata nella seconda categoria su sette (1 minor rischio; 7 maggior rischio)55. Le prospettive future prevedono una crescita del commercio estero del Paese e del PIL, mentre i possibili rischi deriverebbero dall’instabilità politica e dai difficili rapporti internazionali con la Corea del Nord. 55 Fonte informativa: sito internet delle camere www.globus.camcom.it. Dati aggiornati a settembre 2003. 130 di commercio 3.7 La Finlandia La Finlandia è un Paese sviluppato appartenente alla regione dell’Europa Occidentale. La figura 3.7 illustra le sue caratteristiche fisiche, mentre la tabella 3.41 contiene i suoi dati di base. Figura 3.7 La Finlandia: posizione e caratteristiche geografiche 131 Tabella 3.41 Dati di base Superficie 338.145 kmq Popolazione 5.199.000 circa Densità di popolazione 15,22 abitanti/kmq Lingua ufficiale finlandese, svedese Religione luterana (85,5%) Unità monetaria Euro Forma istituzionale Repubblica Parlamentare Sede di governo Helsinki Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 3.7.1 Situazione politica e sociale Il panorama politico della Finlandia è caratterizzato da una sostanziale uniformità delle forze politiche. Il Parlamento, unicamerale di 200 seggi, è così suddiviso: 51 seggi al partito socialdemocratico, 46 seggi al partito conservatore e 48 seggi al partito di centro. I partiti minori, come quello della lega di sinistra, dei verdi e della minoranza di lingua svedese, si dividono i rimanenti seggi. Il capo di governo è Paavo Lipponen (socialdemocratico). L’unica forza politica di rilievo esterna alla maggioranza è il partito di centro, fortemente legato alle zone rurali del Paese e sensibile, quindi, alle politiche agricole e agli interessi delle aree non urbane. I principali ministeri sono suddivisi tra i due maggiori partiti di governo. Ai socialdemocratici sono andati gli Affari Esteri, l’Industria e il Commercio, il Lavoro e il dicastero per la Giustizia. Al partito conservatore, Trasporti e le Telecomunicazioni, le Finanze, gli Interni ed il Commercio Estero. Il livello di istruzione nel Paese è notevole: tutti gli individui al di sopra dei 15 anni sono in grado di leggere e scrivere, mentre il 99% ed il 93% della popolazione hanno rispettivamente un’educazione di base (elementare e media) e superiore (licei e istituti tecnici). Per quanto riguarda l’educazione universitaria, si deve tenere presente che in Finlandia esiste il sistema a numero chiuso per l’ammissione agli studi universitari. In passato, questo è stato piuttosto restrittivo e solo negli ultimi anni esso è divenuto più flessibile, ammettendo un numero crescente di studenti. L’obiettivo principale della formazione universitaria, spesso indicata come “terziaria”, è quello di creare dei profili professionali piuttosto mirati rispetto alle effettive esigenze del mercato del lavoro. Numerose, infatti, sono le collaborazioni tra università e imprese, sostenute sia dal settore pubblico sia dalle imprese stesse. La formazione universitaria è piuttosto articolata, proponendo un duplice livello di insegnamento: Diploma di Laurea lunga e Diploma di 132 Laurea breve, in tutte le aree disciplinari. Oltre alla formazione universitaria esistono anche molte scuole superiori professionali, i cui insegnamenti, rispetto alle lauree brevi, sono rivolti prevalentemente verso aspetti pratici, consentendo ai diplomati l’immediato inserimento nel mondo del lavoro in posizioni executive. Ulteriori dati socio-politici sono sintetizzati nella tabella sottostante (tabella 3.42). Tabella 3.42 Principali indicatori socio-politici della Finlandia Tasso di incremento demografico VALORI ANNO 0,2 2003 Popolazione urbana popolazione totale in % della 67,3 2000 Popolazione attiva popolazione totale in % della 2,6 2000 Spesa pubblica per istruzione % sul PNL 6,9 1999 Tasso di scolarizzazione (%): Scuola inferiore 98,1 1996 Scuola superiore 93,1 1996 Università n.d n.d. Indice di sviluppo umano 0,917 (11°) 1999 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002 3.7.2 Quadro economico e principali variabili Lo Stato, tradizionalmente, ha avuto un ruolo determinante nell’economia finlandese in qualità di operatore economico. Infatti, alcune tra le più grandi aziende nazionali sono tuttora a partecipazione pubblica. Lo Stato ha assunto tale ruolo principalmente per sostenere la formazione di capitale e indirizzarne l’impiego verso investimenti a lungo termine, primariamente allo scopo di assicurare il potenziamento e l’ammodernamento delle infrastrutture. Di recente, poi, è stato messo in atto un programma di privatizzazioni, il quale sta portando in mano ai privati i capitali di diverse tra le più grandi aziende nazionali, dal settore dell’energia (Neste e Kemijoki), della chimica (Kemira), a quello bancario (Leonia), dei trasporti (Finnair e VR) e delle telecomunicazioni (Sonera). 133 Dal lato della politica monetaria va sottolineato come l’ingresso della Finlandia nell’Unione Economica e Monetaria (UEM), la fissazione del cambio irreversibile del marco finlandese nei confronti dell’euro (FIM 5,946 : € 1) e la messa in circolazione della moneta europea, abbiano comportato la completa delega della politica monetaria nelle mani della Banca Centrale Europea, la quale è, dunque, l’unica responsabile della manovra sui tassi di interesse. Il tasso di crescita del PIL in Finlandia ha fatto riscontrare negli anni passati dei valori ai massimi livelli europei. Nel 2001, la crescita del prodotto interno lordo, invece, ha fatto riscontrare un brusco rallentamento con un valore pari a solamente lo 0,7% rispetto l’anno precedente. Le prospettive per l’anno in corso fanno prevedere una lieve crescita (2%). Per quanto riguarda il settore primario, nel 2001, il valore della produzione, comprendente sia agricoltura sia silvicoltura, è stato di 5,65 miliardi di dollari USA, pari al 4,6% del PIL (nel 2003 il settore primario contribuisce per il 3,5% alla formazione del PIL). La principale risorsa agricola dell’economia nazionale finlandese è rappresentata dalle foreste. Il legname che da esse si ottiene sostiene tutta la filiera del legno, che partecipa alla formazione del PIL in maniera sostanziale. La Finlandia è, tuttavia, povera di minerali: tra i ferrosi esistono alcuni giacimenti di rame, zinco e ferro; tra i non ferrosi si registra una notevole presenza di granito. Nel 2001, ha importato anche buona parte delle materie prime energetiche, come petrolio, carbone e gas, nonché energia elettrica, per una quota che si aggira a circa il 12% delle importazioni dei beni. L’energia prodotta nel Paese è di origine nucleare e idroelettrica, per un totale superiore al 40%. Per quanto concerne il settore secondario, le industrie che occupano un ruolo di primaria importanza nell’economia finlandese sono quelle tradizionali del legno e foreste, della carta, della metalmeccanica e, soprattutto, negli ultimi anni, quelle dell’industria elettronica e delle telecomunicazioni, le quali occupano posizioni dominanti a livello mondiale. L’output del settore terziario, infine, é aumentato del 4% nel 2000. La parte più rilevante del valore dei servizi è creato dall’immobiliare, dai trasporti e comunicazioni e dal commercio. Nel primo caso, la crescita della fiducia delle famiglie verso il futuro ha portato ad un incremento degli acquisti di beni di consumo, in particolare quelli durevoli. Con riferimento ai trasporti e alle comunicazioni, i servizi riflettono la crescita dell’economia che si avverte negli altri settori, soprattutto per la necessità degli operatori economici di usufruire dei medesimi. L’output nei trasporti é aumentato del 5%. Anche il commercio continua ad aumentare (sesto anno consecutivo): nel 2000 l’incremento è stato del 4%. Ulteriori dati economici generali vengono indicati nella tabella sottostante (tabella 3.43). 134 Tabella 3.43 Dati economici fondamentali Tasso di c. valuta locale per US$ PIL in $ a prezzi correnti (mln) Variazione annua del PIL reale (%) Variaz. della prod. industriale (%) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione (%) Rapporto debito pubblico/PIL (%) Debito estero totale in $ (mln) 1998 1999 2000 2001 5,34 129.000 5,4 7,4 1,4 11,4 48,8 n.d. 5,58 1238.000 4,0 6,1 1,2 10,2 46,9 n.d. 5,45 121.000 5,7 11,0 3,4 9,8 40,2 n.d. 6,62 123.000 0,5 5,1 2,6 9,1 38,4 n.d. Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.7.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella 3.44. Tabella 3.44 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) 1998 1999 2000 2001 Consumi privati 50,2 50,8 49,5 50,1 Consumi pubblici 21,6 21,7 20,7 21,1 Investimenti 18,7 19,0 19,3 19,1 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Dalla tabella si può notare come lo Stato sia fortemente presente nell’economia finlandese. Ciò è dimostrato dall’elevato peso percentuale (21,1% nel 2001) che i consumi pubblici hanno rispetto al totale della domanda aggregata. Tali consumi sono cresciuti in termini nominali del 3,6%. La spesa pubblica negli ultimi decenni è aumentata con la costituzione e il mantenimento di un sistema di welfare altamente protettivo, in particolare verso i ceti sociali più deboli, come i disoccupati, gli studenti e i pensionati. Tuttavia, l’incidenza che questa ha sul PIL é andata progressivamente a ridursi per effetto della forte crescita dell’economia del Paese. 135 3.7.4 Relazioni con l’estero Nel campo delle relazioni internazionali, pur rimanendo in una posizione di neutralità, il Paese si trova ad aderire al Partenariato per la Pace della Nato e all’Unione Europea. La Finlandia esercita la propria politica estera nei forum dell’Onu, della UE, del Parlamento dei paesi scandinavi, in particolare nella direzione strategica del Mar Baltico. In tale area il Paese tende ad avere una politica di equidistanza dalle Repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) e dalla Federazione Russa. La politica estera del paese è governata, in base alla costituzione, dal Presidente della Repubblica (Tarja Halonen, socialdemocratico) e dal Ministro degli Esteri (Erkki Tuomioja, socialdemocratico). Dal secondo dopoguerra ad oggi la Finlandia ha sempre perseguito una politica di liberalizzazione degli scambi piuttosto accentuata, come testimoniato dalla adesione già nel 1950 al GATT, e nel 1961 all’EFTA. Questa politica è chiaramente volta all’instaurazione di rapporti commerciali favorevoli con la Comunità Internazionale, non solo verso i paesi europei o limitrofi, ma anche con paesi di altri continenti. Allo stesso modo, la Finlandia ha stabilito molteplici accordi di collaborazione per lo sviluppo e lo scambio di tecnologie, soprattutto con i PVS. La principale motivazione nella notevole apertura internazionale, con particolare riferimento agli scambi commerciali, è da rintracciarsi nelle ridotte dimensioni dell’economia interna, la cui domanda in molti settori è incapace di assorbire l’offerta nazionale. La bilancia commerciale (tabella 3.45) finlandese nell’intero anno 2001 ha registrato un saldo attivo superiore ai 12 miliardi di Euro. Il saldo commerciale è stato sempre positivo nel corso dell’ultimo quinquennio ed ha subito un incremento notevole nel corso del 2000 imputabile ad un’ottima performance delle esportazioni. In tale anno, tuttavia, si è registrato anche un aumento notevole delle importazioni dovuto all’incremento dei prezzi dei prodotti petroliferi. Nel 2001, invece, sono calate sia le importazioni (-3%) sia le esportazioni (-4%). Il volume complessivo degli scambi della Finlandia con il resto del mondo è diminuito di 2,7 miliardi di Euro nel 2001, corrispondente ad una flessione del 3,2%. Il rapporto tra il valore delle esportazioni ed il PIL (38% circa nel 2001) sottolinea ancora una volta la natura aperta dell’economia nazionale. Tabella 3.45 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ correnti (mln) in % del PIL • variazione annua % 1998 43.000 33,3 4,9 136 1999 42.000 32,8 -2,3 2000 46.000 38,0 9,5 2001 40.000 32,5 -13,0 Imp. di beni in $ correnti (mln) 31.000 30.000 32.000 30.000 • in % del PIL 24,0 23,4 26,4 24,4 • variazione annua % 3,3 -3,2 6,7 -6,3 Saldo bilancia comm.le in $ (mln) 12.000 12.000 14.000 10.000 Esp. di servizi in $ correnti (mln) 7.000 7.000 6.000 6.000 • in % del PIL 5,4 5,5 5,0 4,9 • variazione annua % 0 0 -14,3 0 Imp. di servizi in $ correnti (mln) 8.000 8.000 8.000 8.000 • in % del PIL 6,2 6,3 6,6 6,5 • variazione annua % 0 0 0 0 -1.000 -1.000 -2.000 -2.000 Saldo bilancia servizi in $ (mln) Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Nel quadriennio 1998-2001 le importazioni finlandesi dal mondo (tabella 3.46) sono cresciute con una dinamica dello 0,66%, passando dai 32 miliardi di dollari del 1998 ai 33 del 2001, con un picco di oltre quasi 34 miliardi nel 2000. Il principale fornitore è risultato essere la Germania, con una quota di mercato (14,45%) che nel periodo in esame è andata costantemente a diminuirsi. Al secondo posto si posiziona la Svezia, con una quota anch’essa in lieve diminuzione (10%). E’ stato, comunque, registrato un aumento di competitività da parte di quasi tutti i paesi UE successivamente all’adesione della Finlandia alla comunità. Dal 1998 ad oggi, invece, i paesi UE, gli Stati Uniti ed il Giappone hanno perso quote di mercato a favore soprattutto della Russia (9,55%) e dell’Estonia (3,3%). In particolare, questi ultimi hanno fatto registrare un aumento esponenziale delle esportazioni in Finlandia nell’anno 2000. Nel 2001, alcuni paesi europei, quali la Francia, l’Italia, ed altri paesi di minor rilievo nelle importazioni finlandesi, hanno registrato un aumento del valore esportato verso la Finlandia. L’Italia guadagna quote di mercato, passando dal 3,19% del 2000 al 3,54% del 2001. Tale aumento non le permette, tuttavia, di ritornare ai livelli di alcuni anni fa, quando le esportazioni verso la Finlandia si aggiravano attorno al 4%. 137 Tabella 3.46 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2001 Germania Stati Uniti Regno Unito Svezia Italia (8°) % del tot. 12,4 9,7 9,6 8,4 3,6 Paesi fornitori 2001 Germania Svezia Russia Stati Uniti Italia (10°) % del tot. 14,5 10,2 9,6 6,9 3,5 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it I principali comparti merceologici dell’import finlandese sono rappresentati dalle macchine elettriche ed apparecchi elettrici di precisione (24,07% del totale importazioni), dai prodotti chimici e fibre sintetiche (10,62%) e dalle macchine ed apparecchi meccanici (9,87%). Anche le esportazioni, nel periodo 1998-2001, hanno seguito un andamento alternante di aumenti e diminuzioni. Nel 1999, infatti, le esportazioni sono diminuite del 3,34%, dopo un aumento del 5,44% nel 1998. Nel 2000, queste sono nuovamente aumentate (+8,77%) e nel 2001 diminuite (-2,73%), principalmente per la forte contrazione che ha subito il comparto elettrico (tabella 3.47). Tabella 3.47 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2001 Materie prime e beni intermedi Beni di investimento Energia Beni di consumo durevoli Beni di consumo non durevoli US$ mln Beni importati 2001 19.772 Materie prime e beni intermedi 16.612 Beni di investimento 1.324 Energia 2.519 Beni di consumo durevoli 2.477 Beni di consumo non durevoli US$ mln 12.544 7.788 3.735 3.096 4.756 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Nel corso degli ultimi anni, il volume dell’interscambio commerciale Italia-Finlandia (tabella 3.48) è stato in costante e progressivo aumento, tanto che nel corso dell’ultimo quinquennio il giro d’affari tra i due paesi è raddoppiato. L’incremento esponenziale, a partire dal 1998, del saldo positivo della bilancia commerciale finlandese ha segnato una nuova tendenza. Nel 2001, le importazioni italiane dalla Finlandia sono diminuite per l’avvenuta consegna, nell’anno precedente, delle reti telefoniche Nokia ai principali operatori italiani del settore delle telecomunicazioni, mentre le esportazioni italiane verso il mercato finlandese hanno fatto riscontrare un 138 aumento maggiore di quello degli altri paesi, permettendo all’Italia sia di aumentare la propria quota di mercato rispetto al 2000 (dal 3,3% al 3,5%), sia di ridurre notevolemente le dimensioni del saldo negativo della bilancia commerciale. Nel periodo 1995-98 l’Italia ha tratto vantaggio dall’ottenimento di importanti commesse, come quella per la fornitura dei primi treni “Pendolino” alle ferrovie finlandesi e la fornitura di attrezzature portuali. La composizione merceologica delle importazioni italiane dalla Finlandia è mutata in modo significativo nel corso dell’ultimo triennio. Nel 1998, la quota delle attrezzature per telecomunicazione ha, infatti, per la prima volta superato quella della tradizionale filiera legno e carta. Tale fenomeno non ha coinvolto solo il nostro Paese, bensì tutti i mercati di riferimento della Finlandia. Nel corso degli ultimi anni le esportazioni della Finlandia sono aumentate in modo esponenziale nel settore delle telecomunicazioni e dell’elettronica, così come per i macchinari per industrie specializzate. Rilevante anche la quota delle costruzioni navali dovuta alla fabbricazione presso i cantieri di Helsinki di navi da crociera per conto di Costa Crociere. Le esportazioni italiane verso la Finlandia consistono in un mix di prodotti ben più ampio ed equilibrato di quelli importati dall’Italia, dimostrando la molteplicità dell’offerta di beni del nostro Paese. La voce principale ed in costante crescita è quella delle apparecchiature e macchine elettriche. In particolare all’interno di questa voce estremamente significativi sono gli elettrodomestici e l’illuminotecnica. Di rilievo, da diversi anni, è l’esportazione italiana relativa agli autoveicoli e ai macchinari per l’industria; questi ultimi sono molto apprezzati dagli operatori locali, in particolare nel settore della lavorazione del legno, dei metalli e dell’industria alimentare. I principali concorrenti in questi segmenti sono la Germania ed il Giappone. Altra voce, in ordine di grandezza, è quella del tessile e dell’abbigliamento, cresciuta per importanza con la ripresa economica degli anni ‘90. Lo stesso andamento si registra anche nei comparti delle calzature e della pelletteria. Tabella 3.48 Interscambio commerciale Italia – Finlandia 1998 1999 2000 Esportazioni (mln di Euro) 1.152 1.086 1.167 6,8 -0,1 7,5 variazione annua % Importazioni (mln di Euro) 1.435 1.634 2.277 30,0 14,0 39,3 variazione annua % Saldo (mln di Euro) -282 -548 -1.109 Interscambio (mln di Euro) 2.587 2.720 3.445 18,5 5,1 26,6 variazione annua % Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 139 2001 1.267 8,5 1.711 -25,0 -444 2.978 -13,6 Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero della Finlandia è la regolamentazione delle importazioni. A partire primo gennaio 1995, in Finlandia vige il regime di libero scambio di beni e servizi provenienti dagli altri Stati membri dell’Unione Europea. La liberalizzazione della circolazione dei beni e dei capitali all’interno del mercato unico ha comportato l’abolizione dei dazi doganali e di tutte le altre restrizioni ad effetto equivalente. In quanto Paese membro dell’UE, in Finlandia non vengono applicati dazi a prodotti provenienti dall’Italia. L’unica imposta addizionale all’importazione è quella relativa al deposito e magazzinaggio delle merci prima della consegna al destinatario (questa imposta è disciplinata dalle norme INCOTERMS). In Finlandia non esistono merci sottoposte a tariffazione, fatta eccezione per le bevande alcoliche. Infine, le merci originarie dei paesi in via di sviluppo beneficiano del trattamento doganale preferenziale. 3.7.5 Rischio Paese Concludiamo l’analisi del mercato finlandese valutando il suo grado di rischiosità. La Finlandia è classificata come Paese a rischio minimo (1a categoria su 7); è, infatti, caratterizzata da una buona stabilità politica e sociale. Le previsioni delle aziende e dei consumatori per quanto riguarda l’economia sono positive, tanto che la loro fiducia continua ad aumentare. 140 3.8 La Nigeria La Nigeria56 è un PVS appartenente al continente africano. Per descriverne un quadro sintetico di base facciamo riferimento alla tabella 3.49 che espone alcuni dati principali, mentre la figura 3.8 mostra la sua posizione geografica. Figura 3.8 58 La Nigeria: posizione e caratteristiche geografiche La difficoltà nel reperire i dati in merito alla Nigeria e la mancanza di buona parte di questi, ci permetterà di effettuare un’analisi meno dettagliata di quelle precedentemente esposte. 141 Tabella 3.49 Dati di base Superficie Popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Capitale 923.773 kmq 132.785.000 circa inglese mussulmana (50%) cristiana (40%) Naira57 Repubblica Federale Abuja Fonti informative: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002. 3.8.1 Situazione politica e sociale La situazione politica e sociale della Nigeria è da sempre stata turbolenta. Il Paese, già colonia britannica, ha ottenuto l’indipendenza nel 1960 e dal 1963 fa parte del Commonwealth. Negli anni ‘70 la Nigeria è stata teatro di una sanguinosa guerra civile per la secessione della regione orientale del Biafra, poi riassorbita. Dal 1966 al 1979 i militari hanno detenuto il potere attraverso una lunga serie di colpi di stato. Successivamente (dal 1993) il Generale Sani Abacha ha concentrato il potere nel Consiglio provvisorio di Governo (PRC), instaurando una dittatura che è terminata solo con la sua morte (1998). Le elezioni legislative del febbraio-marzo 1999 si sono svolte in modo regolare ed il Presidente, Generale Obasanjo, ha istituito una commissione per la revisione del sistema costituzionale. In base alla costituzione vigente, il Presidente è eletto a suffragio universale per quattro anni; il Parlamento è costituito dalla Camera dei rappresentanti (360 membri) e dal Senato (109 membri). Ulteriori dati socio-politici sono sintetizzati nella tabella sottostante (tabella 3.50). Tabella 3.50 Principali indicatori socio-politici della Nigeria VALORI Tasso di incremento demografico 2,1 Popolazione urbana in % della popolazione totale 41,3 Spesa pubblica per istruzione % sul PNL 0,7 Spesa pubblica per sanità % sul PNL 0,2 Tasso di alfabetizzazione (%) 66,8 Indice di sviluppo umano 0,439 (151°) ANNO 2003 1997 1997 1998 2003 2002 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 57 La Naira è suddivisa in 100 Kobo. Il tasso di cambio al 15 settembre 2003 è di 147,66 Naire per 1 €; 130,90 Naire per 1 US$. 142 3.8.2 Quadro economico e principali variabili La Nigeria è il Paese africano maggiormente popolato, con più alta densità di popolazione e il maggior numero di gruppi etnici. La struttura economica del Paese è di tipo duale, con un settore moderno fortemente dipendente dai proventi petroliferi ed un settore tradizionale agricolo-commerciale. L’agricoltura è la principale attività dei nigeriani e contribuisce per il 34,6% alla composizione del PNL. Tra le colture di esportazione emergono il cacao, la palma oleifera, l’arachide, il cotone, l’ananas, le banane, l’anacardio. Per l’autoconsumo, invece, si coltivano il sorgo e il miglio nelle regioni settentrionali, la patata nel sud del Paese. Un po’ ovunque sono diffusi il riso, il mais e la manioca. La produzione agricola copre, tuttavia, solo i 2/3 del fabbisogno nazionale, di conseguenza la Nigeria deve importare generi alimentari per soddisfare una numerosa popolazione costantemente in crescita. Questo Paese è ricco, infine, di granite, marmo carbone, ferro, zinco ed oro. Per quanto riguarda il settore secondario, la maggior risorsa del Paese è, come precedentemente detto, il petrolio, che rappresenta il 95% dell’export, fornisce il 30% del PNL della Nigeria e l’80% delle entrate del bilancio statale. Nuovi giacimenti offshore sono stati scoperti lungo la costa, ma la benzina rimane un bene caro per la maggior parte dei nigeriani, mentre alimenta una vasta rete di contrabbando con i paesi vicini. Le principali industrie del Paese sono, quindi, relative all’estrazione ed alla lavorazione del petrolio, ma rivestono un ruolo importante anche quelle siderurgiche, metallurgiche, di montaggio di autoveicoli e di pneumatici. L’aumento delle entrate petrolifere nel 2001-2002 non è stato, tuttavia, sufficiente a rilanciare l’economia, a causa delle difficili condizioni strutturali del Paese (insufficienza delle reti di trasporto, fuga dei capitali, bassa domanda interna). Il settore terziario, se paragonato agli altri due settori, riveste un ruolo marginale nell’economia e riguarda soprattutto l’esportazione del petrolio. I principali dati economici disponibili sono contenuti nella tabella 3.51. Tabella 3.51 Dati economici fondamentali PIL in $ a prezzi correnti (mln) Tasso di cambio (N/US$) Variazione annua del PIL reale (%) Tasso di inflazione (%) Debito estero totale in $ (mld) Riserve internazionali in $ (mln) 1999 3,2 92,34 1,1 6,6 29 5.450 2000 4,2 101,70 3,8 6,9 29 9.911 2001 4,5 111,23 3,8 18,2 28 10.457 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it 143 2002 4,9 120,79 2,9 14,2 29 7.452 3.8.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono i consumi e gli investimenti, entrambi sia pubblici sia privati, ed il loro peso sul PIL del Paese. Per quanto riguarda la Nigeria, i dati disponibili sono contenuti nella tabella 3.52. Tabella 3.52 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) Consumi privati Consumi pubblici Investimenti 2001 45,5 30,0 20,1 2002 55,4 27,2 23,3 Fonte: sito della Banca Mondiale www.worldbank.org 3.8.4 Relazioni con l’estero Visto il grande quantitativo di merci esportate da parte della Nigeria, questa risulta avere un saldo della bilancia commerciale in attivo (tabella 3.53). Tabella 3.53 Principali indicatori di commercio estero Importazioni fob in $ correnti (mln) Esportazioni fob in $ correnti (mln) Saldo 1999 2000 2001 2002 9.478 11.927 2.449 11.068 21.395 10.327 12.303 17.949 5.643 13.650 17.256 3.606 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it Nel 2002, i principali paesi di importazione della Nigeria sono: Regno Unito (9,6%), Stati Uniti (9,4%), Cina (9,3%), Francia (8,7%), Germania (6,8), Corea del Sud (6,1%), Paesi Bassi (5,2%) ed Italia (4,7%). I prodotti importati appartengono ai comparti delle macchine, dei prodotti chimici, dei trasporti, dei manufatti, degli alimenti ed animali vivi. Per quanto concerne l’interscambio commerciale Italia-Nigeria (tabella 3.54), il biennio 2000-2001 è stato caratterizzato da avanzi a favore del nostro Paese, grazie all’aumento delle nostre esportazioni (del 40% e del 20% rispettivamente nel 2000 e nel 2001). Il 2002, pur confermando questa tendenza positiva, ha fatto registrare una forte contrazione dell’avanzo italiano, da imputarsi all’aumento delle importazioni in valore (+9,35%). La composizione merceologica delle esportazioni italiane verso la Nigeria è costituita prevalentemente da macchinari ed apparecchi in generale, il cui trend nel 2002 è stato di una leggera flessione. Altrettanto dicasi per i 144 prodotti chimici e gli autoveicoli. Le importazioni italiane dalla Nigeria riguardano, invece, il petrolio, il cuoio ed i prodotti agricoli. Tabella 3.54 Interscambio commerciale Italia – Nigeria Esportazioni in Euro Importazioni in Euro Saldo 2000 554.671.428 498.625.005 56.046.423 2001 561.446.032 455.983.634 105.462.398 2002 451.063.367 352.120.804 98.942.563 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it 3.8.5 Rischio Paese Nel 2003, la SACE colloca la Nigeria nella 7a categoria su 7 (1 minor rischio; 7 maggior rischio)58, di conseguenza, nonostante risulti essere un mercato appetibile per i prodotti delle aziende montebellunesi, investire o rivolgere le proprie esportazioni in questo Paese è altamente pericoloso, data la sua instabilità politica, sociale ed economica. E’ necessario, quindi, che gli imprenditori considerino attentamente gli alti rischi che potrebbero incorrere nel caso in cui decidessero di investire in Nigeria. 58 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it 145 3.9 La Norvegia La Norvegia è un Paese sviluppato dell’Europa occidentale. La sua posizione geografica è illustrata nella figura 3.9, mentre i principali dati sono contenuti nella tabella 3.55. Figura 3.9 La Norvegia: posizione e caratteristiche geografiche 147 Tabella 3.55 Dati di base Superficie Popolazione Densità di popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 387.895 kmq 4.539.000 circa 14,0 abitanti/kmq norvegese Protestante/luterana Corona norvegese1 Repubblica costituzionale Oslo Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 3.9.1 Situazione politica e sociale In base alla costituzione del 1814, più volte emendata, il potere legislativo spetta al Parlamento formato da 165 membri, eletti per quattro anni a suffragio universale. Il Parlamento si divide in due camere: la camera alta e la camera bassa, rispettivamente composte da 39 e 126 membri. Il potere esecutivo è esercitato dal Governo. Con un referendum del 1994 la Norvegia ha deciso di non aderire all’Unione Europea. Il sistema sociale e sanitario norvegese è fra i più avanzati e completi a livello mondiale, sia nel settore della previdenza ed assistenza, sia in quello della salute. Questo è confermato dal fatto che la spesa dello Stato per la sicurezza sociale è pari al 38% delle spese totali (1999) e rappresenta il 6,2% del PNL. In Norvegia, il tasso di alfabetizzazione è pari al 100% circa e la scuola dell’obbligo dura 10 anni. Inoltre, è possibile compiere altri 3 anni conclusivi per ottenere il certificato di maturità. La maggior parte delle scuole è pubblica. Sono presenti quattro università pubbliche e vari istituti di formazione superiore, sia pubblici sia privati, con un totale di circa 190.000 studenti, di cui il 60% donne. Circa il 22% della popolazione è in possesso di una laurea e nel corso degli anni 2000-2001 si sono laureati pressoché 32.000 studenti. Aumenta il numero degli studenti che frequentano le università straniere, anche attraverso il collegamento con l’Unione Europea (con il programma SOCRATES - ERASMUS). Nell’ambito della formazione professionale esistono numerosi colleges (scuole di formazione professionale) per ingegneri, lavori nel campo del sociale, militare e per infermieri. Ulteriori indicatori socio-politici sono contenuti nella tabella 3.56. 1 L’unità monetaria della Norvegia è la Corona Norvegese (Nkr), divisa in 100 cre. Il tasso di cambio a novembre 2003 è di 8,14 Corone per 1 Euro e 6,65 Corone per 1 US$. 148 Tabella 3.56 Principali indicatori socio-politici della Norvegia VALORI 0,5 della 75,5 Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % popolazione totale Spesa pubblica per istruzione % sul PNL 7,4 Tasso di alfabetizzazione (%) 100 Indice di sviluppo umano 0,934 (2°) ANNO 2003 2000 1997 2003 1999 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002. 3.9.2 Quadro economico e principali variabili Il PIL dell’economia norvegese continua costantemente a crescere e ad essere superiore alla media UE. La quota di partecipazione al PIL dell’agricoltura, risulta in costante calo; questo a causa sia delle difficili condizioni climatiche, sia della nuova e sempre crescente esposizione alla concorrenza estera. Solamente il 2,9% di tutto il territorio è coltivabile. Nonostante questo, quasi il 4% della forza lavoro è impiegata in agricoltura ed il settore agricolo costituisce circa il 2,5% del PIL (2003). Anche se i sussidi all’agricoltura si sono ridotti negli ultimi anni, l’intero settore è tuttora pesantemente sostenuto dallo Stato ed appare ancora protetto dalle importazioni provenienti soprattutto dall’Unione Europea. La pesca e la piscicoltura, anche se occupano solo una minima parte della forza lavoro (0,7% del totale della forza lavoro) rappresentano un altro settore trainante dell’economia norvegese, in quanto alimentano un consistente flusso di esportazioni (circa il 6% dell’export globale) e l’influenza sul prodotto interno lordo è pari allo 0,9%. L’economia norvegese è fortemente orientata verso la fornitura di materie prime e prodotti semilavorati (idrocarburi, pesce fresco e lavorato, legname, minerali). Le ingenti risorse di energia idroelettrica hanno favorito, a partire dai primi decenni del secolo scorso, lo sviluppo di importanti gruppi industriali nel campo dei metalli ferrosi e non, oltre che in quello dei concimi chimici. Nonostante le importanti ricchezze naturali della terraferma norvegese, è il settore petrolifero offshore il vero motore del Paese, ed anche a medio e lungo termine saranno la produzione, le esportazioni e gli investimenti in questo settore i principali punti di forza dell’economia. Il settore petrolifero, insieme al gas e senza considerare l’indotto, rappresenta attualmente oltre il 22.6% del PIL ed il 62% delle esportazioni. Ai ritmi di produzione attuali, le riserve norvegesi di petrolio saranno esaurite verso l’anno 2015. Si fa molto affidamento, pertanto, alla crescita della produzione del gas naturale (dal 20% di oggi sulla produzione 149 totale di idrocarburi a circa il 30% stimato per il 2007). Infatti, le riserve accertate di gas sono sufficienti per oltre 100 anni. Lo Stato, attraverso una serie di iniziative, cerca di consolidare e sviluppare l’industria petrolifera locale, anche mediante una crescente internazionalizzazione della stessa. Nel settore dell’industria, dopo alcuni anni segnati da una flessione soprattutto nel comparto dei beni di consumo, nella seconda metà degli anni ‘90 si era registrata un’importante crescita. Tuttavia, recentemente tale trend si è invertito. La produzione manifatturiera in Norvegia nella prima metà del 2002 è rimasta pressochè identica a quella del 2001 anche se ci sono importanti differenze fra i diversi settori manifatturieri. Ad oggi, il settore industriale impiega approssimativamente 286.000 persone che rappresentano il 12% della forza lavoro norvegese, con un calo del 2,3% rispetto al 2000, determinato dalla riduzione della produzione nel settore. Si può notare la predominanza dell’industria privata su quella a partecipazione pubblica, in particolare dopo l’ondata di privatizzazioni degli ultimi anni. Strutturalmente appare evidente il predominio dell’industria pesante, intendendo con questo termine l’industria dei metalli, chimica, petrolchimica, della cellulosa e della carta, degli impianti ed attrezzature per la produzione di energia e la cantieristica navale. Tuttavia, proprio nel settore dell’industria dei metalli e del mobile, si è assistito nel corso degli ultimi anni ad un’importante riduzione dell’attività determinata da alti salari e costi, soprattutto se comparati con i prezzi dei paesi concorrenti. Se a questi elementi si aggiunge anche il forte apprezzamento della corona degli ultimi due anni, si comprende la perdita di competitività delle imprese e la conseguente riduzione della produzione e della forza lavoro. Dall’altra parte, alcuni segmenti dell’industria delle costruzioni navali e ingegneristiche stanno mostrando importanti segnali di crescita grazie agli alti livelli di attività e investimenti nel settore petrolifero. Di particolare rilevanza è, quindi, l’industria produttrice di attrezzature petrolifere, ma anche quella dell’alluminio, l’industria alimentare e quella della lavorazione del legno. La produzione di beni di consumo (abbigliamento, calzature, elettronica di consumo) ha, invece, un’entità limitata e si concentra spesso su specifiche nicchie di mercato. Nel settore dei servizi occorre soffermare l’attenzione sul turismo, che costituisce il 15% dell’intero settore. Sebbene il Paese presenti diverse attrazioni, quali la lunga linea costiera, i famosi fiordi, un numero considerevole di piste da sci ecc., la competizione con altri paesi sul mercato turistico è molto elevata. Inoltre, la bassa crescita in Europa, in particolare in Germania, dalla quale la Norvegia riceve il più alto numero di turisti, ha determinato la riduzione delle presenze straniere. Ulteriori informazioni economiche sono reperibili nella tabella 3.57. 150 Tabella 3.57 Dati economici fondamentali Tasso di cambio valuta locale in € Tasso di cambio valuta locale per US$ PIL in $ a prezzi correnti (mld) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione (%) Aiuti verso l’estero (mld US$) Fonte: VALORE 8,14 6,65 190,5 1,2 3,2 1.321 ANNO 2003 2003 2002 2002 1999 1998 sito dell’ICE: www.ice.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002. 3.9.3 Analisi della domanda potenziale I dati in merito ai consumi ed agli investimenti pubblici e privati della Norvegia sono parzialmente disponibili. Nel primi trimestre del 2003, i consumi privati hanno manifestato un andamento crescente, derivante dal forte aumento degli stipendi (+4,5%). Questo fatto, abbinato all’alto prezzo del petrolio e del gas, ha rallentato la crescita economica della Norvegia, che vede aumentare il PIL dello 0,3% rispetto al 2002. Per quanto riguarda gli investimenti, questi vengono destinati soprattutto al settore petrolifero. Nel 2003 gli investimenti nel settore offshore, vitale per la Norvegia, sono stati di oltre 6 miliardi di Euro e sono stati utilizzati per il miglior sfruttamento dei pozzi esistenti e per la ricerca di nuovi, soprattutto nel Mar di Barents. 3.9.4 Relazioni con l’estero La Norvegia, nonostante abbia scelto di non aderire all’UE, intrattiene tradizionalmente stretti ed intensi rapporti commerciali con i paesi membri dell’Unione. Essa è parte del mercato unico dell’Unione Europea attraverso l’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE). Tale accordo comprende i 15 paesi dell’UE e 3 dell’EFTA, Norvegia, Islanda e Liechtenstein. L’Accordo fu firmato ad Oporto, Portogallo, il 2 Maggio 1992 ed è entrato in vigore il 1 Gennaio 1994. Per quanto riguarda la bilancia commerciale (tabella 3.58), la composizione merceologica dell’import-export norvegese riflette la particolare struttura economica del Paese, specializzato nella fornitura di materie prime e di beni a basso grado di lavorazione, quali petrolio, gas, metalli, carta, pesce e prodotti ittici. Per loro natura questi stessi prodotti sono particolarmente sensibili ai cicli congiunturali e ciò può determinare forti fluttuazioni in termini di valore dell’export norvegese. Nel 2002 le importazioni norvegesi hanno raggiunto un valore di circa 35,7 miliardi di dollari americani, mentre le esportazioni sono state di 61,3 miliardi, con un saldo attivo di ben 196 miliardi. La Norvegia, tramite la sua adesione all’OMC ed allo SEE, è un 151 partecipante attivo nell’attuale processo di liberalizzazione dei rapporti economici internazionali e gli indicatori di commercio estero relativi agli ultimi cinque anni confermano il carattere aperto dell’economia norvegese. Il peso del commercio estero sul PIL, nel 2002, è stato del 68%. Tabella 3.58 Principali indicatori di commercio estero 1999 35,5 46,3 10,7 Importazioni fob in $ correnti (mld) Esportazioni fob in $ correnti (mld) Saldo 2000 34,5 60,5 26 2001 33,2 59,6 26 2002 35,7 61,3 25,6 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it Dal punto di vista geografico (tabella 3.59) il commercio estero norvegese è orientato prevalentemente verso i paesi dell’Unione Europea, che negli ultimi anni hanno assorbito mediamente il 75% delle esportazioni e fornito il 67 % delle importazioni. Nel 2002 l’export norvegese ha subito un calo dell’11%, dovuto soprattutto all’evoluzione negativa dei prezzi petroliferi ed ai problemi derivanti dall’apprezzamento della corona. Il Regno Unito si è confermato il primo Paese acquirente di beni norvegesi con una quota pari al 19%, seguito dalla Germania con quasi il 13%. Seguono i Paesi Bassi, gli Stati Uniti e la Francia. Anche le importazioni norvegesi hanno fatto registrare una diminuzione nel 2002, pari al 6,6%. La Svezia rimane il primo Paese fornitore della Norvegia, con una quota intorno al 15%. Seguono, nell’ordine, la Germania, la Danimarca, il Regno Unito e gli Stati Uniti, i quali hanno assicurato, con la Svezia, circa il 50 % delle importazioni norvegesi. Dei primi 10 paesi fornitori, solo la Danimarca (+3,5%) e l’Italia (+8,2%) hanno visto aumentare i valori del proprio export verso la Norvegia. Tabella 3.59 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2002 Regno Unito Germania Paesi Bassi Stati Uniti Francia % del tot. 19 13 n.d. n.d. n.d. Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 152 Paesi fornitori 2002 Svezia Germania Danimarca Regno Unito Stati Uniti Italia (8°) % del tot. 15,7 13,4 8,1 7 5,3 4,1 La composizione delle importazioni (tabella 3.60) dimostra la dipendenza della Norvegia dall’estero per quel che riguarda i prodotti finiti, tra cui macchine ed apparecchi meccanici, apparecchiature elettriche di alta tecnologia, nonché per i mezzi di trasporto ed i beni di consumo (abbigliamento, calzature, elettronica). Nel 2002 l’eccedenza dell’export sull’import di beni è stata, come detto, pari a 221 miliardi di corone norvegesi, mentre nel 2001 il dato è stato di 236 miliardi di corone. Inoltre, nel 2002, la bilancia commerciale relativa ai servizi ha segnato un surplus, attestandosi a 25 miliardi di corone, da imputare, soprattutto, al consistente aumento dei noli marittimi e del noleggio di gasdotti ed oleodotti. La composizione merceologica delle esportazioni evidenzia l’intensivo sfruttamento delle materie prime, soprattutto petrolio e gas, ma anche metalli ferrosi e non, e il forte peso del settore ittico. Tabella 3.60 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni importati 2002 Apparecchi elettrici di precisione Metallo e prodotti in metallo Macchine e app. meccanici Prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali Autoveicoli % sul tot. 16,8 12,2 12 9,6 9,4 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Negli ultimi tre anni, il saldo dell’interscambio commerciale tra Italia e Norvegia (tabella 3.61) è passato da una situazione di attivo ad una di passivo. Nel primo semestre 2003, a fronte di una leggera flessione delle esportazioni italiane, si è registrato un aumento di circa il 30%. Le nostre importazioni riguardano il petrolio e derivati (triplicate nel 2002), carta e cartone, ferro (in calo di circa il 25%) e i prodotti chimici (in netto aumento). La composizione merceologica delle esportazioni italiane comprende macchine e apparecchi in generale (26,9% del totale esportazioni), metallo e prodotti in metallo (8,6%), apparecchi elettrici di precisione (8%), mezzi di trasporto (7,8%), prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (5,7%), articoli di abbigliamento e pellicce (5,5%), prodotti alimentari, bevande, tabacco (5,3%), mobili (4%), articoli in gomma e in materie plastiche (3,7%) ed altri prodotti dell’industria manifatturiera (1,7%). 153 Tabella 3.61 Interscambio commerciale Italia – Norvegia Esportazioni in Euro Importazioni in Euro Saldo 2000 1.160.546.131 2.028.596.044 -868.049.913 2001 1.075.188.356 1.054.075.459 21.112.897 2002 451.063.367 352.120.804 98.942.563 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero della Norvegia è la regolamentazione delle importazioni. Come precedentemente detto, la Norvegia è associata al mercato unico dell’Unione Europea attraverso l’Accordo sullo Spazio Economico Europeo. L’Accordo ha lo scopo di promuovere, mediante l’espansione degli scambi commerciali reciproci, lo sviluppo delle relazioni economiche tra l’UE e la Norvegia ed assicurare condizioni eque di concorrenza negli scambi tra le parti contraenti, contribuendo, in tal modo, all’eliminazione degli ostacoli e all’espansione del commercio. Con tale accordo gli scambi delle merci industriali e i servizi tra la Norvegia e i paesi dell’UE avvengono in esenzione doganale. Per quanto riguardano gli ostacoli commerciali tecnici, questi sono stati eliminati attraverso regole comuni per gli aiuti pubblici all’industria, standard comuni dei prodotti e degli ordinamenti di controllo. Gli acquisti pubblici sono regolati da un regolamento comune per tutta l’area SEE. L’Accordo SEE non comprende il settore agroalimentare. Vi è, pero, una comune intenzione di effettuare un graduale abbassamento di alcuni dazi doganali. Sono in corso delle trattative per il rinnovo dell’Accordo, a seguito delle quali sono da prevedere ulteriori abbassamenti dei dazi doganali nel settore alimentare. Il regime “licenza di importazione” viene applicato a parecchi prodotti alimentari, quali ad esempio i vini e formaggi. Per alcuni prodotti esistono anche delle quote che variano secondo la stagione. Il regime di “vietata importazione” esiste per alcuni prodotti alimentari, che provengono da paesi affetti da malattie o con alto rischio. Per le merci di interesse strategico esiste un regime di autorizzazione. In Norvegia vige anche una tassa di consumo, in misura uguale su merci importate e su quelle prodotte in loco, su alcolici, dolciumi, carburanti, tabacchi, apparecchi radio e TV, motori marini. Vige anche una tassa ecologica per gli elettrodomestici bianchi e per l’elettronica da consumo. 3.9.5 Rischio Paese La Norvegia è un Paese a rischio minimo (1a categoria su 7). Lievi dissapori politici potrebbero danneggiare la performance dell’economia nel breve periodo. Nonostante il settore petrolifero rimanga al riparo dalle fluttuazioni della domanda globale, gli altri settori hanno risentito delle fragili condizioni 154 dell’economia globale, manifestando una diminuzione delle competitività. Tuttavia, l’aumento del consumo privato, sostenuto dalla forte crescita degli stipendi, ha ravvivato l’economia, che non presenta particolari problemi. 155 3.10 Paesi Bassi L’Olanda è un Paese sviluppato appartenente all’Europa occidentale. Esso è raffigurato nella figura 3.10 e la tabella 3.62 contiene i suoi dati di base. Figura 3.10 I Paesi Bassi: posizione e caratteristiche geografiche Tabella 3.62 Dati di base Superficie Popolazione Densità di popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 41.532 kmq 16.144.000 circa 382 abitanti/kmq olandese cattolica (34%) protestante (25%) musulmani (3%) non affiliati (36%) Euro Monarchia costituzionale L’Aja Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 157 3.10.1 Situazione politica e sociale L’Olanda è una democrazia parlamentare ed una delle sette monarchie costituzionali d’Europa. Il Capo dello Stato è la Regina Beatrice. Il Parlamento Bicamerale (chiamato “Stati Generali”) è composto dalla Prima e dalla Seconda Camera. I 75 membri della Prima Camera sono eletti tramite gli “Stati Provinciali” (i consigli eletti nelle province) per sei anni consecutivi. I 150 membri della Seconda Camera sono designati con suffragio diretto dai cittadini aventi diritto al voto per un periodi di quattro anni. Gli attuali membri del Parlamento provengono da dodici partiti politici. A seguito delle elezioni del maggio 1998 l’Olanda è retta, per la seconda volta, da una coalizione nuova e particolare chiamata “viola” perché riunisce i socialisti, i liberali ed il partito democratico di centro-sinistra, mentre i democristiani rappresentano l’opposizione. Per il governo il problema sociale più sentito è rappresentato dal sensibile aumento del tasso d’invecchiamento della popolazione, infatti, dai dati demografici, risulta che questo fenomeno determinerà una maggiore spesa pubblica pensionistica e sanitaria con un aumento dell’incidenza sul PIL dell’8% circa, tra il 2000 e il 2040. La politica dello stato, inoltre, avrà l’obiettivo di assorbire le tensioni esistenti in taluni segmenti del mercato del lavoro, contenendo il livello di disoccupazione, e di aumentare gli investimenti pubblici e privati allo scopo di rafforzare l’economia del Paese. Con due leggi approvate in tempi rapidi, i Paesi Bassi sono diventati il primo Paese al mondo a riconoscere il matrimonio civile tra persone dello stesso sesso (2000) e a depenalizzare l’eutanasia (2001). Il governo ha elaborato, inoltre, un progetto di pianificazione del territorio che mira a disciplinare, per i prossimi vent’anni, l’espansione degli insediamenti civili e industriali, rispettando il più possibile le esigenze ambientali. L’istruzione obbligatoria comprende un ciclo a tempo pieno (dai 5 ai 16 anni) e uno a tempo parziale di altri due anni. Per quanto riguarda, infine, la sicurezza sociale e la sanità, il sistema mutualistico è stato completamente privatizzato: l’assicurazione pubblica copre solo pensionati, poveri ed invalidi. Ulteriori dati socio-politici sono contenuti nella tabella 3.63. Tabella 3.63 Principali indicatori socio-politici dei Paesi Bassi Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % della popolazione totale Popolazione attiva in % della popolazione totale Spesa pubblica per istruzione % sul PNL Tasso di alfabetizzazione (%) Tasso di scolarizzazione (%): 158 VALORI 0,7 89,2 47 5,07 99 ANNO 2003 1998 1998 1996 1997 107,80 131,50 47 0,921 (8°) Scuola inferiore Scuola superiore Università Indice di sviluppo umano 1996 1996 1996 1997 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.10.2 Quadro economico e principali variabili Nel 2000, per il quarto anno consecutivo, il PIL dei Paesi Bassi ha registrato una crescita superiore al 3%. L’economia del Paese (tabella 3.64) si conferma come una delle più competitive del mondo: nel 2001 occupava il quinto posto nella relativa classifica dell’IMD di Osanna (rispetto al quarto del 2000). Per quanto riguarda il settore primario, questo è sostenuto da una intensa attività di studi che riguarda l’Università Agraria di Wageningen, di fama internazionale, in collaborazione con istituti di ricerca e laboratori sperimentali, motivata dalla rapida evoluzione dei fenomeni che interessano la produzione agricola e le richieste sul mercato. Nel 2002, il settore ha contribuito alla formazione del PIL per il 3,2%, con il 75% dei prodotti agroalimentari (di cui un terzo basato sulla lavorazione di materie prime importate) destinato ai mercati esteri e una buona performance della categoria “alimentari, bevande e tabacco” che rappresenta circa il 18% della produzione industriale olandese. Ottima la produzione ortofrutticola che ha fatto registrare, per il 2000, un aumento percentuale delle esportazioni del 9% e, oltre ad offrire un significativo contributo alla bilancia dei pagamenti olandese, ha procurato 220.000 nuovi posti di lavoro. Segue, in ordine di importanza, la produzione delle piante ornamentali, che ha registrato lo scorso anno una variazione in aumento nelle vendite dell’11%. L’Olanda è ricca, inoltre, di risorse naturali e, attualmente, è il quinto produttore del mondo di gas naturale. Grandi quantità sono state scoperte nel 1959 a nord del Paese; la produzione annuale è di 2.000 milioni di metri cubi e, date le aspettative riguardo la futura disponibilità di riserve e la domanda sul mercato, si prevede che le forniture di gas naturale siano garantite per i prossimi 25 anni, sia per il mercato interno (l’industria chimica olandese contribuisce per il 65% al consumo di gas naturale), sia per quello estero. Il Paese è, infatti, uno dei maggiori esportatori di gas naturale del mondo e dispone di un sistema di oleodotti e gasdotti integrato alla rete di condutture europea. Altre risorse importanti per il Paese sono il cloruro di sodio, il cloruro di magnesio ed il petrolio grezzo. L’Olanda è un Paese particolarmente attento al rispetto ambientale, infatti, alla fine degli anni Ottanta, il governo ha introdotto una legislazione ambientale particolarmente severa per stimolare i ricercatori a sviluppare nuove tecnologie per la depurazione delle acque di scarico, per l’abbattimento dei gas di scarico e 159 per il riciclaggio dei rifiuti industriali e domestici che, dati i risultati ottenuti, si è rivelata molto efficiente. Per quanto concerne il settore industriale, una delle maggiori caratteristiche della produzione olandese è la prospettiva internazionale, non solo in termini commerciali ma anche per la dislocazione degli impianti e per la volontà di unire le proprie forze a quelle di aziende straniere. La compagine industriale è, inoltre, caratterizzata dalla presenza di un elevato numero di imprese di piccole e medie dimensioni. Fa eccezione il settore manifatturiero che, per alcune categorie (parafarmaceutiche, biotecnologiche, elettroniche, di software e telematiche), ha sviluppato forti concentrazioni di imprese, grazie anche alle sue competenze distintive, quali la formazione della forza lavoro multilingue, le attività di ricerca e sviluppo e l’uso di tecnologie innovative, che rendono la produzione sofisticata e ampiamente diversificata (sono stati questi fattori, infatti, determinanti nella crescita competitiva di cinque delle maggiori multinazionali: Philips, Unilever, Royal Dutch/Shell Group, Dsm e Akzo Nobel). L’industria metallurgica è specializzata nella produzione di macchinari e leader mondiale per la produzione di impianti agroalimentari, di veicoli e di interi sistemi produttivi per le imprese alimentari e chimiche. Grande importanza rivestono, poi, il settore dell’industria elettronica, quello della chimica, delle tecnologie informative e quello scientifico. Infine, la maggior parte delle aziende olandesi che operano nel terziario è attiva per lo più nel mercato locale, dove il commercio rappresenta la componente di spicco del settore, cui seguono i trasporti, le comunicazioni, l’edilizia e il settore finanziario (bancario e assicurativo). Negli ultimi venti anni, infatti, i servizi diretti alle imprese ed i servizi commerciali sono stati caratterizzati da una crescita eccezionale che li ha portati al vertice dell’economia con un incremento delle esportazioni che ha superato di gran lunga anche quello relativo alla produzione industriale. L’Olanda ha una posizione dominante, sul mercato europeo, per i servizi logistici, di trasporto e distribuzione. Gli studi recenti dei centri di distribuzione europea rilevano che il 56% delle società asiatiche e statunitensi ha scelto di decentrare in Olanda le proprie operazioni logistiche. Le compagnie olandesi controllano circa la metà dei trasporti su autocarri oltre il confine e quasi i due terzi del trasporto fluviale interno in tutta Europa. Il successo, oltre che all’efficienza dei servizi offerti, è in gran parte dovuto alle regolamentazioni pubbliche esistenti che contribuiscono a facilitare il passaggio delle merci alle dogane e al programma di investimenti in infrastrutture che riguarda sia il settore pubblico sia quello privato ed ha per oggetto l’ottimizzazione della struttura e la competitività dei due scali merci principali, l’aeroporto di Schiphol ed il porto di Rotterdam, centri vitali del Paese. 160 Tabella 3.64 Dati economici fondamentali 1997 Tasso di c. valuta locale per US$ 1,9513 PIL in $ a prezzi correnti (mln) 360,479 Variazione annua del PIL reale (%) 3,8 Variaz. della prod. industriale (%) 2,8 Tasso di inflazione (%) 2,2 Tasso di disoccupazione (%) 5,5 Rapporto debito pubblico/PIL (%) 70,3 Debito estero totale in $ (mln) n.d 1998 1,9837 378,384 3,9 1,1 2,1 4,1 67 n.d 1999 2,0706 396,553 9,6 0,0 2,3 3,2 63,8 n.d 2000 2,393 369,850 4,0 3,9 2,6 3,6 56,6 n.d Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.10.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono i consumi e gli investimenti, entrambi sia pubblici sia privati, ed il loro peso sul PIL del Paese. Per quanto riguarda l’Olanda, i dati disponibili sono contenuti nella tabella 3.65. In base a tali dati, per quanto concerne la spesa delle famiglie, si prevede2 una certa stabilità nella crescita dei consumi, che hanno registrato lo scorso anno un incremento percentuale del 3,9%, dovuto all’aumento della spesa per servizi relativi alla telefonia mobile, al commercio al dettaglio e al turismo, mentre un andamento moderato, già per gli anni precedenti, è stato rilevato per gli acquisti di prodotti alimentari e generi voluttuari. Le valutazioni sono modeste anche per gli investimenti, la cui variazione positiva è stimata ad un livello del 2% per l’anno in corso e dell’1,7% per il 2004. In diminuzione, è invece, la spesa del settore pubblico che da una variazione percentuale positiva del 3,4%, registrata lo scorso anno, passa ad una percentuale stimata del 2,25% per il 2005. Tabella 3.65 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) Consumi privati Consumi pubblici Investimenti 1997 59,62 13,85 20,24 1998 59,33 13,62 19,97 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 2 Previsioni realizzate dall’ICE (www.ice.it). 161 1999 50,05 22,89 22,28 2000 49,7 22,7 22,2 3.10.4 Relazioni con l’estero Famosa da secoli per il successo dei suoi commercianti, l’Olanda è un Paese naturalmente orientato alle relazioni internazionali ed al soddisfacimento della clientela estera. Le stesse autorità doganali olandesi sono notoriamente collaborative ed innovative, particolarmente orientate, nell’ambito della disciplina comunitaria, alla libera circolazione delle merci sul mercato internazionale. Il Paese assolve tradizionalmente alla funzione di “porta d’Europa” per tutti gli operatori che vogliono accedere ai mercati europei, sia per la sua posizione geografica, sia per la qualità delle infrastrutture esistenti che garantiscono l’efficienza dei traffici commerciali sia sul mercato interno, sia estero. L’Olanda è membro dell’Unione Europea dalla sua fondazione, dell’ONU e delle sue varie organizzazioni specializzate (Banca Mondiale, FMI, ONUDI, OIT, ecc.), dell’UNCTAD, del Consiglio d’Europa, della NATO, dell’OCSE, delle varie Banche di sviluppo internazionali. Oltre l’Olanda, altri 10 paesi dell’unione (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna) sono entrati a far parte dell’Unione Monetaria europea e, considerata l’enorme importanza che il commercio estero riveste per l’andamento dell’economia olandese, il Paese è uno dei più convinti sostenitori, nelle varie sedi internazionali delle istituzioni di cui fa parte, della liberalizzazione degli scambi e dei rapporti economici con i paesi stranieri. L’analisi della bilancia commerciale mostra un surplus relativo agli ultimi quattro anni (tabella 3.66), caratterizzato da una certa stabilità nella crescita delle transazioni con l’estero sia in entrata sia in uscita. Per il 2000, in particolare, le esportazioni di beni hanno contribuito alla formazione del PIL per il 55,8% e quelle relative ai servizi per il 14,6%, mentre le importazioni hanno rappresentato il 50,6% del PIL per i traffici relativi alle merci, ed il 14,3% per i servizi. Tabella 3.66 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ correnti (mln) n % del PIL ariazione annua % Imp. di beni in $ correnti (mln) n % del PIL • variazione annua % Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ correnti (mln) 1997 189,400 52,5 -2,9 167,624 46,5 -2,7 21,776 50,148 162 1998 195,305 51,6 3,1 174,491 46,1 4,1 20,814 51,614 1999 195,076 49,2 -0,1 177,122 44,7 1,5 17,954 53,668 2000 206,424 55,8 5,8 187,181 50,6 5,7 19,242 54,076 • in % del PIL • variazione annua % Imp. di servizi in $ correnti (mln) • in % del PIL • variazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) 13,9 3,4 45,918 12,7 0,2 4,230 13,6 2,9 47,947 12,7 4,4 3,667 13,5 4,0 49,547 12,5 3,3 4,121 14,6 0,8 53,095 14,3 7,2 981 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Per quanto riguarda le importazioni (tabella 3.67), i principali paesi fornitori del mercato olandese risultano essere, in ordine di importanza, la Germania, gli Stati Uniti ed il Regno Unito. L’Italia non ha una posizione di spicco rispetto al totale importazioni, sebbene mantenga la propria posizione di esportatrice netta verso il mercato olandese per i prodotti manufatti. Decisamente interessante è la performance della Cina, le cui esportazioni verso i Paesi Bassi sono contraddistinte dalla dinamica più alta in assoluto (27,4%), in virtù della quale è riuscita a passare da un volume di 2,9 miliardi di dollari del 1997 ai 6,15 miliardi del 2000. Per quanto riguarda, infine, i “nuovi” mercati di approvvigionamento, un certo riguardo meritano l’Irlanda, Singapore e la Corea del Sud. Tabella 3.67 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2000 Germania Belgio/Lussemburgo Francia Regno Unito Italia (5°) % del Paesi fornitori 2000 tot. 24,7 Germina 13,3 Stati Uniti 10,9 Regno Unito 10,9 Belgio/Lussemburgo 6,0 Italia (8°) % del tot. 16,5 10,2 9,0 8,9 2,7 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it L’analisi della tabella 3.68, riportata di seguito, mette in evidenza i settori di maggior interesse per le transazioni commerciali con l’estero dei Paesi Bassi. L’andamento delle importazioni, nel quadriennio considerato, riflette una flessione per il 1998, anno caratterizzato da una certa inversione di tendenza nell’ultimo quadrimestre, dovuta ad un ribasso dei prezzi e del tasso di inflazione che hanno permesso una rapida crescita delle esportazioni. Nel 1999, invece, la variazione totale riportata è stata del 7,11%, a seguito dell’aumento dei volumi importati, che hanno raggiunto cifre pari a 167,8 miliardi di dollari, rispetto ai 162,4 fatturati nel 1997, trend continuato nel 2000 con una crescita del 4,05%, ed un volume totale di 174,7 miliardi di 163 dollari. In particolare, i comparti che, nel quadriennio 1997-2000, hanno maggiormente contribuito alla formazione del totale import olandese, in ordine decrescente, sono i seguenti: • apparecchi elettrici di precisione (con un peso percentuale del 29,97% sul totale delle importazioni); • prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (11,32%); • prodotti delle miniere e delle cave (8,76%); • autoveicoli (7,29%). Tabella 3.68 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2000 Macchinari e veicoli da trasporto Prodotti chimici Generi alimentari Combustibili minerali, lubrificanti e derivati Bevande e tabacco US$ mln 71,648 33,000 25,921 18,527 4,763 Beni importati 2000 Macchinari e veicoli da trasporto Beni di consumo Settore manifatturiero Combustibili minerali, lubrificanti e derivati Generi alimentari US$ mln 77,910 25,213 24,898 20,368 15,407 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it L’interscambio commerciale Italia - Paesi Bassi durante il quadriennio 1997/2000 (tabella 3.69), mostra un surplus commerciale delle transazioni olandesi per tutto il periodo in esame. I settori che hanno maggiormente interessato le importazioni olandesi dall’Italia, in ordine d’importanza, sono i seguenti: • apparecchi elettrici di precisione (peso percentuale, nel 2000, del 17,58% sul totale delle importazioni): il comparto mostra le cifre maggiori per quanto riguarda i volumi importati, sebbene la dinamica degli incrementi annuali riporti un valore negativo del 11,24% a seguito dell’andamento dei traffici che mostra un fatturato di circa 997 milioni di dollari nel 1997 e di circa 697 milioni di dollari nell’ultimo anno. I saldi commerciali sono, comunque, in avanzo per i Paesi Bassi in tutti e quattro gli anni considerati. • macchine ed apparecchi meccanici (17,26%): i dati relativi al settore delle macchine mostrano un deficit commerciale che perdura durante l’intero quadriennio. Le cifre relative alle importazioni, infatti, superano di gran lunga quelle delle transazioni in uscita, passando da un fatturato di circa 700 milioni di dollari nel 1997 ad uno di circa 684 milioni di dollari nel 2000 e riportando, quindi, una dinamica di crescita negativa (0,77%); 164 • • prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (12,51%): al terzo posto, in ordine d’importanza, c’è il comparto dei prodotti chimici che riporta una dinamica degli incrementi annuali ancora più negativa (-10,65%) dei comparti precedenti; metallo e prodotti in metallo (9,15%): anche nel comparto dei prodotti metalliferi le esportazioni italiane verso i Paesi Bassi hanno subito una flessione, ma essendo stata essa inferiore a quella evidenziata in altri comparti, il suo peso relativo sull’export italiano totale verso l’Olanda è incrementato. Per quanto riguarda le esportazioni verso il mercato italiano, i comparti di maggior riguardo, sono i seguenti: • apparecchi elettrici di precisione (peso percentuale, nel 2000, del 29,29% sul totale delle esportazioni); • prodotti alimentari, bevande e tabacco (21,25%); • prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (15,56%); • prodotti delle miniere e delle cave (6,52%). Tabella 3.69 Interscambio commerciale Italia – Paesi Bassi Esportazioni in Euro Importazioni in Euro Saldo 2000 6.793.871.603 15.080.084.943 -8.286.213.340 2001 7.279.766.073 16.587.665.351 -9.307.899.278 2002 451.063.367 352.120.804 98.942.563 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero dei Paesi Bassi è la regolamentazione delle importazioni. Quale membro dell’Unione Europea, l’Olanda non presenta barriere doganali (dazi o contingenti) per le merci provenienti dagli altri paesi dell’Unione. Tali traffici sono gravati soltanto dell’IVA locale (BTW) che è pari, dal primo gennaio 2001, al 19% sulla maggior parte dei prodotti (quella ridotta del 6% viene applicata ai generi alimentari, alle medicine, ai prodotti agricoli, alle pubblicazioni, ai servizi di trasporto, ecc.) e di accise per alcuni altri prodotti (bevande alcoliche ed analcoliche, tabacco, oli minerali e zucchero). Per l’importazione di autovetture e motociclette, in particolare, esiste l’imposta “BVP” calcolata sulla base del prezzo (esclusa IVA) del bene relativo riportato nel catalogo dell’importatore ufficiale. Nei confronti dei paesi terzi vige la tariffa esterna comune dell’UE. Sono in vigore i trattamenti preferenziali concordati dall’Unione Europea con vari paesi stranieri. La legge olandese è subordinata agli accordi internazionali e promuove ampiamente i principi del libero scambio internazionale, per cui esistono 165 solo poche restrizioni alle importazioni che riguardano particolari tipologie di beni quali, ad esempio, alcune categorie di prodotti agricoli e, soprattutto, animali e piante appartenenti a specie minacciate. 3.10.5 Rischio Paese Concludiamo l’analisi dei Paesi Bassi riportano il suo grado di rischiosità. La SACE3 colloca tale Paese nella prima categoria su sette (1 minor rischio; 7 maggior rischio). Data la sua stabilità politica, sociale e le sue buone prospettive di crescita economica, l’Olanda può essere considerata a rischio minimo. 3 Dato aggiornato a settembre 2003. 166 3.11 La Polonia La Polonia è un PVS appartenente all’Europa centro-orientale. Le sue caratteristiche fisiche sono illustrate nella figura 3.11, mentre la tabella 3.70 contiene i principali dati del Paese. Figura 3.11 La Polonia: posizione e caratteristiche geografiche Tabella 3.70 Dati di base Superficie Popolazione Densità di popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 312.685 kmq 38.626.000 circa 123,5 abitanti/kmq polacco cattolica Zloty (PLN) Repubblica Parlamentare Varsavia Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 167 3.11.1 Situazione politica e sociale Dopo la seconda guerra mondiale, eliminati gli elementi democratici e filooccidentali, la Polonia entrò nel blocco comunista. Nel 1987 ha imboccato la strada della democrazia e, nel 1999, è entrata a far parte della NATO ed è stata inclusa nel primo gruppo dei candidati all’Unione Europea. Il primo maggio 2004, infatti, il Paese è entrato ufficialmente a far parte dell’UE. L’importanza strategica della Polonia nel processo di allargamento è confermata nei fatti dagli stanziamenti che l’UE assegna a questo Paese e che ammontano a ben 17,5 miliardi di Euro nel triennio 2004-2006, pari al 45% del totale destinato ai 10 paesi dell’adesione. La Polonia, infatti, è il più vasto e popoloso tra i nuovi entranti, è dotato di notevoli risorse, di una popolazione giovane ed istruita, di un sistema di leggi moderno e sufficientemente garantito, in continuo aggiornamento per adeguarsi alle esigenze dell’Unione. Il territorio polacco è suddiviso in tre livelli amministrativi ripartiti in 16 voivodati (regioni), 308 distretti, 65 città-distretto (comuni con poteri e funzioni allargati, analoghi a quelli dei distretti) e 2.489 comuni. Il Comune costituisce il primo livello dell’amministrazione locale. Il Distretto è l’ente locale intermedio (simile alla Provincia) costituito da un gruppo di comuni il cui numero può variare da alcune unità a più di dieci. Il Voivodato (la Regione), infine, è la più grande unità dell’ordinamento amministrativo dello Stato. I suoi organi rappresentativi sono: il Parlamentino (ossia il Consiglio Regionale) eletto a suffragio universale, e la Giunta. Entrambi sono presieduti dal Presidente della Regione. Rappresentante dell’amministrazione centrale a livello regionale è il Voivoda, quale custode dell’interesse nazionale. Per quanto riguarda l’istruzione, questa è garantita ed obbligatoria dai 7 ai 14 anni di età (scuola primaria). La scuola secondaria, della durata di 4 o 5 anni, comprende diversi indirizzi (generale, professionale tecnico e professionale di base) ed è il punto di partenza per l’istruzione superiore. Il sistema di sicurezza sociale, finanziato in parte dai lavoratori e in parte dallo Stato, eroga indennità di disoccupazione, sussidi alle madri nubili, pensioni, assegni familiari, indennità per invalidità e malattia. L’assistenza medica è gratuita e finanziata dallo Stato, tuttavia è in crescita il numero delle cliniche private. Ulteriori dati socio-politici sono sintetizzati nella tabella sottostante (tabella 3.71). 168 Tabella 3.71 Principali indicatori socio-politici della Polonia VALORI 0,0 della 66,4 Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % popolazione totale Popolazione attiva in % della popolazione totale Spesa pubblica per istruzione % sul PIL Spesa pubblica per sanità % sul PIL Tasso di alfabetizzazione (%) Tasso di scolarizzazione (%): Scuola inferiore Scuola superiore Università Indice di sviluppo umano ANNO 2002 2002 74,6 2002 5,3 6,2 99,7 2002 2002 2002 99,9 87,9 24,7 0,814 (44°) 1999 1999 1999 2002 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.11.2 Quadro economico e principali variabili L’economia polacca è da sempre gravata da un alto tasso di inflazione (7,3% nel 1999), di conseguenza, per contenere tale fenomeno le autorità polacche hanno dovuto attuare una politica monetaria restrittiva, con gli effetti indesiderati di ridurre anche il tasso di crescita e di far aumentare la disoccupazione. Ciò nonostante, si sono mantenuti elevati i flussi delle esportazioni (grazie ad un forte aumento della produttività) e gli investimenti diretti esteri. Il ruolo dell’agricoltura nell’economia polacca è marginale, tanto che rappresenta il 3,4% del PIL. I cereali, soprattutto segale e frumento, sono la coltura più diffusa; grande importanza hanno poi, la patata, la barbabietola da zucchero, il lino e la colza. Sono rilevanti anche gli allevamenti di suini, bovini, animali da cortile ed equini. La Polonia ha vaste risorse naturali di carbone, rame, zolfo, zinco, argento e piombo. E’ uno tra i leader europei nella produzione ed esportazione di carbone, nonostante questo settore sia stato, negli ultimi anni, cronicamente sussidiato e sia in corso un drastico programma di ristrutturazione. Per quanto riguarda l’estrazione del rame, la Polonia è il maggiore produttore europeo e il sesto più grande produttore mondiale. Limitate sono, invece, le risorse di fonti energetiche come il petrolio e il gas naturale, anche se sono in atto alcuni progetti di ricerca di nuovi giacimenti. L’economia polacca, come tutte le economie in transizione da un ex sistema comunista, è caratterizzata da una struttura industriale che, pur incorporando ancora settori ereditati dal vecchio sistema (come l’industria pesante), ne sta completando la ristrutturazione, tentando nel contempo di introdurre nuove 169 produzioni. Nel 2000, l’andamento globale del settore industriale mostrava ancora segnali positivi (+7,2%), mentre ha subito un brusco arresto nel 2001 (0,2%) e la ripresa del 2002 è stata molto lieve (1,0%). La tendenza alla crescita e alla ripresa economica trovano un volano nella crescita della produzione industriale e dei lavori pubblici, ma anche nella capacità di adattarsi al momento di recessione da parte del mondo degli affari. Un miglioramento potrebbe arrivare dalla partecipazione delle aziende polacche coinvolte nel programma di ricostruzione dell’Iraq. Un forte impatto, inoltre, potrebbe avere la prevista riforma del sistema fiscale e burocratico, meglio orientato al supporto delle attività economiche. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la Polonia soffre di profonde discrepanze regionali in fatto di sviluppo economico. Le regioni tradizionalmente più industrializzate sono i voivodati di Malopolskie, di Slaskie, Opolskie e Wielkoposkie, situati nel sud-ovest del Paese. Va, inoltre, evidenziato un abbassamento dei livelli occupazionali in quasi tutti i rami dell’industria, in conseguenza della necessità di raggiungere una maggiore efficienza e colmare, così, il divario rispetto ai paesi occidentali. Infine, il mercato dei servizi è quasi interamente aperto alle imprese dei paesi UE. Gli unici rami del settore terziario che rimangono protetti sono il mercato audio-visuale e quello delle lotterie, nei quali gli imprenditori dell’Unione Europea non possono detenere pacchetti maggioritari. Il settore dei servizi ha conosciuto tassi di crescita spesso superiori a quelli di molti altri settori. In continuo aumento è il numero di professionisti (avvocati, commercialisti, medici specializzati, ecc.). Contemporaneamente si assiste alla proliferazione di agenzie che offrono servizi più complessi, come le agenzie per il commercio estero e per la distribuzione dei beni, le agenzie per ricerche di mercato e pubblicità. Ulteriori dati economici generali vengono indicati nella tabella sottostante (tabella 3.72). Tabella 3.72 Dati economici fondamentali Tasso di cambio valuta locale in € Tasso di c. valuta locale per US$ PIL in $ a prezzi correnti (mld) Variazione annua del PIL reale (%) Variaz. della prod. industriale (%) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione (%) Rapporto debito pubblico/PIL (%) Debito estero totale in $ (mln) % sul PIL 1999 4,2274 3,4926 155 4,1 3,5 7,3 12,0 43,4 60.578 39,1 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 170 2000 4,0082 3,9674 164 4,0 3,6 10,1 14,5 38,0 63.562 38,8 2001 3,6721 4,3454 183 1,0 6,7 5,5 16,2 38,9 63.048 34,5 2002 3,8574 4,0970 189 1,3 -0,1 1,9 17,8 43,5 65.490 34,7 3.11.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella 3.73. Tabella 3.73 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) Consumi privati Consumi pubblici Investimenti 1999 64,4 15,5 25,5 2000 63,8 17,8 23,9 2001 64,9 17,8 21,0 2002 66,3 17,9 19,2 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Il rapido sviluppo economico del decennio trascorso deriva soprattutto dal grande processo di privatizzazione dell’industria polacca, che ha consentito l’arrivo di cospicui capitali, accompagnato da un’apertura del mercato a merci, servizi e investimenti (per esempio nel settore immobiliare). Il livello dei consumi è aumentato velocemente accanto ad un’accresciuta disponibilità di prodotti, anche se con esso si è verificato un rilevante fenomeno inflattivo, ormai riportato completamente sotto controllo. In tal senso la politica monetaria restrittiva ha dato certamente i suoi frutti, al punto che si è passati in pochi anni da un’inflazione a due cifre ad un valore dell’1,9% (2002). E’ doveroso ricordare, inoltre, che sono presenti in Polonia, con investimenti rilevanti, quasi tutti i grandi gruppi multinazionali e che il Paese è stato destinatario della maggior parte degli IDE in questa area geografica. 3.11.4 Relazioni con l’estero Per quanto riguarda i rapporti internazionali, un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione della Polonia negli anni è da attribuire alla sua adesione a diverse organizzazioni internazionali, quali, ad esempio, il Cefta, la NATO, il FMI, la Banca Mondiale e, soprattutto, l’Unione Europea. In ambito dei negoziati con l’UE, la Polonia ha ottenuto agevolazioni in materia di libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Nell’ultimo decennio il grado di apertura dell’economia polacca (calcolato come rapporto tra il PIL e l’interscambio totale di merci) è cresciuto (nel periodo 1999-2002 si è aggirato attorno al 40%) man mano che il Paese orientava nettamente i propri scambi verso l’Unione Europea, abbandonando i legami commerciali privilegiati che aveva intrattenuto con i paesi del Comecon. Nonostante le difficoltà che la Polonia ha attraversato in termini di crescita economica negli anni 1998-2001, è da sottolineare che proprio in questo periodo è stato rilevato un aumento delle esportazioni del 27,9%, 171 segnale molto positivo per la competitività del sistema economico polacco. Nel 2002, il valore del commercio estero (tabella 3.74) polacco è, per la seconda volta consecutiva, cresciuto dopo la flessione nel 1999: le importazioni hanno fatto registrare un incremento annuo di quasi 4,8 miliardi di dollari (+9,6%), mentre le esportazioni sono aumentate di oltre 4,9 miliardi di dollari (+13,6%), principalmente grazie alle eccezionali prestazioni di settori come quello degli autoveicoli, dei mezzi di trasporto, degli articoli in gomma e in materie plastiche, dei prodotti alimentari, bevande e tabacco, dei mobili. Tabella 3.74 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di beni in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di servizi in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) 1999 26.347 17,0 -12,5 40.727 26,3 -7,1 -14.380 3.310 2,1 -10,0 4.934 3,2 17,9 -1.624 2000 28.256 17,2 7,2 41.424 25,3 1,7 -13.168 3.516 2,1 6,2 5.200 3,2 5,4 -1.684 2001 30.275 16,6 7,1 41.950 22,9 1,3 -11.675 3.988 2,2 13,4 4.964 2,7 -4,5 -976 2002 32.983 17,5 8,9 43.287 23,0 3,2 -10.304 3.993 2,1 0,1 4.995 2,6 0,6 -1.002 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Per quanto riguarda le importazioni (tabelle 3.75 e 3.76), la Germania è di gran lunga il principale fornitore della Polonia, con una quota del 24% nel 2001 e del 25,5% nel 2002, pressoché costante dal 1998. La Russia, salita al secondo posto nel 2001 grazie a un forte incremento del valore delle sue esportazioni, quasi interamente ascrivibile alla vendita di petrolio e gas naturale, nel 2002 è stata nuovamente sorpassata dall’Italia. La dinamica delle esportazioni russe nell’arco degli anni 1999-2002 è stata del 18,1%. La Russia è, così, giunta a detenere nel 2002 una quota dell’8% sulle importazioni polacche (5,8% nel ‘99). Come detto, in tale anno l’Italia è salita al secondo posto tra i fornitori, con una quota dell’8,4% (4,61 miliardi di dollari americani) e una dinamica positiva ma debole (2,4%), nonostante un aumento delle nostre esportazioni da 4,1 a 4,6 miliardi di dollari 172 nell’ultimo anno. Così, nei quattro anni considerati la fetta di mercato italiana ha subito un’erosione non trascurabile (-10,6%). Viene poi la Francia (7% nel 2002), in lieve crescita rispetto al 1998 (6,8%), seguita dal Regno Unito (3,9%) che, invece, ha perso oltre mezzo punto percentuale. Tra i paesi più dinamici, oltre alla Russia, si evidenzia la Cina, al sesto posto con una quota del 3,9%, cresciuta soprattutto grazie ad aumenti delle vendite nel comparto elettrico. Peraltro, va notato che tra i primi venti fornitori non vi sono paesi caratterizzati da una dinamica negativa delle proprie esportazioni in Polonia, il che è un sintomo del dinamismo commerciale dell’economia polacca. Nel 2002 le importazioni polacche dal mondo si sono principalmente orientate verso i comparti merceologici delle macchine elettriche e apparecchiature elettriche e di precisione (14,3% sul totale importazioni), dei prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (13,8%), delle macchine ed apparecchi meccanici (11,2%), degli autoveicoli (10,3%) e del metallo e prodotti in metallo (8,9%). Per quanto riguarda le esportazioni, la Germania è anche il primo cliente della Polonia, che nel 2002 ha indirizzato al Paese limitrofo il 32,3% delle sue esportazioni (36,1% nel ‘99), per un valore che è salito a 13,3 miliardi di dollari. Seguono, a grande distanza, la Francia e l’Italia, con una quota, rispettivamente, del 6% (2,47 miliardi di dollari americani) e del 5,5% (2,26 miliardi di dollari); vengono, poi, il Regno Unito (5,2%) ed i Paesi Bassi (4,5%). L’export polacco si concentra principalmente nei comparti degli autoveicoli (13,3% del totale esportazioni), dei metalli e prodotti in metallo (11,9%), delle macchine elettriche e apparecchiature elettriche e di precisione (10,7%), degli altri mezzi di trasporto (6,8%) e dei mobili (6,8%). Tabella 3.75 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2002 Germania Italia Francia Regno Unito Repubblica Ceca % tot. 34.0 5,3 5,0 4,9 4,3 del Paesi fornitori 2002 Germania Italia Russia Francia Paesi Bassi % tot. 29,0 8,0 7,6 7,1 5,2 del Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Tabella 3.76 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2002 Meccanica Sistema moda US$ mln 1.181 867 Beni importati 2002 Autoveicoli Sistema moda 173 US$ mln 722 261 Chimica Metallurgica 648 432 Elettrotecnica Chimica 254 208 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Nel 2002 l’interscambio italo-polacco (tabella 3.77) ha totalizzato 6,9 miliardi di dollari, segnando un incremento del 12,7% rispetto al 2001. Il saldo commerciale bilaterale, nel periodo 1999-2002, è stato sistematicamente favorevole all’Italia, che esporta in Polonia oltre il doppio (in termini di valore espresso in dollari) di quanto importa da essa. Nel 2000 tale margine si era notevolmente assottigliato (da 2,5 a 2,1 miliardi di dollari americani), ma si è poi nuovamente ampliato nei due anni successivi, tanto che nel 2002 il saldo della bilancia commerciale ha fatto segnare, per la Polonia, un passivo di 2,36 miliardi di dollari. E’ interessante notare che gli scambi più consistenti tra i due paesi avvengono essenzialmente all’interno degli stessi comparti. Per quanto concerne le importazioni, nel 2002 la Polonia ha importato dall’Italia beni per 4,61 miliardi di dollari, contro i 4,15 miliardi del 2001, il che si traduce in un incremento dell’11,2%. E’ doveroso sottolineare che questa crescita segue un triennio di prestazioni assai poco convincenti dell’export italiano verso la Polonia: il 1999 (-2,4%) e il 2000 (-5,2%), infatti, sono stati caratterizzati da un andamento negativo, e il 2001 ha fatto registrare una lievissima crescita (+1,8%). I comparti di maggior peso tra le importazioni polacche dall’Italia sono: • macchine ed apparecchi meccanici (25,3% sul totale importazioni): nel 2002 il valore delle esportazioni italiane in Polonia in questo comparto è stato di 1,17 miliardi di dollari, con un incremento del 18,2% rispetto al 2001; • prodotti tessili (10,1%): le importazioni del comparto (che comprende gli articoli in maglieria) hanno raggiunto, nel 2002, il valore di 464 milioni di dollari, con una lieve crescita sul 2001 (+3,5%). Rispetto al 1999, primo anno del periodo in esame, il valore degli acquisti è rimasto pressoché statico, palesando una certa saturazione del mercato, come dimostra una dinamica delle importazioni molto bassa (1,7%); • apparecchi elettrici e di precisione (9,7%): dopo un 2000 in netta contrazione (-11,3%), legata alla forte svalutazione dell’euro sul dollaro, le importazioni del comparto hanno fatto registrare una crescita vigorosa nei due anni successivi, con aumenti del 17,8% e del 9,4% rispettivamente nel 2001 e nel 2002; • autoveicoli (9,3%): gli acquisti dall’Italia rientranti nel comparto (che comprende anche carrozzerie, parti ed accessori, ecc.) hanno totalizzato 432 174 milioni di dollari nel 2002, con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente. Le esportazioni polacche in Italia hanno fatto registrare, nel 2002, un valore pari a 2,26 miliardi di dollari, cifra che rappresenta un incremento del 15,8% sull’anno precedente. Nell’arco degli anni 1999-2002 si sono registrate variazioni annuali quasi sempre al rialzo, con l’unica eccezione del 2001 (2,6%). La posizione commerciale della Polonia, però, non è particolarmente migliorata in questo periodo: il suo deficit nei confronti dell’Italia ammonta a 2,36 miliardi di dollari nel 2002, mentre era sceso a 2,05 miliardi nel 2000. Le esportazioni verso l’Italia si raggruppano principalmente nei comparti degli autoveicoli, delle macchine elettriche ed apparecchiature elettriche e di precisione, nei metalli e nei prodotti in metallo, nei prodotti chimici e nelle fibre sintetiche ed artificiali. Tabella 3.77 Interscambio commerciale Italia – Polonia Esportazioni (mln di Euro) variazione annua % Importazioni (mln di Euro) variazione annua % Saldo (mln di Euro) Interscambio (mln di Euro) variazione annua % 1999 3.454 -0,4 1.664 23,6 776 5.118 6,3 2000 3.845 11,3 2.089 25,5 516 5.934 15,9 2001 4.243 10,4 2.199 5,3 132 6.442 8,6 2002 4.278 0,8 2.395 8,9 -94 6.673 3,6 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero della Polonia è la regolamentazione delle importazioni. Successivamente all’Accordo d’associazione con l’Unione Europea (1° febbraio 1994, già informalmente in vigore dal 1992), e di analoghi accordi con i paesi aderenti all’EFTA, ha avuto inizio un processo di progressiva riduzione delle barriere doganali alle importazioni delle merci provenienti dall’Unione Europea. Il Consiglio dei Ministri determina il livello dei dazi doganali. Secondo la legge doganale polacca, nessuna imposta è prevista sui macchinari e gli equipaggiamenti o su altre attività fisse che costituiscono apporto di una parte straniera a una società polacca, purché tali attività non siano vendute entro tre anni dalla data di sdoganamento. La prassi vuole che la quota di dazio aumenti secondo il grado di trasformazione della merce. Conformemente alle decisioni dell’Uruguay Round, il governo polacco ha aperto contingenti doganali che ammettono il minimo accesso al mercato dei generi agroalimentari. Le tariffe sono generalmente ad valorem. Nel nuovo 175 tariffario doganale, entrato in vigore il 1° gennaio 2001, nell’ambito degli accordi con l’Unione Europea tutti i dazi sui manufatti industriali non alimentari sono stati eliminati. Per altri paesi, invece, le aliquote convenzionali, applicate alla maggior parte delle importazioni di prodotti industriali dai membri del WTO, sono pari al 9-12%; le aliquote autonome, applicate ai paesi che non fanno parte del WTO, sono pari al 30-40%. Per i paesi in via di sviluppo l’aliquota preferenziale in molti casi è pari al 7,2%. 3.11.5 Rischio Paese Concludiamo l’analisi del mercato polacco valutando il suo grado di rischiosità. La Polonia è considerata un Paese a rischio esiguo (2a categoria su 7). Dimostra una crescita del PIL contenuta (1,3% nel 2002), frutto di un moderato aumento dei consumi delle famiglie (che hanno segnato un +2,7% nei primi tre trimestri del 2002), unito ad un buon risultato delle esportazioni nette. Queste ultime erano cresciute del 9% nel 2002, superando ampiamente l’incremento del 3,3% delle importazioni. Di conseguenza, il deficit della bilancia commerciale è diminuito del 11,8%. Il Paese manifesta, quindi miglioramenti a livello economico e non presenta problemi di tipo sociale e politico (qualche incertezza può derivare dall’alto tasso di disoccupazione). Oltre a questo, l’entrata della Polonia nell’UE è sicuramente un incoraggiamento per gli investitori. 176 3.12 La Russia (Federazione Russa) La Russia è un PVS appartenente alla regione dell’Europa centro-orientale. La figura 3.12 la descrive fisicamente, mentre la tabella 3.78 espone alcuni dati principali. Figura 3.12 La Russia: posizione e caratteristiche geografiche Tabella 3.78 Dati di base Superficie Popolazione Densità di popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 17.075.400 kmq 144.071.000 circa 8,52 abitanti/kmq russo cristiana ortodossa (60%) rublo Repubblica Federale Mosca Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 3.12.1 Situazione politica e sociale Dopo la “rivoluzione d’ottobre” del 1917, l’attuale Russia è stata la principale repubblica dell’URSS, l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche creata nel 1922 e comprendente i territori già soggetti all’impero zarista. Nella seconda metà degli anni Ottanta, la perestrojka (ristrutturazione) attuata da Michail Gorbaciov ha portato allo scioglimento dell’URSS (1991). La Russia, che già nel 1990 sotto la guida di Boris Eltsin, aveva proclamato la propria sovranità rispetto all’URSS, ha partecipato, 177 quindi, alla costituzione della CSI (1991) e nel 1992 si è data un nuovo assetto federale, articolato in diverse entità territoriali. Un’area di costante conflitto si è rivelata la Cecenia, la repubblica a maggioranza islamica che nel 1991 ha proclamato la propria indipendenza, non riconosciuta dal governo di Mosca. Due fasi di guerra acuta si sono registrate nel 1994-96 e nel 1999-2000. Nel 2000, la Commissione ONU per i diritti umani ha condannato la Russia per le violazioni commesse in Cecenia, ma le operazioni di guerra e gli attentati sono continuati; nello stesso anno il Presidente Putin ha assunto il controllo diretto della Repubblica, annullando ogni autonomia locale. La costituzione, approvata con il referendum del 1993, conferisce ampi poteri al Presidente Federale, eletto per quattro anni a suffragio universale e per non più di due mandati consecutivi: egli nomina il Primo Ministro, è responsabile della politica estera, controlla i servizi di sicurezza e gli organi di sorveglianza dell’informazione. Il potere legislativo appartiene all’Assemblea Federale (Parlamento) con due camere: la Duma e il Consiglio delle Federazione. Nel 2000, la Duma ha approvato la riforma istituzionale proposta dal Presidente Putin per ridimensionare il potere dei governatori regionali e accrescere il potere centrale su tutto il territorio della Federazione. Per quanto riguarda l’istruzione, questa è obbligatoria dai 7 ai 17 anni e comprende tre anni di scuola primaria e due cicli (della durata rispettivamente di 5 e 2 anni) di scuola secondaria. La spesa per l’istruzione rappresenta il 3,7% del PIL e il 12,9% della spesa pubblica. Gli standard accademici russi nei due settori tradizionali, matematica e scienze, sono rimasti mediamente in linea con gli standard dei paesi occidentali, anche nella prima fase del periodo di transizione, ma in seguito alla crisi del 1998 si è registrata una carenza nella formazione di personale altamente qualificato, in termini di conoscenze linguistiche e di livello manageriale. Il tradizionale sistema sovietico di assistenza totale non è più in grado di erogare i servizi ed è in via di progressivo smantellamento. La spesa dello Stato per la sicurezza sociale rappresenta il 21,1% delle spese totali. I salari pagati nella sanità e nella pubblica istruzione sono tra i più bassi a livello federale e si riscontra un forte squilibrio regionale. Ulteriori dati sociopolitici sono contenuti nella tabella 3.79. Tabella 3.79 Principali indicatori socio-politici della Russia Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % popolazione totale Popolazione attiva in % VALORI -0,4 della 78,7 ANNO 2002 2003 della 70,4 2003 178 popolazione totale Spesa pubblica per istruzione % sul PNL Tasso di alfabetizzazione (%) Tasso di scolarizzazione (%): Scuola inferiore Scuola superiore Università Indice di sviluppo umano 3,7 99,6 2003 2002 98,8 83,3 64 0,826 (40°) 2000 2000 2000 1999 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.12.2 Quadro economico e principali variabili Nell’ultimo decennio, nella Federazione Russa si è passati dall’economia pianificata a quella di mercato. Tale transizione ha comportato enormi trasformazioni e scompensi: l’attività produttiva e di trasformazione, prevista in funzione quasi esclusiva dei consumi interni, ha manifestato una pressoché totale inadeguatezza nei confronti del mercato mondiale. Da ciò è derivata una stasi dell’attività produttiva e una fortissima impennata delle importazioni, soprattutto dei beni di consumo. Con il trascorrere del tempo la situazione è migliorata lentamente, ma progressivamente. Questo processo, però, è reso particolarmente difficile e diseguale, vista l’enorme dimensione del territorio e, quindi, le differenze che lo caratterizzano. Tuttavia, dopo la crisi del 1998, la Russia ha sperimentato anni di stabilizzazione e di forte ripresa. Secondo i dati forniti dal Comitato Statale di Statistica della Federazione Russa (Goskomstat), i principali indicatori macroeconomici relativi al primo semestre 2003 dimostrerebbero un ulteriore graduale sviluppo del Paese: il PIL è cresciuto del 7,1% rispetto lo stesso periodo dell’anno precedente e molto positivo è anche il dato relativo agli investimenti, aumentati del 11,9%, mentre nello stesso periodo del 2002 l’aumento era pari al 2,3%. Tale valore dimostra il consolidamento di un importante periodo di sviluppo economico iniziato nel 1999, anche se parzialmente frenato dalla mancanza di finanziamenti. La produzione industriale ha avuto una marcata ripresa dopo la flessione del 2002, giungendo ad un aumento del 6,7% rispetto il 3,7% riscontrato l’anno precedente, mentre la produzione agricola è rimasta quasi invariata, registrando un aumento dello 0,5% rispetto a gennaio-maggio 2002. E’ da rilevare il crescente ruolo della componente interna nella crescita del PIL, fenomeno già avviatosi nel 2002 e che trova il suo motore principale nella domanda interna, sia di beni d’investimento sia di beni di consumo. Una delle principali caratteristiche dell’economia post-sovietica consiste nella drastica riduzione del ruolo dello Stato, attuata mediante la privatizzazione di gran parte dell’industria, dell’agricoltura e, soprattutto, dei servizi. 179 L’agricoltura è uno dei settori in cui le riforme economiche hanno stentato maggiormente ad essere attuate, perseverando pratiche legali ed economiche tipiche dell’era sovietica. Negli anni precedenti la riforma, le imprese, anche quelle integralmente private, non godevano di alcun diritto nei confronti della terra su cui erano ubicate potendo divenire, nel migliore dei casi, beneficiarie di un contratto d’affitto per un periodo massimo di 49 anni. Preso atto delle difficoltà che tale normativa provocava al processo di transizione verso un’economia di mercato, il Parlamento russo ha varato due importanti riforme: il nuovo “codice terriero” (novembre 2001), che consente la privatizzazione esclusivamente per terreni classificati come aziendali o urbani, costituenti solo il 2,1% di tutti i terreni della Russia; e la Legge sulla compravendita dei terreni agricoli (giugno 2002) che, per la prima volta dal 1917, consente la compravendita dei terreni adibiti ad uso agricolo. Il nuovo Codice vieta, tuttavia, la vendita di terreni agricoli ad entità legali estere che potranno beneficiare solo di contratti di affitto per un’estensione massima di 49 anni. La struttura produttiva offre la prova più evidente dei ritardi e delle lacune presenti nella legislazione vigente: derivate dalla riorganizzazione delle vecchie fattorie collettive, che ne ha comportato la trasformazione in società per azioni o in cooperative, le 27.300 imprese agricole di grandi o medie dimensioni non riescono a produrre più del 43,1% del totale su 161,8 milioni di ettari di terra. Al contrario, ben il 53,9% della produzione agricola è realizzata grazie a meno di 40.000 appezzamenti individuali, assai più piccoli. Solo il 3% del totale è prodotto da fattorie private vere e proprie, le quali, tuttavia, non dispongono che di 13,5 milioni di ettari di terra. La coltura principale è il frumento, seguono orzo, patate, segale, avena, girasole e barbabietola da zucchero. Le difficoltà incontrate nella produzione agricola e agroalimentare corrispondono al disagio che vive il settore dell’allevamento, dove negli ultimi anni si è assistito ad un impoverimento continuo del parco zootecnico, più che dimezzatosi nel decennio 1993-2003. La Russia dispone di ingenti risorse naturali e riserve di materie prime. Il 62% del territorio è ricoperto da foreste. Le riserve idriche sono egualmente ingenti, comprendendo i grandi laghi e i bacini fluviali per un volume d’acqua totale di 28.491 km cubi. Si stima che il valore delle risorse minerarie del Paese finora esplorate ammonti a oltre 28.000 miliardi di dollari. Sul totale delle riserve mondiali, il gas naturale russo rappresenta il 32,2%, il carbone il 23,3%, il petrolio il 15,7%, i metalli ferrosi il 6,8%, i non ferrosi il 6,3%, i metalli preziosi l’1%. La maggior parte delle risorse minerarie è concentrata nella Siberia Occidentale. Per quanto riguarda il settore secondario, la produzione industriale ha conosciuto una forte ripresa, registrando nel primo semestre del 2003 un tasso di crescita del 6,7% rispetto lo stesso periodo del 2002. Per la prima volta da molto tempo, gli investimenti hanno riacquistato vigore aumentando 180 generalmente in tutti i settori dell’economia, in particolar modo nel comparto dei combustibili, dei trasporti, dell’estrazione del petrolio, delle infrastrutture sociali. Nel primo semestre del 2003, infatti, i ritmi di crescita più elevati sono stati registrati nei settori: medicina e farmaceutica (+17,0%); combustibili (10,1%); metallurgia ferrosa (9,4%); metalmeccanica (7,5%); energia elettrica (7,4%); metallurgia non ferrosa (7,1%); vetro e ceramica (5,8%); materiali per l’edilizia (4,6%) ed altri. Una performance negativa è stata registrata nel settore microbiologico (-27,4%), poligrafico (-9,8%) e nell’industria leggera (-0,8%). Anche il settore terziario presenta deficienze, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture che risultano essere del tutto insufficienti. E’ leggermente migliore la situazione delle infrastrutture alberghiere, sia pure limitatamente ai due maggiori centri del Paese. In questo settore esistono, peraltro, vari progetti di ammodernamento e ricostruzione attualmente in corso o in via di definizione. Per contro, negli ultimi cinque anni sono stati compiuti sensibili progressi nel campo delle telecomunicazioni, soprattutto per quel che concerne la telefonia satellitare e mobile. Secondo le previsioni del Ministero delle telecomunicazioni, nel 2003 il mercato russo potrebbe raggiungere un controvalore di 12 miliardi di dollari confermando il trend positivo degli ultimi anni in cui il settore ha registrato un aumento pari al 40%, principalmente grazie alla telefonia mobile. Quest’ultima sta diventando uno dei settori in più rapido sviluppo, contraddistinto dalla presenza di vari operatori, sia russi sia internazionali, che intrattengono spesso rapporti di reciproca cooperazione. Per ulteriori indicatori economici si veda la tabella 3.80. Tabella 3.80 Dati economici fondamentali 2000 Tasso di cambio valuta locale in € 25,9847 Tasso di c. valuta locale per US$ 28,13 PIL in $ a prezzi correnti (mln) 259.716 Variazione annua del PIL reale (%) 10,05 Variaz. della prod. industriale (%) 11,8 Tasso di inflazione (%) 20,8 Tasso di disoccupazione (%) 10,5 Rapporto debito pubblico/PIL (%) 62,1 Debito estero totale in $ (mln) 160.100 61,6 • % sul PIL Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 181 2001 26,1425 29,17 309.903 5,05 5 21,6 9 48,8 152.649 49,3 2002 29,6971 31,35 346.537 4,3 3,8 16 8 53,4 151.010 43,6 2003 34,6648 30,92 415.854 6,2 6 13,6 7,9 55,8 159.349 38,3 3.12.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella 3.81. Tabella 3.81 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) Consumi privati Consumi pubblici Investimenti 2000 46,2 15 16,9 2001 48,9 16,3 18,6 2002 51,2 16,9 17,9 2003 53,6 16,4 18,8 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Dopo la crisi del 1998 si è avuta una sensibile contrazione del volume del commercio al minuto, dovuta al calo del potere di acquisto medio. La ripresa dei consumi, verificatasi a partire dalla seconda metà del 1999 (+69%), in particolare di alimentari e di taluni beni durevoli (scarpe, mobili, elettrodomestici), è avvertibile in tutta la zona centrale gravitante attorno a Mosca, cioè nel polo commerciale e finanziario russo, cui fanno capo oltre 12 milioni di abitanti (quasi 9 milioni nella sola zona urbana), senza contare i buyers e i distributori operanti nelle altre regioni del Paese. Nella capitale è tangibile la forte spinta ai consumi, con la pubblicità outdoor sempre più presente, anche sotto forma di enormi insegne luminose e colorate, che fanno somigliare Mosca ad una qualsiasi capitale dell’Europa occidentale. E’ frequente anche l’apertura di nuovi negozi, ristoranti e grandi centri commerciali. Nello specifico, dal 2000, l’andamento dei consumi risulta essere uno dei principali fattori trainati del PIL, registrando un tasso di crescita medio annuo superiore al 9%. Infine, l’andamento degli investimenti effettuati in Russia nei primi 5 mesi del 2003 è aumentato complessivamente in tutti i comparti dell’economia concentrandosi principalmente nel settore dei combustibili, dei trasporti, dell’estrazione del petrolio, delle infrastrutture sociali. Nonostante ciò si riscontrano nella struttura degli investimenti distorsioni e carenze: senza l’indispensabile apporto di capitali e tecnologia straniera l’industria manifatturiera difficilmente appare in grado di reggere la concorrenza internazionale. Dopo la crisi finanziaria e il crack bancario del 1998, la popolazione ha sostanzialmente cessato di investire in borsa e nel sistema creditizio, concentrando il 73% dei propri risparmi nella più sicura Sberbank, il sistema delle casse di risparmio garantito dallo Stato. Il crollo della fiducia dei risparmiatori, peraltro, li ha condotti a tesaurizzare valuta liquida, tanto che si stima vi siano in Russia almeno dai quaranta ai sessanta miliardi di dollari conservati “sotto il materasso”. 182 3.12.4 Relazioni con l’estero Dalla seconda metà degli anni Novanta, la Russia ha indubbiamente avviato un graduale processo di integrazione nell’economia mondiale, firmando, nel giugno 1994 a Corfù, un Accordo di Cooperazione e Partenariato con l’Unione Europea ed entrando ufficialmente nel Club di Parigi (1997). La Federazione Russa, inoltre, è stata ammessa al G7, ossia nel gruppo dei sette paesi occidentali più industrializzati, di conseguenza rinominato G8. Con riferimento agli accordi tra Russia e Unione Europea va rilevato, più in particolare, che l’accordo siglato nel 1994 è stato ratificato ed è entrato in vigore il primo dicembre 1997. È questo un fatto importante, se si tiene in debito conto l’importanza economica che riveste la Russia per l’UE, sua fornitrice del 20% del gas naturale e del 16% degli idrocarburi che le sono necessari. I paesi UE, d’altro canto, esportano verso la Russia quasi 20 miliardi di dollari in macchinari, prodotti alimentari e beni di consumo (dati del 1997, anno più favorevole prima della crisi). Uno dei programmi più importanti di cooperazione economica tra UE e Russia è stato quello di assistenza tecnica (TACIS) in vari settori. Il programma è entrato ora nella sua seconda fase (2000-2003), con un interesse maggiore verso gli investimenti diretti. Nell’incontro al vertice del febbraio 1999 a Mosca è stato, inoltre, firmato un Memorandum d’Intesa, con annesso documento tecnico, che prevede aiuti agroalimentari del valore commerciale di circa 300 milioni di dollari. Sebbene l’interscambio russo con il resto del mondo ammonti a circa il 60% del PIL, la Federazione Russa rimane ancora un Paese relativamente chiuso al commercio internazionale e, soprattutto, con un clima poco favorevole agli investimenti esteri. L’interscambio è in forte crescita, grazie al simultaneo sostenuto incremento delle esportazioni (+ 30% nei primi quattro mesi del 2003 rispetto al + 5,6% del 2002) e delle importazioni (+ 20% nei primi quattro mesi del 2003 rispetto al + 13,4% del 2002). E’, altresì, in forte aumento il già consistente saldo attivo della bilancia commerciale (+ 43% nei primi quattro mesi del 2003), come si può notare nella tabella 3.82. Tabella 3.82 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ correnti (mln) n % del PIL ariazione annua % Imp. di beni in $ correnti (mln) n % del PIL ariazione annua % 2000 105.034 40,4 -37,7 44.862 17,3 -37,7 183 2001 101.885 32,8 -3 53.763 17,4 19,8 2002 107.247 30,9 5,2 60.965 17,6 13,4 2003 127.765 30,7 25,4 74.851 18 39,2 Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ correnti (mln) n % del PIL ariazione annua % Imp. di servizi in $ correnti (mln) n % del PIL ariazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) 60.172 48.122 46.282 52.913 9.565 3,7 -32 16.229 6,3 -19 -6.664 10.785 3,5 12,7 19.229 6,2 18,5 -8.444 13.042 3,8 20,9 22.111 6,4 15 -9.069 15.457 3,7 43,3 25.897 6,2 34,7 -10.440 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Nel quadriennio 1999-2002 le importazioni russe dal mondo (calcolate in dollari americani) hanno subito un sensibile incremento (+14,8%), passando da 26,8 a 40,6 miliardi di dollari. La debole svalutazione del rublo (passato da un rapporto di cambio di 28 a 1 col dollaro a 32 a 1) spiega solo in parte l’andamento positivo delle importazioni russe particolarmente nel settore degli autoveicoli, apparecchi elettrici e meccanici, prodotti chimici, carta stampa ed editoria. In tale contesto è la Germania ad occupare ancora il primo posto nella classifica dei fornitori della Russia, con 6,1 milioni di dollari americani di beni esportati e una quota di mercato stabile al 15%. Al secondo posto vi è l’Ucraina che, con un volume di importazioni di 3,1 milioni di dollari, nel 2002 vede la propria quota flettere di quasi 2 punti al 7,68%. Seguono gli Stati Uniti (quota in diminuzione di oltre 2 punti al 6,3%) e la Cina (cresce di 2,5 punti al 5,75%). L’Italia ha visto accrescere la propria presenza sul mercato russo di un punto conquistando il 5,3% corrispondente ad un valore del nostro export pari a 2,1 milioni di dollari. In generale, le importazioni russe si orientano principalmente verso i comparti merceologici dei prodotti alimentari, bevande e tabacco (18,5% del totale importazioni), delle macchine ed apparecchi meccanici (15,7%), dei prodotti chimici, farmaceutici, fibre sintetiche ed artificiali (12,1%), dei metalli e dei prodotti in metallo (8,1%). Anche le esportazioni di merci russe sono aumentate, manifestando una crescita media annua del 7,6% e raggiungendo, nel 2002, il valore ragguardevole di 75,1 milioni di dollari americani. Sono i Paesi Bassi il principale Paese di sbocco dei prodotti russi con un valore al 2002 di 6,6 milioni di dollari e una crescita media annua di 23,9; segue la Cina, ove l’incremento dell’export russo è stato altrettanto eclatante. L’Italia figura al terzo posto tra i mercati di sbocco registrando, nel 2002, una crescita media annua sostenuta pari 10,1% per un valore di 5 milioni di dollari; gli altri principali mercati di destinazione dell’export russo sono la Germania, l’Ucraina, la Polonia e gli Stati Uniti. Analizzando la struttura delle esportazioni russe si evince come sia ancora ridotta la diversificazione del sistema produttivo del Paese, concentrato ancora essenzialmente sul 184 settore petrolifero. I principali comparti in cui si concentra l’export russo sono, quindi, i prodotti delle miniere e delle cave (39%), i metalli ed i prodotti in metallo (18,8%), i prodotti petroliferi raffinati (15,8%) ed i prodotti chimici (6,5%). Tali dati sono sintetizzati nelle tabelle 3.83 e 3.84. Tabella 3.83 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2002 Paesi Bassi Cina Italia Germania % del tot. 8,8 6,8 6,7 6,2 Paesi fornitori 2002 Germania Ucraina Stati Uniti Cina Italia % del tot. 15 7,6 6,3 5,7 5,3 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Tabella 3.84 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2002 US$ mln Prodotti delle miniere e cave Metallo e prodotti in metallo Prodotti petroliferi raffinati Prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali Apparecchi elettrici di precisione 29.705 14.193 11.873 4.903 1.793 Beni importati 2002 US$ mln Prodotti alimentari, 7.539 bevande e tabacco Macchine e apparecchi 6.370 meccanici Apparecchi elettrici di 5.286 precisione Prodotti chimici e fibre 4.917 sintetiche artificiali Metallo e prodotti in 3.314 metallo Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Per quanto riguarda l’interscambio commerciale italo-russo (tabella 3.85), nel quadriennio 1999-2002 l’Italia ha conseguito un sensibile miglioramento della propria posizione commerciale nei confronti della Russia; difatti, le esportazioni italiane verso il Paese sono cresciute ad un ritmo medio annuo pari a 24,5% per un valore, al 2002, di 2,1 miliardi di dollari americani. Il buon risultato conseguito ha consentito di contenere il pesante saldo negativo che l’Italia registra annualmente nei confronti della Russia: dagli oltre 6 miliardi di dollari del 2000 il deficit si è ridotto a 2,9 miliardi di dollari. I comparti più rilevanti delle importazioni russe dall’Italia sono i seguenti: 185 • • • macchine ed apparecchi meccanici: questo comparto, in cui le vendite dell’Italia hanno conseguito il valore più alto (846 milioni di dollari americani nel 2002), assorbe il 39,6% delle esportazioni italiane verso la Russia, con un saldo di 839 milioni di dollari favorevole all’Italia; metalli e prodotti in metallo: il comparto rappresenta il 9,1% (194 milioni di dollari) dell’export italiano in Russia con una dinamica media di crescita nell’ultimo quadriennio pari a 18,3 che ha consentito di accrescere la presenza italiana nel comparto dal 4,2 al 5,9%; apparecchi elettrici di precisione: una quota pari all’8% delle esportazioni italiane in Russia si concentra in questo comparto, con un valore di 172 milioni di dollari nel 2002 (+37,9% sull’anno prima); nonostante l’andamento confortante la quota dell’Italia è leggermente diminuita da 3,9 a 3,3. I comparti più rilevanti tra le esportazioni russe in Italia sono: • • • • prodotti delle miniere e delle cave: questo comparto, che aggrega l’export di prodotti energetici, assorbe, nel 2002, il 59,7% delle esportazioni russe verso l’Italia, per un valore di 3 miliardi di dollari, che determina un saldo favorevole alla Russia di misura equivalente; prodotti petroliferi raffinati: questo comparto esprime il 21% delle esportazioni russe verso l’Italia nel 2002 (1 miliardo di dollari), che si traduce, come per il precedente, in un saldo positivo di pari entità per la Russia; metalli e prodotti in metallo: esprime l’8,4% delle esportazioni russe in Italia, per un valore di 425 milioni di dollari. La prestazione russa va attribuita quasi per intero all’export di minerali grezzi, ferrosi e non, nonché di metalli preziosi; prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca: è la quarta voce per importanza nell’export russo verso l’Italia, anche se il suo valore è di gran lunga inferiore a quello dei comparti precedenti, attestandosi sui 164 milioni di dollari nel 2002. Tabella 3.85 Interscambio commerciale Italia – Russia 2000 Esportazioni in Euro 2.520.871.954 Importazioni in Euro 8.335.532.359 Saldo -5.814.660.405 2001 3.539.010.129 8.536.284.123 -4.997.273.994 2002 3.801.396.938 7.915.104.950 -4.133.708.012 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it 186 Ultimo aspetto relativo agli scambi è quello della regolamentazione delle importazioni. I regolamenti doganali, in fase di continuo aggiornamento, ricalcano approssimativamente quelli della Comunità Europea, per quel che concerne la documentazione. Il costo di sdoganamento di un bene in Russia è calcolato secondo la seguente formula: costo = valore doganale + dazio + Iva + diritti doganali, in cui il valore doganale è di regola stabilito in base al valore contrattuale; il dazio è pari ad una percentuale del valore doganale, specifica per ciascuna voce doganale; l’iva è pari al 20% del valore doganale maggiorato del dazio ed i diritti doganali sono rappresentato dallo 0,1% del valore doganale (da versare in rubli), più lo 0,05% del valore doganale (da versare nella valuta in cui è denominato il contratto). Le merci originarie dei paesi in via di sviluppo beneficiano del trattamento doganale preferenziale. La Russia fa parte dell’Unione doganale (che configura una zona di libero scambio) instaurata tra alcuni paesi CSI, come Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Il commercio con la Russia delle merci originarie di questi paesi è libero da qualsiasi restrizione tariffaria o quantitativa. Non esistono, infine, particolari restrizioni alle importazioni, fatta eccezione per alcune categorie merceologiche come i prodotti alcolici, farmaceutici ed alcuni prodotti chimici. 3.12.5 Rischio Paese Nella classifica rischio Paese, aggiornata al 15 settembre 2003, la SACE colloca la Federazione Russa nella quarta categoria su sette. Il rischio negli affari con tale Paese è, quindi, piuttosto elevato, data la delicata situazione politica in cui si trova e le note difficoltà di recupero economico. 187 3.13 La Svezia La Svezia è un Paese sviluppato che fa parte dell’Europa occidentale. La figura 3.13 la descrive fisicamente, mentre la tabella 3.86 espone alcuni dati principali. Figura 3.13 La Svezia: posizione e caratteristiche geografiche 189 Tabella 3.86 Dati di base Superficie Popolazione Densità di popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Sede di governo 449.964 kmq 8.924.000 19,7 abitanti/kmq svedese luterana (87%) Corono svedese (SEK)4 Monarchia Costituzionale a regime parlamentare Stoccolma Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it 3.13.1 Situazione politica e sociale La Svezia è una monarchia costituzionale ereditaria. La funzione legislativa è svolta da un Parlamento unicamerale (349 membri eletti per 4 anni a suffragio universale). Il potere esecutivo spetta al Governo, guidato dal Primo Ministro Göran Persson, responsabile nei confronti del parlamento, e da 19 ministri. Dal 2002 al 2006 il Governo è in mano al partito Social Democratico. Al pari del Regno Unito, la Svezia ha adottato la politica del wait and see nei confronti dell’Unione Economica e Monetaria, riservandosi di aderire alla terza tappa dell’UEM dopo aver sottoposto la questione ad un referendum popolare. Secondo un’indagine (dicembre 2000) condotta dall’istituto Demoskop per conto del giornale Finanstidningen, il 36% della popolazione si è dichiarato favorevole all’UEM, mentre il 53% è contrario. Dall’adesione all’UE nel 1995, l’opinione pubblica è sempre stata fortemente divisa. Nonostante il recente semestre di presidenza svedese del Consiglio dell’Unione Europea, la maggioranza della popolazione è avversa all’UE e il Partito della Sinistra e i Verdi hanno nel loro programma l’uscita della Svezia dalla Comunità. Uno dei motivi dell’atteggiamento negativo degli svedesi verso la Comunità Europea risiede nel fatto che all’abbattimento dei dazi doganali non ha fatto seguito (come, invece, è avvenuto in Finlandia dove la maggioranza è favorevole all’UE) una corrispondente riduzione dei prezzi dei generi alimentari. La differenza è stata, infatti, assorbita da importatori e grossisti ed i consumatori non ne hanno tratto beneficio. 4 L’unità monetaria della Svezia è la Corona Svedese (Skr), suddivisa in 100 Ore. Il tasso di cambio al 15 settembre 2003 è di 9,1420 Skr per 1 Euro; 8,0970 per 1 US$. 190 Il modello sociale svedese è caratterizzato da un’elevata offerta di servizi pubblici e da un’attiva rete di servizi di protezione sociale. Tali servizi, gravando sensibilmente sul bilancio statale, comportano, d’altra parte, un alto livello di pressione fiscale. E’ in corso, tuttavia, nei comuni retti da un’alleanza non socialista, un programma di privatizzazione di servizi sociali di vario tipo quali gli ospedali, gli asili e gli alloggi, al fine di alleggerire la pressione fiscale, composta al 90% da imposte comunali. Il livello di istruzione è molto alto. La scuola primaria (9 anni a partire dal sesto o settimo anno di età) è obbligatoria e gratuita. Seguono le scuole secondarie (3 anni) e numerosi istituti universitari e parauniversitari. Ulteriori indicazioni in merito alla situazione socio-politica della Svezia sono contenuti nella tabella 3.87. Tabella 3.87 Principali indicatori socio-politici della Svezia Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % della popolazione totale Popolazione attiva in % della popolazione totale Spesa pubblica per istruzione % sul PNL Tasso di alfabetizzazione (%) Tasso di scolarizzazione (%): Scuola inferiore Scuola superiore Università Indice di sviluppo umano VALORI 0,2 83,2 54 8,28 99,0 ANNO 2002 1998 1998 1997 1997 106,5 140,4 50,0 0,923 (6°) 1996 1996 1996 1997 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.13.2 Quadro economico e principali variabili Malgrado le condizioni climatiche non favorevoli e l’estensione limitata del territorio coltivato (7%), la resa unitaria del settore agricolo è ottima, grazie all’elevato utilizzo di tecnologie e macchinari. Vengono coltivati soprattutto i cereali, le patate e le barbabietole. Riveste un ruolo importante anche l’allevamento di bovini e suini. Il sottosuolo svedese è ricco di minerali di ferro (ne vengono estratte all’anno circa 20 milioni di tonnellate), uranio (corrispondente all’80% delle riserve complessive accertate nel continente), piombo, rame, zinco, tungsteno, manganese e argento. Sono presenti anche alcuni giacimenti auriferi. Rilevante è il settore secondario, sviluppato e moderno grazie al costante aggiornamento tecnologico e all’impegno del governo e delle imprese nella ricerca e nella formazione professionale. I comparti di maggiore espansione 191 sono quelli dei mezzi di trasporto, della chimica farmaceutica e delle biotecnologie. In forte ascesa sono anche l’elettronica e le telecomunicazioni, l’industrie del legno e della carta. Settori di notevole declino sono, invece, il tessile e l’abbigliamento, la siderurgia e la cantieristica. Il settore terziario contribuisce alla formazione del PNL per il 70,9%. Svolge un ruolo fondamentale il commercio estero (la cui bilancia commerciale registra un consistente saldo attivo), il sistema bancario e finanziario ed il turismo. Le principali attrattive sono i laghi, le foreste, il “sole di mezzanotte” nelle zone a nord del circolo polare artico e la città di Stoccolma. I visitatori provengono soprattutto dagli altri paesi scandinavi e dalla Germania. L’economia svedese è rientrata in una fase di equilibrio negli ultimi anni. La politica economica perseguita dal governo per risanare le finanze dello Stato si è dimostrata una delle più efficaci tra i paesi OCSE: il deficit del bilancio è quasi scomparso, mentre il debito accumulato si è stabilizzato in valore assoluto e diminuisce come quota parte del PIL. Una robusta crescita dell’export e degli investimenti è stata accompagnata da un tasso di inflazione molto basso (0,3% nel 1999), con una divisa nazionale relativamente stabile e con tassi d’interesse a livello dei paesi dell’UE. Altri dati economici sono presenti nella tabella 3.88. Tabella 3.88 Dati economici fondamentali Tasso di c. valuta locale per US$ PIL in $ a prezzi correnti (mln) Variazione annua del PIL reale (%) Variaz. della prod. industriale (%) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione (%) Rapporto debito pubblico/PIL (%) Debito estero totale in $ (mln) % sul PIL 1997 7,635 237.479 2,0 7,0 1,0 8,0 66,64 77.233 32,52 1998 7,950 237.764 3,0 6,0 0,4 6,5 64,42 75.864 31,91 1999 8,262 238.682 4,0 2,0 0,3 5,6 57,92 59.541 24,95 2000 9,171 227.101 3,6 4,9 1,3 4,7 55,62 42.699 18,80 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.13.3 Analisi della domanda potenziale I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale sono i consumi, gli investimenti ed il loro peso sul PIL del Paese (tabella 3.89). 192 Tabella 3.89 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) Consumi privati Consumi pubblici Investimenti 1997 50,70 26,73 14,87 1998 50,29 26,72 15,82 1999 50,54 27,02 16,58 2000 50,54 26,32 17,88 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 3.13.4 Relazioni con l’estero La Svezia è membro del World Trade Organization ed intrattiene relazioni economiche e commerciali con un gran numero di Stati. Ha negoziato trattati bilaterali in materia fiscale (per evitare la doppia imposizione) con più di 60 paesi. Solo in tempi recenti la Svezia ha deciso (non senza contrasti) di far parte dell’Unione Europea. Con l’entrata in vigore dell’accordo di adesione all’UE, il primo gennaio 1995, essa ha adottato la politica commerciale comune sancita dal Trattato CEE nei confronti degli Stati membri e degli Stati terzi, cessando, perciò, la sua partecipazione all’EFTA. La Svezia, però, non partecipa alla Moneta Unica Europea. Ciò in seguito ad una decisione parlamentare (basata soprattutto sulla manifestazione di una negativa opinione popolare) che ha voluto assicurare al Paese una maggiore libertà di azione e che, comunque, non esclude un’adesione futura. E’, tuttavia, possibile avere un conto in banca in Euro per depositi e pagamenti, contrarre mutui in Euro e, per le società, tenere la propria contabilità in Euro ed emettere azioni nella stessa moneta. La Svezia opera, inoltre, per una maggiore e più veloce liberalizzazione degli scambi commerciali con alcuni paesi terzi, in particolare con i paesi Baltici, oltre alla Polonia, la Russia e gli ex membri dell’Unione Sovietica che si affacciano sul Mar Baltico. Per quanto riguarda la bilancia commerciale (tabella 3.90), nel quadriennio 1997-2000, le importazioni e le esportazioni complessive svedesi hanno avuto un andamento piuttosto instabile, registrando alti e bassi da un anno all’altro (senza differenze troppo marcate). Nel 1998, l’economia svedese, fortemente dipendente dal commercio estero, è stata colpita dalla turbolenta congiuntura mondiale, in particolare dalle crisi asiatica, russa e brasiliana. L’incremento riscontrato nei primi mesi del 1999, dovuto soprattutto agli effetti della corona debole, si è accentuato nel secondo semestre, proseguendo anche nel 2000. La minore domanda interna (specialmente per beni di uso meno comune e per le automobili) riscontrata nell’ultimo anno, ha contribuito ad una certa diminuzione delle importazioni in termini di volume, mentre l’aumento dei prezzi di quasi tutte le materie prime ha riequilibrato i valori monetari, facendo registrare un importo superiore a quello dell’anno precedente. 193 Tabella 3.90 Principali indicatori di commercio estero Esp. di beni in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di beni in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Saldo bilancia comm.le in $ (mln) Esp. di servizi in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Imp. di servizi in $ correnti (mln) in % del PIL variazione annua % Saldo bilancia servizi in $ (mln) Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 1997 83.194 35,0 -1,8 65.195 27,5 -1,3 17.999 17.769 7,5 5,0 19.524 8,2 4,1 -1.755 1998 85.179 35,8 2,4 67.547 28,4 3,6 17.632 17.952 7,6 1,0 21.721 9,1 11,3 -3.769 1999 87.568 36,7 2,8 71.854 30,1 6,4 15.714 19.904 8,3 10,9 22.617 9,5 4,1 -2.713 2000 86.836 38,2 -0,8 71.752 31,6 -0,1 15.084 20.821 9,1 4,6 23.790 10,4 5,2 -2.969 Per quanto riguarda le importazioni, la Germania è il principale fornitore della Svezia, benché la sua quota di mercato sia leggermente diminuita rispetto al valore del 1997. I picchi di valore raggiunti nei diversi anni (soprattutto nel 1998) dalle nazioni con cui la Svezia ha stretti rapporti commerciali e che, in larga parte, sono quelle del centro-nord Europa (tabella 3.91), riflettono efficacemente la politica di fusioni ed acquisizioni che ha interessato il Paese. La situazione non ha subito grossi cambiamenti nel corso degli anni esaminati, salvo evidenziare una dinamica costantemente positiva per Danimarca e Polonia. Anche l’Italia ha visto aumentare le richieste svedesi, incrementando la propria quota di mercato da 3,16% del 1997 a 3,45% del 2000. L’andamento delle esportazioni non appare molto differente da quello delle importazioni, anche per quanto riguarda i paesi di destinazione. La Germania, il Regno Unito e gli U.S.A. occupano i primi posti, con una dinamica in lieve diminuzione per gli anni considerati. Seguono Norvegia, Finlandia e Danimarca. E’ da segnalare un certo incremento delle esportazioni verso paesi non UE, quali la Cina, la Polonia e la Turchia. L’Italia, a differenza della maggior parte dei paesi europei, ha acquistato un maggior peso fra i paesi clienti della Svezia, sia in termini di peso percentuale riferito al 2000, sia in termini di dinamica per gli anni 1997-2000. 194 Tabella 3.91 Orientamento geografico della bilancia commerciale Paesi clienti 2000 Stati Uniti Germania Regno Unito Danimarca Italia (10°) % del tot. 10,12 9,85 8,70 5,58 3,60 Paesi fornitori 2000 Germania Regno Unito Paesi Bassi Norvegia Italia (10°) % del tot. 18,86 8,28 7,91 7,67 3,59 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it La Svezia ha un’economia aperta, con un valore delle importazioni di beni che, per il 2000, è pari al 32% del PIL (tabella 3.92). I principali comparti dell’import svedese sono: • apparecchi elettrici di precisione (23,3% sul totale importazioni): tale settore, che riveste il peso maggiore relativamente alle importazioni, comprende macchinari elettronici, apparecchiature ottiche e fotografiche e strumenti di precisione; • macchine ed apparecchi meccanici (9,9%): le importazioni all’interno di questo comparto presentano un andamento in costante diminuzione, con un valore assoluto di 6,7 miliardi di dollari, nel 2000, e un saldo commerciale positivo di 3,3 miliardi di dollari; • prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali, inclusi i prodotti farmaceutici (9,2%): successivamente al 1998, anno in cui si è verificato un notevole aumento delle importazioni specialmente in termini di variazione percentuale annua, le importazioni dell’industria chimica non hanno mantenuto un ritmo di crescita costante. Il valore delle importazioni è, infatti, passato da 6,7 miliardi di dollari nel 1999 a 6,3 miliardi di dollari nel 2000; • metallo e prodotti in metallo (8,9%): questo comparto ha registrato un incremento delle importazioni nel 2000 per un valore assoluto di 6,1 miliardi di dollari. Le esportazioni svedesi hanno subito, negli ultimi anni, una certa contrazione. Parallelamente, si è avuto un incremento dei prezzi all’esportazione in determinati settori, come quello dell’industria della carta e della produzione di beni di investimento. I comparti che concorrono maggiormente all’export svedese sono: • apparecchi elettrici di precisione (25,2%); • macchine ed apparecchi meccanici (12,9%); • metallo e prodotti in metallo (9,8%); • prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali, prodotti farmaceutici (9,6%). 195 Tabella 3.92 Composizione merceologica della bilancia commerciale Beni esportati 2000 US$ mln Macchinari e mezzi di 48.334 trasporto Legname e cellulosa 11.530 Prodotti chimici 8.796 Prodotti minerari 7.014 Beni importati 2000 Macchinari e mezzi di trasporto Prodotti chimici Petrolio e prodotti petroliferi Prodotti minerari US$ mln 36.879 7.989 6.614 5.634 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Nel triennio 2000-2002, l’interscambio commerciale Svezia-Italia (tabella 3.93) risulta avere un saldo positivo. Nel 2000 si è avuta una netta ripresa delle esportazioni, il che ha portato il valore a oltre 508 milioni di dollari. Per quanto riguarda le importazioni, tra i comparti più rilevanti si segnalano: • macchine ed apparecchi meccanici (22,5%); • apparecchi elettrici di precisione (12,7%); • energia elettrica, gas e acqua e altri prodotti (12,7%); • metallo e prodotti in metallo (7,5%). In merito alle esportazioni, i comparti che interessano maggiormente l’Italia sono: • apparecchi elettrici di precisione (23,5%); • macchine ed apparecchi meccanici (14,5%); • pasta da carta, carta e prodotti di carta (13,8%); • metallo e prodotti in metallo (12,5%). Tabella 3.93 Interscambio commerciale Italia – Svezia Esportazioni in Euro Importazioni in Euro Saldo 2000 2.630.986.591 3.819.423.605 -1.188.437.014 2001 2.541.734.628 3.520.737.289 -979.002.661 2002 2.630.986.591 3.819.423.605 -1.188.437.014 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it Ultimo aspetto relativo al commercio estero della Svezia è la regolamentazione delle importazioni. La Svezia, quale Stato membro dell’Unione Europea, segue la normativa comunitaria e le importazioni dai paesi membri sono, pertanto, esenti da dazi doganali. E’, altresì, vietata qualunque misura avente effetto equivalente. Solo determinati soggetti approvati e qualificati possono importare prodotti farmaceutici, medicinali, veleni, armi ed esplosivi. Gli importatori di zucchero devono far parte della relativa associazione di categoria. Eliminato il 196 monopolio legale relativo alle importazioni di bevande alcoliche per la vendita al di fuori dei ristoranti, la licenza governativa e le leggi sulle tasse per i nuovi importatori di alcolici sono, adesso, al vaglio dell’Unione Europea. Non esistono barriere doganali per le merci provenienti dai paesi dell’Unione Europea. Su tutte le importazioni è previsto il pagamento dell’Iva (MOMS) del 25%, che grava non soltanto sul prezzo della merce, ma anche sul costo del trasporto e su ogni altro onere. Dal 1996 è prevista un’aliquota del 12% per i prodotti alimentari ed alcune opere d’arte, mentre per quotidiani, concerti, cinema, teatro, attività circensi, eventi sportivi, registrazione del diritto d’autore e per i diritti di filmare concerti, con e senza audio, l’aliquota è ridotta al 6%. Anche i servizi postali sono soggetti ad Iva, secondo aliquote che dipendono dal tipo di servizio e dalla destinazione nazionale o internazionale. I prodotti farmaceutici e le pubblicazioni mensili usufruiscono di una aliquota nulla, mentre le operazioni di assicurazione, i servizi bancari e finanziari e l’assistenza medica e sociale sono esenti. Le importazioni sono gravate, inoltre, dalla tassa sui beni di lusso e da altre imposte d’accisa, che colpiscono i dolciumi, le bevande alcoliche, i soft drinks, i tabacchi, i carburanti e le automobili. I trattamenti preferenziali sono accordati ai paesi che partecipano all’EFTA e a quelli associati all’Unione Europea. Secondo uno schema generalizzato di preferenza per i paesi meno sviluppati, nessun dazio è imposto sulle importazioni della maggior parte dei prodotti industriali semilavorati o finiti (tranne abbigliamento e calzature) e su determinati prodotti agricoli di 125 paesi in via di sviluppo, tra i quali l’Argentina, il Brasile, la Croazia, l’India, il Messico e la Tunisia. Tutti i prodotti agricoli tropicali sono ammessi duty-free. Con l’adesione all’UE, la Svezia ha adottato la normativa comunitaria anche per quanto riguarda la restrizione delle importazioni. L’UE limita l’importazione di tessuti e filati da una trentina di paesi e controlla l’importazione da una ventina di altri paesi. Essa limita, inoltre, l’importazione dalla Cina di alcuni prodotti industriali quali scarpe e giocattoli e sorveglia l’importazione di ferro ed acciaio da diversi paesi. Le licenze per l’importazione di tali prodotti sono concesse dal Kommerskollegium, il Consiglio nazionale per il Commercio. E’ proibita, infine, l’importazione di prodotti contenenti mercurio, di prodotti in PCB e in PCT, di CFC (Clorofluorocarburi) e HCFC (Idroclorofluorocarburi), prodotti contenenti gommapiuma, aerosols (lacche per capelli), estintori contenenti halon e prodotti le cui superfici sono state trattate con cadmio o con prodotti contenenti cadmio. 3.13.5 Rischio Paese La SACE colloca la Svezia nella prima categoria su sette (1 minor rischio; 7 maggior rischio), ciò significa che è un Paese a rischio molto basso5. Questo perché la Svezia è caratterizzata da una democrazia stabile che non presenta 5 Dato aggiornato a settembre 2003. 197 punti deboli a livello economico, finanziario o politico. I rischi principali della Svezia derivano da un mercato del lavoro che fondamentalmente non ha subito trasformazioni e dalla tendenza estremamente ciclica dei conti pubblici, sensibili, quindi, ad un’improvvisa inversione di tendenza economica. La disoccupazione strutturale rimane elevata per gli standard dell’Europa occidentale, ma la pressione salariale tende ad espandersi gradualmente in tutta l’economia quando si verificano delle difficoltà in alcuni settori chiave. Il rapporto fra la spesa pubblica e il PIL della Svezia è tra i più elevati nel mondo industrializzato e la pressione fiscale rappresenta un vero e proprio freno all’espansione. Ciò nonostante, le riforme del bilancio attuate fin dalla metà degli anni 90, specialmente l’introduzione dei tetti di spesa a medio termine, hanno ridotto la vulnerabilità delle finanze pubbliche ai cicli economici. Il governo sta, infine, prendendo in considerazione tagli notevoli alle imposte da apportare nei prossimi anni. 198 3.14 La Svizzera La Svizzera6 è un Paese sviluppato appartenente all’Europa occidentale. Le sue caratteristiche fisiche sono illustrate nella figura 3.14, mentre la tabella 3.94 contiene i principali dati del Paese. Figura 3.14 La Svizzera: posizione e caratteristiche geografiche Tabella 3.94 Dati di base Superficie Popolazione Lingua ufficiale Religione Unità monetaria Forma istituzionale Capitale 41.285 kmq 7.228.000 circa tedesco (63,9%) francese (19,5%) italiano (6,6%) reto-romancio (0,5%) cattolica (44,1%) protestante (36,6%) Franco svizzero (CHF)7 Repubblica Federale Berna Fonti informative: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002. 6 La difficoltà nel reperire i dati in merito alla Svizzera e la mancanza di buona parte di questi, ci permetterà di effettuare un’analisi meno dettagliata di quelle precedentemente esposte. 7 Il tasso di cambio del franco svizzero al 15 settembre 2003 è di 1,5564 CHF per 1 €; 1,3806 CHF per 1 US$. 199 3.14.1 Situazione politica e sociale La Svizzera è una Repubblica Federale composta da 26 Stati, che danno luogo alla ripartizione tradizionale in 23 cantoni. Ogni Stato è dotato di assemblea (Gran Consiglio) e governo (Consiglio di Stato) propri. In base alla costituzione del 1874, più volte modificata, il potere legislativo è esercitato dall’Assemblea Federale, formata dal Consiglio Nazionale (200 membri eletti a suffragio diretto per quattro anni) e dal Consiglio degli Stati (46 membri). L’Assemblea Federale elegge il Consiglio Federale, composto da 7 membri responsabili dell’attività amministrativa e di governo; fra di essi, ogni anno, viene scelto il Presidente. Alle elezioni del 1999, nonostante il successo dell’Unione democratica di centro (guidato dall’antieuropeista Cristoph Bloche), la situazione politica è rimasta stabile. Il governo è impegnato a gestire in modo equilibrato le posizioni acquisite in economia, i rapporti diplomatici e commerciali con i maggiori partner, cercando di evitare l’isolamento internazionale del Paese. Tra gli elettori svizzeri continua a prevalere una posizione di cautela e diffidenza nei confronti dell’Unione Europea. Dopo il referendum del 2000, nel quale la maggioranza degli elettori si era espressa a favore del rafforzamento dei legami con l’UE, un nuovo referendum nel 2001 ha bocciato la proposta di iniziare subito le trattative per un formale ingresso nell’Unione. Il livello culturale e di sicurezza sociale è molto alto. L’istruzione obbligatoria, gestita dai Comuni e dai Cantoni, dura 9 anni e si divide in un ciclo primario e in uno secondario inferiore. Vi sono programmi assicurativi obbligatori per tutti i lavoratori dipendenti; non vi è, infine, un sistema sanitario nazionale, l’assicurazione privata contro le malattie è obbligatoria per tutti i cittadini. La spesa dello Stato per l’istruzione e la sicurezza sociale rappresenta rispettivamente il 5,7% e il 29,2% del PNL (1997). Ulteriori dati socio-politici sono sintetizzati nella tabella sottostante (tabella 3.95). Tabella 3.95 Principali indicatori socio-politici della Svizzera VALORI 0,5 della 67,7 Tasso di incremento demografico Popolazione urbana in % popolazione totale Spesa pubblica per istruzione % sul PNL 5,7 Spesa pubblica per sanità % sul PNL 7,1 Indice di sviluppo umano 0,915 (13°) Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 200 ANNO 1999 2000 1997 1998 2002 3.14.2 Quadro economico e principali variabili La Svizzera è caratterizzata da un’economia aperta e presenta uno dei più elevati tenori di vita del mondo. Per quanto riguarda il settore primario, le principali colture sono i cereali, la barbabietola da zucchero e le patate. L’allevamento è molto sviluppato, in particolare quello bovino. I bovini vengono allevati non tanto per la carne, quanto per la produzione di latte, utilizzato in buona parte nella fabbricazione della cioccolata. Povero di materie prime (possiede solamente miniere di sale e ferro), il Paese ha fondato la sua prosperità sul settore secondario, tecnicamente avanzato e dotato di una manodopera estremamente specializzata, e sui servizi, in particolare sul turismo e sul settore bancario. Malgrado sia generalmente diversificata, l’economia svizzera è particolarmente vitale in alcuni settori come quello chimico e farmaceutico, i macchinari, gli orologi, gli strumenti di precisione ed i servizi finanziari. Uno dei punti di forza dell’industria svizzera è quello di aver saputo sfruttare i settori di nicchia: concentrando la produzione su prodotti e servizi ad alto valore aggiunto, sono stati superati i problemi di competitività derivanti dall’elevato costo del lavoro e dalla rigidità del mercato. Il settore dei prodotti esportabili è oggi molto vitale, mentre il settore agricolo e l’industria edile stanno lentamente aprendosi alle forze di mercato. Nel 2000 la crescita della Svizzera si è ridotta (tra il 2 ed il 3%), tuttavia, hanno manifestato lo stesso andamento anche i tassi d’inflazione (inferiori del 2%). Il Paese possiede, quindi, una congiuntura economica favorevole, sostenuta dalla flessibilità del mercato del lavoro, dal buon andamento dei consumi e dalla politica monetaria della banca centrale, tesa ad equilibrare il franco svizzero rispetto all’euro e al dollaro. I principali dati economici disponibili sono contenuti nella tabella 3.96. Tabella 3.96 Dati economici fondamentali PIL in $ a prezzi correnti (mld) Tasso di crescita reale (%) Tasso di inflazione (%) Tasso di disoccupazione Riserve internazionali in $ (mld) 1999 3,2 1,5 0,8 2,7 36,3 2000 4,2 3,1 1,6 1,8 32,3 2001 4,5 0,9 1 1,7 32 2002 4,9 0 0,6 2,5 40,2 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it 3.14.3 Analisi della domanda potenziale I consumi e gli investimenti sono i principali indicatori che ci consentono di stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale. Per quanto riguarda la Svizzera, i dati disponibili sono contenuti nella tabella 3.97. 201 Tabella 3.97 Indicatori della domanda potenziale Destinazione del PIL (%) Consumi privati Consumi pubblici Investimenti 2001 60,7 13,3 n.d. Fonte: sito della Banca Mondiale www.worldbank.org 3.14.4 Relazioni con l’estero Nel quadriennio 1999-2002, la Svizzera risulta avere un saldo della bilancia commerciale in attivo (tabella 3.98). Tabella 3.98 Principali indicatori di commercio estero Importazioni in $ correnti (mld) Esportazioni in $ correnti (mld) Saldo 1999 91,8 -91 0,8 2000 94,8 -92,7 2,1 2001 95,8 -94,3 1,6 2002 102,7 -94,1 8,6 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it Nel 2002, i principali paesi di importazione della Svizzera sono: Germania (32,3%), Italia (10,8%), Francia (10,4%), Stati Uniti (5,3%) e Regno Unito (4,7%). I prodotti importati appartengono ai comparti dei prodotti chimici (22,1% sul totale importazioni), delle macchine e dell’elettronica (21,5%), degli autoveicoli (10,4), degli orologi e strumenti di precisione (6,6%), dei prodotti tessili, dell’abbigliamento e calzature (7%). L’Italia occupa il quarto posto come destinazione delle esportazioni svizzere ed il terzo posto come fornitore del Paese. La Svizzera rappresenta un mercato molto importante per le esportazioni italiane, sia per il loro valore globale, sia per la notevole diversificazione delle merci richieste. L’interscambio commerciale tra Italia e Svizzera (tabella 3.99) è andato aumentando negli ultimi anni in misura progressiva, sia dal lato delle esportazioni sia da quello delle importazioni. Nel biennio 2000-01 la nostra bilancia commerciale con la Svizzera è risultata in attivo, ma nel 2002 il nostro saldo commerciale ha oscillato verso il deficit (-363 milioni di euro) in seguito ad una riduzione rilevante delle nostre esportazioni congiunta ad una crescita costante delle nostre importazioni. Le principali voci delle esportazioni italiane risultano molto vitali: i prodotti farmaceutici e prodotti chimici e botanici per usi medicinali, che rappresentano la prima categoria, sono passati dai 627 milioni di euro del 2000 ad 1 miliardo nel 2002 (+60%). Seguono gli articoli di abbigliamento e accessori che passano dai 512 milioni di euro del 2000 ai 202 681 del 2002. Altre voci importanti sono i mobili, le calzature, i prodotti chimici di base e gli autoveicoli. Dal lato delle importazioni, i metalli di base preziosi e non ferrosi, con i metalli placcati o ricoperti di metalli preziosi, sono la voce principale con 2,4 miliardi di euro nel 2002, in aumento rispetto ai 2 miliardi del 2000. Seguono i prodotti farmaceutici e i prodotti chimici e botanici per usi medicinali con 1,5 miliardi di euro nel 2002 (da 917 milioni del 2000) e l’energia elettrica, che in due anni è diventata la terza categoria del nostro import (732 milioni di euro nel 2002). Altre voci importanti sono gli orologi e i prodotti chimici di base. Tabella 3.99 Interscambio commerciale Italia – Svizzera Esportazioni in Euro Importazioni in Euro Saldo 2000 8.626.724.542 8.446.629.522 180.095.020 2001 9.839.999.488 9.604.442.325 235.557.163 2002 9.361.312.435 9.724.575.575 -363.263.140 Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it 3.14.5 Rischio Paese La SACE colloca la Svizzera nella prima categoria su sette (1 minor rischio; 7 maggior rischio)8. In base alle caratteristiche politiche, sociali ed economiche la Svizzera può essere considerata, quindi, come un Paese a rischio molto basso. 8 Dati aggiornati a settembre 2003. 203 CAPITOLO IV SELEZIONE FINALE DEI MERCATI DI SBOCCO 4.1 Il ruolo della concorrenza Il capitolo precedente ci ha permesso di esaminare e comprendere nel dettaglio le caratteristiche dei tredici paesi selezionati alla conclusione della prima fase di questa ricerca. Prima di proseguire e scegliere un numero ristretto di paesi verso i quali le aziende di Montebelluna dovrebbero indirizzare le loro esportazioni, è necessario fare qualche premessa. Per prima cosa, le aziende interessate a questo processo di internazionalizzazione dovrebbero realizzare un’analisi dettagliata ed accurata del sistema competitivo che potrebbero incontrare una volta insediate nel singolo Paese. Il sistema competitivo è quella parte di ambiente economico nel quale le imprese attuano la gestione e si misurano con la concorrenza. Esso “costituisce quella parte di ambiente che più direttamente interagisce con l’impresa, in quanto composto da tutti gli attori che in vario modo e in diversa natura contrastano o collaborano rispetto alla realizzazione dei disegni aziendali. Nell’ambiente competitivo si sviluppano, infatti, comportamenti antagonistici e comportamenti cooperativi che coinvolgono le singole organizzazioni. I loro dirigenti, pur nella consapevolezza che non è sufficiente assumere informazioni per scegliere la strada più adatta a raggiungere gli obiettivi connessi alla mission aziendale, non possono ignorare la configurazione che va assumendo l’ambiente competitivo e, a questa conoscenza, nei modi più diversi e con differente consapevolezza, dedicano parte del loro tempo”9. L’analisi del sistema competitivo permette, dunque, di definire il fenomeno della «competizione» o «concorrenza» come “una situazione nella quale due o più soggetti (i concorrenti) perseguono simultaneamente obiettivi ottenibili in via esclusiva da uno, o pochi, di loro; l’elemento essenziale che caratterizza una relazione competitiva è, dunque, il fatto che il raggiungimento del proprio obiettivo da parte di uno qualsiasi dei concorrenti pregiudica in tutto o in parte il successo degli altri”10. Il tema della struttura e della dinamica dei sistemi competitivi è, per questo, significativo ai fini sia delle analisi, sia delle decisioni di governo e di direzione dell’azienda, soprattutto nel caso in cui essa decida di 9 Rispoli M., Sviluppo dell’impresa e analisi strategica, cit., p. 70. Volpato G., La gestione d’impresa, cit., p. 899. 10 205 intraprendere la strada dell’internazionalizzazione. Infatti, la scelta del sistema competitivo in cui operare costituisce un insieme articolato di decisioni fondamentali; si stabilisce, appunto, l’estensione delle combinazioni economiche dell’azienda in termini di area geografica, di gamma di prodotti, di categorie di clienti, di grado di integrazione verticale, di concorrenti diretti, e così via. La definizione da parte di un’impresa del suo sistema competitivo le permette di stabilire, perciò, la presenza e l’entità del suo vantaggio competitivo che, secondo Porter, “nasce fondamentalmente dal valore che un’azienda è in grado di creare per i suoi acquirenti, che fornisca risultati superiori alla spesa sostenuta dall’impresa per crearlo. Il valore è quello che gli acquirenti sono disposti a pagare: un valore superiore dunque deriva dall’offrire prezzi più bassi della concorrenza per vantaggi equivalenti, o dal fornire vantaggi unici che controbilancino abbondantemente un prezzo più alto”11. Di conseguenza, sistema competitivo e vantaggio competitivo sono due temi strettamente connessi l’uno con l’altro, che si completano a vicenda e che risultano fondamentali nel momento in cui un’azienda decide di instaurare rapporti con l’ambiente esterno. Per questi motivi, i due temi sopra esposti dovrebbero essere oggetto di analisi attenta da parte delle stesse aziende, sia attraverso lo studio “a tavolino” del fenomeno, sia inviando direttamente sul posto personale specializzato dell’azienda, con lo scopo di esaminare in quel determinato contesto la presenza di concorrenti e di condizioni favorevoli o meno. In un contesto come quello del distretto montebellunese, poi, la comprensione e “l’estensione dell’ambito competitivo ha un effetto diretto sul vantaggio competitivo di un’impresa in quanto dà forma non tanto alla configurazione e alle caratteristiche economiche della catena del valore dell’impresa, ma soprattutto al sistema del valore, inteso come insieme interconnesso delle catene del valore di tutti gli attori con i quali l’impresa sviluppa dei rapporti (fornitori di beni, servizi, clienti, consumatori finali, ecc.)”12. Per facilitare questo compito, di seguito vengono esposti dati e tabelle relative alla concorrenza mondiale ed alla posizione dell’Italia nel settore delle calzature sportive, degli scarponi da sci, snowboard e trekking. 11 12 Porter M.E., Il vantaggio competitivo, Edizioni Comunità, Milano, 1988, p. 9. Rispoli M., Sviluppo dell’impresa e analisi strategica, cit., p. 342. 206 Tabella 4.1 Concorrenza mondiale per le calzature sportive MERCATI DINAMICI POSIZIONAMENTO DEBOLE POSIZIONAMENTO FORTE DELL’ITALIA DELL’ITALIA Quota in Quota Quota in Quota in Quota Quota in crescita stabile flessione crescita stabile flessione Francia Regno Unito Austria Belgio Lussemburgo Paesi Bassi Australia MERCATI IN CRESCITA MODERATA POSIZIONAMENTO DEBOLE POSIZIONAMENTO DELL’ITALIA DELL’ITALIA Quota in Quota Quota in Quota in Quota crescita stabile flessione crescita stabile Stati Uniti Canada Austria MERCATI MENO DINAMICI POSIZIONAMENTO DEBOLE POSIZIONAMENTO DELL’ITALIA DELL’ITALIA Quota in Quota Quota in Quota in Quota crescita stabile flessione crescita stabile Giappone Spagna Hong Kong Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 207 FORTE Quota in flessione Francia FORTE Quota in flessione Germania Tabella 4.2 Principali paesi importatori di calzature sportive (valori in milioni di dollari americani) Paesi 1998 1999 2000 2001 2002 Var. %13 199802 Quota % 1998 Quota % 2002 Stati Uniti Regno Unito Italia Belgio/Luss. Francia Giappone Paesi Bassi Germania Spagna Hong Kong Canada Australia Austria Taiwan Messico Irlanda Portogallo Danimarca Svizzera Corea Sud Importazioni mondiali14 501 287 269 224 239 360 90 245 209 197 92 44 37 15 15 31 34 23 28 8 601 296 290 266 194 358 140 199 141 114 102 48 35 16 15 32 31 21 24 7 655 237 307 225 239 346 164 176 138 124 119 52 39 28 20 30 24 25 26 15 626 289 300 312 276 340 169 188 142 104 115 50 49 31 26 32 28 28 27 18 521 336 334 313 312 306 199 193 141 126 92 73 52 40 35 35 33 33 27 25 0,9 4,0 5,5 8,7 6,9 -4,0 22,0 -5,8 -9,5 -10,6 0,1 13,7 8,7 28,2 24,1 2,9 -0,7 9,6 -0,8 33,1 14,3 8,2 7,7 6,4 6,8 10,3 2,6 7,0 6,0 5,6 2,6 1,2 1,1 0,4 0,4 0,9 1,0 0,6 0,8 0,2 13,3 8,6 8,5 8,0 7,9 7,8 5,1 4,9 3,6 3,2 2,3 1,9 1,3 1,0 0,9 0,9 0,8 0,8 0,7 0,6 3.512 3.447 3.596 3.811 3.925 2,8 100 100 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 13 14 Media geometrica degli incrementi annuali Le importazioni mondiali sono ottenute sommando al valore delle importazioni dei paesi dichiaranti il valore delle loro esportazioni verso i paesi non dichiaranti, dopo aver diviso queste ultime per 0,95. 208 Grafico 4.1 Andamento della domanda mondiale di calzature sportive Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Dall’analisi della tabella 4.1, si può notare la presenza dell’Italia nei mercati esteri che, in precedenza15, abbiamo definito come destinazioni “classiche” delle esportazioni del distretto montebellunese. Oltre a questi, nella tabella 4.2, notiamo la presenza di alcuni mercati già selezionati che rientrano nella categoria dei paesi con maggior potenziale. Infine, il grafico 4.1 mostra l’andamento crescente della domanda mondiale di calzature sportive, dato incoraggiante per le future esportazioni delle aziende del distretto. A livello globale, l’Italia si colloca come quinto Paese esportatore di calzature sportive, preceduto dalla Cina, da Belgio e Lussemburgo, dall’Indonesia e dalla Tailandia (tabella 4.3 e grafico 4.2). 15 Si confronti cap.1.1. 209 Tabella 4.3 Principali paesi esportatori di calzature sportive (valori in milioni di dollari americani) Paesi 1998 2000 2001 2002 Var. %16 199802 Quota % 1998 Quota % 2002 Cina 972 873 1.143 Belgio/Luss. 577 570 526 Indonesia 317 409 465 Tailandia 205 162 215 Italia 230 183 166 Paesi Bassi 37 83 66 Francia 50 58 47 Spagna 51 71 67 Regno Unito 43 40 36 Stati Uniti 80 71 95 Germania 60 52 43 Filippine 84 51 35 Taiwan 39 32 31 Austria 11 8 8 Corea Sud 75 80 68 Malaysia 8 8 13 Brasile 13 10 15 Danimarca 4 3 5 Portogallo 7 5 4 Svezia 2 2 2 Esportazioni mondiali17 3.239 3.510 3.740 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 1.439 654 393 238 153 156 49 54 39 58 44 43 32 12 52 16 21 5 5 2 1.666 679 242 197 149 108 52 50 19 18 17 35 30 26 19 17 14 9 5 5 14,4 4,1 -6,5 -1,0 -10,2 31,0 0,9 -0,4 3,5 -12,1 -5,6 -19,4 -6,4 24,9 -28,6 21,6 3,4 24,9 -8,1 26,2 30,0 17,8 9,8 6,3 7,1 1,1 1,5 1,6 1,3 2,5 1,8 2,6 1,2 0,3 2,3 0,2 0,4 0,1 0,2 0,1 38,3 15,6 5,6 4,5 3,4 2,5 1,2 1,1 1,1 1,1 1,1 0,8 0,7 0,6 0,4 0,4 0,3 0,2 0,1 0,1 4.255 4.345 7,6 100 100 16 17 1999 Media geometrica degli incrementi annuali Le esportazioni mondiali sono ottenute sommando al valore delle importazioni dei paesi dichiaranti il valore delle loro esportazioni verso i paesi non dichiaranti, dopo aver diviso queste ultime per 0,95. 210 Grafico 4.2 Valore delle esportazioni italiane di calzature sportive rispetto alla domanda mondiale (in milioni di dollari USA) Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it I dati finora esposti riguardavano le calzature sportive in generale, ad eccezione degli scarponi da sci, da snowboard e da trekking, che verranno di seguito analizzati utilizzando i criteri sopra illustrati. Tabella 4.4 trekking Concorrenza mondiale per gli scarponi da sci, snowboard e POSIZIONAMENTO DELL’ITALIA Quota in Quota crescita stabile Corea del Sud MERCATI DINAMICI DEBOLE POSIZIONAMENTO DELL’ITALIA Quota in Quota in Quota flessione crescita stabile Austria Spagna Hong Kong Taiwan MERCATI IN CRESCITA MODERATA POSIZIONAMENTO DEBOLE POSIZIONAMENTO DELL’ITALIA DELL’ITALIA Quota in Quota Quota in Quota in Quota crescita stabile flessione crescita stabile 211 FORTE Quota in flessione Francia Regno Unito Belgio Lussemburgo FORTE Quota in flessione MERCATI MENO DINAMICI POSIZIONAMENTO DEBOLE POSIZIONAMENTO DELL’ITALIA DELL’ITALIA Quota in Quota Quota in Quota in Quota crescita stabile flessione crescita stabile Canada Germania FORTE Quota in flessione Stati Uniti Giappone Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Tabella 4.5 Principali paesi importatori di scarponi da sci, snowboard e trekking (valori in milioni di dollari americani) Paesi 1998 1999 2000 Stati Uniti 307 261 279 Francia 154 154 150 Regno Unito 117 110 107 Canada 155 147 157 Italia 151 112 112 Germania 178 132 127 Corea Sud 25 32 56 Spagna 58 73 80 Austria 59 62 64 Giappone 97 113 85 Hong Kong 39 52 62 Belgio/Luss. 50 51 49 Taiwan 33 22 22 Paesi Bassi 31 39 40 Australia 27 28 29 Svizzera 35 39 32 Norvegia 22 24 22 Svezia 26 21 22 Cile 6 3 6 Danimarca 12 11 10 Importazioni mondiali19 1.943 1.821 1.862 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 18 19 2001 Quota 2002 Var. %18 % 1998-02 1998 263 172 115 162 107 135 68 88 54 67 60 50 24 45 24 33 20 19 6 10 242 177 149 148 126 96 90 80 66 64 54 52 41 38 36 32 29 25 17 17 1.901 1.983 0,5 -5,8 3,4 6,1 -1,1 -4,1 -14,3 38,1 8,2 2,9 -9,8 8,3 1,1 5,1 5,3 7,4 -2,1 7,2 -0,6 29,4 8,1 Quota % 2002 15,8 7,9 6,0 8,0 7,8 9,1 1,3 3,0 3,0 5,0 2,0 2,6 1,7 1,6 1,4 1,8 1,1 1,3 0,3 0,6 12,2 8,9 7,5 7,5 6,4 4,8 4,5 4,0 3,3 3,2 2,7 2,6 2,1 1,9 1,8 1,6 1,5 1,3 0,9 0,9 100 100 Media geometrica degli incrementi annuali Le importazioni mondiali sono ottenute sommando al valore delle importazioni dei paesi dichiaranti il valore delle loro esportazioni verso i paesi non dichiaranti, dopo aver diviso queste ultime per 0,95. 212 Grafico 4.3 Andamento della domanda mondiale di scarponi da sci, snowboard e trekking Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Come per le calzature sportive, anche per gli scarponi da sci, snowboard e trekking, si può notare la presenza dell’Italia in alcuni dei mercati “classici” delle esportazioni del distretto (tabella 4.4). Inoltre, nella tabella 4.5, osserviamo la presenza di alcuni mercati appartenenti già alla categoria dei paesi con maggior potenziale. Il grafico 4.3 illustra, poi, l’andamento prima crescente, ma attualmente decrescente, della domanda mondiale di scarponi da sci, snowboard e trekking. In questo comparto, l’Italia si colloca a livello mondiale come terzo Paese esportatore, preceduto dalla Cina e dall’Indonesia (tabella 4.6 e grafico 4.4). Tabella 4.6 Principali paesi esportatori di scarponi da sci, snowboard e trekking (valori in milioni di dollari americani) Paesi 1998 1999 2000 2001 2002 Quota Var. %20 % 1998-02 1998 Quota % 2002 Cina Indonesia Italia Tailandia Francia 1.227 575 450 345 116 1.210 785 424 289 115 1.319 795 418 228 99 1.346 774 401 225 99 1.373 625 417 236 107 2,8 2,1 -1,9 -6,5 -2,0 38,3 17,4 11,6 7,3 3,0 20 Media geometrica degli incrementi annuali 213 35,0 16,4 12,8 9,8 3,3 87 77 88 Germania 67 82 99 Spagna 61 59 74 Stati Uniti 38 35 29 Austria 38 38 Belgio/Luss. 48 35 34 11 Paesi Bassi 33 34 Regno Unito 42 32 52 81 Taiwan 7 8 8 Portogallo 5 4 4 Brasile 3 4 7 Malaysia 6 2 3 Danimarca 4 4 4 Svezia 25 25 29 Corea Sud 5 4 4 Irlanda Esportazioni mondiali21 3.505 3.576 3.612 Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it 2,6 -6,9 -14,4 7,7 -6,5 32,3 -6,7 -30,1 0,6 23,3 -0,7 18,5 8,0 -36,2 -0,3 90 70 49 41 41 44 36 21 10 7 4 4 4 11 4 98 74 40 39 37 33 32 19 8 8 7 7 6 5 4 3.613 3.586 0,6 2,5 2,8 2,1 0,8 1,4 0,3 1,2 2,3 0,2 0,1 0,2 0,1 0,1 0,8 0,1 2,7 2,1 1,1 1,1 1,0 0,9 0,9 0,5 0,2 0,2 0,2 0,2 0,2 0,1 0,1 100 100 Grafico 4.4 Valore delle esportazioni italiane di scarponi da sci, snowboard e trekking rispetto alla domanda mondiale (in milioni di dollari USA) Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it Concludendo, in base ai grafici e alle tabelle sopra esposte, l’Italia risulta essere uno dei principali paesi esportatori di calzature sportive. In particolare, il distretto di Montebelluna costituisce un centro calzaturiero di 21 Le esportazioni mondiali sono ottenute sommando al valore delle importazioni dei paesi dichiaranti il valore delle loro esportazioni verso i paesi non dichiaranti, dopo aver diviso queste ultime per 0,95. 214 importanza mondiale, nel quale vengono realizzati il 25% dei pattini in linea, il 50% delle scarpe da montagna tecniche, il 65% dei doposci, il 75% degli scarponi da sci e l’80% degli stivali da motociclismo rispetto al totale mondiale. Nonostante l’importanza di questi dati, il distretto deve, comunque, fare i conti con il fenomeno della concorrenza, seppure un numero contenuto di paesi, provenienti soprattutto dalla regione asiatica, generalmente nota per la bassa qualità delle merci prodotte. 215 4.2 Selezione conclusiva dei paesi Prima di indicare quali sono, a nostro avviso, i paesi verso i quali le aziende di Montebelluna potrebbero indirizzare le loro esportazioni, si ritiene necessario premettere che tale selezione non ha pretese di essere esaustiva ed assoluta. Ciò significa che le aziende non dovrebbero escludere a priori i tredici paesi precedentemente individuati, per indirizzarsi solamente verso quelli che indicheremo di seguito. Molto dipende, infatti, dal tipo di prodotto che l’azienda intende esportare, dall’andamento della domanda, dalle modalità di ingresso nel mercato, dal metodo di comunicazione utilizzato e da molte altre variabili ancora. Di conseguenza, ciascuna azienda dovrebbe rendere soggettivo lo studio finora effettuato, adattandolo alle proprie caratteristiche interne ed alle strategie che intende adottare. Ciò non toglie che, i paesi che andremo ad indicare, siano una valida alternativa ai classici mercati di esportazioni del distretto. Innanzitutto, si ritiene fondamentale osservare e comparare il grado di rischiosità dei paesi selezionati nella seconda fase della ricerca, in modo da averne una visione complessiva (grafico 4.5). Il grafico mostra come l’Argentina e la Nigeria siano i paesi che presentano il rischio massimo, seguiti dalla Federazione Russa, il cui valore è 4. Il rischio Paese è, invece, basso se consideriamo il Cile, la Cina, la Corea del Sud e la Polonia, risulta minimo, infine, per i restanti paesi, ossia per l’Australia, la Finlandia, la Norvegia, i Paesi Bassi, la Svezia e la Svizzera. A questo punto, per motivi precauzionali, i paesi finali verranno scelti tra quelli che presentano un rischio basso o molto basso. Questo non esclude che alcune aziende potrebbero avere dei vantaggi nell’esportare proprio in quei paesi dove il grado di rischiosità è massimo, di conseguenza, ancora una volta, si ribadisce la soggettività di quest’ultima fase di selezione dei mercati. I paesi che verranno indicati erano stati precedentemente identificati come destinatari per uno o più specifici prodotti del distretto; questo viene confermato, ma non esclude che, con le strategie giuste, in quel mercato sia possibile esportare altre tipologie di prodotti. 217 Grafico 4.5 Confronto tra il grado di rischiosità dei paesi22 7 6 Rischio Paese 5 4 3 2 1 era Svizz Cina Core a de l Sud Finla ndia Nige ria Norv egia Paes i Bas si Polo nia Fed. Russ a Svez ia Cile Arge ntina Aust ralia 0 Il primo Paese che, a nostro avviso, potrebbe essere destinatario delle esportazioni montebellunesi è l’Australia. Questo Paese presenta un grado di rischiosità minimo, derivante dalla sua stabilità politica, sociale ed economica e, considerando la sua posizione nel quadro della concorrenza mondiale delle calzature sportive, risulta essere un mercato dinamico per l’Italia. Le sue caratteristiche, già analizzate nel capitolo precedente, hanno evidenziato la sua prosperità dal punto di vista economico e la crescente importanza come punto di riferimento per l’area del Pacifico. Le previsioni per il 2004 confermano quanto detto finora. Infatti, è attesa una solida domanda esterna di beni australiani, combinata con una nuova espansione della crescita del settore agricolo, come conseguenza dei sussidi legati alla siccità, che dovrebbe riportare la crescita del PIL nuovamente intorno al 3,5%. Si prevede, poi, il rafforzamento del dollaro australiano che dovrebbe, inoltre, contribuire a contenere l’inflazione, mentre la bilancia commerciale dovrebbe segnare ancora saldi negativi (tabella 4.7). 22 L’analisi della rischiosità viene fatta sui dati provenienti dalla SACE (www.globus.camcom.it) e da Dun & Bradstreet (www.ice.it). Il valore 1 rappresenta il grado di rischio minimo, mentre il valore 7 quello massimo. 218 Tabella 4.7 Previsioni per l’Australia (anno 2004) Variazione % del PIL Inflazione Bilancia Commerciale (in miliardi di US$) • esportazioni fob • importazioni fob Saldo 2004 3,5 2,4 83,1 78,5 -4,6 Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit, ottobre 2003, tratto dal sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it Il motivo della scelta dell’Australia come primo Paese con maggiore potenziale consiste nel fatto che uno dei settori più promettenti in questo mercato è quello delle calzature. Avviate con 506 milioni di dollari nel ‘99, le importazioni del settore sono aumentate fino ai 561 milioni registrati nel 2002, anno che ha fatto segnare un netto incremento sul precedente (+15,4%). Di conseguenza, la dinamica dell’import, benché non molto sostenuta, è stata positiva (3,5%) e al di sopra della media generale. Il mercato d’importazione delle calzature è dominato dalla Cina che, nel 2002, ha raggiunto una quota del 59,5% al termine di un’ascesa che non sembra conoscere soste (52,4% nel ‘99). L’Italia è il secondo fornitore di calzature dell’Australia, ma la sua presenza appare minacciata dal dinamismo cinese, se si considera che la quota italiana, che era pari al 14,4% ancora nel ‘98, si è successivamente assottigliata, anno per anno, fino a ridursi all’8,8% nel 2002; ciò ha significato un ridimensionamento anche in termini assoluti, perché il valore delle nostre esportazioni nel settore si è sensibilmente ridotto (da 112 a 91 milioni di dollari tra il ‘98 e il 2002) parallelamente all’erosione della quota di mercato. Va, infine, segnalata la crescita del Vietnam, la cui quota (4,5%) ha beneficiato di piccoli, ma ininterrotti incrementi a partire dal ‘95 (1,3%). Questi dati, tuttavia, sono relativi alle importazioni di calzature in generale, che non richiedono particolari finiture o caratteristiche tecniche, elementi essenziali, invece, nelle calzature sportive. L’Australia era già stata individuata come destinataria per le esportazioni italiane delle scarpe da ciclismo e da tennis, per quelle da jogging/running, per le scarpe da montagna e per il segmento luxury, ma ciò non esclude che sia un mercato in grado di assorbire altri prodotti. L’alta qualità, la praticità, la sofisticatezza tecnica e l’accuratezza nei particolari sono le caratteristiche fondamentali delle scarpe sportive italiane, che soddisfano le esigenze sempre più attente dei consumatori australiani, incontrando, oltre a questo, il loro gusto per il made in Italy. Per questi motivi, dal nostro punto di vista, le calzature sportive italiane non dovrebbero temere la concorrenza di quelle cinesi, appartenenti alle fasce di prezzo più basse e, quindi, di qualità inferiore. 219 Oltre alle calzature, un altro settore promettente in Australia è quello degli articoli di vestiario in tessuto e degli accessori. In particolare, il settore TCF (Textile, Clothing and Footwear) sta al momento vivendo un periodo di liberalizzazione tariffaria che dovrebbe culminare nel 2010. Per tale data, il settore TCF dovrebbe uniformarsi al sistema tariffario del 5%, senza eccezioni by-law e senza quote alle importazioni, già eliminate nel 1993. A partire dai primi anni ‘90, il Governo australiano ha avviato un programma teso alla riduzione delle barriere tariffarie ed allo smantellamento di quelle non tariffarie per i prodotti tessili, per l’abbigliamento e per le calzature. L’obiettivo è quello di eliminare le distorsioni e l’inefficiente utilizzo delle risorse della precedente politica altamente protezionistica nei confronti dell’industria locale. Sul fronte dell’import, si deve tener presente che le importazioni di capi d’abbigliamento hanno costituito, nel 2002, circa il 50% dei beni presenti sul mercato australiano e sono destinate a crescere insieme all’allentamento del regime tariffario. La Cina è di gran lunga il maggiore esportatore in tale mercato, con una quota superire all’80%, destinata soprattutto al segmento basso del mercato, caratterizzato da articoli di modesta qualità a prezzi contenuti. L’Italia si presenta al quarto posto con uno share poco inferiore al 5%, posizionandosi come primo Paese occidentale. Si ritiene che i capi d’abbigliamento e gli accessori sportivi montebellunesi possano essere posizionati con successo nella fascia media di mercato, che rappresenta il segmento decisamente più grande e variegato per tipologia di beni offerti e prezzi proposti. Al momento, è da escludere, infine, il segmento exclusive, in quanto l’Australia è un mercato marginale per i beni di lusso. Ciò non è dovuto all’assenza di ceti sociali particolarmente facoltosi, anzi, ma ad una concezione della spesa in vestiario non come spesa di lusso. L’Australia, quindi, sembra essere un Paese che presenta buone potenzialità e nel quale si vedono allettanti prospettive per le merci provenienti dall’Italia, in particolar modo per quelle appartenenti allo sport system di Montebelluna, che potrebbero, in maniera piuttosto agevole, incontrare e soddisfare le sofisticate esigenze dello sportivo australiano. Tali aziende potrebbero avvantaggiarsi, poi, delle similitudini esistenti tra la cultura australiana e quella occidentale, per esempio, potrebbero utilizzare strategie di marketing similari. L’Australia, infatti, pur con le sue specificità, presenta caratteri squisitamente occidentali, fatto essenziale che potrebbe portare grandi vantaggi, ad esempio in termini di risparmi di costi, come quelli di ricerca e sviluppo, per le aziende del distretto. Il secondo mercato che potrebbe essere il destinatario delle esportazioni del distretto di Montebelluna è la Corea del Sud. Nel quadro della concorrenza mondiale per gli scarponi da sci, snowboard e trekking tale Paese risulta essere per l’Italia un mercato dinamico ed in crescita. Esso presenta un grado di rischiosità basso, derivante soprattutto dalla forte espansione economica 220 registrata a partire dagli anni ‘60 e tuttora in corso. L’elezione del nuovo Presidente Roh Moo-hyun ha causato tensioni dal punto di vista politico, ma, nonostante questo, le prospettive economiche sono favorevoli e confermano la Corea del Sud come tredicesima economia mondiale e terza orientale dopo Cina e Giappone. Secondo le previsioni dell’Economist Intelligence Unit (tabella 4.8), il PIL reale crescerà del 4,3% nel 2004, stabilizzandosi su questo livello di crescita anche nel 2005. L’andamento della domanda interna nel breve periodo è in parte negativo, a causa delle aspettative pessimistiche sia dei consumatori sia degli imprenditori, in parte positivo, grazie agli effetti derivanti dalla recente riforma fiscale, che prevede tagli di imposte e spese pubbliche. Le esportazioni di beni e servizi registreranno una crescita consistente nel corso del 2004, anche se il tasso di crescita sarà contenuto in termini di media annuale. Ciò sarà favorito dalla ripresa del mercato statunitense, dalla rapida espansione della Cina e dal rafforzamento della recente ripresa in Giappone: nel 2002, questi tre mercati rappresentano, insieme, quasi la metà dei proventi delle esportazioni della Corea del Sud. L’ulteriore ripresa del commercio mondiale, prevista per il 2005, dovrebbe accrescere ulteriormente il volume delle vendite sud coreane durante l’anno. Tuttavia, parte di tale ripresa sarà frenata dal consistente apprezzamento del won contro il dollaro USA, che eroderà lentamente la competitività del Paese, nonché dal crescente spostamento della capacità di esportazione della Corea verso altri paesi, soprattutto la Cina. In particolare, la tendenza verso l’alto della valuta coreana sarà stimolata da consistenti flussi finanziari (che nel 2005 compenseranno di molto il deficit dei conti correnti) e dalle contenute pressioni inflazionistiche. Un consistente livello di riserve estere contribuirà a sostenere la stabilità della valuta, che in termini reali si apprezzerà modestamente nel 2004-05, ma rimarrà comunque più debole del 25-30% rispetto agli anni immediatamente precedenti alla crisi finanziaria del ‘97-98. Tabella 4.8 Previsioni per la Corea del Sud (anni 2004 e 2005) 2004 Tasso di crescita reale (%) Inflazione (%) Tasso di crescita della produzione industriale (%) Bilancia Commerciale (in miliardi di US$) • esportazioni fob • importazioni fob Saldo 4,3 2,1 2,7 2005 4,3 2,6 3,9 194,8 186,6 8,2 207,1 200,7 6,4 Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit, ottobre 2003, tratto dal sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it 221 Come specificato precedentemente23, la Corea del Sud rappresenterebbe il mercato ideale dove esportare la produzione di pattini da ghiaccio del distretto di Montebelluna appartenente alla fascia di prezzo media, tuttavia, dato l’andamento del comparto calzature all’interno di tale mercato, si ritiene che quest’ultimo potrebbe essere uno sbocco attraente anche per l’intero comparto delle calzature sportive. In generale, in Corea del Sud il mercato delle calzature rappresenta il 33% del settore cuoio e prodotti in cuoio ed evidenzia una dinamica di crescita media rilevante (+27,9), superiore alla media del settore (22,7). Ciò è dimostrato dal fatto che il valore delle importazioni si è portato da 192 a 403 milioni di dollari nell’ultimo quadriennio. Leader nel comparto è la Cina, sebbene la sua presenza sul mercato sia diminuita dal 58% al 50,9%. Di tale andamento ha beneficiato l’Italia, (nonostante i target di riferimento della clientela siano antitetici tra i due paesi), che ha raddoppiato la propria quota, dal 7,9% al 14,8%; seguono a grande distanza paesi come il Vietnam (4,7%), gli Stati Uniti (2%), l’India e la Francia. I dati Istat confermano la buona performance in atto per l’Italia, registrando una crescita dell’export del nostro Paese quantificato nel 2,8% (23,3 milioni di Euro nel primo semestre del 2003 contro i 22,7 milioni del 2002). I prodotti di punta del made in Italy nel settore sono, soprattutto, le calzature con suola esterna e tomaia di gomma e plastica che, nel 2003, hanno registrato un fatturato pari a 5,6 milioni di Euro (+11,7 rispetto al 2002). L’andamento delle esportazioni italiane relative agli articoli di abbigliamento, a differenza del comparto calzature, dimostra un andamento leggermente decrescente. Gli articoli di abbigliamento in tessuto e accessori rappresentano il 93% del comparto abbigliamento: il valore delle importazioni è cresciuto a un ritmo di crescita medio annuo assai sostenuto, pari al 40%; difatti, il valore delle importazioni, aumentato costantemente nel quadriennio, è passato da 583 milioni a 1,6 miliardi di dollari americani. Anche in questo comparto è la Cina il leader incontrastato nella forniture coreane: la fetta di mercato è cresciuta dal 52% a 62%. L’Italia rappresenta il terzo Paese fornitore, con una quota in decisa flessione dal 12,5% al 9,5%; il trend trova conferme nell’andamento del primo semestre 2003: 52,4 milioni il fatturato registrato, in flessione del 5,5% rispetto ai 55,5 milioni del 2002. Di conseguenza, riteniamo che, date le prospettive positive della Corea del Sud e visto l’andamento dei due settori di nostro interesse, le aziende di Montebelluna potrebbero indirizzare in tale Paese le esportazioni di calzature sportive. Non è da escludere l’esportazione anche di capi di abbigliamento sportivo, ma dato il trend negativo dimostrato da tale comparto negli ultimi anni, un investimento in tale ambito potrebbe risultare più rischioso rispetto 23 Si veda in merito il capitolo II. 222 a quello delle calzature. Tuttavia, le aziende montebellunesi potrebbero cercare di rilanciare tale comparto puntando sull’alta qualità ed il design che contraddistinguono i prodotti italiani, destinando alla Corea quelli appartenenti alla fascia di prezzo media. Così facendo l’Italia rafforzerebbe la sua differenziazione nei confronti della Cina e dei relativi prodotti, considerati di qualità inferiore e destinati alla fascia di mercato più bassa. Il terzo ed ultimo Paese che intendiamo suggerire quale mercato di sbocco per la produzione del distretto è la Polonia. Nel quadro della concorrenza mondiale delle calzature sportive tale Paese non rientra tra i mercati dinamici, tuttavia riteniamo possa essere estremamente appetibile ed avere buone potenzialità di sviluppo economico e sociale. La Polonia, infatti, a partire dal primo maggio 2004, è entrata a far parte dell’Unione Europea. La sua importanza strategica nel processo di allargamento comunitario è confermata nei fatti dagli stanziamenti che l’UE assegna a questo Paese e che ammontano a ben 17,5 miliardi di Euro nel triennio 2004-2006, pari al 45% del totale destinato ai dieci paesi dell’adesione. Per il periodo 20002006 i programmi ISPA e SAPARD mettono a disposizione 3,7 miliardi di Euro a fondo perduto, per investimenti, formazione, nonché creazione e applicazione di standard produttivi europei. Attualmente, il problema contingente per le istituzioni polacche è quello di predisporre ed approvare i programmi per l’utilizzo di questi fondi. Fra i capitoli della negoziazione più difficili da chiudere sono risultati quelli legati alla proprietà della terra, soprattutto alla possibilità per soggetti comunitari di acquistare beni immobili e terreni in Polonia, nonché quello relativo alla politica agricola comune (PAC). Le prospettive economiche future del Paese (tabella 4.9) prevedono un aumento della domanda interna, favorita dalla maggior fiducia e dall’entusiasmo dei consumatori e degli imprenditori; dovrebbe verificarsi, inoltre, un incremento nei salari del settore pubblico e nei servizi sociali. Ciò porterebbe, nel 2004, ad un tasso di crescita del PIL del 4,2%. Anche le condizioni finanziare del settore industriale polacco stanno gradualmente migliorando, ponendo le condizioni essenziali per consentire agli investimenti di tornare a crescere leggermente. Nel complesso l’ingresso della Polonia nell’UE e le previsioni economiche positive per i prossimi anni hanno contribuito a migliorare la stabilità del Paese, che attualmente non presenta particolari aspetti di rischiosità individuabili a priori e rientra, quindi, nella categoria dei paesi a rischio basso. Di conseguenza, si tratta di un Paese che, per le caratteristiche del suo sistema economico-finanziario, generalmente offre garanzie di solvibilità ritenute accettabili, indipendentemente dalla natura delle controparti. 223 Tabella 4.9 Previsioni per la Polonia (anno 2004) 2004 Variazione del PIL (%) Inflazione (%) Bilancia Commerciale (in miliardi di US$) • esportazioni fob • importazioni fob Saldo 4,2 1,7 44,8 55,9 -11,1 Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit, ottobre 2003, tratto dal sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it La Polonia era stata proposta come possibile mercato di sbocco per la categoria di articoli da noi denominata prodotti superati strategicamente riproponibili altrove24, in particolar modo, dato il suo crescente interesse verso il motociclismo, era stata selezionata quale Paese di destinazione delle esportazioni degli stivali da moto. Tuttavia, riteniamo che, dato l’andamento e la posizione occupata dall’Italia nei settori delle calzature ed in quello dell’abbigliamento, la Polonia possa essere considerata una valida alternativa ai tradizionali mercati di esportazioni del distretto, destinando a quest’ultima non solo gli articoli attualmente prodotti a Montebelluna, ma anche, e soprattutto, quelli che per il nostro mercato o per quelli tradizionali sono considerati superati, sia dal punto di vista estetico e di design, sia da quello tecnico. Si tratta, come precedentemente esposto, di prodotti di buona qualità appartenenti al segmento intermedio di mercato, ciò non toglie, comunque, che tali articoli siano adeguatamente differenziati da quelli di alta qualità, ciò per evitare di compromettere le potenzialità successive di espansione all’interno del mercato. Per quanto riguarda le calzature, nel 2002 il valore delle importazioni polacche è stato di 310 milioni, cifra che rappresenta un incremento del 27,4% rispetto all’anno precedente. L’ultimo biennio, molto positivo, ha riscattato l’andamento negativo degli acquisti dall’estero registrato nel ‘99 (11,2%) e nel 2000 (-10,6%), che aveva spinto le importazioni al valore di 217 milioni di dollari. Nell’ambito dell’Unione Europea, la cui quota aggregata si è ridotta di ben dieci punti percentuali negli ultimi quattro anni (da 53,4% a 43,3%), l’Italia ha mantenuto la posizione di primo fornitore su scala mondiale, ma dal 34% circa che aveva ottenuto nel periodo ‘99-2001 è scesa al 30% nel 2002. I suoi concorrenti europei (nessuno dei quali dimostra una netta crescita) restano, comunque, molto distanziati e, con la sola eccezione della Spagna (5,1%), hanno tutti quote inferiori al 3%. Molto 24 Si confronti il paragrafo 2.4. 224 diversa è la situazione dell’Asia orientale, la cui porzione è aumentata dal 39,2% al 46,4% in quattro anni grazie alla forte spinta prodotta dal Vietnam, salito rapidamente dall’8,6% al 16,1%, dalla Malaysia (da 0,4% a 4,3%) e da Taiwan (da 5,6% a 7,9%), mentre l’incidenza della Cina, che ancora nel ‘98 era del 31%, è crollata al 9,6% nel 2002. Secondo dati Istat25, in questo settore le nostre esportazioni verso la Polonia hanno registrato un aumento da 74 a 105 milioni di Euro nel quadriennio 1999-2001. Questi dati, in particolare, rilevano un ultimo triennio di crescita piuttosto decisa, con incrementi compresi all’incirca tra il 10% e il 17% ogni anno. Anche i dati relativi al settore degli articoli di abbigliamento e degli accessori dimostrano la forte e crescente presenza delle esportazioni italiane in Polonia. Le importazioni di tale comparto, partite da un valore di 514 milioni di dollari nel ‘99, hanno dapprima fatto registrare una netta caduta nel 2000 (-14,5%), ma sono poi decisamente aumentate nel 2001 (+17,9%) e, soprattutto, nel 2002 (+29,2%), anno in cui hanno sfiorato la quota di 670 milioni di dollari (1,2% dell’import polacco complessivo). La dinamica quadriennale delle importazioni, nonostante l’iniziale flessione, è stata positiva (+9,2%) e superiore alla media (6,3%). La Cina, la cui quota mostra incrementi del 3-4% ogni anno, è il primo fornitore dal ‘99 e, nel 2002, si è aggiudicata una fetta di mercato pari al 27,5%. Al secondo posto è salita la Turchia, che si attestava su livelli molto bassi fino al 2000 (3,5%), ma che nel 2002 ha sfiorato una quota del 12%. All’interno dell’Unione Europea, nel 2001 l’Italia è diventata primo fornitore, sopravanzando la Germania: se nel ‘99 le porzioni dei due paesi erano rispettivamente all’8,6% e al 14,3%, nel 2002 l’Italia ha fatto segnare un 10,4% (un punto percentuale in meno rispetto all’anno precedente), mentre la quota tedesca, che appare in caduta inarrestabile, è scesa al 7,8%. L’unico altro concorrente che dimostra buon dinamismo, con piccoli ma progressivi incrementi, è l’Ungheria (4,2% nel 2002). I dati Istat confermano il consolidamento delle esportazioni italiane verso la Polonia, registrando, dal 1998 al 2002, una crescita da 39 a 88 milioni di Euro: in effetti, dal ‘98 gli incrementi annuali si dimostrano molto robusti, oscillando tra il 17% e il 35% (+19,6% nel 2002). Questo quadro economico, unito alle positive previsioni economiche e finanziarie, fanno della Polonia un Paese affidabile. La vicinanza territoriale e la recente entrata nell’Unione Europea, inoltre, rendono la Polonia un mercato attraente per le future esportazioni del distretto. Le aziende montebellunesi potrebbero disporre di due diverse strategie di entrata in questo mercato. La prima potrebbe consistere nell’esportazione 25 Si veda il sito: www.istat.it. 225 contemporanea sia dei prodotti nuovi ed innovativi, posizionandoli nella fascia alta di mercato, sia di quelli “superati”, collocandoli nella fascia bassa. In questo modo, l’utilizzo di una politica di differenziazione del prodotto porterebbe le aziende a coprire quasi interamente il mercato. La seconda alternativa consisterebbe nell’introduzione in Polonia dei soli prodotti “superati”. In questo caso, tali articoli sarebbero destinati alla sola fascia bassa di mercato; ciò consentirebbe al made in Italy di crearsi una base di immagine, qualità ed accettazione presso il mercato e porterebbe alla fidelizzazione della clientela che, una volta raggiunti livelli economici più elevati, dovrebbe continuare a manifestare la volontà di acquistare prodotti montebellunesi, ma di qualità superiore ed appartenenti, quindi, ad una fascia di prezzo più elevata con immagine esclusiva. Anche in questo caso, alla fine, le aziende riuscirebbero a coprire quasi tutto il mercato polacco, seguendo un percorso strategico che potrebbe portarle alla creazione ed al mantenimento di un vantaggio competitivo sostenibile. 226 CONCLUSIONI La presente ricerca è nata con lo scopo di selezionare mercati di sbocco alternativi a quelli tradizionali per la produzione del distretto dello Sport System di Montebelluna. Dopo aver brevemente descritto le caratteristiche del distretto ed analizzato i suoi punti di forza, il progetto indaga tutti i possibili mercati del mondo (208 Paesi) che teoricamente potevano avere un potenziale per le esportazioni delle aziende montebellunesi. In questa prima fase della ricerca i paesi sono stati analizzati dal punto di vista quantitativo e qualitativo. L’analisi economica ci ha portati, innanzitutto, alla classificazione dei paesi in base al loro grado di sviluppo e all’area di appartenenza geografica. Successivamente, per ognuno di essi, è stato preso in considerazione il reddito pro-capite, il PNL e la sua composizione, infine, il livello di indebitamento. Secondo criteri qualitativi, invece, i paesi sono stati suddivisi in base alla loro popolazione ed al relativo tasso di crescita annuo. Sono stati presi in considerazione, poi, le aspettative di vita, il tasso di mortalità infantile ed il livello di analfabetismo. Questo ci ha permesso di avere una prima visione della situazione generale in cui versano i vari paesi e di farci un’idea in merito alla loro potenzialità di assorbimento dei prodotti, nel caso in cui venissero selezionati come mercati di sbocco per gli articoli delle aziende del distretto. A questo punto, per rendere più agevole l’analisi, i prodotti dello sport system sono stati classificati in sei categorie e, per ciascuna di esse, si è cercato di abbinare uno o più paesi che, in base agli studi precedentemente effettuati, risultassero idonei ad assorbire quel determinato gruppo di prodotti appartenenti ad una specifica fascia di prezzo e destinati, così, ad un precisa fetta di mercato. Per fare questo si sono prese in considerazione le preferenze sportive dei singoli paesi che, nella maggior parte di casi, li hanno portati a raggiungere risultati significativi a livello olimpionico o, comunque, internazionale. Un ruolo chiave ha giocato, poi, la vicinanza non solo geografica, ma anche culturale, tra i vari Paesi, fatto che ha permesso di evidenziare la possibilità, per le aziende, di sfruttare sinergie e strategie comuni atte a ridurre costi e creare vantaggi combinati. Alla conclusione della prima fase della ricerca, siamo riusciti, quindi, a selezionare alcuni paesi (13) che, a nostro avviso, presentano un potenziale da sfruttare in termini di internazionalizzazione. Ad ogni categoria di prodotto sono stati, dunque, fatti corrispondere uno o più mercati. I tredici mercati scelti nella fase precedente sono stati, poi, oggetto di analisi accurate nella seconda fase della ricerca. In tale ambito, per ciascun Paese, sono state prese in considerazione la situazione politica e sociale, ne è stato delineato un profilo economico, analizzate le principali variabili e tracciato il 227 possibile andamento della domanda potenziale. Nell’ambito delle relazioni con l’estero, è stata esaminata la partecipazione del Paese agli organismi internazionali, l’andamento della bilancia commerciale, la composizione merceologica e la destinazione geografica delle importazioni ed esportazioni, l’interscambio commerciale con l’Italia, nonché la regolamentazione delle importazioni. E’ stato, infine, valutato il rischio che le aziende del distretto potrebbero incontrare nel caso in cui decidessero di esportare la propria produzione in tali mercati. Questa ulteriore analisi, più completa ed approfondita, unita ad uno studio generale sulla concorrenza del settore della calzatura sportiva a livello mondiale, ci ha permesso, con le opportune ipotesi, di giungere alla selezione finale dei tre paesi verso i quali le aziende di Montebelluna dovrebbero destinare i propri prodotti con buona probabilità di successo. I tre paesi in oggetto sono l’Australia, la Corea del Sud e la Polonia. Ciò non toglie che i rimanenti dieci paesi possano essere delle valide alternative a quelli indicati, in particolare, si sottolinea la crescente importanza della Cina, Paese interessante non solo come mercato di sbocco per le esportazioni, ma anche strategicamente importante nel caso in cui l’azienda intenda adottare una politica di delocalizzazione produttiva. Si ritiene utile precisare che il presente progetto non è una guida certa ed esaustiva per le aziende interessate al fenomeno dell’internazionalizzazione, in quanto si riferisce ad un intero settore, ma intende fornire una prima indicazione utile alle imprese interessate, che dovrebbero focalizzare l’analisi sulle proprie caratteristiche specifiche, inviando nei mercati suggeriti ritenuti adatti personale specializzato per valutare l’effettiva convenienza a destinare le proprie esportazioni in quelle aree. Una volta stabilito questo, sarà necessario che le aziende seguano continuamente il mercato, per controllarne l’andamento attuale e prevederne quello futuro. Lo studio dovrebbe essere, comunque, un buon punto di partenza per le aziende del distretto di Montebelluna, anche per quelle di piccole e medie dimensioni, nello sviluppo del proprio vantaggio competitivo nei confronti della concorrenza. Ciò contribuirebbe a sottolineare, ancora una volta, la singolarità ed il successo che il distretto di Montebelluna vanta a livello mondiale. 228 BIBLIOGRAFIA Buttignon F., Le competenze aziendali, UTET libreria, Torino, 1996 Camere di Commercio Italiane all’Estero, Business Atlas 2003, Roma, 2003. 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Le precedenti pubblicazioni sono: 12345- 6- 789- 101112131415161718- I problemi finanziari delle PMI trevigiane: aspetti critici e strategie di intervento (1997) Riforma fiscale e ricapitalizzazione delle imprese (1998 Le nuove sfide per i distretti industriali: sistemi cognitivi e reti transnazionali (1998) La “rivoluzione” Euro: quali implicazioni per il finanziamento delle P.M.I.? (1998) Un progetto di marketing territoriale per il distretto di Montebelluna — Offerta del territorio, contesti competitivi e possibili strategie di rilancio — (1998) Perla Stancari — Immigrati: problema o risorsa? - L’immigrazione di extracomunitari nei territori evoluti con particolare riguardo alla provincia di Treviso — (1999) Le opportunità dell’Euro Nouveau Marchè per le imprese ad alto potenziale di crescita (1999) Guida “Crea la tua impresa a Treviso” (2000). Convegno “E– commerce frontiera del nuovo sviluppo” Tavola rotonda “Marketplace comunità e distretti virtuali. E-uforia o reali opportunità strategiche di sviluppo”(2000). IL PROGRAMMA “JEV” - Agevolazioni alle imprese che intendono investire in Europa (2001). Le politiche commerciali e di Marketing nel settore dell’arredamento – Ricerca sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave Problematiche di internazionalizzazione dei distretti industriali della provincia di Treviso La qualità nella Pubblica Amministrazione – Alcune esperienze negli enti locali Analisi dell’organizzazione logistica del distretto industriale di Montebelluna L’UEM, l’Euro e l’Ampliamento dell’Unione Europea I Servizi integrati a tutela della Proprietà Industriale Qualità e certificazione nella Pubblica Amministrazione esperienze a confronto Guida “Crea la tua impresa a Treviso”. (2004) 19202122- Atti “Giornata dell’economia” (17 Novembre 2003) Premio Tesi di Laurea sull’Economia Trevigiana (6^ edizione – 2003) Nuove opportunità di finanziamento per le PMI – Dalla finanza innovativa al mercato expandi – (2 Aprile 2004) Atti del ciclo di incontri informativi - “La normativa sulla sicurezza e conformità dei prodotti” – Gennaio Dicembre 2003 Impaginato a cura del Centro stampa della Camera di Commercio di Treviso