STUDIO PRELIMINARE SUI POTENZIALI NUOVI MERCATI DI

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STUDIO PRELIMINARE SUI POTENZIALI NUOVI MERCATI DI
STUDIO PRELIMINARE
SUI POTENZIALI NUOVI MERCATI DI SBOCCO
PER LO SPORT SYSTEM MONTEBELLUNESE
A cura di
Daniela Bruniera
Settembre 2004
È consentito l’utilizzo, anche parziale, del contenuto degli interventi
riportati, purché venga fatto riferimento alla fonte
PREFAZIONE
Nell’ambito delle attività di studio dell’economia locale, la Camera di
Commercio di Treviso si occupa anche dell’internazionalizzazione e delle
prospettive di sbocco sui mercati esteri delle produzioni delle imprese locali.
Le strategie di sviluppo economico, infatti, non possono non tenere conto
delle possibilità di collocamento dei maggiori o nuovi beni e servizi prodotti
o di valide alternative agli sbocchi esistenti, sia sul mercato interno che su
quelli esteri, in presenza di una competizione globale crescente. La ricerca di
nuove opportunità di mercato, infatti, diventa essenziale proprio nell’attuale
situazione, in cui la domanda dei Paesi avanzati è stazionaria ed è sempre
più accesa la concorrenza dei Paesi emergenti.
In realtà, la diversificazione dei Paesi di sbocco è complessivamente
modesta, sia per l’Italia che per il Veneto, che per la stessa provincia di
Treviso. Osservando i flussi di esportazione della bilancia commerciale, oltre
ai nostri tradizionali partners europei (Germania, Francia e Gran Bretagna)
ed agli Stati Uniti, sono pochi i Paesi significativi. Eppure nel mondo, oltre
ai Paesi maggiori ed a quelli che vivono a livello di sussistenza, esistono
Paesi avanzati poco indagati dai nostri operatori, ma con buone capacità di
spesa e pure è presente un’ampia gamma di Paesi in via di sviluppo con
redditi relativamente bassi, ma in progressivo rapido aumento, senza infine
tener conto che in ogni Paese vive una classe agiata più o meno numerosa.
Naturalmente, un’analisi di mercato non può essere generica, ma deve essere
condotta almeno a livello settoriale. L’Ente camerale, quindi, che da tempo
svolge analisi di settore/distretto sotto vari aspetti, si deve impegnare anche
su questo fronte per fornire agli operatori dei principali comparti della nostra
provincia linee-guida non soltanto sull’innovazione tecnologica ed
organizzativa, ma anche in quella commerciale, tra cui è importante una più
approfondita indagine sui mercati esteri alternativi a quelli usuali.
Al riguardo, si è ritenuto di iniziare dal settore della calzatura sportiva, e
dallo “sportsystem” più in generale, che caratterizza il distretto di
Montebelluna, il quale, essendo unico in Italia per la sua specifica
configurazione produttiva, non dispone di quelle analisi di mercato
preliminari che invece sono presenti per altri settori più diffusi nel nostro
Paese.
Il metodo scientifico utilizzato per la selezione dei mercati-Paesi è quello
previsto dal prof. Giorgio Pellicelli nel suo libro “Il marketing
internazionale”, Etas, Milano, 1999, che prevede selezioni progressive di
Paesi, partendo da un’analisi a tavolino sino ad individuare un ristretto
numero di Paesi appetibili sui quali le imprese interessate possono poi
effettuare gli approfondimenti più specifici recandosi “in loco”.
3
Si tratta, quindi, di un’analisi di mercato settoriale che funge da guida
preliminare per ogni PMI del distretto, la quale viene così a disporre di una
selezione globale preliminare già pronta dei potenziali Paesi di sbocco, sui
quali poter fare poi gli approfondimenti del caso alla luce delle specifiche
produzioni aziendali. In questo modo, il presente volume costituisce un
risparmio netto di tempi e di costi per le imprese del distretto (che altrimenti,
singolarmente ed autonomamente, dovrebbero attuare pazientemente una
selezione di mercati in maniera pressoché uniforme) ed inoltre rappresenta
un patrimonio conoscitivo di base a disposizione del settore medesimo.
Ovviamente, questo è solo un contributo di partenza che può essere
sviluppato con indagini più evolute dalla comunità distrettuale o dalle
singole imprese, mentre questo stesso schema di indagine preliminare può
essere adottato per qualsiasi altro settore.
Si ringrazia la dott.ssa Daniela Bruniera (laurea specialistica in Economia
degli scambi internazionali) autrice della ricerca, che ha saputo applicare con
profitto ad un settore concreto la metodologia generale.
Si ringraziano pure: il prof. Giorgio Pellicelli, noto esperto in materia e
docente dell’Università di Torino, che ha fornito più volte al sistema
camerale veneto utili indicazioni e spiegazioni sulle indagini da compiere, ed
i professori Aldo e Valentina Durante che attraverso le loro pubblicazioni
hanno permesso un inquadramento appropriato del settore e delle esigenze
del distretto.
Camera di Commercio
Treviso
4
INDICE
Presentazione
Pag 9
CAPITOLO I
CARATTERI, OBIETTIVO E METODOLOGIE
DEL LAVORO
1.1
Breve storia, situazione attuale e caratteristiche del
distretto dellascarpa sportiva di Montebelluna
» 11
1.2
Scopo, ambito e limiti della ricerca
» 21
1.3.
Aspetti metodologici del lavoro
» 25
CAPITOLO II
PRIMA FASE DELLA RICERCA:
SELEZIONE DEI MERCATI CON MAGGIOR
POTENZIALE
2.1
Introduzione
» 29
2.2
Analisi quantitativa dei paesi
» 30
2.3
Analisi qualitativa dei paesi
» 48
2.4
Selezione dei paesi con maggiore potenziale
» 54
2.5
Risultati della selezione
» 68
CAPITOLO III
SECONDA FASE DELLA RICERCA:
ANALISI STRATEGICA DEI PAESI
3.1
Introduzione
» 73
3.2
L’Argentina
» 75
3.2.1 Situazione politica e sociale
» 76
3.2.2 Quadro economico e principali variabili
» 77
3.2.3 Analisi della domanda potenziale
» 79
3.2.4 Relazioni con l’estero
» 79
3.2.5 Rischio Paese
» 83
3.3
L’Australia
» 85
3.3.1 Situazione politica e sociale
» 86
3.3.2 Quadro economico e principali variabili
» 87
3.3.3 Analisi della domanda potenziale
» 89
3.3.4 Relazioni con l’estero
» 90
3.3.5 Rischio Paese
» 95
3.4
Il Cile
» 97
3.4.1 Situazione politica e sociale
» 98
3.4.2 Quadro economico e principali variabili
» 99
3.4.3 Analisi della domanda potenziale
» 102
3.4.4 Relazioni con l’estero
» 102
3.4.5 Rischio Paese
» 106
3.5
La Cina
» 109
5
3.6
3.7
3.8
3.9
3.10
3.11
3.5.1 Situazione politica e sociale
3.5.2 Quadro economico e principali variabili
3.5.3 Analisi della domanda potenziale
3.5.4 Relazioni con l’estero
3.5.5 Rischio Paese
La Corea del Sud (o Repubblica Democratica
Coreana)
3.6.1 Situazione politica e sociale
3.6.2 Quadro economico e principali variabili
3.6.3 Analisi della domanda potenziale
3.6.4 Relazioni con l’estero
3.6.5 Rischio Paese
La Finlandia
3.7.1 Situazione politica e sociale
3.7.2 Quadro economico e principali variabili
3.7.3 Analisi della domanda potenziale
3.7.4 Relazioni con l’estero
3.7.5 Rischio Paese
La Nigeria
3.8.1 Situazione politica e sociale
3.8.2 Quadro economico e principali variabili
3.8.3 Analisi della domanda potenziale
3.8.4 Relazioni con l’estero
3.8.5 Rischio Paese
La Norvegia
3.9.1 Situazione politica e sociale
3.9.2 Quadro economico e principali variabili
3.9.3 Analisi della domanda potenziale
3.9.4 Relazioni con l’estero
3.9.5 Rischio Paese
I Paesi Bassi
3.10.1 Situazione politica e sociale
3.10.2 Quadro economico e principali variabili
3.10.3 Analisi della domanda potenziale
3.10.4 Relazioni con l’estero
3.10.5 Rischio Paese
La Polonia
3.11.1 Situazione politica e sociale
3.11.2 Quadro economico e principali variabil
3.11.3 Analisi della domanda potenziale
3.11.4 Relazioni con l’estero
3.11.5 Rischio Paese
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171
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3.12
La Russia (Federazione Russa)
3.12.1 Situazione politica e sociale
3.12.2 Quadro economico e principali variabili
3.12.3 Analisi della domanda potenziale
3.12.4 Relazioni con l’estero
3.12.5 Rischio Paese
3.13
La Svezia
3.13.1 Situazione politica e sociale
3.13.2 Quadro economico e principali variabili
3.13.3 Analisi della domanda potenziale
3.13.4 Relazioni con l’estero
3.13.5 Rischio Paese
3.14
La Svizzera
3.14.1 Situazione politica e sociale
3.14.2 Quadro economico e principali variabili
3.14.3 Analisi della domanda potenziale
3.14.4 Relazioni con l’estero
3.14.5 Rischio Paese
CAPITOLO IV
SELEZIONE FINALE DEI MERCATI DI SBOCCO
4.1
Il ruolo della concorrenza
4.2
Selezione conclusiva dei paesi
Conclusioni
Bibliografia
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202
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7
PRESENTAZIONE
Il presente lavoro indaga su uno dei principali temi che attualmente le
aziende si trovano a dover affrontare: l’internazionalizzazione. La questione
non viene trattata in termini generali, ma si riferisce alla sola politica di
esportazione in paesi diversi da quello di appartenenza delle aziende in
esame. Queste ultime non sono considerate in termini astratti e generali,
sono, invece, esclusivamente appartenenti al distretto della calzatura sportiva
di Montebelluna.
Nello specifico, il fine ultimo di questo progetto è quello di identificare
mercati di sbocco sostitutivi a quelli attualmente preferiti dalle aziende dello
sport system montebellunese.
La ricerca ha inizio delineando le caratteristiche principali del distretto ed
illustrando nel dettaglio le metodologie ed i limiti di questo lavoro. Il
capitolo seguente analizza con criteri sia quantitativi, sia qualitativi, tutti i
paesi del mondo per rendere possibile una prima selezione di quei mercati
che presentano potenzialità rilevanti ai nostri fini. La successiva
classificazione dei prodotti del distretto in categorie agevolerà
l’individuazione di un primo gruppo di paesi che verranno, nel capitolo tre,
analizzati dettagliatamente sotto diversi punti di vista: politico, sociale ed
economico.
Nel capitolo quattro, lo studio attento e scrupoloso delle caratteristiche di
ciascun mercato, integrato con le propensioni sportive e le tendenze culturali
del Paese, ci permetterà di selezionare definitivamente un numero molto
ristretto di paesi che, dal nostro punto di vista, dovrebbero incontrare e
soddisfare le esigenze di internazionalizzazione delle aziende
montebellunesi.
Si ritiene necessario premettere che la presente ricerca non ha pretese di
essere assoluta, per cui si invitano le aziende ad utilizzarla come base e
spunto per ulteriori indagini che terranno in considerazioni le peculiarità e le
caratteristiche proprie di ognuna di esse, con lo scopo di creare e ampliare il
loro vantaggio competitivo a livello non solo nazionale, ma globale.
9
CAPITOLO I
CARATTERI, OBIETTIVO E METODOLOGIE DEL
LAVORO
1.1 Breve storia, situazione attuale e caratteristiche del
distretto della scarpa sportiva di Montebelluna
Il distretto di Montebelluna rappresenta una delle principali aree di
specializzazione produttiva in Veneto e costituisce uno dei sistemi locali più
noti e distintivi nel panorama dei distretti industriali italiani. La sua
importanza deriva non solo dalla consistenza produttiva e occupazionale, ma
anche dalla tipologia del suo sviluppo, ricco di competenze tecniche ed
imprenditoriali locali che hanno fatto di quest’area la capitale mondiale della
calzatura sportiva.
L’attività calzaturiera in Montebelluna e nelle sue vicinanze si sviluppa agli
inizi del secolo scorso, con la concentrazione nell’area di attività artigianali
dedite alla produzione di calzature da montagna, anche se le radici di questo
“saper fare” risalgono alla tradizione veneziana dei calegheri e degli
zavatteri. La zona di Montebelluna viene scelta come punto centrale di tale
produzione per motivi territoriali, in quanto si trova a metà strada tra i
mercati di approvvigionamento dei pellami (area del bassanese e dell’alto
vicentino) e quelli di sbocco dei prodotti finiti (zona predolomitica
pedemontana e delle Alpi nord-orientali). Per tutto il XIX secolo gli artigiani
producono prevalentemente zoccoli in legno e dalmare, capostipiti della
pedula da montagna. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la ripresa e lo
sviluppo del territorio vengono favoriti dalla domanda stabile di calzature da
parte dei boscaioli e dei montanari e dalla graduale diffusione delle pratiche
alpinistiche, in particolare, dello sci. Fino alla metà degli anni Sessanta è lo
scarpone da sci a primeggiare all’interno del distretto, che vede un aumento
generalizzato della spesa per la maggior parte dei segmenti della domanda di
articoli sportivi tradizionali.
La seconda metà degli anni Sessanta rappresenta un momento di grande
innovazione e cambiamento radicale per il distretto: la suola iniettata in PVC
(che sostituisce la tradizionale suola in gomma cucita a mano) e il processo
di produzione dello scafo da sci tramite iniezione di materiale plastico
rivoluzionano completamente il processo produttivo e danno vita allo
scarpone da sci in plastica. Questo porta le aziende, soprattutto quelle di
medio-grandi dimensioni, a dover sostenere notevoli investimenti in
impianti, tecnologia e risorse umane e ad esternalizzare alcune fasi del ciclo
11
produttivo verso le aziende più piccole, le quali, a loro volta, le trasferiscono
ai piccoli artigiani.
Nascono così, negli anni Settanta, nuove industrie a supporto di quella
calzaturiera (ad esempio l’industria dei componenti in metallo, quella degli
stampi e stampaggi ad iniezione, ecc.), che vanno a costituire un ricco
indotto e contribuiscono a creare “un’area produttiva locale che presenta le
caratteristiche di cluster settoriale integrato su base locale”1. Questi anni
rappresentano il momento di massima espansione e di diversificazione delle
attività economiche distrettuali.
Il decennio successivo manifesta un andamento in controtendenza con il
precedente: la caduta del tasso di crescita della domanda, l’aumento della
competizione anche a livello internazionale, l’aggravarsi del fenomeno della
sovracapacità produttiva locale, i problemi finanziari legati alle continue
necessità di ricerca ed innovazione, nonché pessime condizioni climatiche
caratterizzate da inverni miti e poco nevosi, contribuiscono a creare una
situazione critica all’interno del distretto, che si ripercuote a livello sia
nazionale sia estero. Il superamento di tale crisi avviene grazie alla radicata
tendenza all’innovazione e alla diversificazione delle aziende, alla ricerca
della qualità del prodotto e del gusto per l’estetica, alla maggior attenzione
verso le attività di ricerca e sviluppo e di marketing. In questo periodo si
manifestano nuovi processi di concentrazione aziendale e si avviano le prime
joint venture internazionali tra imprese locali e gruppi stranieri. Il processo
di massiccia diversificazione nato in questi anni porta le aziende a rivolgere
la loro attenzione verso i settori dell’abbigliamento sportivo, dei pattini in
linea, dello snowboard, fino ad arrivare all’attuale tendenza che vede il
rilancio della scarpa comoda da città, prodotta secondo il know how e
l’antica tradizione che risale ai primi artigiani.
A questo punto, sintetizzando, le condizioni che hanno permesso lo sviluppo
dell’industria calzaturiera a Montebelluna sono le seguenti:
il mercato che, svolgendo la funzione di collegamento tra pianura e
montagna, ha dato vita ad un sodalizio tra artigiani (scarperi) e
montanari, i primi in qualità di produttori, i secondi di clienti;
la presenza della piccola proprietà, con una forte spinta imprenditoriale,
ha favorito il senso di intraprendenza ed autonomia;
il territorio, in particolare il bosco del Montello, che rappresenta le
“radici” della domanda di calzature da montagna;la tradizione
veneziana, che ha trasmesso nella società quel senso estetico che si
trasformerà, poi, in gusto per il design ed il colore, elementi;
1
Corò G., Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione, Franco Angeli,
Milano, 1998, p. 79.
12
la tradizione veneziana, che ha trasmesso nella società veneta quel senso
estetico che si trasformerà, poi, in gusto per il design ed il colore,
elementi che qualificano e rendono uniche le calzature montebellunesi.
Attualmente nel distretto di Montebelluna (che si estende su un territorio nel
quale sono presenti una decina di comuni) sono presenti circa 430 imprese
specializzate nella produzione di calzature ed attrezzature sportive, con oltre
8600 dipendenti2. Confrontando tali dati con quelli del 2001, è possibile
notare come il numero di aziende sia diminuito quasi dell’8%, mentre il
numero di addetti registra una riduzione pari al 4%. Nonostante questo
andamento, il ruolo di assoluto rilievo che tale distretto assume nel
panorama industriale, sia nazionale sia internazionale, risulta evidente
analizzando le quote della produzione settoriale realizzate nell’area. Qui,
infatti, vengono prodotte, in riferimento alla produzione italiana, il 60% delle
scarpe da ciclismo e l’80% dei pattini da ghiaccio e a rotelle. Per quanto
concerne la produzione mondiale, vengono realizzati il 25% dei pattini in
linea, il 50% delle scarpe da montagna tecniche, il 65% dei doposci, il 75%
degli scarponi da sci e l’80% degli stivali da motociclismo. Nonostante il
calo registrato nell’occupazione e nel numero di aziende, nel 2002 il valore
della produzione complessiva di Montebelluna ha registrato un incremento
del 3,3%, in particolare, la produzione di calzature è aumentata del 6,3% in
quantità e del 4,1% in valore. Questo andamento risulta in controtendenza
con quello registrato nel settore della calzatura italiana, che vede una
diminuzione della produzione del 4,4% in quantità e del 1,5% in valore.
I grafici 1.1 e 1.2 mostrano la composizione della produzione e del fatturato
del 2002 per comparti. Si può notare come su una produzione totale di
34.511.665 Euro il 33,10% sia rappresentato dal comparto città e tempo
libero, seguito per il 21,66% da quello della montagna e per il 9,58% da
quello dello sci. Questi tre comparti primeggiano anche nel fatturato, nel
quale, su un totale di 1.570.191.580 Euro, ne rappresentano rispettivamente
il 23,21%, 17,05% e 14,01%.
2
Fonte informativa: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, Montebelluna, 2002.
13
Figura 1.1
Composizione della produzione del 2002 per comparti
Calcio
4,45%
Ciclismo
1,38%
9,58%
Città e tempo libero
1,86%
0,28%
Doposci
7,06% 1,44%
Jogging/running
0,85%
3,33%
3,65%
Montagna
Moto
33,10%
Pattini in linea
Pattini da ghiaccio
21,66%
1,81%
Sci
9,55%
Sicurezza
Snow Board
Telemark
Tennis
Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato.
Figura 1.2
Composizione del fatturato del 2002 per comparti
1,95%
1,68%
0,60%3,74%
1,32%
14,01%
0,54%
15,59% 3,34%
1,78%
1,29%
3,86%
23,21%
5,47%
17,05%
3,56%
1,01%
Abbigliamento
Accessori
Calcio
Ciclismo
Città e tempo libero
Dopo sci
Jogging/running
Montagna
Moto
Pattini in linea
Pattini da ghiaccio
Sci
Sicurezza
Snow Board
Telemark
Tennis
Varie
Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato.
Nonostante la situazione critica del settore della calzatura a livello nazionale,
il distretto di Montebelluna manifesta, quindi, capacità di sviluppo, grazie
alla differenziazione. Questa considerazione può essere dimostrata
osservando i dati registrati nell’anno 2000 sulla produzione a quantità e
valore. Rispetto al 2001, il comparto abbigliamento mantiene un livello di
produzione abbastanza costante, a differenza della scarpa da ciclismo (-5,5%
in quantità e -11,8% in valore), del mercato del jogging/running (-37,8% e 32,8%), del pattino inline (-17,7% e -15,5%), dello scarpone da sci (-1,3% e
-11,5%), dello snowboard (-6,9% e -7,7%) e del telemark (-11,8% e -2,6%).
Registrano, invece, una crescita il comparto della scarpa da calcio (+12,2%
14
in quantità e +21,5% in valore), lo stivale da motociclismo (+10,1% e +7,4%), le
scarpe da sicurezza (+110,5% e 78,5%), i doposci (+5,5% e +8%) ed, infine, la
scarpa da montagna, che può essere definita il best product montebellunese del
2002, grazie ad un aumento del 27,2% in quantità e del 26,3% in valore.
L’andamento di quest’ultimo articolo è particolarmente importante, in quanto
non interessa solo poche grandi aziende, ma anche molti piccoli produttori e
testimonia la vitalità della tradizione calzaturiera di Montebelluna. Questi dati
confluiscono nel fatturato della calzatura del distretto, nel quale, in particolar
modo confrontando l’andamento del fatturato a partire dal 1985 fino al 2002
(figura 1.3), emerge ancora una volta la crescente importanza rivestita dai
comparti città e tempo libero, montagna, sci e abbigliamento.
Figura 1.3
Evoluzione del fatturato per comparti dal 1985 al 2002
400.000.000
350.000.000
300.000.000
250.000.000
200.000.000
150.000.000
100.000.000
50.000.000
0
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
Abbigliamento e accessori
Calcio
Città e tempo libero
Doposci
Jogging/running
Moto
Pattini
Sicurezza
Telemark
Varie
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
Basket**
Ciclismo
Danza e aerobica*
Fondo
Montagna
Pallavolo***
Sci
Snow Board
Tennis
*
Il comparto danza e aerobica è compreso nel comparto varie dal 2001.
** Il comparto basket è
compreso nel comparto varie dal 1997.
*** Il comparto pallavolo è compreso nel comparto varie dal
2000.
Fonte: i dati derivano da Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002. Il fatturato è
espresso in Euro.
15
Montebelluna, dunque, è il cuore della produzione di articoli sportivi italiani.
Risulta utile precisare che, generalmente, con il termine articolo sportivo ci
si riferisce a un prodotto (abbigliamento, calzatura, attrezzo, accessorio) che
viene utilizzato o indossato per fare sport. Tuttavia, l’utilizzo di un articolo
non è più sufficiente per definirlo sportivo o meno, in quanto molto spesso il
suo uso è soggettivo e dipende dall’atteggiamento e dallo spirito che
identifica il praticante. Per questo motivo, in base alla attuali tendenze di
mercato, potrebbe risultare utile suddividere il “pianeta sport” in cinque
classi distinte sotto il profilo strategico, all’interno delle quali collocare i vari
comparti della produzione montebellunese, per rendere più agevole e
affidabile la previsione degli andamenti e la pianificazione:
• competition: rientrano in questa categoria gli sport che prevedono una
prestazione agonistica, in particolare il calcio, il ciclismo e lo sci da
competizione. Tutti e tre questi comparti manifestano un andamento
negativo, il primo a causa della crisi di alcune società calcistiche, il
secondo a causa del fenomeno del doping ed il terzo per il cambiamento
delle mode, che portano gli italiani a trascorrere le vacanze sempre più
all’estero, soprattutto in località esotiche che offrono prezzi molto
competitivi, a discapito delle località sciistiche nazionali. Montebelluna
mantiene il suo ruolo di leader di nicchia, invece, negli articoli dedicati
al motociclismo (soprattutto lo stivale) ed al ciclismo da strada. Un ruolo
importante è rivestito, inoltre, dal tennis e, quindi, dalla relativa scarpa, e
dal pattinaggio, soprattutto da quello su ghiaccio.
• Street: all’interno di questo insieme troviamo le “tre S su tavola”: surf,
skate e snowboard. Questi sport sono considerati di aggregazione e
consistono in un vero e proprio stile di vita per i praticanti, tanto da farli
sentire parte di un gruppo. L’alta qualità, soprattutto dal punto di vista
tecnico, che caratterizza i prodotti del distretto non è sufficiente,
purtroppo, a farli apprezzare dai clienti che, privilegiando l’aspetto
esteriore, li considerano molto più articoli di moda, piuttosto che
sportivi.
• Wellness: fanno parte di questo gruppo tutte le attività che mirano al
miglioramento della forma fisica e della salute, come il beach volley, il
cicloturismo, il golf, il jogging, il walking anche se questi ultimi anni
vedono come protagoniste le attività da palestra, infatti, il 27% della
popolazione italiana sta praticando o ha intenzione di praticare attività di
fitness. Nonostante questo, il distretto non sta sfruttando tale business in
maniera adeguata, dal momento che la presenza di aziende che si
dedicano a questo comparto è estremamente limitata.
• Adventure: qui troviamo tutti gli sport che si praticano in montagna o,
comunque, a stretto contatto con la natura, come lo sci fuoripista ed il
16
trekking. In questo comparto Montebelluna ha saputo rispondere alle
richieste di un mercato storico, riconvertendo ed innovando le
produzioni, in particolare quella degli scarponi da trekking.
• Luxury: in questo caso siamo di fronte all’utilizzo di capi di
abbigliamento sportivi in chiave urbana. Questo è un fenomeno in rapida
crescita, che vede nel soggetto interessato la ricerca di capi particolari,
anche in edizione limitata, che gli permettano di distinguersi dagli altri.
In questo modo il vestiario diventa di lusso. Questo è un mercato assai
vitale, in cui Montebelluna riveste spesso il ruolo di follower anziché
quello di leader.
Un altro aspetto interessante che contraddistingue il distretto di
Montebelluna è la sua vocazione all’internazionalizzazione. “L’attività di
esportazione caratterizza otto imprese su dieci, e per sei di queste l’estero
costituisce il mercato prevalente. I rapporti con il mercato internazionale
sono consolidati da tempo: un’impresa su cinque era già stabilmente
orientata all’export prima degli anni Settanta”3. Tradizionalmente, “il grado
di apertura di un’economia manifatturiera passa attraverso i flussi di importexport che, in un certo senso, sono l’indicatore più semplice del livello di
internazionalizzazione di un’area. E’ stato notato come conti sempre di più
la qualità dell’esportato, nel senso che l’export rimane una valida forma di
internazionalizzazione e, se deriva da un vantaggio competitivo basato su
competenze rare ed esclusive, produce una redditività soddisfacente e
permette uno sbocco di mercato stabile nel tempo”4. Nel 2002 le aziende del
distretto (da qui in poi denominate aziende) hanno esportato per un
ammontare di oltre 1 miliardo e 500 milioni di Euro, prediligendo, in ordine
di importanza, la Germania, la Francia, gli Stati Uniti e il Canada. Seguono,
poi, l’Inghilterra, il Giappone e la Spagna (figura 1.4).
3
4
Corò G., Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione, cit., p. 63.
Unindustria Treviso, L’industria e il mondo. Ricerca sull’internazionalizzazione
dell’industria trevigiana alla fine degli anni Novanta, rapporto di ricerca
realizzato dall’Ufficio Studi e da Conexport Unindustria Treviso, Treviso, 1997,
p. 8.
17
Figura 1.4
Percentuali di esportazione nel distretto di Montebelluna
Italia
5%
7%
Germania
14%
Francia
15%
16%
Spagna
Inghilterra
Altri Paesi Europei
20%
5%
4%
14%
Usa/Canada
Giappone
Altri P. Extra Europei
Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato.
L’internazionalizzazione di un’economia non si limita, però, alle attività di
importazione5 ed esportazione delle aziende, infatti, tale termine viene
sempre più associato al concetto di delocalizzazione o decentramento
produttivo. Attualmente nel distretto di Montebelluna, su un totale di 428
aziende, quelle che adottano tale strategia sono 90, vale a dire il 21%. Quelle
maggiormente interessate a questo tipo di attività sono, in ordine di
importanza, le aziende calzaturiere, quelle dell’abbigliamento e di design; i
paesi nei quali avviene il decentramento produttivo sono la Romania, la
Croazia e la Cina (si confrontino i grafici 1.5 e 1.6). Ciò significa che il
distretto è passato da “relazioni di tipo ascrittivo, attraverso le quali
un’impresa viveva il proprio ciclo di sviluppo all’interno di un orizzonte
domestico, a strategie elettive, attraverso le quali la localizzazione della
produzione (di impianti, attività e funzioni) diventa una delle scelte possibili
entro una gamma di opzioni che contribuiscono a disegnare il proprio
vantaggio competitivo6. Nel distretto di Montebelluna questo mutamento si è
avviato da oramai più di un decennio e, nonostante alcune fasi di
arretramento o ripensamento, il processo sembra destinato ad
un’accelerazione nei prossimi anni”7.
5
I mercati di approvvigionamento delle aziende del distretto di Montebelluna sono
prevalentemente nazionali.
6
A questo punto sarebbe necessario capire se e in quale misura il sistema locale sia
in grado di essere parte attiva in questa corsa verso la globalizzazione, oppure se
questo processo non porti ad un graduale impoverimento del tessuto artigiano
tipico del distretto, con la conseguente perdita delle antiche peculiarità
manifatturiere e delle caratteristiche che lo hanno reso famoso a livello
internazionale.
7
Corò G., Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione, cit., p. 64.
18
Figura 1.5
attività
Aziende che decentrano la produzione in base al settore di
4%
0%
3%1%
1%
0%
Abbigliamento
8%
1%
3%
Accoppiatura
Lavorazioni varie
Calzaturifici
Commerciali
Designer
Prod. Macchinari
Stampaggio
79%
Suolettifici
Tomaifici
Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato
Uno degli elementi chiave che distinguono il distretto di Montebelluna e gli
permettono di mantenere una posizione di vantaggio competitivo a livello sia
nazionale sia internazionale deriva, dunque, anche dalle scelte strategiche
delle imprese, tra le quali diventa fondamentale quella relativa alla
delocalizzazione produttiva. Ma il successo competitivo delle imprese
distrettuali non deriva solo da questo, è, infatti, strettamente legato alla
“capacità di mantenere attivo il processo di apprendimento, all’interazione
continua con i cambiamenti della domanda, al potenziamento dei saperi
contestuali attraverso l’incorporazione delle innovazioni tecnologiche e
all’adeguamento a queste trasformazioni della divisione tecnica e sociale del
lavoro”8.
8
Ibidem, p. 110.
19
Figura 1.6
geografica
Aziende che decentrano la produzione in base all’area
Romania
Croazia
8%
2%
Ungheria
11%
44%
Serbia
Rep. Ceca
Rep. Slovacca
7%
Altri P. Europei
5%
6%
3%
5%
Cina
9%
Far East
Altri P. Extra Europei
Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato
Flessibilità e dinamismo sono, quindi, due chiavi di successo per il distretto,
all’interno del quale è presente un sistema specializzato di piccole e medie
imprese che tende a formare un tutt’uno con la comunità locale, creando un
insieme di saperi pratici difficilmente imitabile o ricreabile all’esterno. Ed è
grazie a questa “socializzazione dei saperi pratici che all’interno del distretto
le informazioni circolano con notevole velocità e le innovazioni tendono a
diffondersi rapidamente”9. Nonostante questo, Montebelluna beneficia di
una sorta di “unità nella diversità e diversità nell’unità, poiché, malgrado la
vitalità e l’intraprendenza espressa dai numerosi individualismi, l’insieme
del mondo imprenditoriale condivide la stessa cultura produttiva e le
medesime origini psicologico-sociali”10. Ciò significa che nel distretto “un
piccolo imprenditore è, innanzi tutto, membro della comunità-rete e parte di
una squadra. Egli sa che il suo successo dipende dalla cooperazione, più che
dalla concorrenza… anche i lavoratori sentono di appartenere ad un sistema
più che ad una singola azienda”11.
Questi ed altri fattori hanno decretato la competitività e l’unicità a livello
mondiale del Made in Montebelluna ed hanno permesso al distretto di
conquistare e mantenere la posizione di leadership internazionale nella
produzione di scarpe da montagna prima, di calzature sportive poi, e dello
sport system di oggi.
9
Ibidem, p. 112.
Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, cit., p. 3.
11
Gurisatti P., Il Nord-Est Italiano: nascita di un nuovo modello di organizzazione
industriale, 1998, p. 7.
10
20
1.2
Scopo, ambito e limiti della ricerca
Il distretto di Montebelluna, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, è
caratterizzato da un grado elevato di internazionalizzazione nelle sue due
forme più tipiche dell’esportazione e della delocalizzazione.
Nonostante la crescente importanza di quest’ultima, essa non è oggetto di
trattazione della presente ricerca, la quale si interessa esclusivamente delle
esportazioni.
Abbiamo visto come le aziende del distretto siano particolarmente propense
ad esportare i loro prodotti in primo luogo verso la Germania (16% del totale
esportazioni), la Francia (14%), gli Stati Uniti e il Canada (15%) e, per
quantitativi inferiori, verso l’Inghilterra (5%), il Giappone (5%) e la Spagna
(4%). A partire dagli anni Settanta l’offerta del distretto ha, quindi,
soddisfatto quote rilevanti della domanda di quei paesi. La questione ora è la
seguente: fino a quando tali mercati saranno aperti alle merci di
Montebelluna? Dove andranno ad esportare le aziende del distretto nel
momento in cui ciò non accadesse più? Da tali domande nasce questo
progetto, il cui scopo primario è quello di fornire alle aziende del distretto di
Montebelluna elementi utili a scoprire quali paesi potranno, in un futuro
ormai prossimo, sostituire i mercati di esportazione tradizionali. Questo
lavoro, quindi, mira a mostrare alle aziende vari mercati alternativi da
penetrare con i propri prodotti, già conosciuti ed apprezzati a livello
internazionale. I nuovi e potenziali mercati verranno scelti seguendo una
specifica metodologia (illustrata nel successivo paragrafo) che, nella fase
finale, porta all’individuazione di tre o quattro paesi verso i quali le aziende
potrebbero indirizzare i loro prodotti esistenti con una buona probabilità di
successo.
Questo permette di ampliare le condizioni che determinano il vantaggio
competitivo di Montebelluna e di aggiungere una nuova componente al
classico modello di Porter che utilizza lo schema del “diamante” per
analizzare la dinamica del vantaggio competitivo sia di intere nazioni, sia di
singole aree. L’individuazione di nuovi mercati per il distretto contribuisce
ad accrescere la sua posizione di vantaggio competitivo e si va ad
aggiungere al circuito straordinariamente positivo di quattro condizioni
contestuali che, secondo il modello di Porter, sono:
“la presenza di un bacino qualificato di manodopera che è stato
storicamente alimentato da una tradizione secolare nella lavorazione
delle scarpe da montagna e che si è potuto rinnovare grazie alla
diffusione sociale di capacità imprenditoriali e ad un non comune spirito
di auto-organizzazione;
la domanda nazionale e la passione italiana per gli sport della montagna,
che continuano a rappresentare la punta avanzata e le esigenze più
21
sofisticate del consumo di attrezzature sportive e abbigliamento per la
montagna sul mercato globale;
la presenza di settori collegati e di supporto che costituiscono un fattore
di diffusione delle innovazioni e di apprendimento tecnologico;
un’ulteriore spinta all’innovazione e all’apertura verso i mercati
internazionali è generata dalla dinamica concorrenziale alimentata da
numerose imprese che lavorano sullo stesso prodotto, da nuovi entranti e
dalla pressione indotta dalla domanda e dall’offerta nella catena del
valore”12.
L’apertura di Montebelluna verso nuovi mercati può, quindi, inserirsi ed
ampliare quest’ultimo aspetto del diamante (una delle sue “punte”) e
contribuire ad accrescere la posizione di leadership sia nazionale sia
internazionale del distretto13.
Se da una parte questa ricerca può portare indubbi vantaggi e fornire
possibili alternative strategiche per le aziende nel breve periodo, essa
presenta, comunque, dei limiti. Il primo limite consiste nel fatto che viene
utilizzato un approccio di conservazione dell’esistente, in altre parole si
ricercano nuovi mercati dove esportare in futuro gli stessi prodotti del
presente. Ciò è fondamentale nel breve termine, ma sarebbe opportuno
adottare anche un approccio innovativo, per esempio ideando prima nuovi
prodotti e successivamente scegliendo i relativi mercati di sbocco, oppure
selezionando in primo luogo questi ultimi e, in un secondo momento,
progettando nuovi articoli che soddisfino le specifiche esigenze dei paesi
scelti. Ciò ha un duplice vantaggio: il primo consiste nel fatto che
l’introduzione di un’innovazione o un’invenzione rafforza le competenze14
esistenti all’interno di un’azienda (nel nostro caso anche a livello
distrettuale), ossia “rende più forte la base d’esperienza preesistente e
accresce il valore del sistema di risorse utilizzate dall’impresa”15.
L’innovazione e l’invenzione diventano, quindi, due strategie fondamentali
che permettono alle aziende dello sport system di Montebelluna di
12
Corò G., Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione, cit., pp. 112-113.
Per ulteriori approfondimenti in merito al diamante del vantaggio competitivo e
per lo schema del diamante del distretto di Montebelluna si veda Porter M.E., Il
vantaggio competitivo delle nazioni, Mondadori, Milano, 1989, p. 167 e segg.
14
Le competenze aziendali sono potenzialità di valore di cui l’azienda dispone.
Buttignon le definisce come “sistema di conoscenze e relazioni specifiche che
consentono all’impresa di ordinare e governare, entro certi limiti, gli elementi di
complessità che pervadono l’ambiente e il funzionamento dell’impresa”.
Buttignon F., Le competenze aziendali, UTET libreria, Torino, 1996, p. 55.
15
Rispoli M., Sviluppo dell’impresa e analisi strategica, Il Mulino, Bologna, 1999,
p. 145.
13
22
differenziarsi e puntare sull’aspetto qualitativo del prodotto, e rappresentano,
perciò, due fonti fondamentali di vantaggio competitivo sostenibile.
Il secondo vantaggio deriva dal fatto che questo permette all’azienda di porsi
in un’ottica di medio-lungo termine. “La chiave di questa visione non è
quella di predire il futuro, ma quella di immaginare un futuro fatto di
possibili cambiamenti nella tecnologia, negli stili di vita, nel lavoro, nei
sistemi regolatori della società, della politica, ecc.”.16 Hamel e Prahalad17
sostengono che, nel lungo periodo, la competitività deriva dalla capacità
dell’azienda di costruire, a prezzi inferiori e più velocemente della
concorrenza, le core competencies18 generatrici di prodotti assolutamente
nuovi19. Uno dei principali obiettivi dell’azienda deve essere, dunque, quello
di identificare e sviluppare quelle capabilities organizzative, difficili da
imitare, che le permettano di crearsi una posizione di vantaggio competitivo
e che la distinguano dai suoi concorrenti agli occhi dei clienti. Questi ultimi
assumono un ruolo sempre più importante per le aziende, in quanto sono
“partner attivi nel processo congiunto di creazione del valore e non semplici
ricettori passivi della creazione di valore da parte di altri”20. Il cliente
soddisfatto è, di conseguenza, il patrimonio più prezioso per l’azienda e la
capacità di quest’ultima di capire cosa crea valore per il cliente rappresenta
una competenza distintiva21 che, a sua volta, le consente di crearsi una
16
“The goal is not to predict the future, but to image a future made possible by
changes in technology, life style, work stile, regulation, global geopolitics, and the
like”. Hamel G., Prahalad C.K., Competing for the Future, Harward Business
School Press, Boston, 1996, preface.
17
Hamel G., Prahalad C.K., “The Core Competence of the Corporation”, in Harvard
Business Review, n. 3, 1990
18
Le core competencies vengono definite dai due Autori come il sapere collettivo
dell’organizzazione, in particolare come saper coordinare le diverse skills
produttive ed integrare i molteplici streams tecnologici. Per approfondimenti sul
tema delle competenze aziendali vedasi, tra gli altri, Ibidem, oppure Buttignon F.,
Le competenze aziendali.
19
“It is not enough for a company to get smaller and better and fast, as important as
these tasks may be; a company must be capable of fundamentally reconceiving
itself, of regenerating its core strategies, and of reinventing its industry. In short, a
company must also be capable of getting different. Defending today’s leadership
is no substitute for creating tomorrow’s leadership”. Hamel G., Prahalad C.K.,
Competing for the future, cit., pp. 16-17.
20
Normann R., Ramirez R., Designing Interactive Strategy, trad. it. Le Strategie
Interattive d’Impresa, ETAS libri, Milano, 1995, cit., p. 76.
21
“It is crucial for the organization to understand what creates value for customers.
Being able to read the customer’s mind may in itself be a Distinctive
Competence” Il concetto di competenza distintiva viene espresso dalle seguenti
citazioni: “Growth requires resources, and sustainable growth requires ongoing
23
posizione di superiorità rispetto ai concorrenti. Le stesse considerazioni
posso estendersi utilmente al distretto di Montebelluna.
In quest’ottica, le aziende non dovrebbero limitarsi ad offrire al proprio
cliente un prodotto, ma un’offerta globale di prodotto (o proposta
complessiva di valore)22, ossia un complesso di caratteristiche e vantaggi che
deriva da elementi materiali e immateriali, da servizi e da altre condizioni,
come quelle economiche. L’impresa, pertanto, “deve essere orientata al
cliente e deve seguire la stessa direzione del suo processo valutativo e,
quindi, dalle soddisfazioni da lui desiderate deve desumere le caratteristiche
dell’offerta”23. Per far questo è essenziale che le aziende impostino il proprio
marketing mix a partire dalla prospettiva del cliente e leghino, dunque, la
logica classica delle “4 P” a quella innovativa delle “4 C”, in cui i concetti di
prodotto, prezzo, punto di vendita e promozione sono derivati,
rispettivamente, da quelli di customer value, costo per il cliente, convenienza
e comunicazione24. Ragionando in questi termini si va al di là del
tradizionale concetto di catena del valore ideato da Porter25 e rappresentato
da una metafora limitativa come quella della catena di montaggio, per
entrare nell’universo proposto da Normann e Ramirez delle costellazioni del
valore. In questo ambito il cliente riveste un ruolo centrale, in quanto “non si
limita ad essere passivamente ordinatore/acquirente/utilizzatore dell’offerta,
application of resources… the organisation will have to interact with other actors
in such a way that the interaction is sufficiently valuable for these actors to return
some of this value in the form of a price paid for service. The crucial condition
that needs to be satisfied for growth is the creation and realisation of value for
others. This is a necessary, but not yet sufficient condition for growth. In addition
the organisation needs to be able to appropriate some of this value for itself.
Organisations need to be able to show that they perform a distinctive service if
they want to continue to enjoy the funding agent's support… Rather than relying
on others it is preferable in terms of robustness to rely on barriers to entry which
are built-in, in terms of Distinctive Competences the organisation has which
others find difficult to emulate”. Van Der Heijden K., Scenarios, Strategies and
the Strategy Process, Nijenrode University Press, Breukelen, The Netherlands,
1997, pp. 10-11. In altre parole, la competenza distintiva “è una competenza
sistemica che integra le altre competenze nell’esercizio coerente dell’attività”.
Normann R., Ramirez R., Designing Interactive Strategy, cit., p. 76.
22
Si veda in merito Kotler P., Il marketing secondo Kotler, Il sole 24 ore, Milano,
2000.
23
Rocchi F., La creazione del valore: fini, condizioni e processi, Cafoscarina,
Venezia, 2001, p. 36.
24
Si confronti Kotler P., Il marketing secondo Kotler, p. 121 e segg.
25
Si veda Porter M.E., Il vantaggio competitivo, Edizioni Comunità, Milano, 1988 e
Porter M.E., Il vantaggio competitivo delle nazioni, Mondadori, Milano, 1989.
24
ma partecipa anche in una varietà di modi diversi al suo consumo, ad
esempio nella consegna”26. In tali costellazioni “il valore viene co-prodotto
da attori che si interfacciano l’un l’altro. Essi distribuiscono a se stessi e ad
altri, esplicitamente o implicitamente, nel tempo e nello spazio, i compiti che
la creazione del valore comporta”27. Questi concetti risultano
particolarmente utili in un’economia come quella del distretto di
Montebelluna, già caratterizzata dalla presenza di un forte indotto aziendale.
Le aziende appartenenti a tale cluster si supportano a vicenda, creando un
contesto dinamico dove le informazioni scorrono con libertà e le innovazioni
si diffondono velocemente e, soprattutto, dove il risultato finale (il cluster
stesso) diventa più della somma delle sue parti.
Questi nuovi approcci, potrebbero essere estremamente utili all’interno del
distretto, per rafforzare ulteriormente i legami tra le aziende, confermare ed
accrescere nel lungo periodo il vantaggio competitivo che Montebelluna
vanta a livello mondiale nel settore dello sport system e mantenere la
leadership nell’innovazione.
1.3
Aspetti metodologici del lavoro
Il presente lavoro, come accennato nel precedente paragrafo, mira ad
individuare nuovi mercati presso i quali le aziende appartenenti al distretto
della calzatura di Montebelluna possano esportare i prodotti già esistenti,
senza mutare nessun tipo di variabile se non quella dei potenziali clienti.
Seguendo, come punto di riferimento, l’impostazione fornita da Pellicelli28, è
necessario trovare un metodo che ci permetta di selezionare i mercati che
presentano una domanda potenziale superiore ad una determinata soglia
considerata minima accettabile. Questo può essere realizzato scindendo la
ricerca principalmente in tre fasi distinte (figura 1.7).
26
Normann R., Ramirez R., Designing Interactive Strategy, p. 52.
27
Ibidem.
28
Per eventuali approfondimenti si rimanda a Pellicelli G., Il marketing
internazionale, ETAS Libri, Milano, 1999.
25
Figura 1.7
Le tre principali fasi dell’analisi dei mercati esteri
PRIMA FASE
200 MERCATI
SECONDA FASE
20-30 MERCATI
TERZA FASE
3-4 MERCATI
Fonte: Pellicelli G., Il marketing internazionale, cit., p.54, modificata.
La prima fase considera tutti i possibili paesi del mondo (circa 200)
per scremarne buona parte e scegliere un gruppo più ristretto di mercati
verso i quali rivolgere analisi più dettagliate. Questa prima selezione può
essere impostata seguendo varie metodologie, come quella delle esperienze
precedenti che l’impresa intenzionata ad internazionalizzarsi ha effettuato in
tali mercati o l’imitazione dei comportamenti delle imprese concorrenti, o
ancora, riferendosi a determinati fattori chiave dell’economia. Infine, e
quest’ultimo è il metodo qui utilizzato, osservando gli “stadi di sviluppo” dei
mercati mondiali per definire quali siano le possibilità di assorbimento dei
prodotti da parte di ogni gruppo di mercati. Generalmente, i dati che meglio
si prestano a tale analisi sono il reddito pro capite, il prodotto nazionale
lordo e la sua composizione, tuttavia, spesso si ritiene utile integrare tali
indicatori costruendo, ad esempio, una serie di stadi di sviluppo
privilegiando criteri qualitativi come la presenza di risorse naturali nel Paese,
il suo livello di istruzione, ecc.
La suddetta analisi, basata, quindi, su fattori economici, sociali e politici di
carattere generale, permette di selezionare, tra tutti i paesi del mondo, quei
20-30 paesi che presentano il maggior potenziale di espansione per le
imprese del distretto di Montebelluna e consente il passaggio dalla prima alla
seconda fase del processo di ricerca. In questa fase vengono, perciò,
26
approfondite le analisi sui paesi precedentemente selezionati. Innanzi tutto,
viene studiata a fondo la loro situazione politica, sociale ed economica, poi
si prendono in considerazione alcune grandi variabili dell’economia, in
particolare quelle che consentono di prevedere l’andamento della domanda
potenziale del prodotto che si mira a vendere e che sono, oltre alle due
grandezze considerate nella precedente fase, la produzione di risorse naturali
del Paese, quella industriale, il tasso di disoccupazione, e così via.
Successivamente si esaminano i consumi e gli investimenti pubblici e
privati, allo scopo di prevedere quale sarà la domanda potenziale di beni di
consumo, di beni industriali e strumentali. Infine, è importante analizzare i
rapporti che il Paese in esame ha con gli altri Stati esteri, in particolare, se e
quali sono le merci importate dall’estero.
I mercati che hanno dato risultati positivi nelle selezioni operate nella prima
e nella seconda fase necessitano di un ulteriore approfondimento dell’analisi,
che ha luogo nella terza fase. In altre parole, la seconda fase ci ha permesso
di individuare i 3-4 paesi che presentano un potenziale maggiore e verso i
quali le imprese del distretto dovrebbero indirizzare la proprie merci. E’
necessario, a questo punto, per ciascun Paese individuato, esaminare il
prodotto, i segmenti di mercato ed il mercato stesso nel quale le imprese
intendono entrare, analizzare la concorrenza, definire il profilo del
compratore-target delle aziende, reperire, infine, informazioni relative ai
fattori di marketing mix già presenti nel mercato ed in uso da altre aziende
concorrenti ed identificare eventuali vincoli di accesso al mercato. Tale fase
risulta particolarmente delicata, poiché presenta un livello di
approfondimento dell’analisi molto superiore alle fasi precedenti. Per questo
motivo, allo scopo di ottenere informazioni il più possibile complete ed
aderenti alla realtà, nonché personalizzate a seconda dell’azienda interessata
alla ricerca, sarebbe opportuno inviare in loco, in ciascun Paese individuato,
dirigenti o personale delle imprese che intendono espandersi all’estero,
oppure attivare rapporti con consulenti locali e/o internazionali.
Alla conclusione della seconda fase si è, quindi, in grado di indirizzare le
imprese del distretto verso quei mercati che presentano caratteristiche tali
per cui le probabilità di successo della politica di esportazione dei prodotti
già esistenti siano considerate alte. A questo punto le imprese dovrebbero
approfondire ulteriormente lo studio dei paesi selezionati in modo autonomo
a seconda delle loro particolari esigenze e concludere il processo di ricerca
ed analisi dei nuovi mercati attuando un’ultima fase (quarta fase),
consistente nel continuo monitoraggio delle caratteristiche e dell’andamento
dei suddetti mercati, per poter effettuare previsioni, almeno nel breve
termine, allo scopo di anticipare le loro tendenze evolutive e mettere in
pratica strategie atte a garantire la sopravvivenza ed il successo delle imprese
italiane all’estero.
27
Si ritiene utile ricordare che l’analisi si limita a considerare il caso di
imprese che mettono in atto una strategia di esportazione indiretta,
mantenendo la produzione sul territorio nazionale, o che vendono all’estero
principalmente attraverso intermediari.
28
CAPITOLO II
PRIMA FASE DELLA RICERCA: SELEZIONE DEI
MERCATI CON MAGGIOR POTENZIALE
2.1
Introduzione
Un’azienda, nel nostro caso appartenente al distretto di Montebelluna, che
intenda commercializzare all’estero un prodotto già affermato nel mercato
nazionale o che decida comunque di ampliare le sue vendite ad un numero
maggiore di mercati, si trova di fronte, teoricamente, 208 possibilità diverse,
tanti quanti sono i paesi che compongono l’economia mondiale.
L’obiettivo di questo capitolo è quello di permettere una prima scrematura di
tali mercati allo scopo di decidere quali fra essi abbiano caratteristiche e
potenziale di domanda sufficienti a rendere conveniente un’ulteriore
approfondimento della ricerca.
Per fare questo si ritiene utile, innanzi tutto, suddividere i vari paesi in base
al loro grado di sviluppo. Dal momento che i sistemi economici passano per
vari stadi di sviluppo, è possibile classificarli secondo lo stadio in cui si
trovano. Non esiste accordo fra gli autori nella successione dei vari stadi in
cui passa un sistema economico e sussistono varie teorie al riguardo. Qui ci
limitiamo a precisare che esistono dei parametri indicatori dello stadio di
sviluppo, di tipo sia quantitativo sia qualitativo.
A questo proposito, per alcuni indicatori, si intende seguire la classificazione
proposta dalla Banca Mondiale, istituzione e fonte informativa di livello
universale. Una parte dei dati e dei raggruppamenti presentati in questa
sezione, con gli opportuni aggiustamenti ed integrazioni, proviene, dunque,
dal suddetto organismo che, prima di tutto, fa una distinzione tra Paesi
Sviluppati e Paesi in Via di Sviluppo. In un secondo momento, i paesi
vengono classificati secondo un criterio spaziale, poi sono distinti in base al
reddito (reddito pro capite, PNL e composizione di quest’ultimo) e al loro
grado di indebitamento. In un secondo momento verranno presi in
considerazione anche alcuni indicatori di tipo qualitativo.
In altre parole, si utilizzano vari criteri per aggregare tra loro paesi che
presentano caratteristiche similari, allo scopo di individuare le aree che
potenzialmente sono aperte ai prodotti già esistenti nel distretto di
Montebelluna. Questo principio di omogeneità si utilizza anche in un’ottica
strategica, che mira all’individuazione di nuovi mercati, non solo per
soddisfare le esigenze di internazionalizzazione delle aziende nel breve
termine, ma soprattutto per inserirle in un contesto di medio-lungo periodo
che le porti, dopo aver scelto la regione di interesse, a differenziarsi,
innovare ed ideare prodotti diversi che consentano la conquista di una
posizione di vantaggio competitivo sostenibile in nuovi mercati.
29
2.2
Analisi quantitativa dei paesi
Come punto di partenza, riteniamo utile analizzare i paesi seguendo gli
indicatori quantitativi che, associati a quelli di tipo qualitativo, ci
permetteranno di classificare i paesi e selezionare quelli con maggior
potenziale.
La tabella seguente (tabella 2.1) mira a distinguere i 208 paesi del mondo a
seconda del loro grado di sviluppo, in base al quale si avranno Paesi
Sviluppati (PS) e Paesi in Via di Sviluppo (PVS), comprendenti questi ultimi
anche paesi in fase di pre-industrializzazione.
Tabella 2.1
n. Paese
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
Classificazione dei paesi in base al loro grado di sviluppo
P.S.
n. Paese
Andorra
Antigua e Barbuda
Antille Paesi Bassi
Aruba
Australia
Austria
Bahamas (Isole)
Bahrain
Barbados
Belgio
Bermuda
Brunei
Canada
Cayman (Isole)
Channel (Isole)
Cipro
Corea (Repubblica)
Danimarca
Emirati Arabi Uniti
Faeroe (Isole)
Finlandia
Francia
Germania
Giappone
Grecia
Groenlandia
Guam
Hong Kong (Cina)
Irlanda
Islanda
Isola di Man
Israele
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
30
P.V.S.
Afghanistan
Albania
Algeria
Angola
Arabia Saudita
Argentina
Armenia
Azerbaijan
Bangladesh
Belarus
Belize
Benin
Bhutan
Bolivia
Bosnia ed Erzegovina
Botswana
Brasile
Bulgaria
Burkina Faso
Burundi
Cambogia
Camerun
Capo Verde
Chad
Cile
Cina
Colombia
Comoros
Congo (Repubblica Dem.)
Congo (Repubblica)
Corea (Repubblica Dem.)
Costa d’Avorio
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
124
125
126
127
128
129
130
131
132
133
134
Italia
Kuwait
Liechtenstein
Lussemburgo
Macao (Cina)
Malta
Monaco
Norvegia
Nuova Caledonia
Nuova Zelanda
Paesi Bassi
Polinesia Francese
Portogallo
Portorico
Qatar
Regno Unito
San Marino
Singapore
Slovenia
Spagna
Svezia
Svizzera
USA
Vergini (Isole)
31
Costa Rica
Croazia
Cuba
Djibouti
Dominica
Dominica (Repubblica)
Ecuador
Egitto
El Salvador
Eritrea
Estonia
Etiopia
Filippine
Fiji
Gabon
Gambia
Georgia
Giamaica
Giordania
Ghana
Grenada
Guatemala
Guinea
Guinea-Bissau
Guinea Equatoriale
Guyana
Haiti
Honduras
India
Indonesia
Iran (Repubblica Islamica)
Iraq
Kazakhstan
Kenya
Kiribati
Kyrgyz (Repubblica)
Lao PDR
Lettonia
Lesotho
Libano
Liberia
Libia
Lithuania
Macedonia (FYR)
Madagascar
Malawi
135
136
137
138
139
140
141
142
143
144
145
146
147
148
149
150
151
152
153
154
155
156
157
158
159
160
161
162
163
164
165
166
167
168
169
170
171
172
173
174
175
176
177
178
179
180
32
Maldive
Malesia
Mali
Marocco
Marshall (Isole)
Mauritania
Mauritius
Mayotte
Messico
Micronesia (Fed. di Stati)
Moldova
Mongolia
Mozambico
Myanmar
Namibia
Nepal
Nicaragua
Niger
Nigeria
Nord Mariana (Isole)
Oman
Pakistan
Palau
Panama
Papua Nuova Guinea
Paraguay
Perù
Polonia
Repubblica Ceca
Repubblica Centrale Africana
Romania
Ruanda
Russia (Federazione)
Salomone (Isole)
Samoa (Isole)
Samoa Americana
San Kitts e Nevis
San Tomé e Principato
San Vincenzo e Grenadines
Santa Lucia
Senegal
Serbia e Montenegro
Seychelles
Sierra Leone
Slovacchia (Repubblica)
Somalia
181
182
183
184
185
186
187
188
189
190
191
192
193
194
195
196
197
198
199
200
201
202
203
204
205
206
207
208
Sri Lanka
Sud Africa
Sudan
Suriname
Swaziland
Siria (Repubblica Araba)
Tailandia
Tajikistan
Tanzania
Timor-Leste
Togo
Tonga
Trinidad e Tobago
Tunisia
Turchia
Turkmenistan
Ucraina
Uganda
Ungheria
Uruguay
Uzbekistan
Vanuatu
Venezuela (RB)
Vietnam
West Bank e Gaza
Yemen (Repubblica)
Zambia
Zimbabwe
Da questa tabella si evince come, su un totale di 208 paesi, solo 56 (circa il
27%) presentino un grado di sviluppo elevato, mentre la maggior parte dei
rimanenti sia ancora in via di sviluppo o in una fase pre-industriale. Ai nostri
fini, in prima approssimazione, è possibile sostenere che la maggior parte dei
clienti potenziali per le aziende del distretto si trovi nei Paesi Sviluppati,
dove la possibilità di spesa pro-capite è superiore.
A questo punto è interessante suddividere i paesi seguendo un criterio
territoriale, identificando, quindi, varie regioni o aree geografiche.
L’importanza di questa classificazione consiste nel fatto che, individuando
gruppi di paesi vicini tra loro, le aziende hanno la possibilità di sfruttare
economie, sinergie e mettere in atto strategie similari relative, ad esempio,
alla logistica e agli aspetti tecnici del prodotto; inoltre, anche la cultura gioca
un ruolo fondamentale in quest’ambito, fungendo da elemento di
aggregazione tra le popolazioni appartenenti alla stessa zona geografica.
33
Nord America (4 paesi)
• Bermuda
• Channel (Isole)
• Canada
• USA
America Latina (38 paesi)
• Antigua e Barbuda
• Cuba
• Antille Paesi Bassi
• Dominica
• Argentina
• Dominica (Rep.)
• Aruba
Ecuador
• Bahamas
• El Salvador
• Barbados
• Giamaica
• Belize
• Grenada
• Bolivia
• Guatemala
• Brasile
• Guyana
• Cayman (Isole)
• Haiti
• Cile
• Honduras
• Colombia
• Messico
• Costa Rica
• Nicaragua
Europa Occidentale (33 paesi)
• Andorra
• Grecia
• Austria
• Groenlandia
• Belgio
• Irlanda
• Bosnia ed Erzegovina • Islanda
• Cipro
• Isola di Man
• Croazia
• Italia
• Danimarca
• Liechtenstein
• Faeroe (Isole)
• Lussemburgo
• Finlandia
• Macedonia (FYR)
• Francia
• Malta
• Germania
• Monaco
• Panama
• Paraguay
• Perù
• Portorico
• San Kitts e Nevis
• San Vincenzo e Grenadines
• Santa Lucia
• Suriname
• Trinidad e Tobago
• Uruguay
• Venezuela
• Vergini (Isole)
• Norvegia
• Paesi Bassi
• Portogallo
• Regno Unito
• San Marino
• Serbia e Montenegro
• Slovenia
• Spagna
• Svezia
• Svizzera
• Turchia
Europa Centro-Orientale e Stati Baltici (22 paesi)
• Albania
• Kyrgyz (Repubblica) • Russia (Federazione)
• Armenia
• Lettonia
• Slovacchia (Repubblica)
• Azerbaijan
• Lituania
• Tajikistan
• Belarus
• Moldova
• Turkmenistan
• Bulgaria
• Polonia
• Ucraina
• Estonia
• Repubblica Ceca
• Ungheria
• Georgia
• Romania
• Uzbekistan
• Kazakhstan
34
Africa (54 paesi)
• Algeria
• Angola
• Benin
• Botswana
• Burkina Faso
• Burundi
• Camerun
• Capo Verde
• Chad
• Comoros
• Congo (Repubblica)
• Congo (Rep. Dem.)
• Costa d’Avorio
• Djibouti
• Egitto
• Eritrea
• Etiopia
• Gabon
• Gambia
• Ghana
• Guinea
• Guinea-Bissau
• Guinea Equatoriale
• Kenya
• Lesotho
• Liberia
• Libia
• Madagascar
• Malawi
• Mali
• Mauritania
• Mauritius
• Marocco
• Mayotte
• Mozambico
• Namibia
• Niger
• Nigeria
• Rep. Centrale Africana
• Ruanda
• San Tomé e Principato
• Senegal
• Seychelles
• Sierra Leone
• Somalia
• Sud Africa
• Sudan
• Swaziland
• Tanzania
• Togo
• Tunisia
• Uganda
• Zambia
• Zimbabwe
Centro Oriente (14 paesi)
• Arabia Saudita
• Israele
• Bahrain
• Giordania
• Emirati Arabi Uniti • Kuwait
• Iran
• Libano
• Iraq
• Oman
• Qatar
• Siria (Rep. Araba)
• Yemen
• West Bank e Gaza
Asia e Oceania (43 paesi)
• Afghanistan
• Indonesia
• Australia
• Kiribati
• Bangladesh
• Lao PDR
• Bhutan
• Macao (Cina)
• Brunei
• Malesia
• Cambogia
• Maldive
• Cina
• Marshall (Isole)
• Corea (Repubblica) • Micronesia
• Corea (Rep. Dem)
• Mongolia
• Fiji
• Myanmar
• Filippine
• Nepal
• Giappone
• Nuova Caledonia
• Guam
• Nuova Zelanda
• Hong Kong (Cina)
• Nord Mariana (Isole)
• India
• Pakistan
• Palau
• Papua Nuova Guinea
• Polinesia Francese
• Salomone (Isole)
• Samoa
• Samoa Americana
• Singapore
• Sri Lanca
• Tailandia
• Timor-Leste
• Tonga
• Vanuatu
• Vietnam
35
Dopo aver classificato i paesi a seconda del loro sviluppo e della regione
geografica di appartenenza, si ritiene utile approfondire la ricerca da un punto di
vista quantitativo, considerando, innanzi tutto, il reddito pro-capite29 (tabella
2.2). Questo indicatore esprime il reddito medio individuale e viene
comunemente accettato quale criterio che sintetizza efficacemente altre
grandezze economiche rilevanti (salari, investimenti, prezzi, produzione, ecc.).
Perché un Paese si sviluppi, è necessario che il reddito pro-capite aumenti in
misura più che proporzionale all’aumento della popolazione. Esso fornisce,
perciò, indicazioni sul grado di sviluppo dei paesi e consente di ordinarli
secondo il “potere d’acquisto” medio dei loro abitanti.
Tabella 2.2
2002)
Classificazione dei paesi in base al reddito pro-capite (anno
Posi- Paese
zione
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
Bermuda
Lussemburgo
Svizzera
Norvegia
Liechtenstein
USA
Giappone
Channel (Isole)
Danimarca
Irlanda
San Marino
Cayman (Isole)
Regno Unito
Svezia
Hong Kong
Monaco
Reddito
pro-capite30
(US $)
…31
38,830
37,930
37,850
37,000
35,060
33,550
…
30,290
27,970
26,570
…
25,250
24,820
24,750
…
Posizione
Paese
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
Paesi Bassi
Irlanda
Finlandia
Austria
Belgio
Germania
Canada
Francia
Singapore
Australia
Italia
Kuwait
Israele
N.Caledonia
Bahamas
Spagna
29
Reddito
pro-capite
(US $)
23,960
23,870
23,510
23,390
23,250
22,670
22,300
22,010
20,690
19,740
18,960
18,27032
16,710
14,050
14,860
14,430
Vista la complessità nella determinazione del reddito pro-capite di un Paese e la
difficoltà nel reperire i dati per alcuni mercati, in questo contesto viene utilizzato il PIL
pro-capite, considerandolo una sufficiente approssimazione del reddito pro-capite.
30
I valori del reddito pro-capite sono espressi in dollari americani. La fonte informativa
è, come nelle classificazioni precedenti, la Banca Mondiale. Il criterio di lavoro
utilizzato da quest’ultima è il metodo Atlas, fattore di conversione il cui scopo è quello
di ridurre l’impatto delle fluttuazioni del tasso di cambio nella comparazione
incrociata dei redditi dei vari paesi. Per approfondimenti in merito a tale metodologia
si rimanda al sito ufficiale della Banca Mondiale: www.worldbank.org.
31
… dato mancante. La posizione del paese si suppone sulla base delle previsioni della
Banca Mondiale.
32
I valori in corsivo non si riferiscono all’anno 2002, ma 2001 o 2000.
36
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
77
Macao (Cina)
Nuova Zelanda
Polinesia Franc.
Cipro
Grecia
Bahrain
Portogallo
Portorico
Corea (Rep.)
Slovenia
Barbados
Antigua e Barb.
Malta
Arabia Saudita
Oman
Palau
Trinidad e Tob.
Seychelles
S. Kitts e Nevis
Messico
Rep. Ceca
Ungheria
Croazia
Polonia
Uruguay
Cile
Estonia
Costa Rica
Venezuela (RB)
Argentina
Panama
Libano
Slovacchia
Mauritius
Santa Lucia
Lituania
Malesia
Grenada
Lettonia
Domenica
Gabon
Botswana
Belize
Brasile
Giamaica
S. Vincenzo e G
14,380
13,710
16,150
12,320
11,660
11,130
10,840
10,950
9,930
9,810
9,750
9,390
9,200
8,460
7,720
6,780
6,490
6,530
6,370
5,910
5,560
5,280
4,640
4,570
4,370
4,260
4,130
4,100
4,090
4,060
4,020
3,990
3,950
3,850
3,840
3,660
3,540
3,500
3,480
3,180
3,120
2,980
2,960
2,850
2,820
2,820
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
119
120
120
37
Sud Africa
Turchia
Marshall (Isole)
Domenica (R.)
Fiji
Russia (Fed.)
Maldive
El Salvador
Perù
Tunisia
Micronesia
Tailandia
Suriname
Romania
Colombia
Bulgaria
Namibia
Giordania
Guatemala
Algeria
Iran (Rep. Isl.)
Macedonia
Kazakhistan
Egitto
Ecuador
Samoa
Tonga
Serbia e M.
Albania
Belarus
Capo Verde
Bosnia e H.
Turkmenistan
Marocco
Swaziland
Paraguay
Siria (R. Ar.)
Vanuatu
Filippine
Cina
West B. e Gaza
Honduras
Bolivia
Djibouti
Guyana
Sri Lanka
2,600
2,500
2,270
2,230
2,160
2,140
2,090
2,080
2,050
2,000
1,980
1,980
1,960
1,850
1,830
1,790
1,780
1,760
1,750
1,720
1,710
1,700
1,510
1,470
1,450
1,420
1,410
1,400
1.380
1,360
1,290
1,270
1,200
1,190
1,180
1,170
1,130
1,080
1,020
940
930
920
900
900
840
840
121
122
123
124
124
125
126
127
128
129
130
131
132
133
134
135
136
137
137
138
139
140
140
141
142
142
142
143
144
145
145
146
147
148
149
149
149
150
150
151
152
152
a.
b.
c.
d.
Kiribati
Armenia
Ucraina
Azerbaijan
Indonesia
Congo (Rep.)
Guinea Equat.
Angola
Georgia
Costa d’Avorio
Bhutan
Salomone (Is.)
Camerun
Papua N. G.
Timor-Leste
Yemen (Rep.)
India
Lesotho
Senegal
Moldova
Uzbejkistan
Haiti
Mongolia
Vietnam
Guinea
Mauritania
Pakistan
Comoros
Benin
Bangladesh
Kenya
Sudan
Zambia
Lao PDR
Kyrgyz (Rep.)
Nigeria
San Tomé e P.
Cambogia
Gambia
Tanzania
Ghana
Togo
810
790
770
710
710
700
700
660
650
610
590
570
560
530
520
490
480
470
470
460
450
440
440
430
410
410
410
390
380
360
360
350
330
310
290
290
290
280
280
280
270
270
153
154
155
155
156
156
157
157
158
159
160
161
161
162
162
163
164
164
165
166
166
166
166
166
166
166
166
166
166
166
167
167
167
167
168
168
168
168
168
168
168
168
Rep. Centr. Afr.
Uganda
Madagascar
Mali
Nepal
Ruanda
Burkina Faso
Chad
Mozambico
Tajikistan
Niger
Eritrea
Malawi
Guinea-Bissau
Liberia
Sierra Leone
Burundi
Etiopia
Congo (R. D.)
Andorra (a)
Aruba
Brunei
Faeroe (Isole)
Groenlandia
Guam
Isola di Man
Antille Olandesi
Qatar
Emirati A. Uniti
Vergini (Isole)
Samoa Am. (b)
Libia
Mayotte
Nord Mariana I.
Cuba (c)
Iraq
Afghanistan (d)
Corea (R. D.)
Myanmar
Nicaragua
Somalia
Zimbabwe
260
250
240
240
230
230
220
220
210
180
170
160
160
150
150
140
100
100
90
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
≥ 9,076
2,936-9,075
2,936-9,075
2,936-9,075
2,936-9,075
736-2,935
736-2,935
≤ 735
≤ 735
≤ 735
≤ 735
≤ 735
≤ 735
Da qui in poi la classificazione si basa sulle stime della banca Mondiale. Nel dettaglio, il
valore è stimato come alto reddito, equivalente o maggiore di US $ 9,076.
Valore stimato come medio-alto reddito, compreso tra US $ 2,936 e US $ 9,075.
Valore stimato come basso-medio reddito, compreso tra US $ 736 a US $ 2,935.
Valore stimato come basso reddito, equivalente o minore di US $ 735.
38
Nonostante alcuni dati presenti nella tabella siano antecedenti il 2002 e per
alcuni paesi il reddito pro-capite sia determinato con una stima, si può notare
come i primi posti della classifica siano occupati da paesi sviluppati,
appartenenti soprattutto al Nord America e all’Europa Occidentale. Questi
sono, quindi, i mercati che presentano un “potere d’acquisto” medio
maggiore e che, di conseguenza, in prima approssimazione, potrebbero
essere i più appetibili in vista di un allargamento delle esportazioni da parte
delle aziende di Montebelluna. Questo perché, rispetto alle altre popolazioni,
gli individui di tali paesi hanno una possibilità di spesa maggiore, vale a dire,
presentano un reddito pro capite di alto livello. E’ interessante vedere,
inoltre, la crescita annua percentuale del reddito pro-capite di ciascun Paese,
poiché ciò permette di avere un’idea sui valori che questo indicatore potrà
assumere nei prossimi anni (figura 2.1). Tuttavia, per esprimere un giudizio
più attendibile è necessario proseguire analizzando i paesi secondo altri punti
di vista.
Altro indicatore fondamentale da considerare in questa prima fase di analisi
è, oltre a quello appena esaminato, il prodotto nazionale lordo (PNL) dei
vari paesi e la sua composizione. Il PNL misura il valore dei beni finali
prodotti sia all’interno sia all’esterno del Paese32 ed è particolarmente utile,
in quanto consente di stimare le dimensioni dei vari mercati. E’
fondamentale, poi, evidenziarne la distribuzione settoriale (o strutturale), per
verificare l’importanza rivestita dai vari settori dell’economia, primario,
secondario e terziario33, nella formazione del PNL (tabella 2.3).
32
Per approfondimenti in merito a PNL e PIL si veda, ad esempio, Dornbusch R,
Fischer S., Macroeconomia, Il Mulino, Bologna, 1995, cap. 2 e segg.
33
Di seguito si richiama brevemente la composizione dei vari settori:
•
settore primario: costituito dall’attività agricola, zootecnica, forestale e
dalla pesca;
•
settore secondario: comprende le imprese che trasformano materie prime in
prodotti finiti (imprese estrattive, manifatturiere, tessili, calzaturiere,
chimiche, ecc.); imprese produttrici di energia elettrica, gas e acqua;
imprese di costruzioni;
•
settore terziario: relativo alle attività commerciali e di servizi. Esso si
divide in terziario tradizionale, avanzato e sociale. Al primo appartengono i
servizi prodotti dai liberi professionisti (avvocati, medici, ecc.); il secondo
(anche denominato settore quaternario) comprende servizi che richiedono
alta professionalità e complessi processi di trattamento delle informazioni
(formazione delle risorse umane, progettazione, software, ecc.); il terzo è
rivolto alla produzione di servizi ritenuti essenziali nelle società opulente
(assistenza ai disabili, agli anziani, ecc.).
39
Figura 2.1
Crescita annua del reddito pro-capite dal 1990 al 2001
Fonte: World Development Indicators database, World Bank, luglio 2003.
Tabella 2.3
(anno 2002)
Classificazione dei paesi in base al PNL e composizione
Posizione
Paese
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
USA
Giappone
Germania
Regno Unito
Francia
Cina
Italia
Canada
Messico
Spagna
India
Brasile
Corea (Rep.)
Paesi Bassi
Australia
Russia (Fed.)
Svizzera
Belgio
Svezia
Austria
Arabia Saudita
Polonia
Turchia
Norvegia
Hong Kong (Cina)
Danimarca
Argentina
Indonesia
Grecia
Tailandia
PNL
Settore
(milioni di Primario
US $)34
(%
del
PNL)35
10,110,087 1,6
4,265,616 1,6
1,870,383 1,3
1,486,194 1,0
1,342,735 2,9
1,209,528 14,8
1,097,944 2,9
2,6
700,454
4,3
596,703
3,6
594,114
22,8
501,532
9,2
497,393
4,0
473,050
3,2
386,774
3,3
386,623
6,7
307,913
1,6
274,157
1,5
239,949
1,8
221,508
2,3
190,400
181,06636 7,0
176,616
3,4
173,979
13,8
171,770
2,5
167,600
0,1
162,743
2,8
154,145
4,9
149,879
17,5
123,906
8,5
122,240
8,5
34
Settore
Secondario
(%
del
PNL)
24,9
32,6
31,0
27,4
25,6
51,2
28,9
30,6
26,5
30,2
26,0
33,4
40,9
27,1
26,4
36,5
30,4
27,2
27,3
33,1
48,0
33,8
26,5
33,5
13,4
26,2
26,6
44,4
22,3
42,0
Settore
Terziario
(%
del
PNL)
73,5
65,8
67,7
71,6
71,5
34,0
68,2
66,8
69,2
66,2
51,2
57,4
55,1
69,7
70,3
56,8
68,0
71,3
70,9
64,6
45,0
62,8
59,7
64,0
86,5
71,0
68,5
38,1
69,2
49,5
I valori del PNL sono espressi in dollari americani e classificati seguendo il
metodo Atlas. La fonte informativa è, come nelle classificazioni precedenti, la
Banca Mondiale, i cui dati sono aggiornati a luglio 2003. Ove necessario, tali dati
sono stati opportunamente integrati con quelli resi disponibili dall’Istituto
Geografico De Agostini, Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002,
Novara, 2001.
35
Nella maggior parte dei paesi i dati sono relativi al 2002, tuttavia, in alcuni casi si
riferiscono ad anni precedenti (dal 1998 al 2001).
36
I dati in corsivo sono relativi agli anni 2001 o 2000.
41
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
Finlandia
Sud Africa
Iran (Rep. Islamica)
Portogallo
Israele
Venezuela (R.B.)
Egitto (Rep. Araba)
Irlanda
Singapore
Malesia
Filippine
Colombia
Cile
Pakistan
Repubblica Ceca
Perù
Algeria
Ungheria
Nuova Zelanda
Bangladesh
Portorico
Romania
Nigeria
Kuwait
Ucraina
Marocco
Vietnam
Kazakhstan
Slovacchia (Rep.)
Guatemala
Croazia
Dominica (Rep.)
Tunisia
Slovenia
Oman
Siria (Rep. Araba)
Ecuador
Libano
Lussemburgo
Costa Rica
Sri Lanka
Uruguay
Bulgaria
El Salvador
Belarus
Lituania
122,231
113,492
112,098
108,709
104,128
102,577
96,607
92,552
86,150
85,956
81,453
80,101
66,318
59,205
56,717
54,734
53,814
53,702
53,055
48,462
42,052
41,304
38,680
37,352
37,733
35,354
34,930
22,268
21,377
20,929
20,314
20,049
19,610
19,551
19,137
19,203
19,048
17,726
17,221
16,169
15,894
14,769
14,116
13,538
13,533
12,715
42
3,5
3,2
16,8
3,8
4,0
5,0
16,8
4,9
0,1
8,0
14,9
13,0
8,8
24,2
4,2
8,5
12,4
5,7
…
22,3
0,7
14,8
34,6
0
16,9
16,1
23,6
8,5
4,1
22,3
9,7
11,4
10,4
3,1
3,0
23,1
9,0
11,7
0,8
9,0
19,3
6,4
13,3
9,5
10,7
7,3
33,3
31,5
32,3
30,0
29,0
49,9
35,0
40,9
35,9
48,3
31,6
29,9
34,3
22,4
40,7
29,8
62,2
33,7
…
25,6
42,8
35,6
35,5
45,0
39,3
31,1
37,8
43,4
29,0
19,3
34,2
33,2
29,1
37,6
40,0
27,5
29,4
21,0
22,4
28,1
27,0
26,6
28,9
29,7
38,1
34,7
63,2
65,3
50,9
66,2
67,0
45,1
48,2
54,2
64
43,7
53,5
57,1
56,9
53,4
55,1
61,7
25,4
60,6
…
52,1
56,5
49,6
29,9
55,0
43,8
52,8
38,6
48,1
66,9
58,4
56,1
55,4
60,5
59,3
57,0
49,4
61,6
67,3
76,8
62,9
53,7
67,0
57,8
60,8
51,2
58,0
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
Panama
Serbia e Montenegro
Uzbekistan
Sudan
Kenya
Costa d’Avorio
Tanzania
Yemen (Rep.)
Cipro
Angola
Giordania
Camerun
Trinidad e Tobago
Lettonia
Islanda
Bolivia
Bahrain
Giamaica
Turkmenistan
Paraguay
Etiopia
Macao (Cina)
Honduras
Uganda
Azerbaijan
Nepal
Estonia
Ghana
Bosnia Erzegovina
Botswana
Congo (Rep. Dem.)
Senegal
Mauritius
Bahamas
Albania
Gabon
Madagascar
Mozambico
Haiti
Malta
Cambogia
Zambia
Macedonia (FYR)
Nuova Caledonia
Georgia
Polinesia Francese
11,818
11,601
11,522
11,471
11,296
10,264
9,607
9,360
9,372
9,187
9,084
8,746
8,553
8,134
7,944
7,858
7,246
7,368
6,650
6,442
6,420
6,329
6,214
5,909
5,809
5,620
5,605
5,445
5,233
5,103
5,045
4,684
4,669
4,533
4,410
4,028
3,913
3,869
3,678
3,632
3,483
3,458
3,456
2,989
3,346
3,794
43
6,9
…
32,9
39,2
19,1
23,7
44,7
14,4
5,0
8,0
2,0
42,6
1,6
4,5
9,0
15,7
1,0
6,4
28,8
21,4
52,4
15,3
13,7
31,4
17,5
39,3
5,9
34,8
14,3
2,4
56,3
18,2
6,5
5,0
32,4
7,6
27,4
23,3
30,0
3,0
36,9
21,7
12,1
…
19,6
…
16,0
…
21,5
18,3
18,3
21,5
16,0
40,3
22,0
66,7
23,4
19,6
42,3
26,4
19,0
28,5
40,0
30,8
50,7
27,5
11,1
13,5
31,5
22,7
44,6
22,6
29,5
24,9
29,6
46,7
18,8
28,1
31,1
11,0
22,7
46,4
12,8
31,0
20,0
25,0
21,9
29,8
29,7
…
23,1
…
77,1
…
45,6
42,5
62,6
54,8
39,3
45,3
73,0
25,3
74,6
37,8
56,1
69,1
72,0
55,8
59,0
62,8
20,5
51,1
36,5
71,2
54,8
45,9
37,9
38,1
64,6
40,3
56,1
50,9
24,9
53,7
62,4
84,0
44,9
46,0
59,8
45,7
50,0
72,0
41,2
48,5
58,2
…
57,3
…
123
124
125
126
127
128
129
130
131
132
133
134
135
136
137
138
139
140
141
142
143
144
145
146
147
148
149
150
151
152
153
154
155
156
157
157
158
159
160
161
162
163
164
165
166
167
Namibia
Guinea
West Bank e Gaza
Papua Nuova Guinea
Mali
Burkina Faso
Barbados
Benin
Armenia
Congo (Rep.)
Niger
Ruanda
Fiji
Chad
Malawi
Lao PDR
Moldova
Kyrgyz (Rep.)
Swaziland
Togo
Mauritania
Tajikistan
Mongolia
Rep. Cent. Africana
Lesotho
Suriname
Belize
Sierra Leone
Burundi
Eritrea
Guyana
Antigua e Barbuda
Santa Lucia
Maldive
Capo Verde
Djibouti
Seychelles
Bhutan
Liberia
Timor-Leste
Gambia
Grenada
Guinea Equatoriale
San Vincenzo e G.
San Kitts e Nevis
Salomone (Isole)
12,3
24,4
8,5
26,4
37,8
37,6
5,5
35,5
25,9
6,1
39,9
41,6
19,5
36,8
38,7
50,9
25,1
38,6
13,5
40,1
21,4
29,4
31,5
54,8
18,3
11,3
22,7
51,9
49,3
20,6
31,3
4,0
6,6
…
11,0
3,8
2,8
33,8
37,0
…
40,4
8,2
8,5
10,3
2,8
39,0
3,252
3,137
2,982
2,823
2,770
2,642
2,614
2,503
2,427
2,232
2,013
1,850
1,775
1,758
1,728
1,709
1,671
1,454
1,285
1,279
1,163
1,145
1,088
1,011
981
828
750
725
704
670
651
647
609
598
590
590
538
505
489
402
392
356
327
329
293
254
44
34,8
37,7
27,8
42,7
26,4
20,4
20,3
14,4
33,2
65,5
16,9
21,8
31,0
13,8
19,2
23,4
24,2
26,2
34,2
21,6
31,0
29,4
17,4
21,6
52,2
21,4
25,0
31,1
19,4
21,8
28,3
21,1
18,2
…
16,8
14,4
24,7
37,4
22,0
…
15,0
23,2
87,0
24,4
29,2
13,0
52,7
37,9
63,7
30,9
35,8
41,2
74,2
50,1
40,9
28,4
43,2
36,6
49,5
49,4
42,1
25,7
50,7
35,2
52,3
38,3
47,6
41,2
51,1
23,6
29,5
67,3
52,3
17,0
31,3
57,6
40,4
74,9
75,2
…
72,2
81,8
72,5
28,8
41,0
…
44,6
68,6
4,5
65,3
68,0
48,0
168
Samoa
169
Micronesia (Fed. Sta.)
170
Dominica
170
Comoros
171
Vanuatu
172
Guinea-Bissau
173
Tonga
174
Palau
175
Marshall (Isole)
176
Kiribati
177
San Tomé e Princ.
178
Afghanistan
178
Antille Paesi Bassi
178
Andorra
178
Aruba
178
Bermuda
178
Brunei
178
Cayman (Isole)
178
Channel (Isole)
178
Cuba
178
Faeroe (Isole)
178
Groenlandia
178
Guam
178
Iraq
178
Isola di Man
178
Corea (Rep. Dem.)
178
Libia
178
Liechtenstein
178
Mayotte
178
Monaco
178
Myanmar
178
Nicaragua
178
Nord Mariana (Isole)
178
Qatar
178
Samoa Americana
178
San Marino
178
Somalia
178
Emirati Arabi Uniti
178
Vergini (Isole)
178
Zimbabwe
dato non disponibile.
250
242
228
228
221
193
143
142
125
77
45
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
17,0
…
17,5
35,4
23,0
58,1
30,8
3,9
11,9
20,7
20,0
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
24,0
…
23,2
10,6
12,0
12,2
14,1
12,7
15,1
6,1
17,0
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
59,0
…
59,3
54,0
65,0
29,7
55,1
83,4
73,0
73,2
63,0
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
...
L’analisi del PNL e della sua composizione permette di graduare i mercati
secondo la loro importanza. Dalla tabella precedente si nota come la maggior
parte dei paesi collocati nella prima parte della classifica abbia un PNL di
livello medio-alto o alto. Essi appartengono soprattutto alle regioni
45
dell’Europa Occidentale, dell’Asia e Oceania e del Nord America, seguono,
poi, quelli dell’America Latina e dell’Europa Centro Orientale. In tali paesi
(ad eccezione della Cina) il settore terziario costituisce oltre il 50% del PNL
e, in alcuni casi, oltrepassa il 70% (si veda, ad esempio, USA, Francia,
Belgio e Svezia), il settore secondario, invece, diminuisce d’importanza a
mano a mano che aumenta il grado di industrializzazione del Paese ed,
infine, quello primario riveste un ruolo del tutto marginale. Per alcuni paesi
(come il Brasile, Messico, Cina, India), tuttavia, il settore manifatturiero
assume un ruolo fondamentale nell’economia, che vanta la presenza di
alcuni settori industriali già competitivi sui mercati internazionali.
Un ulteriore indicatore quantitativo interessante ai fini di questa prima fase
della ricerca è il livello di indebitamento dei singoli paesi (tabella 2.4). In
tale contesto, questo indicatore può essere utile per abbozzare delle stime in
merito alla ricchezza futura di un Paese e alle potenzialità del suo mercato.
La Banca Mondiale distingue i paesi aderenti al WBDRS (World Bank
Debtor Reporting System) in altamente e mediamente indebitati. I primi
presentano un livello di servizio di debito su PNL pari all’80% e di servizio
di debito sulle esportazioni pari al 60%, i secondi, invece, manifestano
entrambi i valori superiori al 60%, senza raggiungere soglie di criticità. I
paesi non aderenti al WBDRS vengono definiti altamente indebitati quando
il debito sul PNL raggiunge il 50%, il debito sulle esportazioni il 275%, il
servizio di debito sulle esportazioni il 30% e gli interessi sulle esportazioni il
20%. Vengono considerati, invece, mediamente indebitati quando tre dei
quattro indicatori precedenti superano il 60%, senza raggiungere livelli
critici. Infine, la Banca Mondiale include i paesi a basso o medio-basso
reddito nella categoria “poco indebitati”.
Tabella 2.4
(anno 2003)
Classificazione dei paesi in base al livello di indebitamento
Altamente
Indebitati
(50 paesi)
Afghanistan
Angola
Argentina
Belize
Benin
Brasile
Burkina Faso
Burundi
Chad
Comoros
Congo (Rep. Dem.)
Mediamente
Indebitati
(39 paesi)
Bhutan
Bolivia
Bulgaria
Cambogia
Camerun
Cile
Colombia
Croazia
Dominica
Estonia
Filippine
Poco
Indebitati
(55 paesi)
Albania
Algeria
Arabia Saudita
Armenia
Azerbaijan
Bangladesh
Belarus
Bosnia ed E.
Botswana
Capo Verde
Cina
46
Non classificati
(64 paesi)
Andorra
Antigua e B.
Antille Paesi Bassi
Aruba
Australia
Austria
Bahamas
Bahrain
Barbados
Belgio
Bermuda
Congo (Rep.)
Costa d’Avorio
Cuba
Ecuador
Etiopia
Gabon
Gambia
Giordania
Guinea
Guinea-Bissau
Guyana
Indonesia
Iraq
Kyrgyz (Rep.)
Lao PDR
Libano
Liberia
Madagascar
Malawi
Mauritania
Moldova
Myanmar
Nicaragua
Niger
Nigeria
Pakistan
Panama
Perù
Rep. Centr. Africana
Ruanda
San Tomé e P.
Serbia e Montenegro
Sierra Leone
Somalia
Sudan
Siria (Rep. Araba)
Tajikistan
Uruguay
Zambia
Ghana
Grenada
Haiti
Honduras
Giamaica
Kazakhstan
Kenya
Lettonia
Malesia
Mali
Mongolia
Papua N. Guinea
Russia (Fed.)
Samoa (Isole)
San Kitts e Nevis
San Vincenzo e G.
Senegal
Slovacchia (Rep.)
Tailandia
Tanzania
Togo
Tunisia
Turchia
Turkmenistan
Uganda
Ungheria
Uzbekistan
Zimbabwe
Corea (Rep. Dem.)
Costa Rica
Djibouti
Dominica (Rep.)
Egitto
El Salvador
Eritrea
Fiji
Georgia
Guatemala
Guinea Equatoriale
India
Iran (Rep. Islamica)
Kiribati
Lesotho
Libia
Lithuania
Macedonia (FYR)
Maldive
Marocco
Mauritius
Messico
Mozambico
Namibia
Nepal
Oman
Paraguay
Polonia
Repubblica Ceca
Romania
Salomone (Isole)
Santa Lucia
Seychelles
Sri Lanka
Sud Africa
Suriname
Swaziland
Tonga
Trinidad e Tobago
Ucraina
Vanuatu
Venezuela (RB)
Vietnam
Yemen (Rep.)
47
Brunei
Canada
Cayman (Isole)
Channel (Isole)
Cipro
Corea (Rep.)
Danimarca
Emirati A. Uniti
Faeroe (Isole)
Finlandia
Francia
Germania
Giappone
Grecia
Groenlandia
Guam
Hong Kong (Cina)
Irlanda
Islanda
Isola di Man
Israele
Italia
Kuwait
Liechtenstein
Lussemburgo
Macao (Cina)
Malta
Marshall (Isole)
Mayotte
Micronesia (Fed. S.)
Monaco
Nord Mariana (Is.)
Norvegia
Nuova Caledonia
Nuova Zelanda
Paesi Bassi
Palau
Polinesia Francese
Portogallo
Portorico
Qatar
Regno Unito
Samoa Americana
San Marino
Singapore
Slovenia
Spagna
Svezia
Svizzera
Timor-Leste
USA
Vergini (Isole)
West Bank e Gaza
Fonte: World Development Indicators database, World Bank, luglio 2003.
Si ritiene utile precisare che non sono da escludere a priori quei paesi che
presentano un grado di indebitamento elevato o medio. Ad oggi questo non è
sinonimo di sicurezza e garanzia nel commercio, ciò non toglie che
nell’ottica del medio-lungo termine la situazione per quei paesi possa essere
diversa e migliorare. Questo ribadisce ancora una volta che, ai nostri fini,
l’indebitamento deve essere considerato come un indicatore della ricchezza
futura del Paese e non come un dato statico indicante il debito di un mercato
in un preciso istante.
A questo punto, esauriti gli indicatori che ritenevamo interessanti sotto il
profilo quantitativo, l’analisi si sposta verso gli aspetti qualitativi.
2.3
Analisi qualitativa dei paesi
Vi sono aspetti, dei vari paesi, rilevanti ai fini della presente analisi che non
sono suscettibili di misurazione, per i quali si considerano modalità
qualitative. Tra queste appaiono di particolare interesse il tasso di crescita, le
aspettative medie di vita, il tasso di mortalità infantile e il livello di
analfabetismo. Questi indicatori ci consentono di avere un quadro generale
relativo alle condizioni di vita di ogni singolo Paese, alla sua situazione
sanitaria ad al livello di istruzione. La tabella seguente classifica i paesi in
base alla numerosità della popolazione (tabella 2.5) e considera per ognuno
gli indicatori sopra esposti.
48
Tabella 2.5
(anno 2002)
Posizione
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
Paese
Classificazione dei paesi in base agli indicatori qualitativi
Popolazione
(in
migliaia)
1.280.975
Cina
1.048.279
India
288.369
USA
211.716
Indonesia
174.485
Brasile
144.902
Pakistan
Russia (Fed.) 144.071
135.684
Bangladesh
132.785
Nigeria
127.144
Giappone
100.921
Messico
82.495
Germania
80.525
Vietnam
79.944
Filippine
69.626
Turchia
67.335
Etiopia
66.372
Egitto
65.540
Iran
61.613
Tailandia
59.442
Francia
Regno Unito 58.858
57.919
Italia
Congo (R.D.) 53.797
48.895
Myanmar
48.717
Ucraina
Corea (Rep.) 47.640
43.745
Colombia
43.580
Sud Africa
41.180
Spagna
38.626
Polonia
37.928
Argentina
35.181
Tanzania
32.365
Sudan
31.414
Canada
31.345
Kenya
32.320
Algeria
Crescita
Popolazione
(% annua)
0,7
1,5
0,9
1,3
1,2
2,4
-0,4
1,7
2,1
0,0
1,5
0,0
1,2
1,9
1,3
2,2
1,8
1,5
0,6
0,4
0,1
-0,1
2,7
1,2
-0,7
0,7
1,5
0,5
0,2
0,0
1,1
2,0
2,3
0,9
1,8
1,6
37
Aspettative Tasso di
di vita
mortalità
(in anni)
infantile37
70,7
63,2
78,0
66,7
68,6
63,8
65,8
62,1
45,3
81,1
73,6
77,7
69,7
69,8
69,9
42,1
68,9
69,3
69,2
79,2
77,5
78,4
45,3
57,2
68,2
73,9
71,8
46,5
78,3
73,8
74,3
43,1
58,4
79,2
45,5
70,7
31,0
67,0
7,0
33,0
31,0
84,0
18,0
51,0
110,0
…38
24,0
4,0
30,0
29,0
36,0
116,0
35,0
35,0
24,0
4,0
6,0
4,0
129,0
77,0
17,0
5,0
19,0
56,0
4,0
8,0
16,0
104,0
65,0
5,0
78,0
39,0
Il tasso di mortalità infantile è calcolato su 1000 bambini nati vivi.
… dato non disponibile.
39
Dato trascurabile.
38
49
Tasso di
Analfabetismo
13,6
41,2
d.t.39
12,1
12,3
55,1
0,4
58,9
33,2
d.t.
8,3
d.t.
7,1
4,6
14,0
58,5
43,1
21,9
4,2
d.t.
d.t.
1,5
35,9
14,7
0,4
2,0
7,9
14,0
2,2
0,3
3,0
22,9
40,1
d.t.
15,7
31,1
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
Marocco
Afghanistan
Perù
Uzbekistan
Venezuela
Malesia
Iraq
Nepal
Uganda
Corea (R.D.)
Romania
Arabia S.
Ghana
Australia
Sri Lanka
Yemen (Rep.)
Mozambico
Siria
Costa d’Av.
Madagascar
Paesi Bassi
Cile
Camerun
Kazakhstan
Angola
Ecuador
Zimbabwe
Cambogia
Guatemala
Burkina Faso
Niger
Mali
Cuba
Malawi
Serbia e M.
Grecia
Zambia
Belgio
Rep. Ceca
Ungheria
Portogallo
Senegal
Belarus
Tunisia
Somalia
Svezia
29.641
27.963
26.749
25.391
25.093
24.305
24.256
24.122
23.395
22.519
22.355
22.116
20.071
19.581
18.968
18.601
18.438
17.005
16.775
16.437
16.144
15.579
15.523
14.795
13.896
13.112
12.967
12.487
11.992
11.831
11.542
11.346
11.263
10.743
10.658
10.631
10.461
10.320
10.210
10.166
10.032
10.007
9.931
9.788
9.391
8.924
1,6
2,6
1,5
1,2
1,8
1,9
2,1
2,2
2,6
0,7
-0,3
3,3
1,6
0,9
1,2
3,0
1,9
2,4
1,9
2,7
0,7
1,1
2,1
-0,3
2,8
1,8
0,7
1,6
2,6
2,3
3,0
2,2
0,3
2,0
…
0,5
1,5
0,0
-0,2
…
0,0
2,3
-0,4
1,2
3,2
0,2
50
68,4
43,2
69,8
67,0
73,7
72,8
62,6
59,9
43,1
61,8
70,0
73,1
54,9
79,2
73,8
57,4
41,1
70,3
45,2
55,5
77,9
75,9
48,4
61,7
46,7
70,4
39,0
54,0
65,5
42,9
45,7
40,9
76,8
35,7
…
78,0
36,9
78,5
75,0
71,8
76,0
52,3
68,2
72,7
47,4
80,3
39,0
165,0
30,0
52,0
…
8,0
107,0
66,0
79,0
42,0
…
23,0
57,0
6,0
17,0
79,0
125,0
23,0
102,0
84,0
5,0
10,0
96,0
81,0
154,0
24,0
76,0
97,0
43,0
104,0
156,0
141,0
7,0
114,0
…
5,0
112,0
5,0
4,0
8,0
5,0
79,0
14,0
17,0
21,0
3,0
49,3
…
9,5
0,7
6,9
11,6
59,9
56,0
31,1
…
1,7
22,1
26,2
d.t.
7,9
51,0
53,5
23,9
49,3
31,9
d.t.
4,0
26,5
0,6
…
7,9
10,0
30,6
30,1
74,3
82,9
72,8
3,1
38,2
…
2,6
20,1
d.t.
…
0,6
7,1
60,7
0,3
26,8
…
d.t.
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
124
125
126
127
128
Bolivia
Dominica (R.)
Haiti
Azerbaijan
Ruanda
Chad
Austria
Bulgaria
Guinea
Svizzera
Burundi
Hong Kong
Honduras
Benin
El Salvador
Israele
Tajikistan
Turkmenistan
Libia
Lao PDR
Paraguay
Slovacchia
Danimarca
Papua N. G.
Nicaragua
Sierra Leone
Finlandia
Georgia
Giordania
Kyrgyz Rep.
Togo
Norvegia
Libano
Croazia
Eritrea
Moldova
Singapore
Bosnia ed E.
Costa Rica
Irlanda
N. Zelanda
Portorico
R. Centrale Af.
Lituania
Uruguay
Liberia
8.697
8.635
8.286
8.184
8.163
8.144
8.141
7.868
7.744
7.228
7.071
6.773
6.755
6.603
6.524
6.494
6.316
5.545
5.534
5.530
5.510
5.409
5.373
5.373
5.335
5.235
5.199
5.177
5.171
5.004
4.767
4.539
4.441
4.377
4.309
4.255
4.164
4.121
3.942
3.878
3.870
3.869
3.828
3.476
3.381
3.295
2,0
1,5
1,8
0,8
1,7
2,8
0,1
-0,8
2,1
…
1,9
0,8
2,5
2,5
1,9
2,0
1,4
1,2
2,2
2,3
2,5
0,1
0,2
2,2
2,4
1,9
0,2
…
2,6
1,0
2,1
0,5
1,3
-0,2
2,4
-0,4
2,0
0,9
1,6
0,9
0,5
0,8
1,6
-0,2
0,6
2,4
51
63,6
67,2
52,0
65,2
39,8
48,4
78,7
71,8
46,2
80,0
41,7
80,0
66,1
52,7
70,1
78,7
66,6
64,6
72,3
54,5
70,8
73,3
76,6
57,2
68,7
37,4
78,0
73,3
72,0
65,2
49,6
78,8
70,8
73,8
51,1
67,0
78,4
73,9
77,6
76,9
78,2
76,5
42,1
72,7
74,6
47,1
3,0
60,0
41,0
79,0
96,0
117,0
5,0
14,0
109,0
5,0
114,0
2,7
31,0
94,0
33,0
6,0
91,0
69,0
16,0
87,0
26,0
8,0
4,0
70,0
36,0
182,0
4,0
24,0
27,0
52,0
79,0
4,0
28,0
7,0
72,0
27,0
3,0
1,6
9,0
6,0
6,0
9,5
115,0
8,0
14,0
157,0
13,4
15,6
48,1
…
30,8
54,2
d.t.
1,4
…
d.t.
49,6
6,2
23,8
60,0
20,3
4,7
0,7
…
18,3
33,6
6,3
…
d.t.
34,7
32,9
…
d.t.
…
9,1
…
40,4
d.t.
13,1
1,5
42,4
1,0
7,2
…
4,2
…
…
5,9
50,4
0,4
2,3
44,1
129
130
131
132
133
134
135
136
137
138
139
140
141
142
143
144
145
146
147
148
149
150
151
152
153
154
155
156
157
158
159
160
161
162
163
164
165
166
167
168
169
170
171
172
173
174
W. Bank e G.
Albania
Congo (Rep.)
Armenia
E. Arabi Un.
Panama
Mauritania
Giamaica
Oman
Mongolia
Lettonia
Kuwait
Lesotho
Macedonia
Slovenia
Namibia
Botswana
Gambia
Estonia
Trinidad e T.
Gabon
Guinea-Biss.
Mauritius
Swaziland
Bhutan
Fiji
Guyana
Cipro
Timor-Leste
Bahrain
Dijibouti
Qatar
Comoros
Guinea Equat.
Capo Verde
Lussemburgo
Salomone (I.)
Macao (Cina)
Suriname
Malta
Brunei
Bahamas
Maldive
Islanda
Barbados
Belize
3.212
3.195
3.190
3.072
3.049
2.940
2.828
2.613
2.539
2.449
2.335
2.104
2.087
2.038
1.992
1.823
1.712
1.376
1.358
1.318
1.291
1.253
1.212
1.088
851
823
772
765
753
672
657
610
586
481
458
444
443
443
423
397
351
314
287
284
269
253
3,7
1,0
2,7
0,4
2,4
1,5
2,5
1,0
2,4
1,3
-0,8
2,8
1,1
0,5
-0,1
1,5
0,6
2,3
-0,6
0,7
2,2
2,2
1,0
1,6
2,6
1,7
0,8
0,6
…
…
1,8
2,1
2,4
2,5
2,5
0,6
3,0
0,7
0,8
0,5
1,6
1,1
2,2
0,7
0,4
2,1
52
72,7
74,0
51,6
74,8
75,4
74,9
51,0
75,7
74,1
65,5
70,4
76,9
42,7
73,4
75,9
41,5
38,1
53,4
70,6
72,4
52,9
45,4
72,5
43,7
63,2
69,5
62,3
78,1
…
73,3
43,5
74,9
61,4
51,7
69,1
77,4
69,3
79,2
70,3
78,4
76,6
69,7
69,2
79,7
74,9
74,1
21,1
23,0
81,0
31,0
8,0
19,0
120,0
17,0
12,0
61,0
17,0
9,0
91,0
22,0
4,0
55,0
80,0
91,0
11,0
17,0
60,0
130,0
17,0
106,0
74,0
18,0
54,0
5,0
…
13,0
100,0
11,0
59,0
101,0
29,0
5,0
20,0
4,0
26,0
5,0
6,0
13,0
58,0
3,0
12,0
34,0
…
14,1
17,2
1,4
22,7
7,7
58,8
12,4
25,6
1,5
0,2
17,1
15,6
…
0,3
16,7
21,1
61,1
0,2
1,5
…
59,0
14,7
19,1
…
6,5
1,3
2,6
…
11,5
33,5
17,9
43,8
15,2
24,3
d.t.
…
5,7
…
7,4
8,5
4,4
2,8
…
0,3
6,3
73,7
1,3
Polinesia Fr. 240
9,7
175
1,7
N. Caledonia 220
7,0
176
73,6
…
Antille P. B. 220
…
177
…
2,2
206
Vanuatu
34,0
178
68,5
1,0
176
Samoa
20,0
179
69,4
1,4
159
Guam
3,8
180
77,8
1,2
159
Santa Lucia
17,0
181
72,2
2,0
154
San Tomé
57,0
182
65,8
0,1
Channel (Is.) 149
5,8
183
79,1
…
145
Mayotte
…
184
…
1,8
122
Micronesia
20,0
185
68,6
0,7
San Vincenzo 117
22,0
186
72,9
1,1
Vergini (Is.) 110
8,3
187
78,1
1,2
102
Grenada
20,0
188
73,0
0,4
101
Tonga
17,0
189
71,3
1,8
95
Kiribati
51,0
190
62,8
…
90
Aruba
…
191
…
1,4
84
Seychelles
13,0
192
73,0
…
Isola di Man 80
…
193
…
…
N. Mariana Is. 80
…
194
…
0,0
72
Dominica
14,0
195
76,6
2,7
Samoa Amer. 70
…
196
…
…
70
Andorra
6,0
197
…
0,6
Antigua e B. 69
12,0
198
…
…
60
Bermuda
…
199
…
0,2
Groenlandia 60
…
200
…
…
Marshall (Is.) 53
54,0
201
…
…
50
Faeroe (Is.)
…
202
…
1,7
San Kitts e N. 46
20,0
203
71,3
…
Cayman (Is.) 35
…
204
…
…
Liechtenstein 30
10,0
205
…
…
30
Monaco
4,0
206
…
…
30
San Marino
4,0
207
…
…
20
Palau
24,0
208
…
Fonte: World Development Indicators database, World Bank, luglio 2003.
…
…
3,3
…
1,3
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
…
Solitamente, una crescita della popolazione molto bassa, quasi nulla o
negativa è indice che il Paese in questione è sviluppato. Ciò è confermato
dal fatto che anche gli altri tre indicatori presi in considerazione (vita
media, tasso di mortalità infantile ed analfabetismo) si attestano a livelli
molto bassi, si vedano, ad esempio, gli Stati Uniti d’America che
presentano un tasso di crescita della popolazione dello 0,9%, le cui
aspettative di vita media per una persona sono di 78 anni, registrano un
tasso di mortalità infantile del 7‰ e un tasso di analfabetismo
trascurabile. Lo stesso andamento vale per i paesi che, come la Germania,
53
presentano un tasso di crescita nullo: l’aspettativa di vita è di 77,7 anni,
la mortalità infantile si attesta al 4,0‰ e il livello di analfabetismo è
trascurabile. La situazione è similare anche per i paesi con crescita
negativa, come l’Italia, con 78,4 anni di vita media, 4,0‰ di mortalità
infantile e, come nei suddetti esempi, alto livello di istruzione ed
analfabetismo irrilevante. Tali società sono caratterizzate da una cultura
“aperta”, dove il ruolo della donna assume sempre più rilievo.
Quest’ultima non viene vista solo come moglie o madre, ma come
persona istruita, dotata di capacità e spirito di intraprendenza, la cui
volontà di emergere anche dal punto di vista lavorativo la spinge a
sposarsi e a crearsi una famiglia raramente prima dei 30 anni. Questo
contribuisce ad innalzare il livello di istruzione che, quindi, è molto alto,
è accompagnato da condizioni sanitarie altrettanto elevate e porta ad un
abbassamento del tasso di crescita della popolazione. Generalizzando,
potremmo sostenere che questi paesi hanno un reddito pro-capite alto,
PNL elevato, derivante soprattutto dal settore terziario ed, infine, un
livello di indebitamento molto basso o trascurabile. Di conseguenza,
potrebbero essere questi i paesi che presentano il maggior numero di
potenziali clienti per i prodotti (almeno una parte) dello sport system di
Montebelluna, essendo dotati di una capacità di spesa elevata.
Lo stesso non può dirsi per quei paesi che presentano un alto tasso di crescita
della popolazione. Essi rientrano nella categoria dei PVS e di quelli in fase
di pre-industrializzazione e l’alto tasso di crescita è accompagnato da un
corrispondente alto tasso di mortalità infantile, favorito dalle precarie
condizioni igenico-sanitarie e dalla malnutrizione. Il livello di analfabetismo
è molto elevato e il ruolo rivestito dalla donna nella società è marginale.
Esempi di questi paesi sono il Pakistan, la Repubblica Democratica del
Congo e il Niger, che registrano rispettivamente un tasso di crescita della
popolazione pari al 2,4%, 2,7% e 3,0%, aspettative di vita di 63,8, 45,3 e
45,7 anni, un tasso di mortalità infantile dell’84‰, 35,9‰ e 82,9‰ e un
tasso di analfabetismo pari al 55,1%, al 35,9% e 82,9%. Volendo
generalizzare, questi paesi registrano un reddito pro-capite molto basso,
modesto risulta anche il PNL, derivante soprattutto dal settore primario. Tali
popolazioni presentano, dunque, una minor capacità di spesa rispetto alla
categoria di paesi esaminata in precedenza, tuttavia, il nostro interesse verso
questi mercati non è da escludere a priori, in quanto potrebbero risultare
attraenti ed appetibili per determinate tipologie di prodotto, difficilmente
vendibili in altri luoghi.
2.4
Selezione dei paesi con maggiore potenziale
Dopo aver analizzato tutti i paesi del mondo secondo criteri quantitativi e
qualitativi è opportuno, ora, effettuare una prima scrematura e selezionare
54
solamente quei mercati che, in base ai criteri indicati, hanno un maggior
potenziale in termini di apertura ed assorbimento dei prodotti delle aziende
montebellunesi.
Si intende procedere seguendo la classificazione proposta nel paragrafo 1.1,
la quale distingueva in chiave strategica i prodotti dello sport system in
cinque grandi classi: competition, street, wellness, adventure e luxury.
Accanto a queste tipologie, crediamo utile inserirne una sesta, vale a dire
quella da noi denominata prodotti superati strategicamente riproponibili
altrove. Si tratta di prodotti che, per vari motivi, sono usciti dal mercato e/o
non si producono più, ad esempio uno scarpone da sci può uscire dalla
produzione in quanto non soddisfa più determinati standard tecnici e
qualitativi, superato da un nuovo prodotto che utilizza materiali innovativi,
magari più leggeri e più resistenti, oppure, semplicemente, una tuta per il
tempo libero può non essere più al passo con la moda. Questi ed altri
prodotti possono non risultare adatti per certi paesi, soprattutto per quelli
sviluppati, con un reddito pro-capite alto, dove la gente è interessata a tutto
ciò che è nuovo, all’avanguardia e di tendenza, i bisogni sono raffinati ed il
grado di utilizzazione dei prodotti è relativamente basso, ma possono essere
“riciclati” in quei paesi dove le condizioni culturali, economiche, politiche e
sociali sono medio-basse, per cui non ha importanza la marca di un prodotto,
il suo livello di moda o innovazione, ma è già un fattore di differenziazione
sociale il semplice fatto di possederlo o, comunque, permette di soddisfare
esigenze importanti da un punto di vista tecnico, come il bisogno di
protezione dagli agenti atmosferici, di agevolazione del passo, ecc.
In tal modo si potranno sia vendere semplicemente in tali paesi le giacenze
di prodotti delle aziende, sia utilizzare fattori produttivi che non abbiano
esaurito la loro utilità per creare appositamente prodotti (che da noi
sarebbero obsoleti) destinati a quel mercato, eventualmente apportando
modifiche per soddisfare particolare esigenze di certe regioni. Ciò
consentirebbe alle aziende di recuperare costi già sostenuti e non del tutto
ammortizzati, migliorando la redditività e la penetrazione in mercati che
possono divenire interessanti nel medio-lungo periodo. In questi mercati
verranno venduti, quindi, prodotti a prezzi contenuti, ponendo le basi per una
relazione privilegiata tra clienti e fornitori fondata sulla reciproca
conoscenza e fiducia. In tal modo si può fidelizzare la clientela che, nel
momento in cui dovesse avere maggior capacità di spesa, sarà propensa ad
acquistare i prodotti delle stesse aziende, anche di livello, e quindi prezzo,
superiori. In questa maniera le aziende si pongono nell’ottica customer
oriented, ossia offrono valore al cliente dove quest’ultimo è in grado di
apprezzarlo ed ha le possibilità economiche per permetterselo.
A questo punto è necessario scegliere dei paesi, o aree strategicamente
rilevanti, dove vendere una determinata categoria o gruppi di prodotti tra
55
loro correlati. Per la selezione dei mercati è fondamentale non solo utilizzare
gli indicatori qualitativi e quantitativi esaminati in precedenza, ma altresì
considerare eventuali connessioni che consentano di ottenere economie (di
scala, di raggio d’azione, di apprendimento). Questo presuppone anche il
giudizio personale di chi scrive, che intende semplicemente suggerire alle
aziende dei possibili mercati alternativi dove esportare i prodotti, mercati
che, in base a valutazioni sia oggettive sia soggettive, potrebbero essere
strategicamente rilevanti. Non vengono presi in considerazione quei paesi
(vedasi paragrafo 1.1) già interessati dalle esportazioni delle aziende del
distretto di Montebelluna, in quanto lo scopo di questa ricerca è quello di
fornire dei possibili mercati di sbocco alternativi. Si ritiene utile ricordare
che le merci qui prese in considerazione per la futura esportazione sono
quelle già prodotte dalle aziende, per le quali si ipotizza di mantenere la
capacità, le condizioni ed i fattori produttivi attuali. L’importanza dei
prodotti in termini di quantitativi di produzione rimane, dunque, quella
attualmente presente all’interno del distretto ed illustrata dal grafico 2.1. E’
opportuno specificare che, come prima metodologia selettiva, verranno presi
in considerazione quei paesi che hanno ottenuto i risultati migliori nelle
Olimpiadi e nei campionati internazionali e mondiali di ciascuna disciplina
sportiva, poiché questo indica particolare interesse del mercato verso un
determinato sport e, di conseguenza, in tale contesto potrebbero esserci
potenziali clienti delle aziende montebellunesi. Verranno fatte, di volta in
volta, le opportune ipotesi in merito ai prodotti da considerare e alla relativa
fascia di prezzo. Una volta selezionato, per ciascuna classe di prodotto, il
gruppo di paesi che potenzialmente potrebbero risultare idonei ad assorbire
la produzione montebellunese, verranno confrontati gli indicatori quantitativi
e qualitativi precedentemente esposti di ciascun Paese, con lo scopo di
scegliere quei mercati che presentano maggior potenziale e,
successivamente, approfondire l’analisi di questi ultimi nella seconda fase
della ricerca.
56
Grafico 2.1
2002)
La produzione del distretto differenziata per prodotto (anno
10.000.000
8.000.000
6.000.000
4.000.000
2.000.000
k
ni
s
Te
n
ar
d
em
ar
Te
l
Sc
i
Bo
ow
Sn
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al
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C
C
os
ci
0
o
N. DI ARTICOLI (O PAIA) PRODOTTI
12.000.000
Fonte: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002, modificato.
La prima categoria di prodotti è quella denominata competition. Come
precedentemente detto, vi rientrano i prodotti destinati agli sport agonistici,
come il calcio, lo sci, il ciclismo, il motociclismo, il tennis ed il pattinaggio.
Di conseguenza, gli articoli prodotti dal distretto di Montebelluna che
interessano questo comparto sono: le scarpe da calcio, gli sci, i doposci, gli
articoli per il telemark, le scarpe da ciclismo, gli stivali da moto, le scarpe da
tennis ed i pattini, sia inline, sia da ghiaccio. Questi sport, nella maggior
parte dei casi, richiedono attrezzature di alta qualità ed elevato livello
tecnico, per cui rappresentano un costo per il produttore, ma soprattutto per
l’acquirente che, solitamente, è informato, attento e sofisticato.
Per quanto riguarda il calcio, nel 2002 la produzione delle scarpe delle
aziende del distretto ammonta a 2.436.630 paia40, il 90% delle quali
appartenente alla fascia alta di prezzo (superiore a 60 Euro). Dato che questa
ricerca mira ad esportare le merci già in produzione nel distretto senza
modifiche, si ricercano nuovi paesi dove collocare, appunto, scarpe da calcio
di alta qualità ad un prezzo alto. Sia le popolazioni dell’Africa, soprattutto
della parte settentrionale, sia quelle dell’America Latina sono molto
interessate al gioco del calcio, che viene praticato assiduamente e
considerato sport nazionale.
40
Fonte informativa: Durante A. e V., Rapporto OSEM 2002.
57
A parere di chi scrive, i paesi che potrebbero essere particolarmente
interessanti come mercati di esportazione di tale articolo rientrano in
quest’ultima area e sono il Cile e l’Argentina. Entrambi hanno una lunga
tradizione calcistica, che li ha portati a fregiarsi di due titoli olimpionici
rispettivamente nel 2000 e nel 1996 ai giochi di Sydney ed Atlanta. I due
paesi sono accomunati da altre caratteristiche: entrambi sono paesi in via di
sviluppo e sono geograficamente vicini, ciò risulta vantaggioso per le
aziende dal punto di vista delle economie e sinergie che si possono sfruttare,
ad esempio, nella logistica. Cile ed Argentina godono di un reddito procapite medio-alto, rispettivamente di 4.260 e 4.060 dollari americani, che
permette alla popolazione di acquistare prodotti appartenenti anche alle fasce
di prezzo medio-alte e potrebbero essere, perciò, adatti alla vendita di scarpe
da calcio di alta qualità e ad alto prezzo. Il loro PNL deriva soprattutto dal
settore terziario, fatto che permette di definirli come PVS in fase di
industrializzazione; il livello di indebitamento risulta medio per il Cile ed
alto per l’Argentina. La vicinanza geografica accresce la somiglianza
culturale tra i due paesi, fatto molto rilevante per le aziende, che potrebbero
impostare, per esempio, strategie di marketing comuni, con maggiore
efficacia e notevoli risparmi in termini di costi. Si osserva, inoltre, che il
tasso annuo di crescita della popolazione è lo stesso (1,1%) e le aspettative
di vita medie sono piuttosto alte, pari 75,9 anni per il Cile e 74,3 anni per
l’Argentina. Ciò è accompagnato anche da un tasso di mortalità infantile
abbastanza contenuto (rispettivamente del 10‰ e 16‰) e da un basso tasso
di analfabetismo (del 4% e del 3%), che sottolineano le dignitose condizioni
igenico-sanitarie e l’alto grado di istruzione della popolazione. Per questi
motivi, Cile ed Argentina potrebbero essere i due mercati con maggiore
potenziale per l’esportazione delle scarpe da calcio appartenenti alla fascia di
prezzo più alta.
All’interno della categoria competition troviamo, poi, il comparto sci:
scarponi da sci, doposci e articoli per il telemark. A differenza di questi
ultimi, la cui produzione nel 2002 ammonta a 95.058 articoli, gli scarponi da
sci e i doposci rivestono un ruolo importante per le aziende del distretto, che
in quell’anno ne hanno prodotte rispettivamente 3.307.816 e 3.297.282 paia.
La maggior parte degli scarponi da sci (57% del totale) appartiene alla fascia
medio-bassa di prezzo, che va da 36 a 75 Euro, mentre la maggioranza dei
doposci (35%) rientra nella fascia alta, superiore ai 18 Euro. Di
conseguenza, cercheremo di trovare nuovi mercati di sbocco per queste due
categorie di prodotti.
Due paesi che potrebbero risultare interessanti alle esportazioni future degli
scarponi da sci e dei doposci sono, rispettivamente, la Finlandia e la
Norvegia. Entrambi sono paesi sviluppati, appartenenti all’area dell’Europa
Occidentale. La loro morfologia ed il clima sono favorevoli alle attività
58
sportive invernali, che vengono diffusamente praticate a livello sia
amatoriale sia agonistico. Infatti, nei giochi invernali di Salt Lake City del
1998, entrambi i paesi hanno visto ai primi posti delle classifiche mondiali i
loro campioni. Finlandia e Norvegia presentano un alto reddito pro-capite,
rispettivamente di 23.510 e 37.850 dollari americani annui e, in questi
termini, l’inferiorità del primo Paese rispetto al secondo lo rende, secondo il
nostro punto di vista, più idoneo a ricevere nel proprio mercato gli scarponi
da sci della fascia di prezzo medio-bassa. Alla Norvegia, quindi, saranno
indirizzate le esportazioni di doposci appartenenti alla fascia di prezzo alta.
Questa scelta viene confermata anche dai livelli di PNL: nonostante siano
molto alti per ambedue, quello della Norvegia (171.770 milioni di dollari
americani) è superiore a quello della Finlandia (122.231 milioni di dollari). I
due paesi hanno molti aspetti in comune, a livello sia economico, sia sociale,
infatti, in entrambi il settore più importante dell’economia è il terziario ed il
livello di indebitamento è trascurabile. La vicinanza geografica, come nel
caso delle scarpe da calcio, gioca un ruolo fondamentale per le aziende del
distretto, che potrebbero sfruttare sinergie e strategie comuni. Anche la
cultura, lo stile e la qualità di vita sono i medesimi: sia la Finlandia sia la
Norvegia hanno un tasso molto basso di crescita della popolazione, lunghe
aspettative di vita, un tasso di mortalità infantile basso e un livello di
istruzione molto elevato. Entrambe queste società risultano essere molto
attive economicamente, ben istruite, con condizioni igenico-sanitarie di
altissimo livello; gli sport, soprattutto quelli invernali, vengono praticati
regolarmente non solo come passatempo, ma, come nella maggior parte dei
paesi dell’Europa Occidentale, sono considerati uno strumento utile per la
salute e il mantenimento della forma fisica.
Per quanto riguarda il
ciclismo, il distretto di Montebelluna è specializzato nella produzione delle
scarpe; nel 2002 ne sono state prodotte quasi 500.000 paia, il 79% delle quali
rientrante nella fascia di prezzo media (da 36 a 45 Euro). La Francia, la
Germania, gli Stati Uniti sono molto interessati a questo sport, ma sono già
destinatari delle esportazioni delle aziende montebellunesi, di conseguenza è
necessario trascurarli. Potrebbero essere particolarmente rilevanti come
mercati di sbocco, invece, l’Australia e i Paesi Bassi. L’Australia ha scoperto
di recente la passione per il ciclismo, a livello sia amatoriale sia agonistico,
tanto da ottenere numerosi titoli mondiali alle olimpiadi (ai giochi di Atlanta
e Sydney ben otto atleti australiani hanno conquistato il podio). Nonostante
siano geograficamente lontani (l’Australia appartiene alla regione Oceanica,
mentre i Paesi Bassi a quella dell’Europa Occidentale), questi due paesi
hanno molti punti in comune, più di quanti generalmente si possa pensare.
Entrambi sono paesi sviluppati, con un reddito annuo pro-capite molto alto
(19.740 dollari americani per l’Australia e 23.960 dollari per i Paesi Bassi),
un PNL altrettanto alto e pressoché identico (386.500 milioni di dollari
59
americani circa), un’analoga suddivisione settoriale che vede la
predominanza del terziario (70% circa del PNL) ed, infine, un livello di
indebitamento trascurabile. Australia e Paesi Bassi presentano parecchie
similitudini anche per quanto concerne la situazione sociale: la prima,
nonostante risenta dell’influenza della vicina regione asiatica, presenta uno
stile di vita e una cultura squisitamente occidentali. Ciò è confermato dal
basso tasso di crescita di entrambe le popolazioni, da condizioni sanitarie
molto elevate che portano aspettative di vita piuttosto alte e un basso tasso di
mortalità infantile. La popolazione risulta essere, per entrambi, molto attiva e
ben istruita, i consumatori sofisticati e attenti alla qualità dei prodotti. A
parere di chi scrive, quindi, questi mercati potrebbero essere delle valide
alternative a quelli già esistenti, in quanto economicamente e socialmente
avanzati. I Paesi Bassi presentano indubbi vantaggi dal punto di vista
logistico, l’Australia, d’altro canto, è più lontana, ma il suo crescente
interesse vero gli sport in generale e, in particolare verso il ciclismo, la rende
molto appetibile. Gli australiani, infatti, potrebbero essere definiti come dei
fanatici dello sport; praticarne almeno uno tutti i giorni a qualsiasi età è
ritenuto un fatto essenziale per motivi di salute, ma molto spesso anche per
soli fini estetici. Le possibili difficoltà relative ai trasporti dei prodotti
potrebbero essere, comunque, compensate dalla possibilità di mettere in atto,
per entrambi i paesi, strategie di marketing similari (ed in certi casi
addirittura globali), con notevoli vantaggi per le aziende.
Altro sport rientrante nella categoria competition è il motociclismo,
composto dalle tre specialità di moto GP, enduro e motocross. Nel 2002 il
distretto di Montebelluna ha prodotto circa 1.300.000 paia di stivali da moto,
la maggior parte dei quali rientrante nelle fasce di prezzo media (da 44 a 60
Euro) ed alta (oltre i 60 Euro). Cercheremo, quindi, dei paesi in grado di
assorbire una produzione analoga. La specialità che richiede un
equipaggiamento di alta qualità, in termini sia di meccanica e tecnica, sia di
abbigliamento ed accessori e, di conseguenza, viene associata ad un prezzo
medio-alto, è la moto GP, mentre le altre due discipline necessitano di mezzi
ed attrezzature meno sofisticate e, quindi, anche di prezzo inferiore. Dati i
successi riscontrati soprattutto nel motomondiale ed in vari campionati
mondiali, specialmente in moto GP, due paesi che potrebbero essere
interessanti alle esportazioni di stivali da moto delle aziende del distretto
sono la Finlandia e la Svezia, da anni particolarmente appassionate a questo
sport. Entrambi sono paesi sviluppati, appartenenti all’Europa Occidentale e
limitrofi tra loro. Ciò consentirebbe alle aziende, innanzi tutto, di sfruttare
economie in termini logistici e, dal momento che la Finlandia potrebbe
essere oggetto di interesse anche per le esportazioni di scarponi da sci,
sarebbe possibile studiare sinergie e strategie comuni che portino ad ulteriori
vantaggi. Le caratteristiche della Finlandia sono state, dunque, già esaminate
60
in precedenza e risultano molto simili a quelle della Svezia. In ambedue si
nota un reddito pro capite alto (superiore ai 23.000 dollari americani), indice
di un’alta qualità della vita. Il consumatore è attento, informato e può
permettersi di spendere parte del suo reddito per beni voluttuari, destinati
anche allo sport. Anche il PNL presenta valori molto elevati, in Svezia,
supera i 220.000 milioni di dollari americani e, come per quasi tutti i paesi
sviluppati, questo proviene essenzialmente dal settore terziario. Il livello di
indebitamento è, infine, trascurabile. Dal punto di vista qualitativo, entrambi
manifestano un tasso annuo di crescita della popolazione dello 0,2%, con
lunghe aspettative di vita (78 anni in Finlandia e oltre 80 in Svezia), un
bassissimo tasso di mortalità infantile ed un irrilevante grado di
analfabetismo. Questi dati ci permettono di capire il livello di sviluppo
sociale di entrambi i paesi, i cui abitanti risultano essere molto attivi sotto il
profilo lavorativo ed altamente istruiti. La bassa mortalità e la longevità delle
popolazioni sono favorite da ottime condizioni ambientali e sono
accompagnate da prestazioni igenico-sanitarie molto elevate.
Concludendo, le molte somiglianze economiche, sociali e culturali, nonché
la vicinanza geografica tra la Finlandia e la Svezia, rendono questi mercati
particolarmente attraenti per l’internazionalizzazione degli stivali da moto di
medio ed alto prezzo. Ciò risulterebbe ancor più vantaggioso se le aziende
abbinassero a tale politica anche quella relativa alle esportazioni degli
scarponi da sci precedentemente esaminata e rivolta sempre verso i paesi
nordici.
Anche il tennis rientra nella categoria degli sport competition. Nel distretto
vengono prodotte oltre 1.500.000 paia di scarpe (anno 2002), la maggior
parte delle quali appartenente alla fascia di prezzo media o medio-bassa. Due
paesi che, a nostro parere, potrebbero essere dei possibili mercati di sbocco
per tali articoli sono l’Argentina e l’Australia. Entrambi vantano molti
vincitori negli ultimi campionati mondiali di tennis WTA e ATP ed il loro
interesse verso questa disciplina cresce di anno in anno. Ambedue sono già
stati oggetto di analisi, di conseguenza sono già state delineate le loro
caratteristiche principali, dal punto di vista sia economico, sia sociale e
culturale. L’appartenenza a regioni geografiche diverse e lontane tra loro
sicuramente non è un vantaggio in termini logistici, ma potrebbe essere
conveniente per le aziende, come abbiamo visto in precedenza, sfruttare
delle economie di raggio d’azione41 derivanti dall’esportazione
contemporanea di diversi prodotti nello spesso Paese. Ad esempio, le
41
Le economie di raggio d’azione (o scope economy) “si ottengono quando lo
svolgimento congiunto di più attività procura un incremento di costi meno che
proporzionale rispetto all’aumento di risultato che ne deriva”. Volpato G., La
gestione d’impresa, CEDAM, Padova, 1996, p. 939.
61
aziende potrebbero esportare in Australia sia le scarpe da ciclismo, sia quelle
da tennis, oppure potrebbero destinare all’Argentina contemporaneamente
queste ultime con le scarpe da calcio. Il fatto, quindi, che due paesi siano
territorialmente distanti non esclude a priori il loro interesse come mercati
potenziali per un determinato articolo, in quanto, anche se esistono diversità
economiche e sociali, è possibile sfruttare economie e sinergie tali da
rendere comunque conveniente la politica rivolta all’internazionalizzazione
dei prodotti.
Ultimo sport appartenente alla categoria competition è il pattinaggio. La
produzione di pattini è molto similare (1.443.402 paia nel 2002) a quella
delle scarpe da tennis ed è relativa sia ai pattini da ghiaccio, sia a quelli
inline. Nonostante la produzione dei pattini inline sia superiore a quella dei
pattini da ghiaccio, i primi stanno attraversando un periodo di crisi, con una
riduzione sia in termini quantitativi, sia di valore superiore al 15% rispetto
agli anni precedenti. L’andamento della produzione e delle vendite dei
pattini da ghiaccio, invece, è positivo e registra una leggera crescita rispetto
al 2001. Per questi motivi, si cercheranno mercati di sbocco per quest’ultima
tipologia di pattini, in particolare per quelli rientranti nella fascia di prezzo
media. Dati i risultati particolarmente brillanti che hanno registrato alle
olimpiadi di Salt Lake City nel 2002, la Cina e la Repubblica Democratica
Coreana (anche detta Corea del Sud42) potrebbero essere due paesi
interessanti ai fini di questa ricerca. Entrambi sono paesi in via di sviluppo e
sono geograficamente vicini. La Cina è il Paese più popoloso del mondo,
con un reddito pro-capite medio-basso (940 dollari americani) e con un PNL
piuttosto elevato, pari a 1.209.528 milioni di dollari americani. Il settore più
importante è quello industriale, caratteristica comune a molti paesi in via di
sviluppo, dove il terziario riveste ancora un ruolo marginale. Il grado di
indebitamento è basso. Dal punto di vista sociale, le precarie condizione
igenico-sanitarie contengono il tasso di crescita annuo della popolazione
(0,7%), portando ad una vita media di circa 70-71 anni e ad un tasso di
mortalità infantile molto elevato (31‰). Per quanto riguarda l’istruzione, la
percentuale di analfabeti è ancora piuttosto alta (13,3%) ed il ruolo svolto
dalla donna all’interno della società non è considerato paritario a quello
dell’uomo. La situazione della Corea non si discosta molto da quella della
Cina. Purtroppo, la mancanza di alcuni dati ci permette di fare un’analisi
parziale, ma è possibile, comunque, formulare delle ipotesi. Sotto il profilo
economico la Corea presenta un reddito pro-capite basso, inferiore a quello
della Cina, che non supera i 735 dollari americani annui. Nonostante la
deficienza di alcune informazioni relative al PNL, si suppone che questo
42
Da qui in poi, dove non diversamente specificato, la Repubblica Democratica
Coreana o Corea del Sud verrà chiamata Corea.
62
derivi soprattutto dal settore secondario, data l’importanza che riveste il
settore automobilistico all’interno di tale economia, vantando nomi
prestigiosi come Daewoo e Hunday. Tuttavia, anche il ruolo del settore
terziario sta divenendo sempre più importante all’interno del mercato. Il
Paese risulta essere poco indebitato. Da un punto di vista sociale, la
popolazione coreana presenta lo stesso tasso di crescita annuo di quella
cinese, ma in termini assoluti il numero gli abitanti è molto inferiore e supera
di poco le 22.500 unità. Le aspettative di vita sono medio-basse, di circa 62
anni. Le condizioni igenico-sanitarie sono similari a quelle della Cina e
fanno registrare un tasso di mortalità infantile piuttosto elevato, pari al 42‰.
Lo stesso non può dirsi, però, in merito al livello di istruzione, che risulta
essere molto superiore a quello cinese e, a differenza di quest’ultimo, il tasso
di analfabetismo non dovrebbe superare di molto il 2%.
Da qualche decennio entrambi i paesi manifestano tendenze al
miglioramento e allo sviluppo sotto tutti i punti di vista, la Cina potrebbe
essere particolarmente interessante in quanto è il Paese più popoloso del
mondo, per cui potrebbe essere visto inizialmente come mercato di sbocco
per i pattini, ma poi per tutta una serie di articoli dedicati al turismo,
soprattutto invernale. Basti pensare, infatti, che nel 2000 il numero di turisti
all’interno del Paese era di circa 740 milioni e, secondo indicazioni del
WTO, il settore del turismo cresce di circa il 50% l’anno, di conseguenza, se
oggi gli sciatori cinesi sono poco più di un milione, nel 2020 il loro numero
dovrebbe superare i 20 milioni. La Corea, a sua volta, ha dimostrato un forte
interesse verso gli sport ospitando gli ultimi mondiali di calcio. In un
secondo momento e seguendo una visione strategica di medio-lungo termine,
questi due paesi potrebbero essere visti anche come luoghi ideali dove
delocalizzare le fasi produttive e di assemblaggio dei prodotti
montebellunesi, in quanto vantano costi di manodopera estremamente bassi
ed un’altissima dedizione al lavoro, con orari e condizioni lavorative
completamente diversi da quelli occidentali. Quindi, dati i risultati
olimpionici ottenuti e la crescente importanza degli sport (praticati,
comunque, non da tutta la popolazione, ma da una nicchia) la Cina e la
Corea potrebbero essere viste come due paesi in grado di assorbire la
produzione di pattini del distretto. Data la vicinanza territoriale, culturale e
sociale, potrebbero essere utilizzate strategie comuni con la possibilità di
sfruttare economie e sinergie che aumentino l’efficacia e riducano i costi.
Una volta inserite in tale contesto, le aziende potrebbero, poi, valutare se
altri prodotti, e quali, potrebbero essere ulteriormente esportati in tali
mercati.
La seconda categoria di prodotti è quella denominata street, comprendente
sport quali lo skate, il surf e lo snowboard. Le aziende del distretto
producono esclusivamente scarpe da snowboard, di conseguenza saranno
63
queste ultime l’oggetto della seguente analisi. Nel 2002 sono stati prodotti
circa 500.000 paia di scarponi da snowboard, la maggior parte dei quali
appartenente alla fascia di prezzo alta o medio-alta, motivata dall’alta qualità
e dall’accuratezza tecnica degli stessi articoli. L’acquirente è, generalmente,
sofisticato, competente e attento non solo alla qualità e all’affidabilità
dell’articolo, ma anche alle caratteristiche estetiche. Due paesi che si sono
distinti ai giochi di Nagano del 1998 e di Salt Lake City nel 2002 e che, a
nostro avviso, potrebbero essere interessanti come possibili mercati di
sbocco per tale tipologia di articoli, sono la Svizzera e la Norvegia. Entrambi
sono paesi sviluppati ed appartenenti alla stessa zona geografica. La
Norvegia è già stata oggetto di analisi e proposta come mercato potenziale
per le esportazioni degli sci, di conseguenza, siamo già a conoscenza delle
sue caratteristiche fondamentali. Svizzera e Norvegia presentano molte
somiglianze. Innanzi tutto hanno entrambe un alto reddito pro capite, di
quasi 38.000 dollari americani annui, il che denota una certa possibilità di
spesa non solo per i beni necessari, ma soprattutto per quelli voluttuari,
compresi quelli ad uso sportivo. Ambedue, infatti, sono paesi con un clima
piuttosto rigido e perciò, interessati agli sport invernali, nei quali
primeggiano in diverse discipline. Il PNL della Svizzera è alto e si attesta a
247.157 milioni di dollari americani, particolarmente elevato è il contributo
derivante dal settore terziario (68% del PNL). La popolazione conta oltre
7.000 unità ed il suo tasso di crescita non sembra superare lo 0,5% annuo.
Dal punto di vista sociale e lavorativo è un Paese molto attivo, le condizioni
sanitarie sono di alto livello e supportate esclusivamente da strutture private.
Ciò contribuisce a creare aspettative di vita di circa 80 anni e un basso tasso
di mortalità infantile. Il livello di istruzione è alto e la percentuale di
analfabeti è del tutto trascurabile. Data la propensione per gli sport invernali,
gli ottimi risultati olimpionici ottenuti nello snowboard, le favorevoli
condizioni economiche e sociali, la Svizzera e la Norvegia potrebbero essere
due mercati di sbocco potenzialmente importanti per l’esportazione degli
scarponi da snowboard delle aziende di Montebelluna. Nonostante i due
paesi appartengano alla stessa regione geografica, non sono tra loro
confinanti e, di conseguenza, risulta più difficoltoso pensare ad una strategia
logistica comune. Tuttavia, seguendo le nostre ipotesi, la Norvegia sarebbe
già interessata dalle esportazioni degli sci e, di conseguenza, a queste ultime
potrebbero essere abbinate quelle relative alle scarpe da snowboard. La
Svizzera, invece, non presenta particolari problemi di trasporto, in quanto
Paese confinante con l’Italia. Altre facilitazione potrebbero derivare dalla
cultura e dallo stile di vita che accomunano i due paesi, perciò le attività di
ricerca, sviluppo e marketing potrebbero essere svolte simultaneamente per
entrambi, ciò consentirebbe notevoli risparmi di costi e la possibilità di
64
raggiungere e sfruttare diversi tipi di economie (ad esempio, di raggio
d’azione).
L’analisi delle successive tre categorie risulta essere un po’ più delicata, di
conseguenza si rivela necessario improntare il discorso in modo sistemico.
Per quanto riguarda la categoria wellness, le aziende del distretto producono
essenzialmente scarpe da jogging e running. Nel 2002 tale produzione
ammontava a 623.000 paia circa, appartenenti alla fascia di prezzo media e
medio-bassa. La categoria adventure prevede sport a stretto contatto con la
natura, come le escursioni in montagna o il trekking e, in questo ambito,
spiccano le scarpe da montagna, considerate il best product montebellunese.
Nel 2002 sono state prodotte oltre sette milioni di paia di scarpe, la maggior
parte delle quali appartenenti alla fascia di prezzo bassa. Tuttavia, la
produzione che raggiunge i livelli massimi in termini quantitativi all’interno
del distretto è quella delle scarpe e dell’abbigliamento da città e tempo
libero, rientranti nella categoria luxury, con una produzione di scarpe di oltre
undici milioni di paia (anno 2002).
Dal momento che i suddetti sport non sono delle discipline che prevedono
olimpiadi o campionati di uno certo spessore e non necessitano di particolari
condizioni climatiche o territoriali per essere praticati, risulta molto difficile
stabilire verso quali paesi indirizzare le esportazioni usando i criteri
precedenti. Questa scelta potrebbe essere fatta in maniera del tutto casuale o
sollevando un considerevole numero di ipotesi. Tuttavia, allo scopo di dare
al lettore un quadro sistemico di tale ricerca, riteniamo utile, per le tre
categorie sopra menzionate, non cercare uno o più mercati di sbocco per i
singoli articoli, bensì collocarli in un’ottica strategica di sistema, ossia
considerandoli come un tutt’uno, in modo da trovare mercati alternativi non
a prodotti specifici, e quindi alle relative aziende produttrici, ma allo sport
system di Montebelluna. Per questo motivo, a parere di chi scrive, alcuni
paesi che potrebbero manifestare un certo interesse nei confronti delle
suddette categorie di articoli potrebbero essere la Norvegia, la Finlandia, la
Svizzera e l’Australia. Questi paesi sono accomunati dal fatto di essere tutti
sviluppati, con condizioni economiche e sociali molto alte. Le popolazioni
sono attive, ben istruite, con un reddito pro capite alto ed un altrettanto
elevato PNL, derivante soprattutto dal settore terziario. Questo significa che
i consumatori spendono il loro reddito anche per prodotti non strettamente
necessari, come quelli sportivi, considerati, comunque, estremamente
importanti per il mantenimento della salute e della forma fisica. Sono molto
sofisticati, competenti ed attenti a tutto ciò che fa tendenza, per questo
disposti ad acquistare anche a prezzi alti articoli che li distinguano dagli altri
e che li facciano sentire parte di un certo gruppo. Questa propensione è
molto sentita in Australia, dove ha grande successo il made in Italy e vestire
o indossare capi di abbigliamento o calzature italiane è sinonimo di
65
prestigio, qualità e raffinatezza della persona. Norvegia, Finlandia e
Svizzera, paesi ricchi di foreste e vegetazione, sono il luogo ideale per le
scalate ed il trekking, mentre le attività di jogging e running possono essere
praticate indistintamente in tutti e quattro i paesi. La vicinanza, in certi casi
geografica, ma per tutti culturale e sociale, permetterebbe alle aziende di
studiare strategie comuni ed adottare varie sinergie. Riassumendo, quindi,
Australia, Norvegia, Finlandia e Svizzera potrebbero essere potenziali
mercati di sbocco per le esportazioni dei prodotti appartenenti alle categorie
wellness, adventure e luxury, in quanto economicamente, socialmente e
culturalmente avanzati ma, soprattutto perché già possibili destinatari di altri
prodotti montebellunesi. Questo ha il duplice vantaggio di offrire una visione
sistemica del tutto, senza puntare su un prodotto a discapito di un altro, e di
favorire il distretto di Montebelluna nel suo complesso.
L’ultima categoria proposta è quella dei prodotti superati strategicamente
riproponibili altrove. Come precedentemente detto, questa classe di prodotti
comprende, innanzi tutto, articoli giacenti in magazzino, perché non più
rispondenti agli standard qualitativi e tecnici richiesti dal mercato o in
quanto considerati dal consumatore fuori moda. Possono rientrarvi, inoltre,
quei prodotti costruiti appositamente con materiali, attrezzature e macchinari
non più in uso presso le aziende, di conseguenza si viene a creare un articolo
non vendibile nel mercato interno o in quelli classici di esportazione, ma
adatto per altri paesi con condizioni economiche precarie o instabili, dove il
prodotto è sconosciuto o dove quelle caratteristiche per noi considerate
essenziali sono percepite come accessorie. Di conseguenza, le aziende
potrebbero esportare in nuovi mercati quello che attualmente per noi è
considerato sorpassato sotto vari punti di vista, oppure potrebbero utilizzare
merce giacente in magazzino ed attrezzature obsolete per dar vita a prodotti
appositamente studiati e creati per specifici mercati, con il vantaggio di
ammortizzare costi non completamente assorbiti. In base a quanto detto, i
paesi che verranno di seguito presi in considerazione come possibili mercati
di sbocco sono quelli che potrebbero assorbire gli articoli appartenenti alla
fascia di prezzo bassa. Anche in questo caso, tranne per un paio di eccezioni,
si intende procedere in modo sistemico, cercando di privilegiare l’intero
distretto piuttosto che la singola impresa.
Le due eccezioni sopra menzionate riguardano la Nigeria per le scarpe da
calcio e la Polonia per gli stivali da moto. La Nigeria rientra nella categoria
dei PVS fa parte del continente africano. Sia le condizioni economiche, sia
quelle sociali sono molto precarie. Il reddito pro capite è bassissimo e
raggiunge i 290 dollari americani annui, il PNL supera di poco i 38.000
milioni di dollari e proviene soprattutto dal settore primario e secondario.
Questa Paese è altamente indebitato con l’estero. La Nigeria è di gran lunga
lo stato più popoloso dell’Africa con 132.785 mila abitanti, il tasso di
66
crescita annuo (2,1%) è contenuto dalle pessime condizioni igenico-sanitarie
che comportano un elevatissimo tasso di mortalità infantile (110‰) e
aspettative di vita di circa 45 anni. Il tasso di analfabetismo è molto alto, pari
al 33,2% ed il ruolo svolto dalla donna all’interno della società è nettamente
inferiore a quello dell’uomo. Nonostante queste caratteristiche rivelino un
quadro economico e sociale piuttosto precario, esiste, comunque, una nicchia
di popolazione che si distingue dagli altri. Queste persone vivono in
condizioni dignitose e non fanno parte della categoria di poveri che
comprende la maggioranza della popolazione. La loro capacità di spesa è
superiore al reddito pro capite medio, tanto da potersi permettere il lusso di
praticare delle attività di svago. Lo sport che in assoluto è più praticato in
Nigeria è il calcio. Le squadre nigeriane hanno primeggiato nelle olimpiadi
di Atlanta (1996) dimostrando di avere grande talento e professionalità. Per
questi motivi, per le aziende del distretto, potrebbe essere conveniente
esportare in tale Paese scarpe da calcio non più ai vertici nei nostri mercati,
in quanto una parte della popolazione dimostra interesse nei confronti di tale
disciplina, ma, comunque, ha limitate capacità di spesa.
Come la Nigeria, anche la Polonia potrebbe essere un possibile mercato di
sbocco per gli stivali da moto di basso prezzo e, quindi, medio-bassa qualità.
La Polonia è un PVS appartenente alla regione dell’Europa centro-orientale,
le sue condizioni economiche e sociali sono medie. Il reddito pro capite
rientra nella fascia medio-alta ed è pari a 4.570 dollari americani annui; il
PNL si avvicina ai 180.000 milioni di dollari ed il settore terziario
predomina sugli altri due settori economici. Il Paese risulta poco indebitato.
La popolazione è composta da oltre 38.000 persone ed il suo tasso di crescita
è nullo; le aspettative di vita sono di circa 74 anni ed il tasso di mortalità
infantile è dell’8‰. Il livello di analfabetismo, infine, è prossimo allo zero.
Sulla base di questi dati possiamo dire che la Polonia è un Paese in via di
sviluppo con buone possibilità di crescita, che permettono ad una parte di
popolazione di dedicarsi ad attività sportive, tra le quali spicca il
motociclismo. Nei campionati di tale disciplina gli atleti polacchi hanno
ottenuto ottimi risultati, sia nella specialità enduro sia in quella motocross, e
l’apertura di varie piste da motociclismo conferma l’interesse del Paese
verso questo sport. Di conseguenza, la Polonia potrebbe essere un mercato di
sbocco con un certo potenziale per gli stivali da moto di medio-bassa qualità.
A parte le suddette eccezioni, è possibile considerare gli altri prodotti del
distretto di Montebelluna in un’ottica di sistema, vale a dire selezionando un
unico Paese dove esportare tutti i prodotti dello sport system. Il Paese che, a
nostro avviso, potrebbe essere un valido mercato di sbocco per i prodotti di
basso prezzo è la Federazione Russa (Russia). La Russia è un PVS facente
parte dell’Europa centro orientale. La sua popolazione ha un reddito pro
capite medio-basso, pari a 2.140 dollari americani annui, il PNL è prossimo
67
ai 308.000 milioni di dollari e proviene soprattutto dal settore terziario. Il
livello di indebitamento è medio. Dal punto di vista sociale, la popolazione è
composta da circa 144.000 persone e manifesta un tasso di crescita negativo,
pari a -0,4%; le condizioni igenico-sanitarie risultano spesso precarie, ciò
contribuisce a registrare un tasso di mortalità infantile del 18‰ ed
aspettative di vita di circa 66 anni. Il tasso di analfabetismo si attesta allo
0,4%. E’ da sottolineare, poi, che metà della popolazione vive in condizioni
di assoluta povertà, mentre all’interno del rimanente 50% esistono,
comunque, ceti benestanti. Quest’ultima categoria di persone è quella con
capacità di spesa maggiore e tendenza a praticare sport. La Russia, infatti,
vanta numerosi campioni olimpionici in diverse discipline sportive, dal
tennis (negli ultimi campionati gli atleti russi saliti sul podio sono stati ben
otto) allo sci, dal ciclismo al pattinaggio. Questo dimostra una certa
propensione dei russi verso l’attività sportiva che viene praticata, come
precedentemente detto, solo da parte della popolazione più abbiente che, a
parte una ristretta elite, non è tanto benestante quanto i paesi occidentali. Per
questi motivi, si ritiene che la Russia sia un mercato di sbocco con buone
potenzialità per i prodotti del distretto di medio-bassa qualità e, di
conseguenza, di basso prezzo.
La possibilità per le aziende montebellunesi di esportare diversi prodotti in
un unico Paese permetterebbe loro di sfruttare sinergie, accrescere il livello
di efficienza, ottenere economie e diversi risparmi di costi. Questo, inoltre,
favorirebbe lo sport system ed il made in Italy del distretto di Montebelluna.
2.5
Risultati della selezione
Concludendo, la fine di questo capitolo ci ha portati a selezionare, dai 208
paesi del mondo, un numero ristretto di paesi verso i quali concentrare la
nostra attenzione e la successiva fase della ricerca. I paesi che potrebbero
essere dei potenziali mercati di sbocco per l’attuale produzione delle aziende
del distretto montebellunese sono: l’Argentina, l’Australia, il Cile, la Cina, la
Corea (Repubblica Democratica), la Finlandia, la Nigeria, la Norvegia, i
Paesi Bassi, la Polonia, la Russia (Federazione), la Svezia e la Svizzera43.
Tali mercati vogliono rappresentare una base, un punto di partenza verso il
quale indirizzare i futuri flussi di esportazioni delle aziende. Queste ultime
potrebbero, servendosi dell’ausilio di varie istituzioni, arricchire tale base a
seconda delle proprie caratteristiche aziendali e, per esempio, scoprirsi
interessate non solo ai mercati qui suggeriti, ma anche a quelli limitrofi o a
43
La conclusione della prima fase della ricerca prevedeva la selezione di 20-30
Paesi. Nel nostro caso il numero di paesi selezionati è inferiore, in quanto spesso
uno stesso Paese potrebbe risultare idoneo ed essere mercato di sbocco per diversi
prodotti.
68
quelli che, per varie ragioni (ad esempio tecniche, economiche, logistiche,
ecc.) meglio rispecchiano le necessità e gli obiettivi dell’azienda.
I risultati ottenuti in questo capitolo vengono sintetizzati nella figura 2.2, che
abbina ciascuno sport ai paesi selezionati, e nella tabella 2.6, che rappresenta
le potenzialità di tali mercati in termini di prodotti a loro destinati.
69
Tabella 2.6 Potenzialità dei paesi in termini di prodotti destinati
CAT.
SPORT
PAESI
ARGENTINA
AUSTRALIA
COMPETITION
WELLNESS
ADVENTURE
LUXURY
PROD.
SUPERATI
HH
HH
CILE
H
CINA
H
COREA (REP.DEM)
H
FINLANDIA
STREET
HH
H
H
H
H
H
H
NIGERIA
H
NORVEGIA
H
PAESI BASSI
H
H
H
H
H
POLONIA
H
RUSSIA (FED.)
H
SVEZIA
SVIZZERA
H
H
H
H
H
H
H
H
H
Nel prossimo capitolo verrà affrontata la seconda fase della ricerca, di
conseguenza i suddetti mercati saranno oggetto di analisi specifiche e
dettagliate, allo scopo di selezionare quei 3-4 paesi verso i quali le aziende
del distretto potrebbero indirizzare le esportazioni dei propri articoli nei
prossimi anni.
72
CAPITOLO III
SECONDA FASE DELLA RICERCA:
ANALISI STRATEGICA DEI PAESI
3.1
Introduzione
Al termine della prima fase della ricerca sono stati individuati i paesi che
presentano maggior potenziale e sui quali si ritiene conveniente fare ulteriori
analisi. In questo capitolo, dunque, si intende tracciare un quadro orientativo
dei suddetti mercati, allo scopo di selezionarli ulteriormente, ma anche di
preparare il terreno per un’analisi successiva nel caso in cui si decida di
procedere oltre con la ricerca. Infatti, prima di avviare un programma di
penetrazione commerciale su un mercato estero, le aziende dovrebbero
condurre un’indagine diretta inviando in loco personale specializzato con il
compito di esaminare a fondo le caratteristiche dell’economia locale. A
livello aziendale, come suggerito da Porter44, sarebbe opportuno considerare
non solo il grado di attrattività del Paese (o mercato), ma anche la posizione
competitiva del singolo prodotto, di gruppi di prodotto, di uno o più marchi
o, più in generale, del sistema Italia. Di conseguenza, a causa della difficoltà
nel reperire dati di questo tipo e della soggettività richiesta da questa parte di
indagine, l’analisi strategica dell’offerta dovrebbe essere oggetto di studi di
ogni singola azienda. Noi procederemo rivolgendo la nostra attenzione al
trend della domanda.
Con questo capitolo si mira, perciò, a restringere ulteriormente il numero dei
paesi precedentemente selezionati, utilizzando tecniche di analisi più
raffinate, che consentano di mettere in evidenza le caratteristiche specifiche
dei mercati sui quali si intende entrare.
Prima di procedere si ritiene utile ricordare che vengono prese in
considerazione solamente le imprese che si affidano ad una strategia di
esportazione indiretta, mantenendo la produzione sul territorio nazionale
oppure vendendo all’estero principalmente attraverso intermediari, mentre si
escludono dalla ricerca le aziende che hanno adottato una strategia di
integrazione con i mercati esteri portando su altri paesi la produzione o le
reti di distribuzione. Ciò significa che la nostra analisi di mercato non
44
Per approfondimenti relativi al sistema competitivo aziendale ed al modello della
concorrenza allargata si veda Porter M.E., Il vantaggio competitivo, Edizioni
Comunità, Milano, 1988, capp. 1-2, in particolare, per esaminare lo schema delle
cinque forze che compongono il sistema competitivo aziendale, si confronti
Ibidem, p. 11.
73
includerà gli aspetti relativi alla costituzione di un’impresa (di produzione o
di distribuzione) e tutte le conseguenze che questo comporta.
Nello specifico, si intende procedere analizzando nel dettaglio i singoli
paesi, in particolare verrà esaminata la loro situazione politica, sociale ed
economica e verranno integrate, ove opportuno, le variabili economiche già
osservate nella seconda fase della ricerca, allo scopo di analizzare
l’andamento della domanda potenziale. Lo studio di quest’ultimo aspetto
richiede indagini approfondite che, molto spesso, necessitano della presenza
sul posto di personale specializzato; per questo, noi ci limitiamo a presentare
i dati in nostro possesso. Le componenti della domanda potenziale sono i
consumi pubblici, quelli privati e gli investimenti. A questo livello di analisi,
tali indici non sono sufficienti a rivelare l’andamento della domanda, in
quanto risultano ignote le potenzialità di spesa della popolazione e la
distribuzione dei consumi. Ai nostri fini, questi indici assumono particolare
importanza nel breve termine, in particolare le esportazioni delle aziende
montebellunesi sarebbero favorite dall’alta presenza di consumi privati.
Questi ultimi dipendono anche dal livello di welfare presente nel Paese e,
quindi, dai consumi pubblici che, se di alta qualità, potrebbero coprire buona
parte dei bisogni della popolazione; di conseguenza, i consumi privati
potrebbero essere indirizzati verso beni voluttuari, come gli articoli sportivi.
In certi casi, anche lo stesso concetto di bene voluttuario potrebbe essere
messo in discussione, in quanto per determinate popolazioni o parti di
queste, certi prodotti considerati superflui in un Paese possono avere un alto
livello di utilità ed essere, quindi, indispensabili in un altro. Da qui nasce
l’esigenza di avere maggiori informazioni circa la distribuzione dei consumi
all’interno della popolazione e le potenzialità di spesa. In generale, dunque, è
possibile sostenere che nel breve termine i consumi privati favorirebbero le
esportazioni del distretto, mentre gli investimenti giocherebbero un ruolo
concorrenziale, assorbendo la spesa destinata ai consumi. Nel lungo periodo,
invece, gli investimenti assumono particolare importanza, in quanto
agevolano i consumi privati (basti pensare alla costruzione di impianti
sportivi o agli investimenti in viabilità), aumentando la ricchezza del Paese
e, di conseguenza, indirizzando la spesa verso beni voluttuari.
L’analisi prosegue, poi, considerando le relazioni che il singolo mercato
intrattiene con l’estero, in modo da verificare la presenza di eventuali
ostacoli alle esportazioni delle aziende montebellunesi, esaminando i
rapporti commerciali con l’Italia e valutando il rischio per ciascun Paese.
Dati i fini della presente ricerca si intende trattare analiticamente solamente
le importazioni di ciascun Paese, accennando alle esportazioni nelle tabelle
riassuntive della bilancia commerciale.
L’ordine con cui vengono esaminati i mercati è di tipo alfabetico e non
implica la maggiore o minor importanza di un Paese rispetto ad un altro.
74
3.2
L’Argentina
L’Argentina è un PVS appartenente alla regione dell’America Latina. Per
descriverne un quadro sintetico di base facciamo riferimento alla tabella 3.1
che espone alcuni dati principali, mentre la figura 3.1 mostra la sua
posizione e la descrive geograficamente.
Figura 3.1
L’Argentina: posizione e caratteristiche geografiche
75
Tabella 3.1
Dati di base
Superficie
Popolazione
Densità di popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
2.766.889 kmq
37.928.000 circa
13,0 abitanti/kmq
spagnolo
cattolica (88%)
Peso45
Repubblica Federale
Buenos Aires
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
3.2.1
Situazione politica e sociale
L’Argentina è una Repubblica Federale composta da 23 province, più la città
autonoma di Buenos Aires. Il potere legislativo è esercitato dal Congresso
Nazionale, formato da due camere: la Camera dei Deputati ed il Senato. Il
potere esecutivo spetta al Presidente della Repubblica, che dirige
personalmente e direttamente il Governo e accentra, quindi, le due qualifiche
di Capo dello Stato e di Capo di Governo. Il potere giudiziario della nazione
viene esercitato dalla Magistratura attraverso tribunali di distinto grado e, in
ultima istanza, dalla Corte Suprema.
L’argentina sta attraversando la più grave crisi economica della sua storia.
Ha dichiarato il default esterno e derogato alla Legge di Convertibilità, che
non soltanto fissava la parità peso/dollaro (1 peso = 1 dollaro), ma costituiva
il fondamento della struttura giuridico-contrattuale dell’economia argentina.
Il presidente De la Rua, eletto nel 1999 con mandato fino al 2003, ha
rinunciato alla fine di dicembre 2001 e, al termine di una profonda crisi
politico-istituzionale (sfociata in una successione di cinque presidenti
provvisori nell’arco di meno di due mesi) ha assunto il potere esecutivo
l’attuale governo di Eduardo Duhalde, eletto presidente dall’Assemblea
Legislativa. Tale governo, essendo di transizione e con una legittimità
teoricamente discutibile, presenta due caratteristiche fondamentali: la prima
è che il suo potere di negoziazione di fronte a terzi (locali o stranieri) è
debole per definizione; la seconda, assunta la prima come dato di fatto, è che
il suo programma minimo di gestione dovrebbe solo appianare la strada al
governo che risulterà dalla prossime elezioni tenute per via democratica
normale, tramite suffragio universale. Nonostante la suddetta crisi politica,
dal punto di vista sociale l’Argentina presenta condizione discrete, per
quanto riguarda sia l’andamento della popolazione e le condizioni igenico45
Il Peso ha sostituito l’Austral nel gennaio 1992. Dal gennaio 2002 è stata derogata
la legge di convertibilità. Dal cambio fisso stabilito sin dall’aprile 1991 si è passati
ad un cambio libero. A marzo 2003 1US$ = 3,1000 pesos e 1 Euro = 3,348 pesos.
76
sanitarie, sia il livello di alfabetizzazione e scolarizzazione. Infatti, il recente
sviluppo di un sistema di scuola statale, totalmente gratuito dai 6 ai 14 anni,
ha incrementato il grado di alfabetizzazione della popolazione. I principali
dati socio-politici sono sintetizzati nella tabella sottostante (tabella 3.2).
Tabella 3.2
Principali indicatori socio-politici dell’Argentina
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in % della
popolazione totale
Popolazione attiva in % della
popolazione totale
Spesa pubblica per istruzione % sul
PNL
Tasso di alfabetizzazione (%)
Tasso di scolarizzazione (%):
• Scuola inferiore
• Scuola superiore
• Università
Indice di sviluppo umano46
VALORI
1,1
89,9
ANNO
2002
2000
38,5
1999
3,1
1999
97
2002
100
74
40
0,827 (39°)
1998
1998
1996
1999
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.2.2
Quadro economico e principali variabili
L’Argentina è un Paese ricco di risorse naturali, che gode di vantaggi
comparati nei settori energetico (petrolio e gas), agricolo e agroindustriale.
Recentemente, a questi si è affiancata l’attività mineraria, favorita dalla
deregolamentazione economica, che ha indotto una spettacolare crescita, sia
degli investimenti destinati all’esplorazione ed allo sfruttamento di minerali,
sia della produzione. La base industriale del Paese è rappresentata soprattutto
da grandi gruppi locali e da multinazionali.
Come precedentemente accennato, il 2002 è stato per l’Argentina un anno in
cui la crisi economica, in progressiva espansione dalla seconda metà del
1998, è stata accompagnata da un profondo deterioramento non solo della
situazione sociale, ma anche di quella finanziaria. In un quadro di continua
recessione il sistema finanziario è sottoposto ad una pressione insostenibile:
alle perdite subite inizialmente a causa della pesificazione asimmetrica degli
46
L’indice di sviluppo umano è un indicatore sintetico, elaborato dall’UNDP,
compreso tra 0 e 1. E’ costituito sulla base della media di tre variabili: aspettativa
di vita, grado di scolarizzazione e valore del PIL reale. L’Argentina si colloca ad
un livello di alto sviluppo umano.
77
attivi (prestiti al settore privato) e passivi (depositi), si aggiunge la
persistente fuga di depositi. Tale fenomeno continua a deteriorare i bilanci
delle banche che, non potendo rispondere alla restituzione dei depositi con la
cancellazione di prestiti del settore privato, devono essere assistiti da risconti
della banca Centrale; in queste condizioni diventa, così, impossibile
sostenere un programma monetario consistente e credibile. Oltre a questo, i
rapporti tra Argentina e FMI stanno peggiorando, tanto che quest’ultimo non
intende giungere ad accordi con il Paese in quanto non presenta nessun tipo
di programma economico sostenibile; inoltre, il FMI non riconosce, da parte
dell’attuale governo argentino, sufficiente credibilità e capacità negoziale.
Conseguentemente, un accordo potrebbe venire negoziato soltanto con le
future autorità
Tutto questo ha portato pesanti conseguenze nell’economia argentina. Il
primo fatto da rilevare è la caduta del PIL. Il risultato del 2001, con -3,9% di
riduzione del prodotto reale, ha segnato per il terzo anno consecutivo la
caduta di produzione e riflette l’estensione e la profondità della recessione
dell’economia argentina. L’ulteriore diminuzione del 2002 (-21,5%) esprime
la combinazione tra la continuità del processo recessivo e la devastazione
apportata dalla crisi finanziaria cominciata con la rottura della convertibilità
della valuta nazionale. Un indicatore addizionale dell’entità della recessione
in corso viene dato dal tasso di disoccupazione, in media del 17,3 nel 2001.
Gli indici di povertà hanno segnato un massimo storico, superiore al periodo
dell’iperinflazione della fine degli anni ‘80. Altro dato importante è
l’inflazione, riapparsa dopo una decade di stabilità nei prezzi. Al riguardo,
gli indici dei prezzi per il 2002 mostrano variazioni positive del 70% annuale
per i prezzi al consumatore e del 190% annuale per quelli all’ingrosso.
Nonostante l’importanza assoluta di entrambe le variazioni, esse riflettono
un ridotto trasferimento della svalutazione sui prezzi interni, tenuto conto
che il peso argentino si è deprezzato di circa il 260% fino alla metà del 2002.
Il livello d’inflazione (prezzi al consumatore) ha superato il 30%. Ulteriori
dati economici generali vengono indicati nella tabella sottostante (tabella
3.3).
78
Tabella 3.3
Dati economici fondamentali
Tasso di c. valuta locale per US$
PIL in $ a prezzi correnti (mln)
Variazione annua del PIL reale (%)
Variaz. della prod. industriale (%)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione (%)
Rapporto debito pubblico/PIL (%)
Debito estero totale in $ (mln)
% sul PIL
1998
1,0
298.948
3,9
2,1
0,9
11,8
37,6
141.549
47,3
1999
1,0
283.523
-3,4
-6,6
-1,2
13,0
43,0
145.294
51,2
2000
2001
1,0
1,0
284.204 268.638
-0,8
-4,4
-0,3
-7,6
-0,9
-1,1
14,6
16,4
43,5
49,4
146.172 140.838
51,4
52,4
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.2.3
Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono i consumi e gli investimenti,
entrambi sia pubblici sia privati, ed il loro peso sul PIL del Paese. Per quanto
riguarda l’Argentina, i dati disponibili in merito sono contenuti nella tabella
3.4.
Tabella 3.4
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
•
Consumi privati
•
Consumi pubblici
•
Investimenti
1998
69,1
12,5
19,9
1999
70,1
13,7
18,0
2000
69,3
13,8
16,2
2001
68,8
14,2
14,1
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.2.4
Relazioni con l’estero
L’Argentina è membro dei principali organismi internazionali: ONU, FAO,
IFAD, UNIDO, UNESCO, FMI, BIRS, BID. Ha partecipato attivamente ai
negoziati nell’ambito dell’Uruguay Round del GATT e ha sottoscritto
l’accordo di Marrakesh, con cui ha aderito pienamente agli accordi
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Fa parte, inoltre, di vari
organismi d’integrazione regionale e l’accordo regionale di maggior
importanza è il Mercosur, costituito nel 1991 al fine di pervenire alla
creazione di un’area di libero scambio e all’adozione di una tariffa doganale
comune tra Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, cui si sono
successivamente associati il Cile e la Bolivia. L’apertura commerciale verso
l’estero è uno degli aspetti fondamentali di tale accordo, che prevede la
79
deregualation del commercio estero, con la relativa liberalizzazione delle
importazioni sia attraverso lo smantellamento delle barriere non tariffarie,
sia tramite una riduzione unilaterale dei dazi all’importazione.
La crisi economica e politica sopra menzionata ha portato pesanti
conseguenza per quanto riguarda la bilancia commerciale. Importazioni ed
esportazioni sono drasticamente diminuite. Durante il 2001, le esportazioni
hanno raggiunto un valore totale di 26,7 miliardi di dollari, le importazioni
20,3 miliardi con un saldo della bilancia commerciale che ha raggiunto i 6,4
miliardi. Queste cifre, soprattutto se paragonate a quelle degli anni
precedenti (tabella 3.5), riflettono la difficoltà di recupero delle esportazioni,
dovuta all’assenza del credito estero, ma soprattutto, interno, che inibisce il
recupero dell’attività produttiva e sterilizza il vantaggio nei prezzi implicito
nella svalutazione, di fronte all’impossibilità di aumentare l’impiego di
risorse per mancanza di finanziamento.
Tabella 3.5
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ correnti (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Imp. di beni in $ correnti (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
Esp. di servizi in $ correnti (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Imp. di servizi in $ correnti (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
1998
26.433
8,8
0,0
29.532
9,9
3,4
-3.099
4.618
1,5
4,8
9.127
3,1
3,0
-4.509
1999
23.309
8,2
-11,8
24.103
8,5
-18,4
-794
4.446
1,6
-3,7
8.601
3,0
-5,8
-4.155
2000
26.409
9,3
13,3
23.851
8,4
-1,0
2.558
4.536
1,6
2,0
8.871
3,1
3,1
-4.335
2001
26.612
9,9
0,8
19.194
7,1
-19,5
7.418
4.061
1,5
-10,5
8.201
3,1
-7,6
-4.140
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Per quanto riguarda le importazioni (tabella 3.6), i principali mercati di
approvvigionamento dell’Argentina sono il Brasile e gli USA che, nel 2001
registrano quote di mercato in ascesa (rispettivamente del 26% e del 18%),
nonostante si sia verificato un generale calo delle importazioni argentine. La
Francia ha perduto posizione a favore della Germania, che si colloca al
quarto posto tra i fornitori dell’Argentina e primo tra i paesi europei. A causa
della contrazione del flusso di esportazioni verso questo Paese, registrata per
80
il secondo anno consecutivo, l’Italia ha subito una progressiva riduzione
della propria quota di mercato, posizionandosi, così, al secondo posto tra i
fornitori europei. Al terzo posto troviamo la Cina che, con una quota di
mercato del 4,45%, è l’unico Paese, insieme all’Uruguay, che nel
quadriennio 1997-2000 ha incrementato il flusso esportativo verso
l’Argentina.
Tabella 3.6
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2001
Brasile
Stati Uniti
Cile
Spagna
Cina
Italia (6°)
% del tot.
24
11
10
4
4
3
Paesi fornitori 2001
Brasile
Stati Uniti
Cina
Germania
Italia
% del tot.
26
18
5
5
4
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Negli ultimi anni le importazioni dell’Argentina hanno dimostrato una
dinamica piuttosto contenuta, crescendo di circa 2-3 punti percentuali annui,
a causa della crisi recessiva manifestatasi nel Paese nel 1998. I principali
comparti dell’import argentino sono le macchine e le apparecchiature
meccaniche ed elettriche, i prodotti chimici ed organici ed i combustibili
(tabella 3.7).
Tabella 3.7
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2001
Combustibili
Cereali
Derivati di semi oleosi
Oli vegetali
US$ mln Beni importati 2001
4.728
Macchine
e
app.
meccaniche
2.434
Macchine e app. elettriche
2.621
Prodotti chimici organici
1.654
Combustibili
US$ mln
3.521
2.561
1.319
836
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Nel 2000, l’interscambio commerciale italo-argentino (tabella 3.8) ha
prodotto un saldo favorevole al nostro Paese, che a fronte di esportazioni di
merci per un valore complessivo di 963 milioni di dollari americani, ha
acquistato dal partner sudamericano beni per 732 milioni di dollari. L’attivo
registrato nel 2000 ha, tuttavia, evidenziato una riduzione di oltre il 65%
rispetto all’anno precedente, confermando la perdita di competitività del
81
nostro export sul mercato argentino e la presenza di nuovi protagonisti in
settori di tradizionale sbocco del prodotto italiano.
Riguardo alla composizione dell’interscambio commerciale del 2002
prevale, tra le importazioni dell’Argentina dall’Italia, il comparto macchine,
apparecchi e materiale elettrico e loro parti che ha significato, con 119,4
milioni di Euro (-70,3%) il 38,2% dei beni provenienti dall’Italia, seguito a
distanza dal comparto dei prodotti dell’industria chimica e connessi con
57,49 milioni di Euro (-40,7%) pari al 19,1% degli acquisti nel nostro Paese.
Assumo importanza anche le importazioni metalli e prodotti in metallo.
Le esportazioni dell’Argentina verso l’Italia, invece, riguardano i prodotti
alimentari, bevande e tabacco, prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca,
cuoio e prodotti in cuoio47.
Tabella 3.8
Interscambio commerciale Italia – Argentina
Esportazioni (mln di Euro)
•
variazione annua %
Importazioni (mln di Euro)
•
variazione annua %
Saldo (mln di Euro)
Interscambio (mln di Euro)
•
variazione annua %
1998
1.494
-2,3
716
-2,2
778
2.210
-2,3
1999
1.277
-14,5
761
6,3
516
2.038
-7,8
2000
1.091
-14,5
960
26,1
132
2.051
0,7
2001
911
-16,6
1.005
4,8
-94
1.916
-6,6
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero
dell’Argentina è la regolamentazione delle importazioni. Nel 1989 il
governo argentino ha dato il via alla liberalizzazione delle importazioni con
una riduzione dei dazi e l’abolizione della licenza preventiva per quasi tutti i
prodotti. Attualmente sono soggetti a quote solo gli autoveicoli. Le merci di
importazione sono soggette al pagamento dei seguenti diritti:
•
dazio doganale (ad valorem sul valore CIF per un massimo del
23%);
•
diritto di statistica (0,5% sul valore CIF solo per prodotti extra
Mercosur);
•
diritto specifico (in dollari americani per unità. In alternativa al
dazio ad valorem solo per alcuni prodotti tessili e calzature);
•
IVA (al 21%).
47
Fonte informativa: Business Atlas 2003, a cura delle Camere di Commercio
Italiane all’Estero, Roma, 2003.
82
Esistono dei trattamenti preferenziali per i prodotti provenienti dal Mercosur;
inoltre, alcuni beni importati da Colombia, Ecuador, Messico, Perù,
Venezuela e Cuba usufruiscono di preferenze tariffarie. I prodotti
provenienti dai paesi UE non beneficiano di alcun trattamento preferenziale.
3.2.5
Rischio Paese
Concludiamo l’analisi del mercato argentino valutando il suo grado di
rischiosità, in modo da informare in modo generale le aziende del distretto
circa i potenziali rischi in cui incorrerebbero nel caso in cui decidessero di
intraprendere una politica di penetrazione commerciale verso questo Paese.
L’Argentina è classificata come Paese a rischio molto alto48 ( 7° categoria
su 7) ed il contesto politico è la principale causa di tale condizione, che ha
creato conseguenze disastrose dal punto di vista economico, finanziario e
sociale. La redditività degli investimenti in questo Paese è soggetta ad un
grado di volatilità molto forte, quindi, per compensare tale eccezionale
rischio (o i costi assicurativi che esso comporta) sono necessarie aspettative
di rendimento molto elevate.
Nonostante l’Argentina rappresenti un mercato appetibile per i prodotti delle
aziende dello sport system montebellunese, si ritiene utile sottolineare
l’elevato grado di rischio al quale, attualmente, sarebbero soggetti gli
investitori. Si consiglia, dunque, di pianificare un’eventuale politica
commerciale tenendo fortemente in considerazione i fattori aleatori
precedentemente descritti.
48
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it.
83
3.3
L’Australia
L’Australia è un Paese sviluppato appartenente all’Oceania, la cui posizione
geografica è illustrata nella figura 3.2 e i cui dati fondamentali sono descritti
nella tabella 3.9.
Figura 3.2
L’Australia: posizione e caratteristiche geografiche
Tabella 3.9
Dati di base
Superficie
Popolazione
Densità di popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
7.692.030 kmq
19,581 milioni circa
2,4 abitanti/kmq
inglese
cattolica (27%)
anglicana (22%)
Dollaro Australiano (AUD)
Monarchia Costituzionale
Canberra
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
85
3.3.1
Situazione politica e sociale
L’Australia, con una superficie di oltre 7,6 milioni di kmq ed una
popolazione di oltre 19 milioni di abitanti, è una monarchia costituzionale
facente parte del Commonwealth britannico, ordinata in forma federale.
Capo dello Stato è, quindi, la Regina d’Inghilterra, rappresentata da un
Governatore Generale. La Federazione è composta da sei Stati, ognuno con
un proprio Parlamento e Governatore elettivi (New South Wales, Victoria,
Queensland, South Australia, Western Australia e Tasmania) e da due
Territori (Northern Territory e Australian Capital Territory). Il potere
esecutivo è affidato al Consiglio Esecutivo federale, presieduto dal Primo
Ministro (On. Jonh Howard). Al Parlamento federale, composto da Senato e
Camera dei Pappresentanti, è affidato il potere legislativo.
Attualmente il Governo liberale sta apportando diversi cambiamento alle
abitudini politiche e sociali australiane. Tra i principali obiettivi perseguiti
dal Governo vi sono stati: il programma di privatizzazione dei principali
servizi pubblici esistenti, l’attuazione della riforma fiscale e l’aumento della
competitività aziendale attraverso la concessione di incentivi fiscali alle
piccole aziende, nonché la riduzione del numero dei ministri.
Oltre che politicamente, anche dal punto di vista sociale, l’Australia può
essere definito come un Paese stabile. Il suo grado di istruzione è considerato
piuttosto alto. Il buon livello qualitativo del sistema educativo è una risorsa
fondamentale per garantire l’alto livello di competenze della popolazione
australiana e la sua competitività. I principali dati socio-politici vengono
indicati nella tabella 3.10.
Tabella 3.10
Principali indicatori socio-politici dell’Australia
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in % della popolazione totale
Popolazione attiva in % della popolazione totale
Spesa pubblica per l’istruzione (% PIL)
Spesa pubblica per la sanità (% PIL)
Tasso di scolarizzazione primaria (%)
Tasso di scolarizzazione secondaria (%)
Istruzione universitaria (%)
Indice di sviluppo umano
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
86
VALORI
0,9
84,7
66,9
5,8
8,9
101,0
152,7
79,8
0,929 (4°)
ANNO
2002
2001
2001
2001
2000
1997
1997
1997
2002
3.3.2
Quadro economico e principali variabili
L’importanza del settore agricolo nel contesto economico dell’Australia ha
visto un significativo declino a partire dai primi anni ‘50, infatti, nel biennio
2000-2001 il rapporto sul PIL è stato del 2,7% contro l’80% registrato
mezzo secolo prima. Il ridimensionamento dell’agricoltura è stato bilanciato
da una forte espansione in altri settori dell’economia, in particolare nei
servizi, ed è in parte legato alla bassa crescita nei mercati internazionali di
taluni prodotti agricoli tradizionali. Tuttavia, i prodotti dell’agricoltura e
dell’allevamento costituiscono ancora una delle voci più rilevanti dell’export
australiano in termini quantitativi, in particolare per quanto riguarda lana,
carne, grano e zucchero, ma anche prodotti lattiero-caseari, frutta, cotone,
riso e prodotti floreali. Anche se il territorio australiano si trova a
fronteggiare situazioni climatiche piuttosto difficili per lo sviluppo delle
coltivazioni, la superficie totale occupata da aziende agricole, nel 2000, è
pari a 455,5 milioni di ettari, che rappresentano circa il 59% della superficie
complessiva, di cui il 5% è destinata all’allevamento di bestiame. La terra
arabile è, comunque, limitata al 6% della superficie totale, mentre la terra
irrigata, pari a circa 23.000 kmq, ne rappresenta meno dell’1%. In termini di
produzione, la voce principale è rappresentata dal grano con circa 24,8
milioni di tonnellate prodotte di cui oltre il 70% viene esportato; l’Australia
è uno dei più grandi produttori mondiali di frutta (soprattutto mele, arance e
banane) ed ha assunto notevole importanza la coltivazione della vite,
facendo diventare il Paese un importante produttore di vini. Molto rilevante
è anche la produzione della canna da zucchero, che pone l’Australia tra i più
importanti produttori mondiali. Gli allevamenti di bestiame raggiungono
dimensioni rilevanti, con 120 milioni di ovini, 27 milioni di bovini e circa
2,7 milioni di suini. A tal riguardo va sottolineato che l’Australia è il primo
esportatore mondiale di lana; nel commercio mondiale la quota di mercato
australiana della lana (esportata per quasi il 90% allo stato grezzo) è del 30%
in generale e del 70% nel segmento delle lane fini, con un valore totale di
esportazioni pari a circa 2 miliardi di dollari australiani nel 2000, rispetto a
1,6 miliardi nel 1999.
Il sottosuolo australiano è ricco di minerali ed il Paese si colloca per diversi
tipi di prodotti tra i primi produttori mondiali. Risulta, infatti, come primo
produttore al mondo di bauxite ed alluminio; il terzo produttore di ferro,
zinco e piombo; il quarto di nichel; il quinto di uranio e manganese; il sesto
di argento; il settimo di oro, stagno e lignite; l’ottavo di carbone; il nono di
rame ed amianto. Il carbone, il ferro, l’alluminio sono le risorse
maggiormente esportate dall’Australia; in particolare le esportazioni di
carbone costituiscono per il 9% il valore complessivo delle esportazioni, pari
ad un valore di 8.322 milioni AUD$ nel 1999-00 (di cui 132 milioni AUD$
verso l’Italia). Il Paese dispone, inoltre, di consistenti riserve di petrolio e
87
gas naturale, di uranio e di rilevanti miniere di diamanti e pietre preziose
(soprattutto opali).
Anche se lo sviluppo economico australiano si è basato per molto tempo
sull’esportazione delle sue risorse primarie, il settore manifatturiero
rappresenta un importante comparto dell’economia australiana, costituendo
il 12% del PIL ed impiegando circa il 13% della forza lavoro. In ogni caso,
nonostante significativi incrementi nel valore assoluto della produzione
lorda, il contributo dell’industria manifatturiera al PIL è diminuito negli
ultimi 20 anni da circa il 20% all’attuale 12%. In forte calo anche
l’occupazione nell’industria manifatturiera, diminuita da circa 1.250.000
occupati a circa 1.140.000 nel 2000. Questi risultati, comunque, sono
influenzati dal corrispondente aumento del ricorso da parte delle industrie
australiane all’out-sourcing, che ha trasferito molte attività nel settore dei
servizi. La produzione industriale in alcuni comparti è considerevolmente
aumentata negli ultimi 5 anni. Una forte crescita è stata registrata nella
produzione del legname, della carta e suoi derivati (+14%), nella produzione
di petrolio, carbone, prodotti chimici e derivati (+18%), nella lavorazione dei
metalli (+14%), nella produzione di macchinari ed attrezzature (+15%) ed in
altri settori industriali (+21%). L’unico comparto che ha registrato una
consistente diminuzione negli ultimi 5 anni è il settore del tessile,
abbigliamento e calzature, la cui produzione ha registrato un calo del 18%
circa rispetto al biennio 1990-1991.
Per quanto riguarda il settore dei servizi, questo contribuisce per oltre il 70%
alla formazione del PIL ed assorbe il 64% degli occupati, pari a circa 5,7
milioni di persone. L’alta proporzione (29%) di impiegati part-time è una
caratteristica del settore. In tale ambito, il comparto più significativo, in
termini di occupazione, è costituito dal commercio al dettaglio con
1.324.600 occupati, che rappresentano circa il 15% della forza lavoro. Negli
ultimi 10 anni si è registrato un incremento del 36% nella produzione lorda
di tale settore; in confronto l’industria estrattiva e manifatturiera hanno fatto
registrare rispettivamente aumenti del 35% e 31%, mentre la produzione
lorda agricola, sempre nello stesso periodo, è diminuita dell’1%. Sul totale
delle aziende private operanti in Australia, più del 66% appartiene al settore
terziario.
Negli ultimi anni, l’economia australiana ha registrato tassi di crescita reali
della domanda interna molto consistenti, anche se durante il 2000-2001 tale
trend è stato influenzato dall’introduzione, a luglio 2000, della GST (Goods
and Services Tax) e dall’avvenimento dei Giochi Olimpici. L’andamento
della domanda interna è una conseguenza di elevati consumi privati, di una
forte domanda nel settore dell’edilizia e di rilevanti investimenti da parte
delle imprese, grazie a condizioni monetarie favorevoli ed alla grande
fiducia sia da parte dei consumatori, sia degli operatori economici. Ciò ha
88
reso possibile per l’Australia affrontare nel migliore dei modi la crisi
finanziaria asiatica ed attenuare, così, i suoi effetti sul PIL e sul livello di
occupazione. Infatti, la situazione economica australiana nel biennio 20012002 è decisamente positiva: il PIL calcolato a prezzi correnti è in continua
crescita, tanto che il suo incremento nel 2001 è stato del 1,8% e nel 2002 del
2,4%.
Ulteriori dati economici relativi all’Australia sono contenuti nella tabella
3.11.
Tabella 3.11
Dati economici fondamentali
Tasso di cambio valuta locale in €
Tasso di c. valuta locale per US$
PIL in $ a prezzi correnti (mld)
Variazione annua del PIL reale (%)
Variaz. della prod. industriale (%)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione (%)
Rapporto debito pubblico/PIL (%)
Debito estero totale in $ (mld)
•
% sul PIL
1999
1,652
1,550
391,8
4,5
1,2
1,5
7,0
27,7
142
36,3
2000
1,589
1,725
377,0
2,8
5,4
4,5
6,3
24,2
162
43,0
2001
1,732
1,933
357,4
2,7
1,1
4,4
6,7
21,0
164
45,9
2002
1,738
1,841
398,7
3,8
3,1
3,0
6,3
18,7
179
45,0
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.3.3
Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella seguente
(tabella 3.12).
Tabella 3.12
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
•
Consumi privati
•
Consumi pubblici
•
Investimenti
1997-98
61,9
16,2
21,9
1998-99
59,2
18
22,8
1999-00
59,5
18,4
22,1
2000-01
60,0
22,9
17,1
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Come si può vedere dalla tabella, i consumi privati pesano per circa il 60%
sul totale del PIL australiano, quindi anche piccoli cambiamenti della spesa
privata hanno un significativo impatto sulla crescita economica; il
commercio al dettaglio (escludendo la vendita di autoveicoli) rappresenta
89
circa il 40% del PIL e, nel periodo 2000-2001, è stato influenzato sia
dall’introduzione della GST, sia dai Giochi Olimpici, infatti, in tale periodo
ha registrato un aumento di 7 punti percentuali, per poi riprendere un trend
più lineare e registrare, nel secondo trimestre 2001, un incremento dell’1%
rispetto al trimestre precedente.
La spesa in investimenti fissi lordi, al contrario, ha costituito circa il 17% del
PIL. La quota relativamente bassa di investimenti rispetto ai consumi,
evidenzia il problema strutturale più importante con cui l’Australia si deve
confrontare: il conseguimento di un alto livello di consumi a scapito di
risparmi e investimenti.
3.3.4
Relazioni con l’estero
L’Australia è un paese caratterizzato da un’economia aperta e competitiva,
favorevole alla libertà di movimento dei prodotti, nonché dei profitti,
distinguendosi per un business environment amichevole di matrice
occidentale.
Storicamente l’Australia ha instaurato forti legami con il Regno Unito ed i
paesi del Commonwealth; tuttavia, anche a seguito del ruolo assunto dagli
Stati Uniti nel Pacifico durante la seconda guerra mondiale, si è assistito ad
un notevole sviluppo delle relazioni con tale Paese. Data la sua posizione
geografica, l’Australia ha stipulato un numero crescente di accordi
commerciali bilaterali e multilaterali con i paesi dell’area Asia/Pacifico,
tuttavia, ciò non ha pregiudicato i legami con il Regno Unito e gli altri paesi
europei, che rimangono importanti nel quadro della politica estera
australiana in termini di tradizione culturale, sicurezza, interessi strategici,
investimenti ed accordi di cooperazione commerciale. L’Europa è il più
grande partner economico dell’Australia ed è la seconda più grande
destinazione per i suoi investimenti esteri.
Per quanto riguarda la bilancia commerciale (tabella 3.13 e figura 3.3) si
può constatare che, dopo il crollo delle esportazioni alla fine degli anni
Novanta in seguito all’abbassamento della domanda e dei prezzi, gli
esportatori australiani hanno cercato nuovi mercati nel tentativo di sottrarsi
alla dipendenza nei confronti dell’Asia, favoriti dal deprezzamento del
dollaro australiano. Il trend negativo ha raggiunto il punto di maggiore
debolezza durante il mese di aprile 2001. Tuttavia, gli ultimi indicatori
hanno mostrato un netto miglioramento a partire da luglio. Ciò nonostante,
questa crescita ha subito un rallentamento dopo gli attacchi terroristici agli
USA dell’11 settembre e in seguito al fallimento della compagnia aerea
Ansett Airlines, seconda compagnia aerea nazionale dopo Qantas.
90
Tabella 3.13
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Imp. di beni in $ (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
Esp. di servizi in $ (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Imp. di servizi in $ (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
1997/98
59.984
15,9
9,4
62.386
16,6
15,9
-2.402
17.135
4,5
4,4
17.948
4,8
9,7
-813
1998/99
56.498
14,5
-3,3
64.980
16,7
7,0
-8.842
17.115
4,4
2,6
18.483
4,7
5,8
-1.368
1999/00
61.4569
15,7
8,7
69.609
17,8
7,1
-8.153
17.757
4,5
3,7
18.699
4,7
1,1
-942
2000/01
72.379
18,0
6,3
72.054
17,9
-1,1
343
19.722
4,9
1,4
19.359
4,8
-2,3
363
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Figura 3.3
Import-Export in Australia
Fonte: elaborazione ICE (www.ice.it) su dati Reserve Bank of Australia,
Australian Bureau of Statistics (ABS)
L’apertura commerciale verso l’estero è da considerarsi uno degli aspetti
prioritari di politica estera per il Governo australiano. Da molti anni, infatti,
il Governo ha attuato una politica di deregulation del commercio estero,
orientandosi nettamente verso l’apertura e mettendo in atto la progressiva
riduzione della tassazione doganale sulle importazioni di prodotti in
91
Australia. La distribuzione geografica delle importazioni australiane (tabella
3.14) vede come dominante la posizione degli Stati Uniti, seguita da quella
del Giappone. La Cina sta assumendo un ruolo sempre più importante in
termini di importazioni, tanto che la sua quota è aumentata dal 6,5% del ’99
al 10,1% del 2002, in concomitanza con un incremento nel valore dell’export
da 4,3 a 7 miliardi di dollari. Altri risultati interessanti sono stati prodotti
dall’Indonesia (8,8%), ottavo fornitore con esportazioni pari a 2,3 miliardi di
dollari nel 2002, dal Vietnam (12%), salito al quindicesimo posto con 1,2
miliardi, e dall’Irlanda (10,5%), diciottesima grazie a un valore dell’export
di 843 milioni di dollari. L’Italia, all’undicesimo posto tra i fornitori nel
2002, ha manifestato una modesta capacità di accrescere il proprio peso
relativo sul mercato australiano, aumentando la sua quota dal 2,9% al 3% a
causa di un valore delle esportazioni passato dal 1,87 del 1999 a 2,06
miliardi di dollari del 2002.
Tabella 3.14
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2001
% del tot. Paesi fornitori 2001
% del tot.
Giappone
Stati Uniti
Corea del Sud
Cina
Nuova Zelanda
Italia
19,4
9,7
7,8
6,2
5,9
1,1
18,2
13,0
8,8
5,7
5,3
3,1
Stati Uniti
Giappone
Cina
Germania
Regno Unito
Italia (11°)
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Nel 2002 il valore delle importazioni australiane di merci (tabella 3.15) è
stato di 69,5 miliardi di dollari, con un aumento del 6,2% rispetto ai 65,5
miliardi registrati nel ‘99. e del 14,5% rispetto al 2001. Nel suddetto anno le
importazioni australiane di merci (considerate in termini monetari) si sono
principalmente orientate verso i seguenti comparti merceologici (fra
parentesi il peso sull’import totale):
.3
•
•
•
•
macchine e apparecchi elettrici e di precisione (19,9%);
autoveicoli (12,6%);
macchine e apparecchi meccanici (11,7%);
prodotti chimici e fibre sintetiche e alimentari (11,4%).
92
Tabella 3.15 Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2002
US$ mln Beni importati 2002
US$ mln
Metalli di base
ferrosi
Carbon fossile
non 9.915
6.979
Petrolio greggio e gas 4.668
naturale
Prodotti agricoli
4.421
Carni
3.782
Minerali di ferro
2.845
Autoveicoli
7.215
Macchine per ufficio,
elaboratori,
app.
informatiche
Petrolio greggio e gas
naturale
Aeromobili
e
veicoli
spaziali
Prodotti
farmaceutici,
chimici e botanici per usi
medicinali
Prodotti chimici di base
4.332
3.750
3.146
3.078
2.638
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Negli ultimi anni i rapporti commerciali tra Australia e Italia non hanno
conosciuto uno sviluppo particolarmente marcato, se si eccettua forse il
2002, anno in cui i dati di fonte internazionale (GTI) fissano il valore
dell’interscambio italo-australiano (tabella 3.16) a 3,18 miliardi di dollari
Usa, ossia il 9% in più rispetto al 2001. Nel biennio precedente, invece, la
crescita era stata piuttosto debole (4,9% in tutto), fermandosi
complessivamente a 136 milioni di dollari (da 2,78 a 2,91 miliardi). Va
notato che nel quadriennio 1999-2002 il saldo commerciale bilaterale è stato
costantemente favorevole all’Italia, oscillando tra un minimo di 637 (2001) e
un massimo di 971 (1999) milioni di dollari. Nel 2002 il valore delle
importazioni australiane dall’Italia è stato di 2,06 miliardi di dollari, con un
sensibile aumento rispetto al 2001 (+16,2%), che ha fatto seguito a un
biennio di lieve flessione. Dal 1999 l’incremento complessivo ammonta a
circa 200 milioni di dollari. Nel periodo in esame la struttura delle
importazioni australiane dall’Italia ha subito alcune modifiche, non
particolarmente significative: il peso del comparto meccanico, che da solo
assorbe quasi un terzo dell’import, è cresciuto dell’11,7%, mentre è rimasta
stabile la chimica (-0,7%). E’, invece, variato il peso dell’elettronica (+7,5%)
e dei prodotti alimentari (-9,1%).
Nel 2002 le importazioni australiane dall’Italia si sono principalmente
distribuite nei seguenti comparti merceologici (tra parentesi il peso
percentuale sul totale):
•
macchine ed apparecchi meccanici (30,2%);
•
prodotti chimici e fibre sintetiche e artificiali (12,9%);
93
•
apparecchi elettrici e di precisione (9,1%);
•
prodotti alimentari, bevande, tabacco (7%).
Nello stesso anno, si rileva che le esportazioni australiane in Italia hanno
interessato i prodotti dell’agricoltura, della silvicoltura e della pesca (22,9%
del totale esportazioni), i prodotti delle miniere e delle cave (12,1%), i
metalli e i prodotti in metallo (8,3%) e i prodotti tessili (8,2%).
Tabella 3.16
Interscambio commerciale Italia – Australia
Esportazioni (mln di Euro)
variazione annua %
Importazioni (mln di Euro)
variazione annua %
Saldo (mln di Euro)
Interscambio (mln di Euro)
variazione annua %
1998
1.702,5
7,5
948,8
-25,2
753,7
2.651,4
-7,1
1999
1.943,7
14,2
1.363,5
43,7
580,2
3.307,2
24,7
2000
1.792,1
1,5
1.522,7
11,7
449,5
3.494,8
5,7
2001
2.231,2
13,1
1.309,3
-14,0
921,9
3.540,6
1,3
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Ultimo aspetto interessante relativo al commercio estero australiano è quello
relativo alla regolamentazione degli scambi49. Come membro del WTO, la
normativa australiana in materia doganale prevede la libera importazione di
molti prodotti, per i quali è necessario lo svincolo doganale nel rispetto delle
previste procedure. Le merci dichiarate all’ufficio doganale, ove non godano
di specifiche esenzioni, sono soggette a dazi. Alcune concessioni tariffarie
sono applicate a particolari tipi di merci, a seconda che si tratti o meno di
prodotti sostituibili con altri di produzione interna. In generale, i dazi sono
applicati ad valorem sul valore delle merci importate. Oltre al dazio, le
merci importate sono soggette all’applicazione della GST (Goods and
Services Tax) pari al 10% del valore della merce. Il controllo delle merci in
entrata è molto severo, in quanto è vigente il servizio australiano di
quarantena che ha lo scopo di impedire l’ingresso nel Paese di organismi
nocivi e malattie esotiche, per questo motivo, è consigliabile per le aziende
italiane che vogliono esportare in Australia seguire alcuni accorgimenti
tecnici, per esempio quello di non imballare la merce con della paglia, negli
scatoloni per frutta, ortaggi, carne, uova o sacchetti già usati. E’ opportuno,
inoltre, non utilizzare legname contenete corteggia, materiale proibito in tale
Paese.
49
Fonte informativa: Business Atlas 2003.
94
3.3.5
Rischio Paese
L’Australia è classificata come Paese a rischio molto basso50 (1° categoria su
7). La situazione politica, sociale ed economica è stabile e positiva.
L’impatto sull’economia della peggiore siccità degli ultimi cento anni ed un
possibile rallentamento del mercato immobiliare rappresentano le fonti
principali di rischio in un ambiente altrimenti favorevole agli affari. Il grado
di incertezza circa i rendimenti e gli incassi attesi è minimo.
50
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
95
3.4
Il Cile
Il Cile è un PVS appartenente alla regione dell’America Latina. La sua
struttura geografica è illustrata nella figura 3.4, mentre le caratteristiche
principali sono contenute nella tabella 3.17.
Figura 3.4
Il Cile: posizione e caratteristiche geografiche
97
Tabella 3.17
Superficie
Dati di base
756.626 kmq
Popolazione
15.579.000 circa
Densità di popolazione
20,2 abitanti/kmq
Lingua ufficiale
spagnolo
Religione
cattolica (70%)
Peso cileno51
Unità monetaria
Forma istituzionale
Repubblica Presidenziale
Sede di governo
Santiango del Cile
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
3.4.1
Situazione politica e sociale
Il Cile è una Repubblica Presidenziale. Il Congresso Nazionale (120 membri
della Camera dei Deputati e 47 membri del Senato) e il Presidente della
Repubblica, che riveste anche il ruolo di Capo del Governo, sono eletti a
suffragio universale diretto.
Il Cile è suddiviso in 12 regioni, più il distretto metropolitano (R.M.) di
Santiago. Nel 2001 si sono tenute le ultimi elezioni parlamentari ed il
Presidente, Ricardo Lagos, con l’obiettivo di dare un nuova spinta e
migliorare l’immagine del proprio governo per gli anni che restano al suo
mandato, ha designato 7 nuovi Ministri, avendo cura di mantenere
l’equilibro politico all’interno dei partiti che costituiscono la coalizione di
governo “Concertaciòn”. Il governo di Lagos, oltre a seguire i passi
necessari a migliorare il livello socioeconomico del Paese adottando
politiche economiche e fiscali adeguate, ha dovuto affrontare e limitare
nell’ultimo periodo gli effetti della difficile situazione internazionale ed in
modo particolare quella riguardante i principali paesi dell’America Latina. A
tale proposito ha elaborato in collaborazione con la Sofofa, (omologa della
Confindustria italiana) quella che viene definita “l’Agenda Pro Crescita”.
Frutto di questa collaborazione è il documento contenente strategie relative
ad otto aree tematiche: modifiche dell’attuale legislazione per favorire la
competitività del Paese, politiche relative all’innovazione tecnologica,
ristrutturazione della politica tributaria, del mercato dei capitali e del
mercato del lavoro, ottimizzazione della destinazione della spesa pubblica,
51
Il tasso di cambio aggiornato a marzo 2003 tra Peso Cileno ed Euro è il seguente:
1€ = 799.891 CPL (fonte informativa: Business Atlas 2003).
98
semplificazione delle pratiche amministrative degli enti pubblici ed
incentivazione delle esportazioni.
Dal punto di vista sociale, il Paese si colloca ad un alto livello di sviluppo
umano. Il sistema educativo cileno si caratterizza per un’organizzazione
decentrata nella quale la gestione delle scuole viene realizzata dalle
amministrazioni dei vari quartieri e da privati sotto diretto controllo del
Ministero dell’Istruzione. In questo modo il sistema è costituito da scuole
sovvenzionate, private e da corporazioni, che coprono tutti i livelli di
istruzione, dall’asilo alle scuole superiori (licei, istituti tecnici, ecc). Nel
1998 sul territorio erano presenti 10.621 scuole, delle quali il 59,6%
corrispondeva a scuole comunali e statali, il 28,8% a scuole private
sovvenzionate e il 10,9% a scuole private. Attualmente sono presenti nel
Paese 228 università. Ulteriori dati in merito alla situazione socio-politica
del Cile sono presenti nella tabella 3.18.
Tabella 3.18
Principali indicatori socio-politici del Cile
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in % della popolazione totale
Popolazione attiva in % della popolazione totale
Spesa pubblica per l’istruzione (% PIL)
Tasso di alfabetizzazione (%)
Tasso di scolarizzazione (%)
Scuola inferiore
Scuola superiore
Università
Indice di sviluppo umano
VALORI
1,1
84,6
38,44
2,76
96
ANNO
2002
2000
2001
2001
2002
101,3
74,9
30,3
0,825 (38°)
1996
1996
1996
1999
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
3.4.2
Quadro economico e principali variabili
Il Cile viene definito da molti esperti a livello internazionale, “l’oasi
economica dell’America Latina”, soprattutto alla luce della difficile
situazione che investe i paesi limitrofi: la forte crisi finanziaria
dell’Argentina, l’incertezza sulla situazione brasiliana, l’instabilità politica di
varie nazioni ed i conflitti armati che persistono in Colombia. Il Cile
rappresenta l’eccezione, grazie alle politiche economiche adottate
nell’ultimo ventennio, riconducibili, a grandi linee, alle teorie neo-liberiste e
consistenti principalmente nella riduzione del ruolo dello Stato, nella
privatizzazione delle grandi imprese pubbliche, nella politica di
liberalizzazione e nella spinta del grado di apertura dell’economia.
99
Quest’ultimo aspetto è stato favorito dall’esistenza di una struttura normativa
stabile, semplice e non discriminante, che ha garantito la libertà economica
generando una forte concorrenza interna, da una legislazione tesa a favorire
l’ingresso di capitali dall’estero, dalla sottoscrizione di una lunga serie di
accordi commerciali di libero scambio con diversi paesi e regioni del mondo
ed, infine, da una drastica e progressiva riduzione dei dazi doganali. Un altro
fattore che ha evitato che il Paese soffrisse le conseguenze del difficile
panorama internazionale e soprattutto regionale, è stato la diversificazione
dei mercati di destinazione delle esportazioni, che rappresentano i due terzi
del PIL cileno, attuata attraverso la ripartizione equilibrata fra Europa, Stati
Uniti, Asia e America Latina, allo scopo di ridurre la dipendenza da un solo
blocco commerciale. Tra le altre ragioni di stabilità del Paese si evidenzia,
inoltre, l’adozione di una rigorosa e anticiclica politica fiscale, concentrata a
mantenere elevate le riserve nazionali e a ridurre il debito pubblico limitando
gli investimenti industriale e sociali.
Per quanto riguarda la struttura produttiva, Il Cile è riconosciuto a livello
mondiale come uno dei principali esportatori di frutta, ortaggi e vini, che
costituiscono alcuni dei suoi principali motori di crescita, in particolar modo
i vini godono di fama mondiale per qualità e quantità. Nel 2001, il settore
agricolo, del bestiame (bovini, caprini, suini, ovini, pollame) e silvicolo ha
registrato una crescita del 4,7% rispetto all’anno precedente. Il Cile, oltre ad
essere favorito dal fattore stagionale, ovvero l’opposizione delle stagioni fra
l’Emisfero Sud e Nord, che gli permette di offrire i propri prodotti a paesi
con maggiore consumo durante il loro periodo invernale, gode anche di
ottime condizioni fitosanitarie. I prodotti esportati sono più di 500, tra i quali
primeggiano uva da tavola, kiwi, mele, pere, prugne e albicocche. Stati Uniti
ed Europa consumano il 70% della frutta e verdura esportata. Nel
sottosettore agricolo si evidenziano la produzione di semi e ortaggi, mentre
in quello del bestiame emergono l’allevamento di suini e di pollame. Il
settore della pesca, infine, nel 2001 ha presentato una crescita del 12,1%
rispetto al precedente anno.
All’interno del comparto industriale il settore più importante è senz’altro
quello minerario, che contribuisce con più del 42,6% alle esportazioni cilene.
Il Cile partecipa con il 35% alla produzione mondiale di rame, occupa,
inoltre, il primo posto nella produzione mondiale di nitrati, iodio e litio ed il
quarto posto in quella di borati. La produzione di rame in Cile é cresciuta
ininterrottamente nell’ultimo decennio, infatti, da 1,6 milioni di tonnellate di
rame fino prodotto nel 1990 ha raggiunto i 4,7 milioni nel 2001 (2,8% in più
rispetto al 2000).
Durante il 2001 l’industria manifatturiera ha registrato una flessione dello
0,3% rispetto al 2000. La produzione si è mostrata contenuta, a causa della
minor domanda dei mercati esteri di prodotti di capitale o di consumo
100
durevoli, e per la tendenza delle aziende del settore a ridurre le rimanenze
accumulate nel trascorso del 2000. Fra le voci componenti i beni di
consumo, si evidenzia il buon andamento dei macchinari non elettrici,
generato principalmente da un aumento delle esportazioni verso gli Stati
Uniti. Da menzionare, inoltre, la maggior produzione di vini e liquori
generatasi da una buona raccolta di uva da vino legata ad un aumento della
domanda da parte dell’Inghilterra e di altri paesi europei. La produzione di
mobili ha registrato una diminuzione dovuta alla chiusura di alcuni impianti
per la lavorazione del legno, stesso comportamento si è registrato
nell’attività dell’industria del tabacco e dell’industria dell’abbigliamento. Fra
i beni intermedi si evidenzia il buon andamento dell’attività di raffinazione
del petrolio e di produzione di minerali non metallici, quest’ultima favorita
da un aumento della domanda del settore dell’edilizia. Al contrario, le
tipografie e le aziende cartarie e cartotecniche hanno influito negativamente
sull’andamento dell’industria manifatturiera a causa di un’importante
diminuzione degli acquisti da parte del Brasile. Il settore forestale è uno dei
più dinamici dell’economia nazionale, tanto da partecipare con il 12% al
totale delle esportazioni nazionali. Le principali specie commercializzate
sono il pino radiata e l’eucalipto. La produzione di mezzi di trasporto,
camioncini e automobili ha registrato una flessione dovuta alla diminuzione
delle esportazioni verso il Messico. La diminuzione registrata nella
produzione di macchinari e accessori elettrici è derivata in parte
all’instabilità della situazione economica argentina. Fra i prodotti esportati si
evidenzia la crescita della produzione di carta e derivati dovuta
principalmente all’aumento delle esportazioni di cellulosa verso Cina, Corea
e Taiwan.
Per quanto concerne il settore terziario, l’attività nell’ambito commerciale è
cresciuta del 3%, derivante soprattutto dall’aumento delle vendite di prodotti
agricoli e industriali. Il settore trasporti e telecomunicazioni è aumentato del
5,9% nel 2001; si evidenzia il sostenuto ritmo di crescita del settore delle
telecomunicazioni generato dal servizio di telefonia mobile e dai servizi
telefonici extra urbani ed internazionali. Il trasporto aereo, infine, ha visto
una crescita sotto la media, generata da una flessione registrata nell’ultimo
quadrimestre del 2001 a causa di un importante calo del flusso di passeggeri
dopo gli attentati negli Stati Uniti. Per ulteriori informazioni economiche si
rimanda alla tabella 3.19.
101
Tabella 3.19
Dati economici fondamentali
1998
1999
2000
2001
Tasso di c. valuta locale per US$
460,29
512,81
537,93
636,39
PIL in $ a prezzi correnti (mln)
Variazione annua del PIL reale (%)
73.063
3,9
67.126
-1,1
70.223
5,4
64.215
2,8
Variaz. della prod. industriale (%)
-0,7
-3,4
6,7
2,5
Tasso di inflazione (%)
5,1
3,3
3,8
3,6
Tasso di disoccupazione (%)
6,2
9,7
9,2
9,2
Rapporto debito pubblico/PIL (%)
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Debito estero totale in $ (mln)
36.321
37.762
39.035
39.571
% sul PIL
49,7
56,3
55,6
61,6
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.4.3
Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci consentono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella seguente
(tabella 3.20).
Tabella 3.20
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
1998
65,5
11,2
26,0
1999
64,1
12,0
21,9
2000
63,3
12,2
22,3
2001
61
12,1
22
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.4.4
Relazioni con l’estero
Per quanto riguarda le relazioni economiche internazionali, un Paese con un
mercato interno di ridotte dimensioni come quello cileno ha la necessità di
partecipare attivamente al commercio internazionale con l’obiettivo di
mantenere un sostenuto tasso di crescita, livelli di occupazione, tecnologie
innovative ed una efficace ottimizzazione delle risorse. Esso, pertanto,
intende introdursi nel contesto internazionale in modo ampio e flessibile;
attraverso un inserimento che gli permetta di partecipare attivamente ai
processi d’integrazione regionale e bilaterale e che assicuri un quadro legale
ed economico certo agli esportatori ed importatori cileni.
102
Nell’ambito della regione sudamericana il Cile è uno dei pochi paesi che ha
scelto finora di non formare parte integrante dei grandi blocchi commerciali
esistenti nell’area, caratterizzandosi per una politica estera nota come
regionalismo aperto, che privilegia gli accordi bilaterali con quei partner che
mantengono modelli economici simili a quello in vigore nel Cile.
L’inserimento cileno deve abbinare l’apertura commerciale alla protezione
degli interessi nazionali, senza che questi ultimi agiscano come barriera per
il commercio. Al fine di garantire questo equilibrio nel commercio bilaterale,
il Cile partecipa attivamente al WTO.
Nel 1996, il Cile ha sottoscritto un accordo di cooperazione con l’Unione
Europea e, nel 2002, in occasione del vertice a Madrid tra UE, America
Latina e Carabi, è stato siglato un accordo di associazione che comprende la
creazione di una zona di libero scambio, l’attivazione di un dialogo politico e
un’ampia cooperazione, copre i beni, i servizi, gli investimenti, gli appalti
pubblici, la proprietà intellettuale e le risoluzioni delle controversie.
Nel 2001, il clima recessivo mondiale, generato sia dalla crisi che ha colpito
l’Argentina sia dalla contrazione della economia degli Stati Uniti dopo gli
attentati dell’11 settembre, si è tradotto in una brusca caduta del valore del
commercio estero, tanto nelle importazioni quanto nelle esportazioni. Tale
congiuntura economica negativa, che non si osservava dal 1982, ha colpito
profondamente anche l’economia cilena, essendo una delle economie più
aperte dell’America Latina. La decelerazione mondiale ha avuto
ripercussioni sul Paese attraverso la contrazione della domanda esterna e la
caduta dei prezzi dei beni latino-americani esportati, provocandone la
diminuzione del PIL, dovuta soprattutto al peggioramento della ragione di
scambio tra il Cile e il resto del mondo. Nonostante il panorama appaia
fortemente negativo, il Cile rimane tuttavia un Paese con un’economia
solida, dato dimostrato dal fatto che, nonostante la bilancia commerciale
(tabella 3.21) abbia registrato nel 2001 un surplus di 1.563 milioni di dollari
(confermando la posizione del Cile come paese fortemente esportatore), si
sono registrate variazioni negative sia nelle esportazioni sia nelle
importazioni, rispettivamente del 4% e del 5%. Un fattore determinante
nell’evoluzione degli scambi con l’estero è attribuibile alla diminuzione
dell’11,6% dei prezzi dei beni. Una variazione così negativa del commercio
estero non si registrava dal 1998, anno in cui l’economa cilena ha dovuto
affrontare uno scenario estremamente complesso dovuto agli effetti della
crisi asiatica. Dal 1998 al 2001 il valore complessivo del commercio estero è
passato da 32.178 milioni di dollari a 33.317 milioni, con una crescita del
3%. Risulta, però, importante sottolineare che lo stesso valore ha subito una
brusca variazione negativa nel corso dell’ultimo anno, registrando una
caduta del 4,5% e, quindi, confermando il trend negativo di cui tutte le
economie mondiali stanno soffrendo. In generale, il Cile si presenta nel
103
mercato mondiale come un Paese fortemente orientato al commercio estero
con un grado di apertura commerciale pari al 52%.
Tabella 3.21
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di beni in $ (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
Esp. di servizi in $ (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di servizi in $ (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
1998
14.831
20,3
-11,0
17.347
23,7
-4,8
-2.516
4.122
5,6
0,3
4.236
5,8
4,3
-114
1999
15.616
23,3
5,3
13.952
20,8
-19,6
1.664
3.790
5,6
-8,1
4.106
6,1
-3,1
-316
2000
18.159
25,9
16,3
16.721
23,8
19,8
1.438
3.931
5,6
3,7
4.488
6,4
9,3
-557
2001
17.440
27,2
-4,0
15.877
24,7
-5,0
1.563
4.256
6,6
8,3
4.625
7,2
3,1
-369
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Per quanto concerne le importazioni cilene dal mondo (tabella 3.22), nel
quadriennio 1998-2001 sono diminuite del 2,55%, passando da 15.776,23
milioni di dollari a 14.600,99 milioni. Nel 2001 l’Argentina figura come
principale Paese fornitore con una quota di mercato del 18,68%, superando
gli Stati Uniti che fino all’anno precedente si collocavano al primo posto.
Infatti, nel suddetto periodo, il flusso di importazioni dagli USA è diminuito
dell’11%, determinando un ridimensionamento della quota di mercato del
Paese, scesa dal 23,8% del ‘98 al 18,16% del 2001. A conferma della
crescente importanza del mercato regionale all’interno dell’America Latina,
il Brasile si mantiene al terzo posto con una quota del 9,33%, in crescita in
corso del quadriennio. Anche l’Asia risulta essere un’area di interscambio
rilevante, soprattutto grazie alla Cina, che si afferma nel 2001 come il quarto
fornitore cileno, con una quota di mercato pari al 6,35%. L’Italia ha
considerevolmente perso quota nel suo ruolo di fornitore del Cile,
fermandosi in undicesima posizione con una quota di mercato del 2,75%,
registrando nell’ultimo quadriennio una diminuzione del 14,27%.
104
Tabella 3.22
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2001
% del tot. Paesi fornitori 2001
% del tot.
Stati Uniti
Giappone
Regno Unito
Cina
Italia
18,26
12,3
7,0
5,83
4,63
18,68
18,16
9,33
6,35
2,75
Argentina
Stati Uniti
Brasile
Cina
Italia (11°)
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
I principali comparti merceologici dell’import cileno (tabella 3.23)
riguardano gli apparecchi elettrici e di precisione (15,3% sull’import totale),
i prodotti chimici e le fibre sintetiche artificiali (13,8%), le macchine e gli
apparecchi meccanici (13,5%), i prodotti delle miniere e delle cave (13,3%)
e gli autoveicoli (8,9%).
Tabella 3.23
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2001
Rame
US$ mln Beni importati 2001
6.084
Oli di petrolio di minerali
bituminosi, greggi
Uva
627
Autoveicoli da turismo
Cellulosa, carta, cartoni, 518
Gas naturale
editoria e tipografia
Vino con denominazione 454
Apparecchi trasmittenti e
d’origine
ricettori
US$ mln
1.727
338
320
297
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
L’interscambio con l’Italia (tabella 3.24) registra, nel 2001, una bilancia
commerciale favorevole al Cile, con un saldo attivo di 413,57 milioni di
dollari, confermando il costante trend positivo per il Paese sudamericano
osservato nel quadriennio 1998-2001. Il saldo positivo ha raggiunto il
massimo livello con 431,83 milioni di dollari nel 2000, anno che ha segnato
un’inversione di tendenza; infatti nel 2001 si segnala la prima diminuzione,
sebbene contenuta, del quadriennio. I comparti più rilevanti delle
importazioni dall’Italia sono le macchine ed apparecchi meccanici, con un
peso del 43,19% sull’import totale dal nostro Paese ed una crescita del flusso
nell’ultimo anno pari a 17,4% (173,5 milioni di dollari), i prodotti chimici e
le fibre sintetiche artificiali, che hanno evidenziato un progressivo
incremento dell’import nel corso degli ultimi tre anni attestandosi nel 2001 a
46 milioni di dollari (+16,1% sull’anno precedente) e gli apparecchi elettrici
105
e di precisione, che alimentano un flusso importativo del Cile dal nostro
Paese pari al 11,4%.
I comparti più rilevanti tra le esportazioni verso l’Italia sono, invece, i
metalli ed i prodotti in metallo, la carta, i prodotti di carta, stampa ed editoria
ed i prodotti alimentari, le bevande ed il tabacco.
Tabella 3.24
Interscambio commerciale Italia – Cile
Esportazioni (mln di Euro)
variazione annua %
% su export tot. Italia
Importazioni (mln di Euro)
variazione annua %
% su import tot. Italia
Saldi (mln di Euro)
1998
571,7
3,7
0,3
606,3
32,8
0,3
-34,6
1999
394,05
-31,1
0,2
691,5
14,1
0,3
-29,7
2000
443,6
12,6
0,2
940,8
36,1
0,4
-49,7
2001
417,8
-5,8
0,2
981,3
4,3
0,4
-563,4
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Ultimo aspetto interessante relativo al commercio estero cileno è quello
relativo alla regolamentazione degli scambi. A partire dal primo gennaio
2003 il dazio doganale generale cileno si è ridotto dal 7% al 6%. Inoltre, sui
prodotti importati è obbligatorio pagare l’IVA, pari al 18% del valore CIF
della merce. Esistono, poi, alcune imposte addizionali relative ai prodotti di
lusso, che vanno dal 50% al 60%. Sono in vigore alcune restrizioni alle
importazioni, relative ai pneumatici usati ed ai veicoli motorizzati. Alcuni
prodotti necessitano, infine, di una specifica certificazione per lo sdoganamento
(ad esempio, armi ed esplosivi, alimenti, carne, medicinali, ecc.).
Sebbene il Cile faccia parte del sistema generale di trattamenti preferenziali
fra i paesi in via di sviluppo, i prodotti privilegiati sono pochi e la riduzione
dei dazi scarsa. Più importanti sono i trattamenti preferenziali nel campo
degli accordi commerciali bilaterali, soprattutto quello con il MERCOSUR e
con gli altri paesi dell’America Latina (Bolivia, Colombia, Ecuador,
Venezuela, Perù), oltre a quelli firmati con il Canada, il Messico, e i paesi
dell’America Centrale: Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras e
Nicaragua ed al recente Accordo di Associazione con l’Unione Europea.
3.4.5
Rischio Paese
Il Cile è considerato un Paese a basso rischio (2a categoria su 7). Il grado di
incertezza commerciale associato a ritorni di investimento è basso e l’attuale
possibile fattore di rischio per il Paese è di tipo politico, derivante da un
106
fenomeno di corruzione in ambito governativo. Tuttavia, questo non
dovrebbe deteriorare la fiducia dell’opinione pubblica nei politici cileni.
Infatti, l’indice di gradimento del Presidente Ricardo Lagos dopo due anni di
governo è pari al 50%.
107
3.5
La Cina
La Cina è un Paese in via di sviluppo appartenente alla regione dell’Asia. Le
sue caratteristiche fisiche sono illustrate nella figura 3.5, mentre i principali
dati economici sono contenuti nella tabella 3.25.
Figura 3.5
La Cina: posizione e caratteristiche geografiche
Tabella 3.25 Dati di base
Superficie
Popolazione
Densità di popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
9.600.000 kmq
1.280.975 circa
128.8 abitanti/kmq
Putonghua (cinese mandarino)
nessuna religione ufficiale
Yuan/RenMinBi (CNY)52
Repubblica Socialista
Pechino
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
52
Lo Yuan è detto anche RenMinBi, cioè moneta del popolo. Il tasso di cambio a
marzo 2003 è pari a: 1 US$ = 8,28 RMB e 1Euro = 8,94322 RMB.
109
3.5.1
Situazione politica e sociale
La Cina, denominata Repubblica Popolare Cinese (RPC), è suddivisa in 31
unità amministrative, distinte in province (22), regioni amministrative
speciali (5) e municipalità (4). Il potere legislativo è affidato all’Assemblea
Popolare Nazionale che, a sua volta, nomina al suo interno il Comitato
Permanente. Quest’ultimo ha la funzione di esercitare i poteri tipici
dell’Assemblea quando questa non è riunita in sessione. Infine, il comitato
nomina il Presidente della Repubblica, il Primo Ministro ed il Governo.
Con oltre un miliardo di abitanti ed una grande varietà di risorse, la Cina è
destinata a pesare sempre più sugli equilibri mondiali. Nel secondo
dopoguerra essa ha puntato su una mobilitazione programmata delle proprie
risorse umane e naturali in condizioni di relativo isolamento ed ispirandosi al
modello economico socialista. Si sono registrati notevoli progressi nel grado
di istruzione, si è rafforzata l’autorità dello Stato, è aumentata la produzione
alimentare e la dotazione dei servizi essenziali, tutto ciò, però, ha comportato
pesanti limitazioni alle libertà personali della popolazione. Infatti, per ridurre
l’attuale tasso di crescita della popolazione vengono diffusi molti sistemi di
contraccezione. Per scoraggiare i matrimoni non viene concessa una casa
alle nuove famiglie, a meno che il marito non abbia compiuto 30 anni e la
moglie 25; viene, poi, considerato socialmente scorretto avere più di un
figlio, di conseguenza, le nascite successive alla prima sono sottoposte a una
sorta di autorizzazione da parte degli organi pubblici di pianificazione
famigliare.
Lo sviluppo economico del Paese risulta essere ancora inadeguato, per
questo a partire dagli anni ‘90, con lo scopo di accelerare il processo di
industrializzazione, si è aperta la strada a forme di collaborazione con le
potenze capitaliste, continuando, tuttavia, a reprimere duramente le varie
forme di dissenso interno53. Ulteriori indicatori socio-politici sono contenuti
nella tabella 3.26.
53
Fonte informativa: Cornaglia B., Lavagna E., Geografia del mondo d’oggi,
Zanichelli, Bologna, 1997, p. 114 e segg.
110
Tabella 3.26
Principali indicatori socio-politici della Cina
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in % della popolazione totale
Popolazione attiva in % della popolazione totale
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL
Tasso di alfabetizzazione (%)
Tasso di scolarizzazione (%):
Scuola inferiore
Scuola superiore
Università
Indice di sviluppo umano
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.5.2
VALORI
ANNO
0,7
32,1
57,9
2,3
84
2003
2000
2000
1996
2000
122,7
70,1
6,1
0,701 (98°)
1997
1997
1997
1999
Quadro economico e principali variabili
Nel 1991, il Governo cinese ha accelerato il processo di riforma ed apertura
del Paese e, dal 1993, ha adottato la formula di una “economia socialista di
mercato”. A partire dal XIV Congresso Nazionale del Popolo del 1992, il
Partito Comunista si è impegnato, infatti, a sostenere la crescita di
un’economia socialista di mercato. Nell’ambito delle unità produttive è
possibile, quindi, distinguere tra:
• imprese statali: che operano sotto il controllo dei ministeri e degli organi
amministrativi centrali e nel 2000 hanno originato il 47,3% della
produzione industriale totale;
• imprese collettive: attive per lo più al di fuori dell’organizzazione
centrale, sono spesso poste sotto il controllo di organi amministrativi
locali. Sono simili per struttura alle cooperative e nel 2000 sono state
fonte di circa il 13,9% della produzione industriale totale;
• imprese azionarie: il peso di tali imprese è in forte crescita (11,8% del
totale), anche grazie alle ultime disposizioni normative adottate dal
Governo cinese, che tende a favorire sempre di più lo sviluppo
dell’impresa privata.
Nel corso degli ultimi anni la struttura economica della Repubblica Popolare
Cinese si è fortemente diversificata ed ormai comprende quasi tutti i
principali settori produttivi. Le riforme economico-industriali che sono state
realizzate negli ultimi due decenni hanno avuto come principale obiettivo la
crescita dell’industria leggera, dei servizi e del commercio internazionale. La
crescente importanza di tale industria è testimoniata anche dall’evidente
111
variazione del peso dei singoli settori nella composizione del PIL: in poco
più di venti anni (1980-2002), l’agricoltura è passata dal 30,1% al 14,8%,
mentre il terziario contribuisce oggi per il 34,0%, a fronte del 25% del
passato.
L’agricoltura rappresenta da sempre un settore di importanza strategica, in
quanto la Cina, dotata di circa il 7% della superficie arabile globale, ospita
quasi un quinto della popolazione mondiale. Nel 2000 la crescita della
produzione agricola è stata del 2,8%. Con una superficie coltivata pari a
circa il 10% del territorio, la Cina è uno dei maggiori produttori agricoli
mondiali. Le principali coltivazioni sono: cereali (soprattutto riso, grano e
soia), cotone, canna da zucchero e the; importante è anche l’allevamento di
bestiame (bovini e suini). La Cina è, inoltre, il primo Paese al mondo per
quanto riguarda il settore della pesca. Negli ultimi piani quinquennali è stata
assegnata una notevole attenzione ai problemi di autosufficienza alimentare
e di sviluppo del settore agricolo, con una sempre maggiore apertura verso
l’introduzione di tecnologie innovative e di una riforma del sistema agricolo
tradizionale.
Sebbene molte imprese cinesi stiano soffrendo di eccesso di capacità
produttiva, il settore industriale, che conta per il 51,2% circa nella
formazione del PIL, ha registrato anche nel 2001 una forte crescita, pari al
7,9%, con un incremento dell’1,1% rispetto a quanto registrato nel 2000. Il
valore della produzione ha segnato tassi positivi per tutte le tipologie di
imprese, in particolare per le FFE (Foreign Founded Enterprises, +29,4%).
Ciò conferma che per i nuovi settori economici, le aziende private e le
“public company”, la crescita è molto più dinamica rispetto ai settori
tradizionali e alle imprese statali (+14%), che comunque stanno recuperando
posizioni. Nell’ambito dell’industria manifatturiera, che genera la maggior
parte della produzione industriale, i principali comparti di attività sono
rappresentati da quello degli impianti elettronici e di telecomunicazioni
(8,8% della produzione manifatturiera totale), del tessile ed abbigliamento
(8,7%) e degli alimentari (8,1%). Nel settore industriale è stato realizzato un
passaggio significativo dall’industria pesante, che si concentra soprattutto
nel nord-est e sud-est della Cina, all’industria leggera, con produzioni
destinate sia al mercato interno sia a quello internazionale. Nelle aree
costiere meridionali e soprattutto nelle zone economiche speciali
predominano le industrie leggere (con capitali provenienti in gran parte dai
NIC) produttrici di beni destinati principalmente all’esportazione. I comparti
produttivi principali sono: l’agroalimentare, la farmaceutica, l’elettronica, il
tessile, l’industria mineraria e quella petrolchimica. Nei prossimi anni verrà
riservata particolare attenzione, oltre che all’industria agraria, alle cosiddette
industrie di base (pillar industries) della meccanica, elettronica,
petrolchimica, automobilistica e delle industrie high tech.
112
Lo sviluppo del terziario, che si stima nel 2001 sia cresciuto più velocemente
dell’incremento del PIL reale (8,6%), continuerà anche nei prossimi anni, in
quanto è considerato un settore prioritario, soprattutto per la capacità di
rapida creazione di posti di lavoro che permetterebbe di assorbire la
manodopera in eccesso. Questo settore sta beneficiando, infatti, dello
sviluppo e della trasformazione dell’economia cinese che genera una
domanda crescente di servizi in campo legale, finanziario, commerciale, ecc.
A seguito dell’adesione della Cina al WTO, il Governo ha ribadito la
necessità della graduale apertura del settore dei servizi, in particolare di
quelli finanziari, assicurativi e commerciali.
Ulteriori indicazioni circa l’economia del Paese sono contenute nella tabella
3.27.
Tabella 3.27
Dati economici fondamentali
Tasso di c. valuta locale per US$
PIL in $ a prezzi correnti (mld)
Variazione annua del PIL reale (%)
Variaz. della prod. industriale (%)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione (%)
Rapporto debito pubblico/PIL (%)
Debito estero totale in $ (mln)
% sul PIL
1998
1999
2000
2001
8,279
954
7,8
8,9
-0,8
3,1
n.d.
154.599
16,2
8,278
1.000
7,1
8,1
-1,3
3,1
n.d.
154.223
15,4
8,279
1.081
8
9,6
0,4
3,1
n.d
145.043
13,4
8,277
1.180
7,3
9,5
0,7
3,5
n.d.
139.455
11,8
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.5.3
Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono i consumi, gli investimenti ed il
peso che questi hanno sul PIL del Paese. Per quanto riguarda la Cina, i dati
disponibili in merito sono contenuti nella tabella 3.28
Tabella 3.28
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
1998
46,7
12
35
1999
47,5
12,6
35,6
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
113
2000
48
13,1
36,5
2001
46,7
12,7
37,5
Nel 2001, i consumi delle famiglie hanno registrato un andamento
positivo, rilevando un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. E’,
dunque, ripresa la fiducia dei consumatori in attesa degli effetti delle
ristrutturazioni che stanno avendo luogo nei sistemi di previdenza
sociale, istruzione, sanità ed edilizia pubblica. Infatti, l’abbandono della
politica di welfare assistenzialista aveva indotto le famiglie ad un
atteggiamento di radicata prudenza, nutrita anche dall’incipiente aumento
dei licenziamenti per la ristrutturazione delle aziende statali non più fonti
di profitto. L’aumento dei consumi ha consentito di riconsiderare la
consistenza degli investimenti pubblici, il cui mantenimento agli stessi
livelli sarebbe stato possibile solo a prezzo di un alto deficit di bilancio.
Nel 2001 gli investimenti pubblici sono aumentati del 12%, un punto
percentuale in più rispetto al 2000. I 18 miliardi di dollari americani
raccolti attraverso l’emissione di Titoli di Stato (pari al 3% del PIL
nazionale) utilizzati per il finanziamento delle opere pubbliche, hanno
rappresentato solamente il 5% del valore totale degli investimenti cinesi
che, nel 2001, hanno superato il valore di 400 miliardi di dollari USA.
3.5.4
Relazioni con l’estero
Per quanto riguarda il capitolo delle relazioni internazionali, a partire dal
1979, la Cina ha adottato la cosiddetta “politica della porta aperta”, cioè di
progressiva integrazione con le economie del resto del mondo e, in
particolare, con quelle occidentali. Uno degli strumenti cardine di tale
politica è stata l’incentivazione degli investimenti esteri, attraverso la
creazione di un clima favorevole, sia dal punto di vista legislativo, sia delle
infrastrutture. In quest’ottica deve anche essere vista la partecipazione della
R.P.C. a diversi organismi internazionali, come FAO, WTO, IMF, APEC,
ecc. Le linee della collaborazione economico-finanziaria tra l’Italia e la Cina
vengono solitamente definite in sede di Commissione Mista Italo-Cinese,
presieduta dai rispettivi Ministri del Commercio Estero.
La bilancia commerciale (tabella 3.29) registra, nel 1998, una riduzione
dell’interscambio (-0,4%) ed è seguita, nel 1999, da un incremento
dell’11,3%, che ha portato il valore totale delle merci scambiate con il
resto del mondo a 360,6 miliardi di dollari americani. Tale crescita è
continuata, a ritmi ancora più elevati, nel 2000, quando l’interscambio ha
raggiunto il valore complessivo di 474,3 miliardi di dollari (+31,5%
rispetto all’anno precedente). Nel quadriennio 1997-2000 le importazioni
della Cina sono aumentate più delle esportazioni con una conseguente
riduzione dell’avanzo commerciale, sceso dai 40,4 miliardi del 1997 ai
24,1 miliardi del 2000.
114
Tabella 3.29
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di beni in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
Esp. di servizi in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di servizi in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
1998
183.529
19,2
0,5
136.915
14,4
0,3
46.614
23.895
2,5
-2,7
26.672
2,8
-4,6
-2.777
1999
194.716
19,5
6,1
158.734
15,9
15,9
35.982
26.248
2,7
9,8
31.589
3,2
18,4
-5.341
2000
249.131
23
27,9
214.657
19,9
35,2
34.474
30.431
2,8
15,9
36.031
3,3
14,1
-5.600
2001
266.154
22,6
6,8
233.824
19,8
8,9
32.330
28.909
2,4
-5
36.752
3,1
2
-7.842
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Nel quadriennio 1997-2000 le importazioni (tabella 3.30) cinesi dal mondo
sono cresciute con una dinamica del 16,5%, passando dai 142,4 miliardi di
dollari del 1997 ai 225,1 miliardi del 2000. Nel 1999 il valore assoluto delle
importazioni è stato di 165,7 miliardi di dollari USA ed hanno manifestato
un incremento del 18,2% rispetto all’anno precedente. L’alto tasso di cambio
del RenMinBi (RMB) e la progressiva riduzione dell’impatto della crisi
asiatica (con il recupero della capacità industriale ed esportativa dei paesi
dell’Estremo Oriente) sono stati i fattori trainanti di questo risultato
significativo. Nel 2000, l’aumento dei prezzi delle materie prime, ha
provocato un incremento di circa l’82% delle importazioni di petrolio
greggio, metalli grezzi, legno, e carta. In generale, in tale anno il principale
fornitore del Paese è risultato essere il Giappone, con una quota di mercato
(18,4%) in lieve contrazione a causa di una dinamica leggermente inferiore
alla media (12,7%). Al secondo posto si posiziona Taiwan con l’11,3%,
seguito dalla Corea del Sud con una quota mediamente stabile (10,3%)
grazie ad una dinamica in linea con quella generale. Per quanto riguarda i
principali paesi UE, la Germania ha registrato una dinamica superiore alla
media (19%), ed è passata da una quota di mercato del 4,3% del 1997 al
4,6% del 2000, mentre le importazioni dalla Francia sono aumentate ad un
ritmo nettamente inferiore a quello dell’import generale (6,8%), provocando
una erosione della quota di mercato francese scesa sotto il 2%. Anche l’Italia
115
perde quote di mercato passando dall’1,7% del 1997 all’1,4% del 2000, a
causa di una dinamica decisamente inferiore alla media (7,9%).
Tabella 3.30
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2001
Stati Uniti
Hong Kong
Giappone
Corea del Sud
Italia (10°)
%
del Paesi fornitori 2001
tot.
20,4
Giappone
17,4
Taiwan
16,9
Stati Uniti
4,7
Corea del Sud
1,5
Italia (15°)
%
del
tot.
17,6
11,2
10,8
9,6
1,6
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
La composizione merceologica delle importazioni cinesi (tabella 3.31), secondo
dati di fonte locale, vede una netta prevalenza della meccanica strumentale ed il
fenomeno è immediatamente associabile alla necessità di una diffusa e moderna
industrializzazione, da raggiungere attraverso la tecnologia straniera. La voce
più importante dell’import è, infatti, rappresentata da macchine, apparecchi
meccanici, materiale elettrico e loro parti. Ciò a conferma che l’industria cinese
dell’elettronica e dell’informatica è la terza nel mondo per fatturato. Si tratta,
comunque, molto spesso di importazione di semilavorati che vengono utilizzati
in successive fasi di processo e riesportati. La veloce industrializzazione del
Paese sta dando luogo a due importanti fenomeni economici. Il primo vede il
consolidarsi della Cina non soltanto come “economia di trasformazione”, ma
anche come “opificio mondiale”, dove la combinazione della tecnologia
straniera con le sempre migliori capacità manifatturiere del Paese consente
produzioni di qualità accettabile a prezzi sensibilmente contenuti. L’altro
consolidamento riguarda il ruolo di traino delle esportazioni collegate agli
investimenti. Infatti, molto frequentemente, le joint venture acquistano prodotti
che hanno origine nel Paese dell’investitore. Questo fenomeno è nettamente
percepibile nel caso di semilavorati, parti e componenti che sono necessari alla
qualità delle merci prodotte e, dunque, alla crescita delle loro possibilità di
esportazione. Nel quadriennio 1997-2000 le importazioni della Cina dal mondo
sono aumentate passando dai 142,4 miliardi di dollari del 1997 ai 225,1 miliardi
del 2000. I principali comparti merceologici dell’import cinese sono, quindi, gli
apparecchi elettrici di precisione (30% del totale importazioni), i prodotti
chimici e le fibre sintetiche artificiali (14,3%), i metalli ed i prodotti in metallo
(10,08%) e le macchine e gli apparecchi meccanici (10,05%).
Le connotazioni tipiche di un Paese in via di sviluppo ed in rapida
industrializzazione si riflettono anche nella composizione delle esportazioni
116
cinesi, dove risultano maggioritari ancora i prodotti di basso prezzo unitario,
come quelli dell’industria tessile e dei componenti elettronici.
Tabella 3.31
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2001
US$ mld
Macchine ed apparecchi, 84,9
materiale elettrico e loro
parti
Indumenti e accessori di 32,4
abbigliamento
Calzature ghette e oggetti 10,1
simili
Giocattoli, giochi, oggetti 9,1
per divertimento o sport
Beni importati 2001
Macchine ed apparecchi,
materiale elettrico e loro
parti
Combustibili minerali, oli
minerali e prodotti della
loro distillazione
Materie plastiche e lavori
di tali materie
Ghisa, ferro e acciaio
US$ mld
96,5
17,5
15,3
10,9
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
La bilancia commerciale Cina-Italia risulta essere in deficit per la Cina nel
biennio 1996-97, mentre a partire dal 1998 l’andamento si è invertito a suo
favore. Nel 2000, il saldo passivo per il nostro Paese ammontava, quindi, a
circa 724 milioni di dollari. In tale anno l’interscambio tra Italia e Cina
(tabella 3.32) ha raggiunto 6,9 miliardi di dollari americani e questo
rappresenta il valore più alto registrato negli ultimi anni. L’incremento
rispetto all’anno precedente è stato del 23,2%, superiore alla crescita del
15,5% del 1999 e del 3,5% del biennio 1997-98.
Tabella 3.32
Interscambio commerciale Italia – Cina
Esportazioni (mld di Euro)
variazione annua %
in % su export tot. Italia
Importazioni (mld di Euro)
variazione annua %
in % su import tot. Italia
Saldo (mln di Euro)
Interscambio (mld di Euro)
var. assoluta (mld di Euro)
1998
1,84
-17,14
0,8
3,34
11,86
3
778
-2,50
-0,84
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
117
1999
1,83
-0,44
0,8
5,0
15,19
2,4
516
-3,17
-0,66
2000
2,38
29,77
0,9
7,03
40,51
2,7
132
-4,65
-1,48
2001
3,27
37,46
1,2
7,48
6,44
2,9
-94
4,21
-0,44
Nel 2000, il valore delle importazioni della Cina di prodotti ha raggiunto i
3,1 miliardi di dollari USA. Il dato riflette un incremento del 14,9% rispetto
al ‘99. Si tratta di un buon recupero rispetto all’analogo dato del ‘98 (-7%),
ma minore rispetto a quanto fatto registrare nel 1999 (+17,6%), nonché della
media generale dell’import cinese (35,8%). L’Italia ha, comunque,
mantenuto la quarta posizione tra i fornitori europei (la supremazia è della
Germania, seguita a distanza da Francia e Regno Unito). La grande
maggioranza dei prodotti importati dalla Cina è composta da macchinari, che
hanno spesso costituito la base tecnologica dell’industria leggera cinese. A
quest’ultima, in particolare quella tessile e della lavorazione della pelle,
vengono, inoltre, fornite le materie prime ed i semilavorati necessari per i
prodotti finiti. Nel dettaglio, le importazioni del comparto cuoio e prodotti in
cuoio sono diminuite costantemente fino al 1998, ma a partire dal 1999
hanno fatto registrare una netta ripresa consolidatesi nel 2000. In tale anno,
con una crescita del 72,6% hanno raggiunto il valore di 332 milioni di
dollari. Anche se non hanno conseguito ragguardevoli importi monetari, i
beni di consumo italiani stanno affermandosi lentamente anche in Cina. Si
tratta di un fenomeno in via di consolidamento, grazie al riconosciuto
prestigio del made in Italy, al carattere internazionale della città e
all’accresciuto reddito di una parte non marginale della popolazione. Nel
2000, le esportazioni cinesi verso l’Italia hanno continuato a crescere.
L’aumento del 29,8% è stato maggiore sia di quello già ampiamente positivo
del 1999 (+13,7%), nonché di quello generale dell’export cinese (27,8%).
La composizione merceologica delle esportazioni della Cina verso l’Italia è
decisamente più articolata dell’import. I due grandi macrosettori dei beni
strumentali e dei beni di consumo sostanzialmente si equivalgono. I valori
più consistenti sono rilevati per i prodotti della meccanica, dell’elettronica e
dell’industria tessile, per la seta, per i componenti chimici e la pelletteria.
Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero
della Cina è la regolamentazione delle importazioni. Le importazioni della
RPC sono soggette a delle tariffe di importazione con aliquote generali o
minime. Le aliquote più basse, varianti tra il 2% ed il 150%, sono applicate
alle importazioni provenienti dai paesi con cui la Cina ha stipulato degli
accordi di tipo Most Favoured Nation (come con l’Italia), mentre le aliquote
generali, che vanno dall’8% al 180%, vengono applicate alle merci
provenienti da tutti gli altri paesi. Le aliquote vengono fissate dalla
Commissione per le Tariffe Doganali sulla base di una serie notevole di
considerazioni, quali la necessità di alcuni beni per la realizzazione dei piani
statali, la capacità dell’industria nazionale di produrre in quantità sufficienti,
l’ammontare delle forniture, i prezzi medi praticati, ecc.
118
A seguito dell’adesione alla Cina nella WTO, le tariffe doganali sulla
maggioranza dei prodotti subiranno riduzioni costanti e ripetute
privilegiando beni strumentali e materie prime rispetto a beni di consumo.
In aggiunta alle tariffe all’importazione, dal 1 gennaio 1994 è in vigore
l’IVA sulle importazioni.Tale imposta, pari al 13% o al 17% a seconda del
prodotto, viene applicata ad valorem sul prezzo CIF dei prodotti importati, a
cui deve aggiungersi il dazio d’importazione e la tassa sui consumi gravanti
sui prodotti stessi (la tassa sul consumo è in vigore solo per una decina di
beni, tra cui gli alcolici, ed è pari a circa l’8%).
A decorrere dal primo gennaio 1998, sono state applicate nuove agevolazioni
doganali e fiscali, sia alle imprese straniere operanti in Cina sia a quelle
nazionali, per le importazioni di beni capitali ad alto contenuto tecnologico
nel quadro di progetti di investimento nei settori definiti prioritari dal
Governo, quali l’agricoltura, l’energia, i trasporti, la petrolchimica, la
farmaceutica, l’edilizia e l’elettronica. L’obiettivo principale di questa
misura è quello di attrarre un crescente numero di investimenti esteri, con
particolare enfasi sulle importazioni di tecnologie e macchinari avanzati,
così da migliorare la struttura industriale e lo sviluppo tecnologico cinese,
consentendo una maggiore razionalizzazione economica e produttiva, oltre
ad un riequilibrio delle disomogeneità socio-economiche nello sviluppo tra
le regioni centro-occidentali e meridionali costiere del Paese.
Esistono, infine, dei trattamenti preferenziali, infatti, con i paesi con cui la
Cina ha sottoscritto l’accordo The Most Favoured Nation (MFN), tra cui
l’Italia, i dazi all’importazione su tutte le merci sono ridotti rispetto ai
prodotti provenienti da altri paesi.
3.5.5
Rischio Paese
La Cina è classificata con Paese a rischio esiguo (2a categoria su 7). La
prospettiva di rischio globale del Paese sta migliorando grazie ai favorevoli
sviluppi commerciali, macroeconomci e di rischio esterno, tuttavia, esiste la
possibilità che si verifichino delle tensioni a livello sociale, dato l’eccesso di
manodopera, che comporterebbe non solo un aumento della disoccupazione,
ma limiterebbe anche la domanda interna. Inoltre, le incertezze dovute ai
timori circa l’impatto a medio termine dell’ingresso al WTO e il rischio
politico normalmente associato alla Cina incoraggia il risparmio interno
rispetto ai consumi. L’eccesso di offerta per i principali beni di consumo
rappresenta un crescente problema ed è questo è il motivo principale della
recente deflazione dell’indice dei prezzi al consumo.
119
3.6 La Corea del Sud (o Repubblica Democratica
Coreana)
La Corea del Sud (da qui in poi denominata Corea), come la Cina, è un
Paese in via di sviluppo appartenente alla regione asiatica. La figura 3.6 ne
illustra le principali caratteristiche geografiche, mentre la tabella 3.33
contiene i dati fondamentali.
Figura 3.6
La Corea: posizione e caratteristiche geografiche
Tabella 3.33 Dati di base
Superficie
Popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
99.143 kmq
22.519.000 circa
coreano
buddismo
Won (KRW)
Repubblica Presidenziale
Seoul
Fonte informativa: sitodell’ICE: www.ice.it
121
3.6.1
Situazione politica e sociale
La Corea del Sud rappresenta la tredicesima economia mondiale, la terza in
Asia orientale dopo Cina e Giappone, una delle realtà più solide tra i paesi
emergenti. Il Presidente Roh Moo-hyun intende riformare l’economia
coreana per renderla più aperta, competitiva e trasparente. L’obiettivo finale
è quello di raddoppiare il reddito pro capite in dieci anni (da 10 mila a 20
dollari), privilegiando gli aspetti ridistribuitivi e di riequilibrio della struttura
economica nazionale, promovendo lo sviluppo regionale (circa metà del PIL
viene prodotto nella regione di Seoul, dove si concentrano anche i principali
istituti finanziari, le università e centri di ricerca), limitando la posizione
dominante dei grandi conglomerati industriali (i chaebol) e favorendo la
crescita delle piccole e medie aziende.
Per quanto riguarda l’istruzione, tra le giovani generazioni si può parlare di
scolarità pari al 100%. Il sistema scolastico ed universitario è caratterizzato
da due elementi fondamentali: la competizione ed il confucianesimo.
Quest’ultimo disciplina ogni aspetto della vita dei suoi adepti. L’obbedienza
ai superiori, il rispetto delle gerarchie e una vita frugale e moderata sono
concetti insegnati sin da piccoli ed hanno di certo favorito un ambiente
politico ed economico molto rigido come quello coreano. Lo stesso ruolo
che il confucianesimo riserva alle donne, marginale nel campo del lavoro,
ma fondamentale in quello dell’assistenza ai malati, ai figli e agli anziani, ha
rinviato la nascita di un stato sociale avanzato, permettendo al governo di
destinare le risorse alla costituzione di infrastrutture e al sostegno della
produzione. L’importanza dello studio è una componente fondamentale della
cultura moderna coreana; tuttavia, il rispetto dei principi confuciani, basati
sull’imitazione, la ripetizione e l’assimilazione acritica, impedisce nei
ragazzi lo sviluppo della fantasia e dell’inventiva con ripercussioni negative
per il progresso tecnologico del Paese. Gli studenti delle scuole medie,
inferiori e superiori, seguono con regolarità corsi paralleli a quelli ufficiali,
con giornate scolastiche che durano fino a 14 ore. Tale visione estremista
della cultura scolastica ha portato il governo all’emanazione di leggi per
bloccare questa pratica di “lezioni extra”, che oltre a mortificare la vita
quotidiana di tutte le giovani generazioni rappresenta un pesante fardello
finanziario per le famiglie. Il livello, i metodi e i contenuti
dell’insegnamento sono, comunque, piuttosto bassi: in generale chi va a
ricoprire incarichi di alta responsabilità o prestigio (nell’amministrazione
pubblica, nelle aziende, in campo culturale o in quello scientifico) ha sempre
completato i suoi studi all’estero (USA e, di recente, Europa). Solo in questi
ultimi anni il governo ha preso coscienza di tale effetto negativo e sta
cercando di modificare dalle fondamenta i metodi di insegnamento, a
qualsiasi livello. Ulteriori indicatori socio-politici sono contenuti nella
tabella 3.34.
122
Tabella 3.34
Principali indicatori socio-politici della Corea
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in %
popolazione totale
della
Spesa pubblica per sanità % sul PNL
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL
Tasso di analfabetismo (%)
Tasso di scolarizzazione (%):
Università
Indice di sviluppo umano
VALORI
ANNO
0,7
81,9
2003
2000
2,5
3,7
2,2
1998
1997
2000
21,1
0,854 (31°)
1995
2002
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini
2002
3.6.2
Quadro economico e principali variabili
La struttura economica coreana è il risultato dell’interazione di fattori storici,
politici e culturali. Il boom economico è iniziato nel 1961 con il colpo di
stato che ha portato al potere i militari nella figura del generale Park. Prima
di allora la Corea del Sud era tra i paesi più poveri, superata persino dalla
Corea del Nord. Trent’anni di dominazione coloniale giapponese e una
guerra civile avevano ostacolato lo sviluppo di un’efficiente sistema
produttivo. Non potendo nemmeno godere delle risorse del sottosuolo di cui
la Corea del Sud è priva, la politica economica della giunta militare ha
portato alla creazione di un’industria fortemente concentrata e rivolta alle
esportazioni. Le importazioni sono state ridotte al minimo ed è stata
concessa l’autorizzazione solo a quei beni (materie prime, semilavorati e
tecnologia) necessari alla crescita della produzione locale. Nei settori
considerati strategici è stata favorita la nascita di monopoli a carattere
pubblico o privato e sono state fortemente sostenute le esportazioni. Lo Stato
ha assunto anche il controllo del credito e ha garantito salari bassi e pace
sociale. L’appoggio offerto dal generale Park ai monopolisti privati ha finito
col favorire la nascita di enormi gruppi industriali operanti in vari settori,
denominati chaebol. Questi ultimi sono un insieme di aziende controllate da
una stessa famiglia e legate da rapporti economici e finanziari. I chaebol non
hanno, tuttavia, alcun significato in campo giuridico, essendo teoricamente
vietata la costituzione di holding. Ciò li pone al di sopra della legge e tale
posizione ha favorito lo svilupparsi di legami non certo trasparenti col
mondo politico e finanziario. All’inizio, i chaebol si sono interessati
esclusivamente al campo dell’industria leggera, tessile ad esempio, per
123
sfruttare l’abbondante manodopera a basso costo presente nel Paese. Una
volta raggiunto un adeguato livello di accumulazione, essi hanno investito in
modo ingente per la costituzione di una solida industria pesante (acciaio,
cantieristica, elettronica) divenendo l’asse portante dell’economia coreana.
Successivamente, la crisi asiatica del 1997, ha messo in evidenza gli aspetti
negativi di tale gestione: mancanza di trasparenza, un elevato rapporto
debito/capitale (spesso superiore al 400%) ed un legame perverso con le
istituzioni finanziarie. I chaebol sono stati criticati, per la prima volta nella
storia economica del Paese ed hanno dovuto subire una serie di restrizioni da
parte della nuova amministrazione.
Le Olimpiadi del 1988 e le successive elezioni del 1993 hanno portato la
democrazia nel Paese, ciò nonostante la struttura economica è rimasta
invariata. L’inevitabile globalizzazione di un’economia matura, quale quella
coreana, non ha scalfito il modo della Corea di rapportarsi con gli altri, ma
ha aperto notevolmente il Paese, che è entrato a far parte di importanti
organizzazioni internazionali quali il WTO e l’OCSE. Tale fase di
liberalizzazione ha prodotto un periodo di grande espansione tra il 1994 e il
1996 per poi incappare in una grave recessione alla fine del 1997. Solo con
l’avvento, nel 1998, del Presidente Kim Dae Jung, i chaebol, asse portante
dell’industria coreana, sono stati definitivamente messi in discussione ed è
stato favorito l’ingresso di capitale straniero, sia sotto forma di investimenti
diretti, sia di investimenti di portafoglio.
La tumultuosa crescita economica degli ultimi trent’anni ha prodotto
un’incisiva ristrutturazione della struttura produttiva, basata essenzialmente
sul declino del settore agricolo a favore di quello industriale. Se nel 1970,
infatti, l’agricoltura copriva il 23,3% del PIL con un numero di addetti pari
al 52,9% della forza lavoro, nel 2002 la quota del PIL è scesa al 3,9% e il
numero di addetti è sceso all’11%54. La principale coltura è il riso, punto di
forza dell’alimentazione locale con un consumo annuo pro-capite di 136 kg;
ne consegue che il 51% delle aree coltivabili è destinato a tale produzione.
Per anni l’agricoltura aveva permesso di mantenere un elevato grado di
indipendenza alimentare, attualmente la tendenza verso un’alimentazione più
variata e meno legata al riso (occidentalizzazione della dieta coreana) ha reso
necessaria l’importazione di grandi quantità di prodotti agricoli.
Il settore secondario, come precedentemente detto, vede il ruolo
predominante dei chaebol. Grandi gruppi privati, come Hyundai, Samsung,
Daewoo e LG hanno avuto un ruolo decisivo nello sviluppo di alcuni settori
industriali sud-coreani assieme ad alcune grandi aziende pubbliche (Korea
Telecom, POSCO, Korea Heavy Industries, ecc.). I settori in cui si sono
concentrate le attività industriali degli chaebol e delle grandi aziende
54
Dati aggiornati ad ottobre 2003. Fonte informativa: www.ice.it
124
pubbliche negli anni ‘60 e ‘70 sono stati principalmente l’acciaio, la
cantieristica navale, le costruzioni e i grandi lavori all’estero, la
petrolchimica. Poi, negli anni ‘80 e ‘90, il settore automobilistico, degli
elettrodomestici, le telecomunicazioni e la componentistica elettronica. Il
progressivo innalzamento del livello qualitativo dei prodotti e la sostanziale
stabilità dei bassi prezzi hanno reso negli anni le merci sud-coreane sempre
più diffuse, non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e in tutta l’Asia:
marchi come Hyundai, Samsung, Daewoo sono ora familiari e comuni ai
consumatori di tutto il mondo. Oggi la Corea sta perseguendo una
ristrutturazione dell’intero settore che favorisca la nascita della piccola e
media impresa, trascurata per anni dal governo, e porti ad un
ridimensionamento dei chaebol.
Una volta raggiunta la fase di industrializzazione matura, la Corea ha
registrato un lieve declino del settore manifatturiero a vantaggio del terziario
che occupa una quota del PIL pari al 55,1% (2002). Il settore finanziario sta
subendo grandi trasformazioni in questi ultimi anni. In primo luogo, la crisi
asiatica e le drastiche misure di risanamento imposte dal Governo hanno
portato alla chiusura di diversi enti per bancarotta, altri sono stati, invece,
assorbiti da quelli più floridi. Altro settore dei servizi particolarmente
attraente per gli investitori internazionali è quello alberghiero. La
svalutazione dello won e la crisi del mercato immobiliare hanno favorito la
nascita di complessi turistici. La diffusa tendenza alla cementificazione che
si registra in Corea facilita la nascita di alberghi e ristoranti, non solo nelle
grandi città ma anche nelle località turistiche. Ulteriori dati economici
vengono indicati nella tabella sottostante (tabella 3.35).
Tabella 3.35
Dati economici fondamentali
2000
1.043,19
1.130,9
416.789
9,3
17,23
2,26
4,12
19,26
129.856
28,12
Tasso di cambio valuta locale in €
Tasso di c. valuta locale per US$
PIL in $ a prezzi correnti (mld)
Variazione annua del PIL reale (%)
Variaz. della prod. industriale (%)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione (%)
Rapporto debito pubblico/PIL (%)
Debito estero totale in $ (mln)
• % sul PIL
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
125
2001
1.154,83
1290,9
427.934
3,2
1,02
4,07
3,75
16,99
114.896
26,85
2002
1.175,50
1.251
476.417
6,3
7,44
2,76
3,08
12,30
116.731
24,50
3.6.3
Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono i consumi e gli investimenti ed
il loro peso sul PIL del Paese. Per quanto riguarda la Corea, i dati disponibili
sono contenuti nella tabella 3.36.
Tabella 3.36
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
• Consumi privati
• Consumi pubblici
• Investimenti
2000
56,26
10,03
28,19
2001
58,12
10,33
26,88
2002
59,13
10,56
26,69
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Per trent’anni i consumi sono stati considerati in generale superflui e,
comunque, da indirizzare all’interno del Paese, ad esempio, prodotti agricoli
come riso, patate e fagioli avrebbero dovuto garantire l’autosufficienza.
Solamente a metà degli anni ‘90 i consumi hanno cominciato ad assumere
l’andamento e le caratteristiche di un Paese industrializzato, con un
progressivo, seppur lento, miglioramento della percezione da parte dei
consumatori dell’importanza della qualità, del disegno, dell’assistenza postvendita. Nella seconda metà degli anni ‘90 circa il 50% del PIL è stato
destinato ai consumi privati. La crisi asiatica ha però inciso sui consumi che
sono scesi, nel 1998, del 12% non solo per la difficile congiuntura sofferta
dal sistema, ma anche per la necessità di risparmiare e ripristinare una
situazione finanziaria compromessa. Al contrario dei consumi, gli
investimenti sono stati l’elemento trainante dello sviluppo. Nella prima fase
(dal 1962 al 1990) si sono prevalentemente concentrati nei settori poi
diventati portanti della struttura industriale coreana (acciaio, cantieristica
navale, elettronica, automobili, petrolchimico); nella seconda fase (dai primi
anni ‘90) i chaebol (soprattutto Hyundai, Samsung, Daewoo, LG, SK) hanno
cominciato ad investire all’estero, per conquistare in modo solido e duraturo
mercati altrimenti di difficile penetrazione. Tra il 1979 e il 1996 gli
investimenti sono cresciuti ad un tasso medio annuo del 15%. Nell’ultimo
quadriennio l’andamento dei consumi e degli investimenti è stato assai
dinamico: i primi sono passati da 264 milioni di dollari americani del 2000
agli oltre 286 del 2002; l’ammontare totale degli investimenti ha registrato
un andamento altalenante, passando da un picco di 130 miliardi nel 2000 a
115 nel 2001, per poi risalire sino a 127 nel 2000.
126
3.6.4
Relazioni con l’estero
Per quanto riguarda le relazioni internazionali della Corea, questa fa parte
dei principali organismi internazionali, primo fra tutti l’ONU. Il FMI ha
avuto un ruolo decisivo per il superamento della crisi asiatica grazie al
prestito di 58,5 miliardi di dollari, la cui prima tranche è stata restituita dalla
Corea nei primi mesi del 2001, e ad una forte pressione sulle autorità per
riformare drasticamente il Paese. La Corea è entrata nel WTO nel 1995 e
nell’OCSE nel 1996, ingresso simbolico del Paese nel grande mercato
internazionale. Per quanto riguarda i rapporti con i paesi europei, questi sono
stati ulteriormente cementati con il terzo meeting dell’ASEM svoltosi
recentemente a Seul. L’Unione Europea sta, inoltre, dando il proprio
appoggio alla sunshine policy, che mira alla mediazione tra i due paesi.
A livello commerciale, invece, è ancora irrisolta la questione fra UE e Corea
del Sud relativa al settore delle costruzioni navali che potrebbe, in caso di
mancato accordo, portare i due contendenti dinanzi alla WTO. La Corea è,
infine, membro della Banca Asiatica di Sviluppo e dell’APEC (Asia-Pacific
Economic Cooperation). Fino al 1994 la Corea del Sud era un Paese
fortemente protetto, essendo la limitazione delle importazioni un elemento
fondante della politica economica della giunta militare. Durante gli anni ‘80
i mercati occidentali venivano invasi dai prodotti dei grandi conglomerati
coreani. Solo a partire dal 1993 la Corea si è aperta al resto del mondo
accettando la concorrenza straniera nel suo territorio. L’ingresso della Corea
prima nel WTO e poi nell’OCSE rappresenta simbolicamente questo
cambiamento. Questa nuova strategia è risultata ancora più marcata con lo
scoppio della crisi asiatica, che ha costretto il Paese a cercare capitale estero
per risollevarsi. L’elevato grado di apertura commerciale è testimoniato dal
rapporto tra importazioni ed esportazioni sul PIL, pari al 65%; anche il grado
di penetrazione delle importazioni si mantiene su livelli che rafforzano
l’apertura del Paese alla globalizzazione dei mercati (il 31,8% della domanda
interna è soddisfatta dalle importazioni mondiali).
I principali indicatori della bilancia commerciale e di commercio estero
relativi agli anni 2000-2002 sono contenuti nella tabella 3.37.
Tabella 3.37
Principali indicatori di commercio estero
2000
175.782
38,07
21,09
159.181
34,47
Esp. di beni in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di beni in $ correnti (mln)
•
in % del PIL
127
2001
151.371
35,37
-13,89
137.979
32,24
2002
162.554
34,12
7,39
148.374
31,14
•
variazione annua %
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
Esp. di servizi in $ correnti (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Imp. di servizi in $ correnti (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
36,29
16.601
29.700
6,43
11,95
33.674
7,24
13,29
-3.974
-13,32
13.392
29.602
6,92
-0,33
33.128
7,68
-1,62
-3.526
7,53
14.180
28.143
5,91
-4,93
35.603
7,47
8,28
-7.461
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Per quanto riguarda le importazioni della Corea dal mondo (tabella 3.38),
nel quadriennio 1998-2000 sono cresciute con una dinamica media annua del
8,3%, passando dai 119,7 miliardi di dollari americani del 1999 ai 152 del
2002. In tale periodo gli Stati Uniti sono stati superati dal Giappone, che
attualmente è il principale partner commerciale della Corea del Sud, con un
peso del 19,5% sull’import complessivo e una dinamica di crescita del 7,2%.
Gli USA fanno, infatti, registrare una flessione del proprio export in Corea:
22,7 milioni di USD nel 2002 contro i 24,7 del 1999. Particolarmente
significativa la performance della Cina (il Paese ha raddoppiato il valore
dell’export verso la Corea dagli 8,4 milioni di dollari americani del ‘99 a
16,5 del 2002) con una quota, in crescita, del 10,9%; segue l’Arabia Saudita
(4,9% di quota). Nel complesso l’Unione Europea esporta in Corea per un
valore pari a circa il 10% del totale. In particolare, la Germania conferma il
suo ruolo guida con una quota sull’import complessivo della Corea del
3,6%; l’Italia, sia pur rappresentando una quota marginale sull’import
complessivo coreano (1,5%), registra nel quadriennio una dinamica di
crescita di tutto rispetto, pari al 21,5% (2,2 milioni di dollari il valore
dell’export nel 2002 contro 1,2 del ’99), che le consente di sopravanzare la
Francia la quale, pur registrando una dinamica positiva ma inferiore alla
media, vede ridursi la propria quota a meno del 1,4%.
Tabella 3.38
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2002
Stati Uniti
Cina
Giappone
Hong Kong
Italia
% del tot.
20,1
14,6
9,3
6,2
1,3
Paesi fornitori 2002
Giappone
Stati Uniti
Cina
Arabia Saudita
Italia
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
128
% del tot.
19,4
14,9
10,9
4,9
1,5
Nel periodo preso in esame, i principali prodotti dell’import coreano sono gli
apparecchi elettrici di precisione (27,9% nel 2002), i prodotti delle miniere e
delle cave (18,6%), i metalli ed i prodotti in acciaio (9,8%), i prodotti
chimici e le fibre sintetiche artificiali (9,8%). Anche le esportazioni sono
cresciute, passando dai 143 miliardi del 1999 ai 162 del 2002 (tabella 3.39).
Tabella 3.39
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2002
App. elettrici di precisione
US$ mln Beni importati 2002
58.870,65 App.
elettrici
di
precisione
Autoveicoli
17.343,73 Prodotti di miniere e
cave
Prodotti chimici
15.112,84 Metallo e prodotti in
metallo
Macchine e app. meccanici 12.289,28 Prodotti chimici
US$ mln
42.424,04
28.315,67
14.937,53
14.886,56
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
L’interscambio commerciale Italia - Corea (tabella 3.40), in attivo per la
Corea sino al 2001, ha cambiato segno nell’ultimo anno per effetto di un
sostenuto incremento delle importazioni dall’Italia (+27%). La variazione
del 2002 si è manifestata per lo più nei comparti tradizionali del sistema
Italia: macchine e apparecchi meccanici, apparecchi elettrici, cuoio e
prodotti in cuoio, prodotti tessili, prodotti chimici. La dinamica delle
importazioni coreane dall’Italia risulta, pertanto, positiva nell’ultimo
quadriennio (+21,5). Le esportazioni coreane verso l’Italia, invece, hanno
interessato il comparto degli autoveicoli, degli apparecchi elettronici di
precisione, dei mezzi di trasporto, delle macchine ed apparecchi meccanici e
dei prodotti chimici e delle fibre sintetiche artificiali.
Tabella 3.40
Interscambio commerciale Italia – Corea del Sud
Esportazioni (mln di Euro)
variazione annua %
Importazioni (mln di Euro)
variazione annua %
Saldo (mln di Euro)
Interscambio (mln di Euro)
variazione annua %
2000
1830,156
54,28
2249,263
27,79
-419,107
4079,419
38,5
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
129
2001
2035,252
11,21
2360,061
4,93
-324,809
4395,313
7,7
2002
2177,006
6,96
2387,327
1,16
-210,321
4564,333
3,8
Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero
della Corea è la regolamentazione delle importazioni. Il processo di
liberalizzazione degli scambi ha preso avvio nel 1983, con l’emanazione di
un’apposita legge (Tariff Act). In base a tale legge e agli impegni presi in
ambito GATT e WTO, il processo di liberalizzazione è quasi concluso e, al
momento, in Corea sono stati liberalizzati all’importazione il 99,3% dei
settori. Il sistema adottato è a lista negativa, di conseguenza non è necessaria
alcuna autorizzazione, neppure relativamente al sistema di pagamento, a
meno che i beni non rientrino nella lista di quelli che non si possono
importare se non con specifica autorizzazione. Attualmente l’aliquota
doganale media applicata alla maggioranza dei prodotti è dell’8% (ad
esempio per le automobili ed i beni di lusso). Alcuni prodotti godono di un
dazio ridotto pari al 5%; altri, come i prodotti dell’elettronica, di consumo ed
il vino, di un dazio del 15%. Il governo può modificate tali tariffe, per
proteggere l’industria nazionale e mantenere stabile il livello dei prezzi,
adottando le cosiddette Elastic Tariffs o, in alternativa, le Adjustment
Tariffs. Le prime possono variare, rispetto alla tariffa base, fino al 40%; le
seconde fino a 100%. In aggiunta al dazio doganale i prodotti di
importazione sono soggetti all’imposta sul valore aggiunto (viene applicata
sul valore CIF delle merci maggiorato del dazio doganale; l’aliquota è
attualmente del 10%) e all’imposta di consumo (utilizzata per una serie di
prodotti considerati di lusso, tipicamente dei settori della gioielleria,
pellicceria, liquori, automobili, caffè, ecc. e varia dal 10 al 100%). La Corea,
infine, concede tariffe preferenziali ad alcuni paesi in via di sviluppo
nell’ambito di speciali accordi TNCD (Trade Negotiations with Developping
Countries).
3.6.5 Rischio Paese
Per quanto riguarda il rischio Paese, la Corea del Sud viene collocata nella
seconda categoria su sette (1 minor rischio; 7 maggior rischio)55. Le
prospettive future prevedono una crescita del commercio estero del Paese e
del PIL, mentre i possibili rischi deriverebbero dall’instabilità politica e dai
difficili rapporti internazionali con la Corea del Nord.
55
Fonte informativa:
sito internet delle camere
www.globus.camcom.it. Dati aggiornati a settembre 2003.
130
di
commercio
3.7
La Finlandia
La Finlandia è un Paese sviluppato appartenente alla regione dell’Europa
Occidentale. La figura 3.7 illustra le sue caratteristiche fisiche, mentre la
tabella 3.41 contiene i suoi dati di base.
Figura 3.7
La Finlandia: posizione e caratteristiche geografiche
131
Tabella 3.41 Dati di base
Superficie
338.145 kmq
Popolazione
5.199.000 circa
Densità di popolazione
15,22 abitanti/kmq
Lingua ufficiale
finlandese, svedese
Religione
luterana (85,5%)
Unità monetaria
Euro
Forma istituzionale
Repubblica Parlamentare
Sede di governo
Helsinki
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
3.7.1
Situazione politica e sociale
Il panorama politico della Finlandia è caratterizzato da una sostanziale
uniformità delle forze politiche. Il Parlamento, unicamerale di 200 seggi, è
così suddiviso: 51 seggi al partito socialdemocratico, 46 seggi al partito
conservatore e 48 seggi al partito di centro. I partiti minori, come quello
della lega di sinistra, dei verdi e della minoranza di lingua svedese, si
dividono i rimanenti seggi. Il capo di governo è Paavo Lipponen
(socialdemocratico). L’unica forza politica di rilievo esterna alla
maggioranza è il partito di centro, fortemente legato alle zone rurali del
Paese e sensibile, quindi, alle politiche agricole e agli interessi delle aree non
urbane. I principali ministeri sono suddivisi tra i due maggiori partiti di
governo. Ai socialdemocratici sono andati gli Affari Esteri, l’Industria e il
Commercio, il Lavoro e il dicastero per la Giustizia. Al partito conservatore,
Trasporti e le Telecomunicazioni, le Finanze, gli Interni ed il Commercio
Estero.
Il livello di istruzione nel Paese è notevole: tutti gli individui al di sopra dei
15 anni sono in grado di leggere e scrivere, mentre il 99% ed il 93% della
popolazione hanno rispettivamente un’educazione di base (elementare e
media) e superiore (licei e istituti tecnici). Per quanto riguarda l’educazione
universitaria, si deve tenere presente che in Finlandia esiste il sistema a
numero chiuso per l’ammissione agli studi universitari. In passato, questo è
stato piuttosto restrittivo e solo negli ultimi anni esso è divenuto più
flessibile, ammettendo un numero crescente di studenti. L’obiettivo
principale della formazione universitaria, spesso indicata come “terziaria”, è
quello di creare dei profili professionali piuttosto mirati rispetto alle effettive
esigenze del mercato del lavoro. Numerose, infatti, sono le collaborazioni tra
università e imprese, sostenute sia dal settore pubblico sia dalle imprese
stesse. La formazione universitaria è piuttosto articolata, proponendo un
duplice livello di insegnamento: Diploma di Laurea lunga e Diploma di
132
Laurea breve, in tutte le aree disciplinari. Oltre alla formazione universitaria
esistono anche molte scuole superiori professionali, i cui insegnamenti,
rispetto alle lauree brevi, sono rivolti prevalentemente verso aspetti pratici,
consentendo ai diplomati l’immediato inserimento nel mondo del lavoro in
posizioni executive. Ulteriori dati socio-politici sono sintetizzati nella tabella
sottostante (tabella 3.42).
Tabella 3.42
Principali indicatori socio-politici della Finlandia
Tasso di incremento demografico
VALORI
ANNO
0,2
2003
Popolazione urbana
popolazione totale
in
%
della 67,3
2000
Popolazione attiva
popolazione totale
in
%
della 2,6
2000
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL 6,9
1999
Tasso di scolarizzazione (%):
Scuola inferiore
98,1
1996
Scuola superiore
93,1
1996
Università
n.d
n.d.
Indice di sviluppo umano
0,917 (11°)
1999
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini
2002
3.7.2
Quadro economico e principali variabili
Lo Stato, tradizionalmente, ha avuto un ruolo determinante nell’economia
finlandese in qualità di operatore economico. Infatti, alcune tra le più grandi
aziende nazionali sono tuttora a partecipazione pubblica. Lo Stato ha assunto
tale ruolo principalmente per sostenere la formazione di capitale e
indirizzarne l’impiego verso investimenti a lungo termine, primariamente
allo scopo di assicurare il potenziamento e l’ammodernamento delle
infrastrutture. Di recente, poi, è stato messo in atto un programma di
privatizzazioni, il quale sta portando in mano ai privati i capitali di diverse
tra le più grandi aziende nazionali, dal settore dell’energia (Neste e
Kemijoki), della chimica (Kemira), a quello bancario (Leonia), dei trasporti
(Finnair e VR) e delle telecomunicazioni (Sonera).
133
Dal lato della politica monetaria va sottolineato come l’ingresso della
Finlandia nell’Unione Economica e Monetaria (UEM), la fissazione del
cambio irreversibile del marco finlandese nei confronti dell’euro (FIM 5,946
: € 1) e la messa in circolazione della moneta europea, abbiano comportato la
completa delega della politica monetaria nelle mani della Banca Centrale
Europea, la quale è, dunque, l’unica responsabile della manovra sui tassi di
interesse.
Il tasso di crescita del PIL in Finlandia ha fatto riscontrare negli anni passati
dei valori ai massimi livelli europei. Nel 2001, la crescita del prodotto
interno lordo, invece, ha fatto riscontrare un brusco rallentamento con un
valore pari a solamente lo 0,7% rispetto l’anno precedente. Le prospettive
per l’anno in corso fanno prevedere una lieve crescita (2%).
Per quanto riguarda il settore primario, nel 2001, il valore della produzione,
comprendente sia agricoltura sia silvicoltura, è stato di 5,65 miliardi di
dollari USA, pari al 4,6% del PIL (nel 2003 il settore primario contribuisce
per il 3,5% alla formazione del PIL). La principale risorsa agricola
dell’economia nazionale finlandese è rappresentata dalle foreste. Il legname
che da esse si ottiene sostiene tutta la filiera del legno, che partecipa alla
formazione del PIL in maniera sostanziale. La Finlandia è, tuttavia, povera
di minerali: tra i ferrosi esistono alcuni giacimenti di rame, zinco e ferro; tra
i non ferrosi si registra una notevole presenza di granito. Nel 2001, ha
importato anche buona parte delle materie prime energetiche, come petrolio,
carbone e gas, nonché energia elettrica, per una quota che si aggira a circa il
12% delle importazioni dei beni. L’energia prodotta nel Paese è di origine
nucleare e idroelettrica, per un totale superiore al 40%.
Per quanto concerne il settore secondario, le industrie che occupano un ruolo
di primaria importanza nell’economia finlandese sono quelle tradizionali del
legno e foreste, della carta, della metalmeccanica e, soprattutto, negli ultimi
anni, quelle dell’industria elettronica e delle telecomunicazioni, le quali
occupano posizioni dominanti a livello mondiale.
L’output del settore terziario, infine, é aumentato del 4% nel 2000. La parte
più rilevante del valore dei servizi è creato dall’immobiliare, dai trasporti e
comunicazioni e dal commercio. Nel primo caso, la crescita della fiducia
delle famiglie verso il futuro ha portato ad un incremento degli acquisti di
beni di consumo, in particolare quelli durevoli. Con riferimento ai trasporti e
alle comunicazioni, i servizi riflettono la crescita dell’economia che si
avverte negli altri settori, soprattutto per la necessità degli operatori
economici di usufruire dei medesimi. L’output nei trasporti é aumentato del
5%. Anche il commercio continua ad aumentare (sesto anno consecutivo):
nel 2000 l’incremento è stato del 4%. Ulteriori dati economici generali
vengono indicati nella tabella sottostante (tabella 3.43).
134
Tabella 3.43
Dati economici fondamentali
Tasso di c. valuta locale per US$
PIL in $ a prezzi correnti (mln)
Variazione annua del PIL reale (%)
Variaz. della prod. industriale (%)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione (%)
Rapporto debito pubblico/PIL (%)
Debito estero totale in $ (mln)
1998
1999
2000
2001
5,34
129.000
5,4
7,4
1,4
11,4
48,8
n.d.
5,58
1238.000
4,0
6,1
1,2
10,2
46,9
n.d.
5,45
121.000
5,7
11,0
3,4
9,8
40,2
n.d.
6,62
123.000
0,5
5,1
2,6
9,1
38,4
n.d.
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.7.3
Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella 3.44.
Tabella 3.44
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
1998
1999
2000
2001
Consumi privati
50,2
50,8
49,5
50,1
Consumi pubblici
21,6
21,7
20,7
21,1
Investimenti
18,7
19,0
19,3
19,1
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Dalla tabella si può notare come lo Stato sia fortemente presente
nell’economia finlandese. Ciò è dimostrato dall’elevato peso percentuale
(21,1% nel 2001) che i consumi pubblici hanno rispetto al totale della
domanda aggregata. Tali consumi sono cresciuti in termini nominali del
3,6%. La spesa pubblica negli ultimi decenni è aumentata con la costituzione
e il mantenimento di un sistema di welfare altamente protettivo, in
particolare verso i ceti sociali più deboli, come i disoccupati, gli studenti e i
pensionati. Tuttavia, l’incidenza che questa ha sul PIL é andata
progressivamente a ridursi per effetto della forte crescita dell’economia del
Paese.
135
3.7.4
Relazioni con l’estero
Nel campo delle relazioni internazionali, pur rimanendo in una posizione di
neutralità, il Paese si trova ad aderire al Partenariato per la Pace della Nato e
all’Unione Europea. La Finlandia esercita la propria politica estera nei forum
dell’Onu, della UE, del Parlamento dei paesi scandinavi, in particolare nella
direzione strategica del Mar Baltico. In tale area il Paese tende ad avere una
politica di equidistanza dalle Repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia e
Lituania) e dalla Federazione Russa. La politica estera del paese è governata,
in base alla costituzione, dal Presidente della Repubblica (Tarja Halonen,
socialdemocratico) e dal Ministro degli Esteri (Erkki Tuomioja,
socialdemocratico). Dal secondo dopoguerra ad oggi la Finlandia ha sempre
perseguito una politica di liberalizzazione degli scambi piuttosto accentuata,
come testimoniato dalla adesione già nel 1950 al GATT, e nel 1961
all’EFTA. Questa politica è chiaramente volta all’instaurazione di rapporti
commerciali favorevoli con la Comunità Internazionale, non solo verso i
paesi europei o limitrofi, ma anche con paesi di altri continenti. Allo stesso
modo, la Finlandia ha stabilito molteplici accordi di collaborazione per lo
sviluppo e lo scambio di tecnologie, soprattutto con i PVS. La principale
motivazione nella notevole apertura internazionale, con particolare
riferimento agli scambi commerciali, è da rintracciarsi nelle ridotte
dimensioni dell’economia interna, la cui domanda in molti settori è incapace
di assorbire l’offerta nazionale.
La bilancia commerciale (tabella 3.45) finlandese nell’intero anno 2001 ha
registrato un saldo attivo superiore ai 12 miliardi di Euro. Il saldo
commerciale è stato sempre positivo nel corso dell’ultimo quinquennio ed ha
subito un incremento notevole nel corso del 2000 imputabile ad un’ottima
performance delle esportazioni. In tale anno, tuttavia, si è registrato anche un
aumento notevole delle importazioni dovuto all’incremento dei prezzi dei
prodotti petroliferi. Nel 2001, invece, sono calate sia le importazioni (-3%)
sia le esportazioni (-4%). Il volume complessivo degli scambi della
Finlandia con il resto del mondo è diminuito di 2,7 miliardi di Euro nel
2001, corrispondente ad una flessione del 3,2%. Il rapporto tra il valore delle
esportazioni ed il PIL (38% circa nel 2001) sottolinea ancora una volta la
natura aperta dell’economia nazionale.
Tabella 3.45
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ correnti (mln)
in % del PIL
•
variazione annua %
1998
43.000
33,3
4,9
136
1999
42.000
32,8
-2,3
2000
46.000
38,0
9,5
2001
40.000
32,5
-13,0
Imp. di beni in $ correnti (mln)
31.000
30.000
32.000 30.000
•
in % del PIL
24,0
23,4
26,4
24,4
•
variazione annua %
3,3
-3,2
6,7
-6,3
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
12.000
12.000
14.000 10.000
Esp. di servizi in $ correnti (mln)
7.000
7.000
6.000
6.000
•
in % del PIL
5,4
5,5
5,0
4,9
•
variazione annua %
0
0
-14,3
0
Imp. di servizi in $ correnti (mln)
8.000
8.000
8.000
8.000
•
in % del PIL
6,2
6,3
6,6
6,5
•
variazione annua %
0
0
0
0
-1.000
-1.000
-2.000 -2.000
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Nel quadriennio 1998-2001 le importazioni finlandesi dal mondo (tabella
3.46) sono cresciute con una dinamica dello 0,66%, passando dai 32 miliardi
di dollari del 1998 ai 33 del 2001, con un picco di oltre quasi 34 miliardi nel
2000. Il principale fornitore è risultato essere la Germania, con una quota di
mercato (14,45%) che nel periodo in esame è andata costantemente a
diminuirsi. Al secondo posto si posiziona la Svezia, con una quota anch’essa
in lieve diminuzione (10%). E’ stato, comunque, registrato un aumento di
competitività da parte di quasi tutti i paesi UE successivamente all’adesione
della Finlandia alla comunità. Dal 1998 ad oggi, invece, i paesi UE, gli Stati
Uniti ed il Giappone hanno perso quote di mercato a favore soprattutto della
Russia (9,55%) e dell’Estonia (3,3%). In particolare, questi ultimi hanno
fatto registrare un aumento esponenziale delle esportazioni in Finlandia
nell’anno 2000. Nel 2001, alcuni paesi europei, quali la Francia, l’Italia, ed
altri paesi di minor rilievo nelle importazioni finlandesi, hanno registrato un
aumento del valore esportato verso la Finlandia.
L’Italia guadagna quote di mercato, passando dal 3,19% del 2000 al 3,54%
del 2001. Tale aumento non le permette, tuttavia, di ritornare ai livelli di
alcuni anni fa, quando le esportazioni verso la Finlandia si aggiravano
attorno al 4%.
137
Tabella 3.46
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2001
Germania
Stati Uniti
Regno Unito
Svezia
Italia (8°)
% del tot.
12,4
9,7
9,6
8,4
3,6
Paesi fornitori 2001
Germania
Svezia
Russia
Stati Uniti
Italia (10°)
% del tot.
14,5
10,2
9,6
6,9
3,5
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
I principali comparti merceologici dell’import finlandese sono rappresentati
dalle macchine elettriche ed apparecchi elettrici di precisione (24,07% del
totale importazioni), dai prodotti chimici e fibre sintetiche (10,62%) e dalle
macchine ed apparecchi meccanici (9,87%). Anche le esportazioni, nel
periodo 1998-2001, hanno seguito un andamento alternante di aumenti e
diminuzioni. Nel 1999, infatti, le esportazioni sono diminuite del 3,34%,
dopo un aumento del 5,44% nel 1998. Nel 2000, queste sono nuovamente
aumentate (+8,77%) e nel 2001 diminuite (-2,73%), principalmente per la
forte contrazione che ha subito il comparto elettrico (tabella 3.47).
Tabella 3.47
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2001
Materie prime e beni
intermedi
Beni di investimento
Energia
Beni di consumo durevoli
Beni di consumo non
durevoli
US$ mln Beni importati 2001
19.772
Materie prime e beni
intermedi
16.612
Beni di investimento
1.324
Energia
2.519
Beni di consumo durevoli
2.477
Beni di consumo non
durevoli
US$ mln
12.544
7.788
3.735
3.096
4.756
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Nel corso degli ultimi anni, il volume dell’interscambio commerciale
Italia-Finlandia (tabella 3.48) è stato in costante e progressivo aumento,
tanto che nel corso dell’ultimo quinquennio il giro d’affari tra i due paesi è
raddoppiato. L’incremento esponenziale, a partire dal 1998, del saldo
positivo della bilancia commerciale finlandese ha segnato una nuova
tendenza. Nel 2001, le importazioni italiane dalla Finlandia sono diminuite
per l’avvenuta consegna, nell’anno precedente, delle reti telefoniche Nokia
ai principali operatori italiani del settore delle telecomunicazioni, mentre le
esportazioni italiane verso il mercato finlandese hanno fatto riscontrare un
138
aumento maggiore di quello degli altri paesi, permettendo all’Italia sia di
aumentare la propria quota di mercato rispetto al 2000 (dal 3,3% al 3,5%),
sia di ridurre notevolemente le dimensioni del saldo negativo della bilancia
commerciale. Nel periodo 1995-98 l’Italia ha tratto vantaggio
dall’ottenimento di importanti commesse, come quella per la fornitura dei
primi treni “Pendolino” alle ferrovie finlandesi e la fornitura di attrezzature
portuali. La composizione merceologica delle importazioni italiane dalla
Finlandia è mutata in modo significativo nel corso dell’ultimo triennio. Nel
1998, la quota delle attrezzature per telecomunicazione ha, infatti, per la
prima volta superato quella della tradizionale filiera legno e carta. Tale
fenomeno non ha coinvolto solo il nostro Paese, bensì tutti i mercati di
riferimento della Finlandia. Nel corso degli ultimi anni le esportazioni della
Finlandia sono aumentate in modo esponenziale nel settore delle
telecomunicazioni e dell’elettronica, così come per i macchinari per industrie
specializzate. Rilevante anche la quota delle costruzioni navali dovuta alla
fabbricazione presso i cantieri di Helsinki di navi da crociera per conto di
Costa Crociere.
Le esportazioni italiane verso la Finlandia consistono in un mix di prodotti
ben più ampio ed equilibrato di quelli importati dall’Italia, dimostrando la
molteplicità dell’offerta di beni del nostro Paese. La voce principale ed in
costante crescita è quella delle apparecchiature e macchine elettriche. In
particolare all’interno di questa voce estremamente significativi sono gli
elettrodomestici e l’illuminotecnica. Di rilievo, da diversi anni, è
l’esportazione italiana relativa agli autoveicoli e ai macchinari per
l’industria; questi ultimi sono molto apprezzati dagli operatori locali, in
particolare nel settore della lavorazione del legno, dei metalli e dell’industria
alimentare. I principali concorrenti in questi segmenti sono la Germania ed il
Giappone. Altra voce, in ordine di grandezza, è quella del tessile e
dell’abbigliamento, cresciuta per importanza con la ripresa economica degli
anni ‘90. Lo stesso andamento si registra anche nei comparti delle calzature
e della pelletteria.
Tabella 3.48
Interscambio commerciale Italia – Finlandia
1998
1999
2000
Esportazioni (mln di Euro) 1.152
1.086
1.167
6,8
-0,1
7,5
variazione annua %
Importazioni (mln di Euro) 1.435
1.634
2.277
30,0
14,0
39,3
variazione annua %
Saldo (mln di Euro)
-282
-548
-1.109
Interscambio (mln di Euro) 2.587
2.720
3.445
18,5
5,1
26,6
variazione annua %
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
139
2001
1.267
8,5
1.711
-25,0
-444
2.978
-13,6
Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero
della Finlandia è la regolamentazione delle importazioni. A partire primo
gennaio 1995, in Finlandia vige il regime di libero scambio di beni e servizi
provenienti dagli altri Stati membri dell’Unione Europea. La liberalizzazione
della circolazione dei beni e dei capitali all’interno del mercato unico ha
comportato l’abolizione dei dazi doganali e di tutte le altre restrizioni ad
effetto equivalente. In quanto Paese membro dell’UE, in Finlandia non
vengono applicati dazi a prodotti provenienti dall’Italia. L’unica imposta
addizionale all’importazione è quella relativa al deposito e magazzinaggio
delle merci prima della consegna al destinatario (questa imposta è
disciplinata dalle norme INCOTERMS). In Finlandia non esistono merci
sottoposte a tariffazione, fatta eccezione per le bevande alcoliche. Infine, le
merci originarie dei paesi in via di sviluppo beneficiano del trattamento
doganale preferenziale.
3.7.5
Rischio Paese
Concludiamo l’analisi del mercato finlandese valutando il suo grado di
rischiosità.
La Finlandia è classificata come Paese a rischio minimo (1a categoria su 7);
è, infatti, caratterizzata da una buona stabilità politica e sociale. Le
previsioni delle aziende e dei consumatori per quanto riguarda l’economia
sono positive, tanto che la loro fiducia continua ad aumentare.
140
3.8
La Nigeria
La Nigeria56 è un PVS appartenente al continente africano. Per descriverne
un quadro sintetico di base facciamo riferimento alla tabella 3.49 che espone
alcuni dati principali, mentre la figura 3.8 mostra la sua posizione
geografica.
Figura 3.8
58
La Nigeria: posizione e caratteristiche geografiche
La difficoltà nel reperire i dati in merito alla Nigeria e la mancanza di buona parte
di questi, ci
permetterà di effettuare un’analisi meno dettagliata di quelle
precedentemente esposte.
141
Tabella 3.49 Dati di base
Superficie
Popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Capitale
923.773 kmq
132.785.000 circa
inglese
mussulmana (50%) cristiana (40%)
Naira57
Repubblica Federale
Abuja
Fonti informative: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it e
Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002.
3.8.1
Situazione politica e sociale
La situazione politica e sociale della Nigeria è da sempre stata turbolenta. Il
Paese, già colonia britannica, ha ottenuto l’indipendenza nel 1960 e dal 1963
fa parte del Commonwealth. Negli anni ‘70 la Nigeria è stata teatro di una
sanguinosa guerra civile per la secessione della regione orientale del Biafra,
poi riassorbita. Dal 1966 al 1979 i militari hanno detenuto il potere
attraverso una lunga serie di colpi di stato. Successivamente (dal 1993) il
Generale Sani Abacha ha concentrato il potere nel Consiglio provvisorio di
Governo (PRC), instaurando una dittatura che è terminata solo con la sua
morte (1998). Le elezioni legislative del febbraio-marzo 1999 si sono svolte
in modo regolare ed il Presidente, Generale Obasanjo, ha istituito una
commissione per la revisione del sistema costituzionale. In base alla
costituzione vigente, il Presidente è eletto a suffragio universale per quattro
anni; il Parlamento è costituito dalla Camera dei rappresentanti (360
membri) e dal Senato (109 membri). Ulteriori dati socio-politici sono
sintetizzati nella tabella sottostante (tabella 3.50).
Tabella 3.50
Principali indicatori socio-politici della Nigeria
VALORI
Tasso di incremento demografico
2,1
Popolazione urbana in % della popolazione totale
41,3
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL
0,7
Spesa pubblica per sanità % sul PNL
0,2
Tasso di alfabetizzazione (%)
66,8
Indice di sviluppo umano
0,439 (151°)
ANNO
2003
1997
1997
1998
2003
2002
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
57
La Naira è suddivisa in 100 Kobo. Il tasso di cambio al 15 settembre 2003 è di
147,66 Naire per 1 €; 130,90 Naire per 1 US$.
142
3.8.2
Quadro economico e principali variabili
La Nigeria è il Paese africano maggiormente popolato, con più alta densità di
popolazione e il maggior numero di gruppi etnici. La struttura economica del
Paese è di tipo duale, con un settore moderno fortemente dipendente dai proventi
petroliferi ed un settore tradizionale agricolo-commerciale.
L’agricoltura è la principale attività dei nigeriani e contribuisce per il 34,6% alla
composizione del PNL. Tra le colture di esportazione emergono il cacao, la palma
oleifera, l’arachide, il cotone, l’ananas, le banane, l’anacardio. Per l’autoconsumo,
invece, si coltivano il sorgo e il miglio nelle regioni settentrionali, la patata nel sud
del Paese. Un po’ ovunque sono diffusi il riso, il mais e la manioca. La produzione
agricola copre, tuttavia, solo i 2/3 del fabbisogno nazionale, di conseguenza la
Nigeria deve importare generi alimentari per soddisfare una numerosa
popolazione costantemente in crescita. Questo Paese è ricco, infine, di granite,
marmo carbone, ferro, zinco ed oro.
Per quanto riguarda il settore secondario, la maggior risorsa del Paese è,
come precedentemente detto, il petrolio, che rappresenta il 95% dell’export,
fornisce il 30% del PNL della Nigeria e l’80% delle entrate del bilancio statale.
Nuovi giacimenti offshore sono stati scoperti lungo la costa, ma la benzina rimane
un bene caro per la maggior parte dei nigeriani, mentre alimenta una vasta rete di
contrabbando con i paesi vicini. Le principali industrie del Paese sono, quindi,
relative all’estrazione ed alla lavorazione del petrolio, ma rivestono un ruolo
importante anche quelle siderurgiche, metallurgiche, di montaggio di autoveicoli e
di pneumatici. L’aumento delle entrate petrolifere nel 2001-2002 non è stato,
tuttavia, sufficiente a rilanciare l’economia, a causa delle difficili condizioni
strutturali del Paese (insufficienza delle reti di trasporto, fuga dei capitali, bassa
domanda interna).
Il settore terziario, se paragonato agli altri due settori, riveste un ruolo
marginale nell’economia e riguarda soprattutto l’esportazione del petrolio.
I principali dati economici disponibili sono contenuti nella tabella 3.51.
Tabella 3.51
Dati economici fondamentali
PIL in $ a prezzi correnti (mln)
Tasso di cambio (N/US$)
Variazione annua del PIL reale (%)
Tasso di inflazione (%)
Debito estero totale in $ (mld)
Riserve internazionali in $ (mln)
1999
3,2
92,34
1,1
6,6
29
5.450
2000
4,2
101,70
3,8
6,9
29
9.911
2001
4,5
111,23
3,8
18,2
28
10.457
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
143
2002
4,9
120,79
2,9
14,2
29
7.452
3.8.3
Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono i consumi e gli investimenti,
entrambi sia pubblici sia privati, ed il loro peso sul PIL del Paese. Per quanto
riguarda la Nigeria, i dati disponibili sono contenuti nella tabella 3.52.
Tabella 3.52
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
2001
45,5
30,0
20,1
2002
55,4
27,2
23,3
Fonte: sito della Banca Mondiale www.worldbank.org
3.8.4
Relazioni con l’estero
Visto il grande quantitativo di merci esportate da parte della Nigeria, questa
risulta avere un saldo della bilancia commerciale in attivo (tabella 3.53).
Tabella 3.53
Principali indicatori di commercio estero
Importazioni fob in $ correnti (mln)
Esportazioni fob in $ correnti (mln)
Saldo
1999
2000
2001
2002
9.478
11.927
2.449
11.068
21.395
10.327
12.303
17.949
5.643
13.650
17.256
3.606
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
Nel 2002, i principali paesi di importazione della Nigeria sono: Regno Unito
(9,6%), Stati Uniti (9,4%), Cina (9,3%), Francia (8,7%), Germania (6,8),
Corea del Sud (6,1%), Paesi Bassi (5,2%) ed Italia (4,7%). I prodotti
importati appartengono ai comparti delle macchine, dei prodotti chimici, dei
trasporti, dei manufatti, degli alimenti ed animali vivi.
Per quanto concerne l’interscambio commerciale Italia-Nigeria (tabella
3.54), il biennio 2000-2001 è stato caratterizzato da avanzi a favore del
nostro Paese, grazie all’aumento delle nostre esportazioni (del 40% e del
20% rispettivamente nel 2000 e nel 2001). Il 2002, pur confermando questa
tendenza positiva, ha fatto registrare una forte contrazione dell’avanzo
italiano, da imputarsi all’aumento delle importazioni in valore (+9,35%). La
composizione merceologica delle esportazioni italiane verso la Nigeria è
costituita prevalentemente da macchinari ed apparecchi in generale, il cui
trend nel 2002 è stato di una leggera flessione. Altrettanto dicasi per i
144
prodotti chimici e gli autoveicoli. Le importazioni italiane dalla Nigeria
riguardano, invece, il petrolio, il cuoio ed i prodotti agricoli.
Tabella 3.54
Interscambio commerciale Italia – Nigeria
Esportazioni in Euro
Importazioni in Euro
Saldo
2000
554.671.428
498.625.005
56.046.423
2001
561.446.032
455.983.634
105.462.398
2002
451.063.367
352.120.804
98.942.563
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
3.8.5
Rischio Paese
Nel 2003, la SACE colloca la Nigeria nella 7a categoria su 7 (1 minor
rischio; 7 maggior rischio)58, di conseguenza, nonostante risulti essere un
mercato appetibile per i prodotti delle aziende montebellunesi, investire o
rivolgere le proprie esportazioni in questo Paese è altamente pericoloso, data
la sua instabilità politica, sociale ed economica. E’ necessario, quindi, che gli
imprenditori considerino attentamente gli alti rischi che potrebbero incorrere
nel caso in cui decidessero di investire in Nigeria.
58
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
145
3.9 La Norvegia
La Norvegia è un Paese sviluppato dell’Europa occidentale. La sua posizione
geografica è illustrata nella figura 3.9, mentre i principali dati sono contenuti
nella tabella 3.55.
Figura 3.9
La Norvegia: posizione e caratteristiche geografiche
147
Tabella 3.55 Dati di base
Superficie
Popolazione
Densità di popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
387.895 kmq
4.539.000 circa
14,0 abitanti/kmq
norvegese
Protestante/luterana
Corona norvegese1
Repubblica costituzionale
Oslo
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
3.9.1
Situazione politica e sociale
In base alla costituzione del 1814, più volte emendata, il potere legislativo
spetta al Parlamento formato da 165 membri, eletti per quattro anni a
suffragio universale. Il Parlamento si divide in due camere: la camera alta e
la camera bassa, rispettivamente composte da 39 e 126 membri. Il potere
esecutivo è esercitato dal Governo.
Con un referendum del 1994 la Norvegia ha deciso di non aderire all’Unione
Europea.
Il sistema sociale e sanitario norvegese è fra i più avanzati e completi a
livello mondiale, sia nel settore della previdenza ed assistenza, sia in quello
della salute. Questo è confermato dal fatto che la spesa dello Stato per la
sicurezza sociale è pari al 38% delle spese totali (1999) e rappresenta il 6,2%
del PNL.
In Norvegia, il tasso di alfabetizzazione è pari al 100% circa e la scuola
dell’obbligo dura 10 anni. Inoltre, è possibile compiere altri 3 anni
conclusivi per ottenere il certificato di maturità. La maggior parte delle
scuole è pubblica. Sono presenti quattro università pubbliche e vari istituti di
formazione superiore, sia pubblici sia privati, con un totale di circa 190.000
studenti, di cui il 60% donne. Circa il 22% della popolazione è in possesso di
una laurea e nel corso degli anni 2000-2001 si sono laureati pressoché
32.000 studenti. Aumenta il numero degli studenti che frequentano le
università straniere, anche attraverso il collegamento con l’Unione Europea
(con il programma SOCRATES - ERASMUS). Nell’ambito della
formazione professionale esistono numerosi colleges (scuole di formazione
professionale) per ingegneri, lavori nel campo del sociale, militare e per
infermieri. Ulteriori indicatori socio-politici sono contenuti nella tabella
3.56.
1
L’unità monetaria della Norvegia è la Corona Norvegese (Nkr), divisa in 100 cre.
Il tasso di cambio a novembre 2003 è di 8,14 Corone per 1 Euro e 6,65 Corone per
1 US$.
148
Tabella 3.56
Principali indicatori socio-politici della Norvegia
VALORI
0,5
della 75,5
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in %
popolazione totale
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL 7,4
Tasso di alfabetizzazione (%)
100
Indice di sviluppo umano
0,934 (2°)
ANNO
2003
2000
1997
2003
1999
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini
2002.
3.9.2
Quadro economico e principali variabili
Il PIL dell’economia norvegese continua costantemente a crescere e ad
essere superiore alla media UE. La quota di partecipazione al PIL
dell’agricoltura, risulta in costante calo; questo a causa sia delle difficili
condizioni climatiche, sia della nuova e sempre crescente esposizione alla
concorrenza estera. Solamente il 2,9% di tutto il territorio è coltivabile.
Nonostante questo, quasi il 4% della forza lavoro è impiegata in agricoltura
ed il settore agricolo costituisce circa il 2,5% del PIL (2003). Anche se i
sussidi all’agricoltura si sono ridotti negli ultimi anni, l’intero settore è
tuttora pesantemente sostenuto dallo Stato ed appare ancora protetto dalle
importazioni provenienti soprattutto dall’Unione Europea. La pesca e la
piscicoltura, anche se occupano solo una minima parte della forza lavoro
(0,7% del totale della forza lavoro) rappresentano un altro settore trainante
dell’economia norvegese, in quanto alimentano un consistente flusso di
esportazioni (circa il 6% dell’export globale) e l’influenza sul prodotto
interno lordo è pari allo 0,9%. L’economia norvegese è fortemente orientata
verso la fornitura di materie prime e prodotti semilavorati (idrocarburi, pesce
fresco e lavorato, legname, minerali). Le ingenti risorse di energia
idroelettrica hanno favorito, a partire dai primi decenni del secolo scorso, lo
sviluppo di importanti gruppi industriali nel campo dei metalli ferrosi e non,
oltre che in quello dei concimi chimici. Nonostante le importanti ricchezze
naturali della terraferma norvegese, è il settore petrolifero offshore il vero
motore del Paese, ed anche a medio e lungo termine saranno la produzione,
le esportazioni e gli investimenti in questo settore i principali punti di forza
dell’economia. Il settore petrolifero, insieme al gas e senza considerare
l’indotto, rappresenta attualmente oltre il 22.6% del PIL ed il 62% delle
esportazioni. Ai ritmi di produzione attuali, le riserve norvegesi di petrolio
saranno esaurite verso l’anno 2015. Si fa molto affidamento, pertanto, alla
crescita della produzione del gas naturale (dal 20% di oggi sulla produzione
149
totale di idrocarburi a circa il 30% stimato per il 2007). Infatti, le riserve
accertate di gas sono sufficienti per oltre 100 anni. Lo Stato, attraverso una
serie di iniziative, cerca di consolidare e sviluppare l’industria petrolifera
locale, anche mediante una crescente internazionalizzazione della stessa.
Nel settore dell’industria, dopo alcuni anni segnati da una flessione
soprattutto nel comparto dei beni di consumo, nella seconda metà degli anni
‘90 si era registrata un’importante crescita. Tuttavia, recentemente tale trend
si è invertito. La produzione manifatturiera in Norvegia nella prima metà del
2002 è rimasta pressochè identica a quella del 2001 anche se ci sono
importanti differenze fra i diversi settori manifatturieri. Ad oggi, il settore
industriale impiega approssimativamente 286.000 persone che rappresentano
il 12% della forza lavoro norvegese, con un calo del 2,3% rispetto al 2000,
determinato dalla riduzione della produzione nel settore. Si può notare la
predominanza dell’industria privata su quella a partecipazione pubblica, in
particolare dopo l’ondata di privatizzazioni degli ultimi anni. Strutturalmente
appare evidente il predominio dell’industria pesante, intendendo con questo
termine l’industria dei metalli, chimica, petrolchimica, della cellulosa e della
carta, degli impianti ed attrezzature per la produzione di energia e la
cantieristica navale. Tuttavia, proprio nel settore dell’industria dei metalli e
del mobile, si è assistito nel corso degli ultimi anni ad un’importante
riduzione dell’attività determinata da alti salari e costi, soprattutto se
comparati con i prezzi dei paesi concorrenti. Se a questi elementi si aggiunge
anche il forte apprezzamento della corona degli ultimi due anni, si
comprende la perdita di competitività delle imprese e la conseguente
riduzione della produzione e della forza lavoro. Dall’altra parte, alcuni
segmenti dell’industria delle costruzioni navali e ingegneristiche stanno
mostrando importanti segnali di crescita grazie agli alti livelli di attività e
investimenti nel settore petrolifero. Di particolare rilevanza è, quindi,
l’industria produttrice di attrezzature petrolifere, ma anche quella
dell’alluminio, l’industria alimentare e quella della lavorazione del legno. La
produzione di beni di consumo (abbigliamento, calzature, elettronica di
consumo) ha, invece, un’entità limitata e si concentra spesso su specifiche
nicchie di mercato.
Nel settore dei servizi occorre soffermare l’attenzione sul turismo, che
costituisce il 15% dell’intero settore. Sebbene il Paese presenti diverse
attrazioni, quali la lunga linea costiera, i famosi fiordi, un numero
considerevole di piste da sci ecc., la competizione con altri paesi sul mercato
turistico è molto elevata. Inoltre, la bassa crescita in Europa, in particolare in
Germania, dalla quale la Norvegia riceve il più alto numero di turisti, ha
determinato la riduzione delle presenze straniere.
Ulteriori informazioni economiche sono reperibili nella tabella 3.57.
150
Tabella 3.57
Dati economici fondamentali
Tasso di cambio valuta locale in €
Tasso di cambio valuta locale per US$
PIL in $ a prezzi correnti (mld)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione (%)
Aiuti verso l’estero (mld US$)
Fonte:
VALORE
8,14
6,65
190,5
1,2
3,2
1.321
ANNO
2003
2003
2002
2002
1999
1998
sito dell’ICE: www.ice.it e Calendario Atlante Geografico De Agostini
2002.
3.9.3 Analisi della domanda potenziale
I dati in merito ai consumi ed agli investimenti pubblici e privati della
Norvegia sono parzialmente disponibili. Nel primi trimestre del 2003, i
consumi privati hanno manifestato un andamento crescente, derivante dal
forte aumento degli stipendi (+4,5%). Questo fatto, abbinato all’alto prezzo
del petrolio e del gas, ha rallentato la crescita economica della Norvegia, che
vede aumentare il PIL dello 0,3% rispetto al 2002. Per quanto riguarda gli
investimenti, questi vengono destinati soprattutto al settore petrolifero. Nel
2003 gli investimenti nel settore offshore, vitale per la Norvegia, sono stati
di oltre 6 miliardi di Euro e sono stati utilizzati per il miglior sfruttamento
dei pozzi esistenti e per la ricerca di nuovi, soprattutto nel Mar di Barents.
3.9.4
Relazioni con l’estero
La Norvegia, nonostante abbia scelto di non aderire all’UE, intrattiene
tradizionalmente stretti ed intensi rapporti commerciali con i paesi membri
dell’Unione. Essa è parte del mercato unico dell’Unione Europea attraverso
l’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE). Tale accordo comprende
i 15 paesi dell’UE e 3 dell’EFTA, Norvegia, Islanda e Liechtenstein.
L’Accordo fu firmato ad Oporto, Portogallo, il 2 Maggio 1992 ed è entrato
in vigore il 1 Gennaio 1994.
Per quanto riguarda la bilancia commerciale (tabella 3.58), la composizione
merceologica dell’import-export norvegese riflette la particolare struttura
economica del Paese, specializzato nella fornitura di materie prime e di beni
a basso grado di lavorazione, quali petrolio, gas, metalli, carta, pesce e
prodotti ittici. Per loro natura questi stessi prodotti sono particolarmente
sensibili ai cicli congiunturali e ciò può determinare forti fluttuazioni in
termini di valore dell’export norvegese. Nel 2002 le importazioni norvegesi
hanno raggiunto un valore di circa 35,7 miliardi di dollari americani, mentre
le esportazioni sono state di 61,3 miliardi, con un saldo attivo di ben 196
miliardi. La Norvegia, tramite la sua adesione all’OMC ed allo SEE, è un
151
partecipante attivo nell’attuale processo di liberalizzazione dei rapporti
economici internazionali e gli indicatori di commercio estero relativi agli
ultimi cinque anni confermano il carattere aperto dell’economia norvegese.
Il peso del commercio estero sul PIL, nel 2002, è stato del 68%.
Tabella 3.58
Principali indicatori di commercio estero
1999
35,5
46,3
10,7
Importazioni fob in $ correnti (mld)
Esportazioni fob in $ correnti (mld)
Saldo
2000
34,5
60,5
26
2001
33,2
59,6
26
2002
35,7
61,3
25,6
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
Dal punto di vista geografico (tabella 3.59) il commercio estero norvegese è
orientato prevalentemente verso i paesi dell’Unione Europea, che negli
ultimi anni hanno assorbito mediamente il 75% delle esportazioni e fornito il
67 % delle importazioni. Nel 2002 l’export norvegese ha subito un calo
dell’11%, dovuto soprattutto all’evoluzione negativa dei prezzi petroliferi ed
ai problemi derivanti dall’apprezzamento della corona. Il Regno Unito si è
confermato il primo Paese acquirente di beni norvegesi con una quota pari al
19%, seguito dalla Germania con quasi il 13%. Seguono i Paesi Bassi, gli
Stati Uniti e la Francia. Anche le importazioni norvegesi hanno fatto
registrare una diminuzione nel 2002, pari al 6,6%. La Svezia rimane il primo
Paese fornitore della Norvegia, con una quota intorno al 15%. Seguono,
nell’ordine, la Germania, la Danimarca, il Regno Unito e gli Stati Uniti, i
quali hanno assicurato, con la Svezia, circa il 50 % delle importazioni
norvegesi. Dei primi 10 paesi fornitori, solo la Danimarca (+3,5%) e l’Italia
(+8,2%) hanno visto aumentare i valori del proprio export verso la Norvegia.
Tabella 3.59
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2002
Regno Unito
Germania
Paesi Bassi
Stati Uniti
Francia
% del tot.
19
13
n.d.
n.d.
n.d.
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
152
Paesi fornitori 2002
Svezia
Germania
Danimarca
Regno Unito
Stati Uniti
Italia (8°)
% del tot.
15,7
13,4
8,1
7
5,3
4,1
La composizione delle importazioni (tabella 3.60) dimostra la dipendenza
della Norvegia dall’estero per quel che riguarda i prodotti finiti, tra cui
macchine ed apparecchi meccanici, apparecchiature elettriche di alta
tecnologia, nonché per i mezzi di trasporto ed i beni di consumo
(abbigliamento, calzature, elettronica).
Nel 2002 l’eccedenza dell’export sull’import di beni è stata, come detto, pari
a 221 miliardi di corone norvegesi, mentre nel 2001 il dato è stato di 236
miliardi di corone. Inoltre, nel 2002, la bilancia commerciale relativa ai
servizi ha segnato un surplus, attestandosi a 25 miliardi di corone, da
imputare, soprattutto, al consistente aumento dei noli marittimi e del
noleggio di gasdotti ed oleodotti. La composizione merceologica delle
esportazioni evidenzia l’intensivo sfruttamento delle materie prime,
soprattutto petrolio e gas, ma anche metalli ferrosi e non, e il forte peso del
settore ittico.
Tabella 3.60
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni importati 2002
Apparecchi elettrici di precisione
Metallo e prodotti in metallo
Macchine e app. meccanici
Prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali
Autoveicoli
% sul tot.
16,8
12,2
12
9,6
9,4
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Negli ultimi tre anni, il saldo dell’interscambio commerciale tra Italia e
Norvegia (tabella 3.61) è passato da una situazione di attivo ad una di
passivo. Nel primo semestre 2003, a fronte di una leggera flessione delle
esportazioni italiane, si è registrato un aumento di circa il 30%. Le nostre
importazioni riguardano il petrolio e derivati (triplicate nel 2002), carta e
cartone, ferro (in calo di circa il 25%) e i prodotti chimici (in netto aumento).
La composizione merceologica delle esportazioni italiane comprende
macchine e apparecchi in generale (26,9% del totale esportazioni), metallo e
prodotti in metallo (8,6%), apparecchi elettrici di precisione (8%), mezzi di
trasporto (7,8%), prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (5,7%), articoli
di abbigliamento e pellicce (5,5%), prodotti alimentari, bevande, tabacco
(5,3%), mobili (4%), articoli in gomma e in materie plastiche (3,7%) ed altri
prodotti dell’industria manifatturiera (1,7%).
153
Tabella 3.61
Interscambio commerciale Italia – Norvegia
Esportazioni in Euro
Importazioni in Euro
Saldo
2000
1.160.546.131
2.028.596.044
-868.049.913
2001
1.075.188.356
1.054.075.459
21.112.897
2002
451.063.367
352.120.804
98.942.563
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero
della Norvegia è la regolamentazione delle importazioni. Come
precedentemente detto, la Norvegia è associata al mercato unico dell’Unione
Europea attraverso l’Accordo sullo Spazio Economico Europeo. L’Accordo
ha lo scopo di promuovere, mediante l’espansione degli scambi commerciali
reciproci, lo sviluppo delle relazioni economiche tra l’UE e la Norvegia ed
assicurare condizioni eque di concorrenza negli scambi tra le parti
contraenti, contribuendo, in tal modo, all’eliminazione degli ostacoli e
all’espansione del commercio. Con tale accordo gli scambi delle merci
industriali e i servizi tra la Norvegia e i paesi dell’UE avvengono in
esenzione doganale. Per quanto riguardano gli ostacoli commerciali tecnici,
questi sono stati eliminati attraverso regole comuni per gli aiuti pubblici
all’industria, standard comuni dei prodotti e degli ordinamenti di controllo.
Gli acquisti pubblici sono regolati da un regolamento comune per tutta l’area
SEE. L’Accordo SEE non comprende il settore agroalimentare. Vi è, pero,
una comune intenzione di effettuare un graduale abbassamento di alcuni dazi
doganali. Sono in corso delle trattative per il rinnovo dell’Accordo, a seguito
delle quali sono da prevedere ulteriori abbassamenti dei dazi doganali nel
settore alimentare. Il regime “licenza di importazione” viene applicato a
parecchi prodotti alimentari, quali ad esempio i vini e formaggi. Per alcuni
prodotti esistono anche delle quote che variano secondo la stagione. Il
regime di “vietata importazione” esiste per alcuni prodotti alimentari, che
provengono da paesi affetti da malattie o con alto rischio. Per le merci di
interesse strategico esiste un regime di autorizzazione.
In Norvegia vige anche una tassa di consumo, in misura uguale su merci
importate e su quelle prodotte in loco, su alcolici, dolciumi, carburanti,
tabacchi, apparecchi radio e TV, motori marini. Vige anche una tassa
ecologica per gli elettrodomestici bianchi e per l’elettronica da consumo.
3.9.5
Rischio Paese
La Norvegia è un Paese a rischio minimo (1a categoria su 7). Lievi dissapori
politici potrebbero danneggiare la performance dell’economia nel breve
periodo. Nonostante il settore petrolifero rimanga al riparo dalle fluttuazioni
della domanda globale, gli altri settori hanno risentito delle fragili condizioni
154
dell’economia globale, manifestando una diminuzione delle competitività.
Tuttavia, l’aumento del consumo privato, sostenuto dalla forte crescita degli
stipendi, ha ravvivato l’economia, che non presenta particolari problemi.
155
3.10
Paesi Bassi
L’Olanda è un Paese sviluppato appartenente all’Europa occidentale. Esso è
raffigurato nella figura 3.10 e la tabella 3.62 contiene i suoi dati di base.
Figura 3.10
I Paesi Bassi: posizione e caratteristiche geografiche
Tabella 3.62 Dati di base
Superficie
Popolazione
Densità di popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
41.532 kmq
16.144.000 circa
382 abitanti/kmq
olandese
cattolica (34%) protestante (25%)
musulmani (3%) non affiliati (36%)
Euro
Monarchia costituzionale
L’Aja
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
157
3.10.1 Situazione politica e sociale
L’Olanda è una democrazia parlamentare ed una delle sette monarchie
costituzionali d’Europa. Il Capo dello Stato è la Regina Beatrice. Il
Parlamento Bicamerale (chiamato “Stati Generali”) è composto dalla Prima
e dalla Seconda Camera. I 75 membri della Prima Camera sono eletti tramite
gli “Stati Provinciali” (i consigli eletti nelle province) per sei anni
consecutivi. I 150 membri della Seconda Camera sono designati con
suffragio diretto dai cittadini aventi diritto al voto per un periodi di quattro
anni. Gli attuali membri del Parlamento provengono da dodici partiti politici.
A seguito delle elezioni del maggio 1998 l’Olanda è retta, per la seconda
volta, da una coalizione nuova e particolare chiamata “viola” perché riunisce
i socialisti, i liberali ed il partito democratico di centro-sinistra, mentre i
democristiani rappresentano l’opposizione.
Per il governo il problema sociale più sentito è rappresentato dal sensibile
aumento del tasso d’invecchiamento della popolazione, infatti, dai dati
demografici, risulta che questo fenomeno determinerà una maggiore spesa
pubblica pensionistica e sanitaria con un aumento dell’incidenza sul PIL
dell’8% circa, tra il 2000 e il 2040. La politica dello stato, inoltre, avrà
l’obiettivo di assorbire le tensioni esistenti in taluni segmenti del mercato del
lavoro, contenendo il livello di disoccupazione, e di aumentare gli
investimenti pubblici e privati allo scopo di rafforzare l’economia del Paese.
Con due leggi approvate in tempi rapidi, i Paesi Bassi sono diventati il primo
Paese al mondo a riconoscere il matrimonio civile tra persone dello stesso
sesso (2000) e a depenalizzare l’eutanasia (2001). Il governo ha elaborato,
inoltre, un progetto di pianificazione del territorio che mira a disciplinare,
per i prossimi vent’anni, l’espansione degli insediamenti civili e industriali,
rispettando il più possibile le esigenze ambientali.
L’istruzione obbligatoria comprende un ciclo a tempo pieno (dai 5 ai 16
anni) e uno a tempo parziale di altri due anni. Per quanto riguarda, infine, la
sicurezza sociale e la sanità, il sistema mutualistico è stato completamente
privatizzato: l’assicurazione pubblica copre solo pensionati, poveri ed
invalidi. Ulteriori dati socio-politici sono contenuti nella tabella 3.63.
Tabella 3.63
Principali indicatori socio-politici dei Paesi Bassi
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in % della popolazione totale
Popolazione attiva in % della popolazione totale
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL
Tasso di alfabetizzazione (%)
Tasso di scolarizzazione (%):
158
VALORI
0,7
89,2
47
5,07
99
ANNO
2003
1998
1998
1996
1997
107,80
131,50
47
0,921 (8°)
Scuola inferiore
Scuola superiore
Università
Indice di sviluppo umano
1996
1996
1996
1997
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.10.2 Quadro economico e principali variabili
Nel 2000, per il quarto anno consecutivo, il PIL dei Paesi Bassi ha registrato
una crescita superiore al 3%. L’economia del Paese (tabella 3.64) si
conferma come una delle più competitive del mondo: nel 2001 occupava il
quinto posto nella relativa classifica dell’IMD di Osanna (rispetto al quarto
del 2000).
Per quanto riguarda il settore primario, questo è sostenuto da una intensa
attività di studi che riguarda l’Università Agraria di Wageningen, di fama
internazionale, in collaborazione con istituti di ricerca e laboratori
sperimentali, motivata dalla rapida evoluzione dei fenomeni che interessano
la produzione agricola e le richieste sul mercato. Nel 2002, il settore ha
contribuito alla formazione del PIL per il 3,2%, con il 75% dei prodotti agroalimentari (di cui un terzo basato sulla lavorazione di materie prime
importate) destinato ai mercati esteri e una buona performance della
categoria “alimentari, bevande e tabacco” che rappresenta circa il 18% della
produzione industriale olandese. Ottima la produzione ortofrutticola che ha
fatto registrare, per il 2000, un aumento percentuale delle esportazioni del
9% e, oltre ad offrire un significativo contributo alla bilancia dei pagamenti
olandese, ha procurato 220.000 nuovi posti di lavoro. Segue, in ordine di
importanza, la produzione delle piante ornamentali, che ha registrato lo
scorso anno una variazione in aumento nelle vendite dell’11%. L’Olanda è
ricca, inoltre, di risorse naturali e, attualmente, è il quinto produttore del
mondo di gas naturale. Grandi quantità sono state scoperte nel 1959 a nord
del Paese; la produzione annuale è di 2.000 milioni di metri cubi e, date le
aspettative riguardo la futura disponibilità di riserve e la domanda sul
mercato, si prevede che le forniture di gas naturale siano garantite per i
prossimi 25 anni, sia per il mercato interno (l’industria chimica olandese
contribuisce per il 65% al consumo di gas naturale), sia per quello estero. Il
Paese è, infatti, uno dei maggiori esportatori di gas naturale del mondo e
dispone di un sistema di oleodotti e gasdotti integrato alla rete di condutture
europea. Altre risorse importanti per il Paese sono il cloruro di sodio, il
cloruro di magnesio ed il petrolio grezzo. L’Olanda è un Paese
particolarmente attento al rispetto ambientale, infatti, alla fine degli anni
Ottanta, il governo ha introdotto una legislazione ambientale particolarmente
severa per stimolare i ricercatori a sviluppare nuove tecnologie per la
depurazione delle acque di scarico, per l’abbattimento dei gas di scarico e
159
per il riciclaggio dei rifiuti industriali e domestici che, dati i risultati ottenuti,
si è rivelata molto efficiente.
Per quanto concerne il settore industriale, una delle maggiori caratteristiche
della produzione olandese è la prospettiva internazionale, non solo in termini
commerciali ma anche per la dislocazione degli impianti e per la volontà di
unire le proprie forze a quelle di aziende straniere. La compagine industriale
è, inoltre, caratterizzata dalla presenza di un elevato numero di imprese di
piccole e medie dimensioni. Fa eccezione il settore manifatturiero che, per
alcune categorie (parafarmaceutiche, biotecnologiche, elettroniche, di
software e telematiche), ha sviluppato forti concentrazioni di imprese, grazie
anche alle sue competenze distintive, quali la formazione della forza lavoro
multilingue, le attività di ricerca e sviluppo e l’uso di tecnologie innovative,
che rendono la produzione sofisticata e ampiamente diversificata (sono stati
questi fattori, infatti, determinanti nella crescita competitiva di cinque delle
maggiori multinazionali: Philips, Unilever, Royal Dutch/Shell Group, Dsm e
Akzo Nobel). L’industria metallurgica è specializzata nella produzione di
macchinari e leader mondiale per la produzione di impianti agroalimentari,
di veicoli e di interi sistemi produttivi per le imprese alimentari e chimiche.
Grande importanza rivestono, poi, il settore dell’industria elettronica, quello
della chimica, delle tecnologie informative e quello scientifico.
Infine, la maggior parte delle aziende olandesi che operano nel terziario è
attiva per lo più nel mercato locale, dove il commercio rappresenta la
componente di spicco del settore, cui seguono i trasporti, le comunicazioni,
l’edilizia e il settore finanziario (bancario e assicurativo). Negli ultimi venti
anni, infatti, i servizi diretti alle imprese ed i servizi commerciali sono stati
caratterizzati da una crescita eccezionale che li ha portati al vertice
dell’economia con un incremento delle esportazioni che ha superato di gran
lunga anche quello relativo alla produzione industriale. L’Olanda ha una
posizione dominante, sul mercato europeo, per i servizi logistici, di trasporto
e distribuzione. Gli studi recenti dei centri di distribuzione europea rilevano
che il 56% delle società asiatiche e statunitensi ha scelto di decentrare in
Olanda le proprie operazioni logistiche. Le compagnie olandesi controllano
circa la metà dei trasporti su autocarri oltre il confine e quasi i due terzi del
trasporto fluviale interno in tutta Europa. Il successo, oltre che all’efficienza
dei servizi offerti, è in gran parte dovuto alle regolamentazioni pubbliche
esistenti che contribuiscono a facilitare il passaggio delle merci alle dogane e
al programma di investimenti in infrastrutture che riguarda sia il settore
pubblico sia quello privato ed ha per oggetto l’ottimizzazione della struttura
e la competitività dei due scali merci principali, l’aeroporto di Schiphol ed il
porto di Rotterdam, centri vitali del Paese.
160
Tabella 3.64
Dati economici fondamentali
1997
Tasso di c. valuta locale per US$
1,9513
PIL in $ a prezzi correnti (mln)
360,479
Variazione annua del PIL reale (%) 3,8
Variaz. della prod. industriale (%) 2,8
Tasso di inflazione (%)
2,2
Tasso di disoccupazione (%)
5,5
Rapporto debito pubblico/PIL (%) 70,3
Debito estero totale in $ (mln)
n.d
1998
1,9837
378,384
3,9
1,1
2,1
4,1
67
n.d
1999
2,0706
396,553
9,6
0,0
2,3
3,2
63,8
n.d
2000
2,393
369,850
4,0
3,9
2,6
3,6
56,6
n.d
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.10.3 Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono i consumi e gli investimenti,
entrambi sia pubblici sia privati, ed il loro peso sul PIL del Paese. Per quanto
riguarda l’Olanda, i dati disponibili sono contenuti nella tabella 3.65. In base
a tali dati, per quanto concerne la spesa delle famiglie, si prevede2 una certa
stabilità nella crescita dei consumi, che hanno registrato lo scorso anno un
incremento percentuale del 3,9%, dovuto all’aumento della spesa per servizi
relativi alla telefonia mobile, al commercio al dettaglio e al turismo, mentre
un andamento moderato, già per gli anni precedenti, è stato rilevato per gli
acquisti di prodotti alimentari e generi voluttuari. Le valutazioni sono
modeste anche per gli investimenti, la cui variazione positiva è stimata ad un
livello del 2% per l’anno in corso e dell’1,7% per il 2004. In diminuzione, è
invece, la spesa del settore pubblico che da una variazione percentuale
positiva del 3,4%, registrata lo scorso anno, passa ad una percentuale stimata
del 2,25% per il 2005.
Tabella 3.65
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
1997
59,62
13,85
20,24
1998
59,33
13,62
19,97
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
2
Previsioni realizzate dall’ICE (www.ice.it).
161
1999
50,05
22,89
22,28
2000
49,7
22,7
22,2
3.10.4 Relazioni con l’estero
Famosa da secoli per il successo dei suoi commercianti, l’Olanda è un Paese
naturalmente orientato alle relazioni internazionali ed al soddisfacimento
della clientela estera. Le stesse autorità doganali olandesi sono notoriamente
collaborative ed innovative, particolarmente orientate, nell’ambito della
disciplina comunitaria, alla libera circolazione delle merci sul mercato
internazionale. Il Paese assolve tradizionalmente alla funzione di “porta
d’Europa” per tutti gli operatori che vogliono accedere ai mercati europei,
sia per la sua posizione geografica, sia per la qualità delle infrastrutture
esistenti che garantiscono l’efficienza dei traffici commerciali sia sul
mercato interno, sia estero. L’Olanda è membro dell’Unione Europea dalla
sua fondazione, dell’ONU e delle sue varie organizzazioni specializzate
(Banca Mondiale, FMI, ONUDI, OIT, ecc.), dell’UNCTAD, del Consiglio
d’Europa, della NATO, dell’OCSE, delle varie Banche di sviluppo
internazionali. Oltre l’Olanda, altri 10 paesi dell’unione (Austria, Belgio,
Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo e
Spagna) sono entrati a far parte dell’Unione Monetaria europea e,
considerata l’enorme importanza che il commercio estero riveste per
l’andamento dell’economia olandese, il Paese è uno dei più convinti
sostenitori, nelle varie sedi internazionali delle istituzioni di cui fa parte,
della liberalizzazione degli scambi e dei rapporti economici con i paesi
stranieri.
L’analisi della bilancia commerciale mostra un surplus relativo agli ultimi
quattro anni (tabella 3.66), caratterizzato da una certa stabilità nella crescita
delle transazioni con l’estero sia in entrata sia in uscita. Per il 2000, in
particolare, le esportazioni di beni hanno contribuito alla formazione del PIL
per il 55,8% e quelle relative ai servizi per il 14,6%, mentre le importazioni
hanno rappresentato il 50,6% del PIL per i traffici relativi alle merci, ed il
14,3% per i servizi.
Tabella 3.66
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ correnti (mln)
n % del PIL
ariazione annua %
Imp. di beni in $ correnti (mln)
n % del PIL
•
variazione annua %
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
Esp. di servizi in $ correnti (mln)
1997
189,400
52,5
-2,9
167,624
46,5
-2,7
21,776
50,148
162
1998
195,305
51,6
3,1
174,491
46,1
4,1
20,814
51,614
1999
195,076
49,2
-0,1
177,122
44,7
1,5
17,954
53,668
2000
206,424
55,8
5,8
187,181
50,6
5,7
19,242
54,076
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Imp. di servizi in $ correnti (mln)
•
in % del PIL
•
variazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
13,9
3,4
45,918
12,7
0,2
4,230
13,6
2,9
47,947
12,7
4,4
3,667
13,5
4,0
49,547
12,5
3,3
4,121
14,6
0,8
53,095
14,3
7,2
981
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Per quanto riguarda le importazioni (tabella 3.67), i principali paesi
fornitori del mercato olandese risultano essere, in ordine di importanza, la
Germania, gli Stati Uniti ed il Regno Unito. L’Italia non ha una posizione di
spicco rispetto al totale importazioni, sebbene mantenga la propria posizione
di esportatrice netta verso il mercato olandese per i prodotti manufatti.
Decisamente interessante è la performance della Cina, le cui esportazioni
verso i Paesi Bassi sono contraddistinte dalla dinamica più alta in assoluto
(27,4%), in virtù della quale è riuscita a passare da un volume di 2,9 miliardi
di dollari del 1997 ai 6,15 miliardi del 2000. Per quanto riguarda, infine, i
“nuovi” mercati di approvvigionamento, un certo riguardo meritano
l’Irlanda, Singapore e la Corea del Sud.
Tabella 3.67
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2000
Germania
Belgio/Lussemburgo
Francia
Regno Unito
Italia (5°)
% del Paesi fornitori 2000
tot.
24,7
Germina
13,3
Stati Uniti
10,9
Regno Unito
10,9
Belgio/Lussemburgo
6,0
Italia (8°)
% del
tot.
16,5
10,2
9,0
8,9
2,7
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
L’analisi della tabella 3.68, riportata di seguito, mette in evidenza i settori di
maggior interesse per le transazioni commerciali con l’estero dei Paesi Bassi.
L’andamento delle importazioni, nel quadriennio considerato, riflette una
flessione per il 1998, anno caratterizzato da una certa inversione di tendenza
nell’ultimo quadrimestre, dovuta ad un ribasso dei prezzi e del tasso di
inflazione che hanno permesso una rapida crescita delle esportazioni. Nel
1999, invece, la variazione totale riportata è stata del 7,11%, a seguito
dell’aumento dei volumi importati, che hanno raggiunto cifre pari a 167,8
miliardi di dollari, rispetto ai 162,4 fatturati nel 1997, trend continuato nel
2000 con una crescita del 4,05%, ed un volume totale di 174,7 miliardi di
163
dollari. In particolare, i comparti che, nel quadriennio 1997-2000, hanno
maggiormente contribuito alla formazione del totale import olandese, in
ordine decrescente, sono i seguenti:
•
apparecchi elettrici di precisione (con un peso percentuale del
29,97% sul totale delle importazioni);
•
prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (11,32%);
•
prodotti delle miniere e delle cave (8,76%);
•
autoveicoli (7,29%).
Tabella 3.68
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2000
Macchinari e veicoli da
trasporto
Prodotti chimici
Generi alimentari
Combustibili minerali,
lubrificanti e derivati
Bevande e tabacco
US$ mln
71,648
33,000
25,921
18,527
4,763
Beni importati 2000
Macchinari e veicoli da
trasporto
Beni di consumo
Settore manifatturiero
Combustibili minerali,
lubrificanti e derivati
Generi alimentari
US$ mln
77,910
25,213
24,898
20,368
15,407
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
L’interscambio commerciale Italia - Paesi Bassi durante il quadriennio
1997/2000 (tabella 3.69), mostra un surplus commerciale delle transazioni
olandesi per tutto il periodo in esame. I settori che hanno maggiormente
interessato le importazioni olandesi dall’Italia, in ordine d’importanza, sono
i seguenti:
• apparecchi elettrici di precisione (peso percentuale, nel 2000, del
17,58% sul totale delle importazioni): il comparto mostra le cifre
maggiori per quanto riguarda i volumi importati, sebbene la dinamica
degli incrementi annuali riporti un valore negativo del 11,24% a seguito
dell’andamento dei traffici che mostra un fatturato di circa 997 milioni
di dollari nel 1997 e di circa 697 milioni di dollari nell’ultimo anno. I
saldi commerciali sono, comunque, in avanzo per i Paesi Bassi in tutti e
quattro gli anni considerati.
• macchine ed apparecchi meccanici (17,26%): i dati relativi al settore
delle macchine mostrano un deficit commerciale che perdura durante
l’intero quadriennio. Le cifre relative alle importazioni, infatti, superano
di gran lunga quelle delle transazioni in uscita, passando da un fatturato
di circa 700 milioni di dollari nel 1997 ad uno di circa 684 milioni di
dollari nel 2000 e riportando, quindi, una dinamica di crescita negativa (0,77%);
164
•
•
prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (12,51%): al terzo posto, in
ordine d’importanza, c’è il comparto dei prodotti chimici che riporta una
dinamica degli incrementi annuali ancora più negativa (-10,65%) dei
comparti precedenti;
metallo e prodotti in metallo (9,15%): anche nel comparto dei prodotti
metalliferi le esportazioni italiane verso i Paesi Bassi hanno subito una
flessione, ma essendo stata essa inferiore a quella evidenziata in altri
comparti, il suo peso relativo sull’export italiano totale verso l’Olanda è
incrementato.
Per quanto riguarda le esportazioni verso il mercato italiano, i comparti di
maggior riguardo, sono i seguenti:
• apparecchi elettrici di precisione (peso percentuale, nel 2000, del
29,29% sul totale delle esportazioni);
• prodotti alimentari, bevande e tabacco (21,25%);
• prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (15,56%);
• prodotti delle miniere e delle cave (6,52%).
Tabella 3.69
Interscambio commerciale Italia – Paesi Bassi
Esportazioni in Euro
Importazioni in Euro
Saldo
2000
6.793.871.603
15.080.084.943
-8.286.213.340
2001
7.279.766.073
16.587.665.351
-9.307.899.278
2002
451.063.367
352.120.804
98.942.563
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero dei
Paesi Bassi è la regolamentazione delle importazioni. Quale membro
dell’Unione Europea, l’Olanda non presenta barriere doganali (dazi o
contingenti) per le merci provenienti dagli altri paesi dell’Unione. Tali
traffici sono gravati soltanto dell’IVA locale (BTW) che è pari, dal primo
gennaio 2001, al 19% sulla maggior parte dei prodotti (quella ridotta del 6%
viene applicata ai generi alimentari, alle medicine, ai prodotti agricoli, alle
pubblicazioni, ai servizi di trasporto, ecc.) e di accise per alcuni altri prodotti
(bevande alcoliche ed analcoliche, tabacco, oli minerali e zucchero). Per
l’importazione di autovetture e motociclette, in particolare, esiste l’imposta
“BVP” calcolata sulla base del prezzo (esclusa IVA) del bene relativo
riportato nel catalogo dell’importatore ufficiale. Nei confronti dei paesi terzi
vige la tariffa esterna comune dell’UE. Sono in vigore i trattamenti
preferenziali concordati dall’Unione Europea con vari paesi stranieri. La
legge olandese è subordinata agli accordi internazionali e promuove
ampiamente i principi del libero scambio internazionale, per cui esistono
165
solo poche restrizioni alle importazioni che riguardano particolari tipologie
di beni quali, ad esempio, alcune categorie di prodotti agricoli e, soprattutto,
animali e piante appartenenti a specie minacciate.
3.10.5 Rischio Paese
Concludiamo l’analisi dei Paesi Bassi riportano il suo grado di rischiosità.
La SACE3 colloca tale Paese nella prima categoria su sette (1 minor rischio;
7 maggior rischio). Data la sua stabilità politica, sociale e le sue buone
prospettive di crescita economica, l’Olanda può essere considerata a rischio
minimo.
3
Dato aggiornato a settembre 2003.
166
3.11 La Polonia
La Polonia è un PVS appartenente all’Europa centro-orientale. Le sue
caratteristiche fisiche sono illustrate nella figura 3.11, mentre la tabella 3.70
contiene i principali dati del Paese.
Figura 3.11
La Polonia: posizione e caratteristiche geografiche
Tabella 3.70 Dati di base
Superficie
Popolazione
Densità di popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
312.685 kmq
38.626.000 circa
123,5 abitanti/kmq
polacco
cattolica
Zloty (PLN)
Repubblica Parlamentare
Varsavia
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
167
3.11.1 Situazione politica e sociale
Dopo la seconda guerra mondiale, eliminati gli elementi democratici e filooccidentali, la Polonia entrò nel blocco comunista. Nel 1987 ha imboccato la
strada della democrazia e, nel 1999, è entrata a far parte della NATO ed è
stata inclusa nel primo gruppo dei candidati all’Unione Europea. Il primo
maggio 2004, infatti, il Paese è entrato ufficialmente a far parte dell’UE.
L’importanza strategica della Polonia nel processo di allargamento è
confermata nei fatti dagli stanziamenti che l’UE assegna a questo Paese e
che ammontano a ben 17,5 miliardi di Euro nel triennio 2004-2006, pari al
45% del totale destinato ai 10 paesi dell’adesione. La Polonia, infatti, è il più
vasto e popoloso tra i nuovi entranti, è dotato di notevoli risorse, di una
popolazione giovane ed istruita, di un sistema di leggi moderno e
sufficientemente garantito, in continuo aggiornamento per adeguarsi alle
esigenze dell’Unione.
Il territorio polacco è suddiviso in tre livelli amministrativi ripartiti in 16
voivodati (regioni), 308 distretti, 65 città-distretto (comuni con poteri e
funzioni allargati, analoghi a quelli dei distretti) e 2.489 comuni. Il Comune
costituisce il primo livello dell’amministrazione locale. Il Distretto è l’ente
locale intermedio (simile alla Provincia) costituito da un gruppo di comuni il
cui numero può variare da alcune unità a più di dieci. Il Voivodato (la
Regione), infine, è la più grande unità dell’ordinamento amministrativo dello
Stato. I suoi organi rappresentativi sono: il Parlamentino (ossia il Consiglio
Regionale) eletto a suffragio universale, e la Giunta. Entrambi sono
presieduti
dal
Presidente
della
Regione.
Rappresentante
dell’amministrazione centrale a livello regionale è il Voivoda, quale custode
dell’interesse nazionale.
Per quanto riguarda l’istruzione, questa è garantita ed obbligatoria dai 7 ai 14
anni di età (scuola primaria). La scuola secondaria, della durata di 4 o 5 anni,
comprende diversi indirizzi (generale, professionale tecnico e professionale
di base) ed è il punto di partenza per l’istruzione superiore.
Il sistema di sicurezza sociale, finanziato in parte dai lavoratori e in parte
dallo Stato, eroga indennità di disoccupazione, sussidi alle madri nubili,
pensioni, assegni familiari, indennità per invalidità e malattia. L’assistenza
medica è gratuita e finanziata dallo Stato, tuttavia è in crescita il numero
delle cliniche private. Ulteriori dati socio-politici sono sintetizzati nella
tabella sottostante (tabella 3.71).
168
Tabella 3.71
Principali indicatori socio-politici della Polonia
VALORI
0,0
della 66,4
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in %
popolazione totale
Popolazione
attiva
in
%
della
popolazione totale
Spesa pubblica per istruzione % sul PIL
Spesa pubblica per sanità % sul PIL
Tasso di alfabetizzazione (%)
Tasso di scolarizzazione (%):
Scuola inferiore
Scuola superiore
Università
Indice di sviluppo umano
ANNO
2002
2002
74,6
2002
5,3
6,2
99,7
2002
2002
2002
99,9
87,9
24,7
0,814 (44°)
1999
1999
1999
2002
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.11.2 Quadro economico e principali variabili
L’economia polacca è da sempre gravata da un alto tasso di inflazione (7,3% nel
1999), di conseguenza, per contenere tale fenomeno le autorità polacche hanno
dovuto attuare una politica monetaria restrittiva, con gli effetti indesiderati di
ridurre anche il tasso di crescita e di far aumentare la disoccupazione. Ciò
nonostante, si sono mantenuti elevati i flussi delle esportazioni (grazie ad un
forte aumento della produttività) e gli investimenti diretti esteri.
Il ruolo dell’agricoltura nell’economia polacca è marginale, tanto che
rappresenta il 3,4% del PIL. I cereali, soprattutto segale e frumento, sono la
coltura più diffusa; grande importanza hanno poi, la patata, la barbabietola da
zucchero, il lino e la colza. Sono rilevanti anche gli allevamenti di suini, bovini,
animali da cortile ed equini. La Polonia ha vaste risorse naturali di carbone,
rame, zolfo, zinco, argento e piombo. E’ uno tra i leader europei nella
produzione ed esportazione di carbone, nonostante questo settore sia stato, negli
ultimi anni, cronicamente sussidiato e sia in corso un drastico programma di
ristrutturazione. Per quanto riguarda l’estrazione del rame, la Polonia è il
maggiore produttore europeo e il sesto più grande produttore mondiale. Limitate
sono, invece, le risorse di fonti energetiche come il petrolio e il gas naturale,
anche se sono in atto alcuni progetti di ricerca di nuovi giacimenti.
L’economia polacca, come tutte le economie in transizione da un ex sistema
comunista, è caratterizzata da una struttura industriale che, pur incorporando
ancora settori ereditati dal vecchio sistema (come l’industria pesante), ne sta
completando la ristrutturazione, tentando nel contempo di introdurre nuove
169
produzioni. Nel 2000, l’andamento globale del settore industriale mostrava
ancora segnali positivi (+7,2%), mentre ha subito un brusco arresto nel 2001 (0,2%) e la ripresa del 2002 è stata molto lieve (1,0%). La tendenza alla crescita e
alla ripresa economica trovano un volano nella crescita della produzione
industriale e dei lavori pubblici, ma anche nella capacità di adattarsi al momento
di recessione da parte del mondo degli affari. Un miglioramento potrebbe
arrivare dalla partecipazione delle aziende polacche coinvolte nel programma di
ricostruzione dell’Iraq. Un forte impatto, inoltre, potrebbe avere la prevista
riforma del sistema fiscale e burocratico, meglio orientato al supporto delle
attività economiche. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la Polonia soffre di
profonde discrepanze regionali in fatto di sviluppo economico. Le regioni
tradizionalmente più industrializzate sono i voivodati di Malopolskie, di Slaskie,
Opolskie e Wielkoposkie, situati nel sud-ovest del Paese. Va, inoltre,
evidenziato un abbassamento dei livelli occupazionali in quasi tutti i rami
dell’industria, in conseguenza della necessità di raggiungere una maggiore
efficienza e colmare, così, il divario rispetto ai paesi occidentali.
Infine, il mercato dei servizi è quasi interamente aperto alle imprese dei
paesi UE. Gli unici rami del settore terziario che rimangono protetti sono il
mercato audio-visuale e quello delle lotterie, nei quali gli imprenditori
dell’Unione Europea non possono detenere pacchetti maggioritari. Il settore
dei servizi ha conosciuto tassi di crescita spesso superiori a quelli di molti
altri settori. In continuo aumento è il numero di professionisti (avvocati,
commercialisti, medici specializzati, ecc.). Contemporaneamente si assiste
alla proliferazione di agenzie che offrono servizi più complessi, come le
agenzie per il commercio estero e per la distribuzione dei beni, le agenzie
per ricerche di mercato e pubblicità. Ulteriori dati economici generali
vengono indicati nella tabella sottostante (tabella 3.72).
Tabella 3.72
Dati economici fondamentali
Tasso di cambio valuta locale in €
Tasso di c. valuta locale per US$
PIL in $ a prezzi correnti (mld)
Variazione annua del PIL reale (%)
Variaz. della prod. industriale (%)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione (%)
Rapporto debito pubblico/PIL (%)
Debito estero totale in $ (mln)
% sul PIL
1999
4,2274
3,4926
155
4,1
3,5
7,3
12,0
43,4
60.578
39,1
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
170
2000
4,0082
3,9674
164
4,0
3,6
10,1
14,5
38,0
63.562
38,8
2001
3,6721
4,3454
183
1,0
6,7
5,5
16,2
38,9
63.048
34,5
2002
3,8574
4,0970
189
1,3
-0,1
1,9
17,8
43,5
65.490
34,7
3.11.3 Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella 3.73.
Tabella 3.73
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
1999
64,4
15,5
25,5
2000
63,8
17,8
23,9
2001
64,9
17,8
21,0
2002
66,3
17,9
19,2
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Il rapido sviluppo economico del decennio trascorso deriva soprattutto dal
grande processo di privatizzazione dell’industria polacca, che ha consentito
l’arrivo di cospicui capitali, accompagnato da un’apertura del mercato a
merci, servizi e investimenti (per esempio nel settore immobiliare). Il livello
dei consumi è aumentato velocemente accanto ad un’accresciuta
disponibilità di prodotti, anche se con esso si è verificato un rilevante
fenomeno inflattivo, ormai riportato completamente sotto controllo. In tal
senso la politica monetaria restrittiva ha dato certamente i suoi frutti, al
punto che si è passati in pochi anni da un’inflazione a due cifre ad un valore
dell’1,9% (2002). E’ doveroso ricordare, inoltre, che sono presenti in
Polonia, con investimenti rilevanti, quasi tutti i grandi gruppi multinazionali
e che il Paese è stato destinatario della maggior parte degli IDE in questa
area geografica.
3.11.4 Relazioni con l’estero
Per quanto riguarda i rapporti internazionali, un ruolo fondamentale nel
processo di trasformazione della Polonia negli anni è da attribuire alla sua
adesione a diverse organizzazioni internazionali, quali, ad esempio, il Cefta,
la NATO, il FMI, la Banca Mondiale e, soprattutto, l’Unione Europea. In
ambito dei negoziati con l’UE, la Polonia ha ottenuto agevolazioni in
materia di libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei
capitali.
Nell’ultimo decennio il grado di apertura dell’economia polacca (calcolato
come rapporto tra il PIL e l’interscambio totale di merci) è cresciuto (nel
periodo 1999-2002 si è aggirato attorno al 40%) man mano che il Paese
orientava nettamente i propri scambi verso l’Unione Europea, abbandonando
i legami commerciali privilegiati che aveva intrattenuto con i paesi del
Comecon. Nonostante le difficoltà che la Polonia ha attraversato in termini
di crescita economica negli anni 1998-2001, è da sottolineare che proprio in
questo periodo è stato rilevato un aumento delle esportazioni del 27,9%,
171
segnale molto positivo per la competitività del sistema economico polacco.
Nel 2002, il valore del commercio estero (tabella 3.74) polacco è, per la
seconda volta consecutiva, cresciuto dopo la flessione nel 1999: le
importazioni hanno fatto registrare un incremento annuo di quasi 4,8 miliardi
di dollari (+9,6%), mentre le esportazioni sono aumentate di oltre 4,9
miliardi di dollari (+13,6%), principalmente grazie alle eccezionali
prestazioni di settori come quello degli autoveicoli, dei mezzi di trasporto,
degli articoli in gomma e in materie plastiche, dei prodotti alimentari,
bevande e tabacco, dei mobili.
Tabella 3.74
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di beni in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
Esp. di servizi in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di servizi in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
1999
26.347
17,0
-12,5
40.727
26,3
-7,1
-14.380
3.310
2,1
-10,0
4.934
3,2
17,9
-1.624
2000
28.256
17,2
7,2
41.424
25,3
1,7
-13.168
3.516
2,1
6,2
5.200
3,2
5,4
-1.684
2001
30.275
16,6
7,1
41.950
22,9
1,3
-11.675
3.988
2,2
13,4
4.964
2,7
-4,5
-976
2002
32.983
17,5
8,9
43.287
23,0
3,2
-10.304
3.993
2,1
0,1
4.995
2,6
0,6
-1.002
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Per quanto riguarda le importazioni (tabelle 3.75 e 3.76), la Germania è di
gran lunga il principale fornitore della Polonia, con una quota del 24% nel
2001 e del 25,5% nel 2002, pressoché costante dal 1998. La Russia, salita al
secondo posto nel 2001 grazie a un forte incremento del valore delle sue
esportazioni, quasi interamente ascrivibile alla vendita di petrolio e gas
naturale, nel 2002 è stata nuovamente sorpassata dall’Italia. La dinamica
delle esportazioni russe nell’arco degli anni 1999-2002 è stata del 18,1%. La
Russia è, così, giunta a detenere nel 2002 una quota dell’8% sulle
importazioni polacche (5,8% nel ‘99). Come detto, in tale anno l’Italia è
salita al secondo posto tra i fornitori, con una quota dell’8,4% (4,61 miliardi
di dollari americani) e una dinamica positiva ma debole (2,4%), nonostante
un aumento delle nostre esportazioni da 4,1 a 4,6 miliardi di dollari
172
nell’ultimo anno. Così, nei quattro anni considerati la fetta di mercato
italiana ha subito un’erosione non trascurabile (-10,6%). Viene poi la
Francia (7% nel 2002), in lieve crescita rispetto al 1998 (6,8%), seguita dal
Regno Unito (3,9%) che, invece, ha perso oltre mezzo punto percentuale.
Tra i paesi più dinamici, oltre alla Russia, si evidenzia la Cina, al sesto posto
con una quota del 3,9%, cresciuta soprattutto grazie ad aumenti delle vendite
nel comparto elettrico. Peraltro, va notato che tra i primi venti fornitori non
vi sono paesi caratterizzati da una dinamica negativa delle proprie
esportazioni in Polonia, il che è un sintomo del dinamismo commerciale
dell’economia polacca. Nel 2002 le importazioni polacche dal mondo si sono
principalmente orientate verso i comparti merceologici delle macchine
elettriche e apparecchiature elettriche e di precisione (14,3% sul totale
importazioni), dei prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali (13,8%), delle
macchine ed apparecchi meccanici (11,2%), degli autoveicoli (10,3%) e del
metallo e prodotti in metallo (8,9%).
Per quanto riguarda le esportazioni, la Germania è anche il primo cliente
della Polonia, che nel 2002 ha indirizzato al Paese limitrofo il 32,3% delle
sue esportazioni (36,1% nel ‘99), per un valore che è salito a 13,3 miliardi di
dollari. Seguono, a grande distanza, la Francia e l’Italia, con una quota,
rispettivamente, del 6% (2,47 miliardi di dollari americani) e del 5,5% (2,26
miliardi di dollari); vengono, poi, il Regno Unito (5,2%) ed i Paesi Bassi
(4,5%). L’export polacco si concentra principalmente nei comparti degli
autoveicoli (13,3% del totale esportazioni), dei metalli e prodotti in metallo
(11,9%), delle macchine elettriche e apparecchiature elettriche e di
precisione (10,7%), degli altri mezzi di trasporto (6,8%) e dei mobili (6,8%).
Tabella 3.75
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2002
Germania
Italia
Francia
Regno Unito
Repubblica Ceca
%
tot.
34.0
5,3
5,0
4,9
4,3
del Paesi fornitori 2002
Germania
Italia
Russia
Francia
Paesi Bassi
%
tot.
29,0
8,0
7,6
7,1
5,2
del
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Tabella 3.76
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2002
Meccanica
Sistema moda
US$ mln
1.181
867
Beni importati 2002
Autoveicoli
Sistema moda
173
US$ mln
722
261
Chimica
Metallurgica
648
432
Elettrotecnica
Chimica
254
208
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Nel 2002 l’interscambio italo-polacco (tabella 3.77) ha totalizzato 6,9
miliardi di dollari, segnando un incremento del 12,7% rispetto al 2001. Il
saldo commerciale bilaterale, nel periodo 1999-2002, è stato
sistematicamente favorevole all’Italia, che esporta in Polonia oltre il doppio
(in termini di valore espresso in dollari) di quanto importa da essa. Nel 2000
tale margine si era notevolmente assottigliato (da 2,5 a 2,1 miliardi di dollari
americani), ma si è poi nuovamente ampliato nei due anni successivi, tanto
che nel 2002 il saldo della bilancia commerciale ha fatto segnare, per la
Polonia, un passivo di 2,36 miliardi di dollari. E’ interessante notare che gli
scambi più consistenti tra i due paesi avvengono essenzialmente all’interno
degli stessi comparti.
Per quanto concerne le importazioni, nel 2002 la Polonia ha importato
dall’Italia beni per 4,61 miliardi di dollari, contro i 4,15 miliardi del 2001, il
che si traduce in un incremento dell’11,2%. E’ doveroso sottolineare che
questa crescita segue un triennio di prestazioni assai poco convincenti
dell’export italiano verso la Polonia: il 1999 (-2,4%) e il 2000 (-5,2%),
infatti, sono stati caratterizzati da un andamento negativo, e il 2001 ha fatto
registrare una lievissima crescita (+1,8%). I comparti di maggior peso tra le
importazioni polacche dall’Italia sono:
• macchine ed apparecchi meccanici (25,3% sul totale importazioni): nel
2002 il valore delle esportazioni italiane in Polonia in questo comparto è
stato di 1,17 miliardi di dollari, con un incremento del 18,2% rispetto al
2001;
• prodotti tessili (10,1%): le importazioni del comparto (che comprende
gli articoli in maglieria) hanno raggiunto, nel 2002, il valore di 464 milioni
di dollari, con una lieve crescita sul 2001 (+3,5%). Rispetto al 1999, primo
anno del periodo in esame, il valore degli acquisti è rimasto pressoché
statico, palesando una certa saturazione del mercato, come dimostra una
dinamica delle importazioni molto bassa (1,7%);
• apparecchi elettrici e di precisione (9,7%): dopo un 2000 in netta
contrazione (-11,3%), legata alla forte svalutazione dell’euro sul dollaro, le
importazioni del comparto hanno fatto registrare una crescita vigorosa nei
due anni successivi, con aumenti del 17,8% e del 9,4% rispettivamente nel
2001 e nel 2002;
• autoveicoli (9,3%): gli acquisti dall’Italia rientranti nel comparto (che
comprende anche carrozzerie, parti ed accessori, ecc.) hanno totalizzato 432
174
milioni di dollari nel 2002, con un incremento del 5% rispetto all’anno
precedente.
Le esportazioni polacche in Italia hanno fatto registrare, nel 2002, un valore
pari a 2,26 miliardi di dollari, cifra che rappresenta un incremento del 15,8%
sull’anno precedente. Nell’arco degli anni 1999-2002 si sono registrate
variazioni annuali quasi sempre al rialzo, con l’unica eccezione del 2001 (2,6%). La posizione commerciale della Polonia, però, non è particolarmente
migliorata in questo periodo: il suo deficit nei confronti dell’Italia ammonta
a 2,36 miliardi di dollari nel 2002, mentre era sceso a 2,05 miliardi nel 2000.
Le esportazioni verso l’Italia si raggruppano principalmente nei comparti
degli autoveicoli, delle macchine elettriche ed apparecchiature elettriche e di
precisione, nei metalli e nei prodotti in metallo, nei prodotti chimici e nelle
fibre sintetiche ed artificiali.
Tabella 3.77
Interscambio commerciale Italia – Polonia
Esportazioni (mln di Euro)
variazione annua %
Importazioni (mln di Euro)
variazione annua %
Saldo (mln di Euro)
Interscambio (mln di Euro)
variazione annua %
1999
3.454
-0,4
1.664
23,6
776
5.118
6,3
2000
3.845
11,3
2.089
25,5
516
5.934
15,9
2001
4.243
10,4
2.199
5,3
132
6.442
8,6
2002
4.278
0,8
2.395
8,9
-94
6.673
3,6
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Ultimo aspetto interessante ai nostri fini relativo agli scambi con l’estero
della Polonia è la regolamentazione delle importazioni. Successivamente
all’Accordo d’associazione con l’Unione Europea (1° febbraio 1994, già
informalmente in vigore dal 1992), e di analoghi accordi con i paesi aderenti
all’EFTA, ha avuto inizio un processo di progressiva riduzione delle barriere
doganali alle importazioni delle merci provenienti dall’Unione Europea. Il
Consiglio dei Ministri determina il livello dei dazi doganali. Secondo la
legge doganale polacca, nessuna imposta è prevista sui macchinari e gli
equipaggiamenti o su altre attività fisse che costituiscono apporto di una
parte straniera a una società polacca, purché tali attività non siano vendute
entro tre anni dalla data di sdoganamento. La prassi vuole che la quota di
dazio aumenti secondo il grado di trasformazione della merce.
Conformemente alle decisioni dell’Uruguay Round, il governo polacco ha
aperto contingenti doganali che ammettono il minimo accesso al mercato dei
generi agroalimentari. Le tariffe sono generalmente ad valorem. Nel nuovo
175
tariffario doganale, entrato in vigore il 1° gennaio 2001, nell’ambito degli
accordi con l’Unione Europea tutti i dazi sui manufatti industriali non
alimentari sono stati eliminati. Per altri paesi, invece, le aliquote
convenzionali, applicate alla maggior parte delle importazioni di prodotti
industriali dai membri del WTO, sono pari al 9-12%; le aliquote autonome,
applicate ai paesi che non fanno parte del WTO, sono pari al 30-40%. Per i
paesi in via di sviluppo l’aliquota preferenziale in molti casi è pari al 7,2%.
3.11.5 Rischio Paese
Concludiamo l’analisi del mercato polacco valutando il suo grado di
rischiosità. La Polonia è considerata un Paese a rischio esiguo (2a categoria
su 7). Dimostra una crescita del PIL contenuta (1,3% nel 2002), frutto di un
moderato aumento dei consumi delle famiglie (che hanno segnato un +2,7%
nei primi tre trimestri del 2002), unito ad un buon risultato delle esportazioni
nette. Queste ultime erano cresciute del 9% nel 2002, superando ampiamente
l’incremento del 3,3% delle importazioni. Di conseguenza, il deficit della
bilancia commerciale è diminuito del 11,8%. Il Paese manifesta, quindi
miglioramenti a livello economico e non presenta problemi di tipo sociale e
politico (qualche incertezza può derivare dall’alto tasso di disoccupazione).
Oltre a questo, l’entrata della Polonia nell’UE è sicuramente un
incoraggiamento per gli investitori.
176
3.12 La Russia (Federazione Russa)
La Russia è un PVS appartenente alla regione dell’Europa centro-orientale.
La figura 3.12 la descrive fisicamente, mentre la tabella 3.78 espone alcuni
dati principali.
Figura 3.12
La Russia: posizione e caratteristiche geografiche
Tabella 3.78 Dati di base
Superficie
Popolazione
Densità di popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
17.075.400 kmq
144.071.000 circa
8,52 abitanti/kmq
russo
cristiana ortodossa (60%)
rublo
Repubblica Federale
Mosca
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
3.12.1 Situazione politica e sociale
Dopo la “rivoluzione d’ottobre” del 1917, l’attuale Russia è stata la
principale repubblica dell’URSS, l’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche creata nel 1922 e comprendente i territori già soggetti all’impero
zarista. Nella seconda metà degli anni Ottanta, la perestrojka
(ristrutturazione) attuata da Michail Gorbaciov ha portato allo scioglimento
dell’URSS (1991). La Russia, che già nel 1990 sotto la guida di Boris Eltsin,
aveva proclamato la propria sovranità rispetto all’URSS, ha partecipato,
177
quindi, alla costituzione della CSI (1991) e nel 1992 si è data un nuovo
assetto federale, articolato in diverse entità territoriali. Un’area di costante
conflitto si è rivelata la Cecenia, la repubblica a maggioranza islamica che
nel 1991 ha proclamato la propria indipendenza, non riconosciuta dal
governo di Mosca. Due fasi di guerra acuta si sono registrate nel 1994-96 e
nel 1999-2000. Nel 2000, la Commissione ONU per i diritti umani ha
condannato la Russia per le violazioni commesse in Cecenia, ma le
operazioni di guerra e gli attentati sono continuati; nello stesso anno il
Presidente Putin ha assunto il controllo diretto della Repubblica, annullando
ogni autonomia locale. La costituzione, approvata con il referendum del
1993, conferisce ampi poteri al Presidente Federale, eletto per quattro anni a
suffragio universale e per non più di due mandati consecutivi: egli nomina il
Primo Ministro, è responsabile della politica estera, controlla i servizi di
sicurezza e gli organi di sorveglianza dell’informazione. Il potere legislativo
appartiene all’Assemblea Federale (Parlamento) con due camere: la Duma e
il Consiglio delle Federazione. Nel 2000, la Duma ha approvato la riforma
istituzionale proposta dal Presidente Putin per ridimensionare il potere dei
governatori regionali e accrescere il potere centrale su tutto il territorio della
Federazione.
Per quanto riguarda l’istruzione, questa è obbligatoria dai 7 ai 17 anni e
comprende tre anni di scuola primaria e due cicli (della durata
rispettivamente di 5 e 2 anni) di scuola secondaria. La spesa per l’istruzione
rappresenta il 3,7% del PIL e il 12,9% della spesa pubblica. Gli standard
accademici russi nei due settori tradizionali, matematica e scienze, sono
rimasti mediamente in linea con gli standard dei paesi occidentali, anche
nella prima fase del periodo di transizione, ma in seguito alla crisi del 1998
si è registrata una carenza nella formazione di personale altamente
qualificato, in termini di conoscenze linguistiche e di livello manageriale. Il
tradizionale sistema sovietico di assistenza totale non è più in grado di
erogare i servizi ed è in via di progressivo smantellamento. La spesa dello
Stato per la sicurezza sociale rappresenta il 21,1% delle spese totali. I salari
pagati nella sanità e nella pubblica istruzione sono tra i più bassi a livello
federale e si riscontra un forte squilibrio regionale. Ulteriori dati sociopolitici sono contenuti nella tabella 3.79.
Tabella 3.79
Principali indicatori socio-politici della Russia
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in %
popolazione totale
Popolazione
attiva
in
%
VALORI
-0,4
della 78,7
ANNO
2002
2003
della 70,4
2003
178
popolazione totale
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL
Tasso di alfabetizzazione (%)
Tasso di scolarizzazione (%):
Scuola inferiore
Scuola superiore
Università
Indice di sviluppo umano
3,7
99,6
2003
2002
98,8
83,3
64
0,826 (40°)
2000
2000
2000
1999
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.12.2 Quadro economico e principali variabili
Nell’ultimo decennio, nella Federazione Russa si è passati dall’economia
pianificata a quella di mercato. Tale transizione ha comportato enormi
trasformazioni e scompensi: l’attività produttiva e di trasformazione, prevista
in funzione quasi esclusiva dei consumi interni, ha manifestato una
pressoché totale inadeguatezza nei confronti del mercato mondiale. Da ciò è
derivata una stasi dell’attività produttiva e una fortissima impennata delle
importazioni, soprattutto dei beni di consumo. Con il trascorrere del tempo la
situazione è migliorata lentamente, ma progressivamente. Questo processo,
però, è reso particolarmente difficile e diseguale, vista l’enorme dimensione
del territorio e, quindi, le differenze che lo caratterizzano. Tuttavia, dopo la
crisi del 1998, la Russia ha sperimentato anni di stabilizzazione e di forte
ripresa. Secondo i dati forniti dal Comitato Statale di Statistica della
Federazione Russa (Goskomstat), i principali indicatori macroeconomici
relativi al primo semestre 2003 dimostrerebbero un ulteriore graduale
sviluppo del Paese: il PIL è cresciuto del 7,1% rispetto lo stesso periodo
dell’anno precedente e molto positivo è anche il dato relativo agli
investimenti, aumentati del 11,9%, mentre nello stesso periodo del 2002
l’aumento era pari al 2,3%. Tale valore dimostra il consolidamento di un
importante periodo di sviluppo economico iniziato nel 1999, anche se
parzialmente frenato dalla mancanza di finanziamenti. La produzione
industriale ha avuto una marcata ripresa dopo la flessione del 2002,
giungendo ad un aumento del 6,7% rispetto il 3,7% riscontrato l’anno
precedente, mentre la produzione agricola è rimasta quasi invariata,
registrando un aumento dello 0,5% rispetto a gennaio-maggio 2002. E’ da
rilevare il crescente ruolo della componente interna nella crescita del PIL,
fenomeno già avviatosi nel 2002 e che trova il suo motore principale nella
domanda interna, sia di beni d’investimento sia di beni di consumo. Una
delle principali caratteristiche dell’economia post-sovietica consiste nella
drastica riduzione del ruolo dello Stato, attuata mediante la privatizzazione
di gran parte dell’industria, dell’agricoltura e, soprattutto, dei servizi.
179
L’agricoltura è uno dei settori in cui le riforme economiche hanno stentato
maggiormente ad essere attuate, perseverando pratiche legali ed economiche
tipiche dell’era sovietica. Negli anni precedenti la riforma, le imprese, anche
quelle integralmente private, non godevano di alcun diritto nei confronti
della terra su cui erano ubicate potendo divenire, nel migliore dei casi,
beneficiarie di un contratto d’affitto per un periodo massimo di 49 anni.
Preso atto delle difficoltà che tale normativa provocava al processo di
transizione verso un’economia di mercato, il Parlamento russo ha varato due
importanti riforme: il nuovo “codice terriero” (novembre 2001), che
consente la privatizzazione esclusivamente per terreni classificati come
aziendali o urbani, costituenti solo il 2,1% di tutti i terreni della Russia; e la
Legge sulla compravendita dei terreni agricoli (giugno 2002) che, per la
prima volta dal 1917, consente la compravendita dei terreni adibiti ad uso
agricolo. Il nuovo Codice vieta, tuttavia, la vendita di terreni agricoli ad
entità legali estere che potranno beneficiare solo di contratti di affitto per
un’estensione massima di 49 anni. La struttura produttiva offre la prova più
evidente dei ritardi e delle lacune presenti nella legislazione vigente: derivate
dalla riorganizzazione delle vecchie fattorie collettive, che ne ha comportato
la trasformazione in società per azioni o in cooperative, le 27.300 imprese
agricole di grandi o medie dimensioni non riescono a produrre più del 43,1%
del totale su 161,8 milioni di ettari di terra. Al contrario, ben il 53,9% della
produzione agricola è realizzata grazie a meno di 40.000 appezzamenti
individuali, assai più piccoli. Solo il 3% del totale è prodotto da fattorie
private vere e proprie, le quali, tuttavia, non dispongono che di 13,5 milioni
di ettari di terra. La coltura principale è il frumento, seguono orzo, patate,
segale, avena, girasole e barbabietola da zucchero. Le difficoltà incontrate
nella produzione agricola e agroalimentare corrispondono al disagio che vive
il settore dell’allevamento, dove negli ultimi anni si è assistito ad un
impoverimento continuo del parco zootecnico, più che dimezzatosi nel
decennio 1993-2003. La Russia dispone di ingenti risorse naturali e riserve
di materie prime. Il 62% del territorio è ricoperto da foreste. Le riserve
idriche sono egualmente ingenti, comprendendo i grandi laghi e i bacini
fluviali per un volume d’acqua totale di 28.491 km cubi. Si stima che il
valore delle risorse minerarie del Paese finora esplorate ammonti a oltre
28.000 miliardi di dollari. Sul totale delle riserve mondiali, il gas naturale
russo rappresenta il 32,2%, il carbone il 23,3%, il petrolio il 15,7%, i metalli
ferrosi il 6,8%, i non ferrosi il 6,3%, i metalli preziosi l’1%. La maggior
parte delle risorse minerarie è concentrata nella Siberia Occidentale.
Per quanto riguarda il settore secondario, la produzione industriale ha
conosciuto una forte ripresa, registrando nel primo semestre del 2003 un
tasso di crescita del 6,7% rispetto lo stesso periodo del 2002. Per la prima
volta da molto tempo, gli investimenti hanno riacquistato vigore aumentando
180
generalmente in tutti i settori dell’economia, in particolar modo nel comparto
dei combustibili, dei trasporti, dell’estrazione del petrolio, delle infrastrutture
sociali. Nel primo semestre del 2003, infatti, i ritmi di crescita più elevati
sono stati registrati nei settori: medicina e farmaceutica (+17,0%);
combustibili (10,1%); metallurgia ferrosa (9,4%); metalmeccanica (7,5%);
energia elettrica (7,4%); metallurgia non ferrosa (7,1%); vetro e ceramica
(5,8%); materiali per l’edilizia (4,6%) ed altri. Una performance negativa è
stata registrata nel settore microbiologico (-27,4%), poligrafico (-9,8%) e
nell’industria leggera (-0,8%).
Anche il settore terziario presenta deficienze, soprattutto per quanto riguarda
le infrastrutture che risultano essere del tutto insufficienti. E’ leggermente
migliore la situazione delle infrastrutture alberghiere, sia pure limitatamente
ai due maggiori centri del Paese. In questo settore esistono, peraltro, vari
progetti di ammodernamento e ricostruzione attualmente in corso o in via di
definizione. Per contro, negli ultimi cinque anni sono stati compiuti sensibili
progressi nel campo delle telecomunicazioni, soprattutto per quel che
concerne la telefonia satellitare e mobile. Secondo le previsioni del
Ministero delle telecomunicazioni, nel 2003 il mercato russo potrebbe
raggiungere un controvalore di 12 miliardi di dollari confermando il trend
positivo degli ultimi anni in cui il settore ha registrato un aumento pari al
40%, principalmente grazie alla telefonia mobile. Quest’ultima sta
diventando uno dei settori in più rapido sviluppo, contraddistinto dalla
presenza di vari operatori, sia russi sia internazionali, che intrattengono
spesso rapporti di reciproca cooperazione.
Per ulteriori indicatori economici si veda la tabella 3.80.
Tabella 3.80
Dati economici fondamentali
2000
Tasso di cambio valuta locale in € 25,9847
Tasso di c. valuta locale per US$
28,13
PIL in $ a prezzi correnti (mln)
259.716
Variazione annua del PIL reale (%) 10,05
Variaz. della prod. industriale (%) 11,8
Tasso di inflazione (%)
20,8
Tasso di disoccupazione (%)
10,5
Rapporto debito pubblico/PIL (%) 62,1
Debito estero totale in $ (mln)
160.100
61,6
•
% sul PIL
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
181
2001
26,1425
29,17
309.903
5,05
5
21,6
9
48,8
152.649
49,3
2002
29,6971
31,35
346.537
4,3
3,8
16
8
53,4
151.010
43,6
2003
34,6648
30,92
415.854
6,2
6
13,6
7,9
55,8
159.349
38,3
3.12.3 Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono contenuti nella tabella 3.81.
Tabella 3.81
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
2000
46,2
15
16,9
2001
48,9
16,3
18,6
2002
51,2
16,9
17,9
2003
53,6
16,4
18,8
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Dopo la crisi del 1998 si è avuta una sensibile contrazione del volume del
commercio al minuto, dovuta al calo del potere di acquisto medio. La ripresa
dei consumi, verificatasi a partire dalla seconda metà del 1999 (+69%), in
particolare di alimentari e di taluni beni durevoli (scarpe, mobili,
elettrodomestici), è avvertibile in tutta la zona centrale gravitante attorno a
Mosca, cioè nel polo commerciale e finanziario russo, cui fanno capo oltre
12 milioni di abitanti (quasi 9 milioni nella sola zona urbana), senza contare
i buyers e i distributori operanti nelle altre regioni del Paese. Nella capitale è
tangibile la forte spinta ai consumi, con la pubblicità outdoor sempre più
presente, anche sotto forma di enormi insegne luminose e colorate, che fanno
somigliare Mosca ad una qualsiasi capitale dell’Europa occidentale. E’
frequente anche l’apertura di nuovi negozi, ristoranti e grandi centri
commerciali. Nello specifico, dal 2000, l’andamento dei consumi risulta
essere uno dei principali fattori trainati del PIL, registrando un tasso di
crescita medio annuo superiore al 9%. Infine, l’andamento degli investimenti
effettuati in Russia nei primi 5 mesi del 2003 è aumentato complessivamente
in tutti i comparti dell’economia concentrandosi principalmente nel settore
dei combustibili, dei trasporti, dell’estrazione del petrolio, delle infrastrutture
sociali. Nonostante ciò si riscontrano nella struttura degli investimenti
distorsioni e carenze: senza l’indispensabile apporto di capitali e tecnologia
straniera l’industria manifatturiera difficilmente appare in grado di reggere la
concorrenza internazionale. Dopo la crisi finanziaria e il crack bancario del
1998, la popolazione ha sostanzialmente cessato di investire in borsa e nel
sistema creditizio, concentrando il 73% dei propri risparmi nella più sicura
Sberbank, il sistema delle casse di risparmio garantito dallo Stato. Il crollo
della fiducia dei risparmiatori, peraltro, li ha condotti a tesaurizzare valuta
liquida, tanto che si stima vi siano in Russia almeno dai quaranta ai sessanta
miliardi di dollari conservati “sotto il materasso”.
182
3.12.4 Relazioni con l’estero
Dalla seconda metà degli anni Novanta, la Russia ha indubbiamente avviato
un graduale processo di integrazione nell’economia mondiale, firmando, nel
giugno 1994 a Corfù, un Accordo di Cooperazione e Partenariato con
l’Unione Europea ed entrando ufficialmente nel Club di Parigi (1997). La
Federazione Russa, inoltre, è stata ammessa al G7, ossia nel gruppo dei sette
paesi occidentali più industrializzati, di conseguenza rinominato G8. Con
riferimento agli accordi tra Russia e Unione Europea va rilevato, più in
particolare, che l’accordo siglato nel 1994 è stato ratificato ed è entrato in
vigore il primo dicembre 1997. È questo un fatto importante, se si tiene in
debito conto l’importanza economica che riveste la Russia per l’UE, sua
fornitrice del 20% del gas naturale e del 16% degli idrocarburi che le sono
necessari. I paesi UE, d’altro canto, esportano verso la Russia quasi 20
miliardi di dollari in macchinari, prodotti alimentari e beni di consumo (dati
del 1997, anno più favorevole prima della crisi). Uno dei programmi più
importanti di cooperazione economica tra UE e Russia è stato quello di
assistenza tecnica (TACIS) in vari settori. Il programma è entrato ora nella
sua seconda fase (2000-2003), con un interesse maggiore verso gli
investimenti diretti. Nell’incontro al vertice del febbraio 1999 a Mosca è
stato, inoltre, firmato un Memorandum d’Intesa, con annesso documento
tecnico, che prevede aiuti agroalimentari del valore commerciale di circa 300
milioni di dollari. Sebbene l’interscambio russo con il resto del mondo
ammonti a circa il 60% del PIL, la Federazione Russa rimane ancora un
Paese relativamente chiuso al commercio internazionale e, soprattutto, con
un clima poco favorevole agli investimenti esteri.
L’interscambio è in forte crescita, grazie al simultaneo sostenuto incremento
delle esportazioni (+ 30% nei primi quattro mesi del 2003 rispetto al + 5,6%
del 2002) e delle importazioni (+ 20% nei primi quattro mesi del 2003
rispetto al + 13,4% del 2002). E’, altresì, in forte aumento il già consistente
saldo attivo della bilancia commerciale (+ 43% nei primi quattro mesi del
2003), come si può notare nella tabella 3.82.
Tabella 3.82
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ correnti (mln)
n % del PIL
ariazione annua %
Imp. di beni in $ correnti (mln)
n % del PIL
ariazione annua %
2000
105.034
40,4
-37,7
44.862
17,3
-37,7
183
2001
101.885
32,8
-3
53.763
17,4
19,8
2002
107.247
30,9
5,2
60.965
17,6
13,4
2003
127.765
30,7
25,4
74.851
18
39,2
Saldo bilancia comm.le in $
(mln)
Esp. di servizi in $ correnti (mln)
n % del PIL
ariazione annua %
Imp. di servizi in $ correnti (mln)
n % del PIL
ariazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
60.172
48.122
46.282
52.913
9.565
3,7
-32
16.229
6,3
-19
-6.664
10.785
3,5
12,7
19.229
6,2
18,5
-8.444
13.042
3,8
20,9
22.111
6,4
15
-9.069
15.457
3,7
43,3
25.897
6,2
34,7
-10.440
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Nel quadriennio 1999-2002 le importazioni russe dal mondo (calcolate in
dollari americani) hanno subito un sensibile incremento (+14,8%), passando
da 26,8 a 40,6 miliardi di dollari. La debole svalutazione del rublo (passato
da un rapporto di cambio di 28 a 1 col dollaro a 32 a 1) spiega solo in parte
l’andamento positivo delle importazioni russe particolarmente nel settore
degli autoveicoli, apparecchi elettrici e meccanici, prodotti chimici, carta
stampa ed editoria. In tale contesto è la Germania ad occupare ancora il
primo posto nella classifica dei fornitori della Russia, con 6,1 milioni di
dollari americani di beni esportati e una quota di mercato stabile al 15%. Al
secondo posto vi è l’Ucraina che, con un volume di importazioni di 3,1
milioni di dollari, nel 2002 vede la propria quota flettere di quasi 2 punti al
7,68%. Seguono gli Stati Uniti (quota in diminuzione di oltre 2 punti al
6,3%) e la Cina (cresce di 2,5 punti al 5,75%). L’Italia ha visto accrescere la
propria presenza sul mercato russo di un punto conquistando il 5,3%
corrispondente ad un valore del nostro export pari a 2,1 milioni di dollari. In
generale, le importazioni russe si orientano principalmente verso i comparti
merceologici dei prodotti alimentari, bevande e tabacco (18,5% del totale
importazioni), delle macchine ed apparecchi meccanici (15,7%), dei prodotti
chimici, farmaceutici, fibre sintetiche ed artificiali (12,1%), dei metalli e dei
prodotti in metallo (8,1%). Anche le esportazioni di merci russe sono
aumentate, manifestando una crescita media annua del 7,6% e raggiungendo,
nel 2002, il valore ragguardevole di 75,1 milioni di dollari americani. Sono i
Paesi Bassi il principale Paese di sbocco dei prodotti russi con un valore al
2002 di 6,6 milioni di dollari e una crescita media annua di 23,9; segue la
Cina, ove l’incremento dell’export russo è stato altrettanto eclatante. L’Italia
figura al terzo posto tra i mercati di sbocco registrando, nel 2002, una
crescita media annua sostenuta pari 10,1% per un valore di 5 milioni di
dollari; gli altri principali mercati di destinazione dell’export russo sono la
Germania, l’Ucraina, la Polonia e gli Stati Uniti. Analizzando la struttura
delle esportazioni russe si evince come sia ancora ridotta la diversificazione
del sistema produttivo del Paese, concentrato ancora essenzialmente sul
184
settore petrolifero. I principali comparti in cui si concentra l’export russo
sono, quindi, i prodotti delle miniere e delle cave (39%), i metalli ed i
prodotti in metallo (18,8%), i prodotti petroliferi raffinati (15,8%) ed i
prodotti chimici (6,5%). Tali dati sono sintetizzati nelle tabelle 3.83 e 3.84.
Tabella 3.83
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2002
Paesi Bassi
Cina
Italia
Germania
% del tot.
8,8
6,8
6,7
6,2
Paesi fornitori 2002
Germania
Ucraina
Stati Uniti
Cina
Italia
% del tot.
15
7,6
6,3
5,7
5,3
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Tabella 3.84
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2002
US$ mln
Prodotti delle miniere e
cave
Metallo e prodotti in
metallo
Prodotti
petroliferi
raffinati
Prodotti chimici e fibre
sintetiche artificiali
Apparecchi elettrici di
precisione
29.705
14.193
11.873
4.903
1.793
Beni importati 2002
US$
mln
Prodotti
alimentari, 7.539
bevande e tabacco
Macchine e apparecchi 6.370
meccanici
Apparecchi elettrici di 5.286
precisione
Prodotti chimici e fibre 4.917
sintetiche artificiali
Metallo e prodotti in 3.314
metallo
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Per quanto riguarda l’interscambio commerciale italo-russo (tabella 3.85),
nel quadriennio 1999-2002 l’Italia ha conseguito un sensibile miglioramento
della propria posizione commerciale nei confronti della Russia; difatti, le
esportazioni italiane verso il Paese sono cresciute ad un ritmo medio annuo
pari a 24,5% per un valore, al 2002, di 2,1 miliardi di dollari americani. Il
buon risultato conseguito ha consentito di contenere il pesante saldo
negativo che l’Italia registra annualmente nei confronti della Russia: dagli
oltre 6 miliardi di dollari del 2000 il deficit si è ridotto a 2,9 miliardi di
dollari. I comparti più rilevanti delle importazioni russe dall’Italia sono i
seguenti:
185
•
•
•
macchine ed apparecchi meccanici: questo comparto, in cui le vendite
dell’Italia hanno conseguito il valore più alto (846 milioni di dollari
americani nel 2002), assorbe il 39,6% delle esportazioni italiane verso la
Russia, con un saldo di 839 milioni di dollari favorevole all’Italia;
metalli e prodotti in metallo: il comparto rappresenta il 9,1% (194
milioni di dollari) dell’export italiano in Russia con una dinamica media
di crescita nell’ultimo quadriennio pari a 18,3 che ha consentito di
accrescere la presenza italiana nel comparto dal 4,2 al 5,9%;
apparecchi elettrici di precisione: una quota pari all’8% delle
esportazioni italiane in Russia si concentra in questo comparto, con un
valore di 172 milioni di dollari nel 2002 (+37,9% sull’anno prima);
nonostante l’andamento confortante la quota dell’Italia è leggermente
diminuita da 3,9 a 3,3.
I comparti più rilevanti tra le esportazioni russe in Italia sono:
•
•
•
•
prodotti delle miniere e delle cave: questo comparto, che aggrega
l’export di prodotti energetici, assorbe, nel 2002, il 59,7% delle
esportazioni russe verso l’Italia, per un valore di 3 miliardi di dollari, che
determina un saldo favorevole alla Russia di misura equivalente;
prodotti petroliferi raffinati: questo comparto esprime il 21% delle
esportazioni russe verso l’Italia nel 2002 (1 miliardo di dollari), che si
traduce, come per il precedente, in un saldo positivo di pari entità per la
Russia;
metalli e prodotti in metallo: esprime l’8,4% delle esportazioni russe in
Italia, per un valore di 425 milioni di dollari. La prestazione russa va
attribuita quasi per intero all’export di minerali grezzi, ferrosi e non,
nonché di metalli preziosi;
prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca: è la quarta voce per
importanza nell’export russo verso l’Italia, anche se il suo valore è di
gran lunga inferiore a quello dei comparti precedenti, attestandosi sui
164 milioni di dollari nel 2002.
Tabella 3.85
Interscambio commerciale Italia – Russia
2000
Esportazioni in Euro 2.520.871.954
Importazioni in Euro 8.335.532.359
Saldo
-5.814.660.405
2001
3.539.010.129
8.536.284.123
-4.997.273.994
2002
3.801.396.938
7.915.104.950
-4.133.708.012
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
186
Ultimo aspetto relativo agli scambi è quello della regolamentazione delle
importazioni. I regolamenti doganali, in fase di continuo aggiornamento,
ricalcano approssimativamente quelli della Comunità Europea, per quel che
concerne la documentazione. Il costo di sdoganamento di un bene in Russia
è calcolato secondo la seguente formula: costo = valore doganale + dazio +
Iva + diritti doganali, in cui il valore doganale è di regola stabilito in base al
valore contrattuale; il dazio è pari ad una percentuale del valore doganale,
specifica per ciascuna voce doganale; l’iva è pari al 20% del valore doganale
maggiorato del dazio ed i diritti doganali sono rappresentato dallo 0,1% del
valore doganale (da versare in rubli), più lo 0,05% del valore doganale (da
versare nella valuta in cui è denominato il contratto).
Le merci originarie dei paesi in via di sviluppo beneficiano del trattamento
doganale preferenziale. La Russia fa parte dell’Unione doganale (che
configura una zona di libero scambio) instaurata tra alcuni paesi CSI, come
Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Il commercio con la
Russia delle merci originarie di questi paesi è libero da qualsiasi restrizione
tariffaria o quantitativa. Non esistono, infine, particolari restrizioni alle
importazioni, fatta eccezione per alcune categorie merceologiche come i
prodotti alcolici, farmaceutici ed alcuni prodotti chimici.
3.12.5 Rischio Paese
Nella classifica rischio Paese, aggiornata al 15 settembre 2003, la SACE
colloca la Federazione Russa nella quarta categoria su sette. Il rischio negli
affari con tale Paese è, quindi, piuttosto elevato, data la delicata situazione
politica in cui si trova e le note difficoltà di recupero economico.
187
3.13 La Svezia
La Svezia è un Paese sviluppato che fa parte dell’Europa occidentale. La
figura 3.13 la descrive fisicamente, mentre la tabella 3.86 espone alcuni dati
principali.
Figura 3.13
La Svezia: posizione e caratteristiche geografiche
189
Tabella 3.86 Dati di base
Superficie
Popolazione
Densità di popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Sede di governo
449.964 kmq
8.924.000
19,7 abitanti/kmq
svedese
luterana (87%)
Corono svedese (SEK)4
Monarchia Costituzionale a regime
parlamentare
Stoccolma
Fonte informativa: sito dell’ICE: www.ice.it
3.13.1 Situazione politica e sociale
La Svezia è una monarchia costituzionale ereditaria. La funzione legislativa
è svolta da un Parlamento unicamerale (349 membri eletti per 4 anni a
suffragio universale). Il potere esecutivo spetta al Governo, guidato dal
Primo Ministro Göran Persson, responsabile nei confronti del parlamento, e
da 19 ministri. Dal 2002 al 2006 il Governo è in mano al partito Social
Democratico. Al pari del Regno Unito, la Svezia ha adottato la politica del
wait and see nei confronti dell’Unione Economica e Monetaria, riservandosi
di aderire alla terza tappa dell’UEM dopo aver sottoposto la questione ad un
referendum popolare. Secondo un’indagine (dicembre 2000) condotta
dall’istituto Demoskop per conto del giornale Finanstidningen, il 36% della
popolazione si è dichiarato favorevole all’UEM, mentre il 53% è contrario.
Dall’adesione all’UE nel 1995, l’opinione pubblica è sempre stata
fortemente divisa. Nonostante il recente semestre di presidenza svedese del
Consiglio dell’Unione Europea, la maggioranza della popolazione è avversa
all’UE e il Partito della Sinistra e i Verdi hanno nel loro programma l’uscita
della Svezia dalla Comunità. Uno dei motivi dell’atteggiamento negativo
degli svedesi verso la Comunità Europea risiede nel fatto che
all’abbattimento dei dazi doganali non ha fatto seguito (come, invece, è
avvenuto in Finlandia dove la maggioranza è favorevole all’UE) una
corrispondente riduzione dei prezzi dei generi alimentari. La differenza è
stata, infatti, assorbita da importatori e grossisti ed i consumatori non ne
hanno tratto beneficio.
4
L’unità monetaria della Svezia è la Corona Svedese (Skr), suddivisa in 100 Ore. Il
tasso di cambio al 15 settembre 2003 è di 9,1420 Skr per 1 Euro; 8,0970 per 1
US$.
190
Il modello sociale svedese è caratterizzato da un’elevata offerta di servizi
pubblici e da un’attiva rete di servizi di protezione sociale. Tali servizi,
gravando sensibilmente sul bilancio statale, comportano, d’altra parte, un
alto livello di pressione fiscale. E’ in corso, tuttavia, nei comuni retti da
un’alleanza non socialista, un programma di privatizzazione di servizi sociali
di vario tipo quali gli ospedali, gli asili e gli alloggi, al fine di alleggerire la
pressione fiscale, composta al 90% da imposte comunali. Il livello di
istruzione è molto alto. La scuola primaria (9 anni a partire dal sesto o
settimo anno di età) è obbligatoria e gratuita. Seguono le scuole secondarie
(3 anni) e numerosi istituti universitari e parauniversitari. Ulteriori
indicazioni in merito alla situazione socio-politica della Svezia sono
contenuti nella tabella 3.87.
Tabella 3.87
Principali indicatori socio-politici della Svezia
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in % della popolazione totale
Popolazione attiva in % della popolazione totale
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL
Tasso di alfabetizzazione (%)
Tasso di scolarizzazione (%):
Scuola inferiore
Scuola superiore
Università
Indice di sviluppo umano
VALORI
0,2
83,2
54
8,28
99,0
ANNO
2002
1998
1998
1997
1997
106,5
140,4
50,0
0,923 (6°)
1996
1996
1996
1997
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.13.2 Quadro economico e principali variabili
Malgrado le condizioni climatiche non favorevoli e l’estensione limitata del
territorio coltivato (7%), la resa unitaria del settore agricolo è ottima, grazie
all’elevato utilizzo di tecnologie e macchinari. Vengono coltivati soprattutto
i cereali, le patate e le barbabietole. Riveste un ruolo importante anche
l’allevamento di bovini e suini. Il sottosuolo svedese è ricco di minerali di
ferro (ne vengono estratte all’anno circa 20 milioni di tonnellate), uranio
(corrispondente all’80% delle riserve complessive accertate nel continente),
piombo, rame, zinco, tungsteno, manganese e argento. Sono presenti anche
alcuni giacimenti auriferi.
Rilevante è il settore secondario, sviluppato e moderno grazie al costante
aggiornamento tecnologico e all’impegno del governo e delle imprese nella
ricerca e nella formazione professionale. I comparti di maggiore espansione
191
sono quelli dei mezzi di trasporto, della chimica farmaceutica e delle
biotecnologie. In forte ascesa sono anche l’elettronica e le
telecomunicazioni, l’industrie del legno e della carta. Settori di notevole
declino sono, invece, il tessile e l’abbigliamento, la siderurgia e la
cantieristica.
Il settore terziario contribuisce alla formazione del PNL per il 70,9%. Svolge
un ruolo fondamentale il commercio estero (la cui bilancia commerciale
registra un consistente saldo attivo), il sistema bancario e finanziario ed il
turismo. Le principali attrattive sono i laghi, le foreste, il “sole di
mezzanotte” nelle zone a nord del circolo polare artico e la città di
Stoccolma. I visitatori provengono soprattutto dagli altri paesi scandinavi e
dalla Germania.
L’economia svedese è rientrata in una fase di equilibrio negli ultimi anni. La
politica economica perseguita dal governo per risanare le finanze dello Stato
si è dimostrata una delle più efficaci tra i paesi OCSE: il deficit del bilancio
è quasi scomparso, mentre il debito accumulato si è stabilizzato in valore
assoluto e diminuisce come quota parte del PIL. Una robusta crescita
dell’export e degli investimenti è stata accompagnata da un tasso di
inflazione molto basso (0,3% nel 1999), con una divisa nazionale
relativamente stabile e con tassi d’interesse a livello dei paesi dell’UE.
Altri dati economici sono presenti nella tabella 3.88.
Tabella 3.88
Dati economici fondamentali
Tasso di c. valuta locale per US$
PIL in $ a prezzi correnti (mln)
Variazione annua del PIL reale (%)
Variaz. della prod. industriale (%)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione (%)
Rapporto debito pubblico/PIL (%)
Debito estero totale in $ (mln)
% sul PIL
1997
7,635
237.479
2,0
7,0
1,0
8,0
66,64
77.233
32,52
1998
7,950
237.764
3,0
6,0
0,4
6,5
64,42
75.864
31,91
1999
8,262
238.682
4,0
2,0
0,3
5,6
57,92
59.541
24,95
2000
9,171
227.101
3,6
4,9
1,3
4,7
55,62
42.699
18,80
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.13.3 Analisi della domanda potenziale
I principali indicatori che ci permettono di stimare sommariamente
l’andamento della domanda potenziale sono i consumi, gli investimenti ed il
loro peso sul PIL del Paese (tabella 3.89).
192
Tabella 3.89
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
1997
50,70
26,73
14,87
1998
50,29
26,72
15,82
1999
50,54
27,02
16,58
2000
50,54
26,32
17,88
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
3.13.4 Relazioni con l’estero
La Svezia è membro del World Trade Organization ed intrattiene relazioni
economiche e commerciali con un gran numero di Stati. Ha negoziato trattati
bilaterali in materia fiscale (per evitare la doppia imposizione) con più di 60
paesi. Solo in tempi recenti la Svezia ha deciso (non senza contrasti) di far
parte dell’Unione Europea. Con l’entrata in vigore dell’accordo di adesione
all’UE, il primo gennaio 1995, essa ha adottato la politica commerciale
comune sancita dal Trattato CEE nei confronti degli Stati membri e degli
Stati terzi, cessando, perciò, la sua partecipazione all’EFTA. La Svezia,
però, non partecipa alla Moneta Unica Europea. Ciò in seguito ad una
decisione parlamentare (basata soprattutto sulla manifestazione di una
negativa opinione popolare) che ha voluto assicurare al Paese una maggiore
libertà di azione e che, comunque, non esclude un’adesione futura. E’,
tuttavia, possibile avere un conto in banca in Euro per depositi e pagamenti,
contrarre mutui in Euro e, per le società, tenere la propria contabilità in Euro
ed emettere azioni nella stessa moneta. La Svezia opera, inoltre, per una
maggiore e più veloce liberalizzazione degli scambi commerciali con alcuni
paesi terzi, in particolare con i paesi Baltici, oltre alla Polonia, la Russia e gli
ex membri dell’Unione Sovietica che si affacciano sul Mar Baltico.
Per quanto riguarda la bilancia commerciale (tabella 3.90), nel quadriennio
1997-2000, le importazioni e le esportazioni complessive svedesi hanno
avuto un andamento piuttosto instabile, registrando alti e bassi da un anno
all’altro (senza differenze troppo marcate). Nel 1998, l’economia svedese,
fortemente dipendente dal commercio estero, è stata colpita dalla turbolenta
congiuntura mondiale, in particolare dalle crisi asiatica, russa e brasiliana.
L’incremento riscontrato nei primi mesi del 1999, dovuto soprattutto agli
effetti della corona debole, si è accentuato nel secondo semestre,
proseguendo anche nel 2000. La minore domanda interna (specialmente per
beni di uso meno comune e per le automobili) riscontrata nell’ultimo anno,
ha contribuito ad una certa diminuzione delle importazioni in termini di
volume, mentre l’aumento dei prezzi di quasi tutte le materie prime ha
riequilibrato i valori monetari, facendo registrare un importo superiore a
quello dell’anno precedente.
193
Tabella 3.90
Principali indicatori di commercio estero
Esp. di beni in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di beni in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Saldo bilancia comm.le in $ (mln)
Esp. di servizi in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Imp. di servizi in $ correnti (mln)
in % del PIL
variazione annua %
Saldo bilancia servizi in $ (mln)
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
1997
83.194
35,0
-1,8
65.195
27,5
-1,3
17.999
17.769
7,5
5,0
19.524
8,2
4,1
-1.755
1998
85.179
35,8
2,4
67.547
28,4
3,6
17.632
17.952
7,6
1,0
21.721
9,1
11,3
-3.769
1999
87.568
36,7
2,8
71.854
30,1
6,4
15.714
19.904
8,3
10,9
22.617
9,5
4,1
-2.713
2000
86.836
38,2
-0,8
71.752
31,6
-0,1
15.084
20.821
9,1
4,6
23.790
10,4
5,2
-2.969
Per quanto riguarda le importazioni, la Germania è il principale fornitore
della Svezia, benché la sua quota di mercato sia leggermente diminuita
rispetto al valore del 1997. I picchi di valore raggiunti nei diversi anni
(soprattutto nel 1998) dalle nazioni con cui la Svezia ha stretti rapporti
commerciali e che, in larga parte, sono quelle del centro-nord Europa
(tabella 3.91), riflettono efficacemente la politica di fusioni ed acquisizioni
che ha interessato il Paese. La situazione non ha subito grossi cambiamenti
nel corso degli anni esaminati, salvo evidenziare una dinamica
costantemente positiva per Danimarca e Polonia. Anche l’Italia ha visto
aumentare le richieste svedesi, incrementando la propria quota di mercato da
3,16% del 1997 a 3,45% del 2000. L’andamento delle esportazioni non
appare molto differente da quello delle importazioni, anche per quanto
riguarda i paesi di destinazione. La Germania, il Regno Unito e gli U.S.A.
occupano i primi posti, con una dinamica in lieve diminuzione per gli anni
considerati. Seguono Norvegia, Finlandia e Danimarca. E’ da segnalare un
certo incremento delle esportazioni verso paesi non UE, quali la Cina, la
Polonia e la Turchia. L’Italia, a differenza della maggior parte dei paesi
europei, ha acquistato un maggior peso fra i paesi clienti della Svezia, sia in
termini di peso percentuale riferito al 2000, sia in termini di dinamica per gli
anni 1997-2000.
194
Tabella 3.91
Orientamento geografico della bilancia commerciale
Paesi clienti 2000
Stati Uniti
Germania
Regno Unito
Danimarca
Italia (10°)
% del tot.
10,12
9,85
8,70
5,58
3,60
Paesi fornitori 2000
Germania
Regno Unito
Paesi Bassi
Norvegia
Italia (10°)
% del tot.
18,86
8,28
7,91
7,67
3,59
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
La Svezia ha un’economia aperta, con un valore delle importazioni di beni
che, per il 2000, è pari al 32% del PIL (tabella 3.92). I principali comparti
dell’import svedese sono:
• apparecchi elettrici di precisione (23,3% sul totale importazioni): tale
settore, che riveste il peso maggiore relativamente alle importazioni,
comprende macchinari elettronici, apparecchiature ottiche e fotografiche
e strumenti di precisione;
• macchine ed apparecchi meccanici (9,9%): le importazioni all’interno di
questo comparto presentano un andamento in costante diminuzione, con
un valore assoluto di 6,7 miliardi di dollari, nel 2000, e un saldo
commerciale positivo di 3,3 miliardi di dollari;
• prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali, inclusi i prodotti
farmaceutici (9,2%): successivamente al 1998, anno in cui si è verificato
un notevole aumento delle importazioni specialmente in termini di
variazione percentuale annua, le importazioni dell’industria chimica non
hanno mantenuto un ritmo di crescita costante. Il valore delle
importazioni è, infatti, passato da 6,7 miliardi di dollari nel 1999 a 6,3
miliardi di dollari nel 2000;
• metallo e prodotti in metallo (8,9%): questo comparto ha registrato un
incremento delle importazioni nel 2000 per un valore assoluto di 6,1
miliardi di dollari.
Le esportazioni svedesi hanno subito, negli ultimi anni, una certa
contrazione. Parallelamente, si è avuto un incremento dei prezzi
all’esportazione in determinati settori, come quello dell’industria della carta
e della produzione di beni di investimento.
I comparti che concorrono maggiormente all’export svedese sono:
• apparecchi elettrici di precisione (25,2%);
• macchine ed apparecchi meccanici (12,9%);
• metallo e prodotti in metallo (9,8%);
• prodotti chimici e fibre sintetiche artificiali, prodotti farmaceutici
(9,6%).
195
Tabella 3.92
Composizione merceologica della bilancia commerciale
Beni esportati 2000
US$ mln
Macchinari e mezzi di 48.334
trasporto
Legname e cellulosa
11.530
Prodotti chimici
8.796
Prodotti minerari
7.014
Beni importati 2000
Macchinari e mezzi di
trasporto
Prodotti chimici
Petrolio
e
prodotti
petroliferi
Prodotti minerari
US$ mln
36.879
7.989
6.614
5.634
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Nel triennio 2000-2002, l’interscambio commerciale Svezia-Italia (tabella
3.93) risulta avere un saldo positivo. Nel 2000 si è avuta una netta ripresa
delle esportazioni, il che ha portato il valore a oltre 508 milioni di dollari.
Per quanto riguarda le importazioni, tra i comparti più rilevanti si segnalano:
•
macchine ed apparecchi meccanici (22,5%);
•
apparecchi elettrici di precisione (12,7%);
•
energia elettrica, gas e acqua e altri prodotti (12,7%);
•
metallo e prodotti in metallo (7,5%).
In merito alle esportazioni, i comparti che interessano maggiormente l’Italia
sono:
•
apparecchi elettrici di precisione (23,5%);
•
macchine ed apparecchi meccanici (14,5%);
•
pasta da carta, carta e prodotti di carta (13,8%);
•
metallo e prodotti in metallo (12,5%).
Tabella 3.93
Interscambio commerciale Italia – Svezia
Esportazioni in Euro
Importazioni in Euro
Saldo
2000
2.630.986.591
3.819.423.605
-1.188.437.014
2001
2.541.734.628
3.520.737.289
-979.002.661
2002
2.630.986.591
3.819.423.605
-1.188.437.014
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
Ultimo aspetto relativo al commercio estero della Svezia è la regolamentazione
delle importazioni. La Svezia, quale Stato membro dell’Unione Europea, segue
la normativa comunitaria e le importazioni dai paesi membri sono, pertanto,
esenti da dazi doganali. E’, altresì, vietata qualunque misura avente effetto
equivalente. Solo determinati soggetti approvati e qualificati possono importare
prodotti farmaceutici, medicinali, veleni, armi ed esplosivi. Gli importatori di
zucchero devono far parte della relativa associazione di categoria. Eliminato il
196
monopolio legale relativo alle importazioni di bevande alcoliche per la vendita
al di fuori dei ristoranti, la licenza governativa e le leggi sulle tasse per i nuovi
importatori di alcolici sono, adesso, al vaglio dell’Unione Europea. Non esistono
barriere doganali per le merci provenienti dai paesi dell’Unione Europea. Su
tutte le importazioni è previsto il pagamento dell’Iva (MOMS) del 25%, che
grava non soltanto sul prezzo della merce, ma anche sul costo del trasporto e su
ogni altro onere. Dal 1996 è prevista un’aliquota del 12% per i prodotti
alimentari ed alcune opere d’arte, mentre per quotidiani, concerti, cinema, teatro,
attività circensi, eventi sportivi, registrazione del diritto d’autore e per i diritti di
filmare concerti, con e senza audio, l’aliquota è ridotta al 6%. Anche i servizi
postali sono soggetti ad Iva, secondo aliquote che dipendono dal tipo di servizio
e dalla destinazione nazionale o internazionale. I prodotti farmaceutici e le
pubblicazioni mensili usufruiscono di una aliquota nulla, mentre le operazioni di
assicurazione, i servizi bancari e finanziari e l’assistenza medica e sociale sono
esenti. Le importazioni sono gravate, inoltre, dalla tassa sui beni di lusso e da
altre imposte d’accisa, che colpiscono i dolciumi, le bevande alcoliche, i soft
drinks, i tabacchi, i carburanti e le automobili. I trattamenti preferenziali sono
accordati ai paesi che partecipano all’EFTA e a quelli associati all’Unione
Europea. Secondo uno schema generalizzato di preferenza per i paesi meno
sviluppati, nessun dazio è imposto sulle importazioni della maggior parte dei
prodotti industriali semilavorati o finiti (tranne abbigliamento e calzature) e su
determinati prodotti agricoli di 125 paesi in via di sviluppo, tra i quali
l’Argentina, il Brasile, la Croazia, l’India, il Messico e la Tunisia. Tutti i prodotti
agricoli tropicali sono ammessi duty-free. Con l’adesione all’UE, la Svezia ha
adottato la normativa comunitaria anche per quanto riguarda la restrizione delle
importazioni. L’UE limita l’importazione di tessuti e filati da una trentina di
paesi e controlla l’importazione da una ventina di altri paesi. Essa limita, inoltre,
l’importazione dalla Cina di alcuni prodotti industriali quali scarpe e giocattoli e
sorveglia l’importazione di ferro ed acciaio da diversi paesi. Le licenze per
l’importazione di tali prodotti sono concesse dal Kommerskollegium, il
Consiglio nazionale per il Commercio. E’ proibita, infine, l’importazione di
prodotti contenenti mercurio, di prodotti in PCB e in PCT, di CFC
(Clorofluorocarburi) e HCFC (Idroclorofluorocarburi), prodotti contenenti
gommapiuma, aerosols (lacche per capelli), estintori contenenti halon e prodotti
le cui superfici sono state trattate con cadmio o con prodotti contenenti cadmio.
3.13.5 Rischio Paese
La SACE colloca la Svezia nella prima categoria su sette (1 minor rischio; 7
maggior rischio), ciò significa che è un Paese a rischio molto basso5. Questo
perché la Svezia è caratterizzata da una democrazia stabile che non presenta
5
Dato aggiornato a settembre 2003.
197
punti deboli a livello economico, finanziario o politico. I rischi principali
della Svezia derivano da un mercato del lavoro che fondamentalmente non
ha subito trasformazioni e dalla tendenza estremamente ciclica dei conti
pubblici, sensibili, quindi, ad un’improvvisa inversione di tendenza
economica. La disoccupazione strutturale rimane elevata per gli standard
dell’Europa occidentale, ma la pressione salariale tende ad espandersi
gradualmente in tutta l’economia quando si verificano delle difficoltà in
alcuni settori chiave. Il rapporto fra la spesa pubblica e il PIL della Svezia è
tra i più elevati nel mondo industrializzato e la pressione fiscale rappresenta
un vero e proprio freno all’espansione. Ciò nonostante, le riforme del
bilancio attuate fin dalla metà degli anni 90, specialmente l’introduzione dei
tetti di spesa a medio termine, hanno ridotto la vulnerabilità delle finanze
pubbliche ai cicli economici. Il governo sta, infine, prendendo in
considerazione tagli notevoli alle imposte da apportare nei prossimi anni.
198
3.14 La Svizzera
La Svizzera6 è un Paese sviluppato appartenente all’Europa occidentale. Le
sue caratteristiche fisiche sono illustrate nella figura 3.14, mentre la tabella
3.94 contiene i principali dati del Paese.
Figura 3.14
La Svizzera: posizione e caratteristiche geografiche
Tabella 3.94 Dati di base
Superficie
Popolazione
Lingua ufficiale
Religione
Unità monetaria
Forma istituzionale
Capitale
41.285 kmq
7.228.000 circa
tedesco (63,9%) francese (19,5%)
italiano (6,6%)
reto-romancio
(0,5%)
cattolica (44,1%)
protestante
(36,6%)
Franco svizzero (CHF)7
Repubblica Federale
Berna
Fonti informative: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it e
Calendario Atlante Geografico De Agostini 2002.
6
La difficoltà nel reperire i dati in merito alla Svizzera e la mancanza di buona parte
di questi, ci
permetterà di effettuare un’analisi meno dettagliata di quelle
precedentemente esposte.
7
Il tasso di cambio del franco svizzero al 15 settembre 2003 è di 1,5564 CHF per 1
€; 1,3806 CHF per 1 US$.
199
3.14.1 Situazione politica e sociale
La Svizzera è una Repubblica Federale composta da 26 Stati, che danno
luogo alla ripartizione tradizionale in 23 cantoni. Ogni Stato è dotato di
assemblea (Gran Consiglio) e governo (Consiglio di Stato) propri. In base
alla costituzione del 1874, più volte modificata, il potere legislativo è
esercitato dall’Assemblea Federale, formata dal Consiglio Nazionale (200
membri eletti a suffragio diretto per quattro anni) e dal Consiglio degli Stati
(46 membri). L’Assemblea Federale elegge il Consiglio Federale, composto
da 7 membri responsabili dell’attività amministrativa e di governo; fra di
essi, ogni anno, viene scelto il Presidente.
Alle elezioni del 1999, nonostante il successo dell’Unione democratica di
centro (guidato dall’antieuropeista Cristoph Bloche), la situazione politica è
rimasta stabile. Il governo è impegnato a gestire in modo equilibrato le
posizioni acquisite in economia, i rapporti diplomatici e commerciali con i
maggiori partner, cercando di evitare l’isolamento internazionale del Paese.
Tra gli elettori svizzeri continua a prevalere una posizione di cautela e
diffidenza nei confronti dell’Unione Europea. Dopo il referendum del 2000,
nel quale la maggioranza degli elettori si era espressa a favore del
rafforzamento dei legami con l’UE, un nuovo referendum nel 2001 ha
bocciato la proposta di iniziare subito le trattative per un formale ingresso
nell’Unione.
Il livello culturale e di sicurezza sociale è molto alto. L’istruzione
obbligatoria, gestita dai Comuni e dai Cantoni, dura 9 anni e si divide in un
ciclo primario e in uno secondario inferiore. Vi sono programmi assicurativi
obbligatori per tutti i lavoratori dipendenti; non vi è, infine, un sistema
sanitario nazionale, l’assicurazione privata contro le malattie è obbligatoria
per tutti i cittadini. La spesa dello Stato per l’istruzione e la sicurezza sociale
rappresenta rispettivamente il 5,7% e il 29,2% del PNL (1997). Ulteriori dati
socio-politici sono sintetizzati nella tabella sottostante (tabella 3.95).
Tabella 3.95
Principali indicatori socio-politici della Svizzera
VALORI
0,5
della 67,7
Tasso di incremento demografico
Popolazione urbana in %
popolazione totale
Spesa pubblica per istruzione % sul PNL 5,7
Spesa pubblica per sanità % sul PNL
7,1
Indice di sviluppo umano
0,915 (13°)
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
200
ANNO
1999
2000
1997
1998
2002
3.14.2 Quadro economico e principali variabili
La Svizzera è caratterizzata da un’economia aperta e presenta uno dei più
elevati tenori di vita del mondo.
Per quanto riguarda il settore primario, le principali colture sono i cereali, la
barbabietola da zucchero e le patate. L’allevamento è molto sviluppato, in
particolare quello bovino. I bovini vengono allevati non tanto per la carne,
quanto per la produzione di latte, utilizzato in buona parte nella fabbricazione
della cioccolata. Povero di materie prime (possiede solamente miniere di sale e
ferro), il Paese ha fondato la sua prosperità sul settore secondario, tecnicamente
avanzato e dotato di una manodopera estremamente specializzata, e sui servizi,
in particolare sul turismo e sul settore bancario. Malgrado sia generalmente
diversificata, l’economia svizzera è particolarmente vitale in alcuni settori come
quello chimico e farmaceutico, i macchinari, gli orologi, gli strumenti di
precisione ed i servizi finanziari. Uno dei punti di forza dell’industria svizzera è
quello di aver saputo sfruttare i settori di nicchia: concentrando la produzione su
prodotti e servizi ad alto valore aggiunto, sono stati superati i problemi di
competitività derivanti dall’elevato costo del lavoro e dalla rigidità del mercato.
Il settore dei prodotti esportabili è oggi molto vitale, mentre il settore agricolo e
l’industria edile stanno lentamente aprendosi alle forze di mercato.
Nel 2000 la crescita della Svizzera si è ridotta (tra il 2 ed il 3%), tuttavia,
hanno manifestato lo stesso andamento anche i tassi d’inflazione (inferiori
del 2%). Il Paese possiede, quindi, una congiuntura economica favorevole,
sostenuta dalla flessibilità del mercato del lavoro, dal buon andamento dei
consumi e dalla politica monetaria della banca centrale, tesa ad equilibrare il
franco svizzero rispetto all’euro e al dollaro. I principali dati economici
disponibili sono contenuti nella tabella 3.96.
Tabella 3.96
Dati economici fondamentali
PIL in $ a prezzi correnti (mld)
Tasso di crescita reale (%)
Tasso di inflazione (%)
Tasso di disoccupazione
Riserve internazionali in $ (mld)
1999
3,2
1,5
0,8
2,7
36,3
2000
4,2
3,1
1,6
1,8
32,3
2001
4,5
0,9
1
1,7
32
2002
4,9
0
0,6
2,5
40,2
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
3.14.3 Analisi della domanda potenziale
I consumi e gli investimenti sono i principali indicatori che ci consentono di
stimare sommariamente l’andamento della domanda potenziale. Per quanto
riguarda la Svizzera, i dati disponibili sono contenuti nella tabella 3.97.
201
Tabella 3.97
Indicatori della domanda potenziale
Destinazione del PIL (%)
Consumi privati
Consumi pubblici
Investimenti
2001
60,7
13,3
n.d.
Fonte: sito della Banca Mondiale www.worldbank.org
3.14.4 Relazioni con l’estero
Nel quadriennio 1999-2002, la Svizzera risulta avere un saldo della bilancia
commerciale in attivo (tabella 3.98).
Tabella 3.98
Principali indicatori di commercio estero
Importazioni in $ correnti (mld)
Esportazioni in $ correnti (mld)
Saldo
1999
91,8
-91
0,8
2000
94,8
-92,7
2,1
2001
95,8
-94,3
1,6
2002
102,7
-94,1
8,6
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
Nel 2002, i principali paesi di importazione della Svizzera sono: Germania
(32,3%), Italia (10,8%), Francia (10,4%), Stati Uniti (5,3%) e Regno Unito
(4,7%). I prodotti importati appartengono ai comparti dei prodotti chimici
(22,1% sul totale importazioni), delle macchine e dell’elettronica (21,5%),
degli autoveicoli (10,4), degli orologi e strumenti di precisione (6,6%), dei
prodotti tessili, dell’abbigliamento e calzature (7%). L’Italia occupa il quarto
posto come destinazione delle esportazioni svizzere ed il terzo posto come
fornitore del Paese. La Svizzera rappresenta un mercato molto importante
per le esportazioni italiane, sia per il loro valore globale, sia per la notevole
diversificazione delle merci richieste. L’interscambio commerciale tra
Italia e Svizzera (tabella 3.99) è andato aumentando negli ultimi anni in
misura progressiva, sia dal lato delle esportazioni sia da quello delle
importazioni. Nel biennio 2000-01 la nostra bilancia commerciale con la
Svizzera è risultata in attivo, ma nel 2002 il nostro saldo commerciale ha
oscillato verso il deficit (-363 milioni di euro) in seguito ad una riduzione
rilevante delle nostre esportazioni congiunta ad una crescita costante delle
nostre importazioni. Le principali voci delle esportazioni italiane risultano
molto vitali: i prodotti farmaceutici e prodotti chimici e botanici per usi
medicinali, che rappresentano la prima categoria, sono passati dai 627
milioni di euro del 2000 ad 1 miliardo nel 2002 (+60%). Seguono gli articoli
di abbigliamento e accessori che passano dai 512 milioni di euro del 2000 ai
202
681 del 2002. Altre voci importanti sono i mobili, le calzature, i prodotti
chimici di base e gli autoveicoli. Dal lato delle importazioni, i metalli di base
preziosi e non ferrosi, con i metalli placcati o ricoperti di metalli preziosi,
sono la voce principale con 2,4 miliardi di euro nel 2002, in aumento rispetto
ai 2 miliardi del 2000. Seguono i prodotti farmaceutici e i prodotti chimici e
botanici per usi medicinali con 1,5 miliardi di euro nel 2002 (da 917 milioni
del 2000) e l’energia elettrica, che in due anni è diventata la terza categoria
del nostro import (732 milioni di euro nel 2002). Altre voci importanti sono
gli orologi e i prodotti chimici di base.
Tabella 3.99
Interscambio commerciale Italia – Svizzera
Esportazioni in Euro
Importazioni in Euro
Saldo
2000
8.626.724.542
8.446.629.522
180.095.020
2001
9.839.999.488
9.604.442.325
235.557.163
2002
9.361.312.435
9.724.575.575
-363.263.140
Fonte: sito delle camere di commercio italiane www.globus.camcom.it
3.14.5 Rischio Paese
La SACE colloca la Svizzera nella prima categoria su sette (1 minor rischio;
7 maggior rischio)8. In base alle caratteristiche politiche, sociali ed
economiche la Svizzera può essere considerata, quindi, come un Paese a
rischio molto basso.
8
Dati aggiornati a settembre 2003.
203
CAPITOLO IV
SELEZIONE FINALE DEI MERCATI DI SBOCCO
4.1
Il ruolo della concorrenza
Il capitolo precedente ci ha permesso di esaminare e comprendere nel
dettaglio le caratteristiche dei tredici paesi selezionati alla conclusione della
prima fase di questa ricerca. Prima di proseguire e scegliere un numero
ristretto di paesi verso i quali le aziende di Montebelluna dovrebbero
indirizzare le loro esportazioni, è necessario fare qualche premessa.
Per prima cosa, le aziende interessate a questo processo di
internazionalizzazione dovrebbero realizzare un’analisi dettagliata ed
accurata del sistema competitivo che potrebbero incontrare una volta
insediate nel singolo Paese. Il sistema competitivo è quella parte di ambiente
economico nel quale le imprese attuano la gestione e si misurano con la
concorrenza. Esso “costituisce quella parte di ambiente che più direttamente
interagisce con l’impresa, in quanto composto da tutti gli attori che in vario
modo e in diversa natura contrastano o collaborano rispetto alla
realizzazione dei disegni aziendali. Nell’ambiente competitivo si sviluppano,
infatti, comportamenti antagonistici e comportamenti cooperativi che
coinvolgono le singole organizzazioni. I loro dirigenti, pur nella
consapevolezza che non è sufficiente assumere informazioni per scegliere la
strada più adatta a raggiungere gli obiettivi connessi alla mission aziendale,
non possono ignorare la configurazione che va assumendo l’ambiente
competitivo e, a questa conoscenza, nei modi più diversi e con differente
consapevolezza, dedicano parte del loro tempo”9. L’analisi del sistema
competitivo permette, dunque, di definire il fenomeno della «competizione»
o «concorrenza» come “una situazione nella quale due o più soggetti (i
concorrenti) perseguono simultaneamente obiettivi ottenibili in via esclusiva
da uno, o pochi, di loro; l’elemento essenziale che caratterizza una relazione
competitiva è, dunque, il fatto che il raggiungimento del proprio obiettivo da
parte di uno qualsiasi dei concorrenti pregiudica in tutto o in parte il
successo degli altri”10.
Il tema della struttura e della dinamica dei sistemi competitivi è, per questo,
significativo ai fini sia delle analisi, sia delle decisioni di governo e di
direzione dell’azienda, soprattutto nel caso in cui essa decida di
9
Rispoli M., Sviluppo dell’impresa e analisi strategica, cit., p. 70.
Volpato G., La gestione d’impresa, cit., p. 899.
10
205
intraprendere la strada dell’internazionalizzazione. Infatti, la scelta del
sistema competitivo in cui operare costituisce un insieme articolato di
decisioni fondamentali; si stabilisce, appunto, l’estensione delle
combinazioni economiche dell’azienda in termini di area geografica, di
gamma di prodotti, di categorie di clienti, di grado di integrazione verticale,
di concorrenti diretti, e così via.
La definizione da parte di un’impresa del suo sistema competitivo le
permette di stabilire, perciò, la presenza e l’entità del suo vantaggio
competitivo che, secondo Porter, “nasce fondamentalmente dal valore che
un’azienda è in grado di creare per i suoi acquirenti, che fornisca risultati
superiori alla spesa sostenuta dall’impresa per crearlo. Il valore è quello che
gli acquirenti sono disposti a pagare: un valore superiore dunque deriva
dall’offrire prezzi più bassi della concorrenza per vantaggi equivalenti, o dal
fornire vantaggi unici che controbilancino abbondantemente un prezzo più
alto”11.
Di conseguenza, sistema competitivo e vantaggio competitivo sono due temi
strettamente connessi l’uno con l’altro, che si completano a vicenda e che
risultano fondamentali nel momento in cui un’azienda decide di instaurare
rapporti con l’ambiente esterno. Per questi motivi, i due temi sopra esposti
dovrebbero essere oggetto di analisi attenta da parte delle stesse aziende, sia
attraverso lo studio “a tavolino” del fenomeno, sia inviando direttamente sul
posto personale specializzato dell’azienda, con lo scopo di esaminare in quel
determinato contesto la presenza di concorrenti e di condizioni favorevoli o
meno.
In un contesto come quello del distretto montebellunese, poi, la
comprensione e “l’estensione dell’ambito competitivo ha un effetto diretto
sul vantaggio competitivo di un’impresa in quanto dà forma non tanto alla
configurazione e alle caratteristiche economiche della catena del valore
dell’impresa, ma soprattutto al sistema del valore, inteso come insieme
interconnesso delle catene del valore di tutti gli attori con i quali l’impresa
sviluppa dei rapporti (fornitori di beni, servizi, clienti, consumatori finali,
ecc.)”12.
Per facilitare questo compito, di seguito vengono esposti dati e tabelle
relative alla concorrenza mondiale ed alla posizione dell’Italia nel settore
delle calzature sportive, degli scarponi da sci, snowboard e trekking.
11
12
Porter M.E., Il vantaggio competitivo, Edizioni Comunità, Milano, 1988, p. 9.
Rispoli M., Sviluppo dell’impresa e analisi strategica, cit., p. 342.
206
Tabella 4.1
Concorrenza mondiale per le calzature sportive
MERCATI DINAMICI
POSIZIONAMENTO
DEBOLE POSIZIONAMENTO
FORTE
DELL’ITALIA
DELL’ITALIA
Quota in Quota
Quota
in Quota in Quota
Quota in
crescita
stabile
flessione
crescita
stabile
flessione
Francia
Regno Unito Austria
Belgio
Lussemburgo
Paesi Bassi
Australia
MERCATI IN CRESCITA MODERATA
POSIZIONAMENTO
DEBOLE POSIZIONAMENTO
DELL’ITALIA
DELL’ITALIA
Quota in Quota
Quota
in Quota in Quota
crescita
stabile
flessione
crescita
stabile
Stati Uniti
Canada
Austria
MERCATI MENO DINAMICI
POSIZIONAMENTO
DEBOLE POSIZIONAMENTO
DELL’ITALIA
DELL’ITALIA
Quota
in Quota
Quota
in Quota in Quota
crescita
stabile
flessione
crescita
stabile
Giappone
Spagna
Hong Kong
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
207
FORTE
Quota
in
flessione
Francia
FORTE
Quota
in
flessione
Germania
Tabella 4.2
Principali paesi importatori di calzature sportive (valori in
milioni di dollari americani)
Paesi
1998
1999
2000
2001
2002
Var.
%13
199802
Quota
%
1998
Quota
%
2002
Stati Uniti
Regno Unito
Italia
Belgio/Luss.
Francia
Giappone
Paesi Bassi
Germania
Spagna
Hong Kong
Canada
Australia
Austria
Taiwan
Messico
Irlanda
Portogallo
Danimarca
Svizzera
Corea Sud
Importazioni
mondiali14
501
287
269
224
239
360
90
245
209
197
92
44
37
15
15
31
34
23
28
8
601
296
290
266
194
358
140
199
141
114
102
48
35
16
15
32
31
21
24
7
655
237
307
225
239
346
164
176
138
124
119
52
39
28
20
30
24
25
26
15
626
289
300
312
276
340
169
188
142
104
115
50
49
31
26
32
28
28
27
18
521
336
334
313
312
306
199
193
141
126
92
73
52
40
35
35
33
33
27
25
0,9
4,0
5,5
8,7
6,9
-4,0
22,0
-5,8
-9,5
-10,6
0,1
13,7
8,7
28,2
24,1
2,9
-0,7
9,6
-0,8
33,1
14,3
8,2
7,7
6,4
6,8
10,3
2,6
7,0
6,0
5,6
2,6
1,2
1,1
0,4
0,4
0,9
1,0
0,6
0,8
0,2
13,3
8,6
8,5
8,0
7,9
7,8
5,1
4,9
3,6
3,2
2,3
1,9
1,3
1,0
0,9
0,9
0,8
0,8
0,7
0,6
3.512
3.447
3.596
3.811
3.925
2,8
100
100
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
13
14
Media geometrica degli incrementi annuali
Le importazioni mondiali sono ottenute sommando al valore delle importazioni
dei paesi dichiaranti il valore delle loro esportazioni verso i paesi non dichiaranti,
dopo aver diviso queste ultime per 0,95.
208
Grafico 4.1
Andamento della domanda mondiale di calzature sportive
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Dall’analisi della tabella 4.1, si può notare la presenza dell’Italia nei mercati
esteri che, in precedenza15, abbiamo definito come destinazioni “classiche”
delle esportazioni del distretto montebellunese. Oltre a questi, nella tabella
4.2, notiamo la presenza di alcuni mercati già selezionati che rientrano nella
categoria dei paesi con maggior potenziale. Infine, il grafico 4.1 mostra
l’andamento crescente della domanda mondiale di calzature sportive, dato
incoraggiante per le future esportazioni delle aziende del distretto. A livello
globale, l’Italia si colloca come quinto Paese esportatore di calzature
sportive, preceduto dalla Cina, da Belgio e Lussemburgo, dall’Indonesia e
dalla Tailandia (tabella 4.3 e grafico 4.2).
15
Si confronti cap.1.1.
209
Tabella 4.3
Principali paesi esportatori di calzature sportive (valori in
milioni di dollari americani)
Paesi
1998
2000
2001
2002
Var.
%16
199802
Quota
%
1998
Quota
%
2002
Cina
972
873
1.143
Belgio/Luss. 577
570
526
Indonesia
317
409
465
Tailandia
205
162
215
Italia
230
183
166
Paesi Bassi
37
83
66
Francia
50
58
47
Spagna
51
71
67
Regno Unito 43
40
36
Stati Uniti
80
71
95
Germania
60
52
43
Filippine
84
51
35
Taiwan
39
32
31
Austria
11
8
8
Corea Sud
75
80
68
Malaysia
8
8
13
Brasile
13
10
15
Danimarca
4
3
5
Portogallo
7
5
4
Svezia
2
2
2
Esportazioni
mondiali17
3.239 3.510 3.740
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
1.439
654
393
238
153
156
49
54
39
58
44
43
32
12
52
16
21
5
5
2
1.666
679
242
197
149
108
52
50
19
18
17
35
30
26
19
17
14
9
5
5
14,4
4,1
-6,5
-1,0
-10,2
31,0
0,9
-0,4
3,5
-12,1
-5,6
-19,4
-6,4
24,9
-28,6
21,6
3,4
24,9
-8,1
26,2
30,0
17,8
9,8
6,3
7,1
1,1
1,5
1,6
1,3
2,5
1,8
2,6
1,2
0,3
2,3
0,2
0,4
0,1
0,2
0,1
38,3
15,6
5,6
4,5
3,4
2,5
1,2
1,1
1,1
1,1
1,1
0,8
0,7
0,6
0,4
0,4
0,3
0,2
0,1
0,1
4.255
4.345
7,6
100
100
16
17
1999
Media geometrica degli incrementi annuali
Le esportazioni mondiali sono ottenute sommando al valore delle importazioni dei
paesi dichiaranti il valore delle loro esportazioni verso i paesi non dichiaranti,
dopo aver diviso queste ultime per 0,95.
210
Grafico 4.2
Valore delle esportazioni italiane di calzature sportive
rispetto alla domanda mondiale (in milioni di dollari USA)
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
I dati finora esposti riguardavano le calzature sportive in generale, ad
eccezione degli scarponi da sci, da snowboard e da trekking, che verranno di
seguito analizzati utilizzando i criteri sopra illustrati.
Tabella 4.4
trekking
Concorrenza mondiale per gli scarponi da sci, snowboard e
POSIZIONAMENTO
DELL’ITALIA
Quota in Quota
crescita
stabile
Corea del
Sud
MERCATI DINAMICI
DEBOLE POSIZIONAMENTO
DELL’ITALIA
Quota in Quota in Quota
flessione
crescita
stabile
Austria
Spagna
Hong Kong
Taiwan
MERCATI IN CRESCITA MODERATA
POSIZIONAMENTO
DEBOLE POSIZIONAMENTO
DELL’ITALIA
DELL’ITALIA
Quota in Quota
Quota
in Quota in Quota
crescita
stabile
flessione
crescita
stabile
211
FORTE
Quota
in
flessione
Francia
Regno Unito
Belgio
Lussemburgo
FORTE
Quota
in
flessione
MERCATI MENO DINAMICI
POSIZIONAMENTO
DEBOLE POSIZIONAMENTO
DELL’ITALIA
DELL’ITALIA
Quota in Quota
Quota
in Quota
in Quota
crescita
stabile
flessione
crescita
stabile
Canada
Germania
FORTE
Quota
in
flessione
Stati Uniti
Giappone
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Tabella 4.5
Principali paesi importatori di scarponi da sci, snowboard e
trekking (valori in milioni di dollari americani)
Paesi
1998
1999
2000
Stati Uniti
307
261
279
Francia
154
154
150
Regno Unito 117
110
107
Canada
155
147
157
Italia
151
112
112
Germania
178
132
127
Corea Sud
25
32
56
Spagna
58
73
80
Austria
59
62
64
Giappone
97
113
85
Hong Kong
39
52
62
Belgio/Luss. 50
51
49
Taiwan
33
22
22
Paesi Bassi
31
39
40
Australia
27
28
29
Svizzera
35
39
32
Norvegia
22
24
22
Svezia
26
21
22
Cile
6
3
6
Danimarca
12
11
10
Importazioni
mondiali19
1.943 1.821 1.862
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
18
19
2001
Quota
2002 Var.
%18
%
1998-02 1998
263
172
115
162
107
135
68
88
54
67
60
50
24
45
24
33
20
19
6
10
242
177
149
148
126
96
90
80
66
64
54
52
41
38
36
32
29
25
17
17
1.901
1.983 0,5
-5,8
3,4
6,1
-1,1
-4,1
-14,3
38,1
8,2
2,9
-9,8
8,3
1,1
5,1
5,3
7,4
-2,1
7,2
-0,6
29,4
8,1
Quota
%
2002
15,8
7,9
6,0
8,0
7,8
9,1
1,3
3,0
3,0
5,0
2,0
2,6
1,7
1,6
1,4
1,8
1,1
1,3
0,3
0,6
12,2
8,9
7,5
7,5
6,4
4,8
4,5
4,0
3,3
3,2
2,7
2,6
2,1
1,9
1,8
1,6
1,5
1,3
0,9
0,9
100
100
Media geometrica degli incrementi annuali
Le importazioni mondiali sono ottenute sommando al valore delle importazioni
dei paesi dichiaranti il valore delle loro esportazioni verso i paesi non dichiaranti,
dopo aver diviso queste ultime per 0,95.
212
Grafico 4.3
Andamento della domanda mondiale di scarponi da sci,
snowboard e trekking
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Come per le calzature sportive, anche per gli scarponi da sci, snowboard e
trekking, si può notare la presenza dell’Italia in alcuni dei mercati “classici”
delle esportazioni del distretto (tabella 4.4). Inoltre, nella tabella 4.5,
osserviamo la presenza di alcuni mercati appartenenti già alla categoria dei
paesi con maggior potenziale. Il grafico 4.3 illustra, poi, l’andamento prima
crescente, ma attualmente decrescente, della domanda mondiale di scarponi
da sci, snowboard e trekking. In questo comparto, l’Italia si colloca a livello
mondiale come terzo Paese esportatore, preceduto dalla Cina e
dall’Indonesia (tabella 4.6 e grafico 4.4).
Tabella 4.6
Principali paesi esportatori di scarponi da sci, snowboard e
trekking (valori in milioni di dollari americani)
Paesi
1998
1999
2000
2001
2002
Quota
Var.
%20
%
1998-02 1998
Quota
%
2002
Cina
Indonesia
Italia
Tailandia
Francia
1.227
575
450
345
116
1.210
785
424
289
115
1.319
795
418
228
99
1.346
774
401
225
99
1.373
625
417
236
107
2,8
2,1
-1,9
-6,5
-2,0
38,3
17,4
11,6
7,3
3,0
20
Media geometrica degli incrementi annuali
213
35,0
16,4
12,8
9,8
3,3
87
77
88
Germania
67
82
99
Spagna
61
59
74
Stati Uniti
38
35
29
Austria
38
38
Belgio/Luss. 48
35
34
11
Paesi Bassi
33
34
Regno Unito 42
32
52
81
Taiwan
7
8
8
Portogallo
5
4
4
Brasile
3
4
7
Malaysia
6
2
3
Danimarca
4
4
4
Svezia
25
25
29
Corea Sud
5
4
4
Irlanda
Esportazioni
mondiali21
3.505 3.576 3.612
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
2,6
-6,9
-14,4
7,7
-6,5
32,3
-6,7
-30,1
0,6
23,3
-0,7
18,5
8,0
-36,2
-0,3
90
70
49
41
41
44
36
21
10
7
4
4
4
11
4
98
74
40
39
37
33
32
19
8
8
7
7
6
5
4
3.613
3.586 0,6
2,5
2,8
2,1
0,8
1,4
0,3
1,2
2,3
0,2
0,1
0,2
0,1
0,1
0,8
0,1
2,7
2,1
1,1
1,1
1,0
0,9
0,9
0,5
0,2
0,2
0,2
0,2
0,2
0,1
0,1
100
100
Grafico 4.4
Valore delle esportazioni italiane di scarponi da sci,
snowboard e trekking rispetto alla domanda mondiale (in milioni di dollari
USA)
Fonte: sito dell’ICE: www.ice.it
Concludendo, in base ai grafici e alle tabelle sopra esposte, l’Italia risulta
essere uno dei principali paesi esportatori di calzature sportive. In
particolare, il distretto di Montebelluna costituisce un centro calzaturiero di
21
Le esportazioni mondiali sono ottenute sommando al valore delle importazioni dei
paesi dichiaranti il valore delle loro esportazioni verso i paesi non dichiaranti,
dopo aver diviso queste ultime per 0,95.
214
importanza mondiale, nel quale vengono realizzati il 25% dei pattini in linea,
il 50% delle scarpe da montagna tecniche, il 65% dei doposci, il 75% degli
scarponi da sci e l’80% degli stivali da motociclismo rispetto al totale
mondiale.
Nonostante l’importanza di questi dati, il distretto deve, comunque, fare i
conti con il fenomeno della concorrenza, seppure un numero contenuto di
paesi, provenienti soprattutto dalla regione asiatica, generalmente nota per la
bassa qualità delle merci prodotte.
215
4.2
Selezione conclusiva dei paesi
Prima di indicare quali sono, a nostro avviso, i paesi verso i quali le aziende
di Montebelluna potrebbero indirizzare le loro esportazioni, si ritiene
necessario premettere che tale selezione non ha pretese di essere esaustiva ed
assoluta. Ciò significa che le aziende non dovrebbero escludere a priori i
tredici paesi precedentemente individuati, per indirizzarsi solamente verso
quelli che indicheremo di seguito. Molto dipende, infatti, dal tipo di prodotto
che l’azienda intende esportare, dall’andamento della domanda, dalle
modalità di ingresso nel mercato, dal metodo di comunicazione utilizzato e
da molte altre variabili ancora. Di conseguenza, ciascuna azienda dovrebbe
rendere soggettivo lo studio finora effettuato, adattandolo alle proprie
caratteristiche interne ed alle strategie che intende adottare. Ciò non toglie
che, i paesi che andremo ad indicare, siano una valida alternativa ai classici
mercati di esportazioni del distretto.
Innanzitutto, si ritiene fondamentale osservare e comparare il grado di
rischiosità dei paesi selezionati nella seconda fase della ricerca, in modo da
averne una visione complessiva (grafico 4.5). Il grafico mostra come
l’Argentina e la Nigeria siano i paesi che presentano il rischio massimo,
seguiti dalla Federazione Russa, il cui valore è 4. Il rischio Paese è, invece,
basso se consideriamo il Cile, la Cina, la Corea del Sud e la Polonia, risulta
minimo, infine, per i restanti paesi, ossia per l’Australia, la Finlandia, la
Norvegia, i Paesi Bassi, la Svezia e la Svizzera.
A questo punto, per motivi precauzionali, i paesi finali verranno scelti tra
quelli che presentano un rischio basso o molto basso. Questo non esclude
che alcune aziende potrebbero avere dei vantaggi nell’esportare proprio in
quei paesi dove il grado di rischiosità è massimo, di conseguenza, ancora
una volta, si ribadisce la soggettività di quest’ultima fase di selezione dei
mercati. I paesi che verranno indicati erano stati precedentemente identificati
come destinatari per uno o più specifici prodotti del distretto; questo viene
confermato, ma non esclude che, con le strategie giuste, in quel mercato sia
possibile esportare altre tipologie di prodotti.
217
Grafico 4.5
Confronto tra il grado di rischiosità dei paesi22
7
6
Rischio Paese
5
4
3
2
1
era
Svizz
Cina
Core
a de
l Sud
Finla
ndia
Nige
ria
Norv
egia
Paes
i Bas
si
Polo
nia
Fed.
Russ
a
Svez
ia
Cile
Arge
ntina
Aust
ralia
0
Il primo Paese che, a nostro avviso, potrebbe essere destinatario delle
esportazioni montebellunesi è l’Australia. Questo Paese presenta un grado
di rischiosità minimo, derivante dalla sua stabilità politica, sociale ed
economica e, considerando la sua posizione nel quadro della concorrenza
mondiale delle calzature sportive, risulta essere un mercato dinamico per
l’Italia. Le sue caratteristiche, già analizzate nel capitolo precedente, hanno
evidenziato la sua prosperità dal punto di vista economico e la crescente
importanza come punto di riferimento per l’area del Pacifico. Le previsioni
per il 2004 confermano quanto detto finora. Infatti, è attesa una solida
domanda esterna di beni australiani, combinata con una nuova espansione
della crescita del settore agricolo, come conseguenza dei sussidi legati alla
siccità, che dovrebbe riportare la crescita del PIL nuovamente intorno al
3,5%. Si prevede, poi, il rafforzamento del dollaro australiano che dovrebbe,
inoltre, contribuire a contenere l’inflazione, mentre la bilancia commerciale
dovrebbe segnare ancora saldi negativi (tabella 4.7).
22
L’analisi della rischiosità viene fatta sui dati provenienti dalla SACE
(www.globus.camcom.it) e da Dun & Bradstreet (www.ice.it). Il valore 1
rappresenta il grado di rischio minimo, mentre il valore 7 quello massimo.
218
Tabella 4.7
Previsioni per l’Australia (anno 2004)
Variazione % del PIL
Inflazione
Bilancia Commerciale (in miliardi di US$)
• esportazioni fob
• importazioni fob
Saldo
2004
3,5
2,4
83,1
78,5
-4,6
Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit, ottobre 2003, tratto dal sito delle camere
di commercio italiane www.globus.camcom.it
Il motivo della scelta dell’Australia come primo Paese con maggiore potenziale
consiste nel fatto che uno dei settori più promettenti in questo mercato è quello
delle calzature. Avviate con 506 milioni di dollari nel ‘99, le importazioni del
settore sono aumentate fino ai 561 milioni registrati nel 2002, anno che ha fatto
segnare un netto incremento sul precedente (+15,4%). Di conseguenza, la
dinamica dell’import, benché non molto sostenuta, è stata positiva (3,5%) e al di
sopra della media generale. Il mercato d’importazione delle calzature è
dominato dalla Cina che, nel 2002, ha raggiunto una quota del 59,5% al termine
di un’ascesa che non sembra conoscere soste (52,4% nel ‘99). L’Italia è il
secondo fornitore di calzature dell’Australia, ma la sua presenza appare
minacciata dal dinamismo cinese, se si considera che la quota italiana, che era
pari al 14,4% ancora nel ‘98, si è successivamente assottigliata, anno per anno,
fino a ridursi all’8,8% nel 2002; ciò ha significato un ridimensionamento anche
in termini assoluti, perché il valore delle nostre esportazioni nel settore si è
sensibilmente ridotto (da 112 a 91 milioni di dollari tra il ‘98 e il 2002)
parallelamente all’erosione della quota di mercato. Va, infine, segnalata la
crescita del Vietnam, la cui quota (4,5%) ha beneficiato di piccoli, ma
ininterrotti incrementi a partire dal ‘95 (1,3%). Questi dati, tuttavia, sono relativi
alle importazioni di calzature in generale, che non richiedono particolari finiture
o caratteristiche tecniche, elementi essenziali, invece, nelle calzature sportive.
L’Australia era già stata individuata come destinataria per le esportazioni
italiane delle scarpe da ciclismo e da tennis, per quelle da jogging/running, per le
scarpe da montagna e per il segmento luxury, ma ciò non esclude che sia un
mercato in grado di assorbire altri prodotti. L’alta qualità, la praticità, la
sofisticatezza tecnica e l’accuratezza nei particolari sono le caratteristiche
fondamentali delle scarpe sportive italiane, che soddisfano le esigenze sempre
più attente dei consumatori australiani, incontrando, oltre a questo, il loro gusto
per il made in Italy. Per questi motivi, dal nostro punto di vista, le calzature
sportive italiane non dovrebbero temere la concorrenza di quelle cinesi,
appartenenti alle fasce di prezzo più basse e, quindi, di qualità inferiore.
219
Oltre alle calzature, un altro settore promettente in Australia è quello degli
articoli di vestiario in tessuto e degli accessori. In particolare, il settore TCF
(Textile, Clothing and Footwear) sta al momento vivendo un periodo di
liberalizzazione tariffaria che dovrebbe culminare nel 2010. Per tale data, il
settore TCF dovrebbe uniformarsi al sistema tariffario del 5%, senza eccezioni
by-law e senza quote alle importazioni, già eliminate nel 1993. A partire dai
primi anni ‘90, il Governo australiano ha avviato un programma teso alla
riduzione delle barriere tariffarie ed allo smantellamento di quelle non tariffarie
per i prodotti tessili, per l’abbigliamento e per le calzature. L’obiettivo è quello
di eliminare le distorsioni e l’inefficiente utilizzo delle risorse della precedente
politica altamente protezionistica nei confronti dell’industria locale. Sul fronte
dell’import, si deve tener presente che le importazioni di capi d’abbigliamento
hanno costituito, nel 2002, circa il 50% dei beni presenti sul mercato australiano
e sono destinate a crescere insieme all’allentamento del regime tariffario. La
Cina è di gran lunga il maggiore esportatore in tale mercato, con una quota
superire all’80%, destinata soprattutto al segmento basso del mercato,
caratterizzato da articoli di modesta qualità a prezzi contenuti. L’Italia si
presenta al quarto posto con uno share poco inferiore al 5%, posizionandosi
come primo Paese occidentale. Si ritiene che i capi d’abbigliamento e gli
accessori sportivi montebellunesi possano essere posizionati con successo nella
fascia media di mercato, che rappresenta il segmento decisamente più grande e
variegato per tipologia di beni offerti e prezzi proposti. Al momento, è da
escludere, infine, il segmento exclusive, in quanto l’Australia è un mercato
marginale per i beni di lusso. Ciò non è dovuto all’assenza di ceti sociali
particolarmente facoltosi, anzi, ma ad una concezione della spesa in vestiario
non come spesa di lusso.
L’Australia, quindi, sembra essere un Paese che presenta buone potenzialità
e nel quale si vedono allettanti prospettive per le merci provenienti
dall’Italia, in particolar modo per quelle appartenenti allo sport system di
Montebelluna, che potrebbero, in maniera piuttosto agevole, incontrare e
soddisfare le sofisticate esigenze dello sportivo australiano. Tali aziende
potrebbero avvantaggiarsi, poi, delle similitudini esistenti tra la cultura
australiana e quella occidentale, per esempio, potrebbero utilizzare strategie
di marketing similari. L’Australia, infatti, pur con le sue specificità, presenta
caratteri squisitamente occidentali, fatto essenziale che potrebbe portare
grandi vantaggi, ad esempio in termini di risparmi di costi, come quelli di
ricerca e sviluppo, per le aziende del distretto.
Il secondo mercato che potrebbe essere il destinatario delle esportazioni del
distretto di Montebelluna è la Corea del Sud. Nel quadro della concorrenza
mondiale per gli scarponi da sci, snowboard e trekking tale Paese risulta
essere per l’Italia un mercato dinamico ed in crescita. Esso presenta un grado
di rischiosità basso, derivante soprattutto dalla forte espansione economica
220
registrata a partire dagli anni ‘60 e tuttora in corso. L’elezione del nuovo
Presidente Roh Moo-hyun ha causato tensioni dal punto di vista politico, ma,
nonostante questo, le prospettive economiche sono favorevoli e confermano
la Corea del Sud come tredicesima economia mondiale e terza orientale dopo
Cina e Giappone. Secondo le previsioni dell’Economist Intelligence Unit
(tabella 4.8), il PIL reale crescerà del 4,3% nel 2004, stabilizzandosi su
questo livello di crescita anche nel 2005. L’andamento della domanda
interna nel breve periodo è in parte negativo, a causa delle aspettative
pessimistiche sia dei consumatori sia degli imprenditori, in parte positivo,
grazie agli effetti derivanti dalla recente riforma fiscale, che prevede tagli di
imposte e spese pubbliche.
Le esportazioni di beni e servizi registreranno una crescita consistente nel
corso del 2004, anche se il tasso di crescita sarà contenuto in termini di
media annuale. Ciò sarà favorito dalla ripresa del mercato statunitense, dalla
rapida espansione della Cina e dal rafforzamento della recente ripresa in
Giappone: nel 2002, questi tre mercati rappresentano, insieme, quasi la metà
dei proventi delle esportazioni della Corea del Sud. L’ulteriore ripresa del
commercio mondiale, prevista per il 2005, dovrebbe accrescere
ulteriormente il volume delle vendite sud coreane durante l’anno. Tuttavia,
parte di tale ripresa sarà frenata dal consistente apprezzamento del won
contro il dollaro USA, che eroderà lentamente la competitività del Paese,
nonché dal crescente spostamento della capacità di esportazione della Corea
verso altri paesi, soprattutto la Cina. In particolare, la tendenza verso l’alto
della valuta coreana sarà stimolata da consistenti flussi finanziari (che nel
2005 compenseranno di molto il deficit dei conti correnti) e dalle contenute
pressioni inflazionistiche. Un consistente livello di riserve estere contribuirà
a sostenere la stabilità della valuta, che in termini reali si apprezzerà
modestamente nel 2004-05, ma rimarrà comunque più debole del 25-30%
rispetto agli anni immediatamente precedenti alla crisi finanziaria del ‘97-98.
Tabella 4.8
Previsioni per la Corea del Sud (anni 2004 e 2005)
2004
Tasso di crescita reale (%)
Inflazione (%)
Tasso di crescita della produzione industriale (%)
Bilancia Commerciale (in miliardi di US$)
• esportazioni fob
• importazioni fob
Saldo
4,3
2,1
2,7
2005
4,3
2,6
3,9
194,8
186,6
8,2
207,1
200,7
6,4
Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit, ottobre 2003, tratto dal sito delle camere
di commercio italiane www.globus.camcom.it
221
Come specificato precedentemente23, la Corea del Sud rappresenterebbe il
mercato ideale dove esportare la produzione di pattini da ghiaccio del
distretto di Montebelluna appartenente alla fascia di prezzo media, tuttavia,
dato l’andamento del comparto calzature all’interno di tale mercato, si ritiene
che quest’ultimo potrebbe essere uno sbocco attraente anche per l’intero
comparto delle calzature sportive.
In generale, in Corea del Sud il mercato delle calzature rappresenta il 33%
del settore cuoio e prodotti in cuoio ed evidenzia una dinamica di crescita
media rilevante (+27,9), superiore alla media del settore (22,7). Ciò è
dimostrato dal fatto che il valore delle importazioni si è portato da 192 a 403
milioni di dollari nell’ultimo quadriennio. Leader nel comparto è la Cina,
sebbene la sua presenza sul mercato sia diminuita dal 58% al 50,9%. Di tale
andamento ha beneficiato l’Italia, (nonostante i target di riferimento della
clientela siano antitetici tra i due paesi), che ha raddoppiato la propria quota,
dal 7,9% al 14,8%; seguono a grande distanza paesi come il Vietnam (4,7%),
gli Stati Uniti (2%), l’India e la Francia. I dati Istat confermano la buona
performance in atto per l’Italia, registrando una crescita dell’export del
nostro Paese quantificato nel 2,8% (23,3 milioni di Euro nel primo semestre
del 2003 contro i 22,7 milioni del 2002). I prodotti di punta del made in Italy
nel settore sono, soprattutto, le calzature con suola esterna e tomaia di
gomma e plastica che, nel 2003, hanno registrato un fatturato pari a 5,6
milioni di Euro (+11,7 rispetto al 2002).
L’andamento delle esportazioni italiane relative agli articoli di
abbigliamento, a differenza del comparto calzature, dimostra un andamento
leggermente decrescente. Gli articoli di abbigliamento in tessuto e accessori
rappresentano il 93% del comparto abbigliamento: il valore delle
importazioni è cresciuto a un ritmo di crescita medio annuo assai sostenuto,
pari al 40%; difatti, il valore delle importazioni, aumentato costantemente
nel quadriennio, è passato da 583 milioni a 1,6 miliardi di dollari americani.
Anche in questo comparto è la Cina il leader incontrastato nella forniture
coreane: la fetta di mercato è cresciuta dal 52% a 62%. L’Italia rappresenta il
terzo Paese fornitore, con una quota in decisa flessione dal 12,5% al 9,5%; il
trend trova conferme nell’andamento del primo semestre 2003: 52,4 milioni
il fatturato registrato, in flessione del 5,5% rispetto ai 55,5 milioni del 2002.
Di conseguenza, riteniamo che, date le prospettive positive della Corea del
Sud e visto l’andamento dei due settori di nostro interesse, le aziende di
Montebelluna potrebbero indirizzare in tale Paese le esportazioni di calzature
sportive. Non è da escludere l’esportazione anche di capi di abbigliamento
sportivo, ma dato il trend negativo dimostrato da tale comparto negli ultimi
anni, un investimento in tale ambito potrebbe risultare più rischioso rispetto
23
Si veda in merito il capitolo II.
222
a quello delle calzature. Tuttavia, le aziende montebellunesi potrebbero
cercare di rilanciare tale comparto puntando sull’alta qualità ed il design che
contraddistinguono i prodotti italiani, destinando alla Corea quelli
appartenenti alla fascia di prezzo media. Così facendo l’Italia rafforzerebbe
la sua differenziazione nei confronti della Cina e dei relativi prodotti,
considerati di qualità inferiore e destinati alla fascia di mercato più bassa.
Il terzo ed ultimo Paese che intendiamo suggerire quale mercato di sbocco
per la produzione del distretto è la Polonia. Nel quadro della concorrenza
mondiale delle calzature sportive tale Paese non rientra tra i mercati
dinamici, tuttavia riteniamo possa essere estremamente appetibile ed avere
buone potenzialità di sviluppo economico e sociale. La Polonia, infatti, a
partire dal primo maggio 2004, è entrata a far parte dell’Unione Europea. La
sua importanza strategica nel processo di allargamento comunitario è
confermata nei fatti dagli stanziamenti che l’UE assegna a questo Paese e
che ammontano a ben 17,5 miliardi di Euro nel triennio 2004-2006, pari al
45% del totale destinato ai dieci paesi dell’adesione. Per il periodo 20002006 i programmi ISPA e SAPARD mettono a disposizione 3,7 miliardi di
Euro a fondo perduto, per investimenti, formazione, nonché creazione e
applicazione di standard produttivi europei. Attualmente, il problema
contingente per le istituzioni polacche è quello di predisporre ed approvare i
programmi per l’utilizzo di questi fondi. Fra i capitoli della negoziazione più
difficili da chiudere sono risultati quelli legati alla proprietà della terra,
soprattutto alla possibilità per soggetti comunitari di acquistare beni
immobili e terreni in Polonia, nonché quello relativo alla politica agricola
comune (PAC). Le prospettive economiche future del Paese (tabella 4.9)
prevedono un aumento della domanda interna, favorita dalla maggior fiducia
e dall’entusiasmo dei consumatori e degli imprenditori; dovrebbe verificarsi,
inoltre, un incremento nei salari del settore pubblico e nei servizi sociali. Ciò
porterebbe, nel 2004, ad un tasso di crescita del PIL del 4,2%. Anche le
condizioni finanziare del settore industriale polacco stanno gradualmente
migliorando, ponendo le condizioni essenziali per consentire agli
investimenti di tornare a crescere leggermente.
Nel complesso l’ingresso della Polonia nell’UE e le previsioni economiche
positive per i prossimi anni hanno contribuito a migliorare la stabilità del
Paese, che attualmente non presenta particolari aspetti di rischiosità
individuabili a priori e rientra, quindi, nella categoria dei paesi a rischio
basso. Di conseguenza, si tratta di un Paese che, per le caratteristiche del suo
sistema economico-finanziario, generalmente offre garanzie di solvibilità
ritenute accettabili, indipendentemente dalla natura delle controparti.
223
Tabella 4.9
Previsioni per la Polonia (anno 2004)
2004
Variazione del PIL (%)
Inflazione (%)
Bilancia Commerciale (in miliardi di US$)
• esportazioni fob
• importazioni fob
Saldo
4,2
1,7
44,8
55,9
-11,1
Fonte: EIU, Economist Intelligence Unit, ottobre 2003, tratto dal sito delle camere
di commercio italiane www.globus.camcom.it
La Polonia era stata proposta come possibile mercato di sbocco per la
categoria di articoli da noi denominata prodotti superati strategicamente
riproponibili altrove24, in particolar modo, dato il suo crescente interesse
verso il motociclismo, era stata selezionata quale Paese di destinazione delle
esportazioni degli stivali da moto. Tuttavia, riteniamo che, dato l’andamento
e la posizione occupata dall’Italia nei settori delle calzature ed in quello
dell’abbigliamento, la Polonia possa essere considerata una valida alternativa
ai tradizionali mercati di esportazioni del distretto, destinando a quest’ultima
non solo gli articoli attualmente prodotti a Montebelluna, ma anche, e
soprattutto, quelli che per il nostro mercato o per quelli tradizionali sono
considerati superati, sia dal punto di vista estetico e di design, sia da quello
tecnico. Si tratta, come precedentemente esposto, di prodotti di buona qualità
appartenenti al segmento intermedio di mercato, ciò non toglie, comunque,
che tali articoli siano adeguatamente differenziati da quelli di alta qualità, ciò
per evitare di compromettere le potenzialità successive di espansione
all’interno del mercato.
Per quanto riguarda le calzature, nel 2002 il valore delle importazioni
polacche è stato di 310 milioni, cifra che rappresenta un incremento del
27,4% rispetto all’anno precedente. L’ultimo biennio, molto positivo, ha
riscattato l’andamento negativo degli acquisti dall’estero registrato nel ‘99 (11,2%) e nel 2000 (-10,6%), che aveva spinto le importazioni al valore di
217 milioni di dollari. Nell’ambito dell’Unione Europea, la cui quota
aggregata si è ridotta di ben dieci punti percentuali negli ultimi quattro anni
(da 53,4% a 43,3%), l’Italia ha mantenuto la posizione di primo fornitore su
scala mondiale, ma dal 34% circa che aveva ottenuto nel periodo ‘99-2001 è
scesa al 30% nel 2002. I suoi concorrenti europei (nessuno dei quali
dimostra una netta crescita) restano, comunque, molto distanziati e, con la
sola eccezione della Spagna (5,1%), hanno tutti quote inferiori al 3%. Molto
24
Si confronti il paragrafo 2.4.
224
diversa è la situazione dell’Asia orientale, la cui porzione è aumentata dal
39,2% al 46,4% in quattro anni grazie alla forte spinta prodotta dal Vietnam,
salito rapidamente dall’8,6% al 16,1%, dalla Malaysia (da 0,4% a 4,3%) e da
Taiwan (da 5,6% a 7,9%), mentre l’incidenza della Cina, che ancora nel ‘98
era del 31%, è crollata al 9,6% nel 2002.
Secondo dati Istat25, in questo settore le nostre esportazioni verso la Polonia
hanno registrato un aumento da 74 a 105 milioni di Euro nel quadriennio
1999-2001. Questi dati, in particolare, rilevano un ultimo triennio di crescita
piuttosto decisa, con incrementi compresi all’incirca tra il 10% e il 17% ogni
anno.
Anche i dati relativi al settore degli articoli di abbigliamento e degli
accessori dimostrano la forte e crescente presenza delle esportazioni italiane
in Polonia. Le importazioni di tale comparto, partite da un valore di 514
milioni di dollari nel ‘99, hanno dapprima fatto registrare una netta caduta
nel 2000 (-14,5%), ma sono poi decisamente aumentate nel 2001 (+17,9%)
e, soprattutto, nel 2002 (+29,2%), anno in cui hanno sfiorato la quota di 670
milioni di dollari (1,2% dell’import polacco complessivo). La dinamica
quadriennale delle importazioni, nonostante l’iniziale flessione, è stata
positiva (+9,2%) e superiore alla media (6,3%). La Cina, la cui quota mostra
incrementi del 3-4% ogni anno, è il primo fornitore dal ‘99 e, nel 2002, si è
aggiudicata una fetta di mercato pari al 27,5%. Al secondo posto è salita la
Turchia, che si attestava su livelli molto bassi fino al 2000 (3,5%), ma che
nel 2002 ha sfiorato una quota del 12%. All’interno dell’Unione Europea,
nel 2001 l’Italia è diventata primo fornitore, sopravanzando la Germania: se
nel ‘99 le porzioni dei due paesi erano rispettivamente all’8,6% e al 14,3%,
nel 2002 l’Italia ha fatto segnare un 10,4% (un punto percentuale in meno
rispetto all’anno precedente), mentre la quota tedesca, che appare in caduta
inarrestabile, è scesa al 7,8%. L’unico altro concorrente che dimostra buon
dinamismo, con piccoli ma progressivi incrementi, è l’Ungheria (4,2% nel
2002).
I dati Istat confermano il consolidamento delle esportazioni italiane verso la
Polonia, registrando, dal 1998 al 2002, una crescita da 39 a 88 milioni di
Euro: in effetti, dal ‘98 gli incrementi annuali si dimostrano molto robusti,
oscillando tra il 17% e il 35% (+19,6% nel 2002).
Questo quadro economico, unito alle positive previsioni economiche e
finanziarie, fanno della Polonia un Paese affidabile. La vicinanza territoriale
e la recente entrata nell’Unione Europea, inoltre, rendono la Polonia un
mercato attraente per le future esportazioni del distretto. Le aziende
montebellunesi potrebbero disporre di due diverse strategie di entrata in
questo mercato. La prima potrebbe consistere nell’esportazione
25
Si veda il sito: www.istat.it.
225
contemporanea sia dei prodotti nuovi ed innovativi, posizionandoli nella
fascia alta di mercato, sia di quelli “superati”, collocandoli nella fascia bassa.
In questo modo, l’utilizzo di una politica di differenziazione del prodotto
porterebbe le aziende a coprire quasi interamente il mercato. La seconda
alternativa consisterebbe nell’introduzione in Polonia dei soli prodotti
“superati”. In questo caso, tali articoli sarebbero destinati alla sola fascia
bassa di mercato; ciò consentirebbe al made in Italy di crearsi una base di
immagine, qualità ed accettazione presso il mercato e porterebbe alla
fidelizzazione della clientela che, una volta raggiunti livelli economici più
elevati, dovrebbe continuare a manifestare la volontà di acquistare prodotti
montebellunesi, ma di qualità superiore ed appartenenti, quindi, ad una
fascia di prezzo più elevata con immagine esclusiva. Anche in questo caso,
alla fine, le aziende riuscirebbero a coprire quasi tutto il mercato polacco,
seguendo un percorso strategico che potrebbe portarle alla creazione ed al
mantenimento di un vantaggio competitivo sostenibile.
226
CONCLUSIONI
La presente ricerca è nata con lo scopo di selezionare mercati di sbocco
alternativi a quelli tradizionali per la produzione del distretto dello Sport
System di Montebelluna.
Dopo aver brevemente descritto le caratteristiche del distretto ed analizzato i
suoi punti di forza, il progetto indaga tutti i possibili mercati del mondo (208
Paesi) che teoricamente potevano avere un potenziale per le esportazioni
delle aziende montebellunesi. In questa prima fase della ricerca i paesi sono
stati analizzati dal punto di vista quantitativo e qualitativo. L’analisi
economica ci ha portati, innanzitutto, alla classificazione dei paesi in base al
loro grado di sviluppo e all’area di appartenenza geografica.
Successivamente, per ognuno di essi, è stato preso in considerazione il
reddito pro-capite, il PNL e la sua composizione, infine, il livello di
indebitamento. Secondo criteri qualitativi, invece, i paesi sono stati suddivisi
in base alla loro popolazione ed al relativo tasso di crescita annuo. Sono stati
presi in considerazione, poi, le aspettative di vita, il tasso di mortalità
infantile ed il livello di analfabetismo. Questo ci ha permesso di avere una
prima visione della situazione generale in cui versano i vari paesi e di farci
un’idea in merito alla loro potenzialità di assorbimento dei prodotti, nel caso
in cui venissero selezionati come mercati di sbocco per gli articoli delle
aziende del distretto. A questo punto, per rendere più agevole l’analisi, i
prodotti dello sport system sono stati classificati in sei categorie e, per
ciascuna di esse, si è cercato di abbinare uno o più paesi che, in base agli
studi precedentemente effettuati, risultassero idonei ad assorbire quel
determinato gruppo di prodotti appartenenti ad una specifica fascia di prezzo
e destinati, così, ad un precisa fetta di mercato. Per fare questo si sono prese
in considerazione le preferenze sportive dei singoli paesi che, nella maggior
parte di casi, li hanno portati a raggiungere risultati significativi a livello
olimpionico o, comunque, internazionale. Un ruolo chiave ha giocato, poi, la
vicinanza non solo geografica, ma anche culturale, tra i vari Paesi, fatto che
ha permesso di evidenziare la possibilità, per le aziende, di sfruttare sinergie
e strategie comuni atte a ridurre costi e creare vantaggi combinati.
Alla conclusione della prima fase della ricerca, siamo riusciti,
quindi, a selezionare alcuni paesi (13) che, a nostro avviso, presentano un
potenziale da sfruttare in termini di internazionalizzazione. Ad ogni
categoria di prodotto sono stati, dunque, fatti corrispondere uno o più
mercati.
I tredici mercati scelti nella fase precedente sono stati, poi, oggetto di analisi
accurate nella seconda fase della ricerca. In tale ambito, per ciascun Paese,
sono state prese in considerazione la situazione politica e sociale, ne è stato
delineato un profilo economico, analizzate le principali variabili e tracciato il
227
possibile andamento della domanda potenziale. Nell’ambito delle relazioni
con l’estero, è stata esaminata la partecipazione del Paese agli organismi
internazionali, l’andamento della bilancia commerciale, la composizione
merceologica e la destinazione geografica delle importazioni ed esportazioni,
l’interscambio commerciale con l’Italia, nonché la regolamentazione delle
importazioni. E’ stato, infine, valutato il rischio che le aziende del distretto
potrebbero incontrare nel caso in cui decidessero di esportare la propria
produzione in tali mercati.
Questa ulteriore analisi, più completa ed approfondita, unita ad uno studio
generale sulla concorrenza del settore della calzatura sportiva a livello
mondiale, ci ha permesso, con le opportune ipotesi, di giungere alla
selezione finale dei tre paesi verso i quali le aziende di Montebelluna
dovrebbero destinare i propri prodotti con buona probabilità di successo. I
tre paesi in oggetto sono l’Australia, la Corea del Sud e la Polonia. Ciò non
toglie che i rimanenti dieci paesi possano essere delle valide alternative a
quelli indicati, in particolare, si sottolinea la crescente importanza della Cina,
Paese interessante non solo come mercato di sbocco per le esportazioni, ma
anche strategicamente importante nel caso in cui l’azienda intenda adottare
una politica di delocalizzazione produttiva.
Si ritiene utile precisare che il presente progetto non è una guida certa ed
esaustiva per le aziende interessate al fenomeno dell’internazionalizzazione,
in quanto si riferisce ad un intero settore, ma intende fornire una prima
indicazione utile alle imprese interessate, che dovrebbero focalizzare
l’analisi sulle proprie caratteristiche specifiche, inviando nei mercati
suggeriti ritenuti adatti personale specializzato per valutare l’effettiva
convenienza a destinare le proprie esportazioni in quelle aree. Una volta
stabilito questo, sarà necessario che le aziende seguano continuamente il
mercato, per controllarne l’andamento attuale e prevederne quello futuro. Lo
studio dovrebbe essere, comunque, un buon punto di partenza per le aziende
del distretto di Montebelluna, anche per quelle di piccole e medie
dimensioni, nello sviluppo del proprio vantaggio competitivo nei confronti
della concorrenza. Ciò contribuirebbe a sottolineare, ancora una volta, la
singolarità ed il successo che il distretto di Montebelluna vanta a livello
mondiale.
228
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Questa pubblicazione è edita nella collana:
Profili economici
della Camera di Commercio di Treviso.
Le precedenti pubblicazioni sono:
12345-
6-
789-
101112131415161718-
I problemi finanziari delle PMI trevigiane: aspetti critici e strategie di
intervento (1997)
Riforma fiscale e ricapitalizzazione delle imprese (1998
Le nuove sfide per i distretti industriali: sistemi cognitivi e reti
transnazionali (1998)
La “rivoluzione” Euro: quali implicazioni per il finanziamento delle
P.M.I.? (1998)
Un progetto di marketing territoriale per il distretto di Montebelluna
— Offerta del territorio, contesti competitivi e possibili strategie di
rilancio — (1998)
Perla Stancari — Immigrati: problema o risorsa? - L’immigrazione di
extracomunitari nei territori evoluti con particolare riguardo alla
provincia di Treviso — (1999)
Le opportunità dell’Euro Nouveau Marchè per le imprese ad alto
potenziale di crescita (1999)
Guida “Crea la tua impresa a Treviso” (2000).
Convegno “E– commerce frontiera del nuovo sviluppo”
Tavola rotonda “Marketplace comunità e distretti virtuali. E-uforia o
reali opportunità strategiche di sviluppo”(2000).
IL PROGRAMMA “JEV” - Agevolazioni alle imprese che intendono
investire in Europa (2001).
Le politiche commerciali e di Marketing nel settore dell’arredamento
– Ricerca sui distretti industriali del Livenza e del Quartier del Piave
Problematiche di internazionalizzazione dei distretti industriali della
provincia di Treviso
La qualità nella Pubblica Amministrazione – Alcune esperienze negli
enti locali
Analisi dell’organizzazione logistica del distretto industriale di
Montebelluna
L’UEM, l’Euro e l’Ampliamento dell’Unione Europea
I Servizi integrati a tutela della Proprietà Industriale
Qualità e certificazione nella Pubblica Amministrazione esperienze a
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innovativa al mercato expandi – (2 Aprile 2004)
Atti del ciclo di incontri informativi - “La normativa sulla sicurezza e
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Impaginato a cura del
Centro stampa della Camera di Commercio di Treviso