La rosa nera | L`informazione libera

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La rosa nera | L`informazione libera
01/02/2011
La rosa nera | L'informazione libera
Numero 11 del 25/01/2011
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A Napoli, il Pdl aiuta Bassolino a batte…
Numero 11 del 25/01/2011
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A Napoli, il Pdl aiuta Bassolino a battere il PD
Sezioni
MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 18:19
Attualità
NESSUN COMMENTO
Ancora una volta il vecchio leone vince a Napoli e mette il suo
delfino come potenziale sindaco della città. Ha vinto l’erede di una
discussa stagione politico-amministrativa, che promette discontinuità
con gli ultimi 18 anni di governo di centrosinistra a Napoli dopo
esserne stato uno dei principali dirigenti, prima da segretario
napoletano dei Ds e poi da assessore regionale all’Agricoltura e alle
Attività Produttive nell’ultima giunta Bassolino. Cozzolino ha strappato
il successo alle primarie per il candidato sindaco del centrosinistra
sconfiggendo di circa 1200 voti il superfavorito Umberto Ranieri,
responsabile nazionale Sud del Pd, dato in testa in tutti i sondaggi.
Grande festa al comitato elettorale di Cozzolino, allestito al secondo
piano di un palazzo signorile di Corso Umberto. Al piano di sopra c’è
la sede della Fondazione Sudd, creata e presieduta da Bassolino.
Cinema
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Politica
Ma quella del fedelissimo dell’ex Governatore della Campania è una
vittoria intinta nel veleno di una giornata attraversata da accuse di
brogli, voto inquinato e affluenze sospette in certe zone. A Miano, nel
seggio di via Ianfolla, Cozzolino raccoglie 1067 preferenze, 867 in più di Ranieri. Un record: con il seggio
aperto 13 ore, si calcola che ogni votante sarebbe riuscito a far registrare la sua preferenza in un solo
minuto. A Secondigliano Cozzolino conquista 604 preferenze e stacca Ranieri di 364 preferenze. In
questi due seggi l’ex assessore regionale scava un solco di 1200 voti di vantaggio su Ranieri,
esattamente quelli che manterrà sino alla fine. Ma sono due dei seggi sui quali Mancuso e Ranieri
hanno puntato il dito segnalando presunte irregolarità.
Sport
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Lo spoglio attribuisce 16358 preferenze a Cozzolino (37,3%), 15137 a Ranieri (34,6%). Affluenza boom:
l’obiettivo era quello di raggiungere quota 30.000, abbondantemente superata. Il dato è fonte di
polemica sul modo in cui è stato raggiunto, tra chi esulta per la dimostrazione di radicamento sul
territorio nonostante la pioggia e il gelo, e chi denuncia l’invasione di truppe gialle degli apparati e dei
potentati locali. Per non dire peggio. A Barra Sinistra e Libertà ha abbandonato il seggio di corso Sirena
63, sede di Sel e della fabbrica di Nichi Napoli Est, proprio a fianco di un circolo Pdl, denunciando “la
prassi di far votare senza tessera elettorale e un consistente e organizzato flusso di persone che senza
alcun pudore passa dalla sede del Pdl a ritirare il fac-simile della scheda e poi viene a votare”.
Lungo è l’elenco delle segnalazioni di anomalie e illeciti. E’ ancora mattina quando Corrado Gabriele
e Angela Cortese, consiglieri regionali vicini a Bassolino ma sostenitori di Oddati, diramano un
comunicato in cui affermano: “ab b iamo avuto modo di verificare che in alcuni seggi a Scampia, a Barra
e nel quartiere di San Carlo all’Arena personaggi estranei al Pd hanno condizionato il voto portando a
votare persone in camb io di b anconote”. In quelle stesse ore Mancuso riferisce che a Barra, San
Giovanni, Secondigliano, Scampia, Piscinola e Poggioreale (alcune tra le zone più povere di Napoli),
vanno a votare esponenti di associazioni e di comitati “che fanno notoriamente riferimento al
centrodestra”, mentre un rappresentante di lista di Sel viene aggredito. Anche il comitato Cozzolino parla
di gravi irregolarità in alcuni seggi dei Quartieri Spagnoli e di piazza Dante, mentre Ranieri chiede
l’intervento dei garanti: “Ab b iamo notizie di illeciti a Barra, Miano e ai Quartieri Spagnoli”. Il coordinatore
della segreteria nazionale del Psi Marco Di Lello, partito schierato con Ranieri, va giù durissimo: “Il dato
di affluenza preoccupa, è la conferma della discesa in campo degli apparati di potere che hanno
‘sgovernato’ Napoli, anche alla luce dei picchi nelle zone dove più forte è il b isogno e meno lib ero il
voto”. Tira una sintesi il segretario provinciale del Pd Nicola Tremante: “Il voto di oltre 41mila napoletani
attesta il successo di queste primarie, la partecipazione è andata oltre le previsioni. Sono stati annunciati
ricorsi per pretese irregolarità che vedreb b ero alterato il risultato finale. Sarà compito del collegio di
Garanzia valutare la loro fondatezza”.
Atmosfera plumbea e surreale al Palapartenope. Doveva essere il quartier generale dello spoglio e del
dibattito sul voto, ma la sala stampa resterà vuota tutta la notte e nessun candidato si farà vivo.
Bisognerà quindi recarsi al comitato di Cozzolino per strappare qualche battuta al vincitore che non
mostra alcuna preoccupazione sulla convalida del risultato. Il futuro candidato sindaco mostra un
leggero attimo di sbandamento solo all’una meno dieci, quando in pullover azzurro e sorriso smagliante
Cozzolino entra nella sala riunioni per pronunciare una dichiarazione e poi, dopo aver ricevuto una
telefonata, cambia idea, fa dietro front e scompare in una saletta, mentre l’ufficio stampa si affretta a
dire: “Parliamo solo a risultati ufficiali”. Sono gli attimi in cui vanno in Rete le accuse di brogli da parte dei
rivali. Venticinque minuti dopo Cozzolino riappare e si concede ai microfoni. Una campagna elettorale è
appena finita e un’altra ben più dura per le amministrative di Napoli è già cominciata, ma alle spalle c’è
Don Antonio e molte cose sono ancora possibili.
Vincenzo Branca
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01/02/2011
E’ Lionel Messi o Victor Ruiz? | La rosa…
Numero 11 del 25/01/2011
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E’ Lionel Messi o Victor Ruiz?
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MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 16:06
Attualità
NESSUN COMMENTO
RUIZ E’ VICINISSIMO AL NAPOLI. ORMAI E’
FATTA, RUIZ E’ UN CALCIATORE AZZURRO.
MANCANO GLI ULTIMI DETTAGLI PER
CHIUDERE CON VICTOR RUIZ. GLI EMISSARI
AZZURRI
SONO
IN
SPAGNA
PER
CONCLUDERE LA TRATTATIVA CI SIAMO.
COMPLICAZIONI PERCHE’ DATOLO NON
TROVA L’ACCORDO. IN SERATA DOVREBBE
ESSERCI IL SI…
Quanto suddetto è solo una minimissima parte
dei titoloni che da giorni invadono giornali,
telegiornali e siti di informazione sportiva.
“Una telefonata allunga la vita”. Così recitava uno
storico
spot televisivo
a
proposito
di
un’importante azienda di telecomunicazione italiana. Una trattativa per un buon calciatore fatto passare
per fuoriclasse invece, allunga la vita sportiva al Calcio Napoli ed ovviamente al suo presidentissimo De
Laurentiis.
Stando a quanto si sente dai colossi mediatici nazionali e locali non si è ben capito se nelle ultime
settimane la società azzurra sia andata in Spagna per trattare Lionel Messi oppure Victor Ruiz. Si perché
l’acquisto di questo, pur bravo ma ancora in nuce, atleta sta tenendo col fiato sospeso i sostenitori
partenopei tant’è che i principali siti di informazione sono praticamente intasati. E allora viene da porsi la
domanda, ma non è che Victor Ruiz non sia altro che il secondo nome di Lionel Messi?
Facendo un po’ di ricerche nel mondo della rete, purtroppo, si scopre che Victor Ruiz ha sì un altro
nome, ma non si tratta di Leo Messi bensì di Torre: ovvero Víctor Ruiz Torre. Ma allora perché tutto
questo fermento intorno a questa trattativa?
Si parta da un dato di fatto: gli spagnoli quando son venuti a giocare in Italia non hanno mai reso quanto
invece le aspettative promettessero. Inoltre il catalano è la seconda stagione che fa da titolare, quindi
non si può certo dire che sia un astro nascente esploso in giovanissima età (alla Messi per intenderci).
Sicuramente già da ora è un buon calciatore che può diventare col tempo un ottimo atleta, ma da qui a
farlo passare per il colpo del secolo ce ne passa.
La trattativa però sembra lunga ed estenuante, così lunga che rischia di portare il Napoli di nuovo alle
ultime giornate di mercato senza aver concluso altre trattative in reparti altrettanto importanti.
Che manca un centrocampista è lapalissiano e sotto gli occhi di tutti. Inler sta stupendo partita dopo
partita ma a De Laurentiis di aprire il portafogli proprio non gli va, inoltre c’è un Mascara, in scadenza di
contratto, che attende solo la chiamata azzurra dopo aver rifiutato la Sampdoria proprio per approdare ai
piedi del Vesuvio. Il proprietario della Filmauro non vuol saperne neanche in questo caso: perché
spendere due milioni ora, quando a Giugno lo si può avere a parametro zero?
In realtà delle motivazioni ci sono: il giocatore originario di Caltagirone sarebbe una perfetta alternativa a
Lavezzi, Cavani ed Hamsik e rientrerebbe nei parametri societari senza nessuna difficoltà, sarebbe un
calciatore che potrebbe tranquillamente sedersi in panchina senza fare troppe storie, inoltre potrebbe
risolvere uno degli annosi problemi del Napoli – i calci di punizione. A Giugno potrebbe trovare un’altra
sistemazione o magari rinnovare col Catania, oltre al fatto che gli azzurri senza una valida alternativa in
attacco non si sa per quanto a lungo possano tenere questo ritmo sostenuto, e in campionato e nelle
altre competizioni.
E allora perché tutto questo casino intorno a Ruiz? Forse, come al solito, per tenere le menti dei tifosi
impegnate in altro, addormentandole con la favola dell’acquisto del secolo chiamato Victor Ruiz. Ma la
zona Champion’s non si raggiunge con le favole: ci vogliono i fatti. Ridursi all’ultimo giorno di mercato
per prendere di nuovo un simil-Sosa o un simil-Cribari sarebbe davvero la goccia che fa traboccare il
vaso. Sbagliare quest’anno non è consentito: se prima il capro espiatorio era Pierpaolo Marino, ora non
si hanno più scuse. Facta, non verb a.
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Marco Branca
A Marco Branca, Briony Tallis e altri 5 piace questo elemento. Non mi piace più
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01/02/2011
Berlusconi è ormai al grado zero… | La…
Numero 11 del 25/01/2011
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Berlusconi è ormai al grado zero…
Sezioni
VENERDÌ, 28 GENNAIO 2011 14:40
Attualità
NESSUN COMMENTO
Credo che per Berlusconi ormai il capolinea è vicino. Lo
abbiamo difeso in tutti i modi possibili ma mai
immaginavamo lo squallore a cui era arrivato con le
ragazze del bunga bunga. A questo punto aveva ragione
l’ex velina ingrata che per anni ne è stata la compagna
e la mamma di alcuni dei suoi figli quando diceva che
Silvio “non sta bene, e va curato.”
Cinema
E' vero che?
Economia
Editoriale
La Nera
La Rosa
E questo uomo da tempo non sta più bene con se
stesso, e ha scelto di autodistruggersi lentamente,
altrimenti non avrebbero nessun senso le Noemi di
Casoria fino alle ultime troiette che lo hanno
dissanguato e ridicolizzato.
Napoli
Notizie Flash
Piano e Forte
Politica
Finora non mi risulta che abbia commesso mai reati ci sono le troie che lo succhiano, ma questa è
un’altra storia. Comunque eventuali reati vanno provati in tribunale e non sui giornali. Ma da tempo
ormai le sentenze sono scritte dai giornalisti e dalle folle scalmanate da questi eccitate. …aggiungo che
trovo peggiore che un politico come Prodi abbia venduto a quattro soldi aziende di stato regalandole ai
suoi sodali. Questo sì che mi scandalizza.
Sport
Who's who
Certo che l’uomo è potente, ha ancora rapporti a livello mondiale che fanno paura, non è certamente
Bettino che si auto flagellò alla camera dei deputati con un discorso di grande valore storico ma che in
concreto servì a delegittimarlo totalmente avviandolo verso l’esilio tunisino. Berlusconi fa ancora paura,
ma bisogna vedere come si chiude la sua storia, se resta il buon vecchio porco che è allora tra poche
settimane sarà definitivamente sconfitto forse graziato ed avviato verso un esilio dorato in una delle ville
in Antigua, se invece diventerà cattivo allora saranno uccelli amari per tutti.
I politici italiani sono una grande massa di vigliacchi, e se il Cavaliere metterà in campo qualche armata
vera, scapperanno tutti e allora lo spettro della vera dittatura potrebbe veramente aleggiare su questo
Paese.
Si sa il cervello è una sfoglia, basta poco per farlo saltare e se l’uomo comincerà a pensare che i milioni
di cui è padrone possono essere utilizzati assoldando altri tipi di mercenari invece che zoccolette, allora
poveri i suoi nemici, poveri noi e povera Italia.
In conclusione voglio chiudere dicendo cosa è accaduto a Davos, dove i leader europei si riuniscono
per “dare la linea” al World Economic Forum. In 48 ore si succedono a Davos, Nicolas Sarkozy, David
Cameron, Angela Merkel, mancava Tremonti, ed espongono una visione dell’Europa, le loro ricette per
la ripresa, le strategie verso l’America e i paesi emergenti. All’Italia tocca un ruolo diverso a Davos:
quello dell’imputata. Il campionario di dirigenti mondiali che si riunisce in questo summit – statisti,
grandi imprenditori, opinion leader – riserva al nostro paese una sessione a porte chiuse. Intitolata
“Italia, un caso speciale”.
Altro che Bunga bunga!
Vincenzo Branca
Mi piace
Di' che ti piace questo elemento prima di tutti i tuoi amici.
Edit this entry.
This entry was posted on venerdì, gennaio 28th, 2011 at 14:40 and is filed under Politica. You can follow any responses
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La benedizione del Papa ai social net…
Numero 11 del 25/01/2011
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La benedizione del Papa ai social network
Sezioni
MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 16:20
NESSUN COMMENTO
Il boom dei social network con i loro 700 milioni
di persone iscritte in tutto il mondo ha suscitato
l’interesse del Papa Benedetto XVI che, in
occasione della 45esima Giornata mondiale
delle Comunicazioni sociali sul tema “Verità,
annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”, si
è pronunciato per la prima volta sull’incalzante
diffusione dei social network, comunità digitali
che consentono alle persone di connettersi tra
loro in virtù di legami sociali che vanno dai vincoli
familiari a una blanda conoscenza casuale.
Il discorso del Papa è rivolto prettamente ai
giovani, ai quali viene raccomandato di fare un
buon uso della rete. Se da una parte i social network offrono infatti nuove opportunità di “condivisione”,
quindi di “dialogo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive”, d’altra parte possono generare
anche situazioni di pericolo, se e quando inducono i giovani a “rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo”
con la creazione di falsi profili o “l’eccessiva esposizione al mondo virtuale”. Il Pontefice ribadisce che il
contatto virtuale non può e non deve sostituire il contatto umano diretto con le persone, a tutti i livelli della
vita dell’individuo. “Nella ricerca di condivisione, di ‘amicizie’ – prosegue inoltre Benedetto XVI – ci si
trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire
artificialmente il proprio profilo pubblico”.
Le nuove tecnologie stanno modificando il modo di comunicare ma anche la stessa comunicazione
subisce dei cambiamenti, ed il Papa consiglia di mantenere uno stile cristiano anche in presenza del
mondo virtuale e quindi promuove “una comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa
dell’altro” con la possibilità di esprimere i valori del Vangelo anche attraverso la rete, purché la verità
delle Scritture rimanga immutata.
Le parole del Pontefice fanno riferimento ad una problematica reale: accade sempre più spesso che gli
utenti della rete si perdano in mondi virtuali che soppiantano, talvolta completamente, la realtà
quotidiana. Infatti mentre da un lato le nuove tecnologie rappresentano un importante fattore di
progresso umano e culturale, dall’altro delineano possibili situazioni di disagio psichico,
prevalentemente rappresentate da fenomeni di abuso e dipendenza variamente articolati, caratterizzati
dall’annientamento della sfera sociale dell’utente. Ne è un esempio l’IAD (Internet Addiction Disorder),
un vero e proprio disturbo di dipendenza da internet, contraddistinto da un’attenzione ossessiva e ideoaffettiva su temi e strumenti inerenti l’uso della rete, che genera comportamenti compulsivi, come ad
esempio il controllo della posta elettronica, ripetuto più volte durante la stessa giornata; oppure
l’aumento del tempo trascorso on-line, che avviene con sempre maggiore frequenza anche durante le
ore lavorative, e addirittura nelle ore notturne, con conseguente perdita di sonno, che provoca un
crescente senso di malessere e di agitazione quando si è scollegati. Tutto questo va a danneggiare le
diverse aree di vita, tra cui quella scolastico-lavorativa in cui si rivelano problemi di scarso profitto e di
assenteismo: i collegamenti on-line sono tanto prolungati da compromettere la vita relazionale, sociale
e professionale della persona. A questi problemi si aggiungono anche problematiche psicofisiche,
come problemi visivi, alterazioni dei ritmi circadiani (di sonno-veglia), prosopagnosia, ipertimia, tremori
e stato confusionale.
Oltre al rischio di sviluppare una dipendenza, le nuove forme di comunicazione virtuale presentano
anche un altro pericolo: quello di alterare il senso di se stessi con la creazione di molteplici identità.
Pensare e creare un nuovo Sé diventa molto facile in rete, grazie alla creazione di profili falsi. La rete
offre alle persone una via immediata per fornire un’immagine di sé idealizzata, spingendole a
esagerare, se non ad adulterare completamente la realtà. Quando si crea un profilo falso o un
cosiddetto fake – un contatto falso in cui si modifica il proprio genere, la propria età, la propria razza e il
proprio status sociale, oppure si modificano semplicemente alcune caratteristiche fisiche per migliorare
la “presentazione” di sé – si mette in atto un vero e proprio inganno, un’imitazione di qualcosa o di
qualcun altro, una simulazione in piena regola di un’identità fittizia o, in casi estremi, un’appropriazione
di identità altrui.
Le ricerche effettuate hanno dimostrato che a rafforzare questo malsano legame alla rete è la necessità
di ricercare spasmodicamente sensazioni piacevoli, che derivano proprio dalle relazioni che si
instaurano attraverso i nuovi mezzi tecnologici: non a caso sempre più persone si registrano ai social
network, strumento di elezione per entrare in relazione con gli altri nella maniera più diretta e immediata
possibile. Per evitare i rischi di cui ha parlato Papa Benedetto XVI occorrerebbe valorizzare la
partecipazione alla sfera dei contatti umani diretti.
Simona Esposito
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Chi ha ucciso la libertà italiana (di sta…
Numero 11 del 25/01/2011
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Chi ha ucciso la libertà italiana (di stampa, di
espressione, di pensiero)?
MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 17:58
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Attualità
1 COMMENTO
Cinema
Che fine ha fatto la libertà di stampa? E con essa
la libertà di espressione, di pensiero, di
dissenso? Libertà è una parola grossa, dal
respiro troppo ampio perché un Paese con il fiato
corto come l’Italia possa ancora permettersi di
pronunciarla; libertà è una parola dal sapore
sempre più amaro, come un caffè non
zuccherato nel Paese in cui il caffè è un culto;
una parola che stordisce come luce negli occhi
nel Paese del Sole. La libertà (di stampa, di
pensiero, di dissenso) in Italia è una
contraddizione in termini; un controsenso
forsennato di chi corre in autostrada contromano
nell’illusione di trovarsi sulla corsia giusta. Che
fine ha fatto la nostra libertà? E soprattutto, ne abbiamo mai avuta una?
E' vero che?
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La libertà di stampa in Italia ha avuto una storia controversa: certo se si pensa che la prima vera testata
italiana, “Il Secolo”, primo giornale a diffusione nazionale e discreta tiratura, nasce nell’avanzato 1866,
seguito a ruota dall’intramontabile “Corriere della Sera” (1876), si arriva alla conclusione che la lettura
dei quotidiani in Italia (o almeno nell’Italia unita) è un “hobby” relativamente recente. Ma d’altronde è
l’Italia stessa ad avere una storia giovane di unità: difficilmente si sarebbe potuta concepire l’esistenza
di un quotidiano nazionale prima ancora che una nazione venisse costituita. Dall’unità d’Italia in poi, la
libertà di stampa fu regolata dalle leggi già in vigore nello Statuto Albertino del conquistatore Regno di
Sardegna, prima di subire un nuovo fendente durante l’era di Mussolini, sotto le censorie restrizioni del
Regime fascista, alcune rimaste in uso fino a giorni troppo recenti. L’Italia dovrà aspettare la fine della
Seconda Guerra Mondiale, e la conseguente caduta di fascismo e monarchia, per darsi una
Costituzione “democratica” (1947) anche in materia di informazione, su cui la Chiesa non mancò di
esercitare il proprio potere (spirituale?) per imporre la salvaguardia della morale, della decenza e del
buon costume. L’articolo 21 della nostra Costituzione si presenta quindi come bizzarro risultato di una
malriuscita mediazione tra due forze opposte e contendenti: se nei primi due punti vi si legge
democraticamente che “Tutti hanno diritto di manifestare lib eramente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione” e che “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure […]”, all’ultimo capo invece si legge (ecclesiasticamente?) che: “Sono vietate le pub b licazioni a
stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al b uon costume. La legge stab ilisce
provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.
Si alla libera stampa/espressione dunque, ma senza mai contravvenire alle regole della moralità e del
b on ton. Si inizia in quest’epoca a delineare la condotta politico-democratica dell’Italia moderna, che
oggi conosciamo tanto bene. Fin qui la storia. Quello che accadde dopo è cronaca dei giorni nostri:
l’avvento dell’era mediatica, la Tv pubblica e quella privata, Mr B. e il conflitto di interessi, la legge
Gasparri e il decreto “salva-Rete quattro”. L’Italia che nel 2010 finisce, dopo anni di infausta carriera
discendente, al 72° dei 192 posti nella classifica della libertà di stampa mondiale, surclassata
addirittura da Suriname e Nuova Guinea, da Taiwan e Corea del Sud, unico paese “democraticamente
occidentale” ad avere una stampa solo parzialmente libera. La censura in Italia ha una carriera di tutto
rispetto, se confrontata a quella della libertà di stampa: governi autocratici e potere ecclesiastico hanno
sicuramente avuto parti influenti in questo scenario, ma a preoccupare veramente, più che le decisioni
governative o le ipotetiche ingerenze della Chiesa nei palinsesti di televisioni e giornali è
l’atteggiamento di un’intera nazione che appare ignorante, bigotta e ridicolmente autoritaria mentre finge
di essere aperta e all’avanguardia, tollerante e rispettosa, preoccupata (fin troppo) della salvaguardia
della democrazia, della par-condicio e di mantenere intatta la maschera del famoso “buongusto”.
Facciamo qualche esempio.
Libertà di stampa (e di televisione). Recentemente ha fatto scalpore la proposta di un sedicente
deputato, tale Alessio Butti, capogruppo Pdl della Commissione di Vigilanza Rai, di limitare a una volta
alla settimana la trattazione di un certo argomento di attualità, senza distinzione tra le diverse reti Rai,
ovvero: se l’argomento X viene trattato di lunedì dal programma Y, non potrà essere trattato da nessun
altro programma, Z, W, K, sia che questo programma vada in onda sulla stessa rete del programma Y,
mettiamo Raiuno, sia che vada in onda sulle altre due reti, Raidue e Raitre. La proposta, che si cela
dietro la pallida scusa di “garantire pluralismo”, e che non pare essere destinata alle altrettanto
nazionali reti private, è senza dubbio un affronto alla libertà di informazione, un duro colpo per il
giornalismo italiano; oltre a essere vagamente anticostituzionale (vedasi il succitato art. 21). E giù tutti a
criticare (a ragione, per carità) un governo che, nelle parole di un’indignata Lucia Annunziata, inizia a
“preparare il bavaglio” in vista delle elezioni. Ma facciamo un altro tipo di considerazione: di cosa si sono
occupati ultimamente i nostri programmi di approfondimento “politico” e non? Omicidio Sarah Scazzi?
Ruby e il Bunga-bunga? La vita sessuale del Premier? In linea di massima, con le dovute eccezioni,
questi sono gli argomenti “caldi” all’ordine del giorno. E mentre Floris e Travaglio già gridano al
complotto anti-opposizione, a scannarsi saranno i vari Bruno Vespa e Massimo Giletti, che si faranno
guerra a colpi di plastici e opinionisti, ma alla fine dovranno rinunciare all’overdose da Bunga Bunga e
rassegnarsi a cambiare argomento.
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01/02/2011
Chi ha ucciso la libertà italiana (di sta…
Libertà di informazione. L’Italia è il Paese dei perbenisti e dei moralisti. Ma forse sarebbe meglio dire
dei falsi perbenisti e falsi moralisti. Basta poco a scandalizzare un italiano medio, e sicuramente ci è
riuscito uno spot francese, ideato dall’agenzia TBWA nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione
anti-Aids, che in Italia non vedremo mai perché giudicato forse troppo scandaloso
(http://www.youtube.com/watch?v=T09dCynarvo&feature=player_embedded). A differenza di tutti quei
varietà che
quotidianamente mettono
in mostra le
sinuose fattezze
di
aspiranti
veline/conduttrici/deputate, o di spot commerciali, meno espliciti in materia sessuale ma allusivamente
molto più volgari (vedasi la famosa pubblicità delle “patatine” mangiate da Rocco Siffredi) che però
fanno fare tanti introiti. Viene da chiedersi dove vada a finire in questi casi il senso del buongusto e del
buoncostume tanto osannato e ricercato dalla Chiesa.
Libertà di espressione. Un po’ meno recente, ma sempre attuale, è stata la proposta di un altro
sedicente signore, tale Raffaele Speranzon, assessore alla cultura della provincia di Venezia, di
rimuovere dalle pubbliche biblioteche i libri di tutti quegli autori (dichiarati “persone sgradite”) che nel
2004 furono firmatari dell’appello in cui si richiedeva la scarcerazione dell’ex brigatista Cesare Battisti
(attualmente residente in Brasile). La proposta (cui fa eco il più recente appello della Lega a boicottare
“Vallanzasca –gli angeli del Male”, ultimo film di Michele Placido tacciato di “elevare a eroe uno spietato
assassino” e di “utilizzare giovani e affascinanti attori allo scopo di sdoganare l’immagine di personaggi
che dovreb b ero cadere nell’ob lio per i crimini commessi”) prevede altresì la rinuncia a organizzare
qualunque tipo di attività insieme a tali scrittori, e afferma la diretta responsabilità dei bibliotecari che
contravverranno a quest’imposizione. E anche qui siamo dinanzi a una proposta anticostituzionale, che
limita pesantemente la libera espressione delle proprie opinioni addirittura alla più ampia categoria
(artistica, non giornalistica) di scrittori e romanzieri. A sparire dagli scaffali sarebbero anche gli
acclamatissimi Tiziano Scarpa e Daniel Pennac, giusto per fare due nomi. Siamo ai limiti dell’assurdo,
e tuttavia a ben guardare non si capisce perché il signor Speranzon si dia tanta pena a proibire la lettura
di testi che, pur se scritti da indubbi rivoluzionari-comunisti-simpatizzanti-brigatisti, probabilmente nella
maggior parte dei casi poco o nulla hanno a che vedere con la politica, le Brigate Rosse e Cesare
Battisti, molto di più con l’arte e la letteratura, la cultura in generale. Soprattutto dal momento che se si
vuole ascoltare un parere “attivista marxista” non c’è bisogno di cercare messaggi criptati in romanzi e
racconti, basta (per citare un solo esempio) leggere Adriano Sofri, scrittore e giornalista, ex militante di
Lotta continua, accusato e condannato per l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, oggi
(come è giusto che sia) completamente riabilitato. I cui libri non pare siano mai stati tolti da nessuno
scaffale di nessuna biblioteca. Almeno finora.
E mentre l’Italietta del Bunga Bunga guarda magnetizzata agli ipnotici balletti mediatici di Premier e
collaboratori, affidandosi disperatamente a uno spauracchio di sinistra ormai inesistente per una
improbabile “rinascita”, loro, i “governanti”, senza distinzione di colore e partito, tentano di “conquistare il
mondo”, di acquisire il monopolio dell’informazione e della “verità”, non senza il colpevole plauso della
stampa. L’Italia è diventata una parodia di se stessa, che si accanisce inutilmente tentando di
ammazzare la propria ombra, senza rendersi conto che quell’ombra le appartiene, e che è essa stessa
a proiettarla.
Giuliana Gugliotti
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Chi ha ucciso la libertà italiana (di stampa, di espressione, di pensiero)? | Linea di confine 31
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[...] gentile concessione di Giuliana Gugliotti tratto da La Rosa Nera Etichette: La Rosa Nera, libertà
di pensiero, mass [...]
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Dal Medioevo ad Arcore: la donna co…
Numero 11 del 25/01/2011
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Dal Medioevo ad Arcore: la donna come merce di scambio
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MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 16:27
Attualità
NESSUN COMMENTO
Politica? No grazie! In questo spazio non si tratta questo
argomento. Bensì lo si sfrutta per prendere in esame il ruolo
della donna nella società odierna. Non ci interessa sapere
ogni quanto tempo c’è “il cambio della guardia” nella stanza
da letto del Presidente del Consiglio oppure conoscere l’età
delle vittime della “generosità” dei piani alti d’Italia. Non
siamo né il primo né l’ultimo Paese che viene coinvolto in
questi scandali. Eppure non è sempre stato così. All’età delle
caverne c’era un profondo rispetto per il ruolo della donna, per
colei che era capace di amministrare la famiglia e di gestire
le risorse del compagno. L’organizzazione femminile era
fondamentale anche nelle civiltà arcaiche. Il matriarcato
vigeva fiero nella sua interezza e nella totale accettazione.
Casa e famiglia erano nelle sue mani, nelle mani della
donna.
Poi dall’angelo della casa si passa al diavolo impersonificato.
Cambia nettamente nel Medioevo il ruolo femminile agli occhi
del mondo. Il Bene e il Male si riuniscono nello stesso corpo.
La donna incarna per lungo tempo lo spirito maligno da sacrificare, la donna è la strega che non si
piega alla voce dell’uomo, la traditrice che viene umiliata e punita con la “A” di adultera impressa sul
petto come segno del tradimento stesso. Solo nell’Ottocento la donna prende consapevolezza di sé,
lottando contro chi vuole limitarne l’emancipazione sociale. Il diritto di “essere donna” viene rivendicato
partendo dalle fabbriche, da quelle donne che lavorano accanto all’uomo, che partecipano all’economia
del Paese. La donna inizia a imporre la sua presenza sulla scena politica, sociale ed economica, sia
nazionale che internazionale. Una presenza sempre più “paritaria”, e una parità che si riflette innanzitutto
nei costumi. Inizia così il secolo delle suffraggette, Femministe in cerca di diritti su quegli uomini, padripadroni e mariti opprimenti, che ne avevano ostacolato l’autonomia. Con la libertà politica alla porte e
quella economica – intensa come indipendenza – già avviata, nella seconda metà del Novecento
l’essere femminile finalmente si trasforma in Donna.
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E la libertà sessuale? Quando si dice che la prostituzione è il lavoro più antico del mondo non si
sbaglia. Nell’antica Grecia si andava dall’ “etera” alla “pornaia”. A Roma la prostituzione era un’attività
contemplata nei lupanari. Nel Medioevo si passò poi alle strade. Oggi si è arrivati alle case di lusso per
le più fortunate. Si chiamano Escort. Che si usi o meno un nome diverso, si tratta comunque di
accompagnatrici a cene e occasioni che richiedono la presenza di una bella donna accanto a uomini
d’affari. Le escort possono anche rimanere a disposizione per il “dopocena”. I compensi sono
nettamente superiori rispetto alle solite prostitute da strada.
A lasciare sconcertati non è il fatto che il vecchio mestiere faccia ancora proseliti, bensì la mentalità che
c’è dietro. La donna è una merce a tutti gli effetti. Una merce a disposizione di colui che ha il potere del
denaro. Con gli ultimi fatti di cronaca che hanno investito il Paese, si è andata ad evidenziare una
spaccatura tra i principi morali della chiesa e la nuova faccia della società italiana, quel lato della
medaglia che esaspera il culto della bellezza. E da quella spaccatura nascono ragazze sempre più
giovani con un’unica ambizione: andare in tv, fare la velina, diventare famosa. Da quella spaccatura
emerge l’immagine di un disastro generazionale che vede i genitori, complici e incitatori, spingere le
figlie verso questi mondi senza trasparenza, caratterizzati dallo sfruttamento della povertà, a volte anche
materiale, ma soprattutto culturale e intellettuale, di chi (scioccamente?) aspira al successo facile.
Roberta Santoro
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The Decemberists – The King Is Dead …
Numero 11 del 25/01/2011
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The Decemberists – The King Is Dead
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MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 17:54
Attualità
NESSUN COMMENTO
I Decemberists tornano a trovarci con un nuovo
lavoro quanto più folk e western che mai. Li
avevamo lasciati alla pomposità del concept
“Hazards Of Love” targato 2009. In seguito, nel
settembre del 2010, la band ha aperto per Neko
Case e l’headliner, tale Bob Dylan, al
Bumbershoot Arts and Music Festival di Seattle,
rimanendo folgorata e ispirata da suoni di
armoniche e accordion. In pochi mesi la band di
Portland aveva già messo le basi per il nuovo
“The King Is Dead”, un titolo che attinge a piene
mani dagli Smiths e dal loro “The Queen Is
Dead” dell ‘85, del resto è nota la venerazione di
Meloy per Morrisey.
C’è un forte ritorno al folk del 2003 per questo
The King Is Dead dei Decemberists, il terzo
album marchiato Capitol Records, ed una buona
dose di armoniche e violini “western”, sin dalla
prima “Don’t Carry It All” che apre l’ album. Siamo di fronte a vere e proprie gemme pop/folk,
l’arrangiamento è molto meno “barocco” di lavori precedenti, ma le canzoni dei Decemberists riescono
a conservare sempre quella matrice accattivante di orecchiabilità e semplicità compositiva.
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Peter Buck dei R.E.M. compare in ben tre brani del disco, andando a confermare quell’impasto fatto di
chitarre acustiche, armonica e banjo che caratterizza il disco (o di steel guitar, presente in Riise to Me).
“Down By The Water” sarebbe potuta uscire da un qualsiasi disco dei R.E.M., e lo stesso Meloy ha
affermato che a livello compositivo qualcosa è stato attinto dal gruppo di Athens.
Con “All Arise!” si torna alle atmosfere da saloon, mentre “June Hymn” non fa nulla per nascondere le
influenze dylaniane presenti in molti punti del disco, così come non fa nulla per nascondere la sua
candidatura come miglior pezzo dell’album. Chiude la struggente “Dear Avery”, condita di steel guitar e
giri di basso notevoli.
Con The King Is Dead si chiude il cerchio formatosi dai tempi di The Crane Wife (forse ad oggi il lavoro
più appassionato dei Decemberists), un cerchio fatto di songwriting di qualità e di arrangiamenti
azzeccati.
Marco Della Gatta
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01/02/2011
Vallanzasca – gli angeli del male, al ci…
Numero 11 del 25/01/2011
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Vallanzasca – gli angeli del male, al cinema tra le
polemiche
MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 16:23
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Cinema
“In questo film non troverete la verità sul caso
Vallanzasca. Perlomeno non ne troverete una
sola. Perché questo è un film, non un’inchiesta.
Non condanna. Non assolve. Racconta una
storia. La storia di una b anda, la storia di una
Milano che non esiste più, ma restano veri e crudi
il dolore di chi ha sub ito queste violenze”
(Michele Placido). Una premessa più che
doverosa, che tuttavia non è servita a placare gli
animi di chi ancora porta sulla propria pelle ferite
mai rimarginate e nell’animo il dolore immenso
causato dal bandito della Comasina. E così,
criticato, additato e accompagnato da un lungo
strascico di polemiche prima ancora di essere
visto, arriva sui nostri schermi Vallanzasca – gli
angeli del male, pellicola che segna il ritorno –
dopo l’applauditissimo Romanzo Criminale – di
Michele Placido al gangster movie, dedicato
stavolta a Renato Vallanzasca, un personaggio
assai controverso della storia italiana, protagonista tra gli anni ‘70 e ’80 – i cosiddetti “anni di piombo” –
di una lunga scia di furti, sequestri, evasioni, sommosse in carcere, scontri a fuoco ed omicidi per i quali
il “b el René” (questo l’appellativo attribuitogli da alcuna stampa dell’epoca) sta tuttora scontando una
condanna a 4 ergastoli e a 260 anni di galera.
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1985. Reparto Isolamento del Carcere di massima sicurezza di Ariano Irpino. “Vallanzasca Renato,
matricola 38529H, nato a Milano il quattro maggio 1950…”. Si apre così il film, con Vallanzasca che ci
racconta in prima persona la sua innata propensione al crimine rivelatasi sin da bambino quando, a
nove anni, libera una tigre da un circo. E’ il principio di una carriera criminosa che in una rapida
escalation di violenza e brutalità lo porterà a divenire il più celeb re e temuto (ma anche il più affascinante
e carismatico) criminale degli anni di piomb o. La storia del b oss della Comasina e della sua b anda che
mise a ferro e fuoco Milano e la Lomb ardia tra gli anni ’70 e gli anni ’80, viene raccontata con una
scansione cronologica, dai primi passi mossi nel quartiere Giamb ellino tra la mala e la b ella vita – locali
di lusso, donne, champagne e droga – e dalla rivalità con il boss incontrastato della città, Francis
“Faccia d’angelo” Turatello, ai primi furti, rapine, omicidi e sequestri di persona. Poi le rocambolesche
evasioni, la latitanza, la relazione con Consuelo prima e il matrimonio in carcere con Giuliana poi,
l’alleanza criminale con Turatello. E infine i processi, le condanne e l’ultimo arresto nel 1987.
Il cinema da sempre ha subito il fascino perverso del crimine. Ogni paese può vantare la sua propria
epopea cinematografica criminale. Pensiamo alla Francia con il recente doppio film di Richet sul
bandito Jacques Mesrine lodato dalla critica internazionale, come pure il John Dillinger del fascinoso
Johnny Depp in Nemico Pub b lico di Michael Mann, per non parlare di Boardwalk Empire, la serie di
Scorsese sul proibizionismo americano premiata con due Golden Globes. In Italia invece si grida allo
scandalo. E’ chiaro che quando c’è un dolore reale, e quando il responsabile di quel dolore non è un
personaggio di fantasia ma è vivo e vegeto, diventa naturale interrogarsi sulla necessità di realizzare film
che “celebrano” personaggi negativi. L’intento di Placido però, lungi dall’essere l’apologia di un
criminale, è quello di entrare con approccio distaccato nella mente di un uomo che di fronte al bivio fra la
normalità e la devianza, fra il bene e il male, sceglie di percorrere deliberatamente la strada senza
uscita dell’autodistruzione. Il Vallanzasca di Placido è un angelo del male, un antieroe, un delinquente
senza ideologia sfrontato e sbruffone, megalomane e affascinante, il classico bello e maledetto che in
carcere riceveva migliaia di lettere di ammiratrici. Un mix che purtroppo lo rende interessante anche
come personaggio cinematografico. E forse il primo (e unico) errore di Placido sta proprio nel non aver
decostruito a dovere il mito di Vallanzasca, nel non aver dato il giusto spessore al suo “pronunciato” lato
oscuro. Non ci sono sconti sulla violenza e, in alcuni passaggi, anche sulla ferocia delle sue azioni, ma
il Renato Vallanzasca del film è esattamente lo stesso che appariva sui giornali dell’epoca, spaccone,
simpatico e seducente.
Entrando nel merito tecnico, un ritmo narrativo incalzante, sottolineato dal rock travolgente dei
Negramaro, un montaggio dinamico, una regia pulita, asettica, che sta “addosso” al suo protagonista e
non indugia nell’introspezione (tranne forse che in una delle ultime scene), un cast eccezionale con un
Kim Rossi Stuart che raccoglie la sfida di un personaggio così complesso regalandoci
un’interpretazione straordinaria, attorniato da un altrettanto valido ed impeccabile Francesco Scianna
(che interpreta Francis Turatello), Filippo Timi (Enzo, sbandato amico d’infanzia di Renato), e in ruoli
minori Valeria Solarino, Moritz Bleibtreu e Paz Vega, fanno di Vallanzasca – gli angeli del male, aldilà di
tutte le perplessità che l’argomento toccato suscita, un valido film di genere che potrebbe finalmente
aprire la nostra industria ad un cinema a tinte internazionali.
Enrica Raia
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01/02/2011
Dieta eco-nomica-logica | La rosa nera
Numero 11 del 25/01/2011
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Dieta eco-nomica-logica
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MARTEDÌ, 01 FEBBRAIO 2011 14:53
NESSUN COMMENTO
LONDRA - Come salvare il pianeta, e se stessi, restando seduti a
tavola. E’ la sfida lanciata da un gruppo di scienziati britannici, che
in collaborazione con il Wwf (World Wildlife Fund, il Fondo mondiale
per la protezione della natura) hanno ideato una dieta
ecosostenibile: mangiando i piatti da loro proposti, si fa bene alla
Terra, alla propria salute e pure al proprio poirtafoglio, con un
cospicuo risparmio economico. Bastano infatti 35 euro alla
settimana, meno di 150 euro al mese (a persona), per mangiare
sano e difendere il mondo dai gas nocivi e dal dispendio energetico
che provocano il cambiamento climatico, affermano gli autori del
progetto. E la differenza che si può fare con le scelte dietetiche è
enorme: se ogni cittadino britannico seguisse alla lettera il menù
suggerito dal Wwf, le emissioni serra del Regno Unito potrebbero
ridursi della metà.
I ricercatori del Rowett Institute of Nutrition and Health della
Aberdeen University, che hanno chiamato il loro programma
“Livewell Diet” (Dieta del vivere bene), non hanno il potere di
imporre a tutta la popolazione nazionale di seguire i loro consigli,
ma intendono rivolgersi a qualcuno che ha un po’ più di potere di
loro: il primo ministro David Cameron, chiedendogli che il pacchetto di menù settimanali da essi
proposto venga adottato ufficialmente dal governo come linee guida per scuole, ministero della Sanità,
consumatori. Un esempio: il lunedì, per la prima colazione, cereali ricchi di fibre con latte semiscremato,
toast integrali e marmellata; a pranzo una minestra di lenticchie e un sandwich di scampi e maionese
su pane nero; a cena un curry di pollo e riso, con una fetta di pita. Ogni giorno della settimana si cambia:
lo stesso piatto non viene mai proposto due volte nell’arco di sette giorni. Grande varietà di cibi, dunque,
e piatti succulenti, in modo da accontentare anche il palato, che tuttavia non richiedono una
preparazione lunga o complessa.
La Livewell Diet è infatti pensata all’insegna della semplicità in cucina, oltre che dei prodotti naturali, che
fanno bene alla salute. Il principio base è che impone di ridurre drasticamente il consumo di carne e di
cibi pronti per l’uso, ossia tutto ciò che può provocare disturbi cardiaci e diabete, ma costituisce anche
un killer per l’ambiente. In Gran Bretagna, ogni individuo consuma una media di 79 chili di carne
all’anno, quantità giudicata insostenibile dagli scienziati della Aberdeen University, che vorrebbero
abbassarla a 10 chilogrammi annuali, pari a poco più di 200 grammi alla settimana. “Il cibo che
mangiamo fa parte di un complesso ecosistema di cui fanno parte tutti gli abitanti del pianeta”, afferma il
Wwf presentando l’iniziativa.
“Un quinto di tutti i gas serra prodotti al mondo vengono dall’agricoltura. Un hamburger mangiato a
Londra, a New York o a Roma ha un potenziale distruttivo sulla foresta amazzonica. Se tutti i terrestri
mangiassero come mangia abitualmente un europeo o un americano, entro il 2050 ci servirebbero due
pianeti Terra per nutrirli”. Importante è non solo quali prodotti si comprano per mangiare, ma pure dove
si comprano, da quanto lontano devono arrivare. Spiega Colin Butfield, uno degli esperti che hanno
creato la dieta eco-sostenibile: “Quanto fertilizzante viene usato per far crescere i pomodori? E quanti
gas serra sono stati immessi nell’ambiente dall’aereo che ha trasportato l’agnello dalla Nuova
Zelanda? Se ci pensi, ti dovrebbe passare l’appetito”.
Le percentuali della dieta del buon vivere sono 35 per cento di frutta e verdura, 29 per cento di cereali, 8
per cento di carne, pesce e uova: per una vita sana e un pianeta sano. Il menù per la settimana ce
l’avete sotto gli occhi. Prendete pentole e padelle, forchetta e coltello, e andate a salvare voi stessi e la
Terra, se ne avete voglia.
Fonte Repubblica.it
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01/02/2011
Paul Cézanne: il post-impressionista c…
Numero 11 del 25/01/2011
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Paul Cézanne: il post-impressionista che influenzò il
Cubismo
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MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 16:30
Cinema
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Anche Google ha commemorato il 172° anniversario della sua
nascita, trasfigurando per un giorno il suo logo in una natura
morta. E se il motore di ricerca più utilizzato al mondo sceglie
di rendere omaggio a un artista, a un personaggio o a un
avvenimento storico, si può star certi che quell’artista, quel
personaggio o quell’avvenimento hanno scritto un pezzo di
storia. E’ stato così per John Lennon e per Gandhi, per
Giuseppe Verdi e Agatha Christie: e così è anche per Paul
Cézanne. Chi non conosce il nome del celebre pittore
francese? Chi non ha mai visto almeno una riproduzione di
una sua tela? Quasi nessuno. Eppure l’opera di Cézanne non
ha goduto di immediata fortuna, rimanendo ostica e
incomprensibile a molti per la maggior parte della sua vita.
Personaggio ermetico, a tratti introverso e solitario, Paul
Cézanne incarna in ambito pittorico l’ideale romantico
dell’outsider che, pur avvicinandosi alle correnti artistiche
dell’epoca, ne rimane distaccato e sotto molti aspetti escluso,
coltivando uno stile personale ed eclettico difficilmente
riconducibile all’interno di una scuola pittorica predominante.
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Nato ad Aix-en-Provence da una agiata famiglia borghese di presunte origini italiane – il cognome
Cézanne deriverebbe dall’italiano Cesana, piccolo borgo piemontese – il giovane Cézanne si avvicina
ben presto all’arte, grazie a un’istruzione umanistica completata dagli studi di musica e disegno, e
soprattutto grazie alla profonda amicizia che lo legherà per quasi tutta la vita allo scrittore Émile Zola,
con cui instaura un forte legame adolescenziale di natura intellettuale, nutrito dalla comune lettura dei
classici e dallo scambio di opinioni letterarie. Legame che avrà non poche influenze sulle prime scelte
pittoriche dell’artista Cézanne: il periodo romantico della sua pittura, caratterizzato dallo studio dei
“classici” cinquecenteschi, da Caravaggio a El Greco, e dalla profonda ammirazione dei “romantici”
Délacorix e Courbet, si può infatti interpretare simbolicamente come un tentativo di trasporre nelle
immagini – prevalentemente ritratti, caratterizzati da colori scuri e dall’apertura delle forme alle
“vibrazioni del colore”, come insegnava il maestro Délacroix e come si può apprezzare nelle tinte fosche
de “Il negro Scipione”– quel senso di decadimento che anima, soprattutto in letteratura, l’ultimo
romanticismo. Quasi a voler fornire un manifesto figurativo, un corrispettivo pittorico alle atmosfere
descritte a parole dai romanzieri dell’epoca, i cui personaggi sembrano prendere corpo e dimensione
nei pesanti impasti di colore spatolato dell’oggetto pittorico d’elezione prescelto da Cézanne: il ritratto.
Stilisticamente parlando, questo primo periodo fu contraddistinto dallo studio delle forme: secondo
Cézanne, tutta la realtà poteva essere figurativamente ricondotta a tre solidi geometrici – cono, cilindro e
sfera: in quest’affermazione si intravede una prima rottura della dimensione prospettica classica, che
compare, in forma primordiale, già nelle prime opere dell’artista, per poi diventare una peculiarità del
suo stile inconfondibile. Solo più tardi Cézanne approderà allo studio dei colori, approfondito in seguito
al fecondo incontro con l’impressionismo di Pissarro, che libererà la pittura di Cézanne dalle
“sovrastrutture letterarie” avvicinandolo al tocco “naif” degli impressionisti Monet, Renoir e Sisley, con i
quali Cézanne venne in contatto durante la frequenza parigina dell’Académie Suisse. Paul Cézanne
tuttavia non si inserirà mai a pieno titolo nella corrente impressionista: pur esponendo insieme ai
maestri dell’impressionismo (l’opera culminante del periodo impressionista di Cézanne è “La cas a
dell’impiccato ad Auvers”) non otterrà lo stesso successo di critica e vendite, e questa disfatta spingerà
l’uomo Cézanne, già di carattere introverso e schivo, a un ulteriore ripiegamento su se stesso e sulla
propria arte, alla ricerca di uno stile pittorico personale, innovativo anche rispetto all’astro nascente
dell’impressionismo.
Il periodo costruttivo sarà dunque caratterizzato da un rifiuto, e contemporaneamente dalla tensione
verso una sintesi dei periodi precedenti: rigettando sia la concezione romantica della pittura come
interpretazione soggettiva della realtà interiore dell’artista, sia la centralità impressionista
dell’immediatezza della percezione, Cézanne, ritiratosi in Provenza, inizia le sue meticolose ricerche sul
colore: l’obiettivo è di trascendere la centralità sia della percezione impressionista fondata sullo studio
della luce, sia dell’interpretazione dell’era romantica basata sulla prospettiva, andando piuttosto alla
ricerca dell’essenza ontologica della realtà, che, secondo Cézanne, solo il colore è in grado di
sintetizzare.
Riprendendo e studiando per anni gli stessi soggetti con una perseveranza che oggi definiremmo
maniacale (si veda il dipinto de “Le grandi bagnanti”), Cézanne mette a punto la sua originalissima
tecnica pittorica, caratterizzata da un uso esclusivo del colore per esaltare le volumetrie delle forme e
dello spazio: i colori venivano stesi sulla tela con la spatola, puri; ombreggiature e sfumature venivano
create attraverso la sovrapposizione dei colori, ottenuta con successive spalmature a tela asciutta.
La destrutturazione delle forme ad opera del colore che si intravede più che altro negli intenti della
pittura di Cézanne verrà successivamente ripresa e portata alle estreme conseguenze figurative dal
Cubismo: in questo senso Cézanne può essere considerato un pioniere, seppur ad un livello solo
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01/02/2011
Paul Cézanne: il post-impressionista c…
intellettuale, del movimento pittorico che rese celebre il più moderno (e più fortunato) Picasso.
Come spesso accade ai quei personaggi, che dopo aver trascorso una vita in sordina, si ritrovano, postmortem, ad avere un ruolo cruciale nella storia, così avvenne anche per Paul Cézanne: solo un anno
dopo la sua morte, avvenuta nel 1906, il Salon d’Automne, che aveva in passato rifiutato le sue opere, gli
dedicò un’imponente retrospettiva commemorativa che pose le basi dell’avanguardia pittorica del ‘900,
influenzando Modigliani e Picasso, e consegnando all’immortalità il nome dell’ormai defunto pittore che
oggi tutti conoscono: Paul Cézanne.
Giuliana Gugliotti
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Napoli città giovane | La rosa nera
Numero 11 del 25/01/2011
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Napoli città giovane
Sezioni
MARTEDÌ, 25 GENNAIO 2011 16:26
NESSUN COMMENTO
Si conclude questo fine settimana, con il Convegno
Nazionale delle Politiche per i Giovani, l’esperienza
triennale del Piano Locale Giovani, un programma di
azioni per il rinnovamento delle politiche giovanili
promosso dalle amministrazioni comunali di molte
regioni italiane. Giovani da tutta l’Italia si recheranno
a Napoli, a partire dal 27 gennaio, per confrontarsi in
merito alla loro esperienza nel Piano Locale Giovani
e incontrare le istituzioni allo scopo di individuare
insieme strategie che orientino le politiche giovanili
allo sviluppo locale e ad una maggiore e reale
partecipazione dei giovani alla politica del proprio
territorio, soprattutto se si tratta di programmare
azioni che li vedano quale oggetto di intervento. Le
attività si svolgeranno secondo due differenti
modalità che confluiranno nella seduta plenaria di
convegno del 29 gennaio, giorno della chiusura dei
lavori, a cui è prevista anche la partecipazione del
Ministro della Gioventù Giorgia Meloni. E’ stato
possibile, infatti, scegliere di partecipare all’incontro nella tradizionale modalità “convegnistica” o
entrando a far parte del “Campus Giovani”, che impegnerà le rappresentanze delle associazioni
giovanili italiane e quelle territoriali già dal 27 gennaio presso il Centro Polifunzionale “Marechiaro”,
struttura comunale ricettiva sita a Posillipo.
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Il convegno avrà luogo il 28 e 29 gennaio presso il Palazzo delle Arti di Napoli, per l’occasione
ribattezzato Palazzo dei Giovani a Napoli, alla presenza di ospiti autorevoli della pubblica
amministrazione e dell’Università, tra cui Giulio Riccio – Assessore Politiche Sociali e Giovanili del
Comune di Napoli, Nicola Oddati – Assessore alla Cultura del Comune di Napoli, Ugo Marani –
Presidente A.Di.S.U. Università Federico II e Derrick De Kerckhove – Sociologo della cultura digitale,
Università Federico II.
Oltre ad essere occasione di scambio e confronto tra giovani, operatori delle politiche giovanili ed
istituzioni, queste giornate di studio e lavoro sono pensate per avvicinare giovani appartenenti a realtà
diverse della nostra nazione che, attraverso la condivisione di idee, progetti ed esperienze, potranno
costituire una rete di collaborazione nazionale che stimoli gli enti locali ad investire di più e meglio sui
giovani italiani. In questi tre anni la sperimentazione del Piano Locale Giovani si è focalizzata su tre
obiettivi – accesso facilitato al lavoro, al credito e alla casa – tramite bandi per l’imprenditoria giovanile,
sostegno alla formazione, erogazione di borse lavoro, azioni di microcredito per progetti di vita o di
studio. In particolare, per quanto riguarda la Campania, è attualmente aperto il bando per cittadini tra i
18 e i 35 anni per ottenere un contributo per pagare l’affitto, erogato dal Comune di Napoli.
Si tratta di interventi sperimentali che preparino la strada per poter agire, nei prossimi anni, su molte
altre aree di intervento individuate a livello europeo con la “Strategia di Lisbona” e il “Patto per la
Gioventù”: l’educazione, la formazione al lavoro, la trasmissione delle conoscenze ma anche, per quanto
riguarda la formazione personale dei giovani, una migliore qualità del tempo libero che preveda un
rafforzamento della creatività e dell’innovazione ed una maggiore attenzione all’inclusione sociale. In
Internet si legge che il Piano Locale Giovani nasce dall’idea che ai giovani vadano date occasioni per
sperimentare autonomia e responsabilità affinché siano in grado di agire concretamente e in prim a
persona sul proprio futuro, e che la costituzione dei singoli organi regionali si fondi su uno specifico
slogan: “Non chiediamoci più quale società dobbiamo progettare per i giovani, ma chiediamo loro quale
ruolo e quali funzioni vogliono avere all’interno della società”. Tale premessa sembra piuttosto astratta
in un clima di crisi economica, in cui la precarietà è diventata per tutti – giovani e meno giovani – un vero
e proprio stile di vita e si assiste ad un progressivo allontanamento dei giovani dalla politica – sia
perché troppo impegnati a lavorare per la costruzione di un futuro in territori privi di opportunità sia
perché costretti passivamente a subire e far propri i valori e le aspirazioni di una cultura di massa ormai
inglobante oltre che decadente. Tuttavia, la sperimentazione del Piano Locale Giovani sembra
rappresentare uno strumento positivo per stimolare il coinvolgimento di tale fascia della popolazione
nell’analisi dei problemi della società, proponendo alle rappresentanze degli enti locali investimenti
validi e in linea con le proprie esigenze, affinché le risorse vengano mobilitate su interventi in grado di
aumentare le opportunità di crescita e realizzazione per i giovani italiani.
Sarà interessante capire allora come verrà utilizzato il lavoro svolto in questi tre anni dalle singole
regioni: se saranno avanzate ulteriori proposte, queste saranno concretizzate dalle amministrazioni
locali? Insomma, crediamo davvero che l’Italia riuscirà ad invertire la rotta e a trasformarsi da “paese per
vecchi” in nazione che guardi al futuro valorizzando i propri giovani?
Sara Di Somma
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Disoccupazione giovanile in aumento …
Numero 11 del 25/01/2011
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Disoccupazione giovanile in aumento
Sezioni
MARTEDÌ, 01 FEBBRAIO 2011 14:50
NESSUN COMMENTO
ROMA - Il tasso di disoccupazione giovanile (1524 anni) a dicembre 2010 è salito al 29%, con un
aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese
precedente e di 2,4 punti percentuali rispetto a
dicembre 2009, segnando così un nuovo record
negativo. Si tratta, infatti, del livello più alto
dall’inizio delle serie storiche mensili, ovvero dal
gennaio del 2004. Lo comunica l’Istat in base a
dati destagionalizzati e a stime provvisorie.
Il numero di occupati a dicembre 2010, sempre
su dati destagionalizzati, risulta invariato sia
rispetto a novembre 2010 sia su base annua. Il
tasso di occupazione, pari al 57 per cento, risulta stabile rispetto a novembre e in riduzione di 0,1 punti
percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta in diminuzione dello 0,5 per cento rispetto a
novembre, e in aumento del 2,5 per cento rispetto a dicembre 2009. Il numero di inattivi di età compresa
tra 15 e 64 anni a dicembre 2010 aumenta dello 0,1 per cento rispetto sia a novembre sia a dicembre
2009. Il tasso di inattività, pari al 37,6 per cento, è invariato rispetto al mese precedente e in diminuzione
rispetto a dicembre 2009 (-0,1 punti percentuali).
Dati che i tecnici dell’Istituto di statistica considerano più confortanti: “A chiusura del 2010 le condizioni
del mercato del lavoro appaiono un po’ più serene – rilevano gli statistici -, da autunno l’occupazione ha
smesso di scendere e la disoccupazione nell’ultimo bimestre, novembre e dicembre, ha preso a calare.
L’unico elemento che stona è la disoccupazione giovanile, che ancora una volta torna a scalare
posizioni, segnando un nuovo record”.
Dalla Germania la nuova conferma che la “locomotiva” ha ripreso a marciare. Il numero dei disoccupati
scende ai minimi dal 1992. A gennaio i senza lavoro sono diminuiti di 13.000 unità a 3.135 milioni, il
livello più basso da novembre 1992, superate anche le previsioni che puntavano su un calo di 9mila
unità, rispetto alla crescita, rivista, di 1.000 In dicembre. Lo ha comunicato l’Agenzia federale del Lavoro
di Norimberga, precisando che il tasso di disoccupazione destagionalizzato è sceso dal 7,5% al 7,4%. Il
tasso di disoccupazione non depurato dei fattori stagionali, invece, segna un rialzo considerevole: nel
mese di gennaio è del 7,9%, rispetto al 7,2% segnato in dicembre e al 7,5% delle attese.
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ROMA – Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a dicembre 2010 è salito al 29%, con un
aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,4 punti percentuali rispetto a
dicembre 2009, segnando così un nuovo record negativo. Si tratta, infatti, del livello più alto dall’inizio
delle serie storiche mensili, ovvero dal gennaio del 2004. Lo comunica l’Istat in base a dati
destagionalizzati e a stime provvisorie.
Il numero di occupati a dicembre 2010, sempre su dati destagionalizzati, risulta invariato sia rispetto a
novembre 2010 sia su base annua. Il tasso di occupazione, pari al 57 per cento, risulta stabile rispetto a
novembre e in riduzione di 0,1 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.Il
numero delle persone in cerca di occupazione risulta in diminuzione dello 0,5 per cento rispetto a
novembre, e in aumento del 2,5 per cento rispetto a dicembre 2009. Il numero di inattivi di età compresa
tra 15 e 64 anni a dicembre 2010 aumenta dello 0,1 per cento rispetto sia a novembre sia a dicembre
2009. Il tasso di inattività, pari al 37,6 per cento, è invariato rispetto al mese precedente e in diminuzione
rispetto a dicembre 2009 (-0,1 punti percentuali).
Dati che i tecnici dell’Istituto di statistica considerano più confortanti: “A chiusura del 2010 le condizioni
del mercato del lavoro appaiono un po’ più serene – rilevano gli statistici -, da autunno l’occupazione ha
smesso di scendere e la disoccupazione nell’ultimo bimestre, novembre e dicembre, ha preso a calare.
L’unico elemento che stona è la disoccupazione giovanile, che ancora una volta torna a scalare
posizioni, segnando un nuovo record”.
Dalla Germania la nuova conferma che la “locomotiva” ha ripreso a marciare. Il numero dei disoccupati
scende ai minimi dal 1992. A gennaio i senza lavoro sono diminuiti di 13.000 unità a 3.135 milioni, il
livello più basso da novembre 1992, superate anche le previsioni che puntavano su un calo di 9mila
unità, rispetto alla crescita, rivista, di 1.000 In dicembre. Lo ha comunicato l’Agenzia federale del Lavoro
di Norimberga, precisando che il tasso di disoccupazione destagionalizzato è sceso dal 7,5% al 7,4%. Il
tasso di disoccupazione non depurato dei fattori stagionali, invece, segna un rialzo considerevole: nel
mese di gennaio è del 7,9%, rispetto al 7,2% segnato in dicembre e al 7,5% delle attese.
Fonte Repubblica.it
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