Fonti bibliche e patristiche della disciplina penitenziale

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Fonti bibliche e patristiche della disciplina penitenziale
FONTI BIBLICHE E PATRISTICHE
DELLA DISCIPLINA PENITENZIALE
Testi sui quali si fondano i principi teologici che daranno vita alla prassi penitenziale e al relativo
movimento della penitenza, mutuato dai seguaci di San Francesco d’Assisi, specialmente da «quelli
e quelle che fanno penitenza» (1Lf), ossia dal Terzo ordine francescano nella sua globalità: Ordine
Francescano Secolare, suore e monache francescane terziarie, frati terziari regolari, istituti secolari che si ispirano alla terza regola.
1. FONTI BIBLICHE: ANTICO TESTAMENTO
Si usa pensare che l’Antico Testamento sia stato il tempo della severità e della giustizia. Un
popolo tutto da educare alla fede e alla sensibilità morale aveva bisogno di un Dio giudice, esigente
e pronto a castigare. Almeno, per offrire una testimonianza di serietà e per essere un monito!
In realtà, nella trama degli eventi e nella teologia biblica, opera una sapiente pedagogia divina,
tutta permeata di amore. Nei libri sacri è riservato largo spazio alla misericordia divina: Dio crea, ama
e perdona, perché egli vuole la vita e non la morte delle sue creature. Per non rimanere nell’astratto,
esaminiamo alcuni testi, che ci permettono di comprendere i ritmi della misericordia divina nel corso
dei secoli e dei millenni.
1. Gn 3,1-19 (Epoca dei fatti narrati e redazione: 1850-450 a.C.).
Dio ha fatto bene ogni cosa, ma il peccato entra nel cuore dell’uomo e della donna. Ai colpevoli
non è preclusa la speranza della salvezza: «Allora il Signore Dio disse al serpente: Poiché tu hai fatto
questo, sii maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua
stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà il capo e tu le insidierai il calcagno» (3,14-15). Anche se
colpevoli, l’uomo e la donna vengono in qualche modo scagionati e ottengono misericordia.
2. Gn 4, 1-15 (Epoca dei fatti narrati e redazione: 1850-450 a.C.).
Caino uccide Abele. Il fratricida si rende conto della gravità del delitto e dispera della misericordia
divina: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere il perdono!» (4,13). Il Signore, però, mentre vuole
che Caino paghi la sua pena, offre la sua misericordia e garantisce l’incolumità del peccatore: «Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!» (4,15).
3. Gn 6, 1s; 7,1s; 8,1s; 9,1s. (Epoca dei fatti narrati e redazione: 1850-450 a.C.). La malvagità
degli uomini era grande e generale sulla terra. Perciò il Signore disse: «Sterminerò dalla terra l’uomo
che ho creato...» (6,7). Il diluvio segnerà la triste fine del mondo peccatore. Rimarrà salva solo la
famiglia del giusto Noè, con un campionario di animali. Ma “l’istinto dell’uomo è incline al male fin
dall’adolescenza!” (8,21). Con Cam (9,20-27) il peccato si riaffaccia nell’individuo e nella società. Il
mondo continua ad avere bisogno della misericordia divina.
4. Gn 18,17-33 (Epoca dei fatti narrati e redazione: 1850-450 a.C.).
A Sodoma e Gomorra trionfano peccati innominabili e peccatori refrattari. I meriti dei giusti potrebbero ottenere la misericordia divina e il perdono. Ma i peccatori perseverano nel male e i giusti
non ci sono. Neppure dieci! Il castigo perciò fà il suo corso con fuoco e zolfo.
Isaia 52,13-53 addita il vero Giusto che può salvare il mondo dalla condanna e donare il perdono.
Per immettersi in questa orbita di misericordia che salva occorre però un cuore nuovo, animato da
uno spirito nuovo (cf. Ez 11,13-21; 36,23-28; 18,20-32).
5. Es 16,1-36 (Epoca dei fatti narrati e redazione: 1300-450 a.C.).
Il popolo in cammino verso la terra promessa rimpiange il tempo e i conforti della schiavitù, disprezzando il progetto di Dio liberatore. Iahweh dovrebbe rifiutare questa gente “dalla testa dura”!
Invece egli manda quaglie e manna per salvare e gratificare il suo popolo, non dando peso alle sue
colpe, ma lasciando spazio alla sua misericordia.
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6. Es 17,1-7 (Epoca dei fatti narrati e redazione: 1300-450 a.C.).
Massa (=tentazione) e Meriba (=protesta) ricordano la ribellione del popolo eletto durante il faticoso cammino dalla schiavitù verso la futura patria “dove scorre latte e miele”. Quel popolo refrattario
dovrebbe essere abbandonato a se stesso e lasciato morire. Invece Elohim manifesta la sua misericordia e fa scaturire l’acqua dalla roccia.
7. Es 32,1-14 e Dt 9,7-19. Gravissimo è il peccato di idolatria quando il popolo si costruisce un
vitello d’oro da adorare, rinnegando il vero Dio che lo ha liberato e lo ha circondato di prodigi. Questa
volta la colpa sembra imperdonabile! Dice il Signore: questo «... è un popolo di dura cervice; lasciami
fare: io li distruggerò e cancellerò il loro nome sotto i cieli...» (Dt 9,13-14). Iahweh, però, accoglie
l’intercessione di Mosè: «tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato» (Es 34,9). E «il Signore, Dio
misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia, che conserva il suo favore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione...» mostra
ancora la sua misericordia e cammina in mezzo al suo popolo (Es 34,5-9; cf. Sal 102).
8. 2Sm 11,1-27 + 12,1s + Sl 50 (Epoca dei fatti narrati e redazione: 1025-550 a.C.). Il re David,
benché scelto da Dio con predilezione speciale, si rende colpevole di adulterio e di omicidio. Sollecitato dal profeta Natan, David prende coscienza della sua colpa: «Ho peccato contro il Signore!»
(2Sm 12,13). L’uomo è generato nella colpa (Sl 50,7) e il cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza (cf. Gn 8,21). Il peccatore implora la misericordia divina (cf. Sl 50,1s) e il profeta assicura:
«Dio ha perdonato il tuo peccato» (2Sm 12,13). Il colpevole, però, espierà la pena.
9. Dt 30,11-20 (Epoca del Deuteronomio: 622-590 a.C.).
Il metodo ordinario di Iahweh è questo: egli prende l’iniziativa e offre la salvezza, ma affida
all’uomo e alla donna la responsabilità di scegliere il bene o il male, la vita o la morte. I giusti riceveranno “una magnifica corona regale” in proporzione ai loro meriti, mentre la speranza dell’empio
sarà dispersa dal vento (cf. Sp 5,14-16).
10. Mi 7,19 (Epoca del profeta Michea: 740-687 a.C.).
Il profeta esprime la certezza che il Signore tornerà ad avere pietà di noi, calpesterà le nostre colpe
e getterà in fondo al mare tutti i nostri peccati. Sì, perché Iahweh è buono e misericordioso!
11. Is 1,2-6 e 10-18 (Epoca del 1° Isaia, cap. 1-39: 740-700 a.C.).
Iahweh ha allevato un popolo che è diventato ribelle: le colpe sono numerose e grandi, meritevoli
di grossi castighi. Il Signore, però, assicura: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; se fossero rossi come porpora, diventeranno candidi come lana» (1,18).
Dio è pronto a perdonare.
12. Ez 18,20-32 (Epoca del profeta Ezechiele: 570 a.C.).
Il profeta si pone una domanda cruciale: se il giusto pecca, egli sarà condannato a morire nella sua
colpa, oppure potrà ottenere il perdono? Il Signore precisa: se il malvagio si allontana da tutti i peccati
che ha commesso, nessuna delle sue colpe sarà ricordata ed egli vivrà.
13. Gr 7,1-11 + 21-26 (Epoca di redazione del profeta Geremia: 605-538 a.C.).
Per stabilire un rapporto salvifico con Dio non bastano le formalità e le astuzie, ma è indispensabile
una sincera condotta esistenziale, plasmata dalla parola di Dio. C’è, purtroppo, chi non ascolta la
voce del Signore e non presta orecchio, chi procede secondo l’ostinazione del cuore malvagio e, invece di volgere la faccia (conversio), volge le spalle (aversio) a Iahweh (7,24). Chi, al contrario, vuole
la salvezza deve ascoltare la voce del Signore e camminare nelle sue vie: «Allora io sarò il vostro Dio
e voi sarete il mio popolo» (7,23). E così matura la riconciliazione.
14. Is 58,1-11 (Epoca del 3° Isaia, cc. 56-66: 400 a.C.).
I formalismi e le ipocrisie non salvano nessuno! Chi si impegna a modellare la propria vita secondo
il piano di Dio e con operosa attenzione ai fratelli, costui vedrà la salvezza.
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15. Gl 2,12-19 (Epoca del profeta Gioele: 390 a.C.).
Poiché «il Signore è misericordioso e benigno», il credente sincero - consapevole del proprio peccato - esplode in fiduciosa preghiera: «Perdona, Signore, al tuo popolo»; «il Signore... si muova a
compassione del suo popolo» (2,13 e 17). Il profeta è certo che la misericordia divina non viene
negata a nessuno.
16. Os 2,2-24 (Epoca del profeta Osea: 715 a.C.).
Il popolo eletto, amato da Dio e troppo spesso infedele, è paragonabile ad una sposa che tradisce
il marito e che, pertanto, dovrebbe essere ripudiata, anzi percossa e fatta morire di fame. Ma il Signore
è uno sposo misericordioso: parla al cuore della sposa infedele, la conduce nel deserto, la libera dai
vincoli peccaminosi e ricomincia un rapporto nuziale nella giustizia e nella speranza.
17. Os 11,1-11 (Epoca del profeta Osea: 715 a.C.).
Il popolo eletto, un tempo, era fedele e pieno di entusiasmo. Ora, inficiato di compromessi, «è duro
a convertirsi» (11,7). Ma il Signore non abbandona il suo popolo: «il mio cuore si commuove dentro
di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo alla mia ira...perché sono Dio e non
uomo» (11,8-9).
18. Os 14,2-10 (Epoca del profeta Osea: 715 a.C.).
Chi vuole il perdono e la salvezza deve togliere ogni iniquità e fare ciò che è bene. Mentre i giusti
camminano spediti nelle vie del Signore, i malvagi rimangono impigliati nelle proprie iniquità.
19. Is 55,1-11 (Epoca del 2° Isaia, cc. 40-55: 550-539 a.C.).
Se l’empio abbandona le vie perverse e porge ascolto alle parole di salvezza che vengono dal
Signore, può suggellare un patto di “eterna alleanza” con il Dio vivente e incamminarsi per le vie
della vita. Dio usa largheggiare nel perdono!
20. Zc 1,1-6 (Epoca del 1° Zaccaria profeta: 519 a.C.).
Iahweh è molto sdegnato contro quelli che seguono le opere malvage e li invita alla conversione
per poter conseguire la misericordia.
21. Gi 3,1-10 + 4,1-11 (Epoca del profeta Giona: 440 a.C.).
Con molta riluttanza Giona predica la conversione a Ninive e i niniviti si pentono dei loro peccati.
Il profeta lamenta: «so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e
che ti lasci impietosire...» (4,3). Il profeta avrebbe, invece, preferito vedere una punizione esemplare!
Ma il Signore gli risponde: forse io non dovrei avere pietà di Ninive? (cf. 4,11).
22. Dn 3,26-45 + 52-90 (Epoca del profeta Daniele: 168-165 a.C.).
Abbiamo qui uno splendido salmo di pentimento (supplica di perdono, desiderio di conversione,
preghiera per la restaurazione). Fà seguito il canto festoso di chi ha sperimentato la benevolenza del
Signore.
23. Ne 8,1s + 9,1s (Epoca di Neemia: 390 a.C.).
Schema di liturgia penitenziale. La proclamazione della bibbia illumina la riflessione, la quale
sottolinea i benefici di Dio e l’infedeltà umana. Da questo confronto sgorga il pentimento, al quale
fanno seguito propositi di vita nuova. Dio è “pronto a perdonare, pietoso e misericordioso, lento all’ira
e di grande benevolenza” (9,17). Cf. salmo 102.
24. Salmi. I salmi (= canti) sono 150, composti in tempi e in luoghi diversi. Alcuni esprimono una
spiritualità intensa su molti temi dell’esistenza umana e della fede. Alcuni sono detti penitenziali,
perché in essi l’uomo riconosce le proprie colpe, implora la misericordia divina e formula propositi
di vita nuova. Segnalo, a titolo di esempio, il salmo 50 (Miserere), il salmo 129 (De profundis), il
salmo 135 (eterna è la sua misericordia).
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2. FONTI BIBLICHE: NUOVO TESTAMENTO
Nel Nuovo Testamento troviamo brani forse meno corposi, ma illuminanti e decisivi riguardo al
perdono e alla salvezza. Nei sinottici molte testimonianze si ripetono, anche se non sempre con le
stesse sfumature.
1. Marco (composizione a Roma, anni 65-70 d.C.).
Gesù dice al paralitico: «Ti sono rimessi i tuoi peccati»; «il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra
di rimettere i peccati...» (2,5 e 10). Gesù sceglie un discepolo tra i peccatori, poi mangia e beve con i
peccatori, perché lui è venuto come medico per la salute dei malati (2,15-17). Gesù afferma il principio: «Tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno;
però chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo non avrà perdono in eterno» (3,28-29).
2. Luca (composizione forse a Roma, anni 70-75 d.C.).
Il vangelo di Luca è un proclama della misericordia divina. Gesù perdona la peccatrice anonima
(7,36-50); Gesù accoglie i peccatori e mangia con loro (15,1-2); il pastore va in cerca della pecorella
smarrita (15,4-7); c’è più gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si pente (15,810); il figlio prodigo ottiene l’abbraccio del padre (15,11-32), ma chi non si converte va in rovina
(13,5). Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto (19,10).
3. Matteo (composizione forse ad Antiochia di Siria, anni 75-80 d.C.).
Il messaggio delle beatitudini è un invito a convertirsi su tutti i fronti dell’esistenza terrena (5,112). La predicazione di Giovanni Battista è un appello alla conversione del cuore: «convertitevi»
(3,2), «fate frutti degni di penitenza» (3,8). Anche Gesù predica alla gente «convertitevi!» (4,17). A
Pietro apostolo basta uno sguardo scrutatore e amoroso di Gesù per piangere la propria colpa e cambiare vita (26,69-75). Nella persona di Pietro, Gesù conferisce alla chiesa il potere di rimettere i peccati: «A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e
tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (16,19). «Tutto quello che legherete sopra la
terra sarà legato anche nei cieli e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo»
(18,18). Pietro domanda: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello se pecca contro di
me? Fino a sette volte?». E Gesù gli risponde: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte
sette» (18,21-22).
4. Giovanni (composizione ad Efeso, anno 95 d.C.).
Gesù è l’agnello di Dio, «colui che toglie il peccato del mondo» (1,29). «Dio non ha mandato il
Figlio nel mondo per giudicare e condannare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui»
(3,17). Alla donna samaritana, colpevole pertinace e nel contempo in atteggiamento di ricerca, Gesù
offre l’acqua che disseta per sempre. La donna accetta la proposta di una vita nuova (4,1s). Mentre
Gesù è seduto sui gradini del tempio, i farisei gli presentano una donna sorpresa in adulterio. La
colpevole meriterebbe la lapidazione. Gesù condivide con gli accusatori la condanna del peccato, ma
vuole salva la peccatrice. Egli perdona l’adultera, però le dice «d’ora in poi non peccare più!» (8,211). Dopo la risurrezione Gesù appare agli apostoli e alita su di loro dicendo: «Ricevete lo Spirito
santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi»
(20,22-23). La chiesa ha dunque il potere di amministrare il perdono per mandato di Cristo stesso.
5. Atti degli apostoli (redatto da Luca evangelista forse a Roma, anni 80-85).
Tutto il libro degli Atti illustra il cammino della conversione dei pagani e degli ebrei a Cristo,
soprattutto dietro alla predicazione di Pietro e di Paolo.
Pietro proclama che il Cristo crocifisso è risorto e siede nella gloria, vittorioso sul male e sulla
morte (2,32-36). Gli uditori si sentono trafiggere il cuore e chiedono cosa devono fare per conseguire
la misericordia e la salvezza (2,37). Pietro dice con fermezza: «Convertitevi e ciascuno si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello
Spirito Santo» (2,38).
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In Atti 4,32-37 sono evidenziati gli effetti della conversione: «La moltitudine di coloro che erano
venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli
apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune».
Classico è il racconto della conversione di Saulo/Paolo: 9,1-18 (primo racconto) e 22,1-16 (secondo racconto).
Anche nelle Lettere paoline e nelle 7 Lettere cattoliche, come pure negli Atti e nell’Apocalisse,
abbiamo passi molto significativi, di forte pregnanza teologica e morale. Qualche esempio soltanto.
1. Rm 3,23-24 (composizione di Romani anni 57-58 d.C. a Corinto).
«Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua
grazia in virtù della redenzione realizzata in Cristo Gesù». In Rm 7,14-25 San Paolo sottolinea il
dramma dell’uomo esistenziale, minacciato da forze centrifughe che lo sospingono lontano da Dio.
«Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (7,24). In Rm 5,6-11 vi è una pista di soluzione:
«Cristo è morto per noi... giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se
infatti, quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo,
molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo
pure in Dio, per mezzo del signore nostro Gesù Cristo, dal quale abbiamo ottenuto la riconciliazione».
Cf. anche Rm 6,2-23: «morti al peccato e riconciliati per una vita nuova secondo il progetto della
nuova creazione».
2. 1Cor 5,7-8 (composizione di 1Corinzi anno 56 d.C. a Efeso).
L’apostolo esorta i cristiani ad una conversione sincera, fatta di opere: «Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!
Celebriamo, dunque, la festa non con il lievito vecchio, né con il lievito di malizia e di perversità, ma
con azzimi di sincerità e di verità». Il dono della misericordia è implicito. Infatti, «se uno è in Cristo,
è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate e ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene
da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro
colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione» (2Cor 5,17-19). Occorre però il giusto discernimento prima di imporre le mani del perdono, evitando precipitazione e imprudenze (cf. 1Tm 5,22).
3. Ef 2,4-5 (composizione di Efesini anni 62-63 d.C. a Roma).
«Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, da morti che eravamo per il
peccato, ci ha fatti rivivere con Cristo». La vita nuova è alimentata dalla grazia e dal “pentimento
salutare” (2Cor 7,10) che ottiene il dono della misericordia. Richiamo alcuni testi paolini che sottintendono la possibilità di conseguire il perdono da parte del cristiano impegnato nell’itinerario penitenziale. Rm 12, 1-2 + 9-21 (fuggire il male e praticare le virtù); Ga 5,1 + 13-25 (libertà dal peccato
e vita secondo lo Spirito); Ef 5,1-14 (comportarsi come figli della luce); Cl 3,1-17 (dominare gli
impulsi di peccato e rivestirsi dell’uomo nuovo); 1Pt 1,13-25 (essere vigilanti e fiduciosi nella grazia
di Cristo).
4. 1Gv 1,5-10 + 2,1-2 (composizione di 1Gv anno 95 d.C. a Efeso).
La coscienza del peccato è parte integrante dell’uomo esistenziale. Perciò «se diciamo di essere
senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi; se riconosciamo i nostri peccati, egli [il
Signore], che è fedele e giusto, ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa; se diciamo che
non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi» (1Gv 1,8-10). Ma, per
nostra fortuna, «il sangue di Gesù suo Figlio ci purificherà da ogni peccato». L’apostolo dell’amore
insiste ancora: «Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma, se qualcuno ha peccato,
abbiamo un avvocato presso il Padre, Gesù Cristo il giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri
peccati: non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1Gv 2,1-2). Cf. 1Gv, 1-24:
dialettica fra la luce e le tenebre nel quotidiano dell’uomo.
5. Gm 5,14-16 + 5,19-20 (composizione della Lettera di Giacomo anno 95 d.C. a Gerusalemme).
Giacomo “il minore”, cugino di Gesù e vescovo di Gerusalemme, scrive intorno all’anno 60 d.C.:
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«Chi è malato chiami a sé i presbiteri della chiesa ed essi preghino su di lui, dopo averlo unto con
olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se
ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e
pregate gli uni per gli altri per essere guariti».
6. Ap 2,16 (composizione di Apocalisse anno 95 d.C. ad Efeso o Patmos).
«Ravvediti, dunque, altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro...». La possibilità
incondizionata di perdono è implicita nella esortazione al pentimento.
7. L’autore della Lettera paolina agli Ebrei (composizione anno 70 d.C. a Roma) si dimostra piuttosto severo: «Quelli che furono una volta illuminati gustarono il dono celeste, diventarono partecipi
dello Spirito santo e gustarono la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro e che tuttavia
sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione...» (Eb 6,4-6). «Se
pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la piena conoscenza della verità, non rimane più alcun
sacrificio per i peccati...» (Eb 10,26).
3. FONTI PATRISTICHE
I testi patristici offrono un materiale molto significativo riguardo alla teologia e alla prassi penitenziale nella chiesa antica. Ci si può rivolgere alla edizione del Migne: PG (161 volumi) e PL (221
volumi), con le dovute riserve dal punto di vista critico. Sono disponibili anche altre buone edizioni1.
1. Clemente romano, nel 96 d.C., scrive alla comunità di Corinto una Lettera, divisa in 65 capitoletti. L’autore esorta al pentimento, poiché il Signore ha voluto «che tutti i suoi amati avessero parte
alla penitenza» (8,5). «Volgiamo lo sguardo al sangue di Cristo e comprendiamo quanto esso sia
prezioso per il Padre suo, dato che, versato per la nostra salvezza, ha dato al mondo la grazia della
penitenza. Scorriamo tutte le età e apprenderemo che di generazione in generazione il Signore ha dato
la possibilità di fare penitenza a coloro che vogliono convertirsi a lui» (7,4-5). «Eliminiamo dunque
sollecitamente questo (male) e gettiamoci ai piedi del Signore e fra le lacrime preghiamolo di mostrarsi mite e di riconciliarsi con noi...» (48,1). «Di tutti i peccati che abbiamo commesso in seguito
ai tranelli del diavolo imploriamo il perdono... è meglio per un uomo confessare i propri peccati che
indurire il proprio cuore...» (51,1 e 3). La speranza del perdono si dischiude alla preghiera: «Misericordioso e compassionevole, rimetti a noi i nostri peccati, le nostre ingiustizie, le nostre cadute e
negligenze» (60,1).
2. La Lettera di Barnaba (fine del 1° secolo d.C.) parla chiaramente del “pentimento”, della
“confessione dei peccati” e del “perdono dei peccati”. Dopo una insistente esortazione a fuggire ogni
forma di male e a ricercare «ciò che può salvarci» (4,1), l’autore indica ai cristiani come costruire
splendidamente il tempio della propria vita: «ricevendo il perdono dei peccati» (16,8) e vivendo il
pentimento che egli ci dona (16,9). «Confesserai i tuoi peccati e non ti avvicinerai alla preghiera con
una coscienza malvagia. Questa è la via della luce» (19,12). Vedi i testi di Qumram.
3. Ignazio, vescovo di Antiochia, martirizzato a Roma verso il 110 d.C. Durante il suo lungo
viaggio verso la sede del martirio scrisse 7 Lettere, risistemate verso il 380. Tra i motivi della sua
grande fede e della dottrina esposta emerge la fiducia nella misericordia divina. Anzitutto la “condanna” e “l’ira futura” del giudizio possono essere evitate con le opere della fede e della carità (cf.
Agli Efesini, 14,2). «A tutti coloro che si pentono il Signore perdona, se il loro pentimento li conduce
all’unità di Dio e al sinedrio del vescovo. Ho fede nella grazia di Gesù Cristo che vi libererà da ogni
catena» (Ai Filadelfeni, 8,1). «È cosa ragionevole ritrovare ormai il nostro buon senso e, dal momento
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Per le varie collezioni, edizioni parziali e traduzioni vedi B. ALTANER, Patrologia, ed. Marietti 1983, pp. 33-39; H. R.
DROBNER, Patrologia, Piemme 2000. In italiano, può essere utile la collana di testi patristici edita da Città Nuova,
Roma. Per una consultazione esemplificativa ci si può rivolgere alle seguenti opere: H. KARP, La penitenza, cit., pp. 2199; C. VOGEL, Il peccatore e la penitenza nella chiesa antica, cit., pp. 55-182; ID., Il peccatore e la penitenza nel
medioevo, cit., pp. 37-317; I padri apostolici, a cura di A. QUACQUARELLI, Roma 1984.
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che ne abbiamo il tempo, convertiamoci a Dio» (Agli Smirnei, 9,1). «Rimuovete dunque il lievito
cattivo, che è diventato vecchio e acido, e trasformatevi in lievito nuovo, cioè Gesù Cristo. Che egli
sia il sale della vostra vita, in modo che nessuno tra voi si corrompa, perché è dall’odore che sarete
giudicati» (Ai Magnesi, 10,2).
4. Il Pastore di Erma ha avuto ripetute redazioni, dallo scorcio del 1° secolo alla metà del 2°
secolo d.C., a Roma. L’opera si struttura in 5 visioni, seguite da 12 precetti o mandati e 10 allegorie
o similitudini o parabole. È quasi interamente dedicata alla penitenza. Il cristiano, dopo il battesimo,
può ottenere il perdono dei peccati (di qualsiasi peccato), ma una sola volta in vita. Secondo Ermas,
quindi, la remissione delle colpe non è iterabile. Ammettere il contrario, argomenta, sarebbe come
incoraggiare il cristiano alla colpa o almeno alla superficialità nel vivere gli impegni battesimali. Chi
ricade in peccato “difficilmente conseguirà la vita” (Precetto IV, 3,6).
Questo principio prevalse nella chiesa antica e rimase in vigore, sostanzialmente, fino al 6°-7°
secolo d.C. Il movimento dei penitenti ecclesiali è strettamente legato a questa prassi e alla sua
evoluzione. A titolo di esempio, richiamiamo alcuni passi tratti dal Precetto IV e da altri. Se una
moglie adultera «si pente e vuole ritornare da suo marito, non dovrà egli riaccettarla? Certamente,
dice (l’angelo in sembianze da pastore). Se il marito non la riaccoglie pecca, anzi attira su di sé una
grave colpa, poiché bisogna accogliere colui che ha peccato e che si pente, però non molte volte,
poiché per i servi di Dio c’è una sola penitenza» (IV, 1, 7-8). In effetti, colui che ha ricevuto il perdono
mediante il battesimo o prima penitenza non dovrebbe peccare mai più e vivere in santità (cf. IV, 3,
1-2). Ma «il Signore conosce i cuori e, sapendo ogni cosa prima, ha previsto la debolezza degli uomini
e le molteplici astuzie del diavolo... Nella sua grande misericordia il Signore si è impietosito per la
sua creatura e ha istituito la [seconda] penitenza...; se, dopo questo appello importante e solenne,
qualcuno – sedotto dal diavolo – commette peccato, dispone di una sola penitenza. Se poi, dopo,
pecca ancora, anche se si pente, la penitenza è inefficace per un tale uomo: egli difficilmente conseguirà la vita» (IV, 3, 4-6). E anche quella sola volta, in cui il penitente può ottenere la remissione, il
perdono non viene concesso subito. Bisogna prima che «colui che si pente abbia messo alla prova la
sua anima, si sia umiliato fortemente in tutta la sua condotta e abbia subito tribolazioni di ogni genere.
E se sopporta le tribolazioni che gli sopravvengono, colui che ha creato e potenziato ogni cosa darà
prova di una grande misericordia e gli concederà la guarigione; e questo in modo totale, se vedrà il
cuore del penitente puro da ogni azione malvagia...» (VII, 4-5).
5. La Didachè o Dottrina degli apostoli fu composta in ambiente siro-palestinese nella prima metà
del 2° secolo d.C. È uno dei primi scritti del Nuovo Testamento. Fra i diversi insegnamenti sulla vita
cristiana e la celebrazione dei sacramenti, riscontriamo un accenno alla penitenza, anche devozionale:
«Il giorno del Signore riunitevi, spezzate il pane e celebrate l’eucaristia dopo aver confessato i vostri
peccati, perché il sacrificio sia “puro” (14,1). Non è certo, però, se l’autore si riferisca al sacramento
della penitenza oppure ad un previo atto penitenziale, come usiamo fare oggi all’inizio dell’eucaristia.
Ugualmente poco definita è l’affermazione precedente, piuttosto generica: «Nella chiesa confesserai i tuoi peccati e non andare alla preghiera con cattiva disposizione» (4,14).
6. Tertulliano nacque a Cartagine verso il 160 d.C. ed ivi morì dopo il 220. Nel suo atteggiamento
occorre distinguere il periodo cattolico (6.1) e il periodo montanista (6.2), dal 207.
6.1 – In De poenitentia (203) Tertulliano segue l’opinione più o meno ufficiale nella disciplina
penitenziale: la penitenza (o esomologesi) è aperta a tutti, ma una sola volta in vita e il perdono viene
concesso dopo una espiazione molto gravosa. Riportiamo un brano dal De poenitentia, 9: «Di questa
penitenza seconda ed unica il procedimento è più rigoroso e la prova più laboriosa, perché non si
tratta soltanto di un fattore interiore della coscienza, ma anche di un atto esteriore che la manifesta.
Questa azione – con parola greca più espressiva e più usata – si chiama esomologesi (confessione):
con essa noi confessiamo il nostro pentimento al Signore, non già per il fatto che egli lo ignori, ma
perché con la nostra confessione egli riceve una soddisfazione; dalla confessione nasce il pentimento
e il pentimento placa Dio. L’esomologesi è quella disciplina che prescrive all’uomo di umiliarsi e di
prostrarsi, imponendosi un regime di vita che attiri la compassione. Riguardo al vitto e al vestito, essa
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impone che il penitente si corichi sopra un sacco ispido e nella cenere, che invilisca il corpo con luridi
stracci e abbandoni l’anima alla tristezza, che sconti con un trattamento rude i peccati commessi.
L’esomologesi conosce soltanto un cibo e una bevanda molto semplici, in conformità al bene
dell’anima, non al piacere del ventre. Il penitente alimenta le sue preghiere con digiuni, emette gemiti,
mugge giorno e notte davanti al Signore Dio suo, si rotola ai piedi dei sacerdoti, si inginocchia davanti a coloro che sono cari a Dio e supplica i fratelli di intercedere per ottenergli il perdono. Tutto
questo l’esomologesi lo fà per dare pregio alla penitenza, per onorare il Signore nel timore del pericolo, per sostituirsi allo sdegno divino pronunziandosi essa stessa contro il peccatore, per rendere
nulli o meglio per saldare i supplizi eterni. Quando dunque l’esomologesi prostra l’uomo nella polvere, allora lo innalza; quando lo imbratta, allora lo purifica; quando lo accusa, lo scusa; quando lo
condanna, lo assolve. Credimi: meno tu avrai risparmiato te stesso, più ti risparmierà Dio!».
6.2 – Nel trattato De pudicitia (dopo il 207) Tertulliano, ormai montanista e intransigente, rifiuta
il pensiero ufficiale della chiesa-istituzione in prospettiva di una «ecclesia spiritualis» che elimini
ogni compromesso con il peccato. I peccati mortali, poi, non possono essere rimessi da nessuno e
mai! «Vi è una penitenza che sfocia nel perdono, quando si tratta di peccato remissibile; e una penitenza che non può assolutamente ottenere il perdono, quando si tratta di peccato irremissibile» (Sulla
castità, 2,16). Tertulliano riconosce che la chiesa ha il potere di rimettere tutti i peccati, però non li
deve rimettere perché fomenterebbe il peccato (cf. Sulla castità, 21,5 fino a 22,6) e si renderebbe
complice di satana. Riferendosi alla promulgazione di un editto episcopale (forse di Agrippino di
Cartagine) sul perdono di tutti i peccati, compresi l’adulterio e la fornicazione, a chi ha fatto penitenza, Tertulliano interviene con ogni disapprovazione e ironia. «Dove lo esporremo in pubblico questo generoso regalo? Là, io penso, sulle porte stesse dei lupanari, vicino ai richiami della libidine!
Una penitenza di tal genere trova certamente il suo posto dove è il regno stesso della malavita! Sarebbe giusto leggere queste possibilità di perdono proprio là dove si entra nella speranza di ottenerlo
facilmente. Invece, viene promulgato in chiesa ed esposto in chiesa, mentre la chiesa è santa. Lontano,
lontano dalla sposa di Cristo un tale proclama! Essa, la vera, la pura, la santa, deve preservare da ogni
profanazione anche le orecchie. Essa non ha persone alle quali regalare un tale perdono e, anche se
ne avesse, non lo prometterebbe loro. Infatti il tempio terrestre di Dio ha potuto anche essere chiamato
spelonca di ladri, mai però di adulteri e di fornicatori» (Sulla castità, 1, 6-9).
7. Clemente Alessandrino (fine 2° secolo – inizio 3° secolo d.C.). Cristo è il pedagogo, il maestro,
e il cristiano deve lasciarsi educare ogni giorno. La conversione del cuore consiste nel conoscere
sempre meglio la dottrina di Gesù Cristo e nel tenersi disponibili ai suoi insegnamenti. Scrive negli
Stromàtes (= tappezzerie = cose diverse): «È necessario che colui che ha ricevuto la remissione dei
peccati (nel battesimo) non pecchi più. Però, oltre alla prima e unica penitenza dei peccati (cioè del
battesimo) ... per coloro che sono stati chiamati rimane una penitenza che purifica l’anima dagli errori,
affinché vi si stabilisca bene la fede. Il Signore, che conosce i cuori e prevede il futuro, previde da
lontano e da sempre la mutabilità dell’uomo e la maliziosa scaltrezza del diavolo. Sapeva che costui,
geloso dell’uomo a causa della remissione dei peccati, avrebbe suscitato per i servi di Dio varie occasioni di peccato con trovate maliziose, per coinvolgerli nella sua caduta. Dio, quindi, nella sua
grande misericordia, ha concesso anche ai fedeli che cadono in qualche mancanza una seconda penitenza...». «Al contrario, il pentirsi molte volte è come un prepararsi a peccare e un abituarsi all’instabilità per mancanza di ascesi. È un’apparenza di pentimento e non un vero pentimento il chiedere
spesso perdono dei peccati che commettiamo di frequente» (2,13). Nel Pedagogo abbiamo alcune
indicazioni concrete sulla formazione del credente. Il primo intervento educativo implica l’impegno
di liberazione dai difetti e dai peccati (cf. I,2). Tra i mezzi proposti figurano il castigo, l’ammonizione,
il biasimo, l’insegnamento, l’imposizione di oneri (I,64 e 65). Molti altri passi riguardano la penitenza, la conversione del cuore e la remissione dei peccati.
8. Didascalia (si data intorno al 220 d.C. in Siria). Scritta da un vescovo. Contrariamente a Tertulliano, Cipriano e Ippolito, l’autore si dimostra benevolo verso i peccatori. Tutti i peccati possono
essere perdonati, compresi quelli più gravi, come l’apostasia, l’omicidio, l’adulterio, ecc. Il penitente
8
deve, però, sottoporsi ad una lunga penitenza che si concluderà con l’assoluzione, equivalente al battesimo. Rimane fermo, ovviamente, che la seconda penitenza è irripetibile come l’abluzione battesimale. «Tu, o vescovo, giudica con severità come Dio onnipotente, ma ricevi con carità i peccatori che
sentono rimorso come usa fare Dio onnipotente. Ammonisci, esorta e insegna, poiché il Signore Dio
ha giurato solennemente che concederà il suo perdono ai peccatori... Il Signore ha dunque dato ai
peccatori, se si convertono, la speranza che la redenzione verrà loro applicata per il loro pentimento,
affinché non cadano nella disperazione e non rimangano nel loro peccato e non ne aggiungano altri,
ma invece si pentano, piangano, gemano sui loro peccati e si convertano sinceramente... L’imposizione delle mani fa le veci del battesimo per il peccatore, poiché noi riceviamo l’infusione dello Spirito sia mediante l’imposizione delle mani sia mediante il battesimo. Perciò, o vescovo, come un
medico compassionevole, cura tutti i peccatori, fa uso di tutta la tua scienza e procura la guarigione,
affinché i peccatori vivano. Non avere troppa fretta a tagliare fuori della comunità certi peccatori, usa
delle ammonizioni come un balsamo, usa della tua preghiera come di un cerotto» (II, 10-13)2. In altre
parole: se cacci tutti i peccatori, la chiesa non esiste più!
9. Ippolito di Roma (†235) e Novaziano (metà 3° secolo) vogliono una chiesa di “puri” e di
“santi”. I peccati gravi (apostasia, bigamia, fornicazione, omicidio, ecc.) non possono essere perdonati da nessuno. Nel loro rigorismo inflessibile, Ippolito e Novaziano si oppongono ufficialmente al
papa e alle posizioni della chiesa.
10. Cipriano (†258), vescovo di Cartagine. Alquanto severo ma non rigorista, Cipriano riammette
alla comunione ecclesiale tutti gli apostati o lapsi (=caduti). A tale riguardo si può consultare il trattato De lapsis (251), le Lettere e altri scritti. Si richiede però un lungo tempo di espiazione penitenziale, che il penitente deve condurre sotto il controllo della gerarchia. Riguardo ad alcuni cristiani che
convivono, Cipriano esige che i colpevoli si pentano e si separino, poi intraprendano un adeguato
periodo di penitenza. Al termine potranno fare la confessione e rientrare nella comunità. «Se però i
colpevoli si ostinano nel loro peccato e non si separano tra di loro, sappiano che con questa loro
ostinazione impudica non potranno mai essere da noi ammessi nella chiesa, perché l’esempio dei loro
peccati non sia per gli altri occasione di rovina. E non pensino, d’altra parte, che ci sia per essi ancora
possibilità di vita e di salvezza nel caso che si rifiutino di obbedire ai loro vescovi e sacerdoti...»
(Lettera IV, 4).
11. Origène (†253) sostiene che i peccati mortali o capitali sono remissibili dalla chiesa, alla quale
è concesso il potere di sciogliere e di legare. Mentre però le colpe meno gravi vengono assolte con
un semplice atto di perdono, i peccati mortali possono essere rimessi dopo un lungo periodo di scomunica penitenziale. «I cristiani piangono come morti, in quanto perduti e morti a Dio, quelli che si
sono lasciati vincere dalla lussuria o da un altro traviamento; ma quando dimostrano una seria conversione, al termine di un periodo più o meno lungo di quello della loro prima iniziazione, li ammettono di nuovo, come risuscitati dai morti; ma non nominano ad alcuna carica né presidenza della
chiesa di Dio coloro che sono caduti dopo la loro introduzione alla dottrina cristiana» (Contra Celsum
3,51). «Colui che è ispirato da Gesù come gli apostoli e che può essere riconosciuto dai suoi frutti poiché, avendo ricevuto lo Spirito santo ed essendo divenuto spirituale, come un figlio di Dio obbedisce all’impulso dello Spirito in ogni cosa che deve essere fatta secondo ragione - costui rimette tutto
ciò che Dio rimette e ritiene i peccati insanabili» (De oratione 28,8). Vi sono dunque alcuni peccati
imperdonabili: «Non so come taluni, arrogandosi un potere più che sacerdotale, si vantino di poter
rimettere i peccati di idolatria, di adulterio e di fornicazione, quasi che la preghiera che essi pronunciano su coloro che hanno osato compiere tali crimini cancellasse anche [tutti] i peccati mortali» (De
oratione, 28,10). Origene non parla della penitenza privata ecclesiastica, ma soltanto di quella pubblica. Riguardo a questa, egli - come abbiamo visto - si dimostra assai rigorista nel trattato De oratione
(scritto nel 233\234), mentre è più comprensivo nell’apologia Contro Celso, scritta nel 248, quando
l’autore aveva più di 60 anni. Ovviamente, il martirio rimette ogni debito (cf. Esortazione al martirio,
2
Vedi C. VOGEL, Il peccatore e la penitenza nella chiesa antica, cit., pp. 65-68. Testo integrale in F. X. FUNK, Didascalia
et Constitutiones Apostolorum, I, Paderborn 1950, pp. 1-384.
9
scritta nel 235). Anche nelle sue 574 omelie e nei 388 discorsi pastorali, Origene tocca spesso la
problematica concernente la remissione dei peccati.
12. In questa breve rassegna abbiamo privilegiato gli autori più antichi. Elementi molto significativi si riscontrano anche nei Padri dopo i concili di Nicea (325), di Efeso (431) e di Calcedonia (451),
polarizzati soprattutto da questioni dogmatiche.
Paciano, vescovo di Barcellona (†392), scrive tre Lettere contro i novaziani e il trattato “Paraenesis sive exhortatorius libellus ad poenitentiam”, che sono preziose testimonianze sulla prassi penitenziale nel 4° secolo. Questa opera si trova, fra altro, in PL 13,1082-1090. Dopo aver parlato dei vari
modi di peccare, dello “status” del peccatore, se egli è un condannato, se può accostarsi alla comunione, se è opportuno fare subito penitenza o aspettare il tremendo giudizio di Dio, egli sottolinea che
la penitenza è stoltamente trascurata e raccomanda con tono accorato di entrare nello stato penitenziale senza indugio. «Ricordatevi, fratelli miei, che nell’inferno non c’è più esomologesi e nessuna
penitenza sarà più concessa, perché il tempo del pentimento sarà trascorso. Affrettatevi finché siete
ancora in vita... Vi supplico in nome della chiesa, fratelli miei; vi prego e vi scongiuro a nome mio e
a nome di tutti: non vergognatevi delle opere di penitenza che dovete compiere; non indugiate, ma
ricorrete al più presto possibile agli opportuni rimedi curativi; tuffate subito il vostro cuore nell’afflizione; avvolgete il vostro corpo in un sacco come vestito; spargete ceneri sul vostro capo; maceratevi
nei digiuni; consumatevi nel dolore; lasciatevi, infine, soccorrere dalle preghiere di intercessione di
tutta la comunità...» (Parènesi, 12). È un appello a entrare nell’ordine dei penitenti.
S. Ambrogio (†397), fra il 387 e il 390, scrive il trattato De paenitentia in 2 libri: la chiesa cattolica
ha il potere di rimettere i peccati, però “sicut unum baptisma, ita una paenitentia, quae tamen publice
agitur” (II, 10,95). La procedura penitenziale riguarda i peccati più gravi e il perdono non è iterabile:
infatti, se il peccatore si è pentito veramente, perché dovrebbe peccare di nuovo? (vedi S. Ambrogio,
La penitenza)3. In ogni caso, S. Ambrogio si oppone al rigorismo dei novaziani, i quali presumono
una chiesa angelicata e un atteggiamento inflessibile verso il peccato. La chiesa – pensa Ambrogio –
ha il potere di rimettere i peccati per diretto mandato di Cristo (Sulla penitenza,1). Occorre, però, fare
penitenza. «Bisogna credere queste due cose: che dobbiamo fare penitenza e che il perdono ci sarà
concesso, perdono che speriamo di ottenere grazie alla nostra fede e non perché ci è dovuto. Altro è
meritare, altro è sperare! La fede ci ottiene ciò che ci propone come per mezzo di una cambiale; la
speranza conviene più a un sollecitatore che a un creditore. Paga prima quello che devi, se vuoi ottenere quello che speri». Segue l’analisi delle modalità che caratterizzano la vita di penitenza (Sulla
penitenza, 2).
S. Agostino (†430). Nel Sermo 352 (PL 39,1549-1560) Agostino distingue la penitenza dei catecumeni che si preparano al battesimo, la penitenza per le colpe leggere o quotidiane e la penitenza
per i peccati gravi. Il perdono per le colpe gravi si concede una sola volta in vita. L’accusa del penitente è privata, ma il procedimento penitenziale è pubblico: l’ammissione allo stato penitenziale, il
periodo penitenziale e la riconciliazione si svolgono davanti alla comunità. Tra il folto stuolo dei
penitenti si riscontrano molte incoerenze. «I penitenti qui sono numerosi: quando si impongono loro
le mani, si forma una lunga fila. Pregate, penitenti! E i penitenti vanno a pregare. Li esamino e trovo
che vivono male.
Come ci si può pentire di quello che si è fatto? Se veramente ci si pente, non lo si fa più! Ma se si
continua a fare il male, il nome di penitente è usurpato, poiché il male rimane. Alcuni peccatori si
sono schierati da se stessi nel posto dove stanno i penitenti; alcuni da noi scomunicati vi sono stati
costretti. Coloro che spontaneamente si sono messi fra i penitenti vogliono continuare a fare quello
che hanno fatto in passato. Coloro che, scomunicati da noi, sono stati costretti a prendere posto fra i
penitenti, non vogliono più lasciare quel posto, come se il posto occupato dai penitenti fosse un posto
onorifico. Quel posto che dovrebbe essere un luogo di umiliazione diviene un luogo di peccato. Io
parlo a voi che vi dite penitenti e non lo siete veramente. Vi parlo e che vi dico? Dovrei lodarvi? No
3
Ed. Città Nuova, Roma 1976.
10
certamente! Piango e mi rattristo. E che altro posso fare? Cambiate vita, cambiate vita, vi supplico...
Cerco, magari, almeno un solo penitente e non lo trovo!» (Sermo 232: PL 38,1111). «La penitenza
compiuta dallo stato dei penitenti nella chiesa è severa e sovrabbonda di lacrime», scrive Agostino
(Sermo 352: PL 39,1549-1560). Egli continua il discorso descrivendo alcuni oneri dei penitenti4.
S. Leone Magno (†461) insiste sulla mediazione della chiesa per ottenere il perdono e sulla segretezza del peccato non pubblico. Non si deve negare la riconciliazione ai moribondi. «La misericordia di Dio, la quale assume forme molteplici, viene in aiuto alle colpe umane, in maniera che la
speranza della vita eterna viene ridata ai peccatori non solo con la grazia del battesimo, ma anche con
il rimedio della penitenza. Coloro che hanno alterato i doni ricevuti nella rigenerazione battesimale,
se si riconoscono colpevoli, possono conseguire la remissione dei peccati...» (Lettera a Teodoro, 2:
PL 54,1011-1013). «Quanto a coloro che, in caso di pericolo estremo, implorano il soccorso della
penitenza e della riconciliazione immediata, non si deve negare loro né l’espiazione né la riconciliazione. Infatti, non spetta a noi mettere limiti alla misericordia di Dio, presso il quale nessuna conversione sincera attende a lungo il perdono...» (oc, 4). «È dunque molto importante che ogni cristiano
ascolti la propria coscienza, senza rimandare di giorno in giorno la conversione e non fissi, come
appuntamento per riconciliarsi, la fine della vita. Quanto agisce pericolosamente l’uomo, fragile e
ignorante, se fa affidamento su quelle ultime ore tanto incerte!» (oc, 5).
Giovanni Cassiano (†435). Secondo Cassiano, la conversione si realizza mediante la “terapia penitenziale” che guida il penitente a non pensare più alle colpe commesse, in maniera che il peccato
diventi estraneo alla coscienza del peccatore. Sfuggendo abilmente agli attacchi della tentazione, anche le colpe si allontanano dall’esistenza quotidiana. Dimenticando le insidie e i morsi del peccato,
si cambia vita e si realizza l’itinerario penitenziale! È da notare che abbiamo qui un’anteprima delle
moderne tecniche psico-terapeutiche, che sollecita una certa curiosità di approfondimento. Cf. le sue
Institutiones e le Collationes patrum, divise in 24 conferenze o “collationes”5.
Cesario, vescovo di Arles (†542): pastore di anime e predicatore popolare, San Cesario ci ha lasciato 238 Sermones, dai quali desumiamo le liste complete di colpe gravi e di colpe minori secondo
i parametri morali dell’epoca6. La problematica penitenziale è analizzata nei suoi vari aspetti. Tutti
sono esortati alla penitenza (Sermo 56), poiché nessuno è escluso dalla speranza (Sermo 65). Occorre
eliminare dalla vita i peccati gravi (Sermones 43, 44, 64) e accettare la penitenza pubblica (Sermo 67
e Sermo 179). In ogni caso, bisogna prepararsi bene alla riconciliazione in punto di morte (Sermo 60).
Gregorio Magno (540-604). Nei suoi scritti egli si riferisce sempre alla prassi del suo tempo, già
molto diversa dalla disciplina penitenziale antica. Non scrive alcun trattato esplicito sulla penitenza,
ma la sua testimonianza si deduce da alcune opere, come: i Dialoghi (redatti in 4 libri negli anni 593594), la Lettera a Gregoria (nel 597), le Omelie sui vangeli (590-591), il Commento al 1° libro dei
Re (602)7.
Isidoro, vescovo di Siviglia (†636), dedica alla penitenza molta attenzione, preoccupato più della
conversione personale della gente che dell’istituzione. Nell’opera “Synonimorum de lamentatione
animae peccatricis libri duo” (610-615) egli sottolinea la necessità che il peccatore riconosca il proprio peccato e abbia fiducia nella misericordia divina. Nei “Sententiarum libri tres” (612-615) l’autore
analizza le varie specie di peccati, la compunzione del cuore, la confessione, lo stato dei conversi. In
“Etymologiarum sive originum libri XX” (627) esamina l’etimologia dei termini penitenza, confessione, soddisfazione, riconciliazione (VI,19). In “De ecclesiasticis officiis” (PL 83,337-826) prende
in considerazione alcune problematiche concernenti la penitenza8.
4
Cf. anche B. ALTANER, Patrologia, cit., p. 471.
Come saggio si può consultare la Conferenza 20 in CSEL XIII, pp. 553-570 (in latino), oppure in C. VOGEL, Il peccatore
e la penitenza nella chiesa antica, cit., pp.108-113 (in italiano).
6
Per le edizioni cf. B. ALTANER, Patrologia, cit., pp.509-510; saggi in C. VOGEL, Il peccatore … pp. 126-149.
7
Saggi in C. VOGEL, Il peccatore e la penitenza nella chiesa antica, cit., pp. 208-215.
8
Saggi in C. VOGEL, Il peccatore e la penitenza nel medioevo, a cura di C. A. CESARINI, Leumann 1988, pp. 216-217.
5
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Pirmino (†753) è missionario nella Valle del Reno. Per ragioni pastorali, compila un prontuario
per i missionari e i sacerdoti, intitolato De singulis libris canonicis scarapsus. Fra altro, egli analizza
i vizi e i peccati, dai quali deve stare lontano chi vuole realizzare la conversione e conseguire la
salvezza9.
Paolino, patriarca di Aquileia (750-802), nella sua Lettera ad Astolfo, ci descrive la configurazione
della penitenza pubblica nell’epoca carolingia. L’uxoricida Astolfo deve assumere lo stato penitenziale: può entrare in monastero per sempre (e in tal modo ottenere il condono di tutte le colpe), oppure
può intraprendere la penitenza pubblica rimanendo nella propria casa a queste condizioni: «Farai
penitenza tutti i giorni della tua vita. Non berrai né vino né birra; non mangerai mai carne, eccetto il
giorno di Pasqua e di Natale. Digiunerai a pane, acqua e sale. Passa il tuo tempo nei digiuni, nelle
veglie, nelle preghiere e nelle elemosine. Non portare mai le armi, non batterti mai, in nessun luogo
e per nessun motivo. Ti è vietato sposarti di nuovo, di tenere una concubina o di commettere fornicazione. Non farai mai il bagno e non parteciperai ai banchetti. In chiesa, separato dagli altri fedeli,
starai dietro al pronao. Raccomandati alle preghiere di coloro che entrano e che escono. Per tutta la
tua vita, non ti comunicherai al corpo e al sangue di Cristo, poiché avrai coscienza della tua indegnità.
Al termine della tua vita riceverai la comunione in forma di viatico, se avrai la grazia di trovare un
sacerdote che te la possa amministrare. È il solo favore che ti possiamo concedere. Ci sarebbero molte
altre mortificazioni, più dure e più terribili, che dovresti subire, sciagurato, dopo il tuo delitto! Però,
se tu compirai tutto quello che nella nostra misericordia ti indichiamo, se lo compirai con un cuore
contrito e con la grazia di Dio, abbiamo fiducia che l’infinita misericordia di Dio ti saprà concedere
il perdono» (MGH Ep IV, 520-521).
Con Alcuino (†804), Giona di Orléans (†843), Tietmaro di Merseburgo (†1018), Simeone Teologo (†1022), San Pier Damiani (†1072), Lanfranco di Canterbury (†1089), ecc., il sistema della
penitenza tariffata vede il suo tramonto, mentre si è andato affermando un nuovo uso. Sembra che un
influsso speciale, nel segnare questo passaggio dal vecchio al nuovo, lo abbia esercitato una Lettera
sulla vera e falsa penitenza (PL 40,1113-1130), diretta da un anonimo ad una religiosa, sullo scorcio
del 10° secolo. Questa Lettera, diffusa sotto il nome di S. Agostino, godette un immeritato prestigio,
tanto da essere accolta nelle Sentenze di Pietro Lombardo e nel Decretum di Graziano. Secondo l’autore: l’espiazione pubblica, per una colpa notoria, deve essere fatta davanti alla comunità cristiana;
l’accusa del penitente ha il solo scopo di poter stabilire la tassazione espiatoria; l’espiazione deve
sempre precedere l’assoluzione; l’assoluzione dichiara ufficialmente che si è avuta la remissione dei
peccati10.
9
Saggi in C. VOGEL, Il peccatore e la penitenza nel medioevo, cit., pp. 220-224.
Saggi in C. VOGEL, Il peccatore e la penitenza nel medioevo, cit., pp. 252-264.
10
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