inghilterra: l`assegnazione dei beni ereditati o acquisiti

Transcript

inghilterra: l`assegnazione dei beni ereditati o acquisiti
4. AIAF 3-11 europa_Layout 1 18/11/11 13.15 Pagina 103
EUROPA
INGHILTERRA: L’ASSEGNAZIONE DEI BENI EREDITATI O ACQUISITI ANTERIORMENTE
AL MATRIMONIO DA PARTE DEI CONIUGI IN CASO DI DIVORZIO
Suzanne Todd
Partner - Family Team, Head of Italian Group London, Withers LLP
Katharine Landells
Partner - Family Team, Withers LLP
In Inghilterra l’assegnazione dei beni ereditati o acquisiti anteriormente al matrimonio da parte dei
coniugi in caso di divorzio è sempre stato un tema dibattuto. Questo fin dai tempi del caso White, discusso alla Camera dei Lord nell’ormai lontano 2000 e trattato nell’articolo di Suzanne Todd e
Michael Wells-Greco, Inghilterra. La ripartizione dei beni in caso di divorzio, pubblicato in Rivista
AIAF 1/2007.
La sentenza del caso White ha introdotto nel diritto di famiglia inglese il “criterio di eguaglianza”
(in inglese “yardstick of equality”). La sentenza stabiliva che questo principio doveva essere applicato dai giudici al fine di calcolare l’ammontare del compenso economico spettante a uno dei coniugi. Dal caso White in poi, il principio che riconosce a ogni coniuge il diritto all’assegnazione di
una porzione del patrimonio familiare in caso di divorzio ha avuto una notevole evoluzione, consolidandosi ulteriormente anche grazie alla decisione pronunciata nel 2006 nell’ambito del caso Miller vs McFarlane.
A fronte di tale evoluzione oggi, in Inghilterra, la determinazione dei beni che sono stati acquisiti
in costanza di matrimonio (di seguito detti anche “beni matrimoniali”) da assegnare a ciascuno dei
coniugi e di quelli che invece esulano da questa categoria è oggetto di una valutazione sempre più
attenta. Due recenti decisioni della Corte d’Appello inglese dimostrano l’attuale orientamento giurisprudenziale su questo tema e come la sua trattazione si sia notevolmente sviluppata dai tempi
del caso White.
Vi riportiamo qui di seguito una sintesi di tali decisioni.
Il caso Robson vs Robson
Nel caso Robson, deciso dalla Corte d’Appello nel 2010, il marito era titolare di un cospicuo patrimonio (pari a 22 milioni di sterline) che nella quasi totalità era stato acquisito prima del matrimonio e in gran parte ereditato. Il marito era proprietario di un “sontuoso” immobile nell’Oxfordshire, poi adibito a casa familiare, di una tenuta agricola, di un immobile tra le montagne della Scozia, di due immobili siti a Londra e di due appezzamenti di terreno edificabili. Il suo reddito annuale lordo ammontava a circa 470.000 sterline.
Il giudice di prima istanza (dott. Justice Charles Wilson) ritenne che il marito non avesse ben gestito la tenuta agricola. Considerato che la famiglia aveva sempre adottato uno stile di vita troppo
alto rispetto al reddito familiare, il giudice non era affatto convinto del fatto che il marito sarebbe
stato in grado, contrariamente a quanto sosteneva, di preservare la tenuta agricola a beneficio della prole e delle generazioni future. A differenza di quanto dichiarato dal marito, ovvero che la tenuta agricola fosse un immobile “dinastico”, il giudice ritenne che “la coppia si manteneva finan-
103
4. AIAF 3-11 europa_Layout 1 18/11/11 13.15 Pagina 104
AIAF RIVISTA 2011/3 • settembre-dicembre 2011
ziariamente solo con il patrimonio ereditato dal marito e che il loro stile di vita era molto più dedito al divertimento e a perseguire le passioni sportive che a preservare l’eredità di famiglia per la prole e le generazioni future”.
Il giudice decise di assegnare alla moglie una somma, inferiore a quella dalla stessa richiesta, pari
a 8 milioni di sterline, disponendo che 5 milioni dovessero essere investite in beni immobili. Il marito fu comunque costretto a vendere la tenuta agricola per recuperare tale somma. La circostanza
che il patrimonio ereditato era stato già speso durante il matrimonio aveva condotto il giudice alla conclusione che il restante ammontare dovesse essere distribuito tra le parti. Questa fu la principale ragione della pronuncia di questa sentenza.
Il marito appellò la sentenza. Nel frattempo la moglie acquistò una proprietà del valore di 4,3 milioni di sterline ovvero di un valore di 700.000 sterline inferiore rispetto ai 5 milioni di sterline che
le erano stati assegnati per questo tipo di investimenti. La sentenza di appello ridusse l’importo del
compenso economico inizialmente assegnato alla moglie da 8 a 7 milioni di sterline sia perché il
coniuge aveva acquistato un immobile a un prezzo inferiore alla somma (5 milioni di sterline) che
gli era stata assegnata sia perché si era ritenuto che il giudice di prima istanza avesse quantificato
le esigenze economiche della moglie in modo ingiustificatamente troppo alto.
La Corte d’Appello sottolineò che, sebbene il patrimonio fosse stato ereditato dal marito, tuttavia i
coniugi avevano deciso di comune accordo di provvedere ai bisogni della famiglia con tali beni e
di utilizzarli praticamente in sostituzione del loro reddito lavorativo. La Corte d’Appello rilevò anche che “non si può contestare una sentenza che ha trattato il patrimonio nello stesso identico modo in cui i coniugi lo hanno impiegato in costanza di matrimonio”.
La Corte d’Appello ha inoltre pronunciato una serie di princìpi guida fondamentali:
1. l’obiettivo primario del Tribunale nell’esercizio delle sue funzioni deve sempre essere quello di
addivenire a una decisione equa e giusta;
2. per addivenire a una decisione equa e giusta il giudice deve valutare lo stato di bisogno di ciascun coniuge (need), il suo diritto a ricevere un indennizzo (compensation) e a ricevere una
porzione del patrimonio familiare (sharing), come stabilito in occasione del caso Miller vs
McFarlene;
3. la circostanza che i beni in questione siano ereditati e non derivino dal reddito lavorativo del
coniuge non costituisce una ragione valida per trattare tali beni differentemente da quelli acquisiti in costanza di matrimonio. La natura ereditaria dei beni tuttavia ha la sua rilevanza, come
pure la durata del matrimonio e tutte le altre circostanze del caso, ivi incluso anche per quanto tempo i coniugi hanno usufruito del patrimonio ereditato. Più i coniugi avranno usufruito dei
beni ereditati in maniera rilevante per lungo tempo, meno equa e giusta sarà la sentenza che
non prende in considerazione tali beni nella definizione degli aspetti patrimoniali di una coppia in caso di divorzio. Tuttavia “qualora uno o più beni siano acquisiti prima del matrimonio
o siano ereditati nel corso dello stesso, al coniuge che ha ereditato tali beni potrebbe essere riconosciuto il diritto a detenerli. Se invece durante il matrimonio tali beni sono stati considerevolmente utilizzati per sostenere la famiglia, la sentenza che non li assegna all’uno e all’altro coniuge rendendo in tal modo impossibile il soddisfacimento delle esigenze economiche delle parti non
sarà certamente equa”.
Nell’esercizio delle sue funzioni il Tribunale farà tutto quanto è in suo potere per addivenire al soddisfacimento delle esigenze di entrambe le parti anche qualora questo dovesse portare all’assegnazione o alla vendita di beni ereditati dai coniugi.
Il caso Jones vs Jones
Un altro precedente relativo ai beni patrimoniali acquisiti dal marito anteriormente il matrimonio è
stato il caso Jones deciso a fine 2010 da una Corte d’Appello presieduta, tra l’altro, dallo stesso giu-
104
4. AIAF 3-11 europa_Layout 1 18/11/11 13.15 Pagina 105
EUROPA
dice di prima istanza del caso Robson. Il caso Jones e il caso Robson avevano in comune la seguente circostanza: la sussistenza di beni acquisiti anteriormente al matrimonio ma costituenti fonte primaria per il soddisfacimento dei fabbisogni economici della famiglia e, quindi, da assegnare
e ripartire necessariamente tra i coniugi, a seconda della loro qualità e natura, ai fini della definizione del divorzio. Mentre nel caso Robson la quasi totalità del patrimonio del marito era stata acquisita prima del matrimonio e in gran parte ereditata, nel caso Jones il patrimonio detenuto dal
marito era quello acquisito per effetto dell’esercizio di un’attività commerciale. Tale attività era stata avviata nel 1986, circa dieci anni prima del matrimonio. Le parti contrassero matrimonio nel 1996,
quando il marito aveva quarantaquattro anni e la moglie ne aveva quasi trenta, per poi separarsi a
gennaio 2006. Sebbene all’inizio del procedimento il marito avesse dichiarato che la sua attività
aveva approssimativamente un valore di 3 milioni di sterline, nel maggio 2007 la stessa fu venduta al prezzo di 25 milioni di sterline.
Lord Justice Wislon della Corte d’Appello comunicò alle parti che il patrimonio familiare, ammontante complessivamente a 25 milioni di sterline, era composto da beni matrimoniali e beni acquisiti anteriormente al matrimonio (di seguito detti anche “beni non matrimoniali”) e che pertanto
occorreva innanzitutto individuare esattamente quali beni appartenessero rispettivamente all’una e
all’altra categoria. Solo a seguito di tale distinzione, si sarebbe proceduto a un’equa assegnazione
degli stessi, tenendo conto di tutte le circostanze del caso.
Secondo Lord Justice Wilson non vi era alcuna ragione valida tale per cui la moglie avrebbe dovuto beneficiare anche dei beni non matrimoniali né vi era motivo per cui i beni matrimoniali non
dovessero essere condivisi equamente tra i coniugi.
Il nodo della questione era quindi stabilire il valore dei beni non matrimoniali, ovvero il valore dell’attività commerciale del marito alla data del matrimonio.
Lord Justice Wilson identificò due importanti nuovi criteri, di seguito riportati, da applicare al fine
di definire il valore dell’attività commerciale alla data del matrimonio. Lord Justice Wilson riteneva
fosse opportuno determinare il valore della società sulla base dell’applicazione del criterio del cosiddetto “potenziale latente” (latent potential) o del cosiddetto “trampolino di lancio” (springboard)
ovvero considerando anche il potenziale di crescita futura del valore della società. Secondo Lord
Justice Wilson, alla luce dell’applicazione di tale criterio, il valore della società alla data del matrimonio ammontava a 4 milioni di sterline (i consulenti contabili delle parti ritennero che, senza l’applicazione di tali criteri, il valore della società del marito ammontava a 2 milioni di sterline).
Il secondo criterio introdotto da Lord Justice Wilson era quello della “crescita economica passiva”
(passive economic growth) tra la data del matrimonio e quella della vendita della società. L’aumento del valore della società generato dalla crescita passiva non poteva esattamente essere considerato come un bene non matrimoniale alla pari del valore della società alla data del matrimonio. In
questo caso Lord Justice Wilson dichiarò che il valore complessivo della “porzione non matrimoniale” della società era pari a 9 milioni di sterline.
Dividendo equamente l’importo di 16 milioni di sterline (ovvero la cifra risultante dalla differenza
tra il valore della società alla data del matrimonio, 9 milioni di sterline, e quello al momento del
divorzio, 25 milioni di sterline, Lord Justice Wilson assegnò alla moglie un compenso di 8 milioni
di sterline.
Lord Justice Wilson specificò che era stato definito tale ammontare non solo ed esclusivamente in
virtù di un calcolo “prettamente aritmetico”, ma anche e soprattutto in considerazione del fatto che
il giudice avesse comunque ritenuto l’importo equo e giusto. In questo caso, l’ammontare risultava adeguato in quanto in ogni caso corrispondeva al 32% dell’intero patrimonio familiare.
I princìpi del diritto inglese
Il caso Robson e il caso Jones sono i più recenti di una lunga serie di casi giudiziari in cui si è cercato di affrontare il tema della disciplina e, in particolare, dell’assegnazione ai coniugi in caso di
105
4. AIAF 3-11 europa_Layout 1 18/11/11 13.15 Pagina 106
AIAF RIVISTA 2011/3 • settembre-dicembre 2011
divorzio dei differenti beni patrimoniali. La prima significativa decisione su questo tema fu quella
del caso White. In questo caso il giudice riconobbe che “la natura e il valore dei beni nonché il
momento e le circostanze in cui la titolarità degli stessi è stata acquisita, sono fattori rilevanti ai fini
della decisione finale degli aspetti patrimoniali del divorzio”. Nonostante quanto statuito nella decisione del caso White, continuava a persistere tra i giudici una disparità di opinioni in merito all’effettiva rilevanza o meno di tali fattori. Il caso Miller vs McFarlane dimostrò che circa la qualificazione non matrimoniale di un bene vi erano due distinte scuole di pensiero. Secondo un primo
orientamento erano da considerarsi non matrimoniali tutti quei beni che i coniugi avevano acquisito o ereditato oppure ricevuto per effetto di una donazione in costanza di matrimonio. Sempre
secondo questo orientamento il “criterio dell’eguaglianza” non doveva essere automaticamente applicato ai beni non matrimoniali. La seconda scuola di pensiero invece riteneva non matrimoniali
i beni e le attività, ivi incluse quelle commerciali, non impiegati o esercitate nel contesto familiare
(non-business partnership, non-family assets). La prima scuola di pensiero divenne negli anni
l’orientamento dominate come dimostrato dai casi Robson e Jones.
Qualunque sia stato l’orientamento adottato dal caso White in poi, di prassi, tutti i beni posseduti
dai coniugi sono considerati nell’ambito del patrimonio familiare, anche se la loro natura incide notevolmente sulla relativa assegnazione finale. Nel caso Charman, deciso nel 2007, emerse chiaramente che il “principio di condivisione”, introdotto con il caso Miller vs McFarlane, dovesse essere applicato a tutti i tipi di beni e non solo a quelli acquisiti nel corso del matrimonio.
Applicazione dei princìpi ai casi Robson e Jones
Nel caso Robson la natura dei beni e il modo in cui i coniugi li hanno utilizzati nel corso del matrimonio sono fattori determinati per la decisione del caso. Lord Justice Ward, al paragrafo 43 della sentenza, indicò una serie di linee guida per la definizione dei casi aventi a oggetto patrimoni
familiari di elevato valore economico e composti in gran parte da beni ereditati dai coniugi: “Il fatto che il patrimonio sia ereditato e non frutto di reddito da lavoro costituisce una ragione sufficiente per attribuire a tali beni un trattamento differente da quello dei beni acquisiti dai coniugi durante il matrimonio grazie ai proventi della loro attività lavorativa... Non rilevano soltanto le modalità
con cui la titolarità dei beni è stata acquisita ma anche la natura degli stessi. Quindi un antico castello ereditato potrebbe avere un trattamento diverso rispetto a quello che sarebbe applicato ad una
cascina, così come l’aver ereditato un cimelio di famiglia di gran valore è un cosa ben diversa dall’aver ereditato un portafoglio di titoli ed azioni. La natura e le modalità di acquisto dei beni potrebbero costituire una valida ragione per non applicare il principio di eguaglianza...”.
Nel caso Robson alla moglie fu riconosciuto un compenso calcolato sulla base delle sue esigenze
economiche.
Nel caso Jones si ritenne che non vi erano sufficienti motivi per non applicare il principio di eguaglianza, tanto che la totalità dei beni non matrimoniali fu assegnata al marito. Il valore dei beni
“non matrimoniali” fu calcolato sulla base del valore della società detenuta dal marito (venduta nel
2007) alla data del matrimonio. Tuttavia, a parte la crescita passiva, non fu riconosciuto alcun compenso per il maggior valore che la società aveva acquisito nel corso di matrimonio.
Una breve analisi comparativa dei casi Robson e Jones appare molto utile per comprendere i differenti orientamenti sulla qualificazione dei beni acquisiti anteriormente al matrimonio e sulla cui
base i giudici inglesi hanno deciso queste due fattispecie.
Sebbene a prima vista i due casi potrebbero apparire simili, l’esito finale è sostanzialmente diverso. Le conseguenze del trattamento applicato all’immobile ereditato e adibito a casa familiare nel
caso Robson, in cui il compenso assegnato alla moglie fu calcolato puramente in funzione delle
sue esigenze economiche, e quelle del trattamento applicato all’attività commerciale costituita prima del matrimonio nel caso Jones, in cui l’aumento del valore della società nel corso del matrimonio fu equamente diviso tra i coniugi, furono totalmente differenti. Nel caso Jones, la natura e la
106
4. AIAF 3-11 europa_Layout 1 18/11/11 13.15 Pagina 107
EUROPA
fonte del patrimonio in questione, non essendo né un castello né un cimelio di famiglia, hanno
“giocato” significativamente a sfavore del marito.
Ciò detto, che cosa possiamo concludere? La natura e la fonte del patrimonio in questione e qualunque incremento di valore dello stesso durante il matrimonio sono fattori che nel diritto inglese
incidono notevolmente sul tipo di trattamento applicato ai beni acquisiti anteriormente al matrimonio. Sicuramente questo tema continuerà a essere dibattuto.
Le modalità di trattamento dei beni ereditari in Inghilterra sono profondamente diverse da quelle
adottate in Italia o in altri Paesi del Civil Law. Ad esempio l’istituto della successione necessaria
non esiste in Inghilterra così come il regime matrimoniale di comunione o separazione dei beni.
Gli accordi matrimoniali potrebbero essere un espediente preventivo con cui la coppia può cercare di disciplinare l’assegnazione del patrimonio in caso di divorzio. Tuttavia tali accordi, se stipulati prima del matrimonio, non sono validi e vincolanti per la giurisdizione inglese, contrariamente a quanto accadrebbe in altre giurisdizioni1.
1
Per una discussione più approfondita vedi Todd, Mitchell, Accordi prematrimoniali in Inghilterra e Galles: l’impatto della sentenza sul caso Radmacher vs Granatino, in Rivista AIAF, 2/2011, 58-64.
107