certificazione e segreto professionale

Transcript

certificazione e segreto professionale
Dettaglio News
Pagina 1 di 4
04.12.2006 CASSAZIONE CIVILE – (rilascio di certificazione medica e
violazione del segreto professionale).
§ - Il segreto professionale costituisce uno dei più importanti obblighi del medico. Sulla
fedeltà a tale dovere si basa il rapporto fiduciario tra medico e paziente. La certificazione, nel
caso di specie, era stata redatta dal sanitario in violazione dell'art. 9 del codice deontologico, in
quanto non vi era alcuna richiesta o autorizzazione da parte della persona assistita nè vi era
alcuna urgenza di salvaguardare la salute dell'interessato o quella di terzi. Sono queste le
uniche condizioni che consentono, secondo l'art. 9 del codice deontologico, la rivelazione del
segreto professionale (alle quali deve aggiungersi l'ipotesi di impossibilità fisica o di
incapacità dell'interessato). ( Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net ).
Cass. civ. Sez. III, 19-10-2006, n. 22398
omissis
Svolgimento del processo
Con ricorso 16 novembre 2005 il Dott. Z.G. ha chiesto la cassazione della decisione della
Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie del 7 dicembre 2004 - 13
settembre 2005, che aveva confermato la sanzione della sospensione dall'esercizio della
professione medica per mesi uno, disposta dalla Commissione medica dell'Ordine dei Medici
di […], per avere il Dott. Z. violato l'art. 9 del codice di deontologia professionale in tema di
rivelazione di segreto professionale. In particolare, il Dott. Z. aveva redatto in data 25 luglio
2001 una dichiarazione attestante che nell'anno 1996 la signora M.V. era stata in cura presso di
lui, fornendo indicazioni sullo stato di salute della paziente e sulla cura farmacologica
prescritta. Tale certificato non era stato rilasciato alla diretta interessata, ma - senza il suo
consenso - al marito separato della M., che se ne era avvalso depositandolo nel giudizio
promosso davanti al Tribunale dei minori per ottenere l'affidamento di una figlia minore.
La Commissione provinciale, rilevata inesistenza a carico del professionista di un
procedimento penale per il reato di cui all'art. 622 cod. pen., per gli stessi fatti (per violazione
di segreto professionale), decideva l'avvio di un procedimento disciplinare. Nel corso
dell'istruttoria dinanzi alla Commissione medica il Dott. Z. aveva dichiarato che la
certificazione gli era stata richiesta dal marito della M. - che era solito ritirare i certificati per
conto della moglie, della quale ben conosceva lo stato di salute - con la precisazione che tale
documento occorreva per un consulto o per un ricovero. Il professionista aveva precisato di
non essere a conoscenza dei rapporti personali esistenti all'epoca tra i due coniugi (ed in
particolare della circostanza che fosse intervenuta tra gli stessi una sentenza di separazione). In
ogni caso, osservava conclusivamente il Dott. Z., il certificato era destinato ad essere utilizzato
http://www.dirittosanitario.net/news/newsnotintera.php?newsid=955&areaname=
04/12/2006
Dettaglio News
Pagina 2 di 4
a beneficio della figlia minore.
La Commissione medica giudicava il professionista responsabile della infrazione contestata e
gli irrogava la sanzione della sospensione dall'esercizio professionale per un mese. La
Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie confermava la sanzione della
sospensione per mesi uno, rigettando il ricorso del professionista. Avverso tale decisione il
Dott. Z. ha proposto ricorso per Cassazione sorretto da un unico motivo. Gli intimati non
hanno svolto difese.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo il ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione, nonchè
contraddittorietà e illogicità della motivazione e violazione di legge. La Commissione medica
provinciale aveva erroneamente dato atto della mancata apertura di un procedimento penale a
carico del Dott. Z.. In realtà, un procedimento penale a carico del professionista era stato
incardinato presso il Tribunale di Forlì: lo stesso si era concluso con provvedimento in data 23
marzo 2005 del Giudice per le indagini preliminari, che ne aveva disposto l'archiviazione. Tale
circostanza era stata portata a conoscenza della Commissione centrale ma la stessa non era
menzionata nella motivazione della decisione. In precedenza, la Commissione provinciale
aveva rigettato la richiesta di sospensione del procedimento disciplinare rilevando che non vi
era obbligo di sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di procedimento penale.
Osserva il ricorrente che il Giudice penale, nel disporre l'archiviazione, aveva esplicitamente
riconosciuto la insussistenza di dolo nella condotta tenuta dallo Z., sottolineando che deve
escludersi la violazione del segreto professionale "nel caso in cui, come nella specie accaduto,
non vi sia stata la divulgazione a terzi di dati ed informazioni note per ragioni professionali da
parte dell'autore del fatto, tale non potendosi considerare la produzione di una dichiarazione in
una causa presso il Tribunale dei minorenni che si doveva occupare della delicatissima
questione riguardante l'affidamento della figlia minore della coppia M.- T.".
La Commissione centrale non aveva tenuto conto di tali circostanze, dando invece rilievo al
fatto che era intercorso un "rilevante lasso di tempo tra l'interruzione del rapporto
professionale e la redazione del certificato, che avrebbe dovuto allertare il sanitario". La
motivazione adottata era da considerare assolutamente carente, risolvendosi in una vera e
propria motivazione apparente. in ogni caso, il criterio di valutazione seguito dalla
Commissione centrale era palesemente illogico. Infatti, la Commissione si era limitata ad
utilizzare esclusivamente un criterio temporale, di pura forma, che di per sè non poteva dirsi
tale da risolvere la vicenda, nella quale avrebbe dovuto essere effettuata una ben più
approfondita indagine sulla esistenza della buona fede del professionista. In realtà, accade
assai di frequente che per evidenti ragioni di più svariato genere (avvio di nuove terapie,
necessità di consulti o di esatta anamnesi remota, storica, patologica) gli ex pazienti richiedano
a quello che era stato loro medico curante la redazione di certificati storici sulle patologie
riportate e sulle terapie praticate. Sicchè il Dott. Z., completamente all'oscuro della situazione
di conflitto esistente tra i coniugi (circostanza anche questa completamente ignorata dalla
Commissione centrale) non poteva ragionevolmente intuire l'esistenza di una situazione
anomala.
Osserva il Collegio: Il ricorso è infondato. Le censure formulate dal ricorrente appaiono del
tutto generiche e si sostanziano nella richiesta di un nuovo accertamento, inammissibile in
questa sede di legittimità. Le decisioni in materia disciplinare della Commissione centrale per
gli esercenti le professioni sanitarie possono essere impugnate con ricorso per Cassazione, ai
sensi dell'art. 111 Cost., relativamente alla motivazione, solo nei casi in cui questa manchi del
tutto o presenti intrinseci vizi logici (Cass. n. 4667 del 1998, 10698 del 1999, 11299 del 2004):
ipotesi queste certamente non ravvisabili nella decisione impugnata. Opportunamente, la
Commissione centrale ha ricordato che quello del segreto professionale costituisce uno dei più
importanti obblighi del medico, e che sulla fedeltà a tale dovere si basa il rapporto fiduciario
tra medico e paziente. La certificazione - come è stato accertato dalla Commissione medica
provinciale - era stata redatta dal sanitario in violazione dell'art. 9 del codice deontologico, in
http://www.dirittosanitario.net/news/newsnotintera.php?newsid=955&areaname=
04/12/2006
Dettaglio News
Pagina 3 di 4
quanto non vi era alcuna richiesta o autorizzazione da parte della persona assistita nè vi era
alcuna urgenza di salvaguardare la salute dell'interessato o quella di terzi. Sono queste le
uniche condizioni che consentono, secondo l'art. 9 del codice deontologico, la rivelazione del
segreto professionale (alle quali deve aggiungersi l'ipotesi di impossibilità fisica o di
incapacità dell'interessato). La pronuncia impugnata ha sottolineato che il decorso di un
rilevante lasso di tempo tra l'interruzione del rapporto professionale e la redazione della
certificazione avrebbe dovuto allertare il sanitario.
Ha ritenuto poi di non poter condividere la giustificazione relativa alla tutela dell'interesse
della minore, considerato che - come era stato riconosciuto dallo stesso ricorrente - si trattava
di una valutazione formulata ex post, del tutto inidonea a giustificare un comportamento tenuto
in occasione della redazione del certificato. Costituisce accertamento di merito, come tale
insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, quello che determina la
proporzionalità e adeguatezza della sanzione adottata rispetto al comportamento accertato a
carico del professionista. Nel caso di specie, la decisione impugnata ha espressamente preso in
esame la questione ed ha esaustivamente e congruamente motivato sulle ragioni che avevano
condotto la Commissione a confermare la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale
per un mese. Per quanto riguarda la decisione della Commissione provinciale di non
sospendere il procedimento disciplinare in attesa della definizione del procedimento penale, la
stessa Commissione in data 9 luglio 2003, dopo aver accertato l'inesistenza di procedimenti
penali, aveva deciso l'avvio di un procedimento disciplinare a carico del dott. Z.. Sarebbe
stato, pertanto, onere dell'interessato fornire la prova della pendenza del procedimento,
opponendo una documentazione di segno contrario.
Deve essere corretta, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, la pronuncia della Commissione
Centrale la quale ha escluso, pur nella vigenza della nuova formulazione dell'art. 653 c.p.p.,
l'esistenza di un obbligo di sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di
procedimento penale per gli stessi fatti (sul punto cfr. Cass. S.U. 8 marzo 2006 n. 4893). Con
riferimento tuttavia al caso concreto, va rilevato che, al momento del deposito della pronuncia
impugnata, secondo quanto esposto dall'attuale ricorrente, il procedimento penale a carico del
Dott. Z. si era da tempo concluso, in data 23 marzo 2005, con la intervenuta archiviazione
disposta dal Giudice per le indagini preliminari. Non vi è ragione, pertanto, per disporre
l'annullamento della pronuncia impugnata perchè il Giudice di rinvio provveda alla
sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del processo penale. Non
possono, infatti, trovare applicazione le disposizioni di cui all'art. 653 c.p.p., nella nuova
formulazione dettata dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 1, che riconoscono efficacia di
giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare solo alle decisioni penali irrevocabili di
assoluzione (e non anche ai decreti di archiviazione per loro natura revocabili). Va, infine,
sottolineato che secondo la giurisprudenza di questa Corte - ai fini dell'applicazione della L. n.
97 del 2001, art. 1 - la identità del fatto deve investire tanto l'elemento oggettivo che quello
soggettivo: talchè, nell'ipotesi in cui la sentenza penale assolutoria abbia riguardato una
imputazione per delitto soltanto doloso, secondo la generale previsione dell'art. 42 c.p., comma
2, non può ritenersi preclusa l'azione disciplinare in ordine allo stesso fatto materiale, ma
attribuito al diverso titolo di colpa (Cass. S.U. 17 novembre 2005 n. 23238).
Nel caso del Dott. Z., il Giudice per le indagini preliminari, nel provvedimento del 23 marzo
2005, aveva - tra l'altro - espressamente riconosciuto che "la correttezza con cui veniva fornita
l'informativa sull'ex paziente del medico Z. dimostra come sia insussistente (e comunque non
dimostrabile in prospettiva dibattimentale) il dolo contestato, da intendersi come coscienza e
volontà di rivelare un segreto, sapendo di agire illegalmente e prevedendo la possibilità di
produrre un nocumento". Lo stesso Giudice ha sottolineato, tuttavia, che "la previsione di una
sanzione disciplinare per il comportamento tenuto dal medico non urta con l'impostazione del
Pubblico Ministero, essendo logico immaginare che i due istituti (amministrativo e penale)
siano sorretti da diversi presupposti". Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
Nessuna pronuncia in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto difese.
http://www.dirittosanitario.net/news/newsnotintera.php?newsid=955&areaname=
04/12/2006
Dettaglio News
Pagina 4 di 4
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per spese del giudizio. Così deciso in Roma, il 27 giugno
2006. Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2006
http://www.dirittosanitario.net/news/newsnotintera.php?newsid=955&areaname=
04/12/2006