Cenni storici sulla Campagna di Russia Quello che segue è il

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Cenni storici sulla Campagna di Russia
Quello che segue è il racconto sintetico dei principali fatti accaduti durante la Campagna di Russia, per meglio
inquadrare le vicende storiche che videro protagonisti i nostri alpini. Non ha nessuna pretesa di completezza: per
approfondire l’argomento si possono leggere i libri consultati per scrivere questo pezzo, che si trovano nella
bibliografia a fondo pagina e per comprendere i fatti drammatici e le sofferenze patite dagli alpini in Russia si
rimanda alla lettura della ricca memorialistica sull’argomento, che in parte si trova sempre nelle note bibliografiche a
fondo pagina..
Dal C.S.I.R. all’ARM.I.R.
Quando la Germania dichiarò guerra all’Unione Sovietica, Mussolini, nonostante il parere contrario di Hitler, decise che
l’Italia non poteva essere estranea all’operazione “Barbarossa” ed ordinò quindi l’allestimento di un Corpo di
Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.) costituito dalle Divisioni di fanteria autotrasportabile Pasubio e Torino, la 3a
Divisione Principe Amedeo d’Aosta detta “Celere” (formata da Bersaglieri e dalla Cavalleria) e dalla Legione Camicie
Nere Tagliamento, al comando del generale Giovanni Messe, forte di 62.000 uomini e di cui inizialmente non facevano
parte unità alpine.
Il C.S.I.R., che era posto alle dipendenze della 11a Armata Tedesca, iniziò la partenza dall’Italia il 10 luglio 1941 via
ferrovia verso l’Ungheria, giunse nella Moldavia romena il 5 agosto e da lì venne fatto proseguire con i propri mezzi
verso le zone di radunata. Ai primi di ottobre, avanzò combattendo sino al bacino minerario del Donez, zona
dell’Ucraina tra i fiumi Dniestr e Don a sud di Kiev. A metà novembre 1941 conquistarono gli importanti centri di
Stalino, Nikitovka, Gorlovka e Rikovo. Il 21 febbraio 1942 giunse in Russia il primo reparto alpino: il battaglione alpini
sciatori Monte Cervino.
Visto il buon comportamento del C.S.I.R., su richiesta dell’alto comando tedesco, Mussolini decise il potenziamento
della presenza italiana in Russia. Il 1° maggio 1942 venne costituita l’8a Armata italiana, l’ossatura dell’Armata
Italiana in Russia (ARM.I.R.) ed il comando venne assunto dal Generale Gariboldi, con una forza di 230.000 uomini.
Sotto la denominazione ARM.I.R. furono comprese tutte le unità italiane operanti sul fronte russo, comprese unità
aeronautiche e marittime, invece l’8a Armata italiana fu una ben definita ed organica unità operativa dislocata sul
fronte del Don.
L’organico prevedeva, oltre alle Divisioni già inquadrate nel C.S.I.R., che assunse il nome di XXXV Corpo d’Armata, le
Divisioni Sforzesca, Ravenna, Cosseria e il Raggruppamento CC.NN. "23 Marzo" con i Gruppi Leonessa e Valle Scrivia,
inquadrati nel II Corpo d’Armata e le Divisioni Julia, Cuneense e Tridentina, costituenti il Corpo d’Armata Alpino,
inizialmente destinato ad operare sulle montagne del Caucaso. A queste forze si sarebbe poi aggiunta la Divisione
Vicenza, formata da due soli reggimenti di fanteria, con compiti di presidio nei territori occupati.
Il Corpo d’Armata Alpino
La partenza del Corpo d’Armata Alpino per il fronte russo incominciò alla metà di luglio del 1942. Il 17 luglio
lasciavano Trento il generale Gabriele Nasci, comandante del Corpo d’Armata Alpino e lo stato maggiore della grande
unità, per un totale di 57.000 uomini, 15.000 quadrupedi (per lo più muli) e un migliaio di automezzi.
A fine luglio giunsero a Nowo Gorlowka e il 15 agosto cominciò il trasferimento verso il loro obiettivo, la zona
montagnosa il Caucaso, alle dipendenze della 17a Armata tedesca.
Mentre la grande unità alpina effettuava il trasferimento verso il Caucaso, a sorpresa il 19 agosto giunse l’ordine di
invertire la marcia e di passare alle dipendenze dell’8a Armata italiana e di raggiungere il fronte del Don, ove il nemico
nel settore del XXXV C. d’A. (ex C.S.I.R.), nel tratto presidiato dalla Sforzesca aveva rotto la linea di difesa penetrando
in profondità nella direzione di Kotovskij-Bolshoj.
A tamponare la falla fu mandata la Tridentina con il 5° e 6° alpini e il 1° settembre i Battaglioni Vestone e Val Chiese
ricevettero il battesimo del fuoco. Tamponata la falla si compiono opere di rafforzamento della linea.
Sempre a settembre la Cuneense e la Julia furono dislocate lungo il Don a nord di Kalitwa, prendendo il posto di alcuni
reparti tedeschi.
Il 9 ottobre la Tridentina lasciò il suo settore alla 9a Divisione Romena per spostarsi di 400 km, dall’estrema ala destra
all’estrema ala sinistra fino a Porgonoje, che raggiunse il giorno 30 ottobre.
Il fronte del Don
Nell’inverno del 1942, l’8a Armata italiana era schierata lungo il corso del fiume Don da Babka, limite nord del settore,
a Vescenskaja a sud, dove si trovava la 3a Armata Romena. A nord, l’Armata Italiana era collegata con la 2a Armata
ungherese. Il suo fronte si snodava lungo il fiume Don per 270 chilometri.
Gli alpini, con il
avevano lavorato
sulla riva destra
affrontare
il
nemico.
tradizionale ingegno, nei mesi autunnali
duramente per rafforzare le loro posizioni
del Don, in modo da renderle adatte ad
durissimo
inverno
ed
il
potente
Fino a metà dicembre, sui 70 chilometri di fronte tenuto
dagli alpini (la zona più a nord dell’8a Armata italiana), non si
ebbero combattimenti di rilievo. Il 15 dicembre, con un
potenziale d’urto sei volte superiore a quello delle nostre
Divisioni (basti pensare che impiegarono 750 carri armati e
noi non avevamo né carri, né efficienti armi controcarro), i
Russi dilagarono nelle retrovie accerchiando le Divisioni
Pasubio, Torino, Celere e Sforzesca schierate più ad Est. Esse
dovettero sganciarsi dalle posizioni sul Don, iniziando quella
terribile ritirata che, su un terreno ormai completamente in
mano al nemico, le avrebbe in gran parte annientate con una
perdita di circa 55.000 uomini tra Caduti e prigionieri.
Sentinella del Vestone sul Don
L’accerchiamento
Mentre le Divisioni della Fanteria si stavano ritirando, il Corpo d’Armata Alpino ricevette l’ordine di rimanere sulle
posizioni a difesa del Don per non essere a sua volta circondato. A difesa del suo fianco destro, in corrispondenza del
settore della Cosseria ormai completamente scoperto, venne spostata la Divisione Julia, il cui posto tra la Tridentina e
la Cuneense venne preso dalla Divisione di fanteria Vicenza.
Da metà dicembre le Penne Nere della Julia per un mese (fino al 7 gennaio 1943) combatterono disperatamente in
campo aperto e senza ripari adeguati, superando di gran lunga ogni credibile limite di resistenza umana, sacrificando
i loro reparti per fermare e contenere la spinta poderosa e violentissima dei Russi sostenuti dall’alleato inverno.
Il bollettino di guerra del comando tedesco del 29 dicembre 1942 diede ampio ed espresso elogio alla Julia
riconoscendo il valore degli alpini: “Sul fronte del medio Don si è particolarmente distinta la Divisione Alpina Julia”.
Il 13 gennaio i Russi partirono per la terza fase della loro grande offensiva invernale e, senza spezzare il fronte tenuto
dagli alpini, ma infrangendo contemporaneamente quello degli Ungheresi a Nord e quello dei Tedeschi a Sud, con una
manovra a tenaglia, riuscirono a racchiudere il Corpo d’Armata Alpino in una vasta e profonda sacca.
Il ripiegamento
Davanti alla possibile catastrofe rimaneva un’unica
alternativa: il ripiegamento immediato. La sera del 17
gennaio 1943, su ordine del generale Gabriele Nasci, ebbe
inizio il ripiegamento dell’intero Corpo d’Armata Alpino di
cui la sola Divisione Tridentina era ancora efficiente, quasi
intatta in uomini, armi e materiali. Ad essa fu affidato il duro
compito di rompere l’accerchiamento e ritrovare la via per
l’Italia, mentre la Cuneense, la Julia e la Vicenza furono
praticamente distrutte e dopo 100 chilometri di ritirata i
comandanti e gli altri alpini superstiti furono catturati nei
pressi di Waluiki il 27 gennaio.
Ad assumere il comando dell’avanguardia della colonna in
Alpini in ripiegamento a Sebekino
ritirata fu chiamato il comandante della Tridentina, Generale
Reverberi. L’avanguardia era costituita dal 6° Rgt. Alpini, con il Battaglione Val Chiese come reparto di testa, il Vestone
e il Gruppo Bergamo e quattro semoventi tedeschi.
Alpini in ripiegamento
La battaglia di Nikolajewka
La marcia del Corpo d’Armata Alpino verso la salvezza fu un
evento drammatico, doloroso ed allucinante, costellato da
innumerevoli episodi di valore, di grande solidarietà, in cui
circa 40.000 uomini si batterono disperatamente, senza
sosta, per 15 interminabili giorni e per 200 chilometri.
Frattanto la colonna si ingrossava via via, allungandosi fino a
40 chilometri, inglobando reparti sbandati di ogni specie:
Ungheresi, Tedeschi, fanti della Divisione Vicenza, tutti
reduci dai tratti di fronte.
Postojalyi, Opyt, Skororyb, Nowo Carkowka, Lymarewka,
Sceliyakino, Nikitowka, Malakjewa, Warwarowka, Arnautowo
non costituiscono soltanto le tappe di un duro calvario, ma
contrassegnano altrettanti durissimi combattimenti, ognuno
dei quali ebbe un valore decisivo, poiché ogni volta infranse
successivi sbarramenti organizzati dal nemico per fermare la
ritirata delle nostre unità.
Fu così che dopo 200 chilometri di ripiegamento a piedi e Da sinistra: il tenente colonnello Policarpo Chierici comandante del Val Chiese, il tenente
Danilo Bajetti (futuro Presidente della Sezione di Brescia), il colonnello Paolo Signorini
con pochi muli e slitte, sempre aspramente contrastati dai comandante del 6° Rgt. Alp. e il generale Luigi Reverberi a rapporto a Nikolajewka il 26
gennaio 1943
reparti nemici e dai partigiani sovietici, il mattino del 26
gennaio 1943 gli alpini della Tridentina, alla testa di una
colonna di 40.000 uomini quasi tutti disarmati e in parte congelati, giunsero davanti a Nikolajewka. Forti del
tradizionale spirito di corpo gli alpini del generale Reverberi, dopo una giornata di lotta, espugnarono a colpi di fucile
e bombe a mano il paese annientando gli agguerriti difensori annidati nelle case.
Per dare il colpo mortale al nemico in ritirata, i Russi si erano trincerati fra le case del paese che sorge su una modesta
collinetta, protetti da un terrapieno della ferrovia che correva pressoché attorno all’abitato e che costituiva un’ottima
protezione per il nemico. Le forze sovietiche che sbarravano il passo agli alpini ammontavano a circa una divisione.
Verso le ore 9.30 venne ordinato di attaccare.
In un primo tempo si lanciarono all’assalto gli alpini superstiti del Verona, del Val Chiese, del Vestone e del II
Battaglione misto genio della Tridentina, appoggiati dal fuoco del gruppo artiglieria Bergamo e da tre semoventi
tedeschi.
La ferrovia, dopo sanguinosi scontri, fu raggiunta; in più punti gli alpini
riuscirono a salire la contro scarpata ed a raggiungere le prime isbe
dell’abitato dove sistemarono immediatamente le mitragliatrici, ma le
perdite furono gravissime per il violento fuoco dei Russi.
Nonostante le sanguinose perdite, gli alpini continuarono a combattere
con accanimento: fu un susseguirsi di assalti e contrassalti portati di
casa in casa; venne conquistata la stazione ferroviaria e un plotone del
Val Chiese riuscì ad arrivare alla chiesa.
La reazione russa fu violentissima: gli alpini furono costretti ad
arretrare e ad abbarbicarsi al terreno in attesa di rinforzi.
Verso mezzogiorno giunsero in rinforzo i resti del battaglione Edolo,
del Morbegno e del Tirano, i gruppi di artiglieria Vicenza e Val
Camonica ed altre modeste aliquote di reparti della Julia col
Battaglione L’Aquila: anch’essi vennero inviati nel cuore della battaglia.
Il nemico, appoggiato anche dagli aerei che mitragliavano a bassa quota,
opponeva una strenua resistenza. Sul campanile della chiesa c’era una
mitragliatrice che faceva strage di alpini. La neve era tinta di rosso: su di
essa giacevano senza vita migliaia di alpini e moltissimi feriti.
Nonostante gli innumerevoli atti di valore personale di ufficiali, sottufficiali
e soldati, spinti sino al cosciente sacrificio della propria vita, la resistenza
era ancora attivissima e l’esito della battaglia era non del tutto scontato.La
situazione si faceva sempre più tragica perché il sole incominciava a
scendere sull’orizzonte ed era evidente che una permanenza all’addiaccio
nelle ore notturne, con temperature di 30-35 gradi sotto lo zero, avrebbe
significato per tutti l’assideramento e la morte.
La colonna in ritirata
Quando ormai stavano calando le prime ombre della sera e sembrava che non ci fosse più niente da fare per
rompere l’accerchiamento, il generale Reverberi, comandante della Tridentina, saliva su un semovente tedesco
e, incurante della violenta reazione nemica, al grido di “Tridentina avanti!” trascinava i suoi alpini all’assalto.
Il grido rimbalzò di schiera in schiera, passò sulle
labbra da un alpino all’altro, scosse la massa
enorme degli sbandati che, come una valanga,
assieme ai combattenti ancora validi, si
lanciarono urlando verso il sottopassaggio e la
scarpata della ferrovia, la superarono travolgendo
la linea di resistenza sovietica.
I Russi sorpresi dalla rapidità dell’azione
dovettero ripiegare abbandonando sul terreno i
loro caduti, le armi ed i materiali.
Il prezzo pagato dagli alpini fu enorme: dopo la
battaglia rimasero sul terreno migliaia di caduti.
Tutti gli alpini, senza distinzione di grado e di
origine, diedero un esempio di coraggio, di
spirito di sacrificio e di alto senso del dovere.
Il cammello del Val Chiese
con l’alpino Giovan Battista Bignotti di Sopraponte
In salvo
Dopo Nikolajewka la marcia degli alpini proseguì fino a Bolscke Troskoye e a Awilowka, dove giunsero al 30 gennaio e
furono finalmente in salvo, poterono alloggiare e ricevere i primi aiuti. Il 31 con il passaggio delle consegne ai
Tedeschi termina ogni attività operativa sul fronte russo.
Fino al 2 febbraio continuarono ad arrivare i resti dei reparti in ritirata. I feriti gravi vennero avviati ai vari ospedali, poi
a Schebekino alcuni furono caricati su un treno ospedale per il rimpatrio.
La colonna della Tridentina riprese la marcia il 2 febbraio per giungere a Gomel il 1° marzo. Gli alpini percorsero a
piedi 700 km e solamente alcuni nell’ultimo tratto poterono usufruire del trasporto in ferrovia.
Il rimpatrio
Il 6 marzo 1943 cominciarono a partire da Gomel le tradotte che riportavano in Italia i superstiti del Corpo d’Armata
Alpino; il giorno 15 partì l’ultimo convoglio e il 24 tutti furono in Patria.
Mentre per il trasporto in Russia del Corpo d’Armata alpino erano stati necessari 200 treni, per il ritorno ne bastarono
17. Sono cifre eloquenti, ma ancor più lo sono quelle dei superstiti: considerando che ciascuna divisione era costituita
da circa 16.000 uomini, i superstiti risultarono 6.400 della Tridentina, 3.300 della Julia e 1.300 della Cuneense.
Hanno detto...
Il Gen. Luigi Reverberi, nel discorso pronunciato all’Adunata della Tridentina, svolta a Gavardo il 26-27 ottobre 1946,
pubblicato sul giornale “Monte Suello” n. 5 dell’agosto 1996:
“[...] Dal 17 gennaio 1943, ebbe inizio, o Alpini, l’Impresa che vi ha imposto alla ammirazione del Mondo, perché
compiuta in circostanze così spaventosamente avverse che nessuna mente, per quanto ottimista, avrebbe potuto
presagirne la felice soluzione. [...]
Si videro in questa tragica odissea, che durò per oltre 15 giorni, i più generosi esempi di cameratismo: alpini che si
caricavano del carico dei compagni più stanchi; alpini che portavano barelle con feriti ed ammalati; alpini che
sostituivano i quadrupedi nel traino delle slitte. [...]
11 accerchiamenti spezzati, 14 battaglie combattute e vinte in una steppa desolata che non offriva alcun
conforto, con una temperatura assiderante che alle volte ha raggiunto i 40 gradi sotto zero, sono le poste che il
destino aveva messo al nostro riscatto. [...]
Ma la sorte avversa vuole ancora chiudere questi soldati in un cerchio di ferro e fuoco per farla finita, per
stendere un nero sudario sulla grande vicenda. Eccoci alla memorabile giornata di Nikolajewka: martirio e gloria della
“Tridentina”. É questa la giornata degli eroismi più fulgidi: è questa la giornata che pur pagandolo a carissimo prezzo
i reparti della “Tridentina” acquistano il maggior titolo di gloria. [...]
E qui consentite a questo vecchio soldato, giunto ormai al fine della sua vita militare, di dirvi come mai egli abbia
tanto amato come in quel giorno; come mai egli abbia tanto ringraziato il destino, come in quel giorno, nel quale ha
potuto darvi prova della sua grande passione alpina.[...]
Allora il vostro generale, divenuto solo e semplicemente il Padre dei Suoi Alpini, vi ha guardato negli occhi; ha
visto il vostro scoramento davanti all’impossibile ed ha offerto a Dio la sua vita, perché voi foste salvi; e nel preciso
intendimento di compiere il suo ultimo dovere verso di voi, che già tante prove di affetto gli avevate dato, partì solo,
avanti a tutti, fidente che Iddio avrebbe accolto il suo sacrificio per la vostra salvezza: e la lotta fu ripresa con
rinnovata energia e la vittoria fu nostra e davanti a noi fu aperta finalmente la via del ritorno.
Non ho mai parlato con alcuno di questo episodio che pure è noto; perché certi ricordi si conservano
gelosamente custoditi nel cuore; ma oggi qui, a solo a solo con voi, che potete comprendermi, alla vigilia di lasciare
volontariamente l’Esercito dopo tanti anni di servizio, ho voluto dirvi quale è il più grande orgoglio, che porto con me e
che servirà a rendere meno doloroso il distacco da quella divisa che ho vestito per 35 anni e, ritengo, senza mai venir
meno alle leggi dell’onore militare e civile”.
Giulio Bedeschi nel libro “Il natale degli Alpini”:
“La battaglia di Nikolajewka fu una limpida vittoria dello spirito, sorta fra gli orrori della più spietata lotta fra gli
uomini. Molti alpini caddero sull’altare del sacrificio per dare la possibilità ad altri di vivere e di trovare aperta la via
verso la Patria e la casa”.
Don Carlo Gnocchi (1902-1956) è stato il Cappellano della Tridentina in Russia. Alla fine della guerra fondò l’opera
“Pro infanzia mutilata”, che nel 1952 prese il nome di “Pro Juventute”. L’ultimo suo gesto profetico fu la donazione
delle cornee a due ragazzi non vedenti, quando in Italia il trapianto di organi non era ancora disciplinato da apposite
leggi; questo gesto diede un’accelerazione al dibattito sui trapianti e dopo poche settimana fu varata una legge ad
hoc. È stato dichiarato Venerabile da Papa Giovanni Paolo II nel 2002 ed è in corso la Causa di beatificazione.
Così si espresse nel suo libro “Cristo con gli alpini”:
“Nella storia di questa valanga di uomini che cozza undici volte contro la ferrea parete della sua prigionia e la sfonda,
è difficile raccogliere episodi individuali. Tutti hanno dato fino all’estenuazione, fino all’eroismo. L’Artiglieria che più
volte ha difeso i pezzi a corpo a corpo, gli alpini che hanno scalato i carri armati, forzandone col moschetto la torretta
per gettarvi dentro le ultime bombe a mano, i congelati, i feriti che si sono strascinati per giorni lungo le piste,
qualche volta a carponi, per non cadere nelle mani del nemico, i genieri che sono andati all’attacco snidando il nemico
casa per casa, gli addetti ai servizi e gli scritturali che hanno gareggiato in dedizione coi combattenti, tutti, dall’ultimo
alpino fino al Generale Comandante, che dopo aver sempre marciato con l’avanguardia, in una giornata decisiva, si è
messo in testa alla Divisione portandola alla vittoria ed alla libertà, mentre interno a lui cadevano quaranta ufficiali
ed un Generale, tutti hanno compiuto opera veramente sovrumana.
Dio fu con loro, ma gli uomini furono degni di Dio. Sì perché avevano quella fede che li ha fatti diventare eroi; l’amore
per la Patria e per la famiglia, fede che diventa sempre più grande quanto più il gelo di una natura ostile,
l’aggressione ossessionante di una terra nemica senza orizzonti e senza mète si accanivano contro di loro e quando le
forze stavano per crollare, la visione dell’Italia, della famiglia lontana, era per loro una luce che li rendeva
disperatamente decisi a raggiungerla.
Solo uomini che possiedono così forte questa fede possono aver fatto quello che hanno fatto per cercare di uscire dal
cancello dell’eternità”.
Il tenente Luciano Zani, Medaglia d’oro al Valore Militare, comandante della 255a compagnia del Battaglione Val
Chiese, dopo la durissima battaglia così si espresse:
“Si è combattuto a denti stretti, con assalti e contrassalti, con case e isbe conquistate, perdute, riconquistate, in furiosi
corpo a corpo mentre mortai, pezzi anticarro, mitragliatrici e parabellum nemici battevano il terreno metro per
metro. …
La giornata di Nikolajewka, così ricca di gloria e di fulgidi eroismi, ha insegnato che la potenza delle armi può essere
superata e vinta dalla potenza dello spirito quando esistono uomini che sappiano gettare la loro anima al di là
dell’ostacolo come gli antichi Cavalieri, come i Dragoni del “Savoia” e gli Alpini nella steppa russa”.
Composizione della Divisione Alpina Tridentina in Russia
Comandante: Generale Luigi Reverberi;
Capo di Stato Maggiore: Maggiore Alessandro Ambrosiani;
402a e 417a Sez. Carabinieri
201° Ufficio posta militare
5° Reggimento alpini (colonnello Giuseppe Adami) con i battaglioni:
Morbegno (ten. col. Nestore Zucchi); Cp.: comando, 44a, 45a, 46a, 107a armi
d’acc.
Tirano (maggiore Gaetano Volpatti); Cp.: comando, 46a, 48a, 49a, 109a armi
d’acc.
Edolo (maggiore Dante Belotti); Cp.: comando, 50a, 51a, 52a, 110a armi d’acc.
5a Sez. Sanità
618° Ospedale da campo
25a Sez. Salmerie
6° Reggimento alpini (colonnello Paolo Signorini) con i battaglioni:
Vestone (maggiore Enrico Bracchi); Cp.: comando, 53a, 54a, 55a, 111a armi d’acc.
Verona (maggiore Felice Prat); Cp.: comando, 56a, 57a, 58a, 113a armi d’acc.
Val Chiese (ten. col. Policarpo Chierici); Cp.: comando, 253a, 254a, 255a, 112a armi d’acc.
6a Sez. Sanità
621° Ospedale da campo
26a Sez. Salmerie
82 e 216 Cp. Cannoni 47/32 (compagnia anticarro)
2° Reggimento artiglieria alpina (colonnello Federico Moro) con i gruppi:
Bergamo (maggiore Carlo Meozzi); Rep. comando, Bat. 31a, 32a, 33a, Rep. munizioni e viveri.
Vicenza (ten. col. Carlo Calbo); Rep. comando, Bat. 19a, 20a, 45a, Rep. munizioni e viveri.
Val Camonica (maggiore Ugo Andri); Rep. comando, Bat. 28a, 29a, Rep. munizioni e viveri.
56a e 59a Btr. a.a. 20 mm
76a Btr. c.c. 75/39
II Battaglione misto genio (maggiore Alberto Cassoli)
102a Sez. Fotoelettricisti
112a Cp. Radiotelegrafisti
122a Cp. Artieri
302a Sez. Sanità
619°, 620°, 622°, 623° Ospedale da campo
110a Sez. Sussistenza
206° Autoreparto misto
Bibliografia
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Alessandro AMBROSIANI, In reverente ricordo del Generale Medaglia d’Oro Luigi Reverberi, 1973
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Giobatta DANDA, Vistù Ricordi del “Vestone” nella Campagna di Russia 1942-1943, 1992
Felice MAZZI, Avanti il Vestone… Avanti il Val Chiese…, Comune di Vestone, 1987
AA.VV., Alpini storia e leggenda, Compagnia Generale Editoriale, 1981
L’Alpino (Giugno 1991 – Anno LXX N. 6)
Il calvario degli alpini in terra di Russia, intervento del Generale di Brigata Tullio Vidulich a Carzano (TN), 24 gennaio
2004
Siti internet
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www.fronterussounirr.it
www.brigatacadore.it
digilander.libero.it/avantisavoiait
Memorialistica
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Egisto CORRADI, La ritirata di Russia, Mondadori, 1986
Giulio BEDESCHI, Centomila gavette di ghiaccio, Mursia, 1963
Giulio BEDESCHI (a cura di), Nikolajewka: c’ero anch’io, Mursia, 1972
Nelson CENCI, Ritorno, Rizzoli, 1981
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Alfio CARUSO, Tutti i vivi all’assalto, Longanesi, 2003
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