I BENEFICI DELLA PRESENZA MENTALE A cura del dott. Alberto

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I BENEFICI DELLA PRESENZA MENTALE A cura del dott. Alberto
I BENEFICI DELLA PRESENZA MENTALE
A cura del dott. Alberto Chiesa
Università degli studi di Bologna
Problemi lavorativi, di salute fisica e psicologica o più spesso psicosomatica, derivanti cioè
dall’interazione tra psiche e soma, da un mancato equilibrio tra mente e corpo, stress, sensazione di
non riuscire a gestire i numerosi conflitti della propria vita, difficoltà a trovare la propria direzione
sono solo alcuni dei problemi che l’uomo di oggi, all’interno di un mondo in continuo cambiamento
e costantemente immerso nella fretta, è costretto, volente o nolente, ad affrontare. Chi non concorda
sul fatto che sarebbe bello poter ritrovare la propria identità, il proprio equilibrio, il proprio posto
nel mondo in maniera coerente con quelli che sono i propri valori e le proprie necessita?
Molte persone cercano ogni giorno di venir fuori dall’oppressione delle urgenze quotidiane,
tuttavia, anche quando si prova, spesso nonostante sforzi non indifferenti, si è ancora frustrati dal
fallimento. E allora? Su quali strategie efficaci possiamo realmente contare per uscire da questo
stato e riprendere in mano le redini della nostra vita?
In tempi recenti sta venendo posta crescente enfasi su un concetto di derivazione orientale che negli
ultimi 30 anni è stato traslato nel contesto della psicologia occidentale col nome generale di
“Mindfulness”. La “Mindfulness” o le sue applicazione vengono oggigiorno applicate sempre più
consistentemente in differenti contesti che includono la psicologia, la medicina, il lavoro ma anche
più in generale il benessere e le relazioni interpersonali (Chiesa, 2009a). Di che cosa si tratta nello
specifico? Perché è necessaria? Cosa ne pensa la scienza? A quali effetti è stata associata? Come
possiamo coltivare tale stato? Nelle pagine seguenti saranno affrontati i cardini fondamentali della
“Mindfulness” e verranno spiegati i principi di alcune sue applicazioni pratiche volte a fornire una
introduzione a qualcosa che appare oggigiorno sempre più necessario e al tempo stesso sempre più
dimenticato.
COS’E’ LA MINDFULNESS
Il termine Mindfulness deriva dalla parola “sati” appartenente al linguaggio Pali che significa
“attenzione consapevole” e più in generale indica una modalità di coscienza caratterizzata da uno
stato di presenza mentale e attenzione al momento presente (Bodhi, 2000; Nyaniponika, 1973).
Diversi autori occidentali contemporanei di rilievo hanno recentemente concettualizzato la
Mindfulness in modi diversi ponendo a seconda dei casi l’enfasi su differenti aspetti. Secondo
Kabat-Zinn, il fondatore della Riduzione dello stress basata sulla Mindfulness (RSBM), una delle
principali meditazioni attualmente impiegate a livello clinico, la caratteristica principale della
Mindfulness è “la consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione di proposito, nel
momento presente e in maniera non giudicante” (Kabat-Zinn, 2003). Altri autori hanno definito la
Mindfulness come “un’attenzione recettiva e una consapevolezza dell’esperienza e degli eventi nel
momento presente” (Brown & Ryan, 2003). Mentre entrambe queste concezioni danno grande
importanza allo sviluppo di un particolare tipo di attenzione recettiva verso l’esperienza presente e
definizioni di questo tipo abbondano sia tra gli autori occidentali (Linehan, 1993; Segal, Williams,
& Teasdale, 2002) che tra quelli orientali (Gunaratana, 1993; Kapleau, 1965; Mizuno, 1972), va
sottolineato che la Mindfulness è stata anche concettualizzata in maniere differenti che includono
una capacità mentale (Carroll, 1993), uno stile cognitivo (Sternberg, 2000) o un costrutto
fortemente correlato alla personalità ed in particolare ad un tipo di personalità caratterizzata da
apertura alla novità, attenzione alle distinzioni, sensibilità ai differenti contesti, consapevolezza
implicita di differenti prospettive e orientamento al momento presente (Langer, 2000).
Il concetto di Mindfulness trova le sue origini nel Buddismo antico e si può trovare per la prima
volta nell’Abhibdamma (Kiyota, 1978) e successivamente nel Visuddhimagga (Buddhaghosa,
1976), “Il sentiero della purificazione”, un riassunto dell’ Abhibdamma che tratta nello specifico
della meditazione. Nel corso dei secoli lo stato di Mindfulness è stato concettualizzato in maniera
non univoca tramite definizioni parzialmente sovrapposte che includono una “visione chiara”
(Gunaratana, 1993; Kapleau, 1965; Nyaniponika, 1973), una “consapevolezza non concettuale e
non discriminante” (Brown & Ryan, 2003; Kabat-Zinn, 1994; Segal et al., 2002), uno “stato di
osservazione empirica della realtà” (Nyaniponika, 1973; Rahula, 1974; Smith & Novak, 2004), uno
stato di “presenza mentale” (Tsoknyi, 1998; Uchiyama, 2004) ed un’attitudine mentale
caratterizzata da apertura verso le esperienze della vita che può variare in continuità e intensità in
differenti individui (Brown & Ryan, 2003; Kabat-Zinn, 2003), anche se diversi autori buddisti
hanno sottolineato l’impossibilità di definire pienamente a parole il concetto di Mindfulness dato
che esso si pone per sua natura al di là del pensiero concettuale e delle categorizzazioni mentali
(Gunaratana, 1993; Kapleau, 1965; Nyaniponika, 1973). In generale, oggi si tende a considerare lo
stato di Mindfulness come uno stato di presenza mentale caratterizzato da totale attenzione al
momento presente, chiarezza mentale e capacità di discriminare pensieri, emozioni, azioni e parole
che hanno effetti positivi su noi stessi e sugli altri da quelli che invece hanno effetti dannosi o
distruttivi.
Nel corso dei secoli sono stati suggeriti numerosi metodi per sviluppare lo stato di Mindfulness, un
termine che, anche se in maniera non del tutto esaustiva può essere tradotto in lingua italiana, con la
parola “consapevolezza”. Primi tra questi è stato sicuramente la pratica della meditazione, e in
particolar modo di un tipo di meditazioni, oggigiorno unificate col nome di Mindfulness
Meditations o, in lingua italiana, Meditazioni basate sulla consapevolezza, che includono due
pratiche meditative appartenenti a tradizioni Buddiste millenarie, la meditazione Vipassana (Chiesa,
2009b) e la meditazione Zen (Chiesa, 2009c), e due pratiche meditative standardizzate e con un
orientamento spiccatamente clinico nate per unire assieme l’essenza delle antiche pratiche
meditative Buddiste con la pratica clinica e psicologica contemporanee, la Riduzione dello stress
basata sulla Mindfulness o RSBM e la terapia cognitiva basata sulla Mindfulness o TCBM (Chiesa
& Serretti, 2009c). È degno di nota il fatto che ulteriori interventi psicoterapeutici recentemente
sviluppati quali la Terapia basata sull’accettazione e sull’impegno (Hayes, Strosahl, & Wilson,
1999) e la Terapia dialettica comportamentale (Linehan, 1993) si sono a loro volta ispirati al
concetto di Mindfulness e hanno dimostrato significativi effetti positivi anche per uno dei disturbi
più difficili da curare in ambito psichiatrico, il disturbo borderline di personalità.
Per quanto alcuni autori considerino la pratica della meditazione non essenziale per aumentare
quelli che potrebbero essere definiti come i “i propri livelli di Mindfulness” (Brown & Ryan, 2003;
Langer, 2000), va sottolineato che la maggior parte degli autori contemporanei ritiene la pratica di
una meditazione basata sulla consapevolezza come il pilastro portante dello sviluppo della propria
consapevolezza (Gunaratana, 1993; Kabat-Zinn, 2003; Kapleau, 1965). Di conseguenza, nella
prossima sezione saranno revisionate le principali caratteristiche delle meditazioni nate per
svilupparne i livelli a scopo clinico e di sviluppo personale.
LE MEDITAZIONI BASATE SULLA CONSAPEVOLEZZA
La meditazione Vipassana
La meditazione Vipassana è la meditazione che si suppone sia stata praticata dal Buddha storico,
Siddhartha Gautama, più di 2500 anni fa (Ahir, 1999). Dopo anni di pratica ascetica, egli diede
origine e spiego una forma di pratica meditativa oggi nota col nome di Vipassana, il cui significato
può essere tradotto come “guardare qualcosa con chiarezza e precisione, vedendo ogni componente
come distinta e cogliendola allo stesso tempo nell’insieme, così da percepire la fondamentale natura
di quella cosa”.
In questa forma di meditazione l’individuo assume il ruolo di un semplice osservatore dei propri
pensieri e sensazioni corporee mentre queste insorgono, si dipanano e naturalmente scompaiono
seguendo il loro percorso naturale (Gunaratana, 1993). Nel fare questo il meditatore impara a non
lasciarsi sopraffare da pensieri e sensazioni e a essere meno giudicante, reagendo agli eventi con
maggiore calma, serenità e distacco e rimanendo completamente consapevole nel momento
presente. Questa forma di meditazione richiede il coltivare di un’attitudine particolare che
comprende: non aspettarsi nulla; non tenersi; non farsi sopraffare dalla fretta; osservare le
esperienze senza rigettare alcunché; rallentare e rilassarsi; accettare tutte le esperienze presenti;
essere gentili con se stessi e accettarsi; indagare tutto; vedere tutti i problemi come sfide; evitare i
giudizi e focalizzarsi sulle similitudini piuttosto che sulle differenze.
Nella pratica formale l’aria è inalata liberamente attraverso il naso, con una breve e naturale pausa
sia dopo l’espirazione che dopo l’inspirazione, è di solito praticata in posizione seduta, immobile,
tipicamente nella posizione del loto in cui le gambe sono incrociate e i piedi sono appoggiati sulle
anche, ma altre posizioni sono permesse. Gli occhi sono tipicamente chiusi o semichiusi, il più
comune focus dell’attenzione è quello dell’aria a livello delle narici o talvolta sul naturale muoversi
dell’addome durante le diverse fasi della respirazione, che non deve essere forzata in alcun caso ma
solo osservata. Quando l’attenzione viene perduta, il praticante gentilmente la riporta sul respiro
(Gunaratana, 1993).
La meditazione Zen
La meditazione Zen, o Za-zen è una delle pratiche meditative derivanti dalla Vipassana (Kit, 2001).
Fu dapprima introdotta in Cina dal monaco buddista Bodhidharma e successivamente si diffuse
anche in Giappone, dividendosi in due principali scuole, Soto e Rinzai, a partire dal nome dei
rispettivi fondatori31. Tra tutte le meditazioni probabilmente è una delle più conosciute e che lascia
maggiormente senza parole coloro che la conoscono solo alla lontana. In Occidente sono infatti
diventati molto famosi alcuni koan Zen, tipici della scuola Rinzai, una sorta di situazioni
paradossali che non possono essere risolte dal pensiero logico comune e la cui soluzione giunge
spesso improvvisa durante una profonda meditazione ed è tradizionalmente associata ad un
“risveglio spirituale” (Mizuno, 1972; Omori, 2001). A livello pratico, nella meditazione Zen una
grande attenzione è data alla postura. Tale meditazione viene di solito praticata su un cuscino
chiamato Zafu nella tradizionale posizione del loto, anche se sono premesse posture alternative. La
spina dorsale dev’essere mantenuta il più dritta possibile, con la parte cervicale in linea con quella
dorsale, l’addome e le spalle sono rilassati, le mani giunte in grembo, la lingua preme contro il
palato e gli occhi sono semichiusi e fissano un punto sul terreno distante circa mezzo metro. Il
respiro è attivo o passivo e possono essere utilizzati diversi pattern, all’inizio il meditatore
solitamente conta i propri respiri, così da tenere ancorata l’attenzione su un singolo punto (susoku),
successivamente il contare viene omesso e il praticante siede semplicemente, consapevole
dell’esperienza presente, senza distorsioni mentali. Questa pratica, detta Shikantaza, è considerata la
più avanzata forma di meditazione. Qualora il fulcro della meditazione sia un koan, l’attenzione è
completamente rivolta a esso, e alla fine il praticante cerca di rimanere costantemente presente,
anche nei più semplici gesti di vita quotidiana
La Riduzione dello stress basata sulla mindfulness
La riduzione dello stress basata sulla mindfulness (RSBM) è stata ideata nel 1979 dal dottor KabatZinn come sforzo d’integrare la meditazione buddista basata sulla mindfulness e la pratica clinica e
psicologica contemporanea (Kabat-Zinn, 1990). In origine, essa è stata sviluppata come un
programma di gruppo per trattare i pazienti affetti da dolore cronico (Kabat-Zinn, 1982), anche se
negli anni successivi è stata sempre più diffusamente impiegata per altri disturbi, sia medici che
psicologici.
La RSBM comprende tre differenti tecniche (Kabat-Zinn, 1990, 1994) che vengono
progressivamente insegnate durante il corso. La prima di esse è il “body scan” che consiste nello
spostare lentamente l’attenzione attraverso l’intero corpo, dai piedi fino alla sommità della testa,
focalizzandosi in maniera non giudicante su qualunque sensazione corporea sia presente nella zona
su cui si sta prestando attenzione in un dato momento. Utilizza periodici auto-suggerimenti di
consapevolezza del respiro e rilassatezza del corpo, questa è la prima formale MM che viene
praticata intensivamente per le prime quattro settimane.
La seconda pratica che viene insegnata è la meditazione da seduti, che consiste in una costante
attenzione sul respiro o sui movimenti dell’addome e sulle altre percezioni, mentre si cerca di
mantenere una consapevolezza non giudicante dei pensieri e, più in generale, del flusso di
coscienza. Le distrazioni che continuamente fluiscono attraverso la mente non devono essere
represse ma semplicemente notate, questa tecnica viene solitamente praticata seduti su un cuscino o
sul pavimento o in alternativa su una sedia con il retro diritto. L’ultima tecnica insegnata è uno
Yoga semplice, tratto dall’Hatha Yoga, che include esercizi di respirazione ed esercizi di facile
esecuzione di stretching e di rilassamento del sistema muscolare, la consapevolezza è sempre sulle
sensazioni e impressioni che si stanno vivendo momento per momento. Oltre a questo, vengono dati
dei compact disc ai partecipanti così da facilitare la pratica a casa, il corso comprende anche un
ritiro della durata di un giorno intero di solito tra la quinta e la sesta settimana.
Alcune caratteristiche individuali sono di solito richieste: imparare a essere meno giudicanti,
sviluppare la pazienza, avere una mente da principiante, cioè la capacità di vedere ogni cosa come
se la si stesse vedendo per la prima volta, confidare nelle proprie intuizioni, aver fiducia in sé stessi,
durante la pratica non avere altro obiettivo che la meditazione stessa, accettare le cose come
vengono nell’istante presente e infine non censurare i propri pensieri ma permettere loro di andare e
venire liberamente. Una forte motivazione e perseveranza sono altresì altamente tenute in
considerazione e vengono coltivate consciamente durante ogni sessione.
La Terapia cognitiva basata sulla mindfulness
La terapia cognitiva basata sulla mindfulness (TCBM) è stata sviluppata da tre psicologi, Segal,
Williams e Teasdale negli anni ‘90 come metodo per prevenire le ricadute di depressione (Segal et
al., 2002). Essa nasce dal tentativo di unire lo stato di mindfulness, in particolar modo la RSBM,
con la terapia cognitiva al fine di migliorare il benessere e la salute mentale (Teasdale, Segal, &
Williams, 1995), ma in che maniera dovrebbe agire esattamente e perché in origine fu proprio usata
per prevenire le ricadute di depressione?
Per comprendere questo dobbiamo ricordare come la depressione sia una delle malattie
psichiatriche più frequenti nella popolazione e in grado di causare un notevole disagio, oltre che sul
piano soggettivo e interpersonale anche a livello sociale ed economico, causando numerosi giorni di
assenza dal lavoro e notevoli perdite economiche. Se il trattamento farmacologico ha mostrato
grande efficacia nel trattamento della depressione, la terapia cognitiva è attualmente il trattamento
d’elezione per la prevenzione delle ricadute. Partendo da queste evidenze, i fondatori di questo tipo
di terapia hanno deciso di fondere alcuni concetti della terapia cognitiva, come quello dei
“sottosistemi cognitivi interagenti” e di applicarli alla pratica della meditazione.
La teoria dei “sottosistemi cognitivi interagenti” parte dal presupposto che esistono diversi livelli di
esperienza: al primo livello sta la semplice informazione sensoriale, un suono, un’immagine, ecc
mentre a un livello più profondo stanno tutte le regolarità ricorrenti nei pattern dei codici sensoriali
come la gravità, il volume e il timbro di un suono. A un livello ancora più profondo ci sono i codici
mentali collegati al significato, divisi in due categorie, una più specifica e una più generica.
La prima, definita proposizionale, si riferisce al significato puro, per esempio di una frase, la
seconda, definita implicazionale, rappresenta un livello di significato più olistico e generale e può
essere rappresentato come la modalità mentale schematica di rappresentare l’esperienza, in altre
parole il mondo interno del paziente, la sua visione delle cose profondamente collegata a un valore
emozionale. Poiché interazioni disfunzionali possono portare a schemi depressiogeni che col tempo
diventano inconsci e quindi automatici, è importante che il paziente sia consapevole dei suoi schemi
di pensiero, soprattutto per riconoscere il momento in cui questi tendono a dare generalizzazioni
depressiogene e quindi interromperli in tempo per evitare la ricaduta nello stato di depressione. In
questo momento entra in gioco la Mindfulness che, grazie alla sua capacità di aumentare
l’autoconsapevolezza, dovrebbe portare a un precoce riconoscimento degli schemi mentali
depressiogeni in formazione e a un loro dissolversi attraverso l’osservazione e la consapevolezza
che “i pensieri non sono la realtà” ma solo una sua rappresentazione. Essa conduce all’essere
consapevoli “qui e ora”, all’estremo opposto della modalità automatica della mente, delle libere
associazioni inconsce senza controllo e quindi potrebbe aiutare a osservare e dipanare il dispiegarsi
delle associazioni depressiogene prima che queste raggiungano la ricaduta conclamata. La pratica
quindi insegna ai pazienti come osservare i loro contenuti mentali, riconoscere precocemente
quando l’umore si sta deteriorando e ridurre i pensieri ruminativi. Durante la meditazione da seduti
la consapevolezza è diretta sull’inspirazione e l’espirazione o sul salire e scendere dell’addome e
quando insorgono distrazioni, l’attenzione viene gentilmente ma con decisione riportata al respiro o
all’addome, durante la pratica del “bodyscan”, il focus dell’attenzione è la parte del corpo su cui il
praticante si sta concentrando.
ESSERE CONSAPEVOLI: AL DI LA’ DEL PILOTA AUTOMATICO
Pensate alla seguente situazione. Siete appena arrivati alla stazione ferroviaria e vi apprestate a
scendere dal treno. La porta si apre, scendete, percorrete il tratto a fianco del treno, vi guardate un
po’ attorno, guardate l’orologio mentre iniziate a pensare “in ritardo come al solito”. La mente
inizia a divagare mentre il corpo cerca automaticamente la strada tra la moltitudine di persone che si
agitano nella stazione, ognuna in arrivo o in partenza per qualche luogo, ognuna persa nei suo
pensieri.
I pensieri prendono il sopravvento, c’è da sistemare questa cosa sul lavoro, poi bisogna fare
quell’altra, bisogna chiamare a casa, ricordarsi un preciso appuntamento. Nel frattempo il vostro
corpo è arrivato alla scala mobile, mettete il primo piede sopra di essa e…ecco che all’improvviso
ritornate alla realtà: la scala mobile è infatti rotta ma voi non lo sapevate. Il vostro corpo si era
automaticamente preparato al moto della scala cui vi siete abituati ogni volta che siete passati dal
terreno “fisso” alla scala “mobile”. Aveva previsto cioè qualcosa che sarebbe dovuto accadere ma
che non è accaduto e avete sentito uno scossone interno: i pensieri si sono fermati e l’attenzione si è
automaticamente focalizzata per far fronte alla situazione contingente e imprevedibile. Insomma, la
realtà vi ha presentato una situazione imprevista cui il vostro corpo ha dovuto rispondere
interrompendo istantaneamente il flusso di pensieri in cui eravate immersi. Chi non ha mai provato
tale esperienza? Dov’era la vostra mente? E soprattutto, se la mente non era nella realtà, allora
dov’era?
Il film nella testa
Tutti le persone hanno una sorta di film nella testa che salta di continuo da un immagine a un'altra,
da una situazione ricordata o sognata ad un'altra e via discorrendo, uno stato anche conosciuto come
“pilota automatico”. I nessi tra una scena e l’altra possono talvolta seguire legami logici anche se
più spesso i collegamenti sono molto labili e seguono associazioni per lo più solo parzialmente
consce. È questo il cosiddetto “flusso di coscienza” in larga parte dovuto alle proprie esperienze
passate legate le une alle altre in base ai principi del condizionamento.
In una articolo pubblicato alcuni anni fa, il dottor Dietrich (Dietrich, 2003) ha proposto un teoria
che suggeriva come la mente, nello stato di veglia, non sia costantemente vigile come molti
suppongono ma possa trovarsi in differenti stati, uno dei quali è quello di “sogno durante la veglia”.
In questo stato l’attenzione si distacca dal mondo esterno in maniera assolutamente spontanea e
segue soltanto il proprio flusso di coscienza salvo che, come precedentemente detto, qualcosa come
un imprevisto la riporti immediatamente alla situazione contingente. Si tratta insomma di una
riduzione della capacità di mantenere l’attenzione. Tale stato è di solito accompagnato da una
perdita della sensazione del tempo.
Ci sono ad oggi consistenti evidenze scientifiche che mostrano come esso sia frequente durante la
veglia degli esseri umani (Gold, Gold, & Milner, 1987; Ray & Faith, 1995). Si è scoperto infatti che
l’attenzione umana cosciente, in condizioni normali, è molto limitata e riesce a rimanere focalizzata
solo per un breve lasso di tempo (Broadbent, 1958). In particolare mentre a livello inconscio molti
processi possono avvenire in parallelo, cioè contemporaneamente, per esempio possiamo guidare e
muoverci a ritmo di musica nello stesso tempo se abbiamo già appreso da lungo termine queste
capacità, possiamo concentrarci su un compito che richiede totale attenzione cosciente come
l’imparare a guidare solo per brevi periodi. Inoltre, il fatto che ci stiamo focalizzando pienamente in
tale apprendimento, impedisce di dedicarsi pienamente ad un’altra attività che richiede la
consapevolezza come risolvere un problema o seguire con attenzione una discussione in maniera
critica.
Secondo alcuni autori, lo spostamento del focus di attenzione dal mondo esterno o da un suo
particolare dettaglio agli eventi interni durante il sogno nello stato di veglia (Singer, 1978) potrebbe
semplicemente essere l’inevitabile risultato di una costante richiesta del sistema cerebrale di
elaborare e integrare a intervalli regolari le nuove informazioni costantemente acquisite. Addirittura
vi è chi ha suggerito che il sogno nello stato di veglia sia una parte integrante della coscienza umana
nella sua esperienza conscia (Singer & Pope, 1981). È qui importante sottolineare nuovamente che,
mentre si trovano in questo stato, gli esseri umani sono capaci di eseguire compiti mentali
complessi come guidare un auto. Mentre il guidatore è nello scenario mentale del sogno nello stato
di veglia egli può districarsi nel complesso mondo del traffico senza prestare particolare attenzione.
Secondo la teoria oggi particolarmente accreditata della struttura gerarchica della coscienza, infatti,
una qualche forma di attenzione è contemporaneamente presente a tutti i livelli cerebrali (Taylor,
2001) ma la capacità di dirigere e focalizzare l’attenzione volontariamente è una capacità della sola
corteccia prefrontale, la parte più sviluppata del cervello umano in cui pare abbia sede la mente
cosciente (Posner, 1994).
Poiché un’attività ormai appresa da tempo tende a diventare automatica, il controllo della sua
esecuzione, col tempo, si sposta dalla corteccia prefrontale, la sede della coscienza, a una zona
situata molto in profondità nel cervello, i gangli della base, che ne permettono una esecuzione tanto
più automatica quanto più il compito viene ripetuto (Mishin, Malamut, & Bachevalier, 1984).
Cosa accade quindi, in condizioni di norma, alla corteccia prefrontale quando non è più occupata da
alcuna attività che ne richiede la completa attivazione? Essa, non più consistentemente occupata a
gestire la situazione contingente, può generare uno scenario di sogno durante la veglia ed uscire da
esso solo in caso di estrema necessità come in un imprevisto. Questi dati insieme a molti altri
suggeriscono fortemente che la coscienza, almeno in condizioni normali, sia un processo singolo
legato ad una limitata capacità attenzionale volontaria, mentre l’inconscio sembra essere un
processore che agisce in parallelo (Posner, 1994).
Purtroppo quando la mente, col passare del tempo, si lascia sempre più condizionare dal proprio
“sogno nello stato di veglia” inizia a scambiare tale sogno con la realtà, non si rende più conto delle
proprie distorsioni, negazioni, proiezioni e degli altri processi interni e da questo possono nascere
differenti problemi che vanno dall’incapacità a rilassarsi, all’aumento delle ruminazioni mentali e
alla perdita della propria creatività fino a diversi disturbi psichiatrici quali disturbi d’ansia o
dell’umore. Le meditazioni basate sulla consapevolezza, nello specifico, e l’essere consapevoli
nell’ambito della vita quotidiana, più in generale, hanno proprio lo scopo di riportare l’uomo alla
sua natura più libera, scevra dai propri condizionamenti mentali così a lungo inconsapevolmente
coltivati. Ma di quali dati disponiamo? In questa breve presentazione mi focalizzerò principalmente
sui dati nelle persone sane. Tuttavia in una sezione successiva fornirò anche un brevissimo riassunto
delle evidenze dell’utilità delle meditazioni basate sulla consapevolezza per particolari disturbi
fisici e psichiatrici.
LE MEDITAZIONI BASATE SULLA CONSAPEVOLEZZA PER LA RIDUZIONE DELLO
STRESS NELLE PERSONE SANE
Sono ad oggi numerosi gli studi scientifici che si sono focalizzati sugli effetti benefici di una pratica
regolare di meditazione basata sulla consapevolezza, anche per una durata limitata a sole 8
settimane, sui livelli di stress e su altri parametri in popolazioni di soggetti sani (Chiesa & Serretti,
2009b). Il primo studio su una popolazione di 28 studenti universitari è stato quello di Astin e
colleghi (Astin, 1997), i quali hanno trovato che un corso standard di RSBM era in grado di ridurre
significativamente lo stress e di migliorare diversi parametri, tra i quali i livelli di ansia e i sintomi
perfezionistici. Non solo, uno dei ritrovamenti più interessanti è stato che tutti i partecipanti
avevano percepito un miglioramento nella propria sensibilità interpersonale, erano cioè in grado di
comprendere meglio le emozioni altrui, sentivano di avere un maggior senso di padronanza sulle
cose che potevano controllare e una più grande accettazione di quelle situazioni che non potevano
controllare e in generale erano diventati più soddisfatti della propria vita. Tutti questi ritrovamenti
erano in un certo senso attesi, dato che lo scopo delle MM è proprio quello di aiutare i soggetti ad
avere una maggiore padronanza interiore e una visione più chiara delle cose, aiutando quindi a
smussare i lati negativi della personalità, a capire quando le situazioni vanno accettate e quando ci
si può impegnare per modificarle e soprattutto a imparare a osservare anche le emozioni altrui,
allargando così il contesto del proprio mondo interiore.
Studi successivi hanno in gran parte confermato i ritrovamenti di questo primo lavoro, estendendoli.
Uno di questi studi ha diviso in modo casuale un ulteriore gruppo di studenti universitari, così da
ridurre al minimo potenziali fattori di confusione, quali la particolare predisposizione alla
meditazione di coloro che volevano praticarla (Shapiro, Schwartz, & Bonner, 1998). Metà di essi è
stata indirizzata al corso, mentre gli altri sono stati inclusi in una lista d’attesa, i risultati hanno in
larga misura confermato quanto già osservato nel precedente studio: oltre a una diminuzione
generale dell’ansia di tratto in coloro che avevano partecipato al corso, sono stati notati anche
importanti miglioramenti a livello dei sintomi depressivi, dello stress soggettivamente percepito,
dell’empatia per le emozioni altrui e soprattutto del senso di spiritualità della propria vita. Resta ora
da chiederci se l’entità del miglioramento sia mediata completamente dall’aumento della
consapevolezza stessa o da altri fattori. Alcuni ricercatori, guidati da Carmody, un ricercatore che
da tempo si occupa di MM, si sono posti la questione volendo indagare, in un campione di 44
soggetti estratti dalla popolazione generale, tanto gli effetti di un corso standard di RSBM quanto la
relazione diretta di questi effetti nell’ottenimento del risultato finale (Carmody & Baer, 2007). Ciò
che hanno osservato è stata tanto la conferma che, al termine del corso, il livello di spiritualità era
significativamente migliorato rispetto al valore iniziale, così come il livello globale di mindfulness,
lo stress e i sintomi fisici percepiti, quanto il fatto che gli aumenti sia della mindfulness che della
spiritualità di tratto (ovverosia non legati a un particolare momento ma stabilizzati nel tempo) erano
inversamente correlati al grado di stress e ai sintomi medici riportati. I ricercatori hanno quindi
concluso che le osservazioni erano in accordo con la loro ipotesi iniziale, che la MM è un ottimo
sistema per aumentare il proprio senso di spiritualità all’esterno del classico contesto religioso e
hanno suggerito, in accordo con le ipotesi del dottor Kabat-Zinn, che la pratica di una MM può
aumentare il senso di coerenza interna, a sua volta correlato a una maggiore resilienza dai problemi
e dallo stress.
Ulteriori studi hanno confermato questi risultati su campioni di studenti di medicina che si trovano
spesso di fronte a eventi particolarmente stressanti o traumatici come gravi malattie e morte dei
pazienti (Rosenzweig, Reibel, Greeson, Brainard, & Hojat, 2003) e hanno mostrato, oltre a
un’importante riduzione dello stress, una diminuzione della pressione sanguigna e un
miglioramento generale della qualità della vita in numerosi altri campioni di soggetti, per lo più
studenti universitari ma anche in soggetti di età più avanzata (Chiesa & Serretti, 2009b). È degno di
nota il fatto che, anche se meno estensivamente studiati, risultati simili sono stati osservati anche
per la meditazione Vipassana e la meditazione Zen (Chiesa, 2009b, 2009c)
CONSAPEVOLEZZA E RELAZIONI
Oltre al desiderio di ridurre lo stress, ciò che è sicuro è che la maggior parte delle persone cerca
stabilità all’interno di relazioni significative, tra cui quella sentimentale assume sicuramente
un’importanza particolare. Diversi studi hanno investigato se più alti livelli di Mindfulness, intesa
come presenza e consapevolezza nel “qui e ora” tanto della propria esperienza interna che di quella
esterna, fossero direttamente collegati al benessere, felicità e durata della vita di coppia. Un primo
studio, basandosi su numerose evidenze, secondo le quali più alti livelli di consapevolezza sono
associati a una maggiore probabilità di rispondere riflessivamente anziché impulsivamente alle
emozioni negative dall’altro e a una maggiore comprensione che il mondo interno del proprio
partner può essere in un dato momento caratterizzato da pensieri, sentimenti e convinzioni del tutto
diverse dalle nostre, ha deciso d’investigare un campione costituito da 30 coppie di soggetti sposati
(Wachs & Cordova, 2007). I risultati hanno mostrato diversi punti degni di nota: innanzitutto i
livelli di Mindfulness erano direttamente correlati con la qualità della vita coniugale, in secondo
luogo maggiori erano i livelli di Mindfulness, maggiori erano le capacità emozionali dei partner che
includevano una maggiore empatia e una minor grado di ostilità/aggressività nei confronti del
coniuge. Infine, le capacità emozionali mediavano completamente il rapporto tra Mindfulness e
qualità della vita coniugale.
Uno studio seguente ha indagato invece il ruolo svolto dalla Mindfulness all’interno delle relazioni
sentimentali in genere, indipendentemente dall’essere sposati o meno e del frequentarsi più o meno
saltuariamente (Barnes, Brown, Krusemark, Campbell, & Rogge, 2007). Ancora una volta, una
maggiore Mindfulness di base era direttamente legata a una più alta soddisfazione relazionale e a
maggiori capacità di rispondere costruttivamente agli stress legati al rapporto relazionale. Inoltre,
più alti livelli di consapevolezza erano correlati a un minor peggioramento dell’opinione sull’altro
subito dopo un litigio e i dati mostravano con chiarezza che maggiori livelli di Mindfulness di stato,
ovverosia nell’attimo specifico indipendentemente dalla Mindfulness di base del soggetto, erano
significativamente correlati a una migliore qualità della comunicazione durante le eventuali
discussioni. Questi risultati sono stati confermati anche in un seguente studio, il quale ha aggiunto
ai precedenti che i miglioramenti relazionali mediati dalla Mindfulness potessero essere attribuiti
maggiormente alla sensazione dei partner di far parte di qualcosa di più grande, qualcosa che
potesse espandere il loro sé, piuttosto che al fatto di sentirsi più rilassati o più accettanti nei
confronti dell’altro, suggerendo un nuovo campo d’indagine fino a ora scarsamente considerato
(Carson, Carson, Gil, & Baucom, 2007). In conclusione, le evidenze attuali sono fortemente
indicative del fatto che essere consapevoli non è solo qualcosa che può migliorare lo stress o essere
utile per pochi, ma è una via appropriata anche per tutti coloro che desiderano vivere una vita di
relazione più appagante e consapevole del mondo e dei sentimenti del partner, la persona a cui
spesso si chiede supporto e comprensione ma alla quale occorrerebbe saperli ricambiare.
LE MEDITAZIONI BASATE SULLA CONSAPEVOLEZZA PER I DISTURBI PSICHIATRICI
E FISICI
Crescenti evidenze mostrano anche come le meditazioni basate sulla consapevolezza e l’aumento
della propria consapevolezza possano essere specificatamente correlate a effetti positivi su diversi
disturbi psichiatrici e fisici. I ritrovamenti principali (Chiesa & Serretti, 2009a) mostrano che la
TCBM in aggiunta al trattamento standard (TS) e, sebbene meno studiata, la RSBM potrebbero
essere più efficaci della sola TS per i pazienti che soffrono di depressione maggiore ricorrente dopo
la terza ricaduta depressiva, per i pazienti affetti da depressione resistente, distimia e disturbo
bipolare in fase di remissione. La RSBM e secondariamente la TCBM hanno mostrato qualche
efficacia per i disturbi d’ansia, in particolare il disturbo d’attacchi di panico, il disturbo d’ansia
generalizzata e la fobia sociale. La RSBM, tuttavia, si è rivelata meno efficace rispetto alla terapia
cognitiva di gruppo standard per il trattamento della fobia sociale e un ritiro di Vipassana della
durata di 10 giorni ha mostrato di ridurre significativamente il consumo di alcol e di droghe in
popolazioni carcerarie. Inoltre la TCBM e la RSBM hanno dimostrato anche qualche efficacia per i
soggetti affetti da insonnia, disturbi alimentari e disturbo da deficit di attenzione e iperattività
nell’età adulta.
In maniera simile, numerosi ritrovamenti (Chiesa & Serretti, 2009c) hanno dimostrato come la
RSBM sia in grado di aiutare i pazienti affetti da dolore cronico, migliori diversi sintomi psicologici
in pazienti affetti da tumore, possa essere d’aiuto nella psoriasi, nella sclerosi multipla e in molti
altri disturbi psicosomatici in cui l’interazione tra psiche e soma gioca un ruolo fondamentale e
ulteriori studi volti ad investigare possibili utilizzi ulteriori sono tuttora in corso.
COME COLTIVARE LA PROPRIA PRESENZA MENTALE
Andare in profondità nelle tecniche per lo sviluppo della presenza mentale richiederebbe una
trattazione che non può essere descritta in poche righe ed esula in parte dallo scopo di questa breve
presentazione sul concetto di Mindfulness. Va inoltre sottolineato che sarebbe sempre opportuno
studiare le tecniche volta ad aumentare la propria consapevolezza con insegnanti esperti a loro volta
praticanti qualche tecnica di presenza mentale.
Tuttavia, per dare una dimostrazione a coloro che sono spinti dalla curiosità di avere una piccola
intuizione di ciò che può essere un semplice esercizio di presenza mentale ma non sono ancora certi
se approfondire questo percorso, concludo nelle seguenti poche righe con un semplice esperimento
eseguibile senza particolare allenamento.
I cinque minuti di consapevolezza
Cercate a casa vostra o in un ambiente che comunque reputate rilassante, come ad esempio, un
parco naturale (per non essendo tale luogo tranquillo necessario i praticanti avanzati, è sicuramente
importante per le persone meno esperte), uno spazio in cui non sarete disturbati per almeno 5
minuti. Fate tre profonde inspirazioni, ricordando a voi stessi che nei minuti successivi cercherete di
essere più presenti alla realtà così com’è e non come vorreste che fosse. Respirate attraverso il naso.
A questo punto focalizzate tutta la vostra attenzione a livello delle narici, cercando di sentire, al
meglio delle vostre possibilità, l’aria che entra e l’aria che esce. Non cercate di modificare il respiro
in alcuna maniera, semplicemente seguitelo. Ogni volta che la mente si distrae, tornate dolcemente
ma con fermezza alla sensazione del respiro a livello delle narici. Se riuscite a stabilizzare la mente
per almeno 30 secondi senza avere pensieri distraenti, sempre mantenendo il focus principale di
attenzione a livello delle narici, cercate di includere anche le altre percezioni che giungono al vostro
corpo, l’immagine di ciò che sta attorno a voi, il corpo che si muove ondeggiando col respiro, i
suoni, il silenzio tra i suoni, gli odori…Al termine dell’esercizio fate un profondo respiro e
riprendete le vostre attività.
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