In Spagna per la libertà - Istituto per la storia della Resistenza
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In Spagna per la libertà - Istituto per la storia della Resistenza
“In Spagna per la libertà” Vercellesi, biellesi e valsesiani nelle brigate internazionali (1936-1939) a cura di Piero Ambrosio prefazione di Nicola Tranfaglia Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna I In copertina: una compagnia della 12a brigata internazionale (archivio fotografico dell’Istituto) 1a edizione: Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli “Cino Moscatelli”, 1996 Borgosesia, via Sesone, 10 2a edizione, e-book: Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia, 2016 Varallo, via D’Adda, 6 Sito web: http://www.storia900bivc.it E-mail: [email protected] © Vietata la riproduzione anche parziale non autorizzata II “In Spagna per la libertà” Vercellesi, biellesi e valsesiani nelle brigate internazionali (1936-1939) a cura di Piero Ambrosio prefazione di Nicola Tranfaglia Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna III Nella prima parte di questo volume sono raccolte le relazioni presentate al convegno omonimo, organizzato dall’Istituto e dalla Città di Biella, con la collaborazione dell’associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna, che si tenne a Biella il 6 maggio 1988. Edizione identica alla precedente, salvo alcune correzioni e precisazioni nonché una diversa impostazione grafica; non aggiornata con riferimenti bibliografici e alle nuove conoscenze nel frattempo acquisite. Nell’appendice sono state aggiunte due memorie sul tema, di Anello Poma e Antonio Roasio, già edite nella rivista “l’impegno” nel 1986. IV Presentazione Gli anniversari della storia sono un’ottima occasione per riportare in primo piano il lavoro di ricerca e di riflessione sviluppato e per stimolare nuove indagini o la revisione di sintesi e giudizi elaborati in contesti culturali che risentivano di un diverso clima politico o erano ancora condizionati dalla presenza forte di protagonisti degli eventi. Il discorso vale anche per la guerra civile spagnola, che fu un capitolo saliente della conflittualità novecentesca tra conservatorismo e reazione da un lato, progresso e democrazia dall’altro. La sua collocazione cronologica alla vigilia della seconda guerra mondiale ne fa l’atto iniziale dello scontro tra fascismo e antifascismo in un’Europa non ancora consapevole della tragica importanza di questo conflitto, con le potenze democratiche come Francia e Germania rinchiuse in una neutralità che oggi appare ignava, ma che al tempo fu una scelta diplomatica tesa a evitare che la penisola iberica diventasse il teatro anticipato della seconda guerra mondiale. Le forze repubblicane spagnole ebbero tuttavia il sostegno di un esercito di volontari internazionalisti giunti da tutto il mondo, mentre sull’altro fronte l’Italia fascista e la Germania nazista non mancarono di prodigare i loro aiuti ai nazionalisti reazionari guidati da Francisco Franco. Se storiograficamente non possiamo inscrivere la guerra di Spagna dentro la seconda guerra mondiale, non possiamo tuttavia isolarla dal contesto storico in cui maturò e ignorare gli elementi di continuità con il conflitto che sarebbe scoppiato a pochi mesi dal suo epilogo. Basterebbe seguire il filone della partecipazione dei volontari antifascisti biellesi e vercellesi, biografati da Piero Ambrosio nel saggio riproposto in questa occasione, per comprendere come l’esperienza della guerra civile spagnola sia stata determinante per la formazione dei quadri di comando della guerra di liberazione che si combatté in Italia dal 1943 al 1945: vi compaiono, infatti, tra gli altri resistenti, figure come quelle di Antonio Roasio e Francesco Leone, che furono ispettori presso il Comando generale delle brigate “Garibaldi”; Anello Poma, commissario politico del Comando zona biellese; Annibale Caneparo, commissario politico del Comando zona della valle d’Aosta; Adriano Rossetti, primo commissario politico della 2a brigata “Garibaldi” e poi della VII divisione “Fillak” in Valle d’Aosta; Luigi Viana, intendente della 2a brigata “Garibaldi” e poi membro del Cln di Aosta. Elementi di riflessione storiografica alta che furono sviluppati nel convegno che l’Istituto dedicò al tema e che si svolse a Biella il 6 maggio 1988, con la partecipazione di Marcello Flores, attualmente direttore scientifico dell’Insmli, Gianni Isola, Adriano Ballone, Anello Poma, Luigi Moranino, Piero Ambrosio, Gianni Perona, Pierangelo Cavanna; gli atti furono pubblicati nel 1996, corredati dalle accurate biografie dei volontari biellesi, vercellesi e valsesiani redatte da Piero Ambrosio, da immagini scelte dal “Calendario del garibaldino” del 1938, edito a Parigi dall’Unione popolare italiana, esemplare rarissiV mo e forse unico, e da una appendice cronologica. La decisione di realizzare un’edizione digitale del volume risponde da un lato all’esigenza di rendere disponibile al pubblico interessato la pubblicazione, da tempo esaurita nel formato tradizionale, dall’altro all’opportunità di celebrare l’ottantesimo anniversario della guerra di Spagna riproponendo temi importanti, come i legami fra la dimensione storica generale e quella locale. Troppo frequentemente, infatti, la storia del territorio è interpretata come un recinto chiuso in cui verificare gli effetti dei fenomeni che si determinano altrove, con una prospettiva banalmente localistica, utile a soddisfare curiosità intellettuali contingenti; più fecondo e interessante è invece l’approccio teso a misurare il contributo della dimensione periferica ai processi e agli eventi storici generali. Affidiamo ai lettori del web quest’opera, prodotta dalla preziosa collaborazione di Piero Ambrosio, che si inserisce in un lungo percorso di ricerca, testimonianza e divulgazione che l’Istituto ha affrontato sul tema della guerra civile spagnola, in particolare nella rivista “l’impegno”, ma anche nella sua produzione editoriale di saggi. Varallo, dicembre 2016 Enrico Pagano, direttore dell’Istituto VI Prefazione di Nicola Tranfaglia Contrariamente a quanto può fare apparire il titolo o, meglio, il sottotitolo di questo volume e del convegno che ne è alla base, mi sembra che l’insieme dei saggi che lo costituiscono dimostri sostanzialmente due cose: prima di tutto lo stretto collegamento che esiste tra i problemi storici aperti sulla guerra di Spagna, e quindi il grande interesse e anche i problemi che sono aperti a una ricerca come questa, una ricerca che riguarda sia l’antifascismo, sia la lotta di liberazione in Italia e che in questo momento sembra scontrarsi con un mutamento di termini del dibattito storiografico avvenuto negli ultimi anni. Dovrei separare in questo intervento i due aspetti: cioè parlare, da una parte, di alcuni problemi di contenuto che riguardano la guerra civile in Spagna e il ruolo degli antifascisti italiani in quella guerra e, dall’altra, invece, accennare ad alcuni aspetti di metodo che emergono in maniera molto chiara in alcuni degli interventi e che vanno ripresi. Non c’è dubbio, come mi sembra dimostri con molta chiarezza Marcello Flores nella sua relazione, che la guerra di Spagna è stata vista per lungo tempo non tanto come quello che effettivamente fu, e cioè un episodio nella lunga guerra ininterrotta che attraversa gli anni trenta e che si ricongiunge alla seconda guerra mondiale, ma come qualcosa, in fondo, di distaccato da quello che era successo prima e da quello che sarebbe successo poi. Nel senso che, per esempio, un’interpretazione del fascismo italiano, che pure sembra aver conquistato un ruolo notevole sia nelle università, sia nei mezzi di comunicazione di massa, tende ancora oggi in modo molto insistente, molto sottolineato, a interpretare la vicenda del regime fascista rispetto alla guerra di Spagna come se l’intervento italiano fosse un episodio di una politica estera che non aveva ancora scelto le proprie mete, che non aveva ancora individuato i propri obiettivi e che si muoveva sempre secondo mosse tattiche. Questo tipo di interpretazione tende a vedere la guerra di Spagna come un episodio del pendolarismo tra le democrazie occidentali e la dittatura tedesca e quindi a interpretare la scelta di Mussolini di entrare in guerra nel 1940 come un episodio ulteriore che si aggiunge ai precedenti e che ha scarso rapporto sia con la rottura con l’Inghilterra, consumata attraverso l’impresa d’Etiopia, sia con l’intervento nella guerra di Spagna a fianco della Germania nazista e di nuovo contro sicuramente l’Unione Sovietica, ma in fondo anche contro quelle potenze occidentali che pure scelgono la strada del non-intervento. Così, ad esempio, nell’ultimo volume della biografia di Mussolini scritta da Renzo De Felice si insiste per decine e decine di pagine sulle incertezze del duce, tra il marzo e il giugno 1940, prima di decidere la guerra e si dà un’enorme importanza al fatto che Mussolini da una parte e Ciano dall’altra fossero indecisi sul momento di entrare in guerra, come se tutto quello che era avvenuto negli anni trenta, ripeto: incominciando soprattutto dalla guerra d’Etiopia, non fosse stata la premessa necessaria dell’intervento in guerra a 7 fianco della Germania nazista. Quest’interpretazione nel mondo anglosassone viene di continuo ripresa e riportata come l’interpretazione prevalente nella storiografia italiana. Ora mi sembra che Marcello Flores metta in evidenza con molta chiarezza quale sia il senso della guerra di Spagna rispetto alla politica italiana, sia rispetto alla politica del movimento operaio internazionale. Sempre parlando della guerra di Spagna in questa fase di transizione che caratterizza la politica europea e occidentale, mi sembra molto importante e da riprendere l’annotazione che si fa, sul declino dell’internazionalismo proletario. Io ho l’impressione effettivamente che la guerra di Spagna segni uno degli ultimi momenti della tradizione internazionalista, sia dei socialisti che dei comunisti. Quella dei socialisti si era già trovata di fronte alla crisi della prima guerra mondiale ma quella dei comunisti ancora no, e nonostante le critiche molto forti, venute anche da gruppi che si riconoscevano nel comunismo, alla gestione nazionalista da parte dell’Unione Sovietica della III Internazionale, anche da quelle parti tuttavia c’era la speranza, l’auspicio e la fede, che l’internazionalismo comunista potesse non andare incontro alle sconfitte che aveva avuto l’internazionalismo socialista e segnasse una nuova fase. Ora non c’è dubbio che la guerra di Spagna sia l’ultimo avvenimento in cui questo internazionalismo si dispiega pienamente. Non c’è dubbio, infatti, che le lotte di liberazione, pur nell’unità di una serie d’ideali complessivi, segnino un momento di necessario ripiegamento all’interno delle realtà nazionali, e questo non è qualcosa a cui guardare con un giudizio storico negativo, ma è qualcosa di cui prendere atto e che troverà la sua piena realizzazione attraverso i trattati di pace e la sistemazione mondiale che avverrà dopo la seconda guerra mondiale. Si tratta di un punto, secondo me, che la storiografia, non solo italiana, ha poco approfondito e che andrebbe ripreso. Come d’altra parte mi sembra che l’altro binomio che si evoca, quello del rapporto tra democrazia e socialismo, anche qui attraverso la guerra di Spagna, trovi un momento di verifica particolare ed è molto significativo, riportandoci a quelle che sono le tendenze storiografiche di oggi, in fondo una differenza di giudizio che la storiografia del secondo dopoguerra registra tra il giudizio sulla democrazia occidentale e il giudizio sul socialismo. È singolare che l’analisi della politica interna e internazionale delle democrazie occidentali fra le due guerre mondiali sia sottoposta di solito a una critica abbastanza forte, e questa è una critica nei fatti, perché se studiamo la storia non soltanto dell’Italia e della Germania, ma la storia della Francia e della Gran Bretagna negli anni fra le due guerre mondiali, ci troviamo di fronte a delle significative cadute del regime democratico, sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista sociale. Ebbene curiosamente, però, la storiografia di cui parlo, cioè la maggior parte della storiografia occidentale, ricostruisce in qualche modo la fede nella democrazia per quello che successe attraverso la Resistenza e nel dopoguerra. Curiosamente questo non avviene per il socialismo: dopo il giudizio negativo che matura sul socialismo così come si è realizzato nella Russia di Stalin, la parola socialismo diventa sinonimo comunque di fallimento, come se esistesse soltanto quella forma, come se non ci fossero altre possibilità di realizzazione del socialismo, e questo ci fa vedere in qualche modo una notevole egemonia, credo, oggi almeno, di una storiografia che si rifà particolarmente a una serie di pregiudizi ideologici. Da questi problemi generali, che però mi sembrano molto importanti per collocare la guerra civile di Spagna all’interno di una vicenda occidentale e mondiale, che ha successi8 ve tappe, ma che effettivamente con la guerra di Spagna sembra chiudere, per alcuni aspetti, un periodo e aprirne un altro, passiamo a problemi che sono collocabili in un quadro più limitato; mi sembra che dai saggi emergano alcuni spunti sempre di contenuto che sono molto interessanti e voglio accennare ad alcuni. Penso per esempio allo spunto che emerge dalla relazione di Adriano Ballone a proposito della difficile questione, che ancora oggi non ha trovato, mi pare, nella storiografia internazionale, una sistemazione adeguata, della politica della III Internazionale nei confronti della guerra di Spagna. Intendiamoci, non ha trovato una sistemazione non perché non siano stati messi in luce con chiarezza, e attraverso una documentazione adeguata, gli aiuti che l’Unione Sovietica ha dato alla Repubblica spagnola, aiuti indubbiamente superiori a quelli di qualunque altro Paese, di qualunque altro regime. Ma noi non disponiamo ancora oggi degli archivi del Partito comunista sovietico e della III Internazionale e questo costituisce per tutti gli storici un grave ostacolo all’approfondimento della ricerca in maniera compiuta. L’annotazione di Ballone sul ritorno di una parte notevole dei dirigenti comunisti inseriti nella III Internazionale o legati alla III Internazionale dalla Spagna abbastanza presto, abbastanza prima che fosse obiettivamente chiara la sconfitta della Repubblica spagnola è un elemento che andrebbe approfondito. Così andrebbe approfondito il discorso che si fa in altri interventi su ciò che io chiamerei i ritmi e le caratteristiche dell’emigrazione politica e sul rapporto tra emigrazione politica e emigrazione di lavoro. Mi sembra che anche su questo si stiano preparando una serie di strumenti molto utili, e in questo gli istituti della Resistenza hanno avuto finora una funzione estremamente importante, ma mi sembra che si sia fatta in generale ancora poca strada, soprattutto a livello nazionale, per approfondire quella che è stata una vicenda di importanza eccezionale, vedendola naturalmente, come sostiene Gianni Perona, dai due punti di vista: dal punto di vista dell’emigrazione in se stessa e dal punto di vista della politica del fascismo nei confronti dell’emigrazione. Si tratta di ricerche molto lunghe e per lo stato delle nostre fonti non facili, ma sono, mi pare, quelle che riescono meglio a far vedere una vicenda che non ha soltanto contorni politici ma anche grandi contorni sociali ed umani ancora da indagare. Un altro punto molto significativo che si tocca riguarda un problema che negli anni sessanta era stato esaminato a fondo, che ogni tanto riemerge nella storiografia italiana, ma che mi pare abbia bisogno di maggiori precisazioni: il rapporto tra il movimento antifascista e la guerra di liberazione. Su questo io condivido le osservazioni di Perona sulla situazione biellese e devo dire che ho l’impressione che queste osservazioni siano valide per la realtà biellese e che in altre zone del Paese le cose siano andate in modi diversi e quindi si tratterebbe, per cercare di analizzare il problema a livello nazionale, di comporre un mosaico di questa situazione in modo da rispondere meglio alla domanda sul peso che l’antifascismo ha avuto rispetto al dispiegarsi della Resistenza. Se si farà una ricerca analitica a livello nazionale, si scoprirà una notevole continuità tra l’uno e l’altro fenomeno, che spesso è una continuità della vita di uomini e che ha anche un peso, un’importanza nel tipo di resistenza che c’è stata in Italia, diversa da quella di altre resistenze che oggi si tende a dimenticare. Se rispetto a questi problemi di contenuto ho accennato solo a quelli che mi sono parsi, per molti aspetti, di particolare importanza per quanto riguarda i problemi di metodo, credo che ci siano due aspetti che emergono in modo chiaro e che vadano ripresi: da una parte si indica - lo fa Gianni Isola - l’interesse di quella che per esempio gli anglosassoni 9 praticano da molto tempo, ma che in Italia effettivamente è poco praticata, la cosiddetta storia politica quantitativa, che è l’uso dei termini quantitativi per indagare quelle che non sono più tanto idee, quanto comportamenti, atteggiamenti, analisi di gruppi sociali piccoli o grandi che siano. Isola lo ha fatto per la centuria “Sozzi “, è chiaro che si può fare in molti altri casi e livelli. L’altro aspetto importante, su cui mi pare gli istituti della Resistenza abbiano lavorato molto, è quello delle biografie e delle memorie dei militanti. La storiografia italiana ha lavorato per troppo tempo e, a livello accademico, continua ancora a lavorare su quelle che, per una ragione o per l’altra, sono definite personalità d’eccezione. Il problema, nel ricostruire la storia sia del movimento antifascista che della Resistenza, è anche quello di ricostruire complessivamente quella che è stata l’esperienza politica e sociale di gruppi anche estesi. Da questo punto di vista le memorie, le biografie, avendo oggi anche la possibilità di usare strumenti visivi, mi sembra siano una direzione da seguire in modo molto chiaro. Complessivamente mi sembra che l’elemento più interessante del convegno e di un volume come questo sia la capacità di collegare i problemi generali della storiografia sul movimento antifascista e sulla Resistenza con una storia locale che non è chiusa in se stessa ma che vuole, per alcuni aspetti, suggerire alla storia nazionale i terreni e gli interrogativi su cui andare avanti. 10 Prima parte Saggi 11 Considerazioni per la discussione storiografica sulla guerra civile spagnola di Marcello Flores La guerra di Spagna è stata più volte oggetto, negli ultimi anni, di una riflessione storiografica nuova. Quest’ultima si è mossa perlopiù seguendo due direzioni: da una parte c’è stata una riflessione incentrata sugli aspetti più interni alla storia della Spagna, una riflessione che tendeva cioè a vedere la guerra di Spagna entro una cornice più ampia, a partire almeno dalla nascita della Repubblica e dall’inizio degli anni trenta, ma che riguardava più in generale tutta la storia del Paese. È quello che soprattutto hanno tentato di fare molti storici spagnoli che, a partire dalla morte di Franco, si sono mossi in questa direzione più globalmente sociale che non politica. Dall’altra ci sono stati approfondimenti di carattere più locale che, in alcuni casi, hanno avuto come centro il problema dei volontari internazionali; un problema che ha finalmente cessato di essere solo un momento di celebrazione o di ricordo, seppure su un piano dignitoso e elevato, per divenire parte integrante della più generale riflessione storiografica. Mentre la storiografia più generale si muoveva approfondendo temi sociali, culturali ed economici, la riflessione sulla storia e sulla partecipazione dei volontari ha permesso, pur con limiti e con particolarità, spesso con contraddizioni, che si rimanesse ancorati a un livello politico e al piano internazionale della vicenda di Spagna all’interno della discussione storica. Sia il livello politico che quello internazionale, infatti, sono stati spesso abbandonati a favore di una ricerca rivolta più verso le istituzioni spagnole. In passato la partecipazione alla guerra di Spagna dei volontari internazionali è spesso stata vista come l’inizio di una fase storica nuova; e cioè solo nell’ottica successiva della Resistenza, come preparazione e prodromo alla Resistenza stessa, o come battesimo del fuoco, militare, di un antifascismo che finalmente poteva anche prendere le armi in mano. Proprio partendo dal punto di vista dell’ottica della partecipazione dei volontari è possibile svolgere alcune riflessioni, che sono state già suggerite in alcune ricerche e che credo possano rappresentare una ipotesi feconda per la discussione storiografica. Molto sommariamente si tratterebbe di vedere la partecipazione dei volontari alla guerra di Spagna come un momento che non è né iniziale né finale, ma piuttosto un momento transitorio, di passaggio, molto importante nella storia del movimento operaio di questo secolo e che proprio le vicende e l’atteggiamento dei volontari evidenziano in modo particolare. Il 1936, che segna l’inizio della guerra di Spagna, è un anno che vede in fermento e insieme in crisi il movimento operaio: è una crisi in gran parte di crescita e di allargamento, una crisi positiva, di superamento di settarismi precedenti e di modificazioni strategiche, è una crisi che propone nuovi rapporti e nuove alleanze; è anche però un momento di transizione che l’inizio della politica dei fronti popo12 lari fa invece apparire, soprattutto all’epoca, come l’inizio di una fase democratica e rivoluzionaria. Se infatti guardiamo più complessivamente a tutto il decennio degli anni trenta, vediamo che il ’36 rappresenta il momento più innovativo, più positivo, più di crescita in una fase che però è complessivamente di grandi sconfitte. Gli anni trenta si aprono con la vittoria di Hitler e si chiudono con il patto russo-tedesco, due momenti diversissimi tra loro, ovviamente, che però caratterizzano una crisi vissuta drammaticamente anche dal movimento operaio. La fase nuova, da un punto di vista storico, si aprirà dopo: prima con l’alleanza antifascista del 1941-45, poi, in modo ancora diverso, con gli anni della guerra fredda. In questo periodo di crisi degli anni trenta, invece, i due momenti salienti, attorno a cui tra l’altro ancora adesso la riflessione storiografica e non solo storiografica si appunta spesso, sono: quello che succede a Mosca, vale a dire il VII Congresso dell’Internazionale, che lancia i fronti popolari; la nuova Costituzione sovietica e poi i processi drammatici e tragici che hanno luogo dal ’36 al ’39; e la guerra di Spagna, che vive anche, ovviamente non solo, di riflesso, drammaticamente, tutto quello che succede a Mosca. In Spagna si evidenzia un primo paradosso: che la scelta democratica della strategia dei fronti popolari, la scelta cioè di alleanza non solo con gli altri partiti socialisti ma con la borghesia democratica, e quindi la scelta di mettere momentaneamente da parte, o comunque proiettare più nel futuro, la lotta socialista, coincide con un momento preciso di guerra civile in Spagna, che era tipico della posizione che Lenin, nel corso della prima guerra mondiale, aveva previsto come momento iniziale di una fase rivoluzionaria. E necessario sottolineare questa contraddizione, che non può essere risolta solamente ricordando i giusti e necessari cambiamenti che le strategie del movimento operaio debbono avere; anche perché questo paradosso non sarà più vero durante e dopo la seconda guerra mondiale, quando il problema della guerra civile come possibile spunto iniziale per una guerra civile rivoluzionaria di fatto non esiste più, se non in alcune zone particolari, per esempio in Jugoslavia. La Spagna si presenta quindi come momento di raccordo tra la prima e la seconda guerra mondiale, che sono sì collegate da molti tratti comuni ma che rappresentano anche l’inizio e la fine di un periodo: un periodo che alcuni storici hanno paragonato alla guerra dei trent’anni di secoli addietro, e che rappresenta il momento più grosso di crisi in cui si evidenziano, giungono a maturazione, si esasperano tutti i momenti di crisi del mondo moderno e contemporaneo. La logica internazionale che presiede alla nuova fase dei fronti popolari è riassunta in realtà da un punto di vista della grande storia: non da quello che sarà l’eroico atteggiamento dei volontari ma dal non-intervento, che è stato ricordato come un problema importantissimo anche per valutare l’insuccesso finale della guerra di Spagna e della Repubblica spagnola. Il fallimento del non-intervento e la gravità degli effetti che ebbe in Spagna e altrove avrebbero potuto mettere in discussione tutta la logica del Fronte popolare? È possibile rispondere positivamente a questo interrogativo anche se bisogna ricordare che la situazione non è assolutamente lineare, ci sono molte contraddizioni, incongruenze, zig-zag sia nella storia dei fronti popolari che nella storia del non-intervento. Il non-intervento tuttavia non evita né l’allargamento del conflitto, né la capitolazione che le democrazie occidentali avranno a Monaco, né la seconda guerra mondiale. Sancisce invece, anche se questo è possibile vederlo solo in seguito, il fallimento di rivoluzioni autoctone, indigene, del modo in cui la rivoluzione si 13 era rappresentata e si era costruita strategicamente all’inizio del secolo: cioè come rivoluzione internazionale, ma che non poteva che avere nelle singole realtà nazionali la sua ragion d’essere e le sue motivazioni profonde. Da un punto di vista storico occorrerà aspettare parecchio, fino all’esperienza di Cuba, e in un periodo quindi caratterizzato da tutt’altre vicende, e alle lotte coloniali dell’indipendenza nazionale del Terzo mondo, perché si riproponga la possibilità di una rivoluzione autoctona, indigena; naturalmente in Europa la situazione è divenuta nel frattempo completamente diversa. Il secondo e più grave paradosso che ci insegna la Spagna è che nel momento in cui c’è il massimo esempio individuale e collettivo di solidarietà e di internazionalismo, da un punto di vista politico-strategico si assiste alla fine dell’internazionalismo ed al prevalere, anche nella logica del movimento operaio, degli interessi nazionali. Anche questo avviene in modo molto contraddittorio, ma se noi guardiamo al comportamento del movimento operaio, complessivamente preso, in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti e nella stessa Unione Sovietica, vediamo che in realtà c’è questo passaggio che non è immediato, che non è brusco, ma che si evidenzia proprio in questi anni: dall’internazionalismo del tipo di quello che era rinato attorno alla prima guerra mondiale a, invece, un prevalere di interessi nazionali che sarà quello che caratterizzerà poi la seconda guerra mondiale. Nella realtà quotidiana, e anche nel mito, nella memoria collettiva e persino nella storiografia, si è dato naturalmente spazio alla spinta dal basso, alla solidarietà degli internazionalisti; una solidarietà che, è bene ricordarlo, è stata quasi sempre incanalata e organizzata proprio da quei partiti che strategicamente cominciarono a modificare nel senso nazionale la propria strategia. È questa partecipazione che maschera la coscienza drammatica della perdita di questa strategia internazionalista. Una perdita soggettiva, da ascrivere a colpe di questo o quel partito, di questo o quel dirigente; siamo in presenza di una fase di transizione, una fase dinamica che coinvolge per spinte, in gran parte oggettive, tutto il movimento operaio. Abbiamo così in questi anni l’Internazionale socialista, e i suoi partiti, preda di immobilismo e di attendismo e l’Internazionale comunista che ha invece come riferimento privilegiato a cui subordinare tutto il resto il richiamo a Mosca e all’Unione Sovietica. La prevalenza di interessi nazionali non è avvertita come tale perché è inserita nella necessità della lotta antifascista: questa enorme necessità serve ovviamente a giustificare e anche a dare un altro senso a quello che avviene in questi anni, ma tuttavia non permette la partecipazione antifascista (che avviene soggettivamente da parte dei singoli, ma anche dei partiti) in una chiave di solidarietà internazionale, non riesce a mascherare del tutto questa svolta strategica: che è molto profonda e che avviene, questo è da tener presente, proprio nel momento in cui si aggrava ed anzi si arresta quasi del tutto la credibilità delle democrazie occidentali. Succede, cioè, che nel momento in cui le democrazie occidentali non riescono più ad offrire e a dare alla parola democrazia e all’identità nazionale un loro significato, emerga il tentativo del movimento operaio di impadronirsene attraverso una modificazione della propria tradizione passata. Una rottura della tradizione che non viene risolta appieno, di cui non si è pienamente consapevoli proprio perché c’è la necessità enorme della lotta antifascista da concludere. 14 Il terzo paradosso è appunto quello della scelta di una nuova democrazia. Per quanto si insista molto sull’aggettivo, esso significa fondamentalmente l’inizio di una scelta diversa, di puntare sulla democrazia più che sul socialismo come obiettivo immediato da parte di tutto il movimento operaio. In questo 1’Internazionale comunista e quella socialista sono abbastanza simili, non a caso in Spagna le gioventù dei due partiti riescono a collaborare pienamente proprio quando la democrazia sembra consumare la lunga agonia che era iniziata con l’arretramento di fronte ai fascismi. È un’agonia che però non porterà alla morte, tutt’altro: la democrazia si risveglierà completamente rinnovata dalle ceneri della seconda guerra mondiale e in questo suo risorgere grandissimo merito andrà naturalmente al movimento operaio. Questo però significa che fra l’ipotesi e la cornice politica, ma anche psicologica, della rivoluzione, che si attende e che si prevede rapida negli anni dopo la prima guerra mondiale, si passa a una fase molto diversa e tra queste due fasi c’è la guerra di Spagna, che incarna questo drammatico momento di passaggio. La tragedia della seconda guerra mondiale, almeno dal ’41 in poi, sembrerà purificare ed azzerare, insieme a tutti gli errori passati, le posizioni e le incomprensioni degli anni trenta. È però forse possibile sostenere che si trattava di una tragedia evitabile, almeno come era evitabile la prima guerra mondiale se un effettivo internazionalismo fosse stato operante. Naturalmente anche le cause del mancato internazionalismo della prima guerra mondiale hanno origini profonde e reali che non possono essere attribuite semplicisticamente al tradimento dei capi della II internazionale. Eppure è importante rendersi conto che un fenomeno analogo avviene anche per la seconda guerra mondiale. Naturalmente nella ideologia e nella propaganda il richiamo internazionalista rimane ed ha una sua logica importante. Qui ci si pone un problema di carattere ancora più generale, se cioè nei grandi momenti di crisi l’internazionalismo sia sempre destinato a perdere di fronte al risorgere, anche in forma progressista, di fenomeni di identità nazionale che trovano una loro maggiore coesione e consenso di massa. Ecco: sono proprio i volontari a essere l’emblema di tutti questi paradossi che ho cercato di illustrare. Mescolando psicologia collettiva e coerenza politica, i volontari sono nello stesso tempo i più convinti di una inevitabilità della guerra per sconfiggere i fascismi ma anche i più illusi che si tratterà di una guerra di popoli e non di stati; come invece effettivamente accadrà, anche se si tratterà di stati antifascisti, per la seconda guerra mondiale. Naturalmente questa è una differenza non piccola nel comprendere perché gli esiti della seconda guerra mondiale e la sistemazione post-bellica saranno quelli che sono stati e perché il rinvio definitivo della prospettiva di una rivoluzione socialista finirà proprio con la seconda guerra mondiale. Su tutte queste questioni storiografiche, naturalmente, oggi c’è molta discussione e il nuovo dato positivo è il pluralismo e la tolleranza per le diverse posizioni, le critiche e le autocritiche che la storiografia, soprattutto questa degli ultimi anni, ha manifestato, rispetto ad una storiografia precedente, che invece era stata spesso più un rinfacciarsi di colpe fra socialisti, anarchici e comunisti sul ruolo dell’Urss, sulla repressione in Catalogna e così via. Oggi la discussione storiografica sulla Spagna si rivolge soprattutto ai problemi che riguardano la natura della giovane democrazia spagnola: alcuni suggeriscono che proprio con l’inizio della guerra civile finì anche l’esperimento della democrazia spagno15 la, altri sostengono che la rivoluzione e la guerra del 1936-39 crearono in realtà una situazione di disordine che favorì una sorta di proliferazione di poteri autonomi e che quindi è impossibile fare una sintesi della realtà spagnola di quegli anni. Si è parlato di rivoluzione immatura, di una necessità di lotta in armi che non poteva che spingere anche verso una dimensione rivoluzionaria e di una struttura sociale invece immatura per la rivoluzione. Si è posta molta attenzione alle onde lunghe della storia, alle strutture profonde della società e della realtà spagnola di tutto il Novecento, rivedendo in quest’ottica tutto il problema contadino ed anche il problema religioso e quindi riconsiderando complessivamente anche la storia degli anarchici, che erano la realtà politicamente più forte all’inizio della guerra, e il problema di come far convivere una società arretrata con un bisogno di modernizzazione, il peso di una comunità con le nuove tendenze centralizzatrici; tutto ciò entro la problematica di una rivoluzione possibile, mancata o immatura, ma vista prevalentemente come fatto spagnolo. E quindi si è manifestata una nuova attenzione al problema del centralismo, della burocrazia, delle istituzioni, dei corpi separati, delle minoranze e dei nazionalismi, dell’integrazione fra la società e lo Stato, delle tendenze centrifughe di tipo autonomistico o di tipo libertario, tutti temi che in qualche modo rimangono e sono rimasti estranei (e questo è anche un motivo per cui si è divaricata così tanto la storiografia in questi ultimi anni) alla riflessione e alla coscienza dei volontari e dei combattenti internazionalisti. Era inevitabile naturalmente che fosse così, e infatti anche in molte memorie dei volontari sembra mancare una identificazione profonda, anche se non si tratta certamente di mancanza di solidarietà e di amore, con i motivi interni della rivoluzione spagnola; il risultato era stato una comprensione soltanto parziale, spesso, da parte di chi andava a combattere per la libertà della Spagna. Rileggendo le memorie dell’antifascismo, alcune volte sembra quasi che ci sia una maggiore omogeneità, per esempio, fra i partigiani italiani, francesi, iugoslavi e i soldati americani, inglesi o russi, proprio da un punto di vista di identità psicologica, che non tra i combattenti internazionalisti e gli spagnoli. Anche questo credo sia il segno di una fase di transizione che non riguarda solo la strategia, ma anche il carattere politico-psicologico del rivoluzionario, la configurazione completa del militante internazionalista, sia che si tratti del compagno di strada, dell’intellettuale impegnato o del combattente. A questo proposito vorrei ricordare l’atteggiamento di uno dei personaggi più unici, più isolati, ma anche più scomodi che si è confrontato con la guerra di Spagna, lo scrittore inglese George Orwell. Egli, pur essendo, e continuando ad essere anche dopo la sua partecipazione alla guerra, tra i più critici nei confronti dei comunisti, continuando con una polemica asprissima in nome del socialismo, rifiutando la strategia che era offerta dai comunisti e dall’Unione Sovietica, denunciando quella che considerava nient’altro che l’esportazione anche in Spagna dei processi di Mosca, proprio nel ’40 faceva delle considerazioni analoghe a quelle compiute dai comunisti; di un passaggio, cioè, in direzione del patriottismo nazionale, di un recupero dell’identità nazionale e del senso della patria, che saranno parte importantissima della adesione, soprattutto dei più giovani, alla Resistenza. Orwell parla di bisogno spirituale, di patriottismo e di virtù militari a cui ancora non si è trovato un sostituto e che sotto altre forme e nomi erano presenti anche in Spagna nello spirito dei combattenti. Se posizioni che sono state spesso giudicate in con16 trasto fra loro, e lo sono state realmente, come quelle dei combattenti comunisti e di Orwell, giungono nel momento della seconda guerra mondiale a soluzioni analoghe, vuol dire che dietro di esse vi è un processo storico che travalica l’intenzione e la coscienza degli individui e anche dei partiti. Non si tratta più solo di un problema di psicologia collettiva, ma anche di un problema storiografico: capire in che modo interagiscono i sentimenti più profondi, collettivi dell’uomo, i miti e le memorie, e come nel corso delle lotte esse si saldino con le politiche e le strategie che spesso cambiano più di quello che potrebbe sembrare. Questo fu vero per tutti i volontari, ma soprattutto per i volontari intellettuali, scrittori e artisti. L’adesione alla Spagna, soprattutto per quanto riguarda il mondo anglosassone, fu un’adesione che partì spesso dal “mito” della Spagna, dal mito che la Spagna aveva nei confronti della cultura di lingua inglese. Il contributo di questi scrittori e di questi artisti fu di rinnovare il mito della Spagna ma in un altro modo, dandone una caratterizzazione politica e ideale che prima non aveva, che prima era forse più semplicemente folkloristica. Complessivamente i volontari di tutti i paesi riunirono, in qualche modo, nella loro esperienza spagnola, i tratti comuni, ma anche le divergenze e le contraddizioni, di tutta la storia recente che il movimento operaio si trascinava con sé. Le loro vicende politiche, che sono anche, bisogna ricordarlo, vicende umane, personali, di gruppi, di comunità, sono dense dei problemi, dei drammi, delle contraddizioni dell’epoca. Solo riuscendo ad aver presente questa complessità storica, ripercorrendo come si sta facendo, con risultati grandemente positivi, in questi ultimi anni, le vicende dei volontari in tutti i paesi, non solo in Italia, e facendo poi delle analisi più particolari, regione per regione, zona per zona, credo che si potrà dare un contributo a questo ripensamento complessivo che la storiografia sta compiendo sul periodo tra le due guerre. 17 Francesco Leone e la centuria “Gastone Sozzi” Analisi quantitativa di una leggenda di Gianni Isola “Italiani e polacchi sono i beniamini dei miliziani e dei comandanti. In pochi giorni che sono su questo fronte hanno conquistato una tale stima e simpatia tra i combattenti della colonna ‘Libertad’, che, alle volte, noi stessi ci domandiamo se non sia un’esagerazione. Volete un esempio? Il nostro compagno Ca[n]nonero (detto il ‘vecchio’, e, veramente, non è giovane) caporale dei nostri mitraglieri, un giorno, in un’operazione di ricognizione perde la sua pipa. Per il ‘vecchio’ perdere la pipa è lo stesso che perdere una persona cara. Quella perdita era per lui irreparabile. Con la pipa aveva perduto il suo buonumore. Lo viene a sapere un capitano della colonna, e, immediatamente, ordina una pipa per il ‘vecchio’. Ma una pipa nuova è come un militare ‘cappella’ e Canonero continuava a sospirare la ‘vecchia’. Allora che fa il capitano? Prende una squadra dei suoi uomini e ordina un’ispezione minuziosa lungo il cammino dove, presumibilmente, la pipa del ‘vecchio’ è stata perduta. I miliziani prendono tanto a cuore la loro missione che ognuno gareggia nella ricerca per avere la soddisfazione di meritarsi la riconoscenza del ‘vecchio’. E lungo il pendio del monte, fra erbe e sassi, ecco che la pipa viene ritrovata. Grido di gioia dei miliziani spagnoli, su di corsa, a portarla a Canonero! Si ride, raccontando di questi episodi, ma il cuore si gonfia dall’emozione...”1. Non c’è ragione di credere che il breve aneddoto raccontato da Francesco Leone sia frutto della pur fertile fantasia del giornalista o del propagandista; certo avendo avuto la fortuna di conoscere il carattere generoso e impetuoso di questo “figlio delle risaie vercellesi”, lo spirito di corpo e la sua forma mentis, lo si potrebbe anche dubitare. Non è solo la descrizione del clima di generico od occasionale cameratismo quello che circola fra le righe, quanto piuttosto il senso di “orgoglio” per il lavoro compiuto e il riconoscimento dei primi successi di un’iniziativa appena abbozzata. Può sembrare retorico ricordare l’icastico appello lanciato attraverso i microfoni di Radio Barcellona da Carlo Rosselli “Oggi in Spagna, domani in Italia”: il richiamo all’unità di tutte le forze democratiche per battere il fascismo e l’esortazione a far tesoro di quell’esperienza militare per poter metterla a frutto in un futuro ancora indistinto, ma che la passione faceva vedere assai vicino, che si sarebbe chiamata Resistenza. E i combattenti della “Sozzi”, così come tutti i garibaldini di Spagna, si impegnarono su tutto il continente europeo ed oltre, fino in Abissinia, a contrastare il nazifascismo nel corso della seconda guerra mondiale. Per superare recenti polemiche sul nesso antifascismo-democrazia non basta sottolinearne la strumentalità2; è al contrario necessario continuare nella strada da sempre intrapresa di studiare la nostra storia e di fare anzi uno sforzo ulteriore per far avanzare lo stato delle conoscenze e per capire il complesso e articolato intreccio di cause generali e di 18 motivi personali che seppero, ad esempio, rinsaldare quell’unità antifascista che, nella pluralità delle opinioni politiche, può render ancor viva e vitale la lezione spagnola di cinquant’anni fa. Per cercare appunto di sottrarsi alla consuetudine delle celebrazioni e per tentare di avanzare sul terreno della ricerca e della metodologia, mi sembra utile introdurre attraverso l’uso dei metodi quantitativi l’analisi della composizione politica, sociale, geografica della centuria “Gastone Sozzi”. Intitolata al nome del giovane dirigente comunista cesenate, seviziato e “suicidato” nelle carceri di Perugia dai fascisti nel 19283, la centuria si era costituita ufficialmente il 3 settembre 1936 nella caserma Karl Marx di Barcellona, a pochi giorni di distanza dalla colonna “Ascaso-Rosselli“, ed era stata inquadrata assieme a polacchi, belgi e francesi nella colonna “Libertad” del Partito socialista unificato di Catalogna, un complesso di novecento volontari al comando del colonnello López Tienda e del commissario politico Virgilio Llanos. Vi erano stati inclusi un primo gruppo di combattenti antifascisti italiani, in massima parte comunisti, appena giunti o già presenti in Spagna, alcuni dei quali avevano avuto il battesimo del fuoco a Irún, a San Sebastián e a Madrid. I quadri ufficiali erano formati dal comandante militare dei due plotoni, il romano Angelo Antonini (in origine manovale e capocellula comunista del quartiere Trionfale e Borgo, già segnalatosi per il suo valore a Irún e a San Sebastián, poi capitano dell’aviazione repubblicana e comandante partigiano della capitale, insignito di medaglia di bronzo al valor militare) e dal commissario politico Francesco Leone; la sezione mitraglieri, dotata di due antiquate mitragliatrici, era agli ordini proprio del ricordato Luigi Cannonero con il carpentiere rodigino Pietro Pavanin quale delegato politico. Accanto ad essi gli altri volontari, giunti anch’essi clandestinamente in Spagna con false tessere d’identità per superare i rigidi e protervi controlli alla frontiera francese4. In genere male armati5, scarsamente equipaggiati6, privi di artiglieria, addestrati rapidamente ed inviati in due riprese al fronte7, i combattenti della “Gastone Sozzi” hanno tuttavia lasciato nella memoria collettiva un ricordo quasi leggendario, apparentemente del tutto sproporzionato alla brevissima apparizione di quella formazione militare. Entrata in linea il 10 settembre 1936 con i suoi elementi più preparati militarmente, a cui si sarebbero aggiunti cinque giorni dopo gli altri, per lo più addetti alle armi leggere, la centuria ebbe a disposizione poco più di un mese e mezzo per entrare nella leggenda: un periodo denso di avvenimenti, di scontri a fuoco, di attacchi violenti e di ritirate ordinate, costellato di episodi eroici, concluso il 22 ottobre dello stesso anno con la confluenza dei superstiti nel battaglione “Garibaldi” e poi nella XII brigata internazionale, la cui 3a compagnia avrebbe a sua volta assunto il nome del martire antifascista. Pelahustán, Real Cenicientos, Chapinería erano state le tappe segnate dal sangue della “Gastone Sozzi”, che ebbe, fra morti e feriti, perdite superiori ai due terzi degli effettivi8. A questi eroici combattenti non fu riservato alcun trattamento di favore: “Direi che una deficienza dei compagni dirigenti - ha ricordato Antonio Roasio - fu proprio quella di non valutare l’apporto che poteva venirci dai volontari della Gastone Sozzi e di non utilizzarli maggiormente come ufficiali”9. Tuttavia molti di essi avrebbero avuto in seguito questo riconoscimento, ricoprendo sia in Spagna che poi in Italia e in Francia nel corso della Resistenza posizioni di comando militare e di responsabilità politica di tutto rilievo. Ma cosa sappiamo oggi a cinquant’anni di distanza di quei militanti antifascisti, accorsi sulle ali dell’entusiasmo da ogni parte d’Europa a contrastare la sedizione militare di 19 Franco? Quali tradizioni di lotta politica rappresentavano, quale bagaglio di esperienze militari potevano mettere a disposizione della Repubblica spagnola? Da quali regioni provenivano? I dati quantitativi: il problema delle fonti Della centuria ci sono pervenuti sino ad oggi quattro ruolini: il primo, stilato da Edoardo D’Onofrio nel 1942, nel quadro di una più generale analisi del contributo dei militanti comunisti italiani alla guerra di Spagna, probabilmente su richiesta dal Komintern, contiene sessantatré nomi10; il secondo redatto da Pavanin nel gennaio 1946, al ritorno dall’Urss dove aveva militato con valore nell’esercito sovietico, elenca settantaquattro nominativi con alcune aggiunte e non poche difformità rispetto al precedente non solo nella grafia11; il terzo ancora dovuto a Pietro Pavanin, pubblicato nel 1973, riporta ottantasei nomi12: il quarto e il più recente è stato compilato con grande cura da Alvaro López, che ha pazientemente ricostruito i dati essenziali di ottantadue volontari italiani, a cui vanno aggiunti oltre allo svizzero Antonio Canonica, anche l’unica donna, la francese Christine Couder che, nel seguire in prima linea il compagno Antonio Tonussi, “si dimostrerà nei combattimenti la degna emula delle combattenti della Comune di Parigi”13, e il misterioso marinaio svedese o americano Edward Wedin “che brucia dal desiderio di partire per il fronte ed ha voluto unirsi a noi, antifascisti italiani”14, tanto da risultare il primo caduto della centuria (Pelahustán, 13 settembre 1936)15: in totale ottantacinque unità. Pur tralasciando di considerare, nonostante le affermazioni di Leone, la presenza di trentasei antifascisti polacchi inquadrati nella centuria, per l’impossibilità di reperire documenti attendibili su di essi16, o di seguire l’indicazione di Paolo Spriano secondo cui la centuria “comprende[va] ottantasei italiani, sedici polacchi, un danese, qualche belga e dieci francesi: come un germe delle future brigate internazionali”17 senza specificare la fonte di queste sue informazioni, agli ottantacinque vanno comunque aggiunti altri tre nomi emersi da un’ulteriore ricerca all’Archivio del Pci e all’Archivio centrale dello Stato di Roma: l’emiliano Enea Landini, l’istriano Giovanni Tamburini - probabilmente espunti perché disertori18 - ed il ligure Paolo Zanettin19. Si arriva perciò agli ottantotto nominativi, ancora incompleti per quanto riguarda tutta una serie di informazioni importanti: per alcuni non disponiamo né del luogo né della data di nascita, per altri della professione o delle precedenti esperienze militari e politiche, per la quasi totalità degli esiti post-bellici20. Mi sembra comunque costituire un piccolo, ma significativo campione, sufficiente per mettere alla prova i metodi quantitativi della ricerca. C’è chi in passato ha voluto leggere nella formazione della centuria “Gastone Sozzi” la definitiva adesione alla causa repubblicana dell’Internazionale comunista e dell’Urss; sulla base dell’analisi dei dati e soprattutto della non sempre definita opzione comunista di alcuni dei combattenti, credo più aderente alla realtà affermare che la centuria si formò sì su basi eminentemente di partito, ma in maniera del tutto volontaria, come la colonna “Ascaso-Rosselli”, in sostanza per reagire all’attendismo e all’inerzia internazionale di fronte alla ribellione di Franco ed ai rischi per la pace mondiale dello stabilirsi in Spagna di una dittatura fascista. Mi sembra difatti più storicamente corretto collocare l’intervento ufficiale dell’Internazionale comunista all’atto della formazione del battaglione “Garibaldi” prima e delle brigate internazionali poi. La guerra civile divenne così il banco di prova della capacità dell’antifascismo di rispondere armi alla mano all’aggressione falangista, appog20 giata dall’Italia fascista e dalla Germania nazista con armi, uomini e mezzi. Per gli antifascisti italiani era anche un’affermazione di presenza concreta dopo gli anni della clandestinità e dell’esilio, un’occasione di rivincita della ancor bruciante sconfitta subita in Italia per non aver voluto e saputo rispondere sullo stesso terreno alla violenza fascista, che aveva disgregato e distrutto cinquant’anni di paziente tessitura della rete di organizzazioni economiche e politiche del movimento operaio italiano. “La nostra Centuria - chiariva enfaticamente Leone, concludendo una delle sue più note corrispondenze dalla Spagna - ha promesso il suo sangue alla causa della Repubblica democratica di Spagna, per la difesa della libertà, per lavare l’onta del governo di Mussolini, complice di Franco, per l’onore del popolo italiano: questo sangue è stato versato. Ma la lotta non è finita. I compagni della Centuria ‘Gastone Sozzi’ lo sanno. Il loro motto è: - Piuttosto di cedere, morire! - Come Gastone Sozzi, il Martire eroico del Partito comunista d’Italia, il cui magnifico esempio e sacrificio innalziamo come nostra bandiera”21. Vi era dunque da parte italiana la coscienza di rivendicare un’autonomia di giudizio e d’intervento rispetto alla complicità del fascismo: come ha rilevato Paolo Spriano “per la prima volta, dopo il 1921-22, ci si può battere a viso aperto e con un’arma contro il fascismo. E a differenza del 1921 la lotta è impegnata non in un momento di riflusso del movimento, ma in mezzo a un popolo che fa dell’antifascismo, del motto ‘No pasaran’, la sua divisa morale e politica. Ecco il salto di qualità che la guerra di Spagna imprime a tutto l’antifascismo”22. Negli stessi mesi della costituzione della centuria un grande antifascista italiano, Emilio Lussu, scriveva con una buona dose di autocritica “non ci siamo saputi battere contro il fascismo. La piccola avanguardia politica dell’emigrazione italiana deve generosamente sacrificarsi e affrontare quest’impresa. Essa si farà un’esperienza e un nome sui campi di battaglia. E diventerà il nucleo affascinante attorno a cui si formerà la più grande avanguardia di domani”23. La “piccola avanguardia politica”, rappresentata fisicamente dalla colonna “AscasoRosselli” e dalla centuria “Gastone Sozzi”, raccoglieva quest’appello appassionato e un poco retorico, che si concludeva con un richiamo alla tradizione risorgimentale ed ai garibaldini. Un passato a cui ci si sarebbe richiamati organicamente di lì a due mesi all’atto della costituzione delle brigate internazionali, intitolando al più popolare dei padri della patria la brigata italiana e sottraendo così alla propaganda nazionalistica, patriottarda e populista uno dei simboli di cui il fascismo si era servito per sottolineare la supposta continuità fra le lotte per l’indipendenza nazionale e la scalata al potere delle camice nere. La provenienza geografica Da dove venivano gli ottantacinque antifascisti italiani della “Sozzi” che idealmente accoglievano e facevano proprio l’invito dell’ex-capitano della brigata “Sassari”? Riassumendo i dati della tabella 1, che confronta in valore assoluto e in percentuale la nazione di provenienza dei componenti della “Gastone Sozzi” con quella più generale dei garibaldini italiani, degli ottantadue di cui siamo riusciti a ricostruire il percorso sessantasei erano entrati in Spagna provenienti dalla Francia, quattro dal Belgio, altrettanti dalla Svizzera e dal Lussemburgo, uno dall’Urss, mentre uno si trovava già in Spagna, il corrispondente di guerra al seguito della centuria, il torinese Renato Ludovico Beux; due soli, gli amici Ugo Muccini e Domenico Bruno Rolla di Arcola (Sp), provenivano dall’Italia24, avanguardia di 21 quel gruppo di oltre duecento giovani antifascisti che vi sarebbero accorsi dopo lo scoppio della guerra civile25. I componenti della “Gastone Sozzi” erano nati per lo più in regioni con radicate tradizioni operaie come l’Emilia-Romagna (diciassette), la Lombardia (dodici) e la Toscana (dieci) o di secolare emigrazione come il Veneto (dieci) e la Venezia Giulia (nove): la tabella 2 dimostra che queste cinque regioni davano oltre il 67 per cento dei combattenti, mentre l’Italia settentrionale toccava più del 70 per cento, se si comprende anche il più noto fra essi, il vercellese Francesco Leone, solo accidentalmente nato in Brasile, perché figlio di emigranti, ed espunto perciò da questa statistica26. Un altro “straniero” come Leone era Renato Costetti, un fornaio nato a Lugano che aveva girato mezza Europa, sempre inseguito dalla polizia per la sua attività di democratico e di antifascista: conosciuto soprattutto con i nomi di battaglia di Abd el-Krim e Belventi (è indicativo che compaia ancora con questo secondo appellativo, storpiato in Belvenetti, sia nel primo dei due ruolini di Pavanin che in quello di D’Onofrio), si dimostrò combattente di tempra eccezionale fino alla Resistenza ed oltre27. Vi sono poi casi non facilmente spiegabili come quelli di Angelo Dabalà e di Bernardo Falco, entrambi abitanti a Villejuif, nell’immediata periferia di Parigi: probabilmente due amici che avrebbero per uno strano giuoco del destino trovato entrambi la morte nello stesso giorno a Chapinería il 18 ottobre 1936, la battaglia che segnò la fine delle operazioni belliche della centuria ed il prodromo al suo scioglimento. O quello di Nazzareno Lombezzi e Domenico Nardini, entrambi provenienti da Drancy (Nardini era nato a Mercato Saraceno, in provincia di Forlì, come Giulio Pasini, bombardiere e cuoco della centuria, e sarebbero morti a distanza di un mese l’uno dall’altro, il primo a Pelahustán nel tentativo di soccorrere un compagno ferito28, il secondo a Chapinería); o dei coetanei Giovanni Baesi e Luigi Barani, nati ad un mese di distanza l’uno dall’altro a Monteveglio in provincia di Bologna - ma forse emigrati in Francia in tempi diversi - ritrovatisi a combattere fianco a fianco nella centuria e poi nella brigata “Garibaldi”. Solo ricerche più approfondite potranno far luce su questi piccoli “enigmi” e dirci se alcuni di essi non siano qualcosa di più di pure coincidenze. Più del 40 per cento risulta espatriato prima del 1926 per motivi di lavoro o più spesso per motivi politici, seppur non sia sempre possibile tracciare una netta linea di demarcazione fra questi due aspetti del medesimo processo di abbandono dell’Italia. Un altro 40 per cento fra il 1926 e il 1930: molti sia della prima che della seconda categoria ritornarono però clandestinamente in Italia soprattutto dopo la “svolta” del 1930, come il muratore cremonese Giordano Bruno Bellini o come il meccanico bresciano Pietro Guerini. Attorno al 15 per cento la percentuale di quanti sarebbero emigrati clandestinamente dopo il 1931: una distribuzione, come dimostra la tabella 3, che concentra oltre il 50 per cento del totale nel decennio 1926-35 ed è indice probabilmente della scarsa presa delle ragioni della lotta antifascista negli emigrati di più antica data, cioè fino al 1920 compreso29. Dati che rispettano dunque solo in parte i valori percentuali per le brigate internazionali, dove le prime due fasce (1920 e 1921-25) raggiungono percentuali pressoché identiche a quelle della terza e della quarta30: segno che l’intensa attività di propaganda promossa dai partiti democratici in appoggio alla Spagna repubblicana seppe in seguito penetrare a fondo non solo negli strati di emigrazione politica più recente e, in teoria, inserita meno compiutamente nel mercato del lavoro, ma anche fra quanti ormai avevano trovato nei luoghi d’esilio occupazioni stabili o comunque non precarie. Per questo mi sembra altrettanto 22 utile definire con la maggiore approssimazione possibile la condizione professionale dei combattenti della centuria. La condizione professionale Operai, artigiani e contadini costituivano il grosso della “Gastone Sozzi”: di quanti è stato possibile ricostruire con una buona dose di approssimazione la condizione professionale (oltre i tre quarti del totale, come si vede nella tabella 4), più del 55 per cento si erano dichiarati operai con un’assoluta prevalenza di operai meccanici o metallurgici (dieci), di muratori (otto), di carpentieri (tre); quasi un quinto artigiani, al cui interno spiccavano quattro falegnami, e quasi altrettanti gli agricoltori, per il 60 per cento braccianti di ogni regione italiana dal sardo Giuseppe Frau, sergente con funzioni di comandante di sezione, poi radiato per aver rifiutato di continuare a combattere dopo il primo scontro a fuoco31, o come il trevigiano Giovanni Tollot, un socialista che sarebbe poi caduto nel 1938 sul fronte di Tortosa. Cinque invece gli impiegati (nemmeno il 6 per cento del totale), di cui ben due commessi postali, come il veneziano Lindo Volpato, un portaordini che secondo Pavanin avrebbe disertato nell’ottobre 1936, un contabile ed un esercente, il reatino Luigi Vico, che, avendo perso il braccio destro nella battaglia di Chapinería, venne inviato nel 1937 in delegazione con l’altro ferito Lino Zocchi in Urss per portare a Mosca al Museo della Rivoluzione quella bandiera della centuria che oggi è conservata nell’Archivio storico del Pci a Roma. L’esperienza militare e politica I dati sull’età media dei combattenti della centuria sono presentati analiticamente nella tabella 5. L’età media era di oltre trentacinque anni, superiore di un anno al medesimo dato delle future brigate internazionali32: dal più vecchio, il trapanese Giovanni Campo, nato nel 1879, unico siciliano e fra i primi a cadere a Chapinería il 18 ottobre 1936, ben trentun volontari avevano avuto la possibilità di combattere nella prima guerra mondiale: come il bolognese Gottardo Rinaldi, sergente dei bersaglieri, primo comandante militare della centuria e addestratore delle reclute nella caserma Karl Marx di Barcellona; o come il sergente maggiore Spartaco Giovannini, un falegname romano più volte ferito, che avrebbe raggiunto il grado di tenente nella brigata “Garibaldi”, dove avrebbe assunto il comando della 1a compagnia del 2o battaglione; o come l’operaio bolognese Luigi Ardizzoni, caduto a Chapinería. Il servizio di leva era stata invece l’unica forma di addestramento per gli altri quarantotto, compreso il più giovane membro della centuria, il venticinquenne Oberdan Chiesa, un livornese espatriato al termine proprio del servizio di leva in marina, che, allo scioglimento della “Sozzi”, avrebbe militato nella marina repubblicana prima di rientrare in Italia per morire fucilato dai nazisti sulla spiaggia di Rosignano Solvay il 29 gennaio 1944 per la sua attività di partigiano: al suo nome sarebbe stata intitolata la brigata garibaldina operante nella zona labronica, come a Muccini quella operante nello spezzino; ma quasi tutti potevano vantarsi di avere alle spalle anche episodi di lotta contro le squadracce fasciste: come l’istriano Arturo Fonovich, responsabile delle “guardie rosse” di Pola nel 1921 e poi segretario del Pcd’I per la VI zona, la Bassa Istria. Come lui ben ventitré combattenti 23 della “Sozzi” risultano iscritti al Partito comunista, alcuni sino dalla fondazione come, ad esempio, Gilberto Carboni di Luzzara, il bresciano Angelo Marchina o il contabile reggiano Angelo Curti, sottotenente del genio della prima guerra mondiale poi degradato per l’intensa attività di “rivoluzionario” già all’atto dell’intervento, primo segretario della Federazione reggiana del Pcd’I, direttore dell’organo locale “Il Lavoratore comunista” e candidato alle elezioni politiche del 1921. Alcuni potevano addirittura vantare una militanza più antica come il già ricordato Guerini, che era stato uno dei delegati italiani della Federazione giovanile socialista alle conferenze internazionali di Zimmerwald e Kienthal; sul piano internazionale non va neppure dimenticata la presenza al V Congresso dell’Internazionale sindacale (Mosca, 1930) di Alighiero Bonciani, un impiegato fiorentino cui l’invalidità riportata in Spagna non avrebbe impedito l’attiva partecipazione alla Resistenza, tanto da venir fucilato dai nazifascisti a Milano il 22 ottobre 1944. Avevano invece conosciuto il Tribunale speciale Vittorio Ghini, un parrucchiere bolognese, militante della Fgci, che ne ebbe una condanna ad un anno di reclusione: commissario politico della “Sozzi”, avrebbe raggiunto nella Resistenza il grado di tenente colonnello prima di venir arrestato dai nazifascisti e morire fucilato a Novara il 14 giugno 1944. La medesima fine avrebbe fatto a Fossoli il vetraio empolese Pietro Lari, detto “Gigi il toscano”, che il Tribunale speciale aveva invece assolto, attivo nell’emigrazione a Tolosa come segretario della sezione del Pcd’I locale. Ma non mancavano un socialista come il trevigiano Tollot ed un “cattolico popolare” a detta della polizia - come lo spezzino Vittorio Orlandino. Ma tutti, chi più chi meno, erano stati costretti all’esilio dopo aver subito vessazioni di ogni genere. Come Amedeo Nerozzi, sindaco comunista di Marzabotto fra il 1920 e il 1921 fino al forzato scioglimento della giunta democratica, più volte vittima di aggressioni e di intimidazioni conclusesi con il bando dal paese e con il conseguente espatrio in Belgio nel 1923; fra i primi ad accorrere in Spagna, la sua esperienza di soldato nel corpo della Sanità nel 1915-18 ne avrebbero fatto il “medico” sia della centuria che del battaglione e della brigata “Garibaldi”; fino a morire nel pieno della sua attività sotto un bombardamento che centrò il padiglione sanitario in cui stava lavorando sulla Sierra de Cavalls il 9 settembre 1938. L’esperienza di amministratore comunale era stata condivisa anche dal “vecchio” dell’episodio iniziale, quel Luigi Cannonero, combattente della prima guerra mondiale, assessore appunto a Bolzaneto (Ge), che sarebbe caduto durante la battaglia di Chapinería33. Anche lui era stato costretto a rifugiarsi in Belgio, dove aveva continuato a svolgere nelle organizzazioni politiche dell’emigrazione un’intensa attività politica. Sempre in Belgio, fu segretario nazionale dei gruppi di giovani comunisti italiani uno fra i promotori dell’Aicvas, il friulano Giuseppe Marchetti: espulso nel 1931, trovò modo di farsi arrestare ed espellere dalla Svizzera per esser venuto alle mani con i fascisti. Rientrato nella Confederazione clandestinamente, era stato segretario della Fgci di Basilea dal 1931 al 1936, facendosi arrestare più volte dalla polizia. In Spagna, dopo esser stato presente a tutti gli scontri sostenuti dalla centuria, sarebbe stato tenente della brigata “Garibaldi”, combattendo poi nella Resistenza francese. Avevano invece conosciuto il carcere, e non sempre come “università”, il bracciante pistoiese Gino Poli (tre anni) e il muratore veneto Vittorio Scalcon, arrestato dalla polizia francese al termine di una rissa con alcuni marinai fascisti italiani a Marsiglia. L’alessandrino Luigi Barisone, commissario politico di sezione caduto poi a Chapinería, era l’uni24 co invece ad aver sperimentato il confino ad Ustica fra il 1927 e il 1929. Ma non è il solo primato di questo militante, già allievo della scuola di partito di Leningrado: poteva difatti vantarsi di esser stato il primo diciottenne a subire il confino. Umanità e senso di disciplina di un “rivoluzionario di professione” Ma la biografia forse più completa, sino quasi a divenire emblematica di quella parte della gioventù italiana che non aveva esitato a mettere a repentaglio la propria vita in Spagna contro i mercenari del Tercio o contro i legionari italiani, è quella di Francesco Leone. Più volte il suo nome è stato richiamato nel corso di questo rapido quadro dei componenti della centuria, della “sua“ centuria, il cui ricordo fotografico faceva mostra di sé nel corridoio dell’appartamento di Vercelli. Figlio di poveri braccianti emigrati in Brasile poco prima della fine del secolo scorso, era ben presto rientrato con la famiglia ad Asigliano Vercellese. Diplomatosi nel 1918 perito all’Istituto tecnico “Quintino Sella” di Biella, aveva già dato giovanissimo segni inequivocabili dell’attrazione esercitata su di lui dalla lotta politica; era stato infatti arrestato nel 1916 per aver diffuso manifestini contenenti il documento “per trasformare la guerra imperialista in guerra civile” votato a Kienthal e per aver organizzato il primo sciopero studentesco contro di essa. Con il suo carattere arguto e impetuoso, non aveva esitato un attimo di fronte al falso in atto pubblico pur di manifestare concretamente la sua opposizione alla guerra ed evitare di esser inviato al fronte con i giovani della sua classe: essendo nato nel 1899 e non nel 1900, come poi avrebbe continuato con pervicacia tutta contadina a sostenere - i manualetti parlamentari della “Navicella” ne fanno fede -, aveva convinto il funzionario dell’anagrafe del villaggio brasiliano a posticipare di un anno la data sul certificato. Aveva tuttavia fatto il servizio militare di leva in aviazione fra il 1918 e il 1920. Membro della Federazione giovanile socialista, di cui aveva preso la tessera già nel 1916, sarebbe stato uno dei fondatori e dei dirigenti di primo piano della Federazione giovanile comunista e del Pcd’I nel Vercellese. Delegato a Livorno al XVII Congresso del Psi, si mise in un primo momento in mostra come uomo d’azione per aver fatto parte del corpo scelto delle guardie rosse poste a difesa de “l’Ordine Nuovo” a Torino e per aver guidato con coraggio e spavalderia gli arditi del popolo nella lotta contro il sorgente fascismo sino ai fatti di Novara del luglio 1922: di quella lotta portava ancora a distanza di oltre cinquant’anni le cicatrici e i segni. Era però anche un giornalista caustico e pungente. Le sue corrispondenze sull’organo locale “La Risaia”, firmate con lo pseudonimo “don Biagio bolscevico” sono esempio di concisione e chiarezza. L’accusa di aver ucciso un fascista nella piazza principale di Vercelli, lo consigliò a lasciare la zona e ad espatriare in Francia per un anno. Rientrato clandestinamente in Italia nel pieno del primo processo intentato al Pcd’I (1923), lavorò come muratore assieme a Pietro Secchia alla Città degli studi di Milano, collaborando nottetempo all’organo clandestino della Fgci “La voce della gioventù”. Fu poi inviato in Unione Sovietica all’Accademia militare Tolmaciov di Leningrado, frequentata assieme a quel Gastone Sozzi a cui avrebbe intitolato la centuria34: in quegli anni completò la sua preparazione teorica e pratica, militare e politica, che ne avrebbe fatto il prototipo del militante degli “anni di ferro e di fuoco” che attendevano i comunisti italiani. Da questo momento non si contano più gli incarichi di partito: fra gli organizzatori 25 del Congresso di Lione (1926), rimase in Francia fino al 1927, quando rientrò in Italia clandestinamente per ordine del Centro estero. Arrestato con le bozze di un articolo per “l’Unità” ancora in tasca, fu picchiato a sangue e torturato a San Vittore e a Regina Coeli prima di esser assegnato dal Tribunale speciale a sette anni e sette mesi di reclusione. Sassari, Portolongone, Parma, Alessandria, Civitavecchia furono le tappe di una detenzione quanto mai travagliata e costellata di lunghi periodi di isolamento per il suo carattere ribelle alla disciplina. I trasferimenti continui e le vessazioni quotidiane non lo piegarono: anzi, all’atto della scarcerazione per amnistia nel 1933, preferì sfruttare la doppia nazionalità e chiese ed ottenne di emigrare in Brasile nel marzo 1934. Ma anche sul continente americano la sua attività di “rivoluzionario professionale” non conobbe sosta: al contrario si alimentò con la partecipazione alla fallita insurrezione di Luis Carlos Prestes, sia sul terreno dell’azione prendendo parte alla leggendaria marcia attraverso la giungla con cui gli insorti sfuggirono all’accerchiamento dell’esercito, sia su quello della propaganda. Soffocata nel sangue la rivolta, Leone nel 1935 fu richiamato in Francia e destinato al Soccorso rosso internazionale: ma un combattente come lui non poteva rimanere a lungo dietro una scrivania. Non appena la situazione lo consentì, chiese ed ottenne di poter andare in Spagna, dove era scoppiata la rivolta franchista. E qui assunse la responsabilità di fare di un centinaio di volontari giunti alla spicciolata una formazione di combattimento. Anche in Spagna la sua azione si esplicò sia sul terreno della propaganda giornalistica - di cui ho riportato solo brevi stralci, ma che forse meriterebbe di esser raccolta in un volume a parte, assieme alle sue corrispondenze su “La Risaia” - sia su quello della lotta armata, alla testa dei volontari. Ne rimangono alcune annotazioni nel più volte citato diario di Muccini, che danno il senso e il peso di quella presenza al fronte: “Zocchi si avvicina domandandomi - ma non sei Muccini - Sì - rispondo perché cosa c’è. In quel mentre avanza Leone brontolando Dio... ti abbiamo dato per perduto. Intanto mi dà uno strettone contro il suo petto, beh, meglio così, pubblicheremo la smentita. Fa una piccola riunione all’ultimo il circolo si serra sempre più intorno a lui, c’è chi le manca le calze, chi il sapone, chi le sigarette, sembra il padre di tutti, in verità ha una parola buona per tutti35”. Una presenza dunque paterna e affettuosa, protettiva sino a rischiare la vita per salvare Ghini, pronta però a recuperare il controllo della situazione e a sottolineare il necessario senso della disciplina fra i combattenti: “È già una quindicina di giorni che dormiamo all’aperto e Leone pensa bene di mandarci altri 15 uomini per darci il cambio, ma Pavanin improvvisa una riunione che ha avuto per conclusione di non accettare questo cambio logico anche dal punto di vista politico, e fa un biglietto a Leone esaltando che noi non avremmo mai abbandonata la posizione ecc. I nuovi arrivati un po’ mortificati dovettero riprendere la strada del ritorno. All’indomani ritornano c’è anche Leone che ci riunisce, ha la faccia un po’ turbata, comincia che un ordine militare va eseguito, che anche noi dobbiamo essere disciplinati, spiega la disciplina volontaria ecc. - Dio... che volevate fare gli eroi solo voi altri? Gli altri compagni sono di carne come voi e risentono certe cose ecc. Dopo una mezz’ora con questo linguaggio un po’ duro ritorna pian piano col suo sorriso naturale, nessuno ha da prendere la parola in riguardo, diamo la consegna agli altri, si prepara i zaini e lo si segue”36. Per quegli stessi, indisciplinati volontari, con uno di quei gesti passionali, tipici del suo carattere emotivo, avrebbe rifiutato la nomina a commissario politico del battaglione “Garibaldi”, abbandonando “la riunione, alla presenza di Longo e di Di Vittorio, indignatis26 simo perché nell’organigramma del battaglione nessun altro reduce della ‘Gastone’ tranne me, era stato scelto, neanche come appuntato!”37. Carattere impulsivo e insofferente dei torti subiti, irascibile e brontolone, Francesco Leone era dunque il prototipo del “capo“ popolare amato, temuto e rispettato, ma capace di gesti imprevedibili: doti che gli sarebbero costate allora l’allontanamento dal fronte, nonostante la formale inclusione nello stato maggiore del battaglione “Garibaldi” e i gradi di capitano delle brigate internazionali, e la destinazione alla direzione della “Voce degli Italiani” a Parigi. Le ferite riportate in prima linea costituirono il motivo ufficiale di questa esclusione: ma è chiaro che contrasti di fondo dividevano il carattere spontaneo e ribelle dell’uomo d’azione dai gesti misurati di alcuni membri dell’apparato giunti dall’Unione Sovietica a coordinare l’azione dei comunisti italiani in Spagna. Terminava così la breve vicenda della centuria “Gastone Sozzi”, ma non del suo comandante, che avrebbe continuato la lotta al fascismo fino alla Resistenza ed oltre, con una dedizione ed una disciplina pari solo alla profonda umanità che ne aveva sempre ispirato l’azione. 1 Cfr. FRANCESCO LEONE, Fra i combattenti della centuria “Gastone Sozzi”, in “Il Grido del popolo”, 10 ottobre 1936, ora in ADRIANO DAL PONT - LINO ZOCCHI (a cura di), Perché andammo in Spagna. Scritti di militanti antifascisti. 1936-39, Roma, Anppia, 1967, pp. 64-65. 2 Mi riferisco alla fallita operazione giornalistica promossa da Giuliano Ferrara con l’intervista a Renzo De Felice nel “Corriere della sera” del 27 dicembre 1987, esauritasi dopo quindici giorni non senza qualche strascico polemico: per tutte si veda l’editoriale di ENZO COLLOTTI, Il fascismo: chi era costui?, in “Passato e presente”, a. VI (1987), n. 14-15, pp. 3-10. 3 Per una biografia si veda STEFANO CARETTI, Gastone Sozzi, in FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. IV, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 672-676. 4 Cfr. la testimonianza rilasciata in occasione del 50o anniversario di fondazione del Pci da PIETRO PAVANIN, Note e ricordi, in Archivio Partito comunista (APC), Biografie, memorie e testimonianze, ad nomen, coincidente con quella di ANTONIO CANONICA, La Colonna Libertad y la Centuria Gastone Sozzi, in ALVARO LÓPEZ, La Centuria Gastone Sozzi, “Quaderni Aicvas”, 1984, n. 4, p. 7. 5 Ricorda Ugo Muccini, uno dei membri della centuria, nello sgrammaticato diario giunto rocambolescamente in Italia dentro la camera d’aria di una ruota di automobile: “La questione delle armi ci faceva un po’ impazientare tutti, ma ecco finalmente viene l’ordine di partire per Madrid, le armi per noi c’erano, ci assicurò un comandante spagnolo, infatti alla sera, adunati nel cortile della caserma “Karl Marx” si fa la distribuzione dei fucili che furono accolti con gioia dai compagni. Sono fucili non troppo nuovi, senza cinghia, che si aggiusta subito col primo pezzo di corda trovato, la più parte sono senza baionetta, ma infine si avrebbe potuto sparare lo stesso, si distribuiscono pure le poche giberne che ci sono, che vengono attaccate subito alla cinghia dei pantaloni” (cfr. Il diario di Ugo Muccini, La Spezia, Istituto storico della Resistenza, 1973, p. 22). 6 È sempre Muccini a testimoniare: “Intanto devono vestirci. Viene distribuito un sacco a zaino e una tuta non ce n’è per tutti, ognuno si arrangia come può, viene pure distribuito un paio di pantofole di corda” (cfr. idem, p. 26); e più oltre: “la colonna è pronta per imbarcarsi sui camion per essere condotta sul luogo di combattimento, i zaini sono allineati nel cortile, si scorge anche qualche valigia, gli uomini che compongono queste milizie popolari non sono affatto vestiti uguali, chi in pantofole, in scarpe, in tuta, vestiti personali, ecc. ecc.” (cfr. idem, p. 27). 27 7 Si vedano le già citate testimonianze di Pavanin, Canonica e l’articolo di FRANCESCO LEONE, Faccia a faccia col nemico sul fronte di Talavera, in “Il Grido del popolo”, 17 ottobre 1936, ora in A. DAL PONT - L. ZOCCHI (a cura di), op. cit., pp. 96-102. 8 Per un quadro complessivo dei sedici caduti si veda A. LÓPEZ, op. cit., p. 22; altri dodici combattenti sarebbero caduti successivamente, nelle file delle brigate internazionali, mentre cinque sarebbero stati passati per le armi dai nazifascisti nel corso della Resistenza. 9 Cfr. ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, pp. 115-116. 10 Si veda la relazione di Edoardo D’Onofrio, Informe sobre la actividad de la XII Brigada y de la XII Brigada Garibaldi, in APC, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 8, pp. 19-20; in un altro documento, elaborato a Mosca nel 1940 “sulla base di tutta la documentazione delle brigate internazionali e del Cc del Pc spagnolo” dallo stesso D’Onofrio, Volontaires italiens dans l’Espagne republicaine (1936-1938). Statistique, (v. APC, idem, fasc. 9, p. 9) i militanti della centuria sarebbero invece settantasei. Pur rimanendo inalterato il totale, varia la composizione regionale dei garibaldini di Spagna stilata da PIETRO SECCHIA, Il Partito comunista italiano, in ID, Chi sono i comunisti. Partito e masse nella vita nazionale. 1848-1870, a cura e con prefazione di Ambrogio Donini, Milano, Mazzotta, 1977, p. 49, che riproduce la voce omonima in Enciclopedia dell’antifascismo e della Resistenza (d’ora in poi Ear), vol. I, Milano, La Pietra, 1968. Secchia non indica la sua fonte e quindi non spiega le ragioni di questa diversa attribuzione: non vi sono dati specifici sulla “Gastone Sozzi”. Anche secondo una lettera di Lorenzo Vanelli, segretario della Fratellanza ex garibaldini di Spagna, inviata a Longo nel 1965 in previsione di una pubblicazione celebrativa del 30o della guerra di Spagna, i componenti della centuria “Gastone Sozzi” risulterebbero settantasei (v. APC, idem, fasc. 10, p. 7): ma probabilmente la fonte era la stessa. L’appassionata ricerca di Vanelli sarebbe stata pubblicata solo nove anni dopo in appendice a GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia. Cronache garibaldine, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 384-425. I dati di López sono stati indicati come unica fonte e riprodotti senza variazioni dall’estensore della voce dedicata alla “Gastone Sozzi” in Ear, vol. V, Milano, La Pietra - Walk Over, 1987, pp. 600-602, che - salvo errori di stampa - dovrebbe essere l’ex garibaldino Flavio Fornasiero. 11 Cfr. APC, Bmt, doc. 2. 12 Si veda PIETRO PAVANIN, I componenti della Centuria “Gastone Sozzi”, in Il diario di Ugo Muccini, cit., pp. 68-72. 13 Cfr. A. CANONICA, op. cit., p. 12. 14 Idem, p. 11. 15 È ancora Muccini a informarci: “Avevamo con noi un compagno di nazionalità americana che non so com’è venuto fra noi, ragazzo di coraggio, in quando in quando le facevamo segno di non sparar più tanto il fucile era caldo e mentre stava ritornando a prendere le munizioni una granata scoppiò a pochi passi da lui colpendolo alla gola. Lo trasportarono subito all’infermeria, ma poco dopo spirò” (cfr. Il diario di Ugo Muccini, cit., p. 32). 16 Si veda F. LEONE, Faccia a faccia col nemico, cit., p. 97. 17 Si veda PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III: I fronti popolari, Stalin e la guerra, Torino, Einaudi, 1970, p. 89. 18 II primo disertò l’unità nell’ottobre 1936, venendo in seguito espulso dal Pci; rientrato in Francia nel marzo 1937, secondo il cenno biografico della polizia italiana rimase comunque attivo antifascista frequentando gli anarchici, tanto da venire internato nel campo di Gurs nel 1940, da cui evase per riprendere la lotta nella Resistenza e morire a Bruxelles il 21 gennaio 1941, fucilato dai nazisti (si veda ACS, Cpc, ad nomen e G. CALANDRONE, op. cit., p. 370). Il secondo era invece un marittimo nato a Pola, espatriato in Urss nel 1925, dove era rimasto a lavorare nei cantieri navali Marti di Nicolaev fino al 1934, prima di trasferirsi in Francia e quindi in Spagna: nel già citato rapporto del 1946 di Pavanin, avrebbe disertato già nel settembre 1936. Non compare neppure nell’elenco di nomi pubblicato da G. CALANDRONE, op. cit. 19 Il nome di questo comunista ligure come combattente della Sozzi emerge sia da Biografie di garibaldini in Spagna, in APC, Bmt, b. 7, fasc. 12, che da ACS, Cpc, ad nomen. 20 I combattenti della centuria “Gastone Sozzi”: Ambrosini Giovanni Battista, Antonini Angelo, Ardizzoni Vincenzo, Bacchiocchi Ciro, Baesi Giovanni, Baldini Gino Bruno, Barani Luigi, Barisone Luigi, Bartoli Alberto, Basso Fortunato Marino, Becherini Antonio, Bellini Giordano Bruno, Beretta Giu- 28 seppe, Berger Giuseppe Ferdinando, Bertolini Renato, Beux Renato Ludovico, Bocchi Giovanni, Bonardi Giuseppe, Bonciani Alighiero, Bonfanti Enrico, Bonfili Étienne, Bosco Pierino, Campo Giovanni, Cannonero Luigi, Canonica Antonio, Carboni Gilberto, Chiesa Oberdan, Colani Giuseppe, Conti Renato, Costetti Renato, Couder Christine, Croce Emilio, Curti Angelo, Dabalà Angelo, Falco Bernardo, Fonovich Arturo, Frau Giuseppe, Gasparelli Cesare, Gherardi Nello, Ghini Vittorio, Gilli Michele, Giovannini Spartaco, Guerini Pietro, Landini Enea, Lari Pietro, Leone Francesco, Lombezzi Nazzareno, Magoga Antonio, Malacarne Giovanni, Mambrin Antonio, Marchetti Giuseppe, Marchina Angelo, Minghetti Giuseppe, Montanar Rocco, Motta Adamastore, Muccini Ugo, Nappi Antonio, Nardini Domenico, Nerozzi Amedeo, Orlandini Vittorio, Pais Giordano, Pasini Giulio, Pavanin Pietro, Pezzetta Augusto, Poli Gino, Premoli Giovanni, Ramazzini Pietro, Rinaldi Gottardo, Rolla Domenico Bruno, Rubini Libertario, Scalcon Vittorio, Senna Pietro, Silvestrini Umberto, Spada Angelo, Sparano Ciro, Stagnetti Felice, Tamburini Giovanni, Tollot Giovanni, Tonussi Antonio, Verc Francesco, Vico Luigi, Vivian Romeo, Volpato Lindo, Wedin Edward, Zanettin Paolo, Zennaro Giovanni, Zocchi Lino, Zurilli Orlando 21 Si veda F. LEONE, Faccia a faccia col nemico, cit., p. 102. 22 Si veda P. SPRIANO, op. cit., p. 89. 23 Si veda EMILIO Lussu, La legione italiana in Spagna, in “Giustizia e Libertà”, 28 agosto 1936. 24 Entrambi già nel mirino della polizia fascista, si erano accordati con il responsabile spezzino del Pcd’I Anelito Barontini per eluderne la sorveglianza e, contando sulla connivenza del concittadino e compagno Eugenio Vignale, in quegli anni milite di frontiera in servizio sul confine jugoslavo, attraverso l’Austria avevano infine raggiunto Parigi e di lì, in treno, la Spagna. Lo stesso Vignale, scoperto dai suoi superiori, sarebbe stato costretto ad espatriare e a gettare la divisa per indossare la tuta di miliziano garibaldino in Spagna prima e quella di partigiano in Belgio poi. Su questa poco nota figura di combattente antifascista e sulla rocambolesca fuga dei due v. ANTONIO BIANCHI, Gli spezzini alla guerra di Spagna, in Antifascismo e Resistenza alla Spezia (1922-1945), La Spezia, Istituto storico della Resistenza, 1987, p. 56 e Il diario di Ugo Muccini, cit. Sull’attività di Rolla in Abissinia si veda anche la bella testimonianza di ANTON UKMAR, Contro il fascismo su qualsiasi fronte, in ENZO RAVA (a cura di), I compagni. Scritti e testimonianze, prefazione di Giorgio Amendola, Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 297-303. 25 Il 75% dei componenti la centuria proveniva dalla Francia, il 4,54% dalla Svizzera, altrettanto dal Belgio e dal Lussemburgo, il 2,27% dall’Italia, l’1,13% dall’Unione Sovietica, nella stessa percentuale i già residenti in Spagna, mentre del 6,81% non è stata determinata. 26 Altri sette provenivano dal Piemonte, cinque dalla Liguria, uno dal Trentino, tre dal Lazio, uno dalle Marche, uno dalla Sicilia e uno dalla Sardegna. Di undici non è stata determinata. 27 Questo il ritratto che ne traccia López: “Con la Sozzi combatté a Pelahustán, Chapinería e poi passò al battaglione e alla brigata Garibaldi, e partecipò a tutte le battaglie fino alla caduta della Repubblica. In Francia fu internato a Saint-Cyprien, Gurs, Argelès e Vernet. Fuggito dal Vernet, raggiunse a Tolosa le forze di liberazione e fece parte, col grado di maggiore, della IX brigata partigiana spagnola agli ordini del generale Riquelme” (cfr. A. LÓPEZ, op. cit., p. 11). 28 “Ha un foro alla tempia sinistra. La testa inclinata in un pozzo di sangue. L’occhio sinistro è aperto, vitreo. L’occhio destro è semichiuso. Sollevo il suo corpo, che mi ricade pesantemente sotto la mano. Stringo il suo braccio sinistro: è freddo, il polso non batte più... [...] Seppi poi che era caduto accorrendo in aiuto al compagno Ghini” (cfr. F. LEONE, Faccia a faccia col nemico, cit., p. 101). 29 Tre (pari al 4,28%) erano emigrati prima del 1920, ventisette (pari al 38,6%) tra il 1921 e il 1925, ventinove (41,42%) tra il 1926 e il 1930, sette (10%) tra il 1931 e il 1935, quattro (5,7%) nel 1936. 30 L’11,82% era emigrato prima del 1921. il 38,39% tra il 1921 e il 1925, il 28,62% tra il 1926 e il 1930, il 15,36% tra il 1931 e il 1935, quattro (5,7%) nel 1936. 31 Molto precisa in proposito la testimonianza del solito Muccini: “A [una] riunione ne seguì subito un’altra per giudicare il comportamento del caposquadra Frau ormai guarito da una ferita che non ha mai avuto e che era riuscito a imboscarsi presso lo stato maggiore a far nulla, l’antipatia era ormai aperta in tutt’i compagni, finché un giorno apparve nell’ordine del giorno con questa frase: ‘espulso dalla centuria G. Sozzi perché indegno di questo nome’ ecc. All’indomani fu accompagnato da due guardie spagnole a Madrid e credo l’abbiano rimpatriato alla frontiera francese sempre accompagna- 29 to dalle guardie repubblicane” (cfr. Il diario di Ugo Muccini, cit., p. 40-41). 32 Trentuno degli appartenenti alla centuria (pari al 39,24%) erano nati nella fascia compresa tra il 1879 e il 1899, quarantuno (51,9%) tra il 1900 e il 1908, sette (8,86%) tra il 1909 e il 1911; di nove non è nota la data di nascita. 33 Ancora una volta ci viene in aiuto la testimonianza di Muccini, così precisa pur nella concitazione della lotta: “I compagni si mettono a correre disordinatamente, Can[n]onero corre anche lui nel piccolo burrone che andava sulla strada mi metto in ginocchio carico il fucile per di più non ho baionetta e dopo corro dietro agli altri, non sono sicuro ma dal cappotto nero con la faccia rivolta a terra era lui senz’altro, Can[n]onero, dopo ferito ho visto un moro affondargli la baionetta attraverso la schiena” (cfr. Il diario di Ugo Muccini, cit., p. 58). 34 Sempre a Leone si deve uno dei primi articoli apparsi nella stampa comunista dedicati a Gastone Sozzi, che aveva conosciuto a Torino a “l’Ordine Nuovo”. Cfr. F[RANCESCO] L[EONE], Gastone Sozzi (Martiri della nuova Italia), in “Rinascita ”, a. II, 1945, n. 1, pp. 19-20. 35 Idem, p. 41. 36 Idem, pp. 45-46. 37 Da una lettera inviatami in data 17 dicembre 1983. Per una biografia completa si veda GIANNI ISOLA, Francesco Leone, in F. ANDREUCCI - T. DETTI, op. cit., vol. III, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 92-95. 30 Tabella 1 Provenienza Brigate Garibaldi % Centuria Sozzi % Francia Italia Usa Belgio Svizzera Urss Argentina Lussemburgo Jugoslavia Cecoslovacchia Austria Spagna 1.996 223 104 98 60 58 37 25 19 4 2 - 59,50 6,65 3,10 2,90 1,80 1,70 1,10 0,75 0,55 0,13 0,07 - 66 2 4 4 1 4 1 6 75,00 2,28 4,55 4,55 1,14 4,55 1,14 Totale Non determinata 2.626 728 78,25 21,75 82 6 93,21 10 6,79 Totale generale 3.354 100,00 88 100,00 31 Tabella 2 Regioni di nascita Brigate Garibaldi Piemonte Lombardia Liguria Veneto Venezia Giulia Trentino Emilia Romagna % Centuria Sozzi % 167 225 77 309 132 29 209 4,96 6,70 2,30 9,21 3,94 0,86 6,25 7 12 5 10 9 1 17 7,93 13,64 5,68 11,36 10,23 1,14 19,32 1.148 34,22 61 69,30 Toscana Lazio Umbria Marche Abruzzo-Molise 145 41 32 26 12 4,32 1,22 0,95 0,78 0,36 10 3 1 - 11,36 3,42 1,14 - Italia centrale 256 7,63 14 15,92 43 31 28 19 19 2 1,28 0,92 0,83 0,57 0,57 0,06 1 1 - 1,14 1,14 - 142 4,23 2 2,28 Italia Non determinata 1.546 1.808 46,08 53,92 77 11 87,50 12,50 Totale generale 3.354 100,00 88 100,00 Italia settentrionale Sicilia Sardegna Calabria Puglia Campania Basilicata Italia merid. e insul. 32 Tabella 3 Anno di espatrio Anni Prima del 1920 1920 Brigate Garibaldi % Centuria Sozzi % 69 49 6,91 4,91 3 - 4,28 - 1a fascia 118 11,82 3 4,28 1921 1922 1923 1924 1925 44 82 98 104 54 4,42 8,23 9,84 10,45 5,45 1 6 7 8 5 1,43 8,57 10,00 11,44 7,16 2a fascia 382 38,39 27 38,60 1926 1927 1928 1929 1930 47 28 38 67 105 4,71 2,81 3,82 6,73 10,55 3 3 10 13 4,28 4,28 14,28 18,58 3a fascia 285 28,62 29 41,42 41 32 30 29 21 4,11 3,21 3,01 2,92 2,11 2 2 3 - 2,86 2,86 4,28 - 153 15,36 7 10,00 1936 58 5,81 4 5,70 Totale 996 100,00 70 100,00 1931 1932 1933 1934 1935 4a fascia 33 Tabella 4 Professioni Categoria Brigate Garibaldi % Centuria Sozzi % Operai Artigiani Impiegati Agricoltori 1.471 254 180 104 43,86 7,58 5,36 3,10 37 13 5 12 42,05 14,78 5,68 13,63 Totale Non determinata 2.009 1.345 59,90 40,10 67 21 76,10 23,86 Totale generale 3.354 100,00 88 100,00 Tabella 5 Età media Fasce d’età Brigate Garibaldi % Centuria Sozzi % 1879-1899 1900-1908 1909-1911 695 1.193 225 32,90 56,46 10,64 31 41 7 39,24 51,90 8,86 Totale 2.113 100,00 79 100,00 Età media 34 34,36 35,39 Qui e nella pagina seguente: combattenti della “Centuria Sozzi”. In basso: gruppo di feriti (il terzo seduto è Francesco Leone, riconoscibile anche nella successiva foto in alto) 35 36 Antonio Roasio e le brigate internazionali Spontaneità e organizzazione nella guerra civile spagnola di Adriano Ballone Guerra di Spagna Due aspetti di carattere generale vanno preliminarmente e sinteticamente indicati al fine di meglio chiarire ciò che si dirà in seguito: il primo riguarda la bibliografia, e in particolare la memorialistica, sulla guerra di Spagna; il secondo le novità e le peculiarità di questo conflitto di epoca contemporanea. Per il contesto storico nel quale si sviluppò, per la commistione tra attività diplomatica, lotta politica e mobilitazione rivoluzionaria, per l’intreccio che si stabilì tra forme tradizionali di scontro armato e guerra popolare, per le modalità con le quali si concluse la vicenda lasciando in eredità strascichi polemici e insegnamenti politici, la guerra di Spagna a lungo ha costituito un terreno fertile per ricostruzioni storiche che fondevano insieme passionalità ideologiche, esaltazione di memorie, eventi ed emozioni. Soggettività e ricostruzione storica connotano sin dall’inizio la bibliografia sul tema: a cominciare da quel brillante e affascinante testo di George Orwell. “Ritengo che su avvenimenti come questi nessuno sia o possa essere completamente veritiero. È difficile essere certi di qualcosa, se non di quello che s’è visto con i propri occhi, e consciamente o inconsciamente, ognuno scrive con una certa partigianeria”: così Orwell chiudeva il suo “Omaggio alla Catalogna”, cogliendo quel tratto inconfondibile del distanziamento senza distacco, della visibilità possibile solo in virtù della presenza da un punto di vista inevitabilmente “partigiano”1. Da quel conflitto, via via, per alcuni decenni, storiografi e movimenti politici trassero insegnamenti per il presente, facendone anche strumento di recriminazione o di rivalutazione2. Politica, memoria, ideologia, soggettività e storia si sovrappongono spesso nella bibliografia sulla guerra spagnola: e ciò non dipende solo dal fatto che molti intellettuali europei e non europei intervennero in modo diffuso e abbastanza inconsueto sui campi di battaglia: intervento che servì a dare risonanza, quasi “in presa diretta”, ai fatti bellici e politici a livello mondiale e soprattutto a costruire un modello di conflitto in cui si intrecciavano senso dell’avventura, coraggio individuale, passione politica, spirito di sacrificio e tensione etica. Non infrequentemente l’aura di “romanticismo mediterraneo”, che ancora oggi avvolge la vicenda della “gloriosa Spagna”, ha condizionato la stessa ricostruzione storica e si è tradotta, secondo una bella metafora di Bernard Knox, in un predominio di Calliope su Clio, cioè dell’epica raccontata sull’analisi rigorosa di fatti e documenti3. Tutto ciò rende davvero complessa la vicenda spagnola. Tanto più quando - se accantoniamo le valutazioni sulle cause lontane, di lunga durata, che originano il conflitto4 - questa guerra si conclude con una indiscutibile sconfitta delle forze più autenticamente democratiche; eppure la scon37 fitta non si traduce in “disperazione”, per quanto bruciante, non ha i toni, le intensità e i colori della “disfatta” irreparabile. Ancora una volta lucidamente lo ha intuito Orwell: “Il risultato non è necessariamente disillusione e cinismo. Fatto curioso, tutta l’esperienza spagnola non ha diminuito per nulla la mia fiducia nella dignità e nella bontà degli esseri umani”5. Non è trascurabile il fatto che tale marchio di sconfitta con dignità e prospettiva di riscatto, elemento identificatore della guerra antifranchista, sproni i partecipanti a ricreare quella che André Malraux, in “L’espoir”, chiama l’“illusion lyrique” e che consente di stabilire analogie e differenze, di cercare riscontri e trarre, in una parola, lezioni per il presente. Ad esempio, Antonio Roasio, in quello che nel 1984 fu forse il suo ultimo intervento pubblico, scriveva: “Ritengo più che giusto ricordare gli avvenimenti che caratterizzarono gli anni trenta in Spagna. [...] Viviamo di nuovo, oggi, un momento di acuta tensione internazionale, di contrapposizione e di blocchi, la corsa agli armamenti è sempre più affannosa, la guerra nucleare, che distruggerebbe l’umanità, diventa sempre più un pericolo reale. Altrettanto ampio è il fronte della protesta contro la guerra, per ristabilire forme di collaborazione tra i paesi, per assicurare pace e libertà ai popoli”6. Tra tutti questi motivi, che nel leggere la vicenda della guerra spagnola vanno tenuti presenti, uno in particolare, per il tema che tratto, va sottolineato: la guerra di Spagna costituì per il gruppo dirigente comunista italiano un momento di indiscutibile rilevanza. Con qualche enfasi si potrebbe dire che il gruppo dirigente comunista italiano si diede, grazie alle prove affrontate durante quella esperienza, una fisionomia che resterà solida, quasi tessuto connettivo, nei successivi quarant’anni, in certo modo si stabilizzò come partito. Questa è l’opinione, ad esempio, di Giuliano Pajetta: “Proprio gli anni della guerra di Spagna, come e forse ancor più di quelli del Fronte popolare in Francia, diedero un contributo decisivo a creare le condizioni di base per un Partito comunista italiano reale con una solidità di inquadramento, una chiarezza di orientamento generale, una fiducia nelle proprie forze e un legittimo orgoglio nazionale che permise il superamento delle grandi difficoltà attraversate, proprio in quegli anni (1937-1939), dal partito ufficiale, debole nei collegamenti interni, travagliato nella direzione, sottoposto a critiche severe e anche ingiuste (si veda il discorso di Manuilskij al XVIII Congresso del Pcus, del marzo 1939) da parte di autorevoli esponenti dell’Internazionale”7. Pajetta indica chiaramente alcuni “problemi” di storia del Pci che, in sede storiografica, devono ancora essere chiariti: quali “apprendimenti” ricavò il gruppo dirigente comunista italiano - in parte residente a Mosca, in parte disperso nell’emigrazione politica, in parte impegnato in prima linea nella guerra spagnola - da quella vicenda? Quale incidenza ebbe l’esperienza spagnola non solo rispetto alla partecipazione al movimento di liberazione italiano, ma anche alla strategia e alla tattica politica di almeno due decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale? A quali risultati approdò il “complesso e articolato intreccio di cause generali e di motivi personali”8 che caratterizzò la guerra civile spagnola e anche l’intervento del Pci e dei suoi dirigenti? Lo scopo di questo saggio è ben più limitato: concentra l’attenzione sulla partecipazione di Antonio Roasio alla vicenda spagnola, sul come questo dirigente comunista visse e interpretò quell’evento. Peraltro non si può trascurare il fatto che questo dirigente comunista, non di secondo piano, in Spagna ricoprì un delicato incarico e che, per così dire, in quel ruolo si specializzò. Una analisi della partecipazione di Roasio ci consente in tal modo di illuminare alcune questioni che la pur vasta bibliografia sull’argomento, e in particolare sulle brigate internazionali9, ha talvolta sottovalutato. 38 Antonio Roasio in Spagna Un primo elemento rilevante: la presenza di Antonio Roasio in Spagna è circoscritta cronologicamente a non più di un anno, dall’ottobre 1936 all’ottobre 1937. Per quanto si tratti di un anno cruciale, segnato da alcune delle battaglie più famose, si direbbe, ad una prima superficiale valutazione, che la partecipazione di Roasio alla guerra di Spagna sia marginale e secondaria, non certo simile a quella di un Francesco Leone o di un Luigi Longo: sul piano personale, insufficiente a determinare un orientamento politico; sul piano generale, poco significativa, impressione questa che pare confermata da altri indicatori: il nome di Roasio appare ben poco citato nella storiografia e nella memorialistica10 e talvolta con riferimenti inesatti. Sul piano militare l’anno spagnolo di Roasio coincide approssimativamente con la difesa di Madrid: la sua presenza è segnalata a Cerro de los Angeles, alla Ciudad Universitaria (dove, secondo le imprecise informazioni della polizia fascista11, sarebbe stato ferito in modo grave) e infine a Pozuelo de Alarcón, dove, il 1 dicembre 1936, per lo scoppio di una granata restano feriti Longo, il “Campesino” e, “un po’ più gravemente”, lo stesso Roasio12. Si tratta di una ferita alla gamba che lo costringerà ad un mese di inattività nell’ospedale delle retrovie e ad un periodo di convalescenza ad Albacete. Lascerà la Spagna proprio in coincidenza con la caduta delle Asturie. Non risulta - sulla base della sua stessa testimonianza, della bibliografia, delle note informative della polizia italiana - essere presente ad altre battaglie, né pare si sia distinto in scontri a fuoco o in azioni arrischiate: giunto in ottobre, ferito in dicembre, inattivo sino a marzo, ripartito nell’ottobre successivo, si direbbe che la sua vita in Spagna sia trascorsa nell’anonimato, discreto, marginale, caratteristico di un lavoro oscuro e assai poco gratificante. Eppure non è così. La presenza di Roasio in Spagna, per quanto breve, per il ruolo che svolge e per gli stretti legami con il movimento comunista internazionale, non è quella di un semplice militante. Sino alla partenza per la Spagna, Roasio ha svolto a Mosca, al fianco di Togliatti, il compito di funzionario dell’ufficio quadri del Comintern: ha maturato una conoscenza non superficiale dei problemi organizzativi e del “carattere” dei militanti comunisti. È questa una prima ragione che rende non credibile l’affermazione, contenuta nell’autobiografia, circa la decisione di partire “volontario” per la Spagna. Indubbiamente le sue doti e qualità temperamentali ne fanno un uomo poco propenso al lavoro d’ufficio e più invece all’azione: lui stesso si autodefinisce un impulsivo, poco aduso alle diplomazie, anche impaziente e facile ad accendersi13. D’altra parte non pare il tipo da ritrarsi davanti al pericolo, che anzi affronta, quando necessario, in modo ardimentoso. Che lui stesso solleciti l’invio in Spagna è del tutto convincente. Tanto Teresa Noce che Paolo Spriano e Luigi Longo però, ritengono il suo ruolo importante14. In Spagna viene inviato con un compito preciso - non necessariamente formalizzato in documenti ufficiali - che gli impone altresì di non esporsi oltre misura: per questo la sua presenza pare defilata. Non sfugge questo dato alla Prefettura di Vercelli che, in data 12 marzo 1937, segnala al Ministero dell’Interno l’informazione pervenuta: “Secondo notizie fornite, il comunista in oggetto troverebbesi in Spagna, nelle milizie rosse dove rivestirebbe un alto grado”15. Cautelativamente andrebbe detto che, e non solo sulla base della documentazione raccolta nel Casellario politico centrale, la polizia fascista e i suoi informatori non sempre risultano attendibili: appaiono talvolta meno occhiuti ed efficienti o più intriganti che rigorosi, nel tenere sotto controllo azioni, contatti, spostamenti dei “sovversivi” iscritti nel Casellario “per il provvedimento di arrestare”. L’attività informativa della polizia è certo 39 assidua e intensa, ma a volte la macchina organizzativa, seppure ben oliata, pare incepparsi e girare a vuoto per eccesso quasi di zelo burocratico16: inceppamenti che consentono probabilmente un qualche margine di manovra alle forze antifasciste attive in Italia, un uso delle distensioni nella fitta maglia del controllo repressivo e intimidatorio. In genere, però, l’informazione poliziesca si rivela attendibile e ad ogni buon conto in questo caso - l’importanza del ruolo di Roasio in Spagna - non sbaglia. Roasio parte per la Spagna con un compito preciso e importante. Conviene allora seguire le tappe del tragitto da Mosca a Madrid al fine di illuminare alcuni aspetti che possono risultare decisivi nel caratterizzare le funzioni che poi svolgerà tra i miliziani garibaldini. La decisione di partire per l’avventura spagnola viene presa a Mosca - a quanto dichiara lo stesso Roasio17 - di concerto con Togliatti: contraria è invece, per ragioni che non conosciamo, ma che possiamo sospettare, la dirigente russa dell’ufficio quadri del Comintern dove Roasio lavora. Parte da Mosca - dove risiede oramai da una decina d’anni - il 10 ottobre 1936 in treno, con passaporto cubano e del tutto digiuno di lingua spagnola. Nel viaggio da Mosca a Parigi è con un comunista austriaco, anche lui destinato alla Spagna, che parla spagnolo, ma non l’italiano e il russo, lingue che conosce Roasio: sarà un “viaggio di muti”, ricorda divertito lo stesso Roasio. Quella data - ottobre 1936 - non è senza significato. Alla metà di ottobre Stalin imprime una svolta alla politica nei confronti della vicenda spagnola: si conclude quella che Spriano ha chiamato “l’iniziale fase di incertezza diplomatica”, dovuta alla prudenza nei rapporti internazionali e alla sottovalutazione del “caso spagnolo”18. È del 19 settembre la “risoluzione del Segretariato politico sulla questione della Spagna”, dell’Internazionale comunista, risoluzione che fissa gli obiettivi dell’intervento comunista: tra l’altro, un diverso atteggiamento nei confronti dei proprietari di terre e di fabbriche; soprattutto l’intenzione “di lottare con decisione contro l’utopistico programma avventurista teso alla ‘creazione di una società nuova’ quando il nemico è a 60 chilometri dalla capitale”; la necessità di passare alla “trasformazione della milizia popolare in esercito popolare” mediante “l’introduzione della disciplina militare, l’esecuzione indiscussa degli ordini di guerra e la nomina di uno stato maggiore”19. Del 16 ottobre è il telegramma di Stalin a José Diaz, mentre alla fine di ottobre risale il primo arrivo in Spagna, ad Alicante, della nave sovietica Kuhan che trasporta i tanks e i primi trenta aerei. Il 27 agosto Marcel Rosenberg, primo ambasciatore Urss in Spagna, aveva presentato le credenziali al presidente Azaña. Dunque, la partenza di Roasio coincide con la decisione di Stalin di assumere un più preciso impegno di responsabilità e di solidarietà militare e politica nei confronti della repubblica spagnola dopo lo sbarco delle truppe di Franco sul territorio nazionale: l’invio ad agosto di due milioni di dollari da parte dei sindacati sovietici aveva prefigurato il superamento della iniziale fase di incertezza dei dirigenti comunisti, dovuta anche ad una reale sottovalutazione dell’evento. Assieme a Roasio, a distanza di breve tempo, altri dirigenti comunisti partono per la Spagna: ai primi di ottobre vi ritorna Longo e vi giungono André Marty, Giuseppe Di Vittorio, Giuliano Pajetta, Velio Spano, Teresa Noce, Osvaldo Negarville20. Per la verità non sono venute a mancare le ragioni della prudenza diplomatica staliniana. Però un fatto nuovo, e imprevedibile, si è verificato: si vanno costituendo i primi raggruppamenti di volontari provenienti perlopiù dalla Francia, ma di varie nazionalità, decisi a combattere a fianco e in difesa della repubblica. Non si tratta più di un volontariato di piccole dimensioni. Questo afflusso di volontari (molti dei quali dichiaratamente comunisti), caratterizzato da accentuato spontaneismo, che fa nascere “un esercito popolare, 40 improvvisato e insieme fortemente politicizzato”21, pone all’Internazionale dei partiti comunisti e al governo dell’Urss problemi, anche sul piano dei rapporti internazionali, non risolvibili con semplici gesti di solidarietà ideale o diplomatica. Organizzare questi volontari diventa compito primario, tanto più che il governo di Largo Caballero si mostra inadeguato sotto tutti gli aspetti e, come ha bene messo in luce Santos Juliá, il conflitto interno al Fronte popolare si è fatto aspro dovendo determinare chi avrà l’egemonia reale dell’azione politica e di governo22. Già nell’agosto 1936 “Mundo obrero”, organo ufficiale del Pce, partito a scarso radicamento sociale, aveva perorato la formazione di un esercito popolare, con un comando unico ed una severa disciplina militare23. Di lì a poco le cocenti sconfitte militari (caduta di Oropesa del 30 agosto, di Talavera il 4 settembre, di Irún il 5, di San Sebastián il 15, di Toledo il 27 ad opera del generale Varela) renderanno perentoria tale esigenza. La partenza di Roasio si inserisce in questo quadro di riferimenti: quando giunge in Spagna, sono già oltre seicento i volontari italiani, perlopiù comunisti e anarchici, animati da intensa fede internazionalista e rivoluzionaria, arruolatisi spontaneamente e con scarsi o nulli collegamenti con il partito. Scrive Spriano che i dirigenti comunisti italiani ricevettero “una scossa dalle cose di Spagna”24: dopo anni di isolamento e di difficoltà nel lavoro in Italia, scoprirono di poter contare su di una base sociale reale, anche se eterogenea e in gran parte sconosciuta. Uno dei compiti di Roasio, se non il compito principale, è appunto quello di organizzare e vigilare politicamente su questa massa di volontari giunti dall’Italia. Perché viene scelto Roasio per svolgere questo compito? Alcune indicazioni ci possono venire se ci soffermiamo sulla personalità di questo dirigente comunista e, in parte, sulla sua biografia. Soggettività e rivoluzione: la biografia di Roasio Partito il 10 ottobre da Mosca, giunge il 14 a Parigi dove riceve le “indicazioni necessarie”. Il 19 è a Madrid dopo un fortunoso viaggio in aereo. Immediatamente si reca alla sede Ce del Pce, dove incontra Codovilla: i due si conoscono da tempo e Codovilla vorrebbe trattenere Roasio presso la sezione quadri del Ce. Declina però l’invito e parte, secondo un evidente piano di istruzioni, per Albacete, centro organizzativo delle brigate internazionali. La sera stessa del 19 incontra Vittorio Vidali e Nino Nannetti, e soprattutto Francesco Leone, “il solito allegro, ma brontolone”. L’incontro con Leone è, a detta di Roasio, calorosissimo, ha quasi i toni della rimpatriata. Il ricordo comune va agli anni 192023, alle riunioni dei responsabili biellesi e vercellesi della Fgc: intensi anni di formazione politica e culturale e di consolidamento delle basi ideologiche. Per il ventenne Roasio questi anni e questa attività politica segnano le tappe della sua formazione come “coscienza politica di classe”25. Anni di confronti e di scontri ideologici e programmatici tra il Partito socialista e il gruppo bordighista particolarmente solido in quelle federazioni. Il gruppo bordighista fa capo a Pietro Secchia, mentre Roasio è schierato con i dirigenti socialisti. Pietro Secchia ricorda in particolare un episodio rivelatore dei primi tempi, quando la sua influenza sulla Federazione socialista giovanile locale non è ancora piena, prima dunque che si sia imposta l’“egemonia di classe” sul movimento operaio biellese: durissima è la protesta di Roasio, dirigente socialista giovanile, nel 1919 contro la decisione di Secchia di costituire un “circolo giovanile socialista in una sede diversa da quella della sezione del Psi e senza chiedere il permesso a loro [i dirigenti giovanili locali] e senza soprattutto prelevare tessere e bollini da loro”26. La “fedeltà al partito” e la sua “difesa” sono due orien41 tamenti solidi della personalità politica di Roasio in tutta la sua vita: cosa che non gli impedisce di passare, diventandone subito un dirigente provinciale, dal Psi al Pcd’I assieme a quasi tutto il gruppo socialista giovanile, “ad eccezione di un piccolo gruppetto capeggiato da Salvatore Furno”. È quello giovanile comunista un gruppo di “scaldati” che la polizia novarese tiene sotto stretta sorveglianza a partire dal 1922. Risale all’aprile 1925 la prima scheda di segnalazione di Roasio: vi viene descritto - con quale efficacia identificatrice sarebbe giusto chiedersi - di corporatura snella, di spalle larghe, mani larghe, gambe larghe, piedi larghi. Il cenno biografico a lui dedicato è molto approssimativo e assai ingeneroso: “Nel pubblico riscuote fama poco buona. È di carattere violento, di educazione volgare e di intelligenza mediocre. Ha fatto la 5a elementare. È lavoratore manovale e trae i mezzi di sussistenza dal lavoro. Frequenta le compagnie dei sovversivi. In famiglia si comporta in maniera da non dare luogo a rilievi. Non ha coperto cariche amministrative o politiche. È iscritto al P.C. ed esercita scarsa influenza nell’ambiente in cui vive. Non ha mai dimorato all’estero. Non ha mai collaborato alla redazione di giornali sovversivi. Riceve e legge i giornali del P.C. Fa propaganda spicciola fra i compagni di lavoro ma non è capace di tenere pubbliche conferenze”. La polizia politica fascista è sprezzante nei suoi giudizi sui “sovversivi”, però tra le tante ovvietà, immagini stereotipate, illazioni gratuite di questa scheda poliziesca alcune annotazioni possono interessare poiché risultano penetranti e confortate dalla stessa testimonianza autobiografica di Roasio: l’impulsività del temperamento; le difficoltà reali, per lui figlio di bracciante agricolo poverissimo, di formarsi una cultura anche solo di tipo elementare, difficoltà accentuate anche da un conflittuale e problematico inserimento nell’ambiente di lavoro biellese - a giudizio dello stesso Roasio - piuttosto chiuso e corporativo; il rapporto sofferto - così tipico della classe operaia - con la scrittura, con il “parlare in pubblico”, con i dibattiti politici formalizzati. Tutto ciò resterà un tratto non modificato nel profondo della personalità di Roasio, anche quando potrà dirsi, dopo gli intensi anni di “apprendistato” in Urss, un dirigente formato. L’apprendimento nelle scuole di partito dell’Internazionale, la frequentazione assidua dei compagni più istruiti (primo fra i quali lo stesso Togliatti), gli incarichi nella direzione del movimento comunista italiano e internazionale costituiranno per lui un potente stimolo di alfabetizzazione culturale e politica, ma non smusseranno del tutto, ad esempio, le impervietà nell’uso della lingua scritta: il suo lessico politico e ideologico esprime una particolare predilezione per i toni forti, ultimativi, per le metafore colorite e un po’ abusate, per le espressioni retoricamente precostituite e frequenti nei moduli oratori del linguaggio propagandistico dell’epoca staliniana. Questo lessico, per Roasio, ma anche per tutta una generazione di dirigenti e di militanti comunisti, è anche la spia (e l’affermazione implicita) di una fedeltà ideologica, così necessaria in quegli anni alla sopravvivenza nell’emigrazione e nella miseria27. L’incontro con Francesco Leone - sempre citato nella autobiografia di Roasio con grande stima e rispetto e un sentimento di simpatia (anche se questo non esclude momenti di divergenza e anche dissapori) - è certo qualcosa di più di una rimpatriata: Leone farà da mentore al nuovo arrivato nei suoi primi giorni di vita spagnola. Stando alla stessa testimonianza di Roasio, Leone, oramai esperto di “cose spagnole”, essendo stato tra i primi a giungere in Spagna, gli sottopone un inventario: “L’esperienza del primo gruppo di volontari antifascisti italiani e polacchi organizzati nella centuria Gastone Sozzi, le difficoltà incontrate per avere un armamento efficiente, la mancanza di coordinamento tra le varie unità militari che operavano sullo stesso fronte, l’impulso volontaristico, anche indisci42 plinato, delle unità miliziane, l’incapacità delle nostre colonne di fronteggiare un nemico meglio organizzato e meglio armato in campo aperto”28. Sintomatica quell’esplicita sottolineatura della indisciplina come carattere costitutivo delle prime formazioni internazionali. Questo della disciplina è un topos della pedagogia politica di Roasio, ma anche una delle questioni centrali attorno a cui ruota il rapporto tra movimento operaio internazionale e guerra antifranchista in Spagna. Su questo tema occorre soffermare l’attenzione per meglio intendere la natura e la portata storica del ruolo di Roasio nella organizzazione di volontari e nella guerra spagnola: anche su questo aspetto la ”lezione” (secondo l’espressione di Giuliano Pajetta) che i comunisti italiani ricaveranno sarà preziosa. Necessità e senso della disciplina Il tema della disciplina - s’è detto - è un tema centrale nei discorsi di Roasio. Anche sotto il profilo temperamentale manifesta per la improvvisazione, per la disorganizzazione, per la inefficienza, lui operaio abituato alla cooperazione organizzata ad un fine comune, un fastidio e una insofferenza che rasentano talvolta l’incomprensione e la chiusura settaria: si tratta, per lui, di una “spontaneità” non funzionale. Così ad esempio descrive l’esperienza quotidiana dei miliziani nei primi mesi di guerra: alla caserma nazionale: “Alloggiavano oltre duemila volontari di tutte le nazionalità, la confusione era quindi inevitabile, e ciò permetteva ai furbi di sfuggire i servizi o disertare le esercitazioni in piazza d’armi. Scoppiavano liti per un nonnulla, sparivano gli oggetti personali, si strappava il materasso di sotto a chi ci dormiva, e tutto ciò senza potersi spiegare a parole. In queste condizioni cresceva il malcontento ed era impossibile osservare l’orario e mantenere una certa disciplina”. Ma soprattutto: “I combattenti erano dei volontari e dei democratici e consideravano quindi un diritto e un dovere pronunciarsi liberamente su tutte le questioni, scegliere e criticare i propri dirigenti; aspiravano a un’uguaglianza che non sempre è praticabile nella vita militare, quando la disciplina è una condizione necessaria per il buon andamento delle operazioni; aborrivano i gradi, il saluto agli ufficiali: e prima di considerare gli ufficiali come tali, volevano vederli alla prova del fuoco”29. Il “problema” della disciplina è per i comunisti in quegli anni una necessità e un cruccio: sono anni nei quali, secondo Luigi Longo, “il partito, i suoi organismi dirigenti, la sua unità dovevano essere difesi ad ogni costo, sia nei dibattiti interni, che negli scontri con gli avversari e i nemici. Le decisioni di questi organismi dovevano essere accettate da tutti i compagni come leggi inviolabili. Con lo stesso spirito di disciplina dovevano essere accettate le designazioni personali agli incarichi di lavoro e alle responsabilità di direzione del partito”30. Ed esplicitamente fa riferimento alle “manifestazioni di indisciplina politica e organizzativa” che avevano preceduto la guerra di Spagna nel partito e nell’Internazionale: disciplina, fedeltà ideologica, obbedienza alla gerarchia, rispetto dell’autorità sono finalizzate, in quegli anni, alla sopravvivenza del partito. Aspetti che contraddicono le motivazioni che spingono i volontari internazionali in soccorso della Spagna democratica, motivazioni che più si avvicinano, sia pure con connotazioni romantiche e idealistiche, all’esperienza di una democrazia diretta, inevitabilmente disordinata e spontanea. Roasio è uno di quei dirigenti comunisti che verrà inviato in Spagna con l’incarico di dare una “organizzazione” al volontariato. 43 Per temperamento, per convinzione ideologica, per educazione politica, per affinità culturale con lo “spirito dei tempi” all’interno del movimento comunista internazionale, per questioni oggettive, Roasio appare, più di altri, adatto a questo compito. Lo conferma la sua stessa autobiografia: di aver ricevuto questo incarico Roasio non solo non nega, ma indirettamente rivendica come manifestazione del suo impegno di “rivoluzionario professionale”. Rivendica con orgoglio di essere militante disciplinato e fedele e per intima convinzione. È ben vero che tutta l’autobiografia è costruita sulla base di collaudati modelli di autorappresentazione ricorrenti nelle autobiografie dei militanti comunisti di formazione leninista e bordighista31: il modulo narrativo lo descrive come “ribelle nato”, vissuto in una nera miseria, capace però di emanciparsi dalla condizione di bracciante agricolo e diventare operaio-proletario, anche acculturato e soprattutto dotato di coscienza politica raggiunta grazie alla mediazione del partito-avanguardia, al quale si è riconoscenti anche per la disciplina che ha saputo imporre all’originario “ribelle”. Ad indurci ad una qualche maggiore cautela nei confronti dell’autobiografia vi sono altri aspetti: scritta quasi di getto nel 1975-76 e pubblicata dell’editore Vangelista, non nasconde il disappunto di Roasio per il “rinnovamento” di quadri e di mentalità in corso nel Pci berlingueriano e per quella proposta di “compromesso storico” che inquieta assai i “vecchi” dirigenti comunisti32. D’altra parte Roasio sulla vicenda spagnola lascia altre testimonianze, tutte in vario modo, sebbene di epoche diverse, convergenti. Al di là comunque delle questioni di interpretazione, la fedeltà di Roasio al partito è ribadita. In almeno altre due occasioni, di molto posteriori agli anni di prima formazione politica, si rivela appieno. La prima è del 1933 e riguarda una vicenda familiare: nel gennaio la polizia fascista intercetta una lettera di Antonio al fratello e una alla sorella, ambedue da Mosca. La corrispondenza, che è anche in parte un’imprudenza, sia pure motivata, è originata da una precedente lettera - che non conosciamo se non per via indiretta - della sorella ad Antonio nella quale si esprime più che simpatia, una qualche comprensione per il regime fascista, oramai al potere da oltre un decennio, il quale avrebbe apportato “miglioramenti” ai ”poveri” e alla loro condizione di vita, tra i quali la sorella inserisce la propria famiglia. Roasio, pur protestandosi più realista del re e capace di “guardare in faccia alla realtà e ridere di fronte agli scherzi che può giocarti la vita”, risponde con durezza non insolita. Accusa la corrispondente di egoismo e ignoranza, di dimenticare i sacrifici sopportati dai genitori e la triste condizione di lui Antonio: se in Urss, scrive non percependone l’ironia, “non ci sono miglioramenti è perché non esistono più capitalisti che ci sfruttano”. L’immagine dell’Urss che Roasio dipinge è anzi quasi idilliaca: “Le fabbriche, le officine, la terra, tutto è proprietà dell’operaio, questi lavorano solo 7 ore al giorno, fanno riposo ogni 5 giorni e l’utile del lavoro non va a finire nella cassa dei capitalisti sfruttatori, ma nella cassa dello Stato (Stato diretto dagli operai) dove viene distribuito una parte per sviluppare il paese e l’altra per migliorare la situazione degli operai”. Quasi con gli stessi termini, la stessa fraseologia, gli stessi accenti accorati - e malgrado, a distanza d’anni, le tante prove empiriche contrarie - difende, nel 1976, “il socialismo sovietico” nelle pagine conclusive dell’autobiografia33. La seconda occasione, alla quale accenno fugacemente, riguarda lo scabroso incarico di segretario della Federazione comunista torinese, che assume, per mandato della Direzione nazionale del partito, un paio di mesi prima del crollo Fiom alla Fiat. Dovrà gestire un’eredità pesante e difficile, uno sbandamento operaio devastante, una crisi della militanza politica comunista senza precedenti e ancor più aggravata dall’aperta critica degli 44 intellettuali torinesi a seguito dei fatti d’Ungheria. Il suo invio a Torino ha tutti i caratteri di una fase di decantazione politica per un dirigente “scomodo”: pesano, alla metà degli anni cinquanta, su Roasio sia i passati rapporti con Secchia, sia l’aver appoggiato incautamente e con convinzione nel 1951 la richiesta di Stalin di avere a Mosca Togliatti a dirigere il Cominform. L’invio di Roasio a Torino, successivo alla battaglia di Togliatti contro le “satrapie“ delle segreterie regionali, per molti aspetti assomiglia a quello di Secchia in Lombardia: a qualcosa che si può chiamare “declassamento per punizione”. Per certi aspetti risulterà meno tollerabile di quello di Secchia, dati i tesi rapporti tra Torino e Roma e il manifesto disagio dei torinesi verso un “estraneo” che non tarderanno a definire, in modo ingeneroso, con l’epiteto di “bisonte”34. Eppure Roasio, in nome della fedeltà al partito, prenderà molto seriamente il suo incarico, rivendicherà il suo compito di “normalizzatore” di una situazione che descriverà, bollando i torinesi come indisciplinati, in termini non dissimili da quelli con i quali ha descritto la vita quotidiana dei miliziani in Spagna. Fedeltà al partito, necessità della organizzazione, rifiuto della spontaneità e dell’improvvisazione sono le caratteristiche che fanno di Roasio l’uomo adatto allo scopo nella vicenda spagnola. Del resto che i volontari in Spagna, soprattutto nei primi tempi, intendono la guerra in modo peculiare e “indisciplinato” ci è confermato da molte fonti: non ultimo il giornale “Il Garibaldino”35. “Non era possibile - scrive Giorgio Amendola, quasi a giustificare una scelta, dell’Internazionale, dura -, se si voleva vincere la guerra, permettere un’autogestione, si direbbe oggi, della guerra, come veniva praticata soprattutto sul fronte catalano, dove erano frequenti le gite individuali dei combattenti in città, sia per partecipare a manifestazioni politiche, sia per passare una serata in famiglia”. D’altra parte, aggiunge, “dietro alla questione della disciplina e del contrasto tra Madrid e Barcellona, v’era tuttavia la questione centrale della prospettiva politica”36. Il conflitto tra comunisti, socialisti, anarchici, trotskisti e tra “politici” e “sindacalisti”37 coinvolgerà anche Roasio. Nell’anno in cui egli è in Spagna, il suo ruolo di organizzatore si esplica con la nomina a commissario politico della Brigata Garibaldi. Il compito contempla diverse incombenze: molte ore sono dedicate al “lavoro politico”, all’orientamento ideologico, alla discussione con i titubanti e gli indecisi, a rintuzzare la “contropropaganda“ degli avversari38. Molto tempo deve dedicare alla conservazione o alla “ricucitura” di buoni rapporti unitari con gli altri gruppi politici (socialisti, repubblicani, ecc.). Vi sono poi da garantire l’organizzazione dei servizi essenziali, il reperimento dei mezzi di trasporto truppe, il contatto quotidiano con i volontari per infondere coraggio quando “cominciava a serpeggiare la diffidenza, diciamo pure la paura”39. Sul rapporto con anarchici e trotskisti, così centrale per il successo della strategia comunista in Spagna e determinante per illuminare il ruolo politico di Roasio quale dirigente dell’Internazionale, l’autobiografia è assai avara di informazioni: quasi eclettica e reticente. Soprattutto con gli anarchici il problema dell’organizzazione ha risvolti non solo ideologici. Ha scritto sulla questione Knox, testimone non sospettabile, commentando il libro di Ronald Fraser: “Meritano tale simpatia alla luce di quello che accadde loro per mano dei comunisti; ma come difensori della repubblica sul campo lasciarono a desiderare. Dire che le colonne anarchiche non erano una forza di combattimento efficace è usare un eufemismo. A volte dimostrarono un coraggio quasi folle e furono inclini a gesti drammatici; ma non si poteva fare affidamento su di loro. Nessuno a Madrid si sentiva tranquillo con una formazione anarchica al fianco”40. 45 Sono elementi che non si possono sottovalutare, tanto più che il progetto di orientamento e organizzazione, che Roasio è venuto a far funzionare, accusa difficoltà a realizzarsi persino tra le file comuniste. Secondo Giuliano Pajetta, il motivo per i dirigenti comunisti “di maggiore sorpresa e di inquietudine era rappresentato dall’insufficienza di qualsiasi organizzazione militare, dall’incapacità dei più perfino a comprendere una tale necessità”41. E anche quando verrà compresa, resteranno molte le riserve, soprattutto nei confronti della gerarchia militare: Osvaldo Negarville, nell’autobiografia, scrive una dura pagina contro l’abitudine dei “compagni comandanti” di utilizzare i volontari in parate ed esibizioni: “Non accettiamo di diventare animali da esibizione”42. L’insofferenza alla disciplina non è tanto, in questa occasione, un costume appreso o un atteggiamento caratteriale, è invece il risultato di un modo di intendere e praticare l’attività politica e politico-militare proprio di una “guerra di popolo” spontanea, che mette inevitabilmente in conflitto il comportamento del volontario con i “gesti misurati di alcuni membri dell’apparato giunti dall’Unione Sovietica a coordinare l’azione dei comunisti italiani in Spagna” e che costerà a Leone, ad esempio, l’allontanamento dal fronte, malgrado le ampie prove di affidabilità tattica e umana43. Peraltro - e la nota non è solo di costume - dalle testimonianze tutte è agevole ricavare i giudizi ora caustici ora d’affetto ora persino filiali dei volontari per i loro dirigenti e al di là delle barriere ideologiche: sintomo questo di un modo di vivere una guerra tutto particolare poiché qui “la lotta si sprigiona dal basso, è feroce, ma a misura d’uomo”44. Da questo punto di vista la dirigenza comunista italiana potrà davvero ricavare preziose “lezioni” da applicare, di lì a qualche anno, al movimento che darà vita, in modo altrettanto spontaneo, alla Resistenza. Il ritorno a Mosca di Roasio Sulla base dell’autobiografia non è del tutto chiaro il motivo del rientro a Mosca di Roasio, dopo le battaglie di Mirabueno e di Majadahonda. Secondo la Noce e Vidali il suo allontanamento dal fronte è conseguente alle ferite riportate a Pozuelo. Più articolata è la testimonianza dello stesso Roasio: “È appunto di fronte alla gravità delle perdite che l’Internazionale comunista, verso la fine del 1936, inviò una nota ai partiti comunisti più impegnati perché procurassero di preservare quadri politici che, formatisi in lunghi anni di esperienza e di lavoro, ora cadevano numerosi come semplici combattenti”45. La testimonianza è certo allusiva ai limiti della reticenza: la decisione di preservare dirigenti politici sperimentati, impedendo che possano cadere numerosi come semplici militanti, non può non corrispondere a una precisa valutazione del destino della guerra spagnola. In altri termini, significa riconoscere, alla fine del 1937, l’oramai inevitabile sconfitta. Per la verità non ci sono conferme documentarie a questo. Certo, il ruolo di Roasio assume un’altra destinazione. Nel gennaio 1937, non ancora del tutto ristabilito, si ritira al quartier generale di Albacete per organizzare l’ufficio matricole o ufficio quadri: lascia il suo incarico di commissario politico della brigata. Il suo compito ora è quello di accogliere i volontari, che giungono ancora numerosi, registrarne le generalità e il profilo politico, documentarsi sulla storia personale di ognuno, seguirne poi gli spostamenti e assicurare a tutti l’assistenza nei momenti di necessità. Anche ai commissari politici, da questo momento, secondo la testimonianza di Vittorio Vidali, vengono assegnate incombenze analoghe: “Il commissario di guerra si interessa dei combattenti in quanto uomini. Li accompagna sempre: quan46 do si arruolano, quando si addestrano, quando si inquadrano in unità di combattimento, quando vanno al fronte, quando combattono. Si interessa a tutto ciò che li riguarda: se mangiano e se dormono, se vengono educati, se hanno qualche svago, o se hanno delle preoccupazioni”46. Un ruolo di “tutoraggio“, che Roasio deve svolgere stando al centro della macchina organizzativa e non al fronte, è un ruolo che egli già conosce perché lo ha praticato a Mosca negli uffici del Comintern. Così che in questo frangente risulta “facilitato dal fatto che numerosi compagni li avevo incontrati alla scuola Zapada e leninista di Mosca e di molti altri conoscevo la biografia per la mia attività all’ufficio quadri del Comintern”47. Si direbbe che questo è un destino (e una competenza) strettamente legato alla sua militanza politica: nel dopoguerra sarà vice-responsabile della sezione di organizzazione e responsabile della sezione quadri fino al 1948, quando assumerà l’incarico di segretario regionale dell’Emilia-Romagna. All’ufficio quadri di Albacete resta sino all’ottobre 1937, al momento del suo rientro a Mosca. Come leggere questo mutamento di ruolo? Secondo Giorgio Bocca, che riprende la testimonianza di Antonio Berti, allora responsabile politico dei comunisti italiani, e di D’Onofrio, successore di Roasio ad Albacete, l’incarico gli giunge direttamente da Togliatti che lo utilizza come testa di ponte e come controllore nella intricata situazione del gruppo dirigente comunista italiano48. Allo stato attuale della documentazione non conosco altri riscontri obiettivi a questa interpretazione, che è però plausibile, oltre che per tutto ciò che si è sin qui detto, anche per alcuni altri elementi, in primo luogo quanto si dice nella stessa autobiografia. “Mentre migliaia di comunisti, di antifascisti italiani combattevano la loro prima grande battaglia contro il fascismo, ed accumulavano una grande esperienza politica e militare, mentre decine e centinaia di migliaia di italiani in Francia si attivizzavano in questa battaglia per la pace e la libertà, creando una riserva di forze inimmaginabile da utilizzare verso il nostro paese, il Centro del partito continuava a discutere se il pericolo principale era l’opportunismo od il settarismo, si andava alla ricerca di quelle formule che dovevano garantirci la purezza ideologica, approfondendo sempre più quei sintomi di crisi del centro direzionale, crisi che interessava un ristretto gruppo di compagni dirigenti, sempre più staccati dal vivo della lotta, crisi che non aveva nessuna influenza diretta verso le migliaia di comunisti che si trovavano in Francia”49. Sono gli anni convulsi in cui, dopo aver attraversato una crisi di consenso profondissima e tale da aver quasi annullato la loro presenza in Italia, i comunisti italiani, grazie alla sempre più autorevole leadership di Togliatti che dalla guerra di Spagna rilancia la politica delle alleanze50, avviano quel “nuovo corso” che li condurrà fuori dall’isolamento politico. Contemporaneamente muta l’atteggiamento dell’Urss nei confronti delle democrazie occidentali, malgrado le oscillazioni della diplomazia e della politica estera: situazione questa che si traduce anche in una più serrata lotta politica interna di partito e negli imminenti processi staliniani ai “deviazionisti”. Il controllo politico sul Partito comunista italiano si fa più stretto e la guerra di Spagna viene utilizzata come occasione propizia. Un secondo riscontro, a conferma del ruolo di Roasio, proviene da una nota informativa dell’Ambasciata italiana a Mosca, la quale tiene sotto stretta sorveglianza51 il gruppo comunista italiano residente all’Hotel Lux, peraltro non facilmente raggiungibile da operazioni spionistiche, essendo - come afferma una precedente nota informativa - controllato “more sovietico”, intendendo in modo sospettoso e rigido. Il telespresso così recita: 47 “Da fonte attendibile risulta che il noto Antonio Roasio avrebbe da tempo fatto ritorno a Mosca proveniente dalla Spagna, ove sarebbe rimasto ferito in una azione sul fronte di Madrid. Il Roasio avrebbe ripreso la propria attività in seno al Comintern, dove gli sarebbe stato affidato il reclutamento, il controllo e la selezione degli emigrati politici italiani, e sembra anche di altre nazionalità, desiderosi di recarsi in Ispagna, nonché altri incarichi politici. Il Regio Ambasciatore Rosso”52. Se all’apparenza si tratta di un problema irrilevante, quello del ruolo di Roasio nella guerra di Spagna e nella organizzazione comunista italiana e internazionale, in realtà solleva interrogativi circa tre questioni non marginali alle quali occorre dare una valutazione più equilibrata e più complessa. La prima questione riguarda il rapporto tra reale spinta autonoma e spontanea dei comunisti e degli antifascisti per la difesa della “rivoluzione spagnola”, da un lato, e reclutamento-controllo-selezione diretto e promosso dal centro organizzativo comunista: riguarda, cioè, il come e il perché di un controllo politico sulla base del partito, di cui nella guerra di Spagna si fanno le prime esperienze che torneranno assai utili nel dopoguerra in Italia. La seconda questione riguarda la natura delle relazioni tra gruppi dirigenti comunisti “nazionali” e linee di politica comune dell’Internazionale. In altri termini, si tratta di meglio comprendere quali siano gli effettivi margini di autonomia o quali i caratteri della sudditanza o invece i percorsi di un inevitabile adattamento che intercorrono nei rapporti tra singoli partiti comunisti e direzione dell’Internazionale: ne verrebbe una più articolata analisi di quel fenomeno che siamo soliti definire “stalinismo”. Qual è, in questa situazione, il grado di “obbedienza” alle direttive? Il caso del rapporto tra Togliatti e Roasio può essere esemplificativo. Malgrado la proclamata fedeltà al partito di Roasio, si direbbe che i rapporti tra i due dirigenti siano alquanto fluidi. Da un lato tra i due corrono incomprensioni non marginali che Roasio nell’autobiografia non esplicita, ma neppure minimizza: incomprensioni intanto di carattere (l’uno è sino in fondo “operaio”, l’altro politico e uomo di cultura), ma anche politiche, strategiche e in parte ideologiche. Dall’altro lato traspare nei confronti di Togliatti un atteggiamento di obbedienza, frutto in parte del modello di autodisciplina e di autocontrollo e in parte conseguenza della maggiore delicatezza della posizione personale di Roasio (è l’unico dirigente comunista italiano che a causa dell’omicidio Rivetti del 1926 non può, neppure clandestinamente, rientrare in Italia: e questo rende la sua posizione assai debole). La terza questione riguarda la tanto discussa vicenda dell’aiuto effettivo sovietico alla repubblica spagnola. Non è certo ancora possibile una valutazione complessiva e piena, ma alcuni elementi vanno messi in campo: ad esempio, nello stesso periodo in cui Roasio viene richiamato a Mosca, anche altri dirigenti comunisti (Di Vittorio, Negarville, ecc.) lasciano la Spagna, mentre viene avviata una profonda ristrutturazione del quadro dirigente delle brigate Garibaldi. Lo stesso Roasio poi, nell’autobiografia, muove esplicite critiche (quasi una polemica cifrata con destinatari non dichiarati) circa la scarsa combattività della resistenza armata dietro il fronte di guerra, nei paesi del Nord, nei paesi baschi, nelle Asturie53. Interessante, infine, il commento di Giulio Cerreti alla vicenda di “France-Navigation”: “Fu una bella festa e una rivincita su Stalin”54. Ha probabilmente ragione Gabriele Ranzato quando sostiene che gli aiuti sovietici alla Spagna repubblicana “non superarono mai un determinato limite”55 anche al fine di impedire “sviluppi rivoluzionari della situazione spagnola” che avrebbero potuto far naufragare 48 le possibili alleanze dell’Urss con le potenze democratiche occidentali. Peraltro, se l’afflusso di volontari non cessò, andò però diminuendo a partire dal 1938. Quando Roasio se ne va, nell’ottobre 1937, gli subentra Togliatti “Alfredo”, e una nuova fase comincia. Mi pare però necessario concludere queste succinte note con il convincimento che Roasio si porta appresso da quella, pur fugace, esperienza: “Sono convinto scrive nel 1984 - che la grande lezione storica di quella battaglia popolare non fu pienamente compresa dalle forze di sinistra”56. E intende dire che un meno timido intervento avrebbe alquanto giovato alla democrazia spagnola e al movimento comunista internazionale: a questo principio Roasio rimarrà sempre fedele. 1 GEORGE ORWELL, Omaggio alla Catalogna, Milano, Saggiatore, 1964, p. 279. Su questi aspetti presenti anche nella storiografia e nella memorialistica della Resistenza partigiana in Italia mi sono soffermato in La dimensione esistenziale della banda partigiana, in “Rivista di storia contemporanea”, a. XIX, n. 4, ottobre 1990, pp. 550-586. 2 BERNARD KNOX, Ricordando Madrid, in “Comunità”, a. XXXV, n. 183, novembre 1981, pp. 176-177, sottolinea questi aspetti in un suo non retorico, ma commosso ricordo di quei giorni. Dopo aver citato Auden (Spain, 1937, la traduzione italiana di Silvio Piccinato è in DARIO PUCCINI, Romancero della Resistenza spagnola, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 383): “La storia agli sconfitti potrà dire ‘peccato!’ ma non potrà dare né aiuto né perdono”, ricorda come persino “l’amnistia proclamata dopo la morte di Franco arrivò troppo tardi per gli esiliati, che avevano combattuto il fascismo così a lungo e su tanti fronti. La storia era andata avanti senza di loro”. 3 B. KNOX, art. cit., p. 166. Si vedano a proposito delle testimonianze storiche, ad esempio, opere quali GEORGE HILLS, The Battle for Madrid, New York, St. Martin’s, 1976; DAN KURZMAN, Miracle of November: Madrid’s Epic Stand, 1936, New York, Putnam’s, 1980; DOLORES Ibárruri, Memorie di una rivoluzionaria, Roma, Editori Riuniti, 1962; CONSTANCIA DE LA MORA, Gloriosa Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1976; PIETRO NENNI, Spagna, Milano, Sugarco, 1976. In parte questo atteggiamento ha condizionato anche la storiografia: si veda ad esempio HUGH THOMAS, Storia della guerra civile spagnola, Torino, Einaudi, 1963. 4 Si vedano ad esempio PIERRE VILAR, Storia della Spagna, Milano, Feltrinelli, 1955; ID, La guerra del 1936 nella storia della Spagna contemporanea, in “Critica marxista”, a. VII, n. 2, marzoaprile 1969, pp. 91-117. Inoltre MANUEL TUÑON DE LARA, Storia del movimento operaio spagnolo, Roma, Editori Riuniti, 1972; CARLOS SEMPRUN MAURA, Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna, Milano, Feltrinelli, 1976. Vilar scrive, ad esempio, che per comprendere la guerra spagnola occorre in primo luogo ricostruire “l’ambiente di paura, di tensione, di rabbia sorda, originato dalla vittoria inaspettata del Fronte popolare, in tutti i nuclei di forze reazionarie e borghesi” (p. 115). 5 G. ORWELL, op. cit., p. 279. 6 ANTONIO ROASIO, Un’esperienza antifascista nella Spagna della guerra civile, in “l’impegno”, a. VI, n. 1, marzo 1986, pp. 5-10. Si tratta della relazione svolta al convegno La guerra di 49 Spagna: dalla memoria storica alla lezione attuale, Torino, 11-12 maggio 1984. Importante anche, in quello stesso convegno, la relazione di ANELLO POMA, La guerra di Spagna: ricordi e riflessioni, in “l’impegno”, a. VI, n. 2, giugno 1986, pp. 29-34. Entrambe sono ora ripubblicate in questo e-book (ndc). 7 GIULIANO PAJETTA, Lezioni politiche della guerra in Spagna, in “Critica marxista”, a. IX, n. 3, maggio-giugno 1971, p. 106. Si veda anche VERNON R ICHARDS, Insegnamenti della rivoluzione spagnola (1936-1939), Pistoia, Edizioni “V. Valiera”, 1974. 8 Così si esprime GIANNI ISOLA, Francesco Leone e la centuria “Gastone Sozzi”. Analisi quantitativa di una leggenda, in “l’impegno”, a. VIII, n. 2, agosto 1988, p. 12 e ora in questo volume. 9 Mi limiterò a ricordare M. TUÑON DE LARA, Storia della Repubblica e della guerra civile in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1966; H. THOMAS, op. cit.; BURNET BOLLOTEN, The Spanish Revolution: The Left and the Struggle for PowerDuring the Civil War, Chapel Hill, University of North Carolina, 1980; l’interessante CÉSAR M. LORENZO, Los anarquistas españoles y el poder, Paris, Ruedo Ibérico, 1972; la rassegna bibliografica di CLAUDIO VENZA, Gli anarchici e il Fronte popolare nella recente storiografia italiana, in CLAUDIO NATOLI - LEONARDO RAPONE (a cura di), A cinquant’anni dalla guerra di Spagna, Milano, Angeli, 1987; infine, ALDO AGOSTI (a cura di), La stagione dei Fronti popolari, Bologna, Cappelli, 1989. 10 Talvolta, occorre aggiungere, anche in modo scorretto e impreciso. 11 Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Ps, Casellario politico centrale, fascicolo “Antonio Roasio”, b. 4.356. D’ora innanzi le citazioni tratte da questa fonte verranno segnalate nel testo. 12 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, p. 127. 13 Idem, passim. 14 PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III: I fronti popolari, Stalin, la guerra, Torino, Einaudi, 1970, pp. 130-144; TERESA NOCE, Rivoluzionaria professionale, Milano, La Pietra, 1974, pp. 216-218; LUIGI LONGO - CARLO SALINARI, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna. Ricordi e riflessioni di un militante comunista, Milano, Teti, 1976, pp. 359-360. 15 Si veda la nota n. 11. 16 Sul nome di Roasio si concentrano ad esempio imprecisioni, incompletezze, infortuni informativi derivati da omonimie, tali da sollevare seri dubbi sulla stessa attendibilità della fonte. Viene segnalato ancora in Spagna nel 1938. Prima della vicenda spagnola viene ricercato per qualche tempo con il nome di “Boasio Antonio”, poi di “Rossic Antonio di Giuseppe”, poi di “Roasio Antonio di Imperniato”, poi di “Lorasio Antonio”: imprecisioni inquietanti soprattutto se si tien conto che Antonio Roasio è ricercato per l’omicidio Rivetti. Nel 1932 un fitto carteggio tra la Prefettura di Bologna (città nella quale Roasio ha svolto servizio di leva e si è segnalato come contestatore della disciplina militare), quelle di Vercelli e di Alessandria e il Ministero dell’Interno, è motivato da una parziale omonimia che impegna per qualche mese le forze dell’ordine nel tentativo di identificare un certo Roasio Giovanni, nato a Costigliole d’Asti, per un certo tempo istitutore presso un collegio salesiano bolognese, scambiato per il dirigente comunista e risultato poi del tutto estraneo agli ambienti eversivi e persona di “moralità ineccepibile”. Va detto per altro, a parziale giustificazione dell’incoerente operato della polizia, che la lunga assenza di Roasio dall’Italia e la mancanza di fotografie segnaletiche aggiornate riducono in parte la possibilità stessa del controllo, che comunque, come dimostrato, resta assiduo e vigile. 17 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 99. 18 P. SPRIANO, op. cit., p. 89. Si veda anche D. T. CATTELL, I comunisti e la guerra civile spagnola, Milano, Feltrinelli, 1962. 19 A. AGOSTI, La Terza Internazionale. Storia documentaria, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 1.016-1.017, ma si vedano anche le pp. 1.025-1.044. 20 A parziale giustificazione della iniziale indifferenza, Giuliano Pajetta, nell’articolo citato, afferma che “di fronte alla grandiosità degli avvenimenti di quegli anni”, “quanto succedeva in Spagna passava effettivamente in secondo piano” e assumeva un “carattere che sembrava marginale”. La partenza di quei dirigenti comunisti per la Spagna (anche Longo ritorna in Spagna nella prima quindicina di ottobre 1936) confermerebbe il mutato atteggiamento. 21 P. SPRIANO, op. cit., p. 80. 50 22 Di Santos Juliá si vedano i recenti Il Fronte popolare nella guerra civile spagnola, in C. NATOLI - L. RAPONE (a cura di), op. cit., pp. 15-30 e Strategia comune e lotta per l’egemonia: forza e debolezza del fronte popolare durante la guerra civile, in A. AGOSTI (a cura di), La stagione dei Fronti popolari, cit., pp. 241-263. 23 Citato in M. TUÑON DE LARA, La guerra civile in Spagna, in ROBERTO BONCHIO (a cura di), Storia delle Rivoluzioni del XX secolo, vol. II, Roma, Editori Riuniti, 1966. 24 P. SPRIANO, op. cit., p. 84. Secondo Spriano, che riprende da Cattell, Stalin “avrebbe deciso di intervenire in Spagna tra la fine d’agosto e la prima settimana di settembre” (idem, p. 93). 25 Antonio Roasio era nato a Vercelli nel novembre 1902 da poverissima famiglia di braccianti agricoli, ultimo di tre fratelli. Nel 1908 si trasferisce con la famiglia a Biella, dove i genitori e poi il fratello maggiore trovano lavoro nell’industria tessile. Anche lui entra al lavoro in fabbrica giovanissimo come apprendista tessile del turno di notte, “imparando allora che cosa significa la tortura del lavoro”. Si avvicina alla politica prima come socialista e poi come bordighista. Ancora negli anni settanta trova incomprensibile il “riformismo” degli operai biellesi: “Sembra una contraddizione che il Biellese, centro di grandi lotte economiche, con scoppi violenti di moti popolari e di classe, sin dall’inizio e per lunghi anni sia stato influenzato da uomini come Rigola, Quaglino..., cioè esponenti della corrente riformista del Psi che godevano di larga influenza e prestigio tra i lavoratori”. Come attaccafili, partecipa e si fa organizzatore della famosa lotta. Nel 1920 viene licenziato dal Lanificio Sella. Tra il 1920 e il 1926 è molto impegnato nell’attività politica, come del resto tutta la sua famiglia: su quattro comunisti presenti nel consiglio comunale di Biella, uno è suo fratello e l’altro suo zio. L’episodio che segna una svolta irreversibile nella sua vita avviene il 18 febbraio 1926: in fabbrica uccide il padrone Rivetti (di questo episodio sono molte le versioni). Aiutato a fuggire dalla rete ormai clandestina del Partito comunista (verrà tra l’altro ospitato per alcuni giorni a Milano), emigra nell’Unione Sovietica in un viaggio avventuroso. Lì incontra Dina Ermini con la quale si sposa (la Ermini era nata a San Giovanni Valdarno nel 1908 ed era già coniugata con Orazio Marchi, che sarà capitano nelle brigate “Garibaldi” in Spagna. Era poi emigrata in Francia e in Urss. Per qualche tempo sarà segretaria di Antonio Berti). Nel 1943 viene fatto rientrare in Italia come responsabile organizzativo comunista nelle zone liberate. Dal 1938 (subito dopo il rientro in Urss dalla Spagna) fa parte della Direzione del Partito comunista italiano. Per tutto questo, oltre all’autobiografia, si veda la voce Antonio Roasio, di Aldo Agosti, in FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. IV, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 360-362. 26 Archivio Pietro Secchia. 1945-1973, in “Annali”, a. XIX (1978), Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 1979, p. 136. Per una valutazione critica di questi primi anni di vita del movimento comunista biellese si veda l’importante introduzione al volume di Enzo Collotti. 27 Basterebbe fare un confronto con alcune tra le più significative autobiografie, quali ad esempio quella di GIORGIO AMENDOLA, Una scelta di vita, Milano, Rizzoli, 1976; di ARTURO COLOMBI, Vita di militante, Roma, La Pietra, 1976 e di FELICITA FERRERO, Un nocciolo di verità, Milano, La Pietra, 1978. 28 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., pp. 100-101. 29 Idem, pp. 113-114. 30 L. LONGO - C. SALINARI, op. cit., pp. 359-360. Non diversamente G. PAJETTA, L’emigrazione italiana ed il Pcf tra le due guerre, in “Critica marxista”, a. VIII, n. 6, novembre-dicembre 1970, pp. 143-159. 31 Ho studiato questi aspetti nel mio Il militante comunista torinese (1945-1955). Fabbrica, società, politica: una prima ricognizione, in A. AGOSTI (a cura di), I muscoli della storia. Militanti e organizzazioni operaie a Torino 1945-1955, Milano, Angeli, 1987, pp. 88-213. 32 Con il “rinnovamento” in atto tutto il “vecchio” gruppo dirigente verrà relegato ad un ruolo puramente rappresentativo ed escluso dalla direzione di partito: è un destino che riguarda Roasio, ma anche altri dirigenti suoi coetanei. È interessante notare come, proprio in questi anni (1975-1980), ci sia un fiorire di memorie e autobiografie di dirigenti e militanti comunisti italiani. 33 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 346 e ss. 34 Si veda il mio Uomini fabbrica potere, Milano, Angeli, 1987, in particolare il sesto capitolo su La sconfitta. 35 PAOLA CORTI - ALEJANDRO PIZARRÓSO QUINTÉRO, Giornali contro. “Il Legionario” e “Il 51 Garibaldino “. La propaganda degli italiani nella guerra di Spagna, Alessandria, Edizioni dell’Orso; Torino, Istituto di studi storici “Gaetano Salvemini”, 1993. 36 G. AMENDOLA, Storia del Partito comunista italiano. 1921-1943, Roma, Editori Riuniti, 1978, pp. 308-309. 37 Si vedano i saggi, citati, di Santos Juliá e di César M. Lorenzo. 38 Sulla “contropropaganda” fascista e franchista si veda il saggio di MIMMO FRANZINELLI, L’intervento del clero militare italiano nella guerra civile spagnola, in “Spagna contemporanea”, n. 4, 1993, pp. 161-183. 39 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 122. Su questo però si vedano anche LUIGI LONGO, Le brigate internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956 e GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna, Roma, Edizioni di Cultura sociale, 1955. 40 B. KNOX, art. cit., p. 157. Il testo di Ronald Fraser è Blood of Spain, New York, Pantheon, 1979. Sul ruolo giocato dal Poum si veda la rassegna bibliografica di EMMA SCARAMUZZA, Il Partito obrero de unificatión marxista: un bilancio storiografico, in “Rivista di storia contemporanea”, a. X, n. 2, luglio 1981, pp. 235-254. Interessanti, su queste vicende, le osservazioni nel fresco libro di JULIÁN ZUGAZAGOITIA, Guerra y vicisitudes de los españoles, Parigi, Libreria española, 1969. 41 G. PAJETTA, La guerra di Spagna, cit., p. 109. 42 OSVALDO “VALERIO” NEGARVILLE, L’ironia e la pazienza, dattiloscritto, p. 90. Sullo “spontaneismo” dei volontari è interessante una osservazione dello stesso Roasio in un articolo, Note sulla storia del partito dal ’37 al ’43, apparso in “Critica marxista”, a. X, nn. 2-3, marzo-giugno 1972, nel quale si dice: molti antifascisti, “in modo spontaneo, riuscirono a varcare i confini per andare in Spagna a combattere, e questo malgrado il parere contrario del Centro del partito, che considerava il lavoro in Italia come compito principale” (p. 180). 43 G. ISOLA, art. cit., p. 21. 44 P. SPRIANO, op. cit., p. 80. 45 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 131. 46 VITTORIO VIDALI, Spagna lunga battaglia, Milano, Vangelista, 1975, p. 110. Altri documenti sono editi in ID, Il Quinto Reggimento. Come si forgiò l’esercito popolare spagnolo, Milano, La Pietra, 1976. 47 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 113. 48 GIORGIO BOCCA, Palmiro Togliatti, Bari, Laterza, 1973. 49 La citazione e tratta da A. ROASIO, Note sulla storia del partito dal ’37 al ’43, cit., p. 180. 50 Si vedano, oltre che i capp. IX-XIV di P. SPRIANO, Storia del Pci, vol. III, cit., CLAUDIO NATOLI, Togliatti e il dibattito sulla “democrazia di tipo nuovo” nel Fronte popolare (19351937), in C. NATOLI - L. RAPONE (a cura di), op. cit., pp. 109-124, e i saggi di A. AGOSTI, La linea “Dimitrov“ nell’Internazionale comunista 1934-39, e di GIULIANO PROCACCI, Congressi della pace e guerra di Spagna, in A. AGOSTI (a cura di), La stagione dei Fronti popolari, cit., rispettivamente alle pp. 65-85 e 86-126. 51 Sul controllo degli emigrati da parte della Ambasciata italiana a Mosca si veda GIORGIO FABRE, Roma a Mosca. Lo spionaggio fascista in Urss e il caso Guarnaschelli, Bari, Dedalo, 1990. 52 II telespresso è in data 17 febbraio 1938. 53 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 128. 54 Ci si riferisce al noto episodio del mercantile sovietico, carico di armi e munizioni destinate ai miliziani spagnoli e bloccato, per decisione di Stalin, nel porto di Odessa. Il carico viene trasferito senza autorizzazione sul mercantile di France-Navigation affidato a “Cap Pinede” e portato a destinazione: si veda GIULIO CERRETI, Con Togliatti e Thorez, Milano, Feltrinelli, 1973. Il corsivo è mio. 55 GABRIELE RANZATO, Guerra civile in Spagna, in Il Mondo contemporaneo. Storia d’Europa, vol. I, Firenze, La Nuova Italia, 1980, pp. 424-425. 56 A. ROASIO, Un’esperienza antifascista, cit., p. 9. A conferma di questa lunga fedeltà, oltre all’articolo e all’autobiografia, è utile rifarsi ad altri due scritti testimoniali di Roasio: Soldati della Repubblica, in Perché andammo in Spagna, Roma, Anppia, 1966, pp. 66-73 e Battesimo del fuoco per i garibaldini al Cerro de los Angeles, in CESARE PILLON, I comunisti nella storia d’Italia, Milano, Calendario del popolo, 1973, p. 515. 52 La gioventù antifascista biellese in difesa della Repubblica spagnola di Anello Poma Gli antifascisti originari della provincia di Vercelli che, in numero abbastanza consistente, accorsero in Spagna provenivano in larghissima maggioranza dai paesi d’emigrazione. Trattandosi di persone impegnate politicamente, avevano seguito le vicende politico-sociali della Spagna almeno a partire dai fatti delle Asturie del 1934, per l’emozione e la solidarietà che essi suscitarono. Conoscevano dunque, anche se soltanto superficialmente, quel paese e poterono inserirsi in quella realtà senza gravi difficoltà. Credo si possa dire che gli italiani ne incontrarono assai meno che non altri, per tantissime ragioni a cominciare dall’affinità della lingua. Premesso questo, spero abbia un qualche interesse parlare anche dell’impatto che ebbero con la realtà spagnola quei volontari che provenivano direttamente dall’Italia, soprattutto, come nel caso di chi vi parla, di coloro che erano cresciuti nel regime fascista, nelle organizzazioni del regime, da “balilla” fino a “giovane fascista”. Questi non sapevano, se non per sentito dire, ma pur sempre in modo nebuloso, che cosa era la democrazia, un sistema parlamentare, la libertà di stampa e di associazione: nelle loro orecchie rintronavano soltanto le invettive contro le demo-plutocrazie, che Mussolini, i gerarchi, ed anche i giornali, diffondevano quotidianamente. Né potevano servire da antidoto, se non per poche persone, i rari fogli di stampa clandestina. Da quanto mi risulta su cinquemila volontari italiani duecento provenivano direttamente dall’Italia; pochi certamente, ma un numero sufficiente per cercare di ricavare elementi di giudizio sul loro comportamento, sulle reazioni, anche differenziate, che quell’esperienza provocò in loro. Dalla nostra provincia quattro espatriarono in Francia e raggiunsero la Spagna, tutti nell’estate del 1937. Tra questi c’ero anch’io che, in compagnia di un amico, Pio Borsano, come me operaio ventiquattrenne, raggiunsi Parigi nell’agosto del 1937, viaggiando su un treno popolare allestito da enti turistici per visitare l’Esposizione internazionale. Da qui vorrei cominciare il mio racconto: la prima ventata di libertà, che fu per me e il mio compagno entusiasmante, la ricevetti all’entrata in territorio francese. Il treno sul quale viaggiavamo incrociò un reparto di soldati: erano chasseurs des alpes, corrispondenti ai nostri alpini, che salutarono il treno, che sapevano venire dall’Italia, alzando il pugno chiuso, nel saluto del Fronte popolare. Provai un’emozione grandissima, pari a quella che mi investì il giorno dopo, quando per le vie di Parigi m’imbattei in due diffusori dell’“Humanité”, il quotidiano comunista, che mi offrirono il giornale mentre intavolavano un’animata conversazione con un altro passante. Il mio primo incontro con la democrazia ebbe quei due segni inconfondibili: un esercito democratico e la libertà di stampare e diffondere un giornale. Non ebbi naturalmente il tempo di conoscere alcunché di Parigi negli otto giorni di permanenza, dedi53 cati interamente a stabilire i contatti con l’ambiente dell’antifascismo italiano, a conoscerlo e a farmi conoscere. La cosa che meglio ricordo, ma anche questa piuttosto vagamente, è un comizio di Giuseppe Di Vittorio, appena tornato dalla Spagna, in una grande sala molto affollata. Fu quella la prima volta che conobbi gli anarchici, che chiedevano conto all’oratore dell’uccisione del loro compagno Camillo Bernieri, vittima dei fatti sanguinosi di Barcellona. In Spagna giunsi verso la fine del mese di agosto, dopo una breve tappa a Carcassonne, prima di attraversare la frontiera spagnola. A cinquant’anni di distanza non mi si possono chiedere altro che spezzoni di ricordi ed essi sono poi i fatti, importanti e meno importanti, che più mi sono rimasti impressi nella memoria. Ricordi vaghi e senza storia quelli del viaggio per raggiungere Albacete, centro di raccolta dei volontari delle brigate internazionali. L’aria che tirava mi parve piena di ottimismo e di fiducia; campeggiavano scritte inneggianti al governo, a Juan Negrín e alla Pasionaria, ma anche a Largo Caballero, nonostante non fosse più al governo, e a Buenaventura Durruti, il capo anarchico caduto sul fronte di Madrid. Il periodo di addestramento che feci a Quintanar de la República (come si chiamava allora) si limitò all’indispensabile. Il ricordo si fa più vivo per quanto riguarda il mio arrivo alla brigata e soprattutto per l’incontro con gli spagnoli. Venni assegnato al 3o battaglione, 3a compagnia, e la prima scoperta che feci fu che l’organico della brigata era composto in maggioranza da spagnoli, cosa del tutto logica, ma che in quel primo momento mi stupì. Tanti di loro giunsero più o meno negli stessi giorni e si trattava non di volontari ma di soldati di leva della classe 1917. Quelli che conobbi più a fondo, e con i quali legai di una salda, affettuosa amicizia, provenivano dall’Andalusia, dalla provincia di Jaén. Il rapporto che stabilii con quei giovani andalusi fu, intanto, di stimolo all’apprendimento della lingua, che infatti imparai rapidamente e nemmeno male. Credo che anche per loro rappresentò qualcosa d’importante l’incontro con un giovane come anch’io ero, tramite il quale imparavano a conoscere i miliziani delle brigate internazionali, e per di più di nazionalità italiana, che combattevano per la Repubblica. Il fatto più significativo fu che assieme a quei giovani andalusi feci conoscenza della guerra e non so, o meglio non ricordo, se quella compagnia influì nel mio comportamento. Ricordo tuttavia molto bene che ancor prima di guadagnarmi la loro salda amicizia mi guadagnai la loro stima, per il solo fatto che seppi, come hanno saputo fare tanti altri, mantenere una certa padronanza di nervi al primo impatto con la guerra. Salimmo al fronte a Fuentes de Ebro, nei pressi di Saragozza, per una azione offensiva. L’attacco non ebbe alcun esito perché gli intenti offensivi furono bloccati sul nascere. Seguirono alcuni giorni di sparatoria dalle opposte trincee e non vi furono scontri a breve distanza. La guerra la conoscemmo soprattutto attraverso un intenso fuoco d’artiglieria a cui fummo sottoposti, senza però subire perdite serie perché eravamo su posizioni protette. Era pur sempre il cosiddetto battesimo del fuoco e per quei giovani andalusi fu traumatizzante perché, a mio avviso, da generazioni gli spagnoli non sapevano cosa fosse la guerra, nemmeno per sentito dire. Aggiungo subito che quando impararono a farla la fecero bene, ma quel primo impatto per loro fu un trauma. Nei mesi successivi altri giovani affluirono alla brigata ed erano catalani, parecchi provenivano dalla città o dalla provincia di Barcellona. Vi erano certamente più affinità: erano, come me, figli di una civiltà industriale e quindi anche con loro mi fu facile stabilire rapporti di amicizia, che tuttavia non furono della stessa intensità rispetto 54 a quelli con gli andalusi e quindi le mie preferenze andarono fino all’ultimo a questi. Di loro mi sono portato dietro un ricordo sconvolgente. Eravamo nel mese di ottobre, dopo che l’Esercito dell’Ebro era ritornato sulle posizioni di partenza, e mentre noi eravamo in attesa di lasciare la Spagna, dopo il ritiro dal fronte: ricevetti la visita di López, un ragazzo vivace con il quale credo di aver trascorso tutto il tempo sui vari fronti. Mi raccontò del lavoro per la riorganizzazione della brigata dicendomi con la massima serietà e convinzione una cosa incredibile: “Ci stiamo preparando per un’altra battaglia” e proferì una frase che mi rimase scolpita: “Me cago en Dios, voy a pelear con mucha gana”. Potei solo guardarlo con un sentimento colmo di ammirata affezione, e questo resta il mio ultimo ricordo degli spagnoli. Rifacendo il cammino a ritroso, racconterò che, durante la lunga sosta invernale della fine del 1937 - inizio 1938 trascorsa in Aragona (mi pare fosse nelle vicinanze di Lérida, ma non ne sono sicuro) conobbi i due altri miliziani di questa provincia, giunti come me e Borsano dall’Italia, un mese prima del nostro arrivo: Gaspare Fracasso ed Eraldo Venezia, di Tronzano il primo, di Bianzè il secondo, che tuttavia risiedeva da molti anni a Biella. Ad Eraldo Venezia vorrei dedicare un ricordo: egli cadde sul fronte dell’Estremadura il 16 febbraio del 1938, ed appartiene alla schiera di militanti dell’antifascismo italiano ed internazionale che, donando la loro vita per la libertà del popolo spagnolo, lasciarono un grande vuoto, perché possedevano doti che sarebbero certamente emerse già nel corso di quella guerra, ma soprattutto nelle battaglie successive. La storia purtroppo non ha ricordato uomini come lui perché scomparsi troppo presto, perciò amo parlarne per quel poco che so e ricordo, per la grande stima e affetto che ho conservato. Eraldo Venezia era cresciuto nel fuoco delle durissime lotte condotte dai braccianti del Vercellese per contrastare la marcia delle squadre fasciste: trasferitosi a Biella quando la vita al suo paese si rese pericolosa, ma soprattutto, si rese difficile, anzi, impossibile avere occasioni di lavoro, non desistette dal suo impegno militante, nemmeno quando il fascismo emanò le leggi eccezionali: subì dunque il rigore di quelle leggi con anni di galera e, scontata la pena, nel luglio del 1937 era in Spagna. Combatté a Farlete, Fuentes de Ebro e cadde, come ho detto, sul fronte dell’Estremadura: faceva parte del 1o battaglione della brigata “Garibaldi” e, da quanto seppi, era candidato alla nomina a commissario di compagnia, e forse gli era già toccato di assumere il comando del suo reparto, perché morì mentre proteggeva la ritirata dei suoi uomini, sotto l’incalzare di un contrattacco di truppe di colore. Al di là di questo ebbi in seguito testimonianze di altri miliziani del suo battaglione, i quali lo tenevano in grande considerazione ed esaltavano la sua capacità di saper legare con gli spagnoli. Nei frequenti incontri che ebbi con lui, potei imparare qualcosa persino su taluni aspetti dell’attività del movimento a Biella e in provincia, e poiché era più maturo di me e attento allo svolgersi dell’attività non solo militare, mi aiutò a capire più in fretta certi risvolti anche contraddittori della vita politica e dell’andamento delle operazioni militari. Mi impressionava poi la sua carica umana e l’entusiasmo che sapeva trasmettere a chi gli stava vicino: era un uomo forte e, poco più che trentenne (era del 1903), si trovava nel pieno della sua vigoria fisica e maturo intellettualmente. È facile intuire come, essendo un modesto bracciante e poi operaio, quel che possedeva di cognizioni culturali fosse il prodotto della sua passione e del suo impegno dedicato durante il soggiorno nelle patrie galere. La sua carica d’entusiasmo ne faceva anche un uomo 55 coraggioso e di ciò ebbi più di una conferma da altri combattenti che sapevano cos’era il coraggio, nel senso di consapevolezza e quindi, quando bisognava averne. Una delle impressioni che più mi sono rimaste impresse nella memoria, riguardanti l’atteggiamento della gente di Spagna verso i miliziani delle brigate internazionali, la ricavai durante il viaggio che compimmo all’inizio di febbraio per recarci in Estremadura, partendo dall’Aragona e percorrendo tutto il Levante. Era la stagione della raccolta delle arance e, durante le soste del treno nelle stazioni, la popolazione e soprattutto le donne addette a quel lavoro riempivano letteralmente gli scompartimenti di arance, accompagnate da calorose manifestazioni di saluto. Eravamo ormai nel 1938, la guerra durava da un anno e mezzo, i dolori e i disagi si facevano sentire, e per me quelle manifestazioni spontanee sono rimaste il segno dell’adesione popolare a quella guerra. Tornando alle vicende militari (posso parlarne avendo passato tutto il tempo al fronte o nelle vicinanze), lo scontro che avemmo in Estremadura, nato, a quanto appresi in seguito, come parte di un’operazione su vasta scala, si rimpicciolì strada facendo fino a ridursi un’operazione di modeste dimensioni. Intanto però Venezia, e con lui altri, ci rimisero vita ed io rimediai la prima ferita: niente di grave, ma i medici mi spedirono all’ospedale di Murcia. Qualche giorno dopo fui trasferito in una località balneare per la guarigione così mi godetti la mia prima vacanza al mare. Durò poco perché all’inizio di marzo i fascisti sfondarono il fronte aragonese e perciò furono affrettati i tempi per il rientro alla brigata. Venni incorporato nel 1 o battaglione, 1a compagnia, che però esisteva ormai più di nome che di fatto. Nei combattimenti di Caspe per arginare la dirompente offensiva dei franchisti la brigata aveva subito dure perdite e i suoi reparti scompaginati dovevano essere ricomposti mentre si cercava di ritardare l’avanzata nemica. L’impresa si dimostrò sempre più difficile e, dopo il tentativo di ristabilire il fronte a Gandesa, riprendemmo a ritirarci fino al fiume Ebro, che ci salvò dalla completa disfatta. La brigata come tante altre unità subì una grave crisi, perché diversi non se la sentirono di continuare quella lotta e si ritirarono in Francia. Resto ancora oggi convinto che la riorganizzazione della brigata, attestatasi lungo il tratto della riva sinistra dell’Ebro, abbia avuto del miracoloso. La sconfitta subita in Aragona, che portò alla perdita di questa regione, la separazione della Catalogna dal resto del Spagna, non ebbero le conseguenze irreparabili che si potevano temere. Credo che l’Esercito dell’Ebro fu costruito grazie ad una straordinaria tenuta del morale, non solo dei combattenti ma anche della popolazione. Certo, giunsero rinforzi persino di interbrigatisti che sostituirono perdite ed abbandoni, ma il nucleo fondamentale di quell’esercito furono i resti delle divisioni sconfitte in Aragona, uomini che non si consideravano vinti. Lo avvertivo dentro di me e lo sentivo presente in tutti gli altri. Quei mesi che trascorsi sulla riva sinistra dell’Ebro segnarono per me, e credo sia stato così per tantissimi altri, un processo di maturazione estremamente rapido, non solo nella mia formazione di combattente, ma di uomo, diciamo pure di militante. Credo sia maturata in quei mesi, e in modo pieno, la mia decisione di diventare quello che nel linguaggio della III Internazionale, si definì il “rivoluzionario di professione”. Che ci fosse piena consapevolezza del significato strettamente politico del termine non saprei dirlo con certezza: forse in quel momento aveva semplicemente il significato di non accettare la sconfitta e di cercare la rivincita. Fu così infatti per il proseguimento delle altre battaglie in Spagna e poi fuori dalla Spagna. Partecipai alla fase difensiva della 56 battaglia dell’Ebro, la più dura, la più ingrata e nel contempo la più sanguinosa: subii due ferite, di quelle che in gergo militare si chiamano “ferite intelligenti” perché non ledono nessun organo vitale, e dopo la seconda non tornai più al fronte. Eravamo alla fine di settembre e proprio in quei giorni il ministro degli Esteri della Repubblica spagnola, Julio Alvarez del Vayo, annunciava alla Società delle nazioni che il suo governo aveva deliberato il ritiro delle brigate internazionali. Di lì a qualche mese avrei varcato con i resti dell’Esercito repubblicano e centinaia di migliaia di civili fuggiaschi il confine francese, dove ci attendevano i campi di internamento. Per la verità i campi non erano ancora pronti e fu la nuda sabbia del Mediterraneo ad accogliere centinaia di migliaia di persone, sotto la vigilanza indifferente, ma non certo amica, di truppe coloniali francesi, composte per l’occasione da senegalesi. Non c’era proprio niente ad Argelès-sur-Mer dove fu la mia destinazione, non ancora le baracche, mentre servizi erano improvvisati: solo sabbia e basta, ed eravamo nella prima metà di febbraio. Per fortuna ci aveva temprati il freddo inverno di Aragona, regione che conosce rigidi inverni e torride estati, e poi c’era la giovane età. Solo in aprile fummo trasferiti a Gurs, nelle vicinanze di Pau, nei Pirenei occidentali. Quel campo sarebbe diventato famoso e celebrato nella letteratura che parla di quei tempi bui e tormentati: da quel campo passarono decine di migliaia di spagnoli, di antifascisti di tanti paesi dell’Europa e infine di ebrei che si erano rifugiati in Francia. Un grande cartello esposto là dove vi era il campo (del quale si è conservato come unica testimonianza un cimitero) ricorda che nel campo furono internati 23.000 combattenti repubblicani spagnoli, 7.000 volontari delle brigate internazionali e oltre 30.000 ebrei. La nostra comunità era composta soltanto da internazionali, perché le autorità del campo avevano provveduto a separarci dagli spagnoli, e poi, ancora, ad operare una seconda separazione tra quelli conosciuti o sospettati di essere comunisti o simpatizzanti (praticamente quasi tutti quelli che fecero parte della XII brigata o della batteria “Gramsci”) e coloro invece che avevano combattuto in altre unità, perlopiù anarchici. Tra di noi vi erano anche dei socialisti, ma ottennero ben presto la libertà e la legalizzazione in Francia. Credo possa interessare conoscere come si svolgeva la vita al campo, quali prospettive avessero quegli internati. Vorrei centrare l’attenzione su quello che fu il nucleo più omogeneo, e che si mostrò irriducibile e, credo, almeno alla lunga, si rivelò il più chiaroveggente: quelli cioè che ritenevano di aver subito in Spagna una grave sconfitta ma non si consideravano dei vinti. Ero tra questi, ed eravamo convinti che presto saremmo stati chiamati ad altre battaglie, e lo svolgersi vertiginoso degli avvenimenti lo stava confermando. Era così forte quella convinzione e quella determinazione, tanto da non essere scossa neppure da eventi di natura eccezionale, quale fu la stipulazione del Patto di non aggressione tra la Germania e l’Unione Sovietica. Ci fu emozione, questo è chiaro, ed anche dello sconcerto. La rovente polemica in atto tra le forze politiche della sinistra, della quale si ebbe eco anche nel campo, con gli scherni feroci che provenivano dal settore dove c’erano gli anarchici, non ci sconvolse però se non superficialmente. Restava ferma in noi la quasi certezza che la guerra, che consideravamo inevitabile, ed eravamo facili profeti, avrebbe ricomposto e sanato certe lacerazioni e in quello scontro gli schieramenti si sarebbero delineati chiari e netti. Quando la guerra scoppiò non avemmo esitazioni e chiedemmo di essere arruolati nell’esercito francese: fu risposto con un rifiuto, e con una proposta alternativa: le 57 compagnie di lavoro, per costruire trincee, che rifiutammo perché mortificante. Fermi nelle nostre convinzioni, seguimmo naturalmente con trepidazione lo svolgersi dei drammatici avvenimenti, vivendo nella certezza che sarebbe venuto il nostro momento. La débacle della Francia, che temevamo, ci causò molto dolore. Non dovevamo nulla al governo di quel paese, la cui politica del non-intervento nella guerra civile spagnola era stata tra le cause della nostra sconfitta, tuttavia amavamo la Francia e il suo popolo: quel paese era sempre stato la terra di asilo per i perseguitati dal fascismo e dal nazismo, ed in ultimo dei perseguitati per motivi razziali, e tutto ciò non poteva essere cancellato dalla pavida e stolta politica dei governanti di quel momento, mostratisi incapaci anche nel prepararsi alla guerra contro Hitler. Dall’arrivo a Gurs e successivamente al campo più duro di Vernet d’Ariège, nei Pirenei orientali, cercammo di organizzare la nostra vita onde evitare che in quelle condizioni di cattività diventasse improduttiva. Cercammo di renderla viva soprattutto sul piano culturale, per continuare, pur in quelle condizioni, a pensare. Per tanti di noi, i più giovani, si trattava di cominciare a pensare seriamente attraverso un impegno di studio, che fu individuale e collettivo. I programmi di quell’impegno, che per tanti di noi era una novità, e dovemmo impararne la tecnica nel corso stesso del loro svolgimento, erano vari: andavano dalla storia e dall’economia all’apprendimento di nozioni di matematica, alle lingue, mentre la letteratura, francese in particolar modo, ma anche quella russa e inglese, riempivano i momenti meno impegnativi. Per me quel periodo, che durò quasi tre anni, fu ricco di insegnamenti, non solo per l’impegno profuso nello studio, che fu intenso e sorretto da una forte carica di passione che seppe reggere alle ristrettezze, privazioni e persino ai morsi della fame. Lo fu anche per le tante conoscenze che feci di uomini di diverse nazionalità, diversi dei quali avevano accumulato esperienze e conoscenze, specialmente sul piano culturale, molto superiori alle mie. Con lo scoppio della guerra molti degli internati erano andati a lavorare nelle compagnie di lavoro, ed in ragione di ciò si era accentuato il processo di selezione e, quando raggiunsi il campo di Vernet d’Ariège, alla fine di giugno del 1940, vi trovai molti tra i dirigenti dei movimenti che operavano nell’emigrazione politica dei paesi governati dai fascisti. Tra gli italiani una parte del gruppo dirigente del Pci, tra i quali cito i più noti: Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Felice Platone, Mario Montagnana e lo stesso Francesco Leone. Tutti costoro riuscirono a lasciare il campo, perché ottennero l’autorizzazione a raggiungere paesi che non erano in guerra: solo Montagnana riuscì a raggiungere il Messico, altri come Leone e Giuliano Pajetta poterono rendersi liberi, sia pure in condizione di illegalità, in Francia, mentre Longo e Di Vittorio li avrei ritrovati a Ventotene. Con l’aggressione della Germania all’Urss avemmo la percezione di una svolta nella direzione delle prospettive e delle speranze che avevamo coltivato. Giunsero conferme dell’accendersi di focolai di resistenza in Jugoslavia e in Francia. Intanto si sciolse felicemente l’ansia che ci aveva tormentato, quando vi fu il rimpatrio improvviso di un gruppetto di connazionali, tra i quali Idelmo Mercandino. Si era nell’inverno del 1941, e in estate giunse la notizia liberatoria che erano stati condannati al confino: decidemmo tutti di chiedere il rimpatrio e così si concludeva, nel dicembre del 1941, la fase iniziatasi nell’agosto del 1937. Venti mesi dopo, chiusasi anche la parentesi del periodo di confino, si sarebbe aperta la pagina della Resistenza. 58 Adriano Rossetti e il gruppo di Mongrando dall’emigrazione in Francia alla guerra di Spagna di Luigi Moranino Fra i nove antifascisti di Mongrando (sette della frazione Ceresane, uno della frazione Curanuova ed uno della frazione Ruta) che da Villeparisis, località non lontana da Parigi, partirono, a cominciare dall’ottobre 1936, per accorrere in aiuto della Repubblica spagnola vi era Adriano Rossetti: un antifascista la cui militanza politica era già stata contrassegnata da alcune significative esperienze. Alla fine del 1924 Rossetti era stato espulso dalla Francia per l’intensa attività sindacale e antifascista svolta in questo paese, ma la polizia francese non aveva potuto notificargli il provvedimento perché egli, appena si era reso conto che le cose si mettevano male, era partito per l’Italia, facendosi precedere, nel suo ritorno a Mongrando, dalla moglie Giuseppina Rossetti, affettuosamente chiamata Fifina, e dalla figlia Liliana, di cinque mesi. Nel febbraio 1927 era stato denunciato per attività antifascista a Mongrando insieme al suocero Francesco Rossetti, alla cognata Aurora, alla zia Giorgina ed a Marino Graziano, fidanzato di quest’ultima. Nel mese di aprile era stato arrestato e rinchiuso per sei mesi nel carcere “Regina Coeli” di Roma, prima di essere assolto per insufficienza di prove dal Tribunale speciale dall’accusa di “avere in Mongrando continuato a far parte del Partito Comunista, già sciolto per ordine della Pubblica Autorità, nella cellula degli edili”1. Episodi rilevanti, le cui cause sono da far risalire all’iscrizione di Adriano Rossetti al Partito comunista d’Italia fin dalla fondazione ed alla sua schedatura tra i “sovversivi”, da tenere sotto controllo, specialmente dopo la promulgazione delle leggi eccezionali alla fine del 1926. La consapevolezza di Adriano Rossetti di poter incappare nei rigori delle leggi liberticide fasciste non gli impedì di trasformare la sua militanza nel Pci in una scelta di vita: scelta che, all’epoca, significava la formazione di un militante politico di tipo speciale: altruista, leale, incorruttibile e soprattutto onesto. Tutte qualità connaturate con la personalità di Adriano Rossetti che, dotato di un carattere forte e determinato, fecero di lui un militante esemplare. Un altro aspetto importante della sua personalità era la qualificata professionalità: per la sua perizia di stuccatore e muratore fu un lavoratore apprezzato dagli imprenditori edili per i quali lavorò e da loro rispettato nonostante la diversità di idee. Pregi che egli paleserà ancora di più con il suo comportamento nella cospirazione e nella lotta antifascista, il cui impegno, oltre ad essere animato da una radicata convinzione, sarà stimolato e sorretto da un assunto che farà proprio: quello secondo cui “prima di tutto c’è il partito2, come ebbe a dire alla moglie Fifina all’indomani del matrimonio. Così, quando gli si presentò, nel 1930, l’occasione di poter ritornare in Francia a lavorare, e anche a riprendere la lotta antifascista (che a Mongrando, pur mantenendo i contatti clandestini con il partito, gli era preclusa dalla stretta sorveglianza della polizia), non esitò un istante. Egli ben sapeva che nella vicina repubblica poteva contare sull’aiuto dei fa59 miliari e sulle buone relazioni che aveva con tanti amici e compagni di lavoro e, fra loro, i molti compagni che condividevano le sue stesse idee politiche. La zona della Francia dove decise di stabilirsi era quella di Parigi, che già conosceva, ma, per raggiungerla, passò da Basilea, in Svizzera, quindi da Mulhouse, riuscendo, com’era nel suo intento, a depistare la polizia italiana che cercava di controllare i suoi spostamenti. Quanto agli altri antifascisti di Mongrando che, con Adriano Rossetti, parteciparono alla guerra di Spagna nelle file del battaglione, prima, e brigata “Garibaldi”, poi, vi furono: Giovanni Calligaris (anch’egli comunista dalla fondazione del partito, valente decoratore, espulso dalla Francia insieme a Rossetti alla fine del 1924, vi era ritornato nel 1930, stabilendosi nella zona di Parigi, dove, l’anno seguente, era stato raggiunto dalla moglie e dal giovanissimo figlio Spartaco; non essendo riuscito a procurarsi un regolare permesso di soggiorno, era stato costretto a vivere illegalmente), suo fratello Lorenzo, Secondo De Margherita, Giovanni Gannio, Attilio Minetto, Carlo Siletti, emigrati in Francia nei primi anni venti, Bruno Rossetti e Arialdo Zanotti, rispettivamente fratello e cognato di Adriano, emigrati nel 1931: tutti elementi politicizzati e delle stesse idee di Adriano. Perlopiù operai edili per i quali, come per moltissimi loro conterranei, “l’esperienza dell’emigrazione era parte integrante dell’ambiente in cui era[no] cresciut[i], e proprio per questo motivo poteva[no] far riferimento in Francia ai familiari, agli amici e ai conoscenti che vi lavoravano e si erano là stabiliti”3. Ma torniamo ad Adriano Rossetti, le cui vicissitudini si arricchirono di nuove esperienze dopo l’arrivo in Francia, nel giugno 1931, della moglie e della figlia. La località prescelta da Adriano e dai suoi familiari, su indicazione del fratello Mario, che vi abitava da tempo, era Villeparisis, come già accennato, un piccolo centro collegato con la ferrovia a Parigi, senza stazione di polizia sul posto e pochi italiani emigrati residenti. Di Adriano nessuno conosceva i precedenti politici ed egli, che rispettava rigorosamente le regole dell’attività politica illegale, poteva muoversi senza destare sospetti e la sua abitazione, oltre ad essere un rifugio per la sua famiglia, diventò una base operativa del Soccorso rosso. Egli era infaticabile, ed anche se il lavoro necessario per mantenere la famiglia lo teneva lontano da casa per buona parte della giornata, trovò il tempo, come i componenti del gruppo di attivisti antifascisti che costituì, di dedicarsi all’attività politica. A questo proposito ricorderà Fifina: “Per andare a lavorare a Parigi, partivano in treno alle quattro e mezzo del mattino, poi dovevano magari attraversare tutta Parigi e prendere diversi metrò [...] le quattro e mezzo del mattino sei giorni alla settimana perché si lavorava anche al sabato [...] e facevano riunioni due o tre volte alla settimana; Adriano veniva a casa a dormire a mezzanotte o l’una: lui era il segretario”4. Ma se per il lavoro politico fu rilevante l’apporto di Adriano, su Fifina praticamente ricadde la responsabilità di gestire l’andamento della casa, che era grande: disponeva infatti di tante camere e numerosi letti; fu lei a dover pensare a dare asilo a compagni, provenienti da ogni dove, che il Centro di Parigi mandava a casa sua, e a molti dei quali venne procurato anche un documento d’identità e trovato lavoro. Sul compito svolto da Fifina fino al suo ritorno in Italia nel 1943, Vittorio Vidali, dirigente del Soccorso rosso internazionale, ha scritto: “L’emigrazione politica ha necessità di sentire attorno a sé la solidarietà; è come un naufrago gettato a riva dai marosi; stremato, affamato, smarrito, solo. La mano che gli viene tesa, deve essere fraterna, comprensiva [...]. Perciò gli incaricati di questo lavoro devono essere persone intelligenti e pazienti, 60 capaci di intendere la solidarietà, come un impegno politico molto serio”5. Tutte qualità possedute da Fifina, che si fece apprezzare per questo da tutti coloro che la conobbero ai tempi di Villeparisis, della guerra di Spagna, di Montreuil e della Resistenza. Tra il 1931 ed il 1932 giunsero dall’Italia Arialdo Zanotti e la moglie Aurora, sorella di Fifina, che presero dimora nella casa di Adriano. Negli anni che precedettero la costituzione del Fronte popolare e il suo avvento al potere dopo la vittoria elettorale nella primavera del 1936, Adriano continuò ad estendere la rete dell’organizzazione illegale mentre gli agenti fascisti dell’Ambasciata italiana a Parigi, che mai avevano desistito dal raccogliere informazioni sul suo conto, continuarono nella loro ricerca, che per molto tempo fu infruttuosa. Solo alla fine del 1933 riuscirono a scoprire che egli risiedeva a Villeparisis e bisognò attendere fino al luglio 1935 - più o meno cinque anni dopo il suo espatrio - perché la stessa Ambasciata accertasse e trasmettesse a Roma la notizia che Adriano Rossetti, oltre ad esercitare il mestiere di muratore, era un antifascista attivo nella clandestinità. In quegli anni, inoltre, furono molti gli antifascisti, dai dirigenti più noti ai semplici militanti, che passarono o vennero ospitati a Villeparisis “da quelli di Mongrando”, come veniva definita nell’ambiente dell’emigrazione e dell’antifascismo la casa di Adriano e di Fifina, che aveva trovato nella sorella Aurora una valida collaboratrice. L’attacco del generale Franco alla Repubblica spagnola provocò in casa Rossetti una attività febbrile ed Adriano si trasformò in un propagandista che non perse occasione per sollecitare gli antifascisti ad accorrere in aiuto del popolo spagnolo arruolandosi nelle brigate internazionali. Lui stesso, proprio per dare l’esempio, fu tra i primi a partire per la Spagna e, ad emularlo, in questo slancio di generosa solidarietà, ci fu ancora una volta Giovanni Calligaris, il compagno di tante battaglie. La loro partenza avvenne verso la metà di ottobre del 1936 e con essi partirono Secondo De Margherita, Giovanni Gannio, Attilio Minetto, Carlo Siletti ed Arialdo Zanotti. I sette furono seguiti da Bruno Rossetti, nell’aprile 1937, e da Lorenzo Calligaris, nel novembre dello stesso anno. Un particolare significativo che testimonia il coinvolgimento delle famiglie dei nove volontari in quella gara di solidarietà che, in Francia come altrove, si sarebbe tradotta nella costituzione di comitati per la raccolta di viveri, denari, medicinali per la Repubblica spagnola, fu che essi partirono con la divisa da indossare in Spagna già confezionata nelle loro case. Entusiasmo e un clima di diffusa mobilitazione antifascista fecero da cornice alla partenza dei volontari. Solo l’idea che ai loro cari potesse succedere l’irreparabile creò nelle mogli, che avevano bambini piccoli a cui pensare, non poche apprensioni, fugate dall’assicurazione data loro che, in caso di necessità, avrebbero potuto contare sulla solidarietà internazionale. A questo riguardo Giovanni Calligaris disse: “Prima di partire per la Spagna, ossia quando gli avvenimenti si sono sviluppati in Spagna, il Partito, ora non ricordo più di preciso la domenica, ma era una domenica tra la fine di luglio e la metà di agosto, ci convocò, a Parigi nella sede dei sindacati, tutti i compagni comunisti della zona che han voluto partecipare, ed eravamo molto numerosi, e il Partito, tramite un compagno della Direzione, che suppongo fosse il compagno D’Onofrio, che allora si faceva chiamare Edo [...] ci diede questa direttiva: aiutare la Spagna era il primo compito, andare volontari in Spagna era un dovere; poi tutta la sequenza di garanzie, nel caso che fosse avvenuta la morte o qualsiasi altra cosa. Cioè, in poche parole si trattava di questo: se si vinceva la guerra saremmo diventati cittadini spagnoli e come tali trattati; se perdevamo la guerra e per disgrazia non si fosse riusciti a vincere la battaglia contro il fascismo, evidentemente 61 ci sarebbe sempre stata la nostra madre Patria: che in questo caso era la Russia. E cioè saremmo finiti in Unione Sovietica. E questo valeva per noi e per le nostre famiglie. E difatti si partiva entusiasti, sapendo che c’era questo ombrello che ci garantiva il domani. Cioè o una o l’altra cosa poteva garantirci. C’era un altro pericolo: la morte. Ma la morte per noi era una cosa logica, perché si sapeva che si andava a fare la guerra e si poteva anche morire”6. Giunti ad Albacete, la città spagnola centro di raccolta di tutti i volontari, con altri antifascisti italiani formarono il battaglione “Garibaldi” che, prima di essere impiegato sul fronte di Madrid, fu sottoposto ad un breve periodo di addestramento e all’uso delle armi. Fra i commissari dei reparti del battaglione c’erano anche Adriano Rossetti, che ebbe l’incarico di commissario politico di compagnia, e Giovanni Calligaris, nominato commissario politico di plotone. Sull’impiego del battaglione “Garibaldi” nella difesa di Madrid nel novembre 1936, Giovanni Calligaris ricorda: “E noi del ‘Garibaldi’ eravamo lì al Pardo - piccolo paese vicino a Madrid, sede di scuole militari ed ex scuderie reali - ed eravamo accasermati nei locali della guardia del re e lì c’erano le stalle per i cavalli e c’erano gli alloggi per i soldati. E noi eravamo alloggiati lì. Ed è poi diventata la nostra sede permanente. Perché noi diventammo poi delle formazioni mobili, delle formazioni di assalto. Ossia noi non andavamo in un posto per rimanere lì, ma andavamo nei punti più pericolosi per tappare i buchi, oppure per dare un colpo, per sviare le forze nemiche in maniera da indebolirle”7. Fra i primi garibaldini a cadere in combattimento sul fronte di Madrid ci fu Giovanni Gannio (classe 1898), che morì a Casa de Campo il 30 novembre 1936. Poi fu la volta di Attilio Minetto (classe 1901) che, nel combattimento di Mirabueno - sempre sul fronte di Madrid - del l gennaio 1937, riportò una ferita al braccio destro che lo rese invalido. Anche Giovanni Calligaris (classe 1900) riportò una ferita, al capo, nel combattimento di Morata de Tajuña (fronte di Madrid) del 17 febbraio 1937. Una seconda ferita al piede destro, che lo tenne per alcuni mesi lontano dal reparto, la riportò ai primi di maggio a Valdeavero in Nuova Castiglia. Adriano Rossetti (classe 1894) fu ferito gravemente all’addome il 14 marzo 1937 a Guadalajara. Di lui l’ordine del giorno, che cita i garibaldini che si distinsero in quella battaglia, riporta: “Il Commissario politico Adriano Rossetti è citato all’ordine del giorno per il suo coraggioso comportamento sul fronte di Guadalajara. Ferito, rifiutava di abbandonare il combattimento. Colpito una seconda volta, continuava a combattere sino a cadere stremato di forze sul terreno”8. Sottoposto ad un primo intervento chirurgico a ridosso del fronte, ai primi di maggio Adriano fu trasferito in un ospedale parigino dove lo attese una lunga degenza. Arialdo Zanotti (classe 1900), nominato sergente nel momento della costituzione della brigata “Garibaldi”, fu promosso tenente dopo aver preso parte a numerosi combattimenti. A Campillo, in Estremadura, il 16 febbraio 1938, fu ferito gravemente al braccio sinistro, che gli verrà amputato e lo costringerà a rientrare a Parigi. Durante la guerra di Spagna Fifina non solo continuò ad aiutare i compagni che si presentavano da lei, ma si prodigò per reperire i mezzi finanziari da distribuire alle famiglie dei garibaldini partiti da Villeparisis e da località vicine e colà combattenti. Era un incarico di grande responsabilità perché si trattava di non far mancare il sostentamento alle famiglie dei combattenti, dei caduti, degli invalidi, dei feriti, le quali, prive del capo e del salario che ricavava col proprio lavoro, si sarebbero trovate sul lastrico. Aurora, improvvi62 satasi attrice, regista, sceneggiatrice, mise insieme una piccola compagnia di teatro che allestì spettacoli in lingua italiana, che ottennero un notevole successo di pubblico nelle feste organizzate per sostenere la lotta dei garibaldini in Spagna e dalle quali si ricavarono consistenti somme di denaro. La sconfitta della Repubblica spagnola fu vissuta in modi diversi dai garibaldini di Mongrando: ai feriti o invalidi rientrati in Francia prima del 2 febbraio 1939 - data in cui venne concesso il diritto d’asilo e l’entrata in Francia dei volontari ormai disarmati - non capitò nulla. Giovanni Calligaris e Carlo Siletti, invece, privi di permesso di soggiorno del governo francese, furono internati nel campo di concentramento di Saint-Cyprien. Lorenzo Calligaris, Secondo De Margherita, Bruno Rossetti, in regola con i documenti francesi, poterono rientrare nei rispettivi luoghi di residenza. Diversa la vicenda di Adriano Rossetti: dopo il suo rientro a Parigi egli venne ricoverato in un ospedale, dal quale, nel giro di un anno - tanto durerà la sua convalescenza - fu dimesso e ricoverato diverse volte. In questo periodo cambiò casa e si trasferì a Montreuil, sempre nei dintorni di Parigi, in una abitazione il cui recapito “segreto” sarebbe stato utilizzato come base del Pci. Lo scoppio della guerra il 3 settembre 1939 rese ancora più problematica l’esistenza degli antifascisti in Francia: esemplare il caso di Aurora ed Arialdo Zanotti che, pur essendo in possesso di regolare permesso di soggiorno, furono arrestati il 4 settembre perché “indesiderabili”9 e liberati, dopo quattro mesi di carcere, per interessamento della Lega dei diritti dell’uomo. Il precipitare degli eventi che decretò la fine della II Repubblica e l’instaurazione di un regime collaborazionista con i nazisti, la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia, il 10 giugno 1940, costrinsero molti antifascisti, che illegalmente operavano ancora a Parigi, a lasciare la capitale e spostarsi verso il Sud. In quella zona, non ancora occupata dai nazisti, poterono meglio organizzare la lotta antifascista sia in direzione dell’Italia che in Francia dove, dopo l’occupazione nazista, assunse carattere di guerra di liberazione. Fra i giovani antifascisti italiani attivi nella Resistenza francese, che operarono nella regione parigina, vi furono: Piero Pajetta, William Valsesia, Gino Vermicelli, Nella Marcellino, Marco Bibolotti, i fratelli Diodati, Franco Montagnana, Liliana Rossetti ed altri, appartenenti o collaboratori dell’organizzazione dei “Francs tireurs partisans”10). Essi utilizzarono la casa di Adriano Rossetti a Montreuil come recapito, punto logistico, nascondiglio per il materiale di propaganda e delle armi che servirono per le azioni contro i nazisti e i loro collaboratori di Vichy. Ciò fino a quando Adriano e i suoi familiari, che avevano assistito Arialdo Zanotti fino alla morte (avvenuta nel febbraio 1943 per l’aggravarsi della malattia polmonare contratta in Spagna), decisero di rientrare in Italia. Il loro rientro avvenne il 10 maggio e, consci di quanto sarebbe loro toccato alla frontiera, organizzarono il viaggio in modo che la figlia Liliana, essendo cittadina francese e che doveva portare con sé una grossa valigia con doppio fondo contenente materiale politico antifascista, non venisse sottoposta a controlli. E così avvenne: Adriano e Fifina furono arrestati mentre Liliana, indisturbata, poté raggiungere Mongrando e consegnare il compromettente materiale a chi di dovere. Sottoposti nel luglio 1943 al giudizio della Commissione provinciale di Vercelli, ad Adriano furono inflitti tre anni di confino e Fifina venne condannata a tre anni di ammonizione. Solo dopo l’8 settembre la famiglia di Adriano si poté ricomporre nell’avita cascina Ciocchetti di Ceresane. Ma non c’è tregua: bisogna armarsi e lottare subito contro l’invasore nazista e i loro servi fascisti. Come in Francia tutta la famiglia si impegnerà in questa nuova lotta e la loro 63 casa diventerà la prima base dalla quale Piero Pajetta “Nedo”, uno degli animatori e artefici della Resistenza nel Biellese, rientrato in Italia dopo l’armistizio, partirà per organizzare, nelle nostre vallate, i primi distaccamenti partigiani11. A conclusione si può sottolineare che, con la morte di due compagni, il ferimento di altri tre (uno dei quali restò invalido) il gruppo di Mongrando subì perdite di gran lunga superiori a quelle medie di un esercito in guerra; e questo conferma la testimonianza di Giovanni Calligaris di un impegno dato senza riserve e con generosità. 1 FLORO R OSELLI (a cura di), Tribunale speciale per la difeso dello Stato. Decisioni emesse nel 1927, Roma, Stato maggiore dell’esercito, 1980, p. 483. 2 Da una testimonianza rilasciata all’autore da Giuseppina Rossetti il 30 ottobre 1980. 3 FRANCO RAMELLA, Biografia di un operaio antifascista: Adriano Rossetti, in “1’impegno”, a. VII, n. 2, agosto 1987. 4 Testimonianza di Giuseppina Rossetti, cit. 5 VITTORIO VIDALI, Missione a Berlino, Milano, Vangelista, 1978, p. 120. 6 Da una testimonianza rilasciata all’autore da Giovanni Calligaris il 22 novembre 1980. 7 Ibidem. 8 GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia, Roma, Editori Riuniti, 19742, p. 124. 9 Da una memoria autobiografica di Aurora Rossetti del 1 novembre 1978, conservata nell’archivio dell’Istituto. 10 Testimonianza di Giuseppina Rossetti, cit. 11 Per un approfondimento sulla figura di Piero Pajetta si veda LUIGI MORANINO, Piero Pajetta “Nedo”. Un combattente per la libertà, Taino, Associazione culturale “Elvira Berrini Pajetta”, 1995. 64 Antifascismo e guerra di Spagna: “miliziani rossi” e altri “sovversivi” nei documenti del Casellario politico centrale di Piero Ambrosio Lo schedario dei “sovversivi” Lo schedario “per gli affiliati a partiti sovversivi considerati pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica” fu creato, in seno alla Direzione generale della Pubblica sicurezza, a metà dell’ultimo decennio dell’Ottocento, con circolari del maggio 1894 e del giugno 1896. Sovrintendeva alla loro classificazione e vigilanza, con forme e mezzi diversi a seconda del grado di pericolosità2. Era destinato ad accogliere i fascicoli personali di anarchici, socialisti, repubblicani e, a partire dal 1921, anche di comunisti. A partire dal 1926, in seguito all’approvazione del Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza, fu notevolmente ampliato e in esso furono inclusi, con la classificazione generica di antifascisti, anche oppositori del regime di altri orientamenti politici: popolari, liberali, appartenenti al movimento “Giustizia e libertà”, irredentisti slavi e persino fascisti dissidenti1. Nel 1927 prese il nome di Casellario politico centrale. Nel Cpc sono conservati anche fascicoli di antifascisti che parteciparono alla guerra civile spagnola come volontari nelle brigate internazionali o che furono schedati per “propaganda a favore della Spagna repubblicana” o per aver espresso pubblicamente il loro sostegno al legittimo governo spagnolo, non disgiunto da critiche al regime fascista italiano. Per quanto riguarda la provincia di Vercelli sono stati individuati trentasei fascicoli di combattenti in Spagna2, più alcuni altri fascicoli di antifascisti di cui non si hanno elementi sufficienti per provare la loro appartenenza alle brigate internazionali3. Ovviamente non di tutti i volontari antifranchisti esiste il fascicolo del Cpc4: per realizzare un elenco il più completo e attendibile possibile dei volontari originari della provincia5, in mancanza di elenchi ufficiali, è necessario fare ricorso anche ad altre fonti6. Per quanto riguarda invece gli antifascisti della provincia di Vercelli che furono denunciati per il loro atteggiamento favorevole alla Repubblica spagnola finora nel Cpc sono stati individuati ventisette fascicoli7. I volontari antifascisti in Spagna nella documentazione del Cpc Esaminando la documentazione contenuta nei fascicoli del Cpc, e confrontandola con i dati biografici riguardanti i volontari antifascisti in Spagna pubblicati in varie opere8, emerge che essa è utile non solo per precisare alcuni aspetti della partecipazione alla guerra civile ma anche, in modo particolare, per la ricostruzione delle vicende precedenti (attività politica in Italia o nei paesi di emigrazione, eventuali arresti e condanne) e anche seguenti (internamento in Francia, rimpatrio, interrogatori e condanne). 65 Per essere precisi va segnalato che non sempre i dati relativi alla guerra spagnola contenuti nei fascicoli del Cpc e quelli riportati nelle opere citate e nelle schede biografiche conservate nell’archivio dell’Aicvas corrispondono (per quanto concerne date di arruolamento, formazioni di appartenenza, combattimenti): se, da un lato, alcuni dati del Cpc sono imprecisi, o inattendibili, per difetti delle fonti che erano alla base della redazione di quei documenti9 o, come vedremo, per reticenze degli stessi antifascisti durante gli interrogatori, in altri casi la documentazione contenuta nei fascicoli del Cpc consente di entrare in possesso di dati prima ignoti. Ad esempio finora ben poco si conosceva dell’anarchico borgosesiano Enrico Albertini, che raggiunse la Spagna dagli Stati Uniti, dove era emigrato: questi, una vera “primula rossa”, si era messo in vista fin dal 1911 per la sua attività “sovversiva”10. I “miliziani rossi” Vediamo quanto emerge dall’esame dei fascicoli del Cpc dei volontari antifascisti. La partenza per la Spagna, l’arrivo nel territorio della Repubblica, la presenza nelle brigate internazionali (le “milizie rosse” come venivano definite dai fascisti) erano, nella maggior parte dei casi, ben presto note alla Prefettura e alla Direzione generale della Ps11: non appena segnalati, se non erano già schedati, gli antifascisti venivano iscritti nel Casellario politico centrale, per tutti scattava inoltre la segnalazione nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto (e, in alcuni casi, anche nel “Bollettino delle ricerche”) e veniva infine disposta la revisione della corrispondenza diretta ai familiari e ai conoscenti. Alcuni esempi. La partenza per la Spagna di Eraldo Venezia e Gaspare Fracasso fu segnalata al comando di Vercelli della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale da “fonte fiduciaria non controllata”; quella di Giuseppe Tamagno fu comunicata dal console di Marsiglia al Ministero dell’Interno; quella di Adriano Rossetti da Villeparisis, dove risiedeva con la famiglia, risultò da una lettera della figlia Liliana acclusa a una lettera di Arialdo Zanotti diretta a sua moglie Aurora, a Mongrando, “revisionata e sequestrata”. L’arrivo di Francesco Leone a Barcellona fu segnalato il 6 settembre 1936 alla Direzione generale della Ps con una “nota confidenziale” della polizia politica in cui si comunicava che il dirigente comunista aveva parlato alla radio di Barcellona. Da trasmissioni della stessa emittente radiofonica furono ricavate varie notizie, tra cui quella del ferimento di Leone. La presenza in Spagna di Carlo Ravetto risultò da una lettera censurata indirizzata dal fratello Silvio alla madre, residente a Mezzana Mortigliengo; la partecipazione di Giovanni Calligaris alla guerra civile spagnola fu rivelata da sua moglie, ritornata a Mongrando nell’aprile 1940. “Fonte fiduciaria attendibilissima” nel maggio 1939 comunicò al comando delle truppe fasciste italiane che “il connazionale Mosca Carlotin (sic), miliziano nelle brigate internazionali, nell’anno 1937 [era stato] ricoverato nell’ospedale militare n. 1 di Madrid”. Nel febbraio 1937 il Consolato di Bordeaux comunicò alla Direzione generale della Ps che, secondo notizie non controllate, Giuseppe Bagnasacco sarebbe stato ucciso: questa incaricò pertanto la Prefettura di Vercelli “di fare eseguire riservate indagini nel di lui luogo di origine per accertare se uguale notizia [fosse] giunta ai di lui parenti e di fare controllare la corrispondenza dei medesimi anche per verificare se ad essi ven[issero] inviati sussidi del soccorso rosso”. Ad ogni buon conto, “nell’eventualità che la notizia della di 66 lui morte non [fosse stata] vera”, l’antifascista fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto. Il Ministero degli Affari Esteri, interessato al riguardo, nell’agosto dell’anno successivo comunicò che “malgrado le indagini esperite in questi ambienti sovversivi [di Bordeaux] e presso un creditore del Bagnasacco, non [era] stato possibile aver conferma del decesso”. Che il Bagnasacco si fosse arruolato “nelle milizie rosse” era stato comunque confermato da “fonte confidenziale in contatto col comando delle truppe volontarie in Spagna”. La presenza nelle brigate internazionali di Quintino Minero Re fu segnalata alla Direzione generale della Ps dal comando delle truppe fasciste italiane; quella di Annibale Caneparo fu comunicata dall’Ambasciata di Parigi; Riccardo Zanotto risultò invece trovarsi “arruolato nelle milizie rosse in Spagna” secondo non meglio precisate “informazioni assunte sul luogo di nascita”. L’Ambasciata di Mosca segnalò invece il ritorno in quella città di Antonio Roasio, “proveniente dalla Spagna, ove [era] rimasto ferito in una azione sul fronte di Madrid”, aggiungendo che egli aveva ripreso la “propria attività in seno al Comintern dove gli [era] stato affidato il reclutamento, il controllo e la selezione degli emigrati politici desiderosi di recarsi in Spagna”. In molti casi le segnalazioni furono dovute, come si è visto, all’opera di “fiduciari”: grazie a loro la Direzione generale della Ps poté redigere veri e propri elenchi di volontari. Nei fascicoli del Cpc abbiamo rinvenuto, ad esempio, due elenchi della Divisione polizia politica datati 22 maggio 1938, relativi l’uno a caduti e l’altro a “connazionali reclutati nelle milizie rosse” con l’indicazione della data di partenza per la Spagna e la località dove erano stati destinati. Talvolta gli agenti fascisti poterono addirittura rilevare i nominativi dei “miliziani” dai ruolini delle formazioni stesse; il Consolato di Salamanca poté infine redigere un elenco di “connazionali arruolati nelle milizie rosse, appartenenti al battaglione Garibaldi” e che avevano “preso parte attiva al conflitto” desumendo i nomi dal volume “Garibaldini in Spagna”, pubblicato a Madrid nel 193712, che era stato inviato in visione da un agente nel maggio 1938; grazie a una fotografia la Prefettura di Vercelli identificò, ad esempio, Antonio Mosca Carlottin. Inoltre, dopo la sconfitta della Francia nel secondo conflitto mondiale, nell’aprile 1942 furono rinvenuti negli archivi della Sureté, a Parigi, documenti riguardanti l’Unione popolare italiana e “i volontari italiani già combattenti nelle milizie rosse spagnole internati nei campi di concentramento francesi”. Infine non mancarono i casi di delazioni: ad esempio certo Alessio Arrighelli13, “reduce dalla Spagna rossa”, nel febbraio 1938 si presentò al Consolato di Parigi e fornì molti nomi di antifascisti presenti nelle brigate internazionali, tra cui quello di un certo “Tondella della provincia di Vercelli” (che gli inquirenti ritennero di identificare “molto probabilmente in Tondella Federico”), che aveva sentito “ad Albacete parla[re] con altri tre connazionali di un progettato viaggio in Italia, attraverso il confine svizzero, per compiere un attentato con esplosivi durante qualche cerimonia” e aggiunse che questo attentato sarebbe stato diretto “da certo Camen”14. Anche durante gli interrogatori cui gli ex volontari furono sottoposti nelle questure delle rispettive province di appartenenza, dopo il rimpatrio seguito alla caduta della Repubblica spagnola e al periodo, per molti versi drammatico, dell’internamento nei campi di concentramento francesi, vi furono casi in cui ex volontari confermarono l’appartenen67 za di loro ex commilitoni alle brigate internazionali. Ad esempio Ermenegildo Cozzi, da Castelnovo del Friuli (Ud), fornì, tra gli altri, il nome di Teresio Caron. Questi invece sostenne di aver conosciuto il suo accusatore in una prigione francese dove sarebbe stato incarcerato per contrabbando di effetti di vestiario dalla Spagna. Sostenne inoltre di essersi recato in Spagna nel marzo del 1937 alla ricerca di una certa Ida, svizzera tedesca, con cui aveva avuto una relazione amorosa e di cui non ricordava il cognome, che era stata colà portata “da persone che esercitavano la tratta delle bianche”; e aggiunse che, dopo essersi soffermato in prossimità del confine, data l’impossibilità di proseguire nell’interno del paese per la guerra civile, era rientrato in Francia dove era, appunto, stato arrestato. Dichiarò inoltre di non ricordarsi quali fossero esattamente i paesi in cui aveva dimorato in Spagna e concluse negando di aver “combattuto nelle milizie rosse spagnole” e sostenendo di non essersi mai interessato di politica, ma di aver sempre esclusivamente pensato al suo lavoro. Al prefetto la sua “narrazione” apparve “molto romanzesca e poco veridica” e, in considerazione sia dei suoi “sentimenti comunisti” sia della testimonianza dell’ex commilitone, pur non essendo stata la polizia in grado di “controllarne l’attendibilità”, dopo aver sollecitato le “determinazioni del Ministero dell’Interno” (risulta che la relativa pratica fu sottoposta a Mussolini) lo deferì alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, che lo condannò a tre anni di confino. Dopo il rimpatrio, nel corso degli interrogatori in Questura qualcuno, tra gli ex combattenti di cui ci occupiamo, cercò di far credere di essersi recato in Spagna in cerca di lavoro: Giovanni Calligaris, ad esempio, dichiarò quanto segue: “A Parigi [...] avevo aperto una modesta azienda di artigianato quale operaio decoratore, e gli affari andarono bene sin verso il 1935. In seguito cominciarono insormontabili difficoltà [...] dovetti così chiudere l’azienda nei primi mesi del 1936 e la mia situazione divenne molto grave, per mancanza di mezzi. [...] A Parigi io frequentavo l’associazione del ‘Fronte unico antifascista’ che divenne poi la ‘Unione popolare italiana’ e la ‘Lega dei diritti dell’uomo’15 dove mi fu consigliato di recarmi in Spagna [...] dove vi era possibilità di lavoro e di guadagno”. Altri dichiararono di essersi arruolati spinti dalla necessità: ad esempio Carlo Zanada, emigrato in Francia nel 1924, dichiarò: “Rimasto privo di occupazione e privo di mezzi mi recai a Parigi nell’ottobre [1936] e decisi di andare in Spagna in cerca di lavoro. Alla frontiera spagnola ottenni di passare e mi recai in un paese nei pressi di Barcellona dove, non avendo possibilità di vita, mi arruolai nelle milizie rosse”; Olinto Sella, emigrato in Francia nel 1934, dichiarò che in seguito a un incidente aveva perso la scarsa clientela della sua modesta officina per riparazione di motociclette e quindi, “non disponendo di mezzi e sollecitato da alcuni francesi del luogo, [aveva] decis[o] di arruolarsi nell’esercito repubblicano spagnolo”. Anche Antonio Mosca Carlottin, emigrato in Francia nel 1925, dichiarò di essersi arruolato essendo rimasto disoccupato; e così pure Francesco Prevosto dichiarò che, emigrato clandestinamente in Francia, ed essendo stato espulso già nel 1925 e privato dei documenti di identità nel 1928, nell’agosto del 1936, “preoccupando[si] della [sua] sorte, [aveva] decis[o] di partire per la Spagna” e aggiunse che non fu “spinto da nessuno a partecipare alla campagna con i rossi spagnoli”. Altri invece non nascosero i motivi politici alla base della loro decisione: ad esempio nel verbale dell’interrogatorio di Luigi Viana si legge quanto segue: “nell’anno 1936 sentii il mio spirito di solidarietà verso i rivoluzionari spagnoli che combattevano contro il 68 generale Franco ed il 20 agosto mi recai a Barcellona per arruolarmi nell’esercito popolare spagnolo”; anche Anello Poma dichiarò di essersi arruolato per “solidarietà morale col governo repubblicano spagnolo che combatteva contro le forze del generale Franco”; e Carlo Siletti “confermò di aver appartenuto alle forze comuniste spagnole aggiungendo di aver fatto ciò spinto dalla sua fede antifascista”: in considerazione della sua dichiarazione, pur essendo stato riconosciuto non idoneo a sopportare il regime confinario, per le sue gravi condizioni di salute, fu ugualmente condannato a cinque anni di confino. Nel corso degli interrogatori la maggior parte degli arrestati cercò di minimizzare il ruolo avuto nelle brigate internazionali: Olinto Sella, ad esempio, pur essendo stato costretto ad ammettere la propria partecipazione alla guerra civile, dichiarò di non aver partecipato ad alcun fatto d’armi. Altri, nell’intento di evitare la condanna al confino, non ammisero neppure di aver combattuto nelle brigate internazionali: Adriano Rossetti, ad esempio, negò “recisamente” la sua partecipazione alla guerra civile in Spagna; anche Annibale Caneparo non ammise la sua partecipazione alla guerra civile spagnola, fornendo inoltre una serie di recapiti e di nomi di persone che avrebbero potuto confermare che non si era mai allontanato da Parigi o da Perpignan, sue località di residenza in Francia: essendosi difeso “con accento di verità” e poiché la citata segnalazione dell’Ambasciata di Parigi secondo cui avrebbe militato nelle brigate internazionali non aveva trovato conferma, non fu assegnato al confino ma soltanto diffidato. Comune a tutti i volontari antifranchisti della provincia di Vercelli fu l’atteggiamento di non fornire nomi di compagni o di dare informazioni generiche o false: Giovanni Calligaris, ad esempio, ammise di aver conosciuto nel battaglione “Garibaldi” alcuni italiani volontari, ma di non ricordarne i nomi; Anello Poma dichiarò che era stato arruolato col grado di soldato nella 3a compagnia della brigata “Garibaldi”, comandata da un capitano spagnolo e che “in detta compagnia erano anche altri italiani, ma non ne ricord[ava] i nomi”; Antonio Mosca Carlottin affermò di non ricordare i nomi degli altri volontari italiani inquadrati nella sua compagnia e aggiunse che essi, in gran parte, erano caduti in combattimento. Anche Giuseppe Mosca, pur avendo ammesso che nel suo “reparto vi erano anche altri volontari italiani”, sostenne che “non ne ricorda[va] più i nomi”; per quanto riguardava il comandante della sua compagnia disse che si trattava di un “certo Ferraris, italiano, settentrionale, da [lui] non meglio conosciuto”; Gaspare Fracasso, dopo aver ammesso di aver fatto parte della 1a compagnia della brigata “Garibaldi”, disse che il comandante si chiamava Mario, piemontese di circa trentacinque anni e aggiunse che non ne aveva mai saputo il cognome e di non ricordare i nomi di altri compagni; Carlo Zanada ammise di aver conosciuto “degli italiani facenti parte delle armate rosse” ma sostenne di non conoscerne i nomi e quando, il 25 maggio 1942, nella direzione della colonia di confino di Ventotene un funzionario di Ps gli mostrò una fotografia di Silvio Bianchi, suo ex comandante, dichiarò di non essere in grado di riconoscerlo, essendo stato ai suoi ordini soltanto per una quindicina di giorni e non ricordandone le sembianze. Alcuni ex combattenti ritornarono in Italia solo dopo la caduta del fascismo ma preferirono ugualmente negare la loro militanza: così Giuseppe Mezzano che, interrogato nel mese di agosto del 1943, negò “recisamente di aver preso parte alla guerra civile spagnola, affermando di essersi recato in Spagna, e precisamente a Barcellona, nel 1936, unicamente per ragioni di lavoro e di esservi solamente rimasto sei mesi”: fu messo in libertà e sottoposto a “opportuna vigilanza”; così pure Francesco Montarolo, fermato da agenti di 69 Ps a Bardonecchia (To) il 19 agosto 1943, negò “recisamente di aver preso parte alla guerra civile spagnola, aggiungendo di aver sempre lavorato in Francia e di non essersi mai allontanato nemmeno per ragioni di lavoro”, e dichiarò “di non aver mai fatto parte di partiti politici a eccezione di un circolo ricreativo di amicizia italo-francese a sfondo popolare”: fu rilasciato e avviato al comune di origine. La guerra di Spagna e gli antifascisti in provincia di Vercelli Ed ecco invece quanto emerge dall’esame dei fascicoli del Cpc di alcuni antifascisti della provincia di Vercelli arrestati per episodi in qualche modo connessi alla guerra di Spagna. Il 7 febbraio 1937 la polizia venne a conoscenza che al noto sovversivo vercellese Alessandro Rigolino16 era stata recapitata una lettera “di provenienza sospetta”: perquisito il suo domicilio, gli agenti rinvennero e sequestrarono un foglietto scritto a penna a essa allegato in cui era scritto: “Marsiglia 8 novembre 1936. La mia partenza è prossima è quistione di ore, la motonave sta alzando le ancore quando riceverai questa spero di essere a fianco di Leone a combattere per la libertà. Viva la Spagna proletaria. Viva la gloriosa centuria Gastone Sozzi. Preferisco morire sotto il cielo libero che vivere nelle carceri di Mussolini. Saluti Giuseppe17. Molti italiani sono già caduti. Non ti comprometto più questa è la prima e ultima volta che ti scrivo”. Al foglietto era anche allegato “un ritaglio di giornale sovversivo riproducente la fotografia del pericoloso comunista schedato Leone Francesco”. Fermato e sottoposto a stringenti interrogatori perché indicasse il mittente della lettera “non fornì alcuna indicazione al riguardo, “mantenendosi evidentemente e pensatamente reticente e dando in tal modo la prova evidente di ispirarsi alle direttive del partito comunista che prescrive agli adepti di non rivelare i nomi dei compagni. Arrivò anche al punto di cinicamente affermare di non conoscere il Leone, vercellese di elezione, ben noto in provincia e suo amico”. Ritenendo il suo comportamento “tale da ostacolare l’azione dei poteri dello Stato” fu deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia che, il 22 marzo, lo condannò a un anno di confino18. Il 14 febbraio 1937 Francesco Vacchetta19 fu fermato dalla Milizia confinaria di Domodossola (No) mentre si dirigeva, insieme ad altri, verso il confine con la Svizzera. Risultò che il tentativo di espatrio era originato da motivi politici: l’Ovra infatti accertò che “gli espatriandi avrebbero dovuto recarsi in Spagna per arruolarsi nelle file dei rossi spagnoli e presentarsi a Lugano da Giuseppe Faravelli20 per ricevere i mezzi per proseguire”. Fu denunciato alla Commissione provinciale di Milano per i provvedimenti di polizia che, l’8 aprile, lo condannò a cinque anni di confino21. Nel pomeriggio del 29 marzo 1937 in una trattoria di Pralungo l’operaio Mario Cantone22 tra l’altro disse che “sapeva che, mentre ritornavano dall’Africa orientale, tre divisioni, invece di rimpatriare, erano state mandate in Ispagna per l’occupazione di Malaga, che tra pochi giorni sarebbe stata ripresa dai rossi, e che quello che parla[va] alla radio di Barcellona [era] un biellese e di là si sent[iva] la pura verità di ciò che succede[va]”. Ai carabinieri, che lo arrestarono, negò di aver pronunciato tali frasi, ammettendo soltanto “di aver ascoltato lagnanze da parte di disoccupati”, e cercò di giustificarsi affermando che “il duce non sa[peva] come sta[vano] gli operai giacché a Roma [andavano] solo i militari in congedo, mentre i dirigenti fascisti non obbedi[vano] al Capo del Governo” e ag70 giungendo che sarebbe stata necessaria la libertà di stampa per far conoscere al duce i desideri degli operai. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 5 giugno fu condannato a tre anni di confino23. Nell’aprile 1937, a Gattinara, in seguito “ad un certo risveglio sovversivo manifestatosi mediante scritti sovversivi sui muri dell’abitato” furono operati numerosi fermi: mentre parte dei sospettati, dopo le prime indagini sommarie, fu rilasciata, nei confronti di altri fu mantenuto il fermo perché fu accertato “che essi solevano spesso riunirsi fra loro per confabulare e biasimare l’opera del Regime, scambiarsi idee di avversione al Governo Fascista e di simpatia per quello Spagnolo”. Si trattava di Alberto Brunetti24, Ernesto Nervi25, Antonio Rossi26 e Secondino Zanazzo27 che, deferiti alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, furono condannati a cinque anni di confino28. Sempre nell’aprile del 1937, e precisamente il 24, quattro avventori di una trattoria di Vercelli, Settimo Benvegnù29, Germano Ferrari30, Giovanni Battista Savio31 e Giuseppe Viotti32, commentarono in francese gli avvenimenti della guerra di Spagna. Il primo esclamò: “Questo lo bevo in barba a Mussolini”, mentre il secondo rivolto a certo Alberto Cazzaniga33, ex ardito di guerra e decorato al valore, disse: “Il 24 maggio le tue medaglie te le faremo saltare”. Un milite presente, tal Ettore Gerardi, “che in quel giorno vestiva da operaio”, denunciò il fatto al comando della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e alla Questura: Benvegnù e Ferrari furono arrestati e deferiti alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia che, il 20 maggio li condannò tre anni di confino34, mentre Savio e Viotti furono diffidati. Nel maggio 1937 a Pralungo fu arrestato l’attaccafili Giuseppe Negro35, in seguito alla confessione del giovane Vincenzo Biscotti36, pure arrestato, che aveva dichiarato che da lui “aveva appreso che qualche mese prima stando ad ascoltare le trasmissioni della stazione di Barcellona, alla radio del Dopolavoro di Pralungo, aveva udito notizie allarmanti sui combattenti italiani in Spagna”. Interrogato, “si mantenne sulla negativa”, ammettendo soltanto di essersi incontrato col Biscotti nel Dopolavoro di Pralungo e di avere ascoltato con questi dalla radio di Barcellona il canto “Bandiera rossa” e che la stessa sera erano anche venuti “a conoscenza che combattenti italiani erano stati fatti prigionieri dai rossi”. Fu interrogato anche il gerente del dopolavoro, Pietro Monti, che “nulla seppe precisare, poiché quella sera nei locali vi erano parecchie persone tutte iscritte al Pnf che schiamazzavano e bevevano”. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, l’8 luglio fu condannato a due anni di confino37. Nel pomeriggio del 12 agosto 1937, Rocco Pareti38, carrettiere senza fissa dimora, mentre era intento a segare legna, a Curino, con il bracciante Giovanni Gnerro, esclamò, in presenza di due testimoni: “Maledetto quel giorno che sono ritornato in Italia a fare il soldato. Si starebbe meglio se venisse una rivoluzione come quella che c’è in Spagna. Se viene un’altra guerra, anche se dura venti anni, farò in modo di passare la frontiera per non fare più ritorno in Italia e passando la frontiera mi pulirò le scarpe perché voglio uscire con le scarpe pulite, perché della terra italiana ne sono stufo”. I carabinieri di Masserano, venuti a conoscenza dell’episodio, il mattino successivo lo arrestarono. Denunciato alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 30 settembre fu condannato a tre anni di confino39. Nel gennaio 1938 fu fermato e interrogato il vercellese Luigi Quarelli40, sorvegliato dalla Milizia volontaria per la sicurezza nazionale perché sospettato di attività antinazionale41: ammise di avere espresso più volte “inconsulti apprezzamenti nei riguardi del Re71 gime e della guerra civile in Spagna”. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, nella seduta del 25 febbraio fu assegnato al confino per due anni42. Nel mese di luglio del 1938 risultò che Osvaldo Sasso43, biellese, militare nel 4o reggimento alpini di stanza ad Aosta, aveva tentato di propagandare le idee comuniste fra i suoi compagni d’arme: due soldati, Ermete Poma e Guerrino Scalfoni, avevano infatti dichiarato che aveva cercato “di attrarli con ogni mezzo nell’orbita delle sue vedute politiche”, che aveva parlato “del benessere di cui god[evano] i lavoratori in Russia, auspicando l’avvento del comunismo anche in Italia [...e] della guerra civile di Spagna, dimostrando le più aperte simpatie per i rossi e lamentando che la Francia e la Russia non [dessero] sufficiente aiuto di armi e di uomini ai rossi”. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia44, il 19 luglio 1938 fu condannato a tre anni di confino45. Nel corso delle indagini praticate dai carabinieri e dall’Ovra a Borgosesia in seguito a una serie di arresti operati nei mesi di agosto e settembre del 1938 risultò che, all’interno dei due gruppi di sovversivi scoperti, uno comunista e l’altro socialista, era circolata stampa di propaganda contro la guerra di Spagna e che alcuni degli arrestati avevano criticato l’intervento italiano46. Nell’aprile dell’anno seguente uno degli arrestati in quell’occasione, Francesco Morando47, fu nuovamente denunciato e subì un nuovo provvedimento di ammonizione per aver commentato, nello stabilimento in cui era occupato, la morte di un fascista borgosesiano legionario in Spagna con un inequivocabile “Oh! là! è andato... uno di meno!”. Nel Casellario politico sono ovviamente documentati altri episodi48. Ne cito ancora due, in questo caso relativi a nati in provincia di Vercelli ma emigrati. Del primo fu protagonista Antonio Mairone49, che fu arrestato il 9 ottobre 1936 a Torino perché sospettato di appartenere al movimento “Giustizia e libertà”: risultò, tra l’altro, che si era occupato del reclutamento di volontari per le brigate internazionali spagnole; denunciato, con altri, al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, per “cospirazione politica mediante associazione per attentare alla costituzione dello Stato”, il 20 marzo 1937 fu assolto per non provata reità e scarcerato. Il secondo episodio riguarda Carlo Parsini50, segnalato nel dicembre del 1938 per essere stato più volte a capo di carovane di camion, organizzate dalla Lega dei diritti dell’uomo, contenenti medicinali e indumenti per i volontari delle brigate internazionali51. Come si è visto gli antifascisti citati furono quasi tutti sottoposti al giudizio della Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia52: gli episodi di cui furono protagonisti appartengono infatti perlopiù a un antifascismo per così dire “minore”: singoli atti di protesta, di ribellione contro il regime fascista, contro la dittatura; tuttavia almeno due episodi ebbero un’importanza e un valore ben superiore a quello che potrebbe apparire da questa breve esposizione: quello di Gattinara e quello di Borgosesia, che coinvolsero (particolarmente il secondo) un numero consistente di antifascisti. Questi due episodi appartengono cioè a una fase di ripresa dell’antifascismo organizzato, dopo il periodo in cui, dal 1927 fino al 1932, si era scatenata la repressione, con decine di condanne al carcere e al confino comminate ai vari gruppi operanti in provincia, da quelli di Mongrando e della valle Strona, fino a quello di Cavaglià (a cui, tra gli altri, appartennero Eraldo Venezia e Gaspare Fracasso, poi volontari in Spagna). Una fase di ripresa dell’antifascismo che, a distanza di pochi mesi dal momento di massimo “consenso” al fascismo, quello rappresentato dalla guerra d’Africa e dalla conquista dell’impero, trasse alimento proprio da quella guerra che in Spagna migliaia di antifascisti stavano combattendo non solo in difesa della 72 democrazia in quel paese e contro il fascismo spagnolo, ma, in un certo senso, contro tutti i fascismi: se nell’immediato l’antifascismo non ottenne i risultati sperati, se la repubblica spagnola fu sconfitta, quella lotta fu tuttavia, come ben sappiamo, assai importante per molti avvenimenti successivi, anche nel nostro Paese e sulle nostre montagne. 1 Il Cpc, che è conservato nell’Archivio centrale dello Stato, è costituito da 152.589 fascicoli (147.584 di uomini e 5.005 di donne), che contengono carteggio vario (rapporti, relazioni, note informative e confidenziali, verbali di interrogatori, lettere e altro materiale sequestrato ecc.) sull’attività svolta dai “sovversivi” in Italia o all’estero; talvolta vi sono inoltre schede biografiche redatte dalle prefetture e brevi “cenni” per gli aggiornamenti delle stesse. In molti casi nei fascicoli vi sono le foto segnaletiche degli schedati e copie della “Rubrica di frontiera” e del “Bollettino delle ricerche”, in cui i “sovversivi” venivano iscritti in caso di emigrazione o di irreperibilità: l’iscrizione nella prima prevedeva vari tipi di provvedimenti, dalla semplice segnalazione del passaggio del confine, alla perquisizione o all’arresto. All’estero l’attività dei “sovversivi” veniva seguita da funzionari dei consolati e, soprattutto, da “fiduciari”, informatori non di rado “infiltrati” negli ambienti dell’opposizione. 2 Di Carlo Siletti, di cui non esiste il fascicolo del Cpc, esiste però quello della serie Confinati politici. 3 Antonio Archetti, Attilio Santagostino, Vittorio Zanone, Pio Zuppa. 4 In alcuni casi (Giovanni Borsano, Rolando Quagliotti, Carlo Tondella, Benedetto Varnero) si sono tuttavia trovate citazioni in documenti contenuti in fascicoli di altri schedati. 5 Sulla base dei dati attualmente in nostro possesso, il numero degli antifascisti vercellesi, biellesi e valsesiani combattenti nella guerra civile spagnola è quantificabile in cinquantaquattro (di altri cinque antifascisti non si hanno dati sufficienti per provare la loro partecipazione). Per le loro biografie si rinvia a PIERO AMBROSIO, Vercellesi, biellesi e valsesiani volontari antifascisti in Spagna, alle pp. 85-124 di questo volume. 6 Tra cui la serie Ministero dell’Interno, Ps aaggrr, cat. K1b-45 “Arruolamento di volontari per l’Esercito rosso spagnolo”, conservata nell’Archivio centrale dello Stato. Si veda l’introduzione alle biografie in P. AMBROSIO, saggio cit. 7 Alcuni di questi antifascisti furono denunciati anche con altre imputazioni. Poiché il dato distintivo che ci interessa non è rilevabile dall’inventario del Cpc, per poter individuare, con un discreto margine di certezza, tutti i denunciati per questo “reato” occorrerebbe consultare, oltre ai fascicoli dei confinati, come è stato fatto, anche tutti quelli relativi ad ammoniti e a diffidati. 8 Si veda l’elenco delle fonti delle biografie, alle pp. 118 e ss. 9 Nei fascicoli del Cpc (e anche in quelli della citata serie Ps aaggrr, cat. K1b-45) si trovano anche 73 segnalazioni imprecise e insufficienti o che, per quanti ci riguarda, in seguito a più accurate indagini, alcune si rivelarono errate. Pietro Reale, nato a Serralunga di Crea (Al) il 2 novembre 1883, residente a Casale Monferrato (Al), macchinista, ex combattente nelle brigate internazionali inquadrato in una batteria di artiglieria da campagna della brigata “Garibaldi”, rimpatriato nel febbraio del 1938, nell’interrogatorio cui fu sottoposto nella Questura di Alessandria segnalò come suoi commilitoni certi Picciardi, contadino quarantacinquenne originario di Gattinara, e Giuseppe Ramella, di Pinerolo (To) o dintorni, muratore di circa 35 anni. Entrambi risultarono sconosciuti nelle località indicate. Il secondo ha un cognome diffuso anche nel Biellese, ma non ci è stato possibile individuarlo. Nel dicembre del 1936 un informatore segnalò che certo Giovanni Perino, nato a Brusnengo il 6 giugno 1897, già residente a Torino, meccanico, aveva preso alloggio in un albergo di Parigi e si sarebbe dovuto recare in Spagna per incarico del Partito socialista. Dagli accertamenti effettuati nulla risultò sul conto di questi nel capoluogo piemontese, mentre a Brusnengo risultò nato un omonimo (di Emilio e Teresa Gallinetti), il 4 settembre 1898, emigrato negli Stati Uniti nel 1914, sovversivo renitente alla leva, che risultò tuttavia risiedere a New York, da dove negli ultimi anni non si era allontanato. Nel gennaio 1937 fu diramato alle prefetture un elenco di “connazionali adunati a Nizza per partire per la Spagna al servizio del fronte popolare” in cui risultava il nome di certo Albino Anselmi. Il prefetto di Vercelli suppose potesse trattarsi di Antonio Albino Anselmi (di Michele e di Teresa Picco, nato a Roasio il 17 gennaio 1890, sovversivo, emigrato nel 1921 per gli Stati Uniti d’America), che risultò invece non essersi allontanato da Detroit, dove risiedeva. Nello stesso mese fu segnalato certo Luigi Bertoli come “arruolato nelle truppe rosse spagnuole”. Il prefetto di Vercelli suppose potesse trattarsi di Iginio Bertoli, di Pietro e Giovanna Fantin, nato a Rivignano (Ud) il 10 agosto 1905, manovale, comunista, ex confinato politico (condannato il 6 marzo 1928 dalla Commissione provinciale di Udine per i provvedimenti di polizia a un anno per canti sovversivi), già residente a Zumaglia, da cui era emigrato clandestinamente per la Francia nel dicembre del 1930, irreperibile, iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”. Rintracciato nel marzo dell’anno seguente a Lantosque, fu accertato che egli, pur essendo “di sentimenti antifascisti”, non aveva mai lasciato la Francia. È probabile che la segnalazione si riferisse a un volontario piacentino. Nel febbraio del 1937 fu segnalato certo Paolo Bosoni, capopezzo di una compagnia di mitraglieri, e nel giugno dell’anno seguente certo Pietro Noca, in servizio nella compagnia anticarri della 14a brigata. In entrambi i casi il prefetto di Vercelli suppose potesse trattarsi di Paolo Noca, di Carlo e di Giulia Noca, nato a Roasio il 13 marzo 1895, noto con il nomignolo di Busoni, emigrato in Francia, disegnatore, comunista, iscritto nella “Rubrica di frontiera”, ma in seguito ad “accuratissime indagini”, nell’ottobre del 1939 fu accertato che questi non si era mai allontanato da Jarny, sua località di residenza. Nell’aprile 1937 fu segnalato da parte di una “fonte attendibile” che Gilio Gurgo, di Raimondo e di Emilia Perazio, nato a Losanna l’8 marzo 1896, oriundo di Pettinengo, residente a Parigi, scultore, aveva lasciato la capitale francese per recarsi in Spagna e arruolarsi nelle brigate internazionali. Nel mese di luglio questi invece tornò al paese d’origine per alcuni mesi e non risultò che avesse combattuto in Spagna. Alla fine di agosto del 1937 un informatore segnalò al Consolato di New York che certo Pietro Schintone, di anni 37 circa, da Biella, si era recato in Spagna e aveva scritto a compagni newyorkesi da Valencia. La Prefettura di Vercelli l’11 gennaio 1938 comunicò alla Direzione generale della Ps che non risultava nato né conosciuto a Biella e nei comuni limitrofi. In un elenco di “connazionali arruolati nelle milizie rosse spagnole” diramato alle prefetture nel luglio 1938 risultava un certo Zanone, tenente colonnello. Il prefetto di Vercelli ipotizzò che potesse trattarsi di Battista Zanone, di Lorenzo e di Angela Sodano, nato il 28 febbraio 1891 a Gattinara, manovale, emigrato in Francia nel 1924, dopo aver subito, quattro anni prima, una condanna a due mesi e mezzo di carcere per “attentato alla libertà del lavoro”, schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”, ma l’identificazione non fu confermata. È possibile che la segnalazione si riferisse ad Arturo Zanoni, comandante della brigata “Garibaldi”. Nell’ottobre del 1939 il Ministero dell’Interno ipotizzò che il Giuseppe Ceruti segnalato da una 74 fonte fiduciaria del Consolato italiano di Salamanca come appartenente alla compagnia italiana del battaglione “Dimitrov”, morto sul fronte del Jarama in epoca antecedente l’aprile del 1937, potesse identificarsi in Giuseppe Cerruti Miclet, di Luigi e di Anna Cimamonte, nato il 19 ottobre 1892 a Soprana, tessitore, comunista, emigrato nel 1922, iscritto nella “Rubrica di frontiera”. L’emigrato biellese risultò però residente in Francia. Nel mese di giugno la Questura di Vercelli aveva anzi richiesto la revoca della sua iscrizione nella “Rubrica di frontiera” non riscontrando nei suoi confronti “una accertata o fondatamente supposta pericolosità politica”. La segnalazione si riferiva probabilmente al lombardo Giuseppe Cerutti, caduto il 12 marzo 1937 a Morata de Tajuña. ACS, Cpc, fascicoli personali di Giovanni Perino di Emilio, Iginio Bertoli, Paolo Noca, Battista Zanone; per Giuseppe Cerruti Miclet fascicolo intestato “Giuseppe Cerruti”; Ps. aaggrr, cat. K1b45, fascicoli personali di Picciardi, Ramella, Giovanni Perino di Emilio; fascicoli intestati a Paolo Bosoni e Pietro Noca; per Albino Anselmi, Iginio Bertoli, Gilio Gurgo e Pietro Schintone non esistono fascicoli personali ma solo documentazione sparsa in varie buste. A proposito di segnalazioni errate si veda anche la seconda parte della nota n. 14. 10 Per notizie sulla sua attività e su quella degli altri volontari antifascisti di seguito citati si rinvia come si è detto - alle biografie pubblicate in questo volume. 11 Solo in tre casi (Pietro Cerruti, Angelo Irico, Matteo Secchia) nei fascicoli del Cpc non esistono documenti relativi alla partecipazione degli schedati alla guerra civile spagnola. 12 ESTELLA [TERESA NOCE] (a cura di), Garibaldini in Spagna, Madrid, Ugt, 1937; riedizione Milano, Feltrinelli, 1966. 13 Alias Francesco Airoldi, originario di Voghera, già residente a Milano. 14 “Giorgio Camen” era il nome di battaglia del dirigente comunista Giuliano Pajetta. L’Arrighelli fu denunciato dalla “Voce degli italiani” come provocatore e spia. Come si è visto il contenuto di certe “confidenze” non sempre era attendibile: in questo caso va segnalato che l’identificazione del Tondella era errata, essendo Carlo e non Federico l’antifascista volontario in Spagna. Per notizie sui due fratelli si veda la biografia di Carlo, in questo volume a p. 107. 15 Associazione costituita nel 1927 in Francia comprendente socialisti, radicali, massoni, anarchici, liberali, esponenti di “Giustizia e libertà”. I comunisti vi aderirono solo dopo il VII Congresso dell’Internazionale comunista (1935), secondo la politica di fronte popolare, per stabilire legami unitari con le altre forze antifasciste al fine sviluppare la lotta contro il fascismo. L’associazione mirava ad assicurare aiuti agli emigrati politici italiani e a difendere gli antifascisti dagli arbitrii delle polizie locali. 16 Nato il 7 gennaio 1905 a Vercelli, ivi residente, operaio. Appena ventenne aveva cominciato “a professare idee comuniste e, pur non avendo largo ascendente sulle masse, si [era] palesato elemento pericoloso per il suo carattere e per l’attività che spiegava in favore dei partiti sovversivi, sì da essere ritenuto uno dei più temibili esponenti del gruppo ‘centro’ di Vercelli”. Successivamente “pur non avendo abbandonato le vecchie idee [aveva] simulato un’acquiescenza non sincera” per cui era oggetto di particolare attenzione da parte della Questura, che sospettava “ch’egli mantenesse ancora occulti contatti con emissari del partito comunista e soprattutto relazioni pistolari (sic) con fuorusciti”. 17 Non identificato. Potrebbe trattarsi di Giuseppe Mezzano. 18 Fu destinato a Tremiti (Fg). Il 25 agosto 1937 il Ministero dell’Interno ne dispose il proscioglimento, ma l’attuazione del provvedimento fu sospesa essendo stato nel frattempo incarcerato a Lucera (Fg) per aver partecipato “ad una manifestazione sediziosa avverso la prescrizione del saluto romano”. Fu liberato il 7 febbraio 1938. 19 Nato il 16 maggio 1893 a Moncrivello, muratore, socialista, già emigrato in Francia e Svizzera. 20 Nato il 29 maggio 1896 a Broni (Pv), residente a Milano, laureato in legge, noto socialista fuoruscito, fu deferito più volte in stato di latitanza al Tribunale speciale per la difesa dello Stato; nel 1942, consegnato dalle autorità del governo collaborazionista di Vichy alla polizia italiana, il 24 ottobre fu condannato a trent’anni di reclusione. 21 Fu destinato a Tremiti (Fg) e prosciolto condizionalmente il 12 febbraio 1942. 22 Nato il 26 settembre 1896 a Biella, residente a Pralungo, filatore, antifascista. Era già stato segnalato alla polizia come “individuo sospetto in quanto non [aveva] mai preso parte a manifestazioni patriottiche”. 75 23 Destinato a Badolato (Cz), fu prosciolto condizionalmente in occasione del Natale dello stesso anno. 24 Nato il 2 novembre 1888 a Gattinara, ivi residente, carpentiere. Il 26 aprile 1924 era stato condannato dal Tribunale militare di Torino a tre anni di reclusione militare per diserzione. 25 Nato il 1 giugno 1887 a Gattinara, ivi residente, agricoltore. Dalle indagini risultò che diverse volte era stato “notato in compagnia di elementi sovversivi intento a leggere i giornali quotidiani affissi all’albo pretorio, commentando la guerra civile spagnola e mettendo entusiasticamente in rilievo l’azione vittoriosa dei rossi, i quali una volta vinta la guerra avrebbero senz’altro marciato sull’Europa intera, sgominando le forze naziste e fasciste”. Risultò inoltre che una sera imprecisata del mese di febbraio era stato sentito pronunciare frasi contrarie al Regime e che “la Spagna rossa avrebbe fatto molto bene a vincere, perché colla sua vittoria il Fascismo sarebbe scomparso ed avrebbe trionfato il comunismo”. 26 Nato il 14 aprile 1874 a Gattinara, ivi residente, operaio. 27 Nato il 3 gennaio 1883 a Gattinara, ivi residente, agricoltore. 28 Brunetti, Nervi e Zanazzo furono destinati a Tremiti (Fg): il primo fu prosciolto condizionalmente in occasione del Natale 1938; gli altri due ebbero la condanna commutata in ammonizione rispettivamente l’11 maggio e il 5 agosto 1939. Rossi fu invece destinato a Siderno (Rc) dove morì il 14 agosto 1938. 29 Nato il 18 novembre 1899 a Vigonovo (Ve), residente a Vercelli dall’agosto 1936, classificato comunista. 30 Nato il 23 maggio 1905 a Milano, abitante da pochi mesi a Vercelli, pittore disoccupato. 31 Nato il 24 aprile 1909 a Chardanne (Svizzera), originario di Borgo d’Ale, residente a Vercelli, manovale. 32 Nato il 12 aprile 1903 a Saint-Imier (Svizzera), residente a Vercelli, gessatore. 33 Cinquantaseienne, nato a Milano, residente a Vercelli. 34 Destinati entrambi a Tremiti (Fg), furono prosciolti condizionalmente in occasione del Natale dello stesso anno. Benvegnù ritornò a Vercelli e successivamente si trasferì a Zubiena, dove risulta ancora vigilato nel gennaio 1944; Ferrari risulta ancora schedato nel Cpc nel marzo 1942 ma irreperibile. 35 Nato il 28 luglio 1901 a Pralungo, ivi residente, attaccafili. 36 Nato il 27 gennaio 1921 a Peschici (Fg), residente a Pralungo, attaccafili. 37 Destinato a Fontecchio (Aq), fu prosciolto condizionalmente in occasione del Natale dello stesso anno. Risulta ancora vigilato nel maggio 1941. Vincenzo Biscotti fu invece assegnato al riformatorio. 38 Nato l’11 novembre 1893 a Fombio (Mi). 39 Destinato a Pomarico (Mt), fu liberato il 28 novembre 1940. Nel novembre dell’anno successivo fu radiato dal novero dei sovversivi “in considerazione della buona condotta serbata e non essendo ritenuto pericoloso”. 40 Nato il 20 maggio 1907 a Desana, residente a Vercelli, venditore ambulante. 41 Era stato denunciato al comando della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale da sua moglie, Luigia Masserano, che aveva quindi avuto l’incarico di vigilarlo e di sequestrare e consegnare la corrispondenza che eventualmente gli fosse giunta. Questa, il 16 gennaio 1938, aveva appunto consegnato al comando una lettera “di evidente carattere sovversivo”. 42 Fu destinato a Bisaccia (Av). Il 3 settembre il provvedimento fu commutato in quello dell’ammonizione, da cui fu prosciolto “per atto di clemenza” in occasione del Natale. 43 Nato il 7 dicembre 1915 a Biella, ivi residente, bracciante. 44 Era inoltre stato identificato quale autore di una lettera di “evidente carattere sovversivo” e gli era anche stata sequestrata “altra corrispondenza pure di carattere sovversivo rintracciata a seguito di una perquisizione operata nel suo corredo”. 45 Destinato a Tremiti (Fg), fu liberato l’8 luglio 1941. 46 Nella catena di arresti furono coinvolti numerosi antifascisti, alcuni dei quali deferiti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato o condannati al confino, altri ammoniti o diffidati. Sull’episodio si veda P. AMBROSIO, Gli arresti dell’estate 1938 a Borgosesia, in “l’impegno”, a. VIII, n. 3, dicembre 1988. 76 47 Nato il 16 agosto 1895 a Trino, residente a Borgosesia, operaio. Altri ancora sono documentati nella serie Ministero dell’Interno, Dir. gen. Ps, Div. aaggrr. Tra questi quello relativo al falegname Antonio Cerreia Varale (nato il 12 maggio 1911 a Soprana, ivi residente, iscritto al Partito nazionale fascista dal 1931), che fu segnalato quale possibile autore della scritta “Auguriamo la morte al duce e a tutti coloro che se ne interessano. Viva la Spagna rossa, viva il comunismo” rinvenuta il 28 aprile 1938 a Soprana nella cassetta della raccolta delle denunce del dazio. Deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato con l’accusa di offese al duce, fu rinviato alla magistratura ordinaria. Non è noto l’esito del procedimento (fascicolo “Vercelli”, 1938, b. 30). 49 Nato il 15 febbraio 1899 a San Germano Vercellese, residente a Torino, tornitore meccanico. Era noto alla polizia fin dal 1920 come anarchico, avendo riportato una condanna a quattordici anni di reclusione e a due anni di vigilanza speciale, per attentato con esplosivi contro agenti della forza pubblica. Scarcerato nell’agosto 1925 per amnistia, nel novembre del 1933, ritenuto “elemento pericoloso, capace di commettere al momento opportuno atti inconsulti”, era stato inserito nell’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze. 50 Nato il 15 marzo 1895 a Borgosesia, emigrato in Francia nel 1922, residente ad Annecy, falegname, poi autista. In seguito alla segnalazione fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto. 51 Risultò inoltre che si “sarebbe anche interessato del trasporto, attraverso il confine franco-svizzero, di libelli antifascisti, destinati poi ad essere inoltrati nel Regno a mezzo di emissari clandestini, attraverso i vari valichi del Ticino” e che si sarebbe inoltre occupato di “assoldare colleghi francesi che si prest[assero] ad introdurre in Italia, clandestinamente, a mezzo di autocarri (sic) turistici, stampati di propaganda antifascista che [sarebbero stati] ritirato da appositi incaricati dopo le frontiere del Piccolo San Bernardo e del Moncenisio”. 52 Fanno eccezione, tra i casi citati, i deferimenti del Parsini e del Cerreia Varale al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, dovuti alla maggior gravità dei “reati” loro ascritti. 48 77 La partecipazione dei biellesi alla guerra di Spagna: spie di una trasformazione di Gianni Perona Che un numero relativamente elevato di biellesi abbia partecipato alla guerra di Spagna contro i franchisti è richiamato spesso negli scritti e nelle memorie dedicate all’antifascismo nella regione, e nel presente volume un contributo definitivo - dovuto al lavoro di Piero Ambrosio - presenta l’elenco più completo possibile. Su questi trentatré nomi, o trentasei includendo gl’immigrati, non ha senso fare statistiche, e le cose più interessanti che sono state scritte, ad esempio sulla figura di Adriano Rossetti e sulla sua famiglia1, suggeriscono che il lavoro biografico o almeno prosopografico è l’unico che possa arricchire significativamente le nostre conoscenze e la nostra comprensione di percorsi non facilmente ricostruibili, né riconducibili a schemi semplici di comportamento. Tuttavia può essere utile una breve riflessione d’insieme su questo gruppo, sui suoi modi di aggregazione, sul suo riferirsi alla regione di origine, e sugli esiti ultimi della sua vicenda. Guardando alla composizione sociale, si nota che non pochi dei volontari in Spagna sono muratori, e fra questi principalmente i nativi di Mongrando, che formano quasi un quarto del totale. Altre professioni sono presenti, dal cameriere al manovale, ma limitatissima è la presenza di lavoratori tessili. Dei più noti, Antonio Roasio è ormai da tempo un funzionario a tempo pieno del partito e dell’Internazionale comunista, mentre Anello Poma è significativamente quasi il solo che arrivi in Spagna direttamente dall’Italia2. In genere tuttavia mancano rappresentanti delle categorie operaie più numerose nel Biellese: nessuno proviene né dal settore cotoniero né dai cappellifici, ambienti nei quali pur si trovano per tutto il ventennio fascista copiose manifestazioni di dissenso militante, cui corrispondono episodi ben noti negli annali della repressione poliziesca. Se si considera la distribuzione territoriale dei luoghi di nascita o di residenza, si rileva di conseguenza una distribuzione ineguale, che esclude, come prevedibile, tutte le valli dello Strona e del Sessera, dove la specializzazione tessile è quasi esclusiva, e dove le aziende vanno trovando una rinnovata prosperità dopo la crisi dei primi anni trenta. I quartieri operai della città capoluogo, i suoi immediati dintorni e il Biellese occidentale forniscono gran parte degli effettivi. Si è detto a parziale spiegazione, da parte di militanti comunisti del Biellese orientale direttamente collegati all’emigrazione politica in Francia, che era venuta dall’estero l’indicazione di non reclutare volontari per le brigate internazionali, ma di lavorare a organizzare la cospirazione all’interno del Paese. Ciò può essere vero3, ma una tale proibizione ebbe comunque solo il risultato di legittimare agli occhi dei comunisti medesimi ciò che stava accadendo e che sarebbe in ogni caso accaduto: le partenze dirette verso la Spagna furono quasi nulle e il reclutamento dei volontari biellesi si compì quasi interamente negli ambienti dell’emigrazione economica e politica esauritasi con la prima metà degli anni 78 venti. Emergeva in sostanza di riflesso, in questa vicenda marginale alla storia della società biellese, il grande processo di trasformazione che era in corso nel secondo decennio fascista: non tanto per divieti e ostacoli all’emigrazione, quanto per interna dinamica economica e demografica, la piccola subregione prealpina aveva definitivamente cessato di essere terra di emigrazione. Specialmente il settore tessile era diventato molto più esteso, da quando gl’imprenditori locali avevano abbandonato le loro filiali torinesi e potenziato gl’impianti locali con la generalizzazione dei doppi turni e la costruzione di nuove fabbriche, avviando un processo di costante sviluppo che durò fin oltre il 1930, e riprese dopo il 1933, pur attraverso crisi congiunturali e generali anche gravi4. Per questo verso la metà degli anni trenta, quando giunsero i previsti anni del vuoto demografico, a vent’anni dalle stragi della prima guerra mondiale e dalla rottura coatta dei legami familiari che questa aveva provocato, non solo le industrie laniere non trovarono più abbastanza lavoratori per la rinnovata offerta di occupazione, ma dovettero ricorrere in larghissima misura a operai forestieri, soprattutto veneti. I quali, venendo ad aggiungersi agli immigrati dalla pianura vercellese e alessandrina giunti nel secondo e nel terzo decennio del secolo, contribuirono a modificare sostanzialmente la popolazione dei paesi, incidendo in particolar modo sulle fasce di età più giovani, cui le famiglie numerose di origine veneta fornirono il maggior numero di effettivi5. La colonia italiana soprattutto parigina, anzi banlieusarde, che alimentò il reclutamento dei volontari per la Spagna, apparteneva invece a un ciclo economico e demografico affatto diverso: strettamente biellese per origine, radicata in una tradizione antica6 di migrazioni stagionali verso le città e oltre le Alpi, essa era legata alla terra di provenienza da vincoli patrimoniali e soprattutto da una rete di relazioni che stendeva un manto protettivo di sicura efficacia su tutte le aree di destinazione, fornendo notizie sulle possibilità di lavoro, appoggio nelle prime fasi degli insediamenti, assistenza nei momenti di crisi. Ma negli anni trenta anche i gruppi emigrati andavano cambiando: molti, dopo la rivalutazione della lira nel 1927, avevano portato in Francia tutta la famiglia, e i loro figli, se non essi stessi, consideravano seriamente la prospettiva dell’integrazione nella società ospite. Processo che si sarebbe avviato con più decisione, se non avesse incontrato il triplice ostacolo, in primis delle resistenze xenofobe forti nella destra francese, poi della crisi economica - che divenne violenta in Francia con un certo ritardo su quella del 1929, ma persisté fino alla metà degli trenta - infine della politica fascista di controllo sulle comunità emigrate. Al momento dello scoppio della crisi spagnola, nell’estate del 1936, i fattori che potevano rendere precaria la situazione degli emigrati erano ancora tutti attivi. Non bastava il contesto politicamente più favorevole creato dal nuovo governo di Front populaire ad assicurare un miglioramento del mercato del lavoro e una sicura occupazione, senza la quale pendeva sempre la minaccia, particolarmente grave per i militanti antifascisti, della revoca del permesso di soggiorno e dell’estradamento verso l’Italia a cura delle autorità fasciste. E molto significativo perciò che nel 1935 troviamo proprio un membro del gruppo dei futuri miliziani di Mongrando, Arialdo Zanotti, impegnato in una missione presso il console generale d’Italia a Parigi, insieme a un altro italiano e a tre francesi. “La ‘delegazione’ - riferisce a Roma il Consolato stesso - che si diceva nominata nel corso di due assemblee di lavoratori che avrebbero avuto luogo a Villeparisis e a Vaujours con la partecipazione di alcune centinaia di operai, era latrice di due lettere in busta chiusa, indirizzate al Ministe79 ro del Lavoro francese, nonché di due note indirizzate a S. E. l’Ambasciatore e redatte del resto in termini abbastanza rispettosi, nelle quali si chiedeva un’energica azione di tutela dei connazionali, specie per quanto riguarda il rinnovo delle carte da lavoratore”7. In questa informazione si trovano per noi molti indizi importanti: l’influenza dei lavoratori antifascisti nell’ambiente degli operai emigrati, superiore alla loro consistenza numerica, la loro aggregazione nella banlieue parigina, ma soprattutto il precario stato di occupazione e una situazione giuridica difficile, che li spingeva a chiedere tutela ai rappresentanti di quello stesso Paese al quale si temeva di essere rinviati se le “carte da lavoratore” francesi non fossero state rinnovate. Un analogo disagio economico è testimoniato da un altro volontario biellese in Spagna, Antonio Mosca Carlottin, un muratore di Rosazza, nell’alta valle del Cervo, residente a Tolone, quando espone le sue vicende. “Nel 1936 rimasto disoccupato perché la Polizia Francese osteggiava il lavoro degli stranieri decisi di arruolarmi nell’esercito repubblicano spagnuolo e nel mese di novembre stesso anno mi recai in Spagna dove fui inviato ad Albacete ed incorporato nella Brigata ‘Garibaldi’ 2a Compagnia”8. Certo il Mosca Carlottin narra questo alla polizia fascista il 31 ottobre 1941, cercando di minimizzare il significato politico della sua partecipazione alla guerra antifranchista, ma non c’è ragione di ritenere che il cenno alla disoccupazione e all’ostilità delle autorità francesi sia falso, poiché allude a una situazione assai simile a quella dello Zanotti. Né diversa spia di una difficile situazione economica si trova nella vicenda familiare che Giovanni Calligaris racconterà quasi nei medesimi giorni alle stesse autorità di polizia. “Dovetti [...] chiudere l’azienda nei primi mesi del 1936 e la mia situazione divenne molto grave, per mancanza di mezzi. Per tale motivo sorsero anche quistioni in famiglia e mia moglie mi lasciò ritirandosi in un comune della periferia di Parigi9. Che la testimonianza sulle vicende familiari e sullo stato economico sia veridica emerge sia dalla nota della Prefettura di Vercelli del novembre 1941 che comunica l’assegnazione al confino di Giovanni il quale “non ha mezzi per mantenersi e non ha parenti in grado di passargli gli alimenti”, sia da una precedente dichiarazione della moglie, rientrata a Mongrando nell’aprile 1940, ai carabinieri del paese: “Richiesta del marito, ha dichiarato di ignorare ove egli si trovi attualmente, aggiungendo che nel 1936 egli l’abbandonò in Francia, per recarsi in Spagna, ove sarebbesi arruolato nelle milizie rosse”10. Ma conviene a questo punto continuare a seguire la vicenda del Calligaris, da cui emergono altri importanti indizi sulla comunità emigrata. “A Parigi io frequentavo l’associazione del ‘fronte unico antifascista’ che divenne poi la ‘Unione popolare italiana’ e la ‘Lega dei diritti dell’uomo’ dove mi fu consigliato di recarmi in Spagna dove, a loro dire, vi era possibilità di lavoro e di guadagno. Mi recai pertanto, con i miei mezzi, a Barcellona nel mese di novembre stesso anno [1936] e da un circolo di operai cui mi ero presentato fui indirizzato ad Albacete per essere arruolato nelle milizie rosse”11. Descrizione fattuale corretta, da cui traspare - anche qui sotto l’evidente intenzione di minimizzare le responsabilità politiche del dichiarante - l’inestricabile imbricazione delle organizzazioni politiche e della socialità operaia, per cui i vari comitati antifascisti sono anche veicoli d’informazione tra lavoratori, in Spagna12 come in Francia. Emerge insomma un profilo di lavoratore-militante, che cerca di conciliare il suo impegno politico con le ineludibili costrizioni economiche della sua condizione. Il circuito antifascista, da parte sua, è tanto più tenuto ad occuparsi di aspetti economici quanto meno i suoi membri possono utilizzare l’antica rete di solidarietà ancorata ai 80 villaggi d’origine. In un’osservazione molto illuminante, la Prefettura di Vercelli aveva colto questo punto fin dal 1934, quando aveva indagato sui Rossetti, sullo Zanotti e sul Calligaris stesso, sospettati di aver inviato al paese stampa clandestina. “Non consta che all’Estero, apparentemente, svolgano attività sovversiva; ma ciò può essere giustificato dal fatto che a Villeparisis e nel vicino comune di Aulnay-sous-Bois dimorano molte altre persone di Mongrando di sentimenti fascisti i quali potrebbero informare le autorità in patria della condotta tenuta dalla famiglia [Rossetti] suddetta”13. Insomma, la divisione tra fascisti e antifascisti stava lacerando a poco a poco anche i vincoli di solidarietà cui per secoli si era affidata l’emigrazione economica. Quanto poi tale adesione al fascismo fosse estesa o sincera, richiederebbe studi che bisognerà pur fare, e che per ora sono impediti dalla cattiva organizzazione degli archivi consolari presso il Ministero degli Esteri, sicché lo storico risente di un eccesso di visibilità della minoranza antifascista, documentatissima, rispetto ai non fascisti e ai fascisti dichiarati, di cui poco e sporadicamente si apprende. Riassumendo il significato di queste notazioni, ci sembra di poter definire la partecipazione alla guerra di Spagna non solo come l’esito di scelte individuali politiche, ma anche come un percorso che si iscrive all’interno degli spazi economici dell’emigrazione. Insomma, sopravvenuta in un momento di crisi economica acutissima, la prospettiva spagnola sembrava quadrare il cerchio sia dal punto di vista delle organizzazioni antifasciste sia da quello dei volontari stessi: offrendo una ragionevole fonte di sussistenza, garantita dalla Repubblica spagnola, e uno statuto giuridico riconosciuto, si ponevano infatti i militanti nella condizione di mantenere la loro coesione politica e di superare la crisi economica. Il che permette di spiegare - nel caso dei mongrandesi e degli altri muratori biellesi - come mai si rechino in Spagna non dei singoli, ma intere squadre di operai, che negli anni precedenti avevano condiviso i medesimi cantieri. La vicenda degli anni 1939-40, quando l’assenza di una valvola di sfogo porterà l’emigrazione politica in Francia a disgregarsi totalmente ci sembra confermare quest’analisi. Ma a questo punto la nostra argomentazione si sposta su alcuni problemi di prospettiva e si volge alla questione: come si passa da una situazione di crisi e di sostanziale emarginazione rispetto al Paese d’origine, a un ritorno generalizzato e all’assunzione d’importanti ruoli nel Biellese? Infatti una delle ragioni per cui si è dedicata ripetuta attenzione alle vicende degli emigrati che si recarono alla guerra di Spagna è che un manipolo di questi si ritrovò poi nel Biellese, dove svolse un compito decisivo tra l’autunno e l’inverno 1943-44, nel tenere in piedi l’organizzazione militare dei distaccamenti garibaldini da cui si sarebbe sviluppata quasi tutta la Resistenza armata locale. La linea di continuità che si disegna nelle loro biografie tra l’impegno in Spagna e la Resistenza in Italia sembra corrispondere perfettamente al motto rosselliano “Oggi in Spagna, domani in Italia”. Ma una riflessione più approfondita invita ad articolare meglio il giudizio. La Resistenza biellese nasce infatti su basi essenzialmente autoctone tra il settembre e l’ottobre 1943, con un reclutamento di sbandati e anche di simpatizzanti antifascisti che si riuniscono intorno a personaggi locali: la valle dell’Elvo, il villaggio operaio di Tollegno, la valle Sessera, il vecchio centro antifascista di Cossato e i suoi dintorni forniscono i protagonisti più rilevanti di questo moto politicamente eterogeneo. Osserviamo anche - ritornando alle considerazioni da cui siamo partiti - che fra questi primi iniziatori è largamente rappresentata la categoria dei tessili, ormai egemone nell’eco81 nomia locale, e in essa non poco peso hanno i gruppi di origine non biellese attratti dai recenti sviluppi dell’industria laniera: come i Moranino, che provengono dalla pianura vercellese, o Quinto Antonietti, che diverrà comandante dell’intera zona partigiana biellese, originario di Fubine nel Monferrato alessandrino (gli uni e l’altro reclutati dalla Filatura di Tollegno), o Pasquale Finotto, oriundo di Balocco, già animatore degli scioperi dell’aprile 1943 alla Cerruti di Biella, poi membro del Cln. Il ruolo degli “spagnoli” diventa eminente non per caso, ma per una situazione contingente ed eccezionale, quando nel novembre 1943 la prima organizzazione militare antifascista si disgrega. Piero Pajetta “Nedo”, un veterano di Spagna e della guerra clandestina a Parigi14, inviato a Biella dal Partito comunista, riforma il gruppo dei responsabili dell’attività militare e si appoggia esclusivamente a reduci delle brigate internazionali, Adriano Rossetti ed Anello Poma. Inoltre i superstiti dei primi gruppi partigiani vengono riorganizzati, e anche in essi ruoli importanti vengono affidati a militanti provenienti dall’emigrazione, come William Valsesia, Nino Banchieri, Luigi Viana e altri. Insomma, povero di quadri esperti nella cospirazione, Piero Pajetta cerca di formare nuovi militanti per l’impegno politico-militare (un veterano dell’emigrazione in Urss e in Francia come Aladino Bibolotti terrà un corso di preparazione politica in montagna nel quale i due primi classificati sono, non a caso, il Valsesia e il Banchieri) e si appoggia decisamente al solo personale sperimentato tecnicamente e fidato politicamente di cui pensa di disporre. Con un pieno successo nella congiuntura difficile dell’inverno. Ma una distinzione netta dev’essere tracciata fra questa prima stagione e l’avvento della Resistenza di massa dopo la primavera del 1944. In essa i legami con la società locale ridiventeranno decisivi, e l’importanza del gruppo degli iniziatori sempre più marginale. Morto Pajetta nel febbraio 1944, inviati Adriano Rossetti e Annibale Caneparo (altro veterano di Spagna) con diversi compiti organizzativi nell’area canavese e valdostana, anche altri reduci della guerra antifranchista assumono ruoli più limitati, e talora perfino pesa contro di essi, come nel caso di Riccardo Zanotto, l’eredità di dissensi antichi già maturati nella Catalogna del 1937. Il quadro che presentano le brigate garibaldine nel 1944, animatrici di scioperi, insediate nei paesi, non riserva insomma che poco spazio ai rappresentanti di una stagione gloriosa ma irrevocabile. Un indicatore importante come il numero dei caduti, ci dice che oltre il dodici per cento dei partigiani caduti nel Biellese orientale, dal quale non era venuto nessun volontario di Spagna, sono giovani veneti figli dell’ultima ondata migratoria, che conquistavano così - dolorosamente - il diritto a un’integrazione nella nuova società biellese15. Paradossalmente, la militanza politica che aveva contribuito a isolare gli antifascisti nell’emigrazione rispetto ai loro compaesani diventa - caduto il fascismo - un importante veicolo di reinserimento nella società di origine profondamente trasformata. E l’eccezionale congiuntura della Resistenza armata renderà possibile l’assunzione di ruoli importanti, dopo i terribili anni di emarginazione nei campi di concentramento francesi, poi nelle prigioni e nel confino fascista. Ma i grandi cambiamenti che sono avvenuti in Italia si registreranno anche in una sostanziale emarginazione dei veterani di Spagna sia nella seconda e più matura fase della Resistenza16, sia nel dopoguerra, nello stesso Partito comunista dove avevano sempre militato. Dalla situazione francese, in cui il Comitato centrale del partito aveva sempre contato, negli anni trenta, almeno un biellese in rappresentanza di uno dei più forti gruppi emigrati, si passa così a quella italiana, dove i medesimi personaggi si 82 vedono affidare modesti ruoli provinciali. Processo inevitabile, in una situazione in cui pesavano di nuovo i rapporti di massa con il vivo corpo sociale della nazione, e l’esperienza politica doveva accompagnarsi anche a un inserimento pieno nel nuovo contesto. Con le dovute eccezioni, il personale dell’emigrazione non poteva più far valere allora competenze maturate nella stagione di fuoco della cospirazione e della lotta armata. 1 Si veda, ad esempio, di FRANCO R AMELLA, Biografia di un operaio antifascista: Adriano Rossetti. Ipotesi per una storia dell’emigrazione politica, in “l’impegno’, a. VII, n. 2, agosto 1987, pp. 2-12, edito anche in PIERRE MILZA (sous la direction de), Les Italiens en France de 1914 à 1940, collection de 1’École française de Rome, n. 94, Roma, 1986. Si veda anche LUIGI MORANINO, Giuseppina Rossetti: una donna nella lotta antifascista, in “l’impegno”, a. VII, n. 3, dicembre 1987, pp. 31-33, e per alcune considerazioni di carattere generale F. Ramella, L’émigration dans la mémoire des migrants: les récits oraux, in L’immigration italienne en France dans les années 20, Paris, Éditions du Cedei, 1988, pp. 123-128. 2 Si veda ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977. Su Anello Poma si veda il suo contributo a questo volume e la sua scheda biografica a p. 101. Ora si veda anche l’articolo in appendice (ndc). 3 La riluttanza dei comunisti ad esporre i propri dirigenti ai rischi della guerra è testimoniata da un altro emigrato biellese, Stefano Schiapparelli, nelle sue memorie. Cfr. STEFANO SCHIAPPARELLI “WILLY”, Ricordi di un fuoruscito, prefazione di Giorgio Amendola, Milano, Edizioni del Calendario, 1971, p. 128. 4 Sullo sviluppo e l’affermazione sui mercati internazionali dell’industria laniera biellese nel corso degli anni venti, si veda TERESIO GAMACCIO, L’industria laniera fra espansionismo e grande crisi. Imprenditori, sindacato fascista e operai nel Biellese (1926-1933), prefazione di Guido Quazza, Borgosesia, Isrsc Vc, 1990. 5 Ancora oggi in paesi come Strona la popolazione di origine veneta supera il dieci per cento, nonostante il subentrare dell’immigrazione meridionale a partire dagli anni cinquanta. 6 Fra i pochi personaggi che menzioneremo più particolareggiatamente in questa nota, Giovanni Calligaris era nato a Belfort, alle porte dell’Alsazia, e i Rossetti avevano lunga dimestichezza con la Francia, dove nacque Bruno, fratello di Adriano. Già all’inizio del secolo l’intera famiglia è registrata nei censimenti della grande colonia italiana di Annecy, dove i muratori e i decoratori biellesi, provenienti da non più di dieci comuni, formano il gruppo più compatto e numeroso. Quest’ultima notizia è dovuta a Simona Tarchetti, la cui tesi di laurea - diretta da Ada Lonni - contiene molte informazioni sul Biellese, e dà una precisa misura dell’incidenza quantitativamente limitatissima dei militanti antifascisti attivi (meno di uno su cento). 83 7 Cfr. Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale (d’ora in poi Acs, Cpc), fascicolo di Arialdo Zanotti, lettera del Consolato italiano di Parigi, 27 aprile 1935. 8 Cfr. Acs, Cpc, fascicolo di Antonio Mosca Carlotin (sic), verbale di interrogatorio redatto dalla Questura di Vercelli, 31 ottobre 1941. Il Mosca Carlottin, che era stato rimpatriato il 23 settembre, fu assegnato al confino per cinque anni. 9 Acs, Cpc, fascicolo di Giovanni Calligaris, verbale di interrogatorio redatto dalla Questura di Vercelli, 13 ottobre 1941. 10 Acs, Cpc, fascicolo di Giovanni Calligaris, cit., note della Prefettura di Vercelli, 26 aprile 1940 e 12 novembre 1941. L’incauta dichiarazione della moglie provocò l’inserimento del Calligaris nella categoria degli emigrati da arrestare alla frontiera. La polizia italiana era fino a quel momento all’oscuro della sua partecipazione alla guerra di Spagna, e ne avrebbe avuta conferma solo assai tardi, nel 1942, attraverso i documenti dell’Unione popolare italiana e di altre organizzazioni antifasciste rimessi dalla Súreté parigina alla polizia italiana. Cfr. Acs, Cpc, nota del capo della Divisione polizia politica Leto, 29 aprile 1942. 11 Cfr. sopra, nota 9 e testo relativo. 12 Siamo tuttavia molto male informati sull’emigrazione economico-politica direttasi in Spagna prima della guerra civile. Perciò rimane oscuro il profilo sociale di personaggi come l’anarchico Giovanni Barberis, autista a Barcellona, che morirà combattendo con la “Colonna italiana”. Per le poche notizie su di lui si veda la biografia a p. 89 di questo volume. 13 Acs, Cpc, fascicolo di Giovanni Calligaris, cit., copia di lettera della Prefettura di Vercelli, 24 marzo 1934. 14 Su Piero Pajetta si veda ora l’esauriente profilo biografico di L. MORANINO, Piero Pajetta “Nedo “. Un combattente per la libertà, Taino, Associazione culturale “Elvira Berrini Pajetta”, 1995. 15 Informazione avuta da Carla Prina Cerai, nel corso dei suoi lavori per la tesi di laurea in Scienze politiche. 16 Ancora una volta, il caso di Anello Poma, commissario politico di zona, è la più visibile eccezione, a compimento di una carriera politica eccezionale, nella quale è altrettanto significativa, a nostro avviso, la lunga esperienza nelle fabbriche biellesi fino al 1937, quanto la formazione politica e militare all’estero e al confino dal 1937 al 1943. 84 Seconda parte Biografie Nota alla prima edizione. Per la realizzazione di queste biografie ringrazioAnello Poma per le preziose informazioni; Alvaro López per la cortesia e l’infinita pazienza; il personale della sala di studiodell’Archivio centrale dello Stato. (p. a.) Nota alla seconda edizione. Nel periodo intercorso tra la pubblicazione del volume (novembre 1996) e questa riedizione ci hanno lasciati Gianni Isola (il 25 febbraio 2000 a Firenze), Anello Poma (il 18 dicembre 2001 a Nervi, Genova) e Alvaro López (il 2 gennaio 2004 a Roma). Sono inoltre deceduti Giovanni Pio Borsano, Ernesto Rossetti, Olinto Sella, Giovanni Zucchetti, Pio Zuppa (le relative biografie sono state aggiornate). Non è invece stato possibile ottenere notizie di Bruno Rossetti. (p. a.) 85 Vercellesi, biellesi e valsesiani volontari antifascisti in Spagna di Piero Ambrosio Nel cercare di ricostruire un elenco il più completo possibile dei volontari antifascisti originari (nati, residenti o oriundi) dell’allora provincia di Vercelli combattenti nella guerra civile spagnola ci siamo imbattuti in non poche difficoltà: altri si erano cimentati, meritoriamente, in quest’opera e i risultati a cui erano giunti sono stati per noi un utile punto di partenza, ma i problemi non sono mancati ugualmente. Ogni nuova fonte consultata, ogni nuova informazione acquisita, messa a confronto con le fonti note, ha spesso comportato lunghe verifiche e non tutti i dubbi sono stati risolti. Per quanto riguarda le ricerche precedenti occorre innanzitutto ricordare - pur con tutti i loro limiti - gli elenchi compilati dall’ex responsabile della commissione stranieri del Partito comunista spagnolo, Edoardo D’Onofrio (a Mosca nel 1940, sulla base di documentazione delle brigate internazionali e del Pc spagnolo)1, e da Lorenzo Vanelli, segretario della Fratellanza ex garibaldini di Spagna (Bologna)2, che hanno costituito una base per le successive ricerche e per la stesse schede biografiche conservate nell’archivio dell’Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna3. A essi attinse anche Anello Poma, per il volumetto relativo ai volontari piemontesi e valdostani4, che è stato alla base della nostra ricostruzione. Poma elencava quarantacinque garibaldini nati o residenti nel Vercellese, nel Biellese e nella Valsesia5; altri sei nominativi sono compresi in opere nel frattempo pubblicate dall’Aicvas, i “Quaderni” curati da Alvaro López6; la successiva ricerca, condotta su serie di documenti conservati nell’Archivio centrale dello Stato e all’Istituto Gramsci di Roma ha portato a cinquantaquattro il totale degli antifascisti la cui partecipazione alla guerra civile spagnola è stata accertata7. A questo risultato si è giunti dopo aver effettuato accurati controlli su vari nomi citati in documenti di polizia e del Partito comunista, che non sono risultati effettivamente volontari in Spagna o non originari della provincia di Vercelli8. La stessa compilazione delle biografie ha richiesto un vaglio critico delle fonti, sia edite che inedite, per dirimere le non poche difformità delle informazioni in esse presenti. Dei residui casi dubbi, così come dell’assenza di informazioni sufficienti, si è dato conto. Si è ritenuto invece, per non appesantire inutilmente l’apparato delle note, di non segnalare (salvo casi particolari) discordanze tra la nostra ricostruzione e quelle di opere citate, né inesattezze riscontrate in queste o in fonti d’archivio9. Alcuni dati10. Gli antifascisti volontari nelle brigate internazionali in Spagna originari della provincia di Vercelli erano in maggioranza nati o oriundi del Biellese (trentatré), mentre i vercellesi (nati o oriundi) erano quattordici e i valsesiani solo quattro11. Inoltre tre antifascisti nati in altre province si stabilirono nel Biellese prima di emigrare e di raggiungere la Spagna12. La professione prevalente era quella di operaio13. 86 Essi erano in maggioranza comunisti (trentaquattro); sei erano anarchici14 e quattro socialisti, mentre di dieci non è noto il colore politico15. Quarantotto erano emigrati per motivi politici o di lavoro (non sempre è possibile tracciare una linea di demarcazione netta tra i due tipi di emigrazione) prevalentemente in Francia16. Prima della guerra di Spagna ventisette volontari erano già schedati nel Casellario politico centrale, sei erano stati deferiti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato (di cui tre condannati) e uno era stato confinato17. Trentadue volontari raggiunsero la Spagna nel 1936, sedici nel 1937, uno nel 1938, mentre due si trovavano già in quel paese. Di tre non è noto l’anno di arrivo. Perlopiù (trentasei) provenivano dalla Francia, tre provenivano dagli Stati Uniti, altrettanti dall’Unione Sovietica, e uno da ciascuno dei seguenti paesi: Svizzera, Principato di Monaco, Algeria; mentre partirono direttamente dall’Italia per arruolarsi solo quattro volontari18. Il paese di provenienza di tre volontari è ignoto19. La loro età nell’anno di arruolamento era compresa tra i ventidue e i cinquantun anni20; l’età prevalente era compresa tra i trentuno e i quarantadue anni e l’età media era di trentacinque anni. Il 68,5 per cento dei volontari fu inquadrato nel battaglione “Garibaldi” e successivamente nella brigata omonima21. Tredici combattenti raggiunsero i gradi di ufficiale, tra cui tre quello di capitano e due quello di maggiore22. Nel corso della guerra ventiquattro volontari (pari al 45,2 per cento) furono feriti e otto vi lasciarono la vita23 (a questi va aggiunto un deceduto in seguito in Francia per infermità contratta nel corso della guerra24: la percentuale dei deceduti sul totale dei volontari considerati è quindi del 16,66 per cento). Un combattente cadde prigioniero: rimpatriato fu condannato al confino25. Solo alcuni combattenti lasciarono la Spagna prima del febbraio 1939, epoca del ritiro delle brigate internazionali26, perlopiù a causa di ferite o malattie, mentre gli altri ripararono solo allora in Francia27, dove, salvo rarissime eccezioni, furono internati. In totale gli internati in campi di concentramento furono ventiquattro28. Tredici di questi, rimpatriati nel 1941 dalla commissione per l’armistizio, in seguito alla sconfitta della Francia nella seconda guerra mondiale, furono condannati al confino29, assieme ad altri due che in Francia erano riusciti a evitare l’internamento30: quasi tutti furono condannati a cinque anni e destinati a Ventotene. Un altro ex combattente rimpatriato, giudicato inidoneo a sopportare il regime confinario, fu internato in campo di concentramento31, mentre uno, rimpatriato e arrestato nel luglio del 1943, fu trattenuto in carcere fino a dopo l’8 settembre32. Infine uno, per insufficienza di prove, fu solo ammonito33. Solo un ex combattente, reduce dall’internamento in Francia, non subì condanne, una volta rientrato in Italia34. Di diciannove ex volontari è nota la partecipazione alla Resistenza (quindici in Italia e quattro in Francia)35; uno partecipò invece alla seconda guerra mondiale nelle file dell’esercito sovietico36. Sei ex combattenti ritornarono in Italia nel dopoguerra, altri quattro rimasero in Francia, mentre di altri dieci non si hanno notizie. 87 Albertini, Enrico Di Giuseppe e di Rosa Naula, nato il 18 settembre 1887 a Borgosesia, bigiottiere. Emigrato in Svizzera con la famiglia nel 1891. Militante anarchico, in stretto contatto con Errico Malatesta37 e Luigi Bertoni38, esplicò un’intensa attività in Svizzera, Francia e Gran Bretagna. Nell’ottobre del 1911 fu sospettato di preparare, assieme ad altri, un attentato alla vita di Vittorio Emanuele III e del presidente del Consiglio dei ministri, Giovanni Giolitti. Nel 1912 fece parte di un comitato contro la guerra italo-turca, che raccoglieva fondi per sussidiare i disertori italiani che si fossero rifugiati in territorio elvetico. Espulso dalla Francia, essendosi reso contravventore al decreto, il 22 ottobre fu arrestato e condannato a due mesi di carcere. Dopo varie traversie, nel settembre 1915 si stabilì a Paterson, negli Stati Uniti, addetto alla redazione di “Era Nuova”. Pochi mesi dopo si rese nuovamente irreperibile: essendo iscritto nel “Bollettino delle ricerche” (nonché nella “Rubrica di frontiera”) negli anni seguenti giunsero alle autorità consolari italiane varie segnalazioni sul suo conto da diverse città americane. Partì da New York, per arruolarsi nelle brigate internazionali, ai primi di febbraio del 1937, munito di passaporto rilasciatogli dal consolato spagnolo. Non è noto quale incarico gli sia stato affidato. Lasciò la Spagna il 12 settembre 1938, diretto a New York: sbarcato in quella città il 26 ottobre, fu trattenuto dalle autorità di immigrazione perché sprovvisto di regolare passaporto. Non si hanno altre notizie. Arfinenghi, Arturo Di Giovanni e di Giaele Capra, nato il 10 marzo 1891 a Varallo. Emigrato in Francia in epoca imprecisata, si stabilì a Parigi. Tra i primi a partire per la Spagna, risulta arruolato il 18 ottobre 1936 nel battaglione “Garibaldi”. Partecipò ai primi combattimenti sul fronte di Madrid, rimanendo ferito nel mese di novembre. Fu ricoverato in ospedali di Madrid e Barcellona. Rimase in Spagna fino al ritiro delle brigate internazionali, nel febbraio del 1939. Rientrato in Francia, ritornò a Parigi, dove morì il 4 marzo 1963. Bagnasacco, Giuseppe Di Antonio e di Caterina Ramella, nato il 16 febbraio 1905 a Pollone, muratore. Emigrato in Francia nel novembre del 1930, si recò dapprima a Parigi poi in varie altre località, stabilendosi infine, nel 1933, a Bordeaux. Essendo stato segnalato da un informatore come possibile attentatore alla vita di Mussolini, nell’ottobre del 1936 fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” perché, in caso di rimpatrio, fosse perquisito e sorvegliato. Nel dicembre del 1936 raggiunse la Spagna per arruolarsi: inquadrato nel battaglione “Garibaldi” e successivamente nella 2a compagnia del 2o battaglione della brigata omonima, combatté a Guadalajara, Morata de Tajuña, Huesca e Brunete, riportando due ferite. In seguito lavorò come muratore nell’ospedale militare di Albacete e in quelli di Benicásim e Murcia. Fu quindi destinato al servizio di censura postale ad Albacete, base delle brigate internazionali, e successivamente a Barcellona. Ritornato in Francia nel febbraio 1939, fu internato nei campi di concentramento di 88 Argelès-sur-Mer, Gurs e Le Vernet. Rimpatriato, il 30 marzo 1941 fu arrestato alla frontiera di Menton e tradotto a Vercelli, dove, il 5 giugno, fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato il 21 agosto 1943. Rientrato al paese d’origine, svolse attività politica nel Pci. Morì il 10 novembre 1978 a Biella. Barberis, Giovanni Di Felice e di Domenica Tondella, nato l’11 marzo 1896 a Biella, meccanico. Militante anarchico, nel 1919 fu aggredito da fascisti a Torino, dove si era da poco trasferito, e, creduto in fin di vita, fu portato all’ospedale, dal quale fuggì. Espatriato clandestinamente nel 1921, dopo una breve permanenza in Francia, si stabilì a Barcellona, con il nome di José Gomez, esercitando il mestiere di autista. Allo scoppio della guerra civile trasformò il suo camion in una rudimentale autoblinda e raggiunse Vicién, quartier generale della “Colonna italiana”, in cui si arruolò. Combatté a Huesca dove, il 1 settembre 1936, colpito da una granata, morì in seguito alle gravissime ustioni. Bonora, Enrico Di Angelo e di Maria Regis, nato il 26 ottobre 1897 a Boccioleto, operaio tessile poi imbianchino, comunista. Nel 1919, congedato dall’esercito, si trasferì da Mosso Santa Maria, dove abitava con la famiglia, in Svizzera e successivamente nel Liechtenstein, occupandosi come operaio tessile. Ritornato in Italia nel 1921, due anni dopo emigrò nuovamente, dapprima in Francia, a Vienne, e successivamente in Belgio e nel Lussemburgo, dove iniziò a lavorare come imbianchino. Alla fine del 1926 ritornò in Francia, stabilendosi a Neuilly-Plaisance e successivamente a Vincennes. Allo scoppio della guerra civile spagnola fu tra i primi ad arruolarsi tra gli antifascisti, nel mese di agosto del 1936. Combatté sul fronte di San Sebastián come sergente mitragliere. Catturato in divisa, nei pressi di Santander, da truppe fasciste italiane e rimpatriato, giunse a Genova il 10 novembre 1937. Dapprima fu consegnato alle autorità militari, come prigioniero di guerra, e successivamente messo a disposizione della Questura. Essendo ritenuto elemento pericoloso, fu deferito alla Commissione provinciale per il confino del capoluogo ligure che, il 7 febbraio 1938, lo condannò a cinque anni. Destinato a Tremiti (Fg), fu successivamente trasferito a Sant’Onofrio (Cz) e a Torricella Peligna (Ch). Liberato il 25 novembre 1942, si stabilì dapprima a Sant’Onofrio, dove risiedeva la moglie, sposata il 6 dicembre 1939, successivamente a Maierato (Cz) e, nel 1946, a Cossato. Morì il 15 marzo 1954 a Torino. Borsano, Giovanni Pio Di Giacomo e di Maria Mussone, nato l’8 agosto 1913 a Gaglianico, residente a Biella, meccanico, comunista. Disoccupato, emigrò in Francia ai primi di agosto del 1937. Recatosi a Parigi, si arruolò per combattere nelle brigate internazionali in Spagna. Giunto ad Albacete, fu inquadrato nella brigata “Garibaldi”. Segnalato quale “miliziano rosso” fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche” per l’arresto. Nel mese di ottobre prese parte al combattimento di Fuentes de Ebro, sul fronte d’Aragona. Nel febbraio del 1938 89 combatté in Estremadura e nel marzo a Caspe. Durante la ritirata dell’Aragona si rifugiò in Francia. Internato in Marocco, nel 1943 si arruolò nell’esercito francese. Dopo la fine della guerra ritornò a Biella, dove morì l’8 luglio 1998. Bottan, Giacomo Di Guglielmo e di Maddalena Menegozzo, nato il 29 ottobre 1910 a Portogruaro (Ve), residente a Gaglianico, muratore, comunista. Da poco tempo residente nel comune biellese, emigrò in Francia e, successivamente, si recò in Spagna, arruolandosi nella brigata “Garibaldi”. Combatté sul fronte dell’Ebro, dove fu ferito. Dopo il ritiro delle brigate internazionali fu internato in Francia. Durante il periodo trascorso a Gurs si arruolò nelle compagnie di lavoro per il fronte francese. Ritornato a Gaglianico dopo la fine della guerra, vi morì il 31 maggio 1969. Callegaro, Ottavio Di Ferdinando e di Adelaide Nese, nato il 12 aprile 1910 a Granze (Pd), operaio tessile. Nel 1921 si trasferì a Valle Mosso, dove risiedette fino al mese di ottobre del 1937. Dopo una permanenza di alcuni mesi a Torino, nel 1938 espatriò clandestinamente in Francia. Nel mese di agosto raggiunse la Spagna, arruolandosi, il 27, nella 4a compagnia del 3o battaglione della brigata “Garibaldi”. Combatté sul fronte dell’Ebro, restando gravemente ferito al ventre, il 16 settembre. Ritornato in Francia nel febbraio del 1939 con un convoglio sanitario, fu ancora ricoverato, dapprima a Perpignan e successivamente in un ospedale nei pressi di Parigi. Il 23 marzo 1939 fu internato nel campo di Argelès-sur-Mer e successivamente in quello di Le Vernet. Essendosi rivolto alla Commissione di armistizio per essere rimpatriato, il 22 gennaio 1942 fu accompagnato da agenti della gendarmeria francese a Menton, dove fu arrestato e tradotto a Padova. Il 9 marzo fu condannato a cinque anni di confino e destinato a Ventotene (Lt). Liberato nell’agosto 1943, ritornò a Valle Mosso. Morì il 12 febbraio 1991 a Trivero. Calligaris, Giovanni Di Secondo e di Maria Capellaro, nato il 12 maggio 1900 a Belfort (Francia) da famiglia originaria di Mongrando (dove ritornò nel 1906), decoratore. Partecipò alle lotte operaie del primo dopoguerra, militando dapprima nella Federazione giovanile socialista biellese e poi in quella comunista. Nel novembre 1921 fu arrestato e condannato a sei mesi di reclusione per aver preso parte a una manifestazione in cui rimase mortalmente ferito un fascista. Nel 1922 emigrò in Francia, stabilendosi ad Aulnay-sous-Bois. Espulso per la sua attività politica, nel dicembre 1924, fu costretto a rimpatriare. Attivo esponente di una cellula comunista che contribuì a costituire a Mongrando, nel febbraio del 1927 fu coinvolto nelle indagini condotte dai carabinieri contro alcuni appartenenti a questa che erano stati scoperti e arrestati39. Nel 1930 ritornò in Francia, stabilendosi, l’anno seguente, a Villeparisis, dove frequentò gli ambienti dell’emigrazione antifascista. Fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” e successivamente nel “Bollettino delle ricerche”. 90 Nell’ottobre del 1936 si recò in Spagna, dove fu inquadrato nella 2a compagnia del battaglione “Garibaldi”, di cui divenne commissario politico40. Combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno e Majadahonda. Ferito alla testa da un colpo di fucile, dopo due mesi di degenza in ospedale, riprese nuovamente il suo posto, partecipando alle battaglie di Guadalajara (dove ricoprì per qualche giorno l’incarico di commissario politico del battaglione) e di Morata de Tajuña. Nuovamente ferito (accidentalmente da un compagno) al piede destro, fu costretto a un lungo ricovero. Guarito, ma inabile alle fatiche di guerra, fu assegnato a incarichi ausiliari, dapprima ad Albacete e successivamente a Valencia, come responsabile della delegazione delle brigate internazionali, con il grado di capitano. Uscì dalla Spagna nel febbraio del 1939 e fu internato ad Argelès-sur-Mer, Gurs e Le Vernet, dove inoltrò domanda di rimpatrio. Il 14 settembre 1941 fu arrestato all’atto dell’ingresso in Italia al valico di frontiera di Menton. Tradotto a Vercelli e deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 6 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Destinato a Ventotene (Lt), fu liberato nell’agosto del 1943. Organizzatore delle formazioni partigiane biellesi, il 22 novembre 1943 fu arrestato, con altri, e denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, sezione staccata di Torino, ma il procedimento fu sospeso in seguito alla sua liberazione per uno scambio con militari tedeschi prigionieri dei partigiani. Partecipò alla Resistenza nel Biellese, nella V divisione “Garibaldi”. Dopo la Liberazione divenne funzionario della Federazione comunista di Biella, fino al giugno 1952. Morì il 10 giugno 1983 a Biella. Calligaris, Lorenzo Di Secondo e di Maria Capellaro, nato l’11 settembre 1898 a Belfort (Francia), da emigrati di Mongrando che rimpatriarono nel 1906, comunista. Dopo la prima guerra mondiale emigrò in Francia, stabilendosi ad Aulnay-sous-Bois, dove divenne impresario edile. Nel novembre 1937 partì per la Spagna per arruolarsi nella brigata “Garibaldi”. Nel gennaio del 1938 partecipò all’offensiva per la liberazione di Teruel e in seguito combatté a Caspe e sul fronte dell’Ebro. Avendo contratto la tubercolosi, verso la fine del 1938 fu costretto a rientrare in Francia, dove poté risiedere legalmente. Morì il 3 febbraio 1951 a Eaubonne. Caneparo, Annibale Di Quinto e di Melania Porta Variolo, nato il 17 luglio 1905 a Occhieppo Inferiore, operaio. Emigrò in Francia per ragioni di lavoro nel 1922, rimpatriando nel 1925 per soddisfare gli obblighi di leva. In quel periodo entrò nel movimento giovanile comunista. Nel 1928 espatriò nuovamente, stabilendosi ad Aulnay-sous-Bois, occupandosi dapprima come manovale, nell’impresa edile di uno zio, e successivamente in altre, come lattoniere. Svolse attività politica nel gruppo di lingua italiana del Pc francese, con lo pseudonimo di René. Raggiunta la Spagna nel novembre del 1936, fu arruolato nella batteria “Gramsci”. Ferito durante un bombardamento aereo all’inizio del 1937, fu giudicato inabile e costretto a rientrare in Francia. Il 2 maggio 1940 mentre rimpatriava, con regolare passaporto, con la moglie e i due 91 figli (naturalizzati francesi), essendo stato segnalato come volontario antifascista, schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, fu arrestato a Bardonecchia (To). Tradotto a Vercelli e interrogato, negò di aver partecipato alla guerra civile spagnola e, nonostante il Ministero dell’Interno ne avesse disposto l’assegnazione al confino, con destinazione Ventotene (Lt), in seguito a ripetute obiezioni della Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, per mancanza di prove concrete, fu solamente diffidato. Ritornato nel Biellese, riprese l’attività politica, occupandosi, tra l’altro, della sistemazione del dirigente comunista Giovanni Roveda, fuggito dal confino nel marzo del 1943. Dopo l’8 settembre 1943 fu tra i primi organizzatori delle formazioni partigiane. Trasferito in Valle d’Aosta, ricoprì, con lo pseudonimo di Renati, l’incarico di commissario politico del Comando zona. Morì il 20 maggio 1969 a Roma. Cantarelli, Mario Di Pietro e di Maria Luisa Sanpique, oriundo di Quarona, nato il 24 marzo 1911 a Cannes, dove era emigrato il padre, attivo militante anarchico. Arruolato nella 14a brigata in epoca imprecisata, cadde il 18 settembre 1938 nei pressi di Corbera d’Ebre. Caron, Teresio Di Severino e di Lucia Rossi, nato il 27 luglio 1896 a Gattinara, manovale poi cameriere. Emigrato in Francia nel 1920. Di tendenza prima anarchica e poi comunista, a Parigi partecipò attivamente alla ricostituzione della Confederazione generale del lavoro. Fu tra i primi a raggiungere la Spagna, il 2 agosto 1936, arruolandosi nella “Colonna italiana”. Combatté a monte Pelato41 e a Huesca. Nel maggio del 1937 passò alla brigata “Garibaldi”, combattendo su vari fronti. Rimasto ferito a Fuentes de Ebro il 12 ottobre 1937, nel gennaio 1939 fu tradotto in Francia, su un treno ospedale, come invalido. Il 29 gennaio 1941, all’atto del rimpatrio, essendo stato segnalato come volontario antifascista ed essendo stato schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, fu arrestato alla frontiera di Bardonecchia (To). Tradotto a Vercelli, il 22 aprile fu condannato a tre anni di confino: inviato a Ventotene (Lt), nel settembre del 1942 fu trasferito a Ustica (Pa) e infine, nel giugno del 1943, nel campo di concentramento di Renicci di Anghiari (Ar). Liberato ai primi di settembre, ritornò al paese di origine e, durante la Resistenza, fu attivo collaboratore delle formazioni partigiane della Valsesia e del Biellese. Morì il 18 febbraio 1969 a Biella. Castoro, Severino Di Ernesto e di Giovanna Carpegna, nato il 31 luglio 1899 a Vercelli, tessitore, comunista. Emigrò in Francia nel 1923, stabilendosi a Troyes, dove, nell’ottobre del 1929, fu segnalato come appartenente a un Comitato per la difesa delle vittime del fascismo. Fu pertanto schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Negli anni seguenti fece ripetutamente perdere le sue tracce ai “fiduciari” della polizia 92 fascista incaricati di sorvegliarlo. Partecipò alla guerra civile spagnola, inquadrato nella brigata “Garibaldi”. Ritornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato ad Argelès-sur-Mer, Gurs e Le Vernet. Liberato il 10 maggio 1941 e tradotto in Italia, fu interrogato da funzionari della Questura di Vercelli: non essendo nota la sua appartenenza alle brigate internazionali e avendo negato ogni attività antifascista, riuscì a evitare la condanna al confino, subendo solo l’ammonizione, da cui fu prosciolto in occasione del ventennale della marcia su Roma. Dopo la caduta del fascismo si fece notare come “sobillatore dell’elemento operaio” e, nel marzo del 1944, arrestato perché sospettato di una diffusione di manifestini, fu nuovamente ammonito. Morì il 19 dicembre 1988 a Sanremo (Im). Cerruti, Pietro Di Domenico e di Angela Cerruti, nato il 13 dicembre 1885 a Dorzano. Al paese natale era occupato come bracciante e, sebbene giovanissimo, professava idee anarchiche. All’età di quindici anni emigrò in Svizzera e successivamente, in epoca imprecisata, si trasferì negli Stati Uniti. Nel 1906 fu spiccato nei suoi confronti mandato di cattura da parte del Tribunale militare di Torino per renitenza alla leva. Nell’aprile del 1911, grazie al rinvenimento di una sua lettera, sequestrata a un anarchico arrestato a Torino, la polizia italiana seppe che risiedeva a Clifton (New Jersey), dove era occupato come tessitore. Ritenuto elemento pericolosissimo, fu sottoposto a vigilanza e schedato nel Casellario politico centrale. In seguito, dopo essere stato a Rio de Janeiro, Montevideo e Buenos Aires (occupato come manovale), si rese irreperibile: essendo ritenuto “capace di commettere gravissimi delitti” fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”. Dopo una permanenza in Francia (il 6 gennaio 1913 fu arrestato a Marsiglia, dove lavorava come scaricatore di carbone), ritornò negli Stati Uniti, stabilendosi dapprima nel New Jersey e successivamente nel Connecticut. Nel dicembre del 1929, resosi nuovamente irreperibile, fu iscritto anche nella “Rubrica di frontiera”. Dopo aver risieduto a New York (dove, nel febbraio 1932, si fece notare per l’intensa attività politica), nel novembre 1936 si arruolò in difesa della Repubblica spagnola. Rimase ferito. Pare abbia lasciato la Spagna nell’agosto del 1938. Non si hanno altre notizie. Crovella, Andrea Di Antonio e di Clementina Costa, nato il 10 aprile 1902 a Balocco (da famiglia originaria di Cossato), operaio, socialista. Nel 1930 emigrò in Francia, trasferendosi successivamente in Svizzera. Essendosi reso irreperibile, nel gennaio del 1936 fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Recatosi in Spagna per combattere a difesa della Repubblica, nel mese di ottobre fu arruolato nel costituendo battaglione “Garibaldi”. Partecipò ai combattimenti del Cerro de los Angeles e di Casa de Campo, dove riportò gravi ferite al braccio e alla mano sinistra, che gli causarono l’invalidità. Sembra abbia prestato attività nelle retrovie come commissario politico. 93 Lasciata la Spagna il 27 luglio 1938 con un convoglio sanitario, continuò a risiedere in Francia. Morì il 30 agosto 1974 a Vienne. De Margherita, Secondo Nato presumibilmente a Mongrando42, ivi residente, muratore, comunista. Emigrò in Francia nei primi anni venti, stabilendosi a Villeparisis. Partito per la Spagna nel mese di ottobre del 1936, fu arruolato nel costituendo battaglione “Garibaldi” e successivamente nella brigata omonima. Combatté su vari fronti, a partire da quello di Madrid. Rientrato in Francia nel febbraio 1939, essendo in possesso di documenti regolari, poté ritornare a Villeparisis. Non si hanno altre notizie Fracasso, Gaspare Di Pietro e di Caterina Scandolera, nato il 17 agosto 1904 a Tronzano Vercellese, contadino. Nel maggio del 1930 emigrò in Francia, rimpatriando nel gennaio dell’anno seguente. Nel 1932 fu denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato per appartenenza a un gruppo comunista operante a Cavaglià e Tronzano Vercellese, ma beneficiò dell’amnistia “del decennale” e non fu processato. Il 4 luglio 1937 espatriò clandestinamente in Francia, con Eraldo Venezia43: fu pertanto denunciato e iscritto nel “Bollettino delle ricerche” e nella “Rubrica di frontiera”. Raggiunta la Spagna, il 20 si arruolò nella brigata “Garibaldi”, dove fu inquadrato nella compagnia mitraglieri del 1o battaglione. Combatté a Farlete, dove, il 27 agosto 1937, fu ferito alla tempia destra. Dopo un mese di degenza all’ospedale di Barcellona, chiese di ritornare in linea: inquadrato nella 1a compagnia del 3o battaglione, fu destinato al fronte dell’Ebro. Combatté ancora in Estremadura, a Caspe e sulla Sierra de Cavalls, dove, il 5 settembre 1938, fu ferito gravemente al polmone destro. Dopo aver subito due interventi chirurgici, nel febbraio 1939 fu trasferito all’ospedale di Marsiglia. Dimesso dopo due mesi, fu internato ad Argelès-sur-Mer, Gurs e Le Vernet. Consegnato dalle autorità francesi a quelle italiane, il 14 luglio 1941 fu tratto in arresto al posto di frontiera di Menton e tradotto a Vercelli, a disposizione della Questura. Essendo le sue condizioni di salute tali da non consentirne l’assegnazione al confino, il 14 dicembre ne fu disposto l’invio nel campo di concentramento di Istonio (Ch). Il provvedimento fu revocato il 6 settembre 1943. Partecipò alla Resistenza, inquadrato nella brigata Sap vercellese “Boero”. Morì il 29 aprile 1978 a Tronzano Vercellese. Gannio, Giovanni Di Nicola e di Angela Vecchiolino, nato il 28 ottobre 1898 a Zubiena, residente a Mongrando, muratore. Emigrò in Francia nei primi anni venti. Attivo militante antifascista, nell’ottobre del 1936 partì per arruolarsi in difesa della Repubblica. Inquadrato nella 4a compagnia del battaglione “Garibaldi”, partecipò al combattimento del Cerro de los Angeles e a quello di Casa de Campo, dove cadde il 30 novembre. 94 Graglia, Annibale Di Secondo e di Ester Carta, nato il 23 agosto 1903 a Verrone, residente a Gaglianico, manovale. Emigrò in Francia per motivi di lavoro nel luglio del 1920. Recatosi in Spagna per combattere in difesa della Repubblica spagnola (presumibilmente alla fine del 1936 o all’inizio del 1937), fu inquadrato nel battaglione e successivamente nella brigata “Garibaldi”. Ferito in circostanze non note, in seguito svolse mansioni di infermiere in vari ospedali. Ritornato in Francia in epoca imprecisata (risulta ancora in Spagna, ad Albacete, l’11 dicembre 1937), nell’aprile del 1939 fu segnalato da un informatore della polizia politica fascista come attivo “agitatore” comunista a Vienne. Fu pertanto iscritto nella “Rubrica di frontiera” per il fermo. Non si hanno altre notizie. Irico, Angelo Di Giacomo e Antonia Pollone, nato il 27 gennaio 1898 a Trino, residente a Palazzolo Vercellese, muratore poi assistente edile. Aderente a circoli giovanili socialisti fin dal 1911, svolse attiva propaganda. Chiamato alle armi nel 1917, condannato per antimilitarismo e incarcerato, evase e visse per alcuni mesi alla macchia, finché fu arrestato, nel mese di ottobre: beneficiò di amnistia e fu inviato a ultimare il periodo di ferma nel Vicentino, dove continuò a impegnarsi politicamente. Congedato nel dicembre 1920, si trasferì a Torino, dove esercitò servizio di guardia a “l’Ordine Nuovo”. Licenziato per motivi politici, tornò a Palazzolo Vercellese, dove partecipò a uno scontro con fascisti, che lo costrinse a vivere nella clandestinità fino al gennaio del 1923, quando decise di emigrare in Francia. Si stabilì dapprima a Modane e successivamente a La Tronche. Occupatosi come muratore, continuò a svolgere attività politica e sindacale, tra l’altro come dirigente dei comitati proletari antifascisti. Nel 1927, segnalato alla Direzione generale della Pubblica sicurezza, fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Il 3 agosto 1931 fu fermato dalla polizia francese per complicità nell’aggressione a due fascisti: condannato a sei giorni di carcere, nel mese di novembre fu espulso. Fu pertanto iscritto anche nel “Bollettino delle ricerche”. Nel gennaio del 1932 raggiunse l’Unione Sovietica, dove lavorò come assistente edile fino al novembre 1936, quando, su disposizione del Komintern, partì alla volta della Spagna. Giunto ad Albacete il 21, ricoprì dapprima l’incarico di vicedirettore dei servizi di intendenza e, dal mese di dicembre, di responsabile della delegazione delle brigate internazionali a Valencia. Raggiunta in seguito la brigata “Garibaldi”, della quale fu nominato amministratore, con il grado di tenente, fu in Estremadura e sul fronte dell’Ebro. Dopo il ritiro dei volontari, nel febbraio del 1939 fu internato nel campo di Saint-Cyprien, da cui fu liberato nel mese di marzo per intervento del governo sovietico. Durante la seconda guerra mondiale fu incaricato di svolgere propaganda antifascista tra i prigionieri italiani in Unione Sovietica. Ritornato in Italia nel dicembre 1945, occupato negli uffici di collocamento di Vercelli e, successivamente, di Como, continuò a impegnarsi come sindacalista, segretario di sezione del Pci e collaboratore dell’Inca. Nel novembre del 1964 ritornò a Trino, dove morì il 29 settembre 1982. 95 Lario, Plinio Di ignoti, nato il 5 settembre 1894 a Biella, tessitore, comunista. Trasferitosi nel 1925 ad Altamura (Ba), dove esercitò la professione di commerciante, nel 1928 emigrò clandestinamente in Francia, stabilendosi a Castelnau-Durban. Fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche” e nella “Rubrica di frontiera” per il fermo. Militante molto attivo, usò vari nomi di copertura, tra cui Raimondo Falco e Luigi Cansian. Il 28 ottobre 1930 fu arrestato perché trovato in possesso di una bomba che intendeva collocare nella sede del Fascio di Parigi: dopo aver scontato una condanna a tre anni di reclusione (in seguito alla quale fu schedato nel Casellario politico centrale), fu espulso e si rese irreperibile. Allo scoppio della guerra civile probabilmente era già in Spagna, poiché risulta arruolato il 28 luglio. Operò con un gruppo di italiani nella regione basca, combattendo a Irún e in altre località. In seguito all’avanzata dei fascisti nel Nord, riparò temporaneamente in Francia, arruolandosi successivamente nella squadriglia “España”, con la quale combatté sul fronte di Madrid; fu quindi trasferito alla brigata “treni blindati” e successivamente al servizio informazioni dell’Armata del centro, con il grado di maggiore. Divenuto inabile in seguito a una ferita e a un intervento chirurgico, fu infine addetto al servizio di censura a Madrid, dove rimase fino al marzo del 1939. Raggiunta la Francia, riuscì a restare in libertà fino all’inizio del 1942, quando fu arrestato a Tolosa: dopo aver scontato tre mesi di carcere perché sprovvisto di documenti, nuovamente arrestato, il 20 gennaio 1943 fu condannato ad altri sei mesi per uso di falso stato civile e infrazione a decreto di espulsione. Scarcerato nel mese di giugno, fu internato nel campo di Le Vernet, dove presentò domanda di rimpatrio. Mentre veniva tradotto in Italia, riuscì a fuggire dal forte di Modane: arrestato a Caraman, fu nuovamente internato. Prelevato dai tedeschi e condotto nella prigione di Cherbourg, riuscì ancora a evadere e a entrare nella Resistenza francese, combattendo con il grado di maggiore. Non si hanno altre notizie. Leone, Francesco Di Antonio e di Caterina Molino, nato il 13 marzo 1899 a Vargem Grande do Sul (São Paulo, Brasile), da emigrati che rimpatriarono l’anno seguente, stabilendosi ad Asigliano Vercellese, loro paese d’origine. Dopo essersi diplomato perito elettrotecnico, prestò servizio militare in aviazione. Membro della gioventù socialista, collaboratore de “La Risaia”, organo socialista vercellese, nel 1921 aderì al Partito comunista. Fondatore e organizzatore degli Arditi del popolo a Vercelli e guardia rossa a “l’Ordine Nuovo”, fu segretario della Federazione giovanile comunista di Novara e redattore de “Il Bolscevico”. Per la sua intensa attività politica fu più volte processato e subì varie condanne fino a quando, accusato dell’uccisione di un fascista durante scontri a Novara nel mese di luglio del 1922, fu costretto a espatriare in Francia. Successivamente, dopo essere rientrato clandestinamente in Italia nel 1923 e aver collaborato con il centro illegale della Federazione giovanile comunista, fu inviato in Unione Sovietica, dove frequentò l’accademia militare “Tolmacev” di Leningrado. Rientrato in Italia nella seconda metà del 1925, con l’incarico di segretario interregionale per l’Emilia-Romagna e la Lombardia, nel 1926 fu inviato a Parigi, dove rimase un 96 anno, dirigendo “Il Lavoratore”, organo dei gruppi italiani del Partito comunista francese. Nuovamente rimpatriato, grazie all’assoluzione per insufficienza di prove dall’accusa di omicidio, si occupò della redazione de “l’Unità” clandestina a Milano. Scoperto e arrestato il 28 luglio 1927, fu denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato e, il 26 ottobre dell’anno seguente, condannato a sette anni e sette mesi di reclusione. Scarcerato il 27 maggio 1933, in seguito a indulto, un anno più tardi emigrò in Brasile e fu pertanto iscritto nel “Bollettino delle ricerche” e nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto. Militò nel Partito comunista brasiliano e partecipò al movimento insurrezionale promosso dall’Alleanza di liberazione nazionale, che fu duramente represso. Richiamato dal Partito comunista italiano in Francia alla fine del 1935, fu assegnato all’organizzazione del Soccorso rosso internazionale. Inviato in Spagna allo scoppio della guerra civile, partecipò alla costituzione della centuria “Gastone Sozzi”, della quale fu nominato commissario politico. Organizzò e diresse le operazioni sul fronte di Madrid, partecipando a vari scontri, tra cui quelli di Pelahustán e Cenicientos. Con lo scioglimento della formazione, alla fine del mese di ottobre, dopo la battaglia di Chapinería, contribuì alla costituzione del battaglione “Garibaldi”, entrandone a far parte dello stato maggiore, con il grado di capitano. Operò al Cerro de los Angeles e a Casa de Campo, comandando un attacco alla “Casa rossa”, nel corso del quale, il 23 novembre, fu ferito. Dimesso dall’ospedale, dopo un breve soggiorno in Unione Sovietica ritornò a Parigi, dove, nel 1938, fu segretario dell’Unione popolare italiana e redattore de “La voce degli italiani”. Arrestato nell’ottobre del 1939 e internato nel campo di Le Vernet, nel dicembre 1941 fu trasferito al campo di Les Milles, da cui riuscì a fuggire, entrando in contatto con il maquis. Nuovamente arrestato a Tolone nel luglio 1943, fu consegnato dalla polizia francese alle autorità italiane, che lo incarcerarono. Liberato nei giorni dell’occupazione tedesca, nel mese di ottobre partecipò alle riunioni per la formazione delle brigate “Garibaldi”, entrando a far parte del comando generale delle stesse. Nel maggio del 1944 fu inviato in Toscana come membro del Triumvirato insurrezionale e in seguito assunse gli incarichi di ispettore generale delle brigate “Garibaldi” e di delegato del Pci nel comitato militare del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia. Dopo la Liberazione diresse la Federazione comunista di Vercelli, fu membro della Consulta, deputato all’Assemblea Costituente, senatore di diritto nel 1948, rieletto alla Camera dei deputati nel 1958; fino a quell’anno fu inoltre membro del Comitato centrale del Pci. Morì il 23 maggio 1984 a Vercelli. Macchieraldo, Andrea Di Michele e di Angela Nicolello, ato il 2 novembre 1894 a Nizza, da famiglia originaria di Cavaglià, meccanico, comunista. Nel 1925 si trasferì da Torino a Ospedaletti (Im). Nel settembre 1934 espatriò clandestinamente nel Principato di Monaco. Fu tra i primi a partire per la Spagna, nell’agosto del 1936: inquadrato nella “Colonna italiana” alle dipendenze dell’aviazione, fu addetto alla riparazione di motori d’aereo nei campi di Sariñena, Prat de Llobregat e Bujalaroz. Il 18 ottobre, sul fronte di Saragozza, fu ferito al braccio sinistro in seguito all’abbat97 timento dell’aereo sul quale aveva preso posto come mitragliere. Alla fine del 1937 fu promosso ufficiale tecnico d’aviazione. Individuato come “miliziano rosso” in seguito alla censura di lettere inviate a familiari, fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche” per l’arresto. Ritornato in Francia nel febbraio del 1939, dopo essere stato internato nei campi di Argelès-sur-Mer e Gurs, si stabilì dapprima a Bayonne e successivamente a Lorient, dove risiedeva ancora all’inizio del 1942, occupato come operaio44. In seguito sembra abbia fatto parte delle Forces françaises de l’interieur. Non si hanno altre notizie. Mellina Sartore, Alfonso Di Giovanni Battista e di Angela Ciocchetti, nato il 18 agosto 1897 a Curino, muratore. Emigrato in Svizzera all’età di quindici anni, rimpatriò nel 1915 per prestare servizio militare, combattendo nella prima guerra mondiale. Congedato dopo l’armistizio, nel 1921 emigrò negli Stati Uniti, stabilendosi a New York e occupandosi come cameriere. Nel novembre del 1927, sospettato quale autore dell’invio di ritagli di giornali e manifestini di propaganda antifascista ad alcune persone di Curino, tra cui il podestà, fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”45. Nel 1936 ricoprì l’incarico di segretario del “Circolo di cultura operaia” del West Side. Raggiunta la Spagna nel marzo del 1937, fu arruolato nel battaglione “Garibaldi” (e successivamente nella brigata). Segnalato alla Direzione generale della Pubblica sicurezza, fu iscritto anche nel “Bollettino delle ricerche” come comunista pericoloso. Cadde in combattimento a Huesca il 16 giugno 1937. Mezzano, Giuseppe Di Antonio e di Carolina Brusa, nato il 6 gennaio 1896 ad Asigliano Vercellese, verniciatore. Emigrato in Svizzera in epoca imprecisata, si stabilì a Ginevra. Segnalato da un informatore della polizia come militante antifascista, il 12 settembre 1935, rientrato in Italia, fu fermato a Vercelli e incarcerato. Non essendo emerso nulla di concreto nei suoi confronti, dopo alcuni giorni fu rilasciato ma schedato nel Casellario politico centrale come anarchico46 e sottoposto a vigilanza. Il 6 agosto dell’anno seguente espatriò nuovamente, clandestinamente, recandosi ancora a Ginevra. Nell’autunno47 raggiunse la Spagna, arruolandosi nel costituendo battaglione “Garibaldi”. Partecipò ai combattimenti di Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda, Arganda e Guadalajara, dove fu ferito alla mano e alla gamba destre. Dimesso dall’ospedale nel marzo del 1938, fu addetto a servizi ausiliari ad Albacete fino al mese di maggio, quando ritornò in Svizzera. Arrestato dalla polizia elvetica a Ginevra l’11 ottobre 1939, fu internato nel campo di lavoro di Gordola. Dopo la caduta del fascismo si rivolse al Consolato di Ginevra per essere rimpatriato: il 3 agosto, essendo stato segnalato come “ex miliziano rosso” e iscritto nella “Rubrica di frontiera” fu arrestato a Domodossola (No) e tradotto a Vercelli dove, dopo essere stato interrogato, fu messo in libertà e sottoposto a vigilanza. Partecipò alla Resistenza, inquadrato nella 182a brigata “Garibaldi”. Nel dopoguerra si trasferì a Biella, dove morì il 29 novembre 1950. 98 Minazio, Alfredo Di Pietro e di Carolina Messen, nato il 18 dicembre 1903 a Cossila (Biella), calderaio. Emigrato con la famiglia all’età di tre anni, nel 1921 fu segnalato come iscritto a una sezione comunista di Torino. L’anno seguente fu denunciato per il ferimento di un fascista. Durante l’occupazione delle fabbriche fu guardia rossa alle Officine di Savigliano. Nel 1930 emigrò in Francia e, successivamente, in Svizzera. Il 19 gennaio 1932 fu arrestato a Basilea per uso di documenti falsi. Condannato a tre settimane di carcere, fu in seguito espulso e accompagnato alla frontiera francese. Schedato nel Casellario politico centrale, essendosi reso irreperibile, fu iscritto anche nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”. In Francia assunse la cittadinanza, risiedendo a La Seyne-sur-Mer. Partì alla volta della Spagna nel maggio 1937, fu arruolato nella 15a brigata. Un mese più tardi era al campo di Pozorrubio. Cadde in località e in data imprecisate. Minero Re, Quintino Di Giovanni e di Catterina Bussetti, nato il 3 ottobre 1901 a Sagliano Micca, cementista. Emigrò in Francia nel 1921, stabilendosi a Parigi48. Trasferitosi a Barcellona, essendo stato segnalato alla polizia italiana come autorevole esponente anarchico (noto con il soprannome di King), nel marzo 1932 fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”. Successivamente si stabilì a Madrid, dove si occupò come facchino e poi come operaio. Nel 1934 ritornò in Francia, stabilendosi nella banlieue parigina e lavorando come muratore. Alla fine ottobre del 1936 partì per la Spagna. Arruolato nella 3a compagnia del battaglione “Garibaldi”, combatté al Cerro de los Angeles, a Casa de Campo e a Pozuelo de Alarcón, dove rimase ferito alla gamba sinistra. Dichiarato inabile per il fronte, nel maggio del 1938 venne addetto al servizio ausiliario a Benicásim, fino al mese di luglio, quando fu rimandato in Francia, dove si occupò come tornitore. Dal dicembre del 1941 fino al maggio del 1942 fu internato per ordine della polizia francese. Dopo la caduta del fascismo richiese il passaporto per poter rimpatriare, ma gli fu rifiutato. Risulta abbia collaborato alla Resistenza francese. Non si hanno altre notizie. Minetto, Attilio Di Giovanni e di Eufrosina Bertinetti, nato l’11 dicembre 1901 a Mongrando. Emigrò in Francia nei primi anni venti, stabilendosi nella regione parigina. Recatosi in Spagna alla fine del mese di ottobre del 1936, il 6 novembre fu arruolato nel costituendo battaglione “Garibaldi”. Il 1 gennaio 1937, a Mirabueno, rimase gravemente ferito al gomito destro. Nel febbraio 1938 un informatore segnalò al comando del Corpo truppe volontarie la sua presenza in un centro di riabilitazione fisica a Mahora. In considerazione della sua inabilità al servizio, nel mese di luglio ritornò in Francia. In seguito fu in Unione Sovietica, da cui rimpatriò nel gennaio del 1948. Morì il 21 novembre 1961 a Mongrando. 99 Molinari, Domenico Di Pietro e di Livia Parodi, nato il 27 aprile 1908 a Biella. Nel 1926 si trasferì a Milano con i genitori, immigrati veneti. Espatriato in data imprecisata, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”. Nel settembre del 1937 si recò in Spagna per arruolarsi nelle brigate internazionali: inquadrato nel 3o battaglione della “Garibaldi”, combatté a Campillo, dove, il 16 febbraio 1938, rimase ferito. Il 1 gennaio 1939 era nel campo di smobilitazione di Torelló. Non si hanno altre notizie. Montarolo, Francesco Di Antonio e di Giovanna Cannone, nato il 23 giugno 1900 a Trino, bracciante. Già iscritto al circolo giovanile socialista del paese natale dal 1914, nel 1921 aderì al Partito comunista. Costretto alla latitanza perché coinvolto in uno scontro con fascisti avvenuto a Palazzolo Vercellese, si trasferì in seguito a Torino, dove continuò a partecipare alle lotte contro le squadracce. Nel 1930 emigrò in Francia, stabilendosi dapprima a Lione e successivamente a Villeurbanne. Segnalato per la sua intensa attività antifascista, nel 1936 fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Nel novembre di quell’anno si recò in Spagna: segnalato, fu iscritto anche nel “Bollettino delle ricerche”. Arruolatosi nel battaglione “Garibaldi”, combatté ad Arganda, Guadalajara, Morata de Tajuña, Casa de Campo. Con la costituzione della brigata “Garibaldi” fece dapprima parte del 2o battaglione e successivamente della compagnia dello stato maggiore, come mitragliere. Combatté ancora a Huesca, Boadilla del Monte, Majadahonda e Belchite. Nel marzo del 1938, ammalatosi, fu costretto a tornare in Francia: poté risiedere legalmente a Lione, dove partecipò all’attività dell’Unione popolare italiana. Dopo la caduta del fascismo decise di rimpatriare: il 19 agosto 1943 fu pertanto fermato a Bardonecchia (To) e tradotto a Vercelli, dove, dopo essere stato interrogato, fu rilasciato. Durante la Resistenza collaborò con la brigata Sap vercellese “Boero”. Morì il 2 febbraio 1973 a Trino. Mosca, Giuseppe Di Giovanni e di Aurelia Cristianelli, nato l’11 gennaio 1903 a Cossato, residente a Chiavazza (Biella) fin dall’infanzia, fonditore. Iscrittosi alla Camera del lavoro e successivamente alla gioventù comunista, fu un militante molto attivo. Costretto, dopo ripetuti scontri con i fascisti, alla vita clandestina, il 27 novembre 1927 fu arrestato a Torino con l’accusa di appartenenza al Partito comunista e diffusione di stampa sovversiva nelle fabbriche della città: deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, il 6 luglio 1928 fu assolto in istruttoria per insufficienza di prove. In seguito resse l’organizzazione del partito nel Biellese. In procinto d’essere arrestato, in seguito alla scoperta di un gruppo clandestino operante nel basso Biellese e nel Vercellese49, cui aveva fornito materiale e direttive, nel novembre 1932 riuscì a espatriare illegalmente in Francia, dove si stabilì a Villeurbanne. Fu iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Nel marzo 1934, in seguito a indagini dell’Ovra che portarono all’arresto, in Piemonte e Lombardia, di ventisei comunisti, tra cui alcuni biellesi, fu nuovamente denuncia100 to al Tribunale speciale, in stato di latitanza, per attività comunista. Il 19 novembre 1936 si arruolò nel battaglione “Garibaldi”. Combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno, Arganda, Guadalajara, dove rimase ferito. Rientrato nella formazione, nel frattempo trasformatasi in brigata, fu inquadrato nella 2a compagnia del 2o battaglione, con il grado di sergente. Combatté ancora a Huesca, Brunete, Farlete, Belchite, Fuentes de Ebro, Caspe, in Estremadura e, promosso tenente nell’aprile del 1938, sul fronte dell’Ebro. Tornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato a Saint-Cyprien, Gurs e Le Vernet. Rimpatriato il 23 settembre 1941 e tradotto, in stato di arresto, a Vercelli, il 19 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato dopo la caduta del fascismo. Partecipò alla Resistenza nella brigata Sap biellese “Graziola” come commissario di battaglione. Riportò una ferita. Dopo la Liberazione svolse attività sindacale nella Fiom e politica nella Federazione comunista di Biella. Morì il 18 luglio 1992 a Biella. Mosca Carlottin, Antonio Di Giovanni e di Elena Rosazza Gianin, nato il 18 maggio 1903 a Rosazza, muratore, comunista. Nel 1925 fu costretto, per motivi politici, a emigrare in Francia: si stabilì a Cap-Martin e successivamente a Tolone. Ai primi di novembre del 1936 partì per la Spagna per arruolarsi tra i volontari antifranchisti: inquadrato nella 2a compagnia del battaglione “Garibaldi” e poi, come sergente, nella compagnia mitraglieri del 1o battaglione della brigata omonima, combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda, Arganda, Guadalajara50, Casa de Campo, Huesca e Brunete (dove fu promosso tenente). Il 13 luglio 1937 fu ferito al piede sinistro e fu pertanto ricoverato, dapprima in un ospedale militare della capitale spagnola e successivamente a Murcia e infine, il 12 agosto 1938, trasferito in un ospedale di Marsiglia. Dimesso nell’ottobre del 1938, fu inviato dalla polizia francese a Tolone, ultimo comune di residenza in Francia. All’inizio delle ostilità franco-italiane fu internato nella fortezza di quella città e successivamente nel campo di concentramento di Le Vernet. Rimpatriato, essendo stato nel frattempo iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, il 25 settembre 1941 fu arrestato a Menton. Tradotto a Vercelli, il 19 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato nell’agosto del 1943. Partecipò alla Resistenza, inquadrato nella 2a brigata “Garibaldi”. Morì il 12 settembre 1960 a Rosazza. Poma, Anello Di Claudio e di Giuseppina Manacorda, nato il 27 luglio 1914 a Biella, attaccafili. Entrato nelle file comuniste nel 1934, all’inizio di agosto del 1937 si recò a Parigi, con passaporto collettivo, in occasione dell’Esposizione internazionale, con il proposito di arruolarsi per combattere in difesa della Repubblica spagnola. Giunto ad Albacete il 23 agosto e arruolato nella 3a compagnia del 3o battaglione della brigata “Garibaldi”, nel mese di ottobre prese parte all’offensiva repubblicana sul fronte di Saragozza, combattendo a Fuentes de Ebro. 101 Combatté poi a Campillo, dove, il 16 febbraio 1938, fu ferito al braccio sinistro. Dimesso dall’ospedale di Murcia e inquadrato nella 1a compagnia del 1o battaglione, nel mese di aprile partecipò alla ritirata dell’Aragona, combattendo a Gandesa. Nel mese di luglio fu nuovamente ferito, alla gamba sinistra, sul fronte dell’Ebro. Ritornato alla brigata, fu inquadrato nel reparto d’assalto e, nel mese di settembre, combatté sulla Sierra de Cavalls, sul fronte dell’Ebro, riportando una ferita alla testa. Uscito dalla Spagna nel febbraio del 1939, fu internato ad Argelès-sur-Mer, Gurs e Le Vernet. Rimpatriato il 10 dicembre 1941, essendo stato segnalato come “miliziano rosso” e pertanto schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”, fu arrestato a Menton e fatto tradurre a Vercelli, dove, il 20 marzo 1942, fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato il 26 agosto 1943. Subito dopo l’8 settembre fu tra i primi organizzatori della Resistenza nel Biellese, durante la quale raggiunse il grado di commissario politico del Comando zona (corrispondente a tenente colonnello dell’esercito). Nel dopoguerra fu impegnato nell’attività politica e sindacale: dopo aver svolto per alcuni mesi le funzioni di segretario della Federazione comunista di Vercelli e aver operato nella commissione nazionale di organizzazione del partito, fu eletto vicesegretario della Federazione comunista biellese e valsesiana e nominato dapprima vicedirettore e successivamente direttore del settimanale “Vita nuova”; dal 1955 al 1960 fu segretario della Camera del lavoro di Biella, in seguito fece parte della segreteria regionale del Pci, fino al 1964. Fu assessore comunale a Biella dal 1946 al 1951 e consigliere fino al 1985. Nel 1974 fu tra i fondatori dell’Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Vercelli e dal 1981 fu presidente del Comitato provinciale biellese dell’Anpi. Morì il 18 dicembre 2001 a Nervi (Genova). Prevosto, Francesco Di Maurizio e di Caterina Corgnati, nato il 19 settembre 1892 a Santhià, verniciatore. Trasferitosi a Torino nel 1913, iniziò a frequentare il “Fascio libertario” e si fece notare dalla polizia come propagandista anarchico. Nel 1914 fu condannato a cinque mesi di reclusione per distribuzione di manifestini antimilitaristi. Nel 1924 emigrò clandestinamente in Francia, stabilendosi prima a Briançon e poi a Saint-Fons, dove frequentò ambienti “sovversivi”. Espulso dalla Francia, si trasferì nel Lussemburgo, dove lavorò in una fonderia fino all’aprile 1928; ritornò quindi clandestinamente in Francia, stabilendosi a Parigi51. Fu tra i primi a partire per la Spagna, il 19 agosto 1936: arruolatosi nella “Colonna italiana”, combatté sul fronte di Huesca. Il 2 marzo 1937 fu arrestato dalla gendarmeria di Bourg-Madame, nei pressi del confine franco-spagnolo, con altri tre volontari, mentre ritornava in Spagna dopo una licenza di quindici giorni. Deferito all’autorità giudiziaria, fu condannato a sei mesi di reclusione per infrazione alla legge che vietava l’arruolamento nelle milizie spagnole e per contravvenzione al decreto di espulsione. Venutene a conoscenza le autorità italiane, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”. Nuovamente arrestato, nel settembre del 1939 fu inviato al campo di concentramento di Le Vernet. Avendo inoltrato domanda di rimpatrio, il 2 luglio 1941 fu accompagnato dai gendarmi francesi all’ufficio di Pubblica sicurezza di Menton. Dopo essere stato incarcerato a Ventimiglia (Im), fu trasferito a Torino, dove, l’8 agosto, la Commissione provin102 ciale per il confino lo condannò a cinque anni. Fu destinato a Ventotene (Lt) e successivamente trasferito al campo di concentramento di Renicci di Anghiari (Ar), da cui fu liberato ai primi di settembre del 1943. Morì il 6 settembre 1960 a Torino. Prina Cerai, Ezzelino Di Emilio e di Amabile Ottino, nato il 7 dicembre 1915 a Camandona. Emigrò in Francia in epoca imprecisata, stabilendosi a Montbélliard. Raggiunta la Spagna in data non accertata, fu arruolato nella brigata “Garibaldi”. Ferito a Caspe, rientrò in Francia verso la fine del 1938, diretto in una località dell’Est. Non si hanno altre notizie. Quagliotti, Lorenzo Di Giovanni e di Carolina Bricca, nato il 28 aprile 1895 a Livorno Ferraris, aggiustatore meccanico. Già residente a Torino, nel 1920 emigrò in Francia, stabilendosi a Grenoble, e successivamente in Svizzera, a Briga. Nel 1927 rimpatriò e prese residenza a Ivrea (Ao, ora To) ma, dopo alcuni mesi, ritornò a Grenoble, dove, rimasto senza lavoro, fu costretto a esercitare il mestiere di venditore ambulante. Nel 1934, per contravvenzione alle leggi sulla vendita, dovette scontare cinque giorni di carcere e fu quindi colpito da decreto di espulsione quale straniero pregiudicato, che fu però più volte prorogato in considerazione della sua numerosa famiglia. Partito da Marsiglia il 25 maggio 1937 per arruolarsi a difesa della repubblica spagnola, raggiunse la brigata “Garibaldi” nel mese di giugno. Segnalato dalla polizia politica alla Direzione generale della Pubblica sicurezza, fu schedato nel Casellario politico centrale. Risulta che il 24 novembre fosse ad Albacete. Sulla sua partecipazione alla guerra civile non si hanno altre notizie. Ritornato in Francia nel novembre 1938, fu arrestato perché contravventore al decreto di espulsione, che nel frattempo era diventato esecutivo, e condannato a sei mesi di carcere. Scontata la pena si recò a Grenoble e fu nuovamente arrestato e condannato a un anno di reclusione. Scarcerato nell’agosto 1940, fu inviato nel campo di concentramento di Loriol-sur-Drôme. Il 12 dicembre fu consegnato alle autorità italiane di frontiera a Modane52. Tradotto a Vercelli e interrogato da funzionari della Questura, dichiarò di non aver preso parte alla guerra civile spagnola come combattente ma semplicemente come operaio, occupato in un’officina di riparazione di autocarri militari ad Albacete e, successivamente, in lavori stradali a Barcellona. Ciononostante fu deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia e, il 15 gennaio 1941, condannato a tre anni di confino. Inviato a Tremiti, fu liberato il 21 agosto 1943. Morì il 15 luglio 1953 a Torino. Quagliotti, Rolando Di Lorenzo53 e di Irma Perlino, nato il 9 novembre 1914 a Ivrea (Ao, ora To), da famiglia originaria del Vercellese. Emigrato in Francia con la famiglia, risiedeva a Grenoble. Partì per la Spagna, per arruolarsi nella brigata “Garibaldi”, presumibilmente nell’aprile 1937. Mitragliere, fu promosso sergente. Cadde il 9 settembre 1938 sul fronte dell’Ebro, per lo scoppio di una granata nemica. 103 Ravetto, Carlo Di Giovanni e di Rosa Radice, nato il 9 novembre 1900 a Mezzana Mortigliengo, tessitore. Aderì, giovanissimo, alla Federazione giovanile socialista e, successivamente, al Partito comunista, svolgendo intensa attività sindacale e partecipando alle lotte antifasciste. Nel 1921 emigrò in Argentina, stabilendosi a Buenos Aires, dove continuò l’attività politica, diventando un dirigente del Partito comunista argentino e del sindacato dei tessili. Operò inoltre attivamente nell’Alleanza antifascista, di cui fu membro del comitato esecutivo nazionale, e nel Soccorso rosso. Fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”. Licenziato per motivi politici e arrestato più volte, nell’aprile del 1931 fu anche espulso e dovette trasferirsi in Uruguay. Rientrato nel febbraio dell’anno seguente, dopo essere stato ancora arrestato e nuovamente espulso, nel settembre del 1933 partì alla volta di Barcellona. In Spagna assolse incarichi come dirigente del Partito comunista spagnolo. Scoppiata la rivolta fascista, partecipò all’organizzazione delle unità militari dell’esercito popolare. In seguito fu impegnato nel servizio d’informazione e di propaganda radiofonica. Uscì dalla Spagna nel febbraio del 1939 e, dopo essere stato internato a Saint-Cyprien e arruolato in una compagnia di lavoro, si stabilì nella zona di Bordeaux, dove partecipò alla Resistenza. Rientrato in Italia alla fine della guerra, riprese l’attività politica: fu segretario della Camera del lavoro di Biella fino al 1955, consigliere comunale e tra i dirigenti della Federazione comunista di Biella. Morì il 4 dicembre 1989 a Mezzana Mortigliengo. Roasio, Antonio Di Giuseppe e di Maria Lesca, nato il 6 novembre 1902 a Vercelli. Trasferitosi a Biella con la famiglia, a dodici anni cominciò a lavorare come attaccafili. Iscrittosi al sindacato, fu tra i fondatori del circolo giovanile socialista. Nel 1921 aderì al Partito comunista, partecipando attivamente alla resistenza contro le squadracce fasciste. In seguito a uno di questi scontri, nel 1922 fu condannato a un breve periodo di detenzione. Scarcerato, riprese l’attività politica, ricoprendo cariche direttive nella Federazione giovanile comunista, di cui, nel gennaio del 1926, contribuì a organizzare il congresso nazionale a Mezzana Mortigliengo. Nel mese di febbraio di quello stesso anno, in seguito all’uccisione dell’industriale Giovanni Rivetti, che l’aveva licenziato per motivi politici, dovette espatriare in Francia, da dove raggiunse l’Unione Sovietica. Colpito da mandato di cattura, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche” e nella “Rubrica di frontiera”. A Mosca frequentò la scuola leninista e lavorò come operaio. Nel 1934 fu chiamato al Comintern, dove prestò la propria attività nell’Ufficio quadri. Nell’ottobre del 1936 raggiunse la Spagna, contribuendo alla costituzione del battaglione “Garibaldi”, di cui fu il primo commissario politico. Partecipò a vari combattimenti, a partire dall’attacco al Cerro de los Angeles fino a quello di Pozuelo de Alarcón, nel corso del quale fu ferito. Richiamato ad Albacete, al comando delle brigate internazionali, fu incaricato di organizzare l’ufficio matricola per gli italiani. Nell’aprile del 1937, ritornò al battaglione, assumendo in seguito incarichi nello stato maggiore della brigata “Garibaldi” ma, non essendosi ancora ristabilito perfettamente, dovette nuovamente essere ricoverato in ospedale. Nel mese di ottobre fu richiamato a 104 Mosca, per lavorare nuovamente al Comintern. Nell’agosto del 1938, inviato a Parigi, entrò a far parte del “centro di riorganizzazione” del Partito comunista, come responsabile dell’Ufficio quadri e poi (nel 1940) dell’Ufficio estero. Nel gennaio del 1943 rientrò in Italia per dirigere l’organizzazione clandestina del partito in Emilia, nel Veneto e in Toscana. Durante la Resistenza fece parte del Comando generale delle brigate “Garibaldi” come ispettore e successivamente come dirigente del Triumvirato insurrezionale della Toscana. Dopo la liberazione di Firenze fu chiamato da Togliatti a Roma, dove diresse la sezione di organizzazione del Pci. Nel dopoguerra fu dirigente politico in Emilia-Romagna e in Piemonte; deputato e poi senatore fino al 1968, membro del comitato centrale e della direzione del Pci fino al 1962; presidente dell’Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna. Morì il 2 gennaio 1986 a Roma. Rossetti, Adriano Di Giovanni e di Maddalena Porta Variolo, nato il 31 ottobre 1894 a Mongrando, muratore. Già emigrato in Francia con la famiglia nel 1909 e rimpatriato nel 1914, tornò nel paese d’oltralpe nel 1921, stabilendosi ad Aulnay-sous-Bois. Espulso nel dicembre 1924 per motivi politici, tornò al paese natale dove, alla fine del gennaio del 1927 fu coinvolto nelle indagini contro un gruppo comunista clandestino54: deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, il 12 novembre fu assolto per insufficienza di prove. Il 15 ottobre 1930 emigrò nuovamente in Francia, prima a Mulhouse, per un breve periodo, e successivamente a Villeparisis, dove svolse intensa attività antifascista. Fu iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Raggiunta la Spagna nel mese di ottobre del 1936, fu arruolato nella 2a compagnia del battaglione “Garibaldi”, della quale fu nominato commissario politico. Combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda, Arganda e Guadalajara, dove, il 14 marzo 1937, rimase gravemente ferito al ventre e fu decorato sul campo. Ai primi di maggio fu trasferito in un ospedale di Parigi per continuare le cure. Segnalato alla Direzione generale della Pubblica sicurezza come “ex miliziano rosso”, nel luglio del 1938 fu iscritto anche nel “Bollettino delle ricerche” per l’arresto. Dopo essersi trasferito a Montreuil, nel maggio del 1943 decise di rimpatriare: arrestato a Bardonecchia (To), fu tradotto a Vercelli dove, il 9 luglio, fu condannato a tre anni di confino. Il 26 luglio ne fu iniziata la traduzione a Subbiano (Ar) ma, in seguito alla caduta del fascismo, fu fermato a Milano e trattenuto in carcere. Liberato nella seconda metà di ottobre, fu tra gli organizzatori della 2a brigata “Garibaldi”, di cui fu il primo commissario politico. Il 2 marzo 1944 fu arrestato da agenti della Questura di Novara ma, non essendo emerso nulla a suo carico, fu rilasciato. Trasferito in Valle d’Aosta, divenne il commissario politico della VII divisione “Garibaldi”. Nel dopoguerra continuò a impegnarsi nell’organizzazione comunista in Valle d’Aosta e nel Biellese; fu anche assessore comunale a Mongrando e dirigente dell’Anpi biellese. Morì il 9 giugno 1962 a Mongrando. Rossetti, Bruno Di Giovanni e di Maddalena Porta Variolo, nato il 2 novembre 1913 a Grenoble da famiglia originaria di Mongrando (che rimpatriò nel 1914), muratore. 105 Nel 1931 raggiunse il fratello Adriano55 in Francia. Stabilitosi a Villeparisis, al compimento della maggiore età acquisì la cittadinanza francese. Militò nella Confedération général du travail unitaire e fu segretario della gioventù comunista. Nell’aprile del 1937 partì per la Spagna. Dopo aver frequentato la scuola militare, nel mese di novembre raggiunse la brigata “Garibaldi”, in cui fu inquadrato nel 2o battaglione, con il grado di sergente. Combatté in Aragona, in Estremadura e sul fronte dell’Ebro. Alla fine del 1938 ritornò in Francia perché richiamato alle armi. Durante la seconda guerra mondiale fu fatto prigioniero dai tedeschi. Nel dopoguerra ritornò a Villeparisis. Secchia, Matteo Di Giovanni e di Maria Negro, nato il 21 febbraio 1906 a Occhieppo Superiore, tessitore, comunista. Fratello del noto dirigente comunista Pietro Secchia, sospettato di svolgere attività clandestina, sfuggito fortunosamente all’arresto, il 10 ottobre 1929 emigrò clandestinamente in Francia, stabilendosi a Villeurbanne, dove svolse attività politica negli ambienti dell’emigrazione italiana. Fu schedato nel Casellario politico centrale56 e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”. Nel 1932 si recò in Unione Sovietica, dove frequentò il corso “fondamentale” alla scuola leninista e svolse lavoro politico tra i marinai italiani nei porti sul mar Nero. Risiedette poi a Mosca, incaricato del lavoro sindacale al Komintern. Nel novembre del 1936 raggiunse la Spagna, entrando nello stato maggiore del V reggimento delle milizie popolari. In seguito fece parte del comando del V corpo dell’esercito repubblicano, con il grado di capitano. Quando, nel febbraio del 1939, le brigate internazionali lasciarono la Spagna, raggiunse nuovamente l’Unione Sovietica, dove, durante la seconda guerra mondiale, combatté contro i tedeschi, partecipando, tra l’altro, alla difesa di Mosca, nell’inverno del 1941. Fu insignito di una decorazione sovietica al valor militare. Rientrato in Italia nel 1946, fece parte dell’apparato centrale del Pci. Morì il 13 giugno 1979 a Roma. Sella, Olinto Di Probo e di Rosa Delpiano, nato il 21 gennaio 1909 a Zumaglia, meccanico, comunista. Nel marzo del 1934, essendo disoccupato, emigrò in Francia, stabilendosi ad Aix-lesBains. Nel dicembre del 1936 partì per la Spagna: segnalato alla Direzione generale della Pubblica sicurezza, fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Arruolato come autista nella 14a brigata, fu destinato al fronte di Madrid. In seguito fu trasferito alla 13a brigata “Dombrowsky”, dove rimase fino al febbraio del 1939. In Francia fu internato nei campi di concentramento di Argelès-sur-Mer, Gurs e Le Vernet. Richiesto il rimpatrio, il 10 novembre 1941 fu arrestato a Menton. Denunciato alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 20 marzo 1942 fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato nell’agosto del 1943. Tornò ad Andorno Micca, dove morì il 26 agosto 1997. Siletti, Carlo Di Valentino e di Virginia Simonetti, nato il 16 dicembre 1902 a Mongrando, operaio, comunista. 106 Nel 1921 emigrò in Francia, da cui rimpatriò nel 1926 per contrarre matrimonio. Ritornatovi per sfuggire alle persecuzioni fasciste, ne fu espulso per il suo impegno politico, rimanendovi tuttavia illegalmente fino all’ottobre 1936, quando si recò in Spagna, per arruolarsi nelle brigate internazionali. Inquadrato nel costituendo battaglione “Garibaldi”, combatté a Casa de Campo, Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda, Arganda e Guadalajara. In seguito appartenne al 1o battaglione della brigata “Garibaldi” e combatté in varie altre località, fino alle battaglie sul fronte dell’Ebro. Tornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato a Saint-Cyprien, Gurs e Le Vernet. Nel 1943 chiese di essere rimpatriato e il 17 febbraio fu arrestato alla frontiera. Tradotto a Vercelli, l’8 maggio la Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, non tenendo conto della dichiarazione medica di inidoneità a sopportare il regime confinario (era infatti affetto da tubercolosi), ritenendolo pericoloso, lo condannò a cinque anni. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato il 21 agosto. Partecipò alla Resistenza nella 75a brigata “Garibaldi”. Nel dopoguerra collaborò con la Federazione comunista di Biella. Morì il 20 maggio 1963 a Biella. Tamagno, Giuseppe Di Giovanni e di Caterina Occhio Policarpo, nato il 5 dicembre 1892 a Magnano, muratore. Militante socialista, dopo essersi trasferito nel 1921 a Zubiena, in epoca imprecisata emigrò in Francia per motivi di lavoro. Nel maggio 1932 fu segnalato alla polizia italiana come attivo comunista a Gardanne: fu pertanto schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Nell’ottobre 1936 partì per la Spagna: arruolatosi nel costituendo battaglione “Garibaldi”, combatté al Cerro de los Angeles, a Casa de Campo, Pozuelo de Alarcón, Boadilla del Monte, Majadahonda e ad Arganda, dove morì il 13 febbraio 1937, colpito da un proiettile di artiglieria. Tondella, Carlo Di Battista e di Agostina Chirio, nato il 30 marzo 1906 a Viverone, esercitò vari mestieri, tra cui il minatore, comunista. Nel maggio 1934 emigrò clandestinamente in cerca di lavoro, dapprima in Francia e successivamente in Spagna, Algeria e America del Sud. Rimpatriato, fu condannato a quattro mesi di carcere. Il 14 maggio 1936 fu fermato a Ventimiglia (Im) mentre, con un compagno, tentava nuovamente di espatriare clandestinamente. Dopo aver scontato tre mesi di carcere, riuscì, in epoca imprecisata, a espatriare in Francia. Nell’agosto del 1937 si recò in Spagna, per arruolarsi nelle brigate internazionali: inquadrato nella 2a compagnia del 2o battaglione della “Garibaldi”, combatté, con il grado di caporale, a Farlete, Fuentes de Ebro, a Caspe e sul fronte dell’Ebro57. Rientrato in Francia nel febbraio del 1939, riuscì a restare in libertà fino allo scoppio della guerra mondiale, quando fu arrestato e internato. Rimpatriato nell’aprile del 1942 dalla Commissione d’armistizio, riuscì a evitare la condanna al confino58. Dopo la caduta del fascismo riprese l’attività politica ma, il 5 dicembre 1943, fu arrestato e internato nel campo di Scipione di Salsomaggiore (Pr), da dove fu prelevato il 13 giugno 1944 per es107 sere deportato a Dachau. Rientrato in Italia nel maggio del 1945, fece ritorno al paese d’origine. Morì il 26 dicembre 1989 a Biella. Varnero, Benedetto Di Enrico e di Carolina Uberti Bona, nato il 20 settembre 1905 a Ronco Biellese. Emigrato in epoca imprecisata, giunse in Spagna nell’aprile del 1937, proveniente dall’Algeria. Appartenne al 3o battaglione della brigata “Garibaldi”. Non si sa a quali combattimenti abbia partecipato, ma pare che nel gennaio 1939 sia stato al fronte, con uno dei reparti che, seppure nella fase di smobilitazione, decisero di riprendere le armi. In Francia fu internato a Gurs e a Le Vernet. Risulta deportato a Buchenwald, ma non si hanno altre notizie al riguardo. Venezia, Eraldo Di Alessandro e di Camilla Dellarolle, nato il 27 dicembre 1903 a Bianzè. Bracciante, militante della gioventù comunista, nel 1922, dopo diversi scontri con fascisti, si trasferì a Biella, dove esercitò vari mestieri. Emigrato in Francia nel 1927, si stabilì a Boulogne-Billancourt. Rimpatriato nel 1931 per svolgere attività illegale per conto del Partito comunista, prese domicilio a Cavaglià e svolse la professione di merciaio ambulante. Fu tra gli organizzatori dello sciopero delle mondine del mese di giugno di quell’anno. Sospettato e vigilato, soprattutto dopo una diffusione di manifestini nel mese di novembre, il 21 aprile 1932 fu arrestato e denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, con altri appartenenti a un gruppo clandestino, con l’accusa di ricostituzione del disciolto Partito comunista e, il 22 settembre, fu condannato a cinque anni di reclusione (di cui tre condonati). Scarcerato nell’aprile del 1934, ritornò al paese d’origine, occupandosi come contadino. Il 4 luglio 1937 espatriò clandestinamente in Francia, con Gaspare Fracasso59, per arruolarsi nelle brigate internazionali: fu pertanto denunciato e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”. Inquadrato nella 1a compagnia del 1o battaglione della brigata “Garibaldi”, combatté a Farlete, Belchite, Fuentes de Ebro e a Campillo, dove cadde il 16 febbraio 1938, nel tentativo di liberare un ufficiale catturato dai fascisti60. Viana, Luigi Di Emilio e di Ernesta Scanzio, nato il 10 febbraio 1896 a Candelo, muratore. Fu tra i fondatori del Partito comunista nel Biellese, di cui divenne, nel 1924, il primo segretario di Federazione. Già condannato nel 1922 a sette mesi e mezzo di carcere per “eccitamento alla disubbidienza alla legge”, nuovamente arrestato il 5 ottobre 1925 e denunciato con l’accusa di aver organizzato cellule comuniste, fu condannato a un anno. Il 29 novembre 1926, poco dopo la scarcerazione, essendo ritenuto un pericoloso propagandista, gli furono inflitti cinque anni di confino, ridotti a tre in appello, scontati a Lampedusa (Ag) e a Ustica (Pa). Nel marzo 1931 emigrò clandestinamente in Francia: fu pertanto iscritto nel “Bollettino delle ricerche” quale “comunista pericoloso da fermare”61. Si stabilì a Parigi, dove frequentò ambienti antifascisti, mantenendo contatti con altri fuorusciti italiani. Nell’aprile 108 del 1931, al IV Congresso del Partito comunista, svoltosi nei pressi di Colonia, fu eletto nel Comitato centrale. Dopo aver portato a termine varie missioni clandestine in Italia, nell’agosto del 1936 fu tra i primi a partire per la Spagna: arruolatosi nella “Colonna italiana”, combatté a monte Pelato, Huesca, Tardienta e Almudévar. Nel febbraio del 1937 passò al Gruppo di artiglieria internazionale, con il grado di tenente, combattendo in Aragona, Estremadura e nel Levante. Ritornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato nei campi di Saint-Cyprien, Gurs e Le Vernet. Rimpatriato il 20 settembre 1941, fu arrestato dalla polizia alla frontiera di Menton e tradotto a Vercelli. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 6 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato nell’agosto del 1943. Durante la Resistenza ricoprì dapprima l’incarico di intendente della 2a brigata “Garibaldi” e in seguito fece parte del Cln di Aosta. Dopo la Liberazione fu per alcuni mesi segretario della Federazione comunista di Aosta, poi ritornò nel Biellese, dove continuò a svolgere attività politica. Morì il 23 febbraio 1950 a Candelo. Zanada, Carlo Di Giuseppe e di Rosa Bongianini, nato il 27 maggio 1895 a Palestro (Pv), residente a Chiavazza (Biella) dal 1919, attaccafili poi manovale. Emigrato in Francia nel 1924, quattro anni più tardi fu schedato nel Casellario politico centrale come socialista e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Nel settembre del 1931, espulso per motivi politici, riparò in Belgio, dove, nell’ottobre dell’anno seguente, fu arrestato per contravvenzione a un foglio di via e accompagnato alla frontiera con il Lussemburgo. Rientrò in Francia e poi ancora nel Belgio, da cui fu nuovamente espulso nel luglio 1936. Dopo una nuova breve permanenza in Francia, nel mese di ottobre si recò in Spagna. Arruolatosi nelle brigate internazionali, nel mese di novembre fu inquadrato nel battaglione “Garibaldi” (e successivamente, nella primavera del 1938, nella 4a compagnia della brigata omonima). Partecipò alla battaglia di Casa de Campo e ad altri combattimenti, fino all’Ebro. Smobilitato, nel febbraio 1939 riparò in Francia, dove fu internato nei campi di concentramento di Saint-Cyprien, Gurs e Le Vernet. Rimpatriato, il 30 agosto 1941 fu arrestato dalla polizia a Menton e tradotto a Vercelli. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 6 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato il 22 agosto 1943. Partecipò alla Resistenza inquadrato nella brigata Sap biellese “Graziola”. Dopo la Liberazione continuò l’attività politica, come dirigente di sezione del Pci. Morì il 20 novembre 1959 a Biella. Zanotti, Arialdo Di Celestino e di Emilia Vineis, nato il 6 maggio 1900 a Mongrando, panettiere poi manovale, comunista. Cognato di Adriano Rossetti62. Nel novembre del 1931 emigrò in Francia per motivi di lavoro, stabilendosi a Villeparisis. L’anno seguente fu schedato nel Casellario politico centrale come socialista. Nel giugno del 1935, essendosi reso irreperibile, fu iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Poco dopo fu rintracciato a Villejuif. 109 Partito per la Spagna nell’ottobre del 1936, fu arruolato nella 1a compagnia del costituendo battaglione “Garibaldi”. Segnalato alla Direzione generale della Pubblica sicurezza come “miliziano rosso”, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”. Prese parte a numerosi combattimenti (Cerro de los Angeles, Casa de Campo, Pozuelo de Alarcón, Boadilla del Monte e Mirabueno) finché, nel gennaio del 1937, contratta una pleurite, fu ricoverato in ospedale. Rientrato nella formazione nel mese di marzo, poco dopo fu promosso sergente. Dopo la costituzione della brigata “Garibaldi”, partecipò ai combattimenti di Huesca, Brunete, Farlete, Belchite, Fuentes de Ebro (dove fu promosso tenente) e a Campillo, dove, il 16 febbraio 1938, rimase ferito al braccio sinistro. Subita l’amputazione, nell’agosto del 1938, rientrò in Francia, dove fu ricoverato in ospedale per tubercolosi. Il 4 settembre 1939 fu arrestato e incarcerato per quattro mesi. Morì il 27 febbraio 1943 a Parigi. Zanotto, Riccardo Di Celestino e di Maria Maffeo, nato l’8 gennaio 1904 a Salussola, residente a Biella, operaio. Attivo militante comunista nel Biellese, divenuto funzionario comunista nelle Venezie, nel mese di dicembre del 1927 fu arrestato a Trieste: denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, il 6 febbraio 1929 fu condannato a due anni e sei mesi di reclusione e a tre anni di vigilanza speciale. Avendo usufruito di condono, fu dimesso dalle carceri di Ancona il 25 febbraio 1930. Verso la fine del mese di maggio espatriò clandestinamente in Francia, raggiungendo successivamente l’Unione Sovietica, per frequentare la scuola leninista. Fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” per il fermo. Ritornato in Francia nel 1933, in seguito a dissidi, dopo qualche tempo uscì dal partito. In seguito pare abbia frequentato ambienti trozkisti63. Nell’estate del 1936 si recò in Spagna, dove sembra sia stato tra i promotori della “Colonna italiana”. In seguito avrebbe fatto parte di una formazione anarchica, raggiungendo il grado di maggiore64. Combatté a Huesca e Teruel. Ritornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato ad Argelès-sur-Mer, Saint-Cyprien, Gurs e Le Vernet. Nel 1940 si arruolò nelle compagnie di lavoro. Rimpatriato dal Consolato di Bruxelles65, il 23 giugno fu fermato al valico del Brennero e fatto tradurre a Vercelli dove, il 9 agosto, fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), nell’aprile del 1942 fu ricoverato, per tubercolosi, dapprima in un ospedale napoletano e successivamente a Novara. Tradotto nuovamente a Ventotene (Lt), fu liberato alla fine del mese di agosto del 1943. Ritornato nel Biellese, risulta che durante la guerra di liberazione sia stato processato con l’accusa (probabilmente non vera) di spionaggio a favore dei nazifascisti e fucilato il 30 agosto 1944. Zucchetti, Giovanni Di Alessandro e di Maria Vercellino, nato il 6 luglio 1895 a Vercelli, socialista. Emigrato clandestinamente in Francia nel 1923, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”. Partecipò alla guerra civile spagnola combattendo nelle brigate internazionali, ma non si hanno altre informazioni al suo riguardo. Morì il 27 novembre 1974 in Francia. 110 Appendice: antifascisti di cui si hanno dati insufficienti Archetti, Antonio Di Eugenio e di Francesca Schiapparelli, nato il 15 gennaio 1909 a Occhieppo Inferiore, vetraio. Emigrato in Svizzera nell’aprile del 1930, nel mese di dicembre fu arrestato ad Annecy, in Savoia, accusato di “violenza per scopi politici”, e condannato a quindici giorni di reclusione. Segnalato al Ministero dell’Interno fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. In seguito prese domicilio ad Annemasse. Rientrato in Italia alla fine del 1931, il 3 marzo 1932 fu fermato perché sospettato di aver diffuso manifestini antifascisti, ma fu rilasciato per mancanza di prove. Poco dopo ritornò in Francia, a Thonon-les-Bains. Resosi in seguito irreperibile, nel maggio 1938 risultò risiedere a Marsiglia. Il 14 giugno 1939 il comando delle truppe fasciste in Spagna segnalò che aveva militato nelle brigate internazionali. Non si hanno altre notizie. Rossetti, Ernesto Di Francesco e di Delfina Enrico, nato il 17 maggio 1904 a Magnano, già residente a Torino. Emigrato in Francia nel 1923 (pare risiedesse a Bondy) e iscritto nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto. Nel gennaio 1937 fu segnalato per essere partito da Nizza per la Spagna e in seguito come arruolato. Non si hanno elementi per provare l’attendibilità delle segnalazioni. Morì il 21 febbraio 1982 a Biella. Santagostino, Attilio Di Francesco e di Angela Cantone, nato il 12 luglio 1901 a Serravalle Sesia, emigrato a Mathi (To) nel 1914, operaio cartaio. Nel gennaio 1916 si rese irreperibile. Nel dicembre 1923 fu colpito da mandato di cattura per renitenza alla leva. Nel gennaio 1937 fu segnalato alla polizia politica che svolgeva “notevole attività antifascista” in Alta Savoia e che si era arruolato “nelle milizie rosse spagnole”. Fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Non si hanno elementi per provare l’attendibilità della segnalazione. Morì il 16 maggio 1973 a Lione. Zanone, Vittorio Di Lorenzo e di Angela Sodano, nato il 27 marzo 1899 a Gattinara, calzolaio. Attivo militante socialista, schedato nel Casellario politico centrale nel 1917 per antimilitarismo. Emigrato in data imprecisata, nel giugno 1928 fu segnalato a Grenoble e venne iscritto nella “Rubrica di frontiera”. L’anno seguente fu segnalato a La Tronche, dove svolgeva “attività sovversiva”, particolarmente nella Lega italiana per i diritti dell’uomo66, anche come conferenziere. Nel 1931 fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche” come comunista pericoloso da arrestare. Nel 1933 fu nominato presidente della Lidu di Grenoble. Risulta si fosse naturalizzato francese. Nell’agosto 1936 fu segnalato come “attivis111 simo aderente al movimento di Giustizia e Libertà”. Nell’aprile del 1937 fu segnalato come “arruolato nelle milizie rosse in Spagna” in un reparto della Croce Rossa, ma non si hanno altri elementi al riguardo. Morì il 17 ottobre 1970 a La Tronche. Zuppa, Pio Di Pietro e di Panacea Milanaccio, nato il 28 giugno 1880 a Borgosesia, operaio. Fervente socialista, nei primi anni del secolo fu tra i dirigenti del movimento operaio locale. Licenziato per rappresaglia, emigrò, dapprima in America e successivamente in Francia, stabilendosi ad Aix-les-Bains e occupandosi come operaio in una fabbrica di mattonelle. Nel 1928 fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” per il fermo. Cinque anni più tardi fu segnalato come frequentante ambienti comunisti. Nel 1935 si rese irreperibile: tre anni dopo un informatore segnalò alla polizia politica che, secondo voci raccolte negli ambienti antifascisti, si era arruolato nelle brigate internazionali. Fu pertanto iscritto nel “Bollettino delle ricerche” per l’arresto. Nel giugno del 1941 risultava risiedere a Chambéry. Morì il 24 gennaio 1965 ad Aix-les-Bains. 1 Depositati all’Istituto Gramsci di Roma, nell’archivio del Partito comunista italiano, serie “I comunisti italiani nella guerra di Spagna”. 2 Pubblicato nel 1962 nella “Rivista storica del socialismo” (n. 15-16, pp. 225-261) e in appendice a GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia, Roma, Editori Riuniti. 3 Neppure gli schedari dell’Aicvas sono completi, e le schede, a una attenta verifica, rivelano talvolta imprecisioni. Il fatto che esse riportino informazioni (non sempre provate) tratte da altre fonti, rischia di avallare anche errori. È da rilevare che anche documentazione ufficiale o che, in qualche misura, ha carattere di ufficialità, come alcuni elenchi dell’epoca conservati nella citata serie “I comunisti italiani nella guerra di Spagna” o quelli, pure citati, di D’Onofrio, presentano non poche imprecisioni. 4 ANELLO POMA (a cura di), Antifascisti piemontesi e valdostani nella guerra di Spagna, Torino, Centro studi Piero Gobetti - Sezione piemontese Aicvas, 1975. 5 L’opera di Poma è sicuramente preziosa, ma occorre rilevare che presenta alcune inesattezze (soprattutto per quanto riguarda nomi e dati anagrafici, parte delle quali è stato possibile correggere ricorrendo alle anagrafi comunali). In essa compare inoltre, citato come originario della Valsesia, Andrea Guggia, che non risulta esserlo; inoltre Giovanni Gannio è erroneamente biografato anche come Giovanni Cagno. 6 Anche i Quaderni dell’Aicvas non sono esenti da lacune ed errori. Riteniamo utile (soprattutto per evitare che anche in futuro, sulla base di questa fonte, l’errore si ripeta) precisare che Aladino Quiriconi non è originario del Vercellese. 7 Di altri cinque non si hanno dati sufficienti per provare la loro partecipazione. Le loro biografie sono pubblicate in appendice. 8 Per quanto riguarda l’esame della documentazione dell’Archivio centrale dello Stato si rinvia alle pp. 65-66; per quella dell’Istituto Gramsci (la citata serie “I comunisti italiani nella guerra di Spagna”) occorre tenere conto - oltre a quanto detto nella seconda parte della nota n. 3 - che in essa sono compresi anche vari elenchi di internati nel “quartiere c” del campo di Le Vernet, che ospitava gli ex volontari delle brigate internazionali, ma in cui, come è noto, furono rinchiusi anche antifascisti che non provenivano da quell’esperienza: ciò costringe, ovviamente, a una particolare cautela e al necessario riscontro con altre fonti. 112 9 Per lo stesso motivo non sono state indicate nel testo le province di appartenenza delle località spagnole e i dipartimenti delle località francesi, per i quali si rinvia all’indice delle località. 10 In questa elaborazione non sono stati presi in considerazione i cinque antifascisti di cui non vi sono dati sufficienti a confermare l’arruolamento nelle brigate internazionali, le cui biografie sono pubblicate in appendice. 11 Vercellese: Vercelli tre, Trino due, uno ciascuno nei seguenti comuni: Asigliano Vercellese (più un oriundo), Balocco, Bianzè, Gattinara, Livorno Ferraris (più un oriundo), Santhià, Tronzano Vercellese. Biellese: Mongrando cinque (più tre oriundi), Biella quattro, uno ciascuno nei seguenti comuni: Camandona, Candelo, Cavaglià (oriundo), Cossato, Cossila (ora frazione di Biella), Curino, Dorzano, Gaglianico, Magnano, Mezzana Mortigliengo, Occhieppo Inferiore, Occhieppo Superiore, Pollone, Ronco Biellese, Rosazza, Sagliano Micca, Salussola, Verrone, Viverone, Zubiena, Zumaglia. Valsesia: uno in ciascuno dei seguenti comuni: Boccioleto, Borgosesia, Quarona (oriundo), Varallo. 12 Inoltre un vercellese e un valsesiano emigrarono nel Biellese: consideriamo quindi biellesi trentotto volontari, vercellesi tredici e valsesiani tre. 13 Premesso che non sempre è possibile stabilire con certezza se alcune attività erano svolte alle dipendenze o in proprio, consideriamo operai trentaquattro volontari (di cui tredici risultano del settore edile, otto di quello metalmeccanico, sei di quello tessile). Tre volontari erano addetti all’agricoltura, due ad attività artigianali (ma anche per questi potrebbe essere valida la considerazione precedente), sette ad altre attività. Di otto non è nota la professione. Dei dirigenti politici è stata considerata la professione originaria. 14 Nei casi di mancanza di altri dati si è fatto riferimento alle classificazione nel Casellario politico centrale, non scevre da errori. A tal proposito si veda, ad esempio, la nota 46 relativa a Giuseppe Mezzano. 15 Uno di questi (Mario Cantarelli) era probabilmente anarchico, ma non è stato possibile accertarlo. 16 In totale (considerando la “mobilità”) sono noti trentasei casi di emigrazione in Francia, otto in Svizzera, cinque in Unione Sovietica, quattro in Spagna, altrettanti nell’America del Sud, tre negli Stati Uniti, altrettanti nel Lussemburgo, due in Belgio, uno in Gran Bretagna, nel Principato di Monaco e nel Liechtenstein. Di quattro non è noto il paese di emigrazione. È considerato come emigrato anche un volontario nato in Francia (il citato Cantarelli) la cui famiglia, dopo la sua nascita, presumibilmente rimpatriò temporaneamente a Quarona, nei cui registri anagrafici fu registrato. Anche tutti gli altri oriundi nati in Francia (quattro) vi ritornarono dopo rimpatri temporanei. 17 Erano stati condannati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato: Francesco Leone, Eraldo Venezia e Riccardo Zanotto; deferiti ma assolti Gaspare Fracasso, Giuseppe Mosca, Adriano Rossetti; il confinato era Luigi Viana. Sono inoltre noti vari casi di arresti e di condanne sia in Italia che all’estero e alcuni casi di espulsione da paesi di emigrazione. Inoltre undici volontari risultano iscritti nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, dodici solo nella “Rubrica” e tre solo nel “Bollettino”. Durante la guerra civile spagnola, o in seguito ma a causa della partecipazione a essa, nove volontari furono schedati nel Casellario politico centrale; risultano inoltre sette casi di iscrizione nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, dodici solo nel “Bollettino” e tre solo nella “Rubrica”. 18 Giovanni Pio Borsano, Gaspare Fracasso, Anello Poma ed Eraldo Venezia. 19 Uno di questi, Plinio Lario, risulta arruolato il 28 luglio 1936: non è pertanto da escludere che si trovasse già in Spagna al momento dello scoppio della guerra civile. 20 Il più giovane era Ezzelino Prina Cerai, il più anziano Pietro Cerruti. Di un volontario (De Margherita) non è noto l’anno di nascita. Per i tre volontari di cui non è noto l’anno di arruolamento si è fatto riferimento al 1937. 21 Tenendo conto dei trasferimenti dalle varie formazioni, si ha complessivamente la seguente situazione: diciannove volontari furono inquadrati nel battaglione e altri diciotto nella brigata, uno in una formazione anarchica, undici in vari altri reparti, mentre di cinque non è nota la formazione di appartenenza. Inoltre cinque volontari appartennero alla “Colonna italiana” e uno alla centuria “GastoneSozzi” fino al loro scioglimento. 113 22 Altri ufficiali: un commissario politico di battaglione, un commissario politico di compagnia, cinque tenenti, un ufficiale tecnico di aviazione. Risultano inoltre due sottufficiali (sergenti) e un graduato (caporale). 23 Si tratta di Giovanni Barberis, Mario Cantarelli, Giovanni Gannio, Alfonso Mellina Sartore, Alfredo Minazio, Rolando Quagliotti, Giuseppe Tamagno, Eraldo Venezia. 24 Si tratta di Arialdo Zanotti. 25 Si tratta di Enrico Bonora. 26 Diciotto ritornarono in Francia (in seguito sei saranno arrestati e internati, mentre uno emigrò in Unione Sovietica), uno negli Stati Uniti, uno in Svizzera (dove fu internato), due in Unione Sovietica. 27 L’ultimo volontario a lasciare la Spagna fu presumibilmente Plinio Lario, che restò a Madrid fino al mese di marzo del 1939. Probabilmente anche Benedetto Varnero lasciò la Spagna dopo il ritiro delle brigate internazionali, ma non si hanno dati certi: pare solo che abbia combattuto con uno dei reparti che ripresero le armi nel mese di gennaio e non risulta che sia stato internato ad Argelèssur-Mer o a Saint-Cyprien, località dove furono raggruppati i volontari subito dopo il loro ingresso in Francia. 28 Comprendendo anche i sei che erano ritornati in Francia prima del febbraio 1939. 29 Si tratta di Giuseppe Bagnasacco, Ottavio Callegaro, Giovanni Calligaris, Giuseppe Mosca, Antonio Mosca Carlottin, Anello Poma, Francesco Prevosto, Lorenzo Quagliotti, Olinto Sella, Carlo Siletti, Luigi Viana, Carlo Zanada, Riccardo Zanotto (quest’ultimo era rimpatriato in precedenza). 30 Teresio Caron e Adriano Rossetti. 31 Si tratta di Gaspare Fracasso. 32 Si tratta di Francesco Leone. 33 Si tratta di Severino Castoro. 34 Si tratta di Carlo Tondella, nei cui confronti non esistevano prove (tuttavia durante l’occupazione tedesca fu internato e successivamente deportato in Germania). Tra quanti, invece, rientrati in Francia prima del febbraio del 1939, vi poterono risiedere legalmente, Annibale Caneparo rimpatriò nel maggio del 1940 e fu solo diffidato, per mancanza di prove concrete sulla sua partecipazione alla guerra civile spagnola, mentre il dirigente comunista Antonio Roasio, che riuscì a rimpatriare clandestinamente nel gennaio 1943, non subì condanne. Stessa sorte toccò a Francesco Montarolo, ritornato in Italia nell’agosto 1943. 35 Durante l’occupazione tedesca un ex volontario (Giovanni Calligaris) fu deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, uno (Severino Castoro) fu ammonito e uno (Adriano Rossetti) fu arrestato. 36 Si tratta di Matteo Secchia. Ad Angelo Irico, sempre in Urss, fu invece affidato un incarico di carattere politico tra i prigionieri di guerra italiani. 37 Errico Malatesta, nato a Santa Maria Capua Vetere (Ce) il 14 dicembre 1853, fu uno dei maggiori esponenti del movimento operaio italiano. Repubblicano e seguace di Garibaldi, ruppe con il mazzinianesimo in seguito alla forte impressione ricavata dalla Comune di Parigi e si avvicinò all’Internazionale, aderendo ben presto alle teorie di Michail Aleksandrovic Bakunin e, in seguito, di Pëtr Alekseevic Kropotkin. Agì senza sosta per gli ideali dell’anarchia e fu arrestato numerose volte, condannato al domicilio coatto e costretto anche all’esilio. Morì a Roma il 22 luglio 1932. 38 Luigi Bertoni, nato il 6 febbraio 1872 a Milano, da madre lombarda e padre ticinese, tipografo. Nel settembre 1890 si trasferì in Svizzera, dove ebbe i primi contatti con il movimento operaio e le prime esperienze di propagandista e prese parte alla rivoluzione liberale ticinese. L’anno seguente si stabilì a Ginevra ed entrò in contatto con gli ambienti dell’emigrazione anarchica, aderendo alle idee libertarie. Fondò il periodico bilingue “Il Risveglio - Le Réveil”, la voce più autorevole dell’anarchismo nella Confederazione elvetica, che uscì dal 7 luglio 1900 fino all’agosto 1940, quando fu soppresso da una legge che proibiva tutti i giornali anarchici. Per la sua attività sindacale e politica ebbe ripetutamente a che fare con le autorità elvetiche e scontò a più riprese brevi o lunghi periodi di detenzione. Fu definito «padre spirituale dell’anarchismo in Svizzera». Morì il 19 gennaio 1947 a Ginevra. 39 Tra cui Adriano Rossetti, deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che parteciperà alla guerra civile spagnola (se ne veda la biografia). Nella documentazione conservata nel fascicolo del Casellario politico centrale del Calligaris, salvo una notizia generica di deferimento all’autorità “competente”, non vi è alcun cenno a eventuali prov- 114 vedimenti nei suoi confronti: tuttavia è certo che non fu deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato né alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia. 40 È inesatta la notizia della sua appartenenza per un certo periodo al “Battallón de la muerte” riportata in alcune opere, ricavata probabilmente dagli articoli di ENRICO GIUSSANI, Dalla Spagna, in “Giustizia e libertà”, 12 febbraio 1937, e di LUIGI CAMPOLONGHI, Viaggio nella Spagna in guerra, in “Il grido del popolo”, 3 e 10 aprile 1937, entrambi ora in Perché andammo in Spagna, cit.: l’omonimo volontario qui citato (solo con il cognome) era il triestino Umberto Calligaris (cfr. AICVAS, schede biografiche). 41 Monte Aragón, nei pressi di Huesca. Denominato “monte Pelato” da Mario Angeloni, volontario perugino tra i fondatori della “Colonna italiana”, e solitamente citato in questo modo nelle varie opere di parte antifascista sulla guerra di Spagna. 42 Non è stato possibile reperire i suoi dati anagrafici completi nell’archivio comunale. 43 Già suo compagno nel citato gruppo scoperto nel 1932 (se ne veda la biografia). 44 Non trova riscontro la notizia riportata nel Quaderno dell’Aicvas n. 5 secondo cui dal campo di Gurs sarebbe stato deportato dai tedeschi in Bretagna. 45 Secondo la scheda biografica redatta dalla Prefettura il 21 maggio 1937 per questo episodio sarebbe stato anche denunciato dai carabinieri di Masserano al Tribunale speciale per la difesa dello Stato con l’accusa di offese al duce e al re: di ciò non si è tuttavia trovata alcuna conferma. 46 Da una tessera conservata dai familiari (di cui si è venuti a conoscenza dopo la pubblicazione della prima edizione di questo volume risulta che nel 1937 era iscritto al Partito comunista. 47 Secondo la scheda biografica dell’Aicvas sarebbe stato arruolato nel mese di ottobre; nel caso fosse l’autore di una lettera sequestrata al vercellese Alessandro Rigolino, come è ipotizzabile, sarebbe invece partito da Marsiglia l’8 novembre. 48 Secondo una nota contenuta nel suo fascicolo del Casellario politico centrale sarebbe stato anche, per molto tempo, negli Usa. 49 Tra i cui membri vi erano i qui biografati Gaspare Fracasso ed Eraldo Venezia. 50 Il 10 marzo, al comando di un gruppo di garibaldini riuscì a catturare un automezzo fascista carico di rifornimenti: l’episodio è ricordato da G. CALANDRONE in La Spagna brucia e da A[NTONIO] R[OASIO] nella voce Guadalajara dell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza. 51 Nel dicembre 1933 risulta iscritto nella “Rubrica di frontiera” ma non è nota la decorrenza del provvedimento. 52 È priva di fondamento la notizia pubblicata nel Quaderno dell’Aicvas n. 3 della sua partecipazione alla Resistenza francese e della deportazione in Germania. 53 Vedi. 54 Tra cui Giovanni Calligaris (vedi). 55 Vedi. 56 In cui fu, curiosamente, classificato genericamente come “antifascista”. 57 Nel febbraio 1938 la presenza in Spagna di un Tondella fu segnalata al Consolato italiano di Parigi da un informatore, che precisò che questi, ad Albacete, avrebbe progettato, con altri, di rientrare in Italia, attraverso la Svizzera, per compiere, durante qualche cerimonia, un attentato che sarebbe stato diretto “da certo Camen” (Giuliano Pajetta). Il prefetto di Vercelli, interessato al riguardo, ritenne che potesse trattarsi di Federico Tondella (nato il 29 luglio 1899 a Viverone, barbiere, emigrato clandestinamente in Francia nell’agosto del 1930 e iscritto nella “Rubrica di frontiera”), fratello di Carlo, che fu pertanto incluso nell’elenco degli attentatori e che, rientrato in Italia, il 9 luglio 1943 fu condannato a cinque anni di confino (ACS, Casellario politico centrale e Confinati politici, fascicoli personali di Federico Tondella). 58 Sebbene il suo nominativo fosse stato incluso in un elenco di volontari antifascisti inviato dalla Direzione generale della Ps ai prefetti nel dicembre del 1938 (ACS, Ps aaggr, cat. K1b-45, 1938, b. 50). 59 Già suo compagno nel citato gruppo scoperto nel 1932 (se ne veda la biografia). 60 Si trattava del capitano Mario Traverso, calzolaio genovese quarantottenne, ferito a una gamba, che fu poi ucciso a colpi di baionetta. 61 Nel marzo del 1940 risulta iscritto anche nella “Rubrica di frontiera”, ma non è nota la decorrenza del provvedimento. 115 62 Vedi. Secondo una segnalazione di fonte fiduciaria alle autorità italiane. 64 Sulla data di arrivo in Spagna, come del resto sul periodo precedente, non si hanno notizie certe. Nell’interrogatorio cui fu sottoposto il 4 luglio 1940 nella Questura di Vercelli sostenne che, dopo la sua rottura con il Pcd’I, si sarebbe trasferito dapprima a Bruxelles, successivamente a Berlino e nuovamente a Parigi, fino alla fine del 1933, epoca in cui si sarebbe trasferito in Spagna, occupandosi di commercio fino allo scoppio della guerra civile. Sull’attendibilità delle informazioni fornite nel corso dell’interrogatorio ci sembrano tuttavia possibili alcuni dubbi che, oltre a essere suffragati da minimizzazioni, peraltro ovvie (dichiarò ad esempio di aver svolto semplicemente funzioni di autista), sono alimentati dalla descrizione di alcune vicende che sembra essere romanzata. 65 A proposito del trasferimento in Belgio rilasciò in seguito versioni contrastanti. 66 Fondata alla fine dell’Ottocento a Roma, dopo la presa del potere da parte del fascismo si trasferì a Parigi, dove fu diretta dal giornalista Luigi Campolonghi e poi dall’ex sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. In Francia vi aderivano socialisti, radicali, massoni, anarchici, liberali, esponenti di “Giustizia e libertà”. I comunisti ne fecero parte solo dopo il VII Congresso dell’Internazionale comunista (1935), secondo la politica di fronte popolare, per stabilire legami unitari con le altre forze antifasciste al fine di sviluppare la lotta contro il fascismo. Durante l’esilio francese l’associazione mirava ad assicurare aiuti agli emigrati politici italiani e a difendere gli antifascisti dagli arbitrii delle polizie locali. 63 116 Nota finale Nel volume dell’Aicvas La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939. Tre anni di storia da non dimenticare, Roma, 1996, sono elencati tra i volontari delle brigate internazionali - sulla base delle brevi schede biografiche pubblicate in Antifascisti nel Casellario politico centrale, Quaderni dell’Anppia, Roma, 1988-1995 - alcuni antifascisti che, secondo i risultati delle nostre ricerche, abbiamo invece ritenuto di escludere. Si tratta di Antonio, Giuseppe e Giovanni Astaldi, Giovanni Canova, Giovanni De Toma (recte: Detoma). Riguardo ai primi tre, fratelli di Tronzano Vercellese (nati rispettivamente il 2 settembre 1890, il 17 ottobre 1892 e il 7 maggio 1901 - l’ultimo a Torino -, meccanici, schedati come anarchici e comunisti ma attivi in un gruppo di “Giustizia e libertà”) si può escludere che si siano allontanati dal Belgio, dove risiedevano. Antonio fu sospettato dalla polizia di aver fatto parte delle brigate internazionali ma la segnalazione si basò su un evidente errore di interpretazione di un elenco di volontari (in cui il suo nominativo compare come recapito fornito da un arruolato), inoltre risulta che successive indagini “esclus[ero] tale circostanza”. Giovanni figura nel “Bollettino delle ricerche” come “ex miliziano truppe rosse spagnole” ma una lettura attenta di altri documenti contenuti nel fascicolo del Casellario politico centrale fa ritenere che anche questo provvedimento sia stato originato dall’errata interpretazione del citato documento e di confusione tra i fratelli (il nome del Giovanni Astaldi non figura infatti tra gli arruolati ivi elencati, mentre nei tre fascicoli sono vari i casi di scambio di persona). Neppure riguardo a Giuseppe vi è alcun riferimento alla partecipazione alla guerra di Spagna. La citazione in un documento contenuto nel suo fascicolo è infatti relativa al fratello Giovanni. Anche il Canova (nato il 10 ottobre 1898 a Ponderano, muratore, socialista), nonostante una segnalazione ricevuta dalla polizia circa la sua appartenenza alle “milizie rosse spagnole”, risulta non essersi allontanato dalla Francia, dove risiedeva. Infine il Detoma (di Michele, nato il 19 aprile 1900 - e non il 19 settembre - a Zubiena, sarto, comunista, residente a Sala Biellese, mai emigrato) non è identificabile con l’omonimo di cui esiste scheda biografica all’Aicvas: quest’ultimo (di Giuseppe, nato il 19 gennaio 1902 a Zubiena - dove peraltro risulta registrato come Bernardo -, commerciante, residente a Parigi) risulterebbe - secondo una segnalazione della “Fratellanza di Parigi” internato nel campo di Le Vernet, circostanza - peraltro non accertata - che, come si è detto (cfr. nota 8 ), non è di per sé sufficiente a provare l’appartenenza alle brigate internazionali. Nel volume è inoltre indicato come nato a Trino il volontario Camillo Sartoris, che nacque invece a Torino. 117 Fonti e bibliografia ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO (ACS), Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, Casellario politico centrale (Cpc) ACS, Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, Confinati politici ACS, Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, cat. K1b-45 “Arruolamento di volontari per l’Esercito rosso spagnolo” ASSOCIAZIONE ITALIANA COMBATTENTI VOLONTARI ANTIFASCISTI DI SPAGNA (AICVAS), schede biografiche ARCHIVIO PARTITO COMUNISTA ITALIANO (APCI), depositato all’Istituto Gramsci di Roma, serie “ I comunisti italiani nella guerra di Spagna” Gli antifascisti italiani nella guerra di Spagna, “Quaderni italiani”, New York, n. 3, aprile 1943 I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo, Biella, Pci, [1945] GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1955 ANELLO POMA, Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo, in Il prezzo della libertà. Episodi di lotta antifascista, Roma, Anppia, 1958 GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia, Roma, Editori Riuniti, 1962 ADRIANO DAL PONT - LINO ZOCCHI (a cura di), Perché andammo in Spagna. Scritti di militanti antifascisti. 1936-1939, Roma, Anppia, 1966 ANELLO POMA (a cura di), Antifascisti piemontesi e valdostani nella guerra di Spagna, Torino, Centro studi Piero Gobetti - Associazione italiana combattenti volontari antifascisti in Spagna, sezione piemontese, 1975 Autobiografia di una guerra civile, Torino, Archivio nazionale cinematografico della Resistenza, 1976 ALVARO LÓPEZ (a cura di), Antifascisti italiani caduti nella guerra di Spagna. Combattenti antifascisti di Spagna caduti nella lotta di liberazione in Italia, Quaderno Aicvas n. 1, Roma, 1982 ID, La centuria Gastone Sozzi, Quaderno Aicvas n. 4, Roma, 1984 ID, La Colonna italiana, Quaderno Aicvas n. 5, Roma, 1985 ID, Il battaglione Garibaldi, Quaderno Aicvas n. 7, Roma, 1990 Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, voll. I-III, Milano, La Pietra, 1968-1976, voll. IV-VI, Milano, La Pietra-Walk Over, 1984-1989. Volontari antifascisti in Spagna qui biografati sono elencati anche nelle seguenti opere: ALVARO LÓPEZ, Dalla Spagna al confino, 2a parte del Quaderno Aicvas n. 2, Roma, 1982 (contiene però anche elenchi di ammoniti, internati, condannati al carcere) ID, Dalla Spagna alla Resistenza in Europa, in Italia, ai campi di sterminio, Quaderno Aicvas n. 3, Roma, 1983 (contiene però anche elenchi di confinati e di condannati al carcere) ANELLO POMA - GIANNI PERONA, La Resistenza nel Biellese, Parma, Guanda, 1972; Biella, Giovannacci, 1978 GIANNI FURIA - LUIGI SPINA - ANGELO TOGNA (a cura di), 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci attraverso i suoi congressi, Biella, Pci, 1984. Nelle seguenti note sulle fonti i dati archivistici e bibliografici relativi alle serie di documenti e alle pubblicazioni di questo elenco sono riportati in forma abbreviata. Di alcune altre fonti archivistiche e opere, in cui vi è un numero limitato di citazioni e che pertanto non sono state qui sopra elencate, i dati bibliografici sono invece riportati direttamente nelle singole note sulle fonti. Sono citate solo opere in cui i biografati sono citati a proposito della loro partecipazione alla guerra civile spagnola. Non si fanno rinvii ai saggi pubblicati in questo volume. Le schede biografiche dell’Aicvas sono state citate solo nei casi in cui siano state effettivamente utilizzate come fonti. Non è stato citato il ricorso agli archivi comunali, pressoché generalizzato. Il volume La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939. Tre anni di storia da non dimenticare, Roma, Aicvas, 1996, non è stato citato, essendo pervenuto quando l’impaginazione di questo volume era già stata ultimata. In esso sono pubblicate, con alcune imprecisioni, brevi schede di tutti i volontari qui biografati, a eccezione di Bottan, Callegaro, De Margherita, Prina Cerai e dei biografati in appendice. Per alcune altre osservazioni su quest’opera si veda la nota alle pp. 116-117. 118 Albertini, Enrico: ACS, Cpc, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Arfinenghi, Arturo: ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in Quaderno Aicvas n. 7. Bagnasacco, Giuseppe: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo (con nome errato); Quaderno Aicvas n. 2; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Barberis, Giovanni: ACS, Cpc, citato in documenti contenuti nel fascicolo personale di Giuseppe Barberis; MAGRINI [ALDO GAROSCI], L’assedio di Huesca, in “Giustizia e libertà”, 11 settembre 1936, ora in Perché andammo in Spagna (che contiene ampi riferimenti alla sua figura di combattente e all’episodio della sua morte); Gli antifascisti italiani nella guerra di Spagna; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 5; testimonianze orali del nipote Roberto Maia (Occhieppo Inferiore) e della cugina Maria Lastella (Zumaglia), 27 febbraio 1994. Citato anche in UMBERTO CALOSSO, La battaglia di Monte Pelato, in “Il Mondo”, 17 gennaio 1953, ora in ADRIANO DAL PONT - LINO ZOCCHI (a cura di), Pionieri dell’Italia democratica. Vita e scritti di combattenti antifascisti, Roma, Anppia, 1966; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese (in alcune di queste opere è citato come Giuseppe anziché Giovanni). Bonora, Enrico: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45. Citato anche in Quaderno Aicvas n. 3. Borsano, Giovanni Pio: ACS, Cpc, citato in documenti contenuti nel fascicolo personale di Anello Poma; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato in: ANELLO POMA, Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Bottan, Giacomo: AICVAS, scheda biografica; testimonianza orale della sorella Regina, Gaglianico, 9 febbraio 1996. Citato in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Callegaro, Ottavio: ACS, Cpc, fascicolo personale; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; Quaderno Aicvas n. 2. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Calligaris, Giovanni: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7; Autobiografia di una guerra civile; Testimonianza orale di Giovanni Calligaris a Luigi Moranino, 22 novembre 1980; ISRSC BIVC, Fondo Facelli, Autobiografia di Angelo Irico, sd. Citato anche in: ILIO BARONTINI, La vittoria di Guadalajara, in “La Voce degli italiani”, 15 marzo 1938, ora in ADRIANO DAL PONT - LINO ZOCCHI (a cura di), Pionieri dell’Italia democratica. Vita e scritti di combattenti antifascisti, Roma, Anppia, 1966; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Calligaris, Lorenzo: ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Caneparo, Annibale: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza. Cantarelli, Mario: ACS, Cpc, fascicolo di Pietro Cantarelli; AICVAS, scheda biografica. Caron, Teresio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 5. Citato anche in: Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3. 119 Castoro, Severino: ACS, Cpc, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi. Citato anche in Quaderno Aicvas n. 2. Cerruti, Pietro: ACS, Cpc, fascicolo personale (nulla sulla sua partecipazione alla guerra civile spagnola); AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Crovella, Andrea: ACS, Cpc, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; Quaderno Aicvas n. 7. De Margherita, Secondo: AICVAS, scheda biografica. Citato in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Fracasso, Gaspare: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ministero dell’Interno, Ps aaggr, A5g seconda guerra mondiale, Internati civili pericolosi, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, Fondo Facelli, lettera (autobiografia) di Gaspare Fracasso a Domenico Facelli, 12 novembre 1969 e questionario Aicvas compilato il 23 febbraio 1976; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Autobiografia di una guerra civile. Citato anche in: ANELLO POMA, Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo; Quaderno Aicvas n. 2 (indicato erroneamente come confinato a Ventotene); Quaderno Aicvas n. 3. Gannio, Giovanni: ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...; Quaderno Aicvas n. 7. Graglia, Annibale: ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in Quaderno Aicvas n. 7. Irico, Angelo: ACS, Cpc, fascicolo personale (nulla sulla sua partecipazione alla guerra civile spagnola); AICVAS, scheda biografica; ISRSC BI-VC, Fondo Facelli, Autobiografia di Angelo Irico, sd, parzialmente edita, a cura di PIERO AMBROSIO, con il titolo “Nel lavoro che svolgevo davo tutto me stesso”, in “l’impegno”, a. XIII, n. 3, dicembre 1993 e successivamente in ID, “Un ideale in cui sperar”. Cinque storie di antifascisti biellesi e vercellesi, Borgosesia, Isrsc Bi-Vc, 2002; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in GIACOMO C ALANDRONE, La Spagna brucia. Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza. Lario, Plinio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in Quaderno Aicvas n. 3. Leone, Francesco: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Ministero di Grazia e giustizia, Detenuti politici, fascicolo personale; APCI, Biografie, memorie, testimonianze, “Note [auto]biografiche del compagno Francesco Leone, consultore”, 29 maggio 1945; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 4; Quaderno Aicvas n. 7. Biografato anche in: FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, vol. III, Roma, Editori Riuniti, 1977; Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; ADOLFO M IGNEMI (a cura di), Figure e centri dell’antifascismo in terra novarese, Novara, Istituto storico della Resistenza, 1992; RENZO MARTINELLI - MARIA LUISA RIGHI (a cura di), La politica del Partito comunista italiano nel periodo costituente, Annali della Fondazione Istituto Gramsci, 1990, Roma, Editori Riuniti, 1992. Citato anche in: L. NOVAS CALVO, Un militante: Francesco Leone, in “Lo Stato Operaio”, a. XI, n. 1, gennaio 1937; GUSTAV REGLER, La Casa verde, ivi; ALBERTO CIANCA, Visita al battaglione Garibaldi, in “Giustizia e libertà”, 26 febbraio 1937, ora in Perché andammo in Spagna; LUIGI GALLO [LUIGI LONGO], Il battesimo del fuoco del battaglione Garibaldi, in “La Voce degli Italiani”, 13-14-15 ottobre 1937, ora in Perché andammo in Spagna; AGOSTINO DE VITA, Battaglione Garibaldi. Ottobre 1936 - aprile 1937, Parigi, Edizioni di Coltura Sociale, 1937; ESTELLA [TERESA NOCE], Garibaldini in Spagna, Madrid, Unión general de trabajadores, 1937, ora Milano, Feltrinelli, 1966; RANDOLFO PACCIARDI, Il battaglione Garibaldi, Lugano, Nuove edizioni di Capolago, 1938, poi Roma, La Lanterna, 1945; Gli antifascisti italiani nella guerra di Spagna; GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna; LUIGI LONGO, Le brigate internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956; PIETRO NENNI, Spagna, Milano, Avanti, 1958, ora Milano, Sugarco, 1976; GIACOMO CALANDRONE, La 120 Spagna brucia; GIOVANNI PESCE, Senza tregua. La guerra dei Gap, Milano, Feltrinelli, 1967; PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III, Torino, Einaudi, 1970; ARISTODEMO MANIERA, Nelle trincee dell’antifascismo. Ricordi di un garibaldino di Spagna, Urbino, Argalia, 1970; MASSIMO MASSARA (a cura di), I comunisti raccontano, Milano, Edizioni del Calendario, 1972; Diario di Ugo Muccini, Comune di Arcola - Isr La Spezia, 1973; La solidaridad de los pueblos con la República Española. 1936-1939, Mosca, 1974, traduzione italiana Le brigate internazionali. La solidarietà dei popoli con la Repubblica spagnola. 1936-1939, Milano, La Pietra, 1976; LUIGI LONGO - C ARLO SALINARI, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna, Milano, Teti, 1976, ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977; A[NTONIO] RO[ASIO], Casa Rossa, in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; ANTONIO CANONICA, La Colonna Libertad y la Centuria Gastone Sozzi, in Quaderno Aicvas n. 4. Suoi scritti sulla guerra civile spagnola: Fra i combattenti della Centuria “Gastone Sozzi”, in “Il grido del popolo”, 10 ottobre 1936, e in Garibaldini in Spagna, cit.; Faccia a faccia con il nemico sul fronte di Talavera, ivi, 17 ottobre 1936, entrambi riediti in Perché andammo in Spagna; Piuttosto di cedere morire (testo quasi identico a quello dell’articolo precedente), in ESTELLA, Garibaldini in Spagna, cit., ora anche in Quaderno Aicvas n. 4; Verso il fronte di Talavera, in Garibaldini in Spagna, cit.; Con i feriti del Battaglione “Garibaldi”, ivi; Spagna, in “La voce degli italiani”, 17 gennaio 1939; Ottanta uomini in tuta costituirono la prima Brigata, in “l’Unità”, edizione piemontese, 29 ottobre 1950. Macchieraldo, Andrea: ACS, Cpc, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; Quaderno Aicvas n. 5. Citato anche in GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; Quaderno Aicvas n. 3. Mellina Sartore, Alfonso: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1. Mezzano, Giuseppe: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Minazio, Alfredo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in Quaderno Aicvas n. 1. Minero Re, Quintino: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in Quaderno Aicvas n. 3. Minetto, Attilio: ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... (in queste tre opere è citato con nome errato); Quaderno Aicvas n. 7. Molinari, Domenico: AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Montarolo, Francesco: ACS, Cpc, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, Miscellanea, Breve autobiografia di Francesco Montarolo; ISRSC BI-VC, Fondo Facelli, Autobiografia di Angelo Irico; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza e citato anche nel Quaderno Aicvas n. 3. Mosca, Giuseppe: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra civile. Mosca Carlottin, Antonio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: Quaderno Aicvas n. 2; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; G. C ALANDRONE in La Spagna brucia; A[NTONIO] R[OASIO], Guadalajara, in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Poma, Anello: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO 121 POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra civile. Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza. Suoi scritti sulla guerra civile spagnola, oltre all’opuscolo citato: Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo, in Il prezzo della libertà, Roma, Anppia, 1958; Figure dell’Antifascismo militante: Eraldo Venezia, in “l’impegno”, a. II, n. 4, dicembre 1982; Cosa è stato Nedo per i partigiani biellesi, ivi, a. IV, n. 1, marzo 1984; La guerra di Spagna: ricordi e riflessioni, ivi, a. VI, n. 2, giugno 1986; Ripensando alla guerra di Spagna cinquant’anni dopo, ivi, a. VIII, n. 1, aprile 1988; Come vissero gli ex combattenti delle brigate internazionali nei campi di concentramento francesi, in “l’impegno”, a. XVII, n. 2, agosto 1997; Dalla lotta antifascista in Spagna alla Resistenza in Italia, in “Agorà”, annuario del Liceo scientifico statale “Galileo Ferraris”, Varese, a. V, 2001, poi in Fabio Minazzi (a cura di), La lotta antifascista dei comunisti in Europa. Dalla guerra di Spagna alla Resistenza: testimonianze orali, Napoli, La città del Sole, 2005. I cinque articoli pubblicati ne “l’impegno” sono stati riediti in Ricordi di due guerre civili. Spagna 1936-1939 - Italia 1943-1945. Scritti di e su Anello Poma “Italo”, a cura di Piero Ambrosio, Varallo, Isrsc Bi-Vc, 2016, e-book; l’articolo pubblicato nel 1986 è riedito anche in questo e-book. Prevosto, Francesco: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; Quaderno Aicvas n. 5. Citato anche nel Quaderno Aicvas n. 3. Prina Cerai, Ezzelino: AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Quagliotti, Lorenzo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: Quaderno Aicvas n. 2 e (con imprecisioni) Quaderno Aicvas n. 3. Quagliotti, Rolando: ACS, Cpc, citato in documenti contenuti nel fascicolo intestato a suo padre; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; Quaderno Aicvas n. 1. Ravetto, Carlo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra civile. Roasio, Antonio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977; ANTONIO ROASIO, relazione al convegno “La guerra di Spagna: dalla memoria storica alla lezione attuale”, Torino, 11-12 maggio 1984, pubblicata con il titolo Un’esperienza antifascista nella Spagna della guerra civile, in “l’impegno”, a. VI, n. 1, marzo 1986 e riedita in questo e-book; Quaderno Aicvas n. 7; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi.... Biografato anche in: FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, vol. IV, Roma, Editori Riuniti, 1978; ISACCO NAHOUM “MILAN”, Dalla lotta antifascista alla Resistenza alla costruzione della Repubblica, in “Patria indipendente”, 1 febbraio 1987; Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; RENZO MARTINELLI - MARIA LUISA RIGHI (a cura di), La politica del Partito comunista italiano nel periodo costituente, Annali della Fondazione Istituto Gramsci, 1990, Roma, Editori Riuniti, 1992. Citato anche in: ALBERTO CIANCA, Visita al battaglione Garibaldi, in “Giustizia e libertà”, 26 febbraio 1937, ora in Perché andammo in Spagna; AGOSTINO DE VITA, Battaglione Garibaldi. Ottobre 1936-aprile 1937, Parigi, Edizioni di coltura sociale, 1937; ESTELLA [TERESA NOCE], Garibaldini in Spagna, Madrid, Unión general de trabajadores, 1937, ora Milano, Feltrinelli, 1966; RANDOLFO PACCIARDI, Il battaglione Garibaldi, Lugano, Nuove edizioni di Capolago, 1938, poi Roma, La Lanterna, 1945; Gli antifascisti italiani nella guerra di Spagna; GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna; LUIGI LONGO, Le brigate internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956; PIETRO NENNI, Spagna, Milano, Avanti, 1958, ora Milano, Sugarco, 1976; GIACOMO C ALANDRONE, La Spagna brucia; GIOVANNI PESCE, Senza tregua. La guerra dei Gap, Milano, Feltrinelli, 1967; PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III, Torino, Einaudi, 1970; ARISTODEMO MANIERA, Nelle trincee dell’antifasci- 122 smo. Ricordi di un garibaldino di Spagna, Urbino, Argalia, 1970; MASSIMO MASSARA (a cura di), I comunisti raccontano, Milano, Edizioni del Calendario, 1972; La solidaridad de los pueblos con la República Española. 1936-1939, Mosca, 1974, traduzione italiana Le brigate internazionali. La solidarietà dei popoli con la Repubblica spagnola. 1936-1939, Milano, La Pietra, 1976; LUIGI LONGO - CARLO SALINARI, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna, Milano, Teti, 1976; ALBERTO ROVIGHI - FILIPPO STEFANI, La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola (19361939), Roma, Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, 1992. Citato anche in: Quaderno Aicvas n. 3; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra civile. Suoi scritti sulla guerra civile spagnola, oltre al citato volume autobiografico: All’assalto con le bombe a mano, in ESTELLA, Garibaldini in Spagna, cit.; Due attacchi ribelli respinti vittoriosamente dalle brigate internazionali, ivi; Soldati della Repubblica, in “La voce degli italiani”, 21-23 novembre 1937, riedito in Perché andammo in Spagna; Sul fronte di Madrid, in Il Partito comunista italiano, Roma, Pci, sd [1946?]*; I comunisti italiani nella guerra di Spagna, in PALMIRO TOGLIATTI (a cura di), Trenta anni di vita e lotte del Pci, “Quaderni di Rinascita”, n. 2, Roma, Rinascita, 1952; Battesimo del fuoco per i garibaldini al Cerro de los Angeles, in CESARE PILLON (a cura di), I comunisti nella storia d’Italia, Milano, Calendario del popolo, 1973; voci Albacete, Casa rossa, Cerro de los Angeles, Guadalajara, in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza. * Copia in bozza di stampa si trova in FONDAZIONE ISTITUTO GRAMSCi, Roma, Archivio Partito comunista, serie: Biografie, memorie, testimonianze. Secondo l’ex archivista dell’Istituto, FabrizioZitelli, il volume non fu edito. Rossetti, Adriano: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; FRANCO R AMELLA, Biografia di un operaio antifascista: Adriano Rossetti, in “l’impegno”, a. VII, n. 2, agosto 1987 (tratto da Les italiens en France de 1914 à 1940, sous la direction de Pierre Milza, Collection de l’École française de Rome, n. 94); Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: ALBERTO CIANCA, Visita al battaglione Garibaldi, in “Giustizia e libertà”, 26 febbraio 1937, ora in Perché andammo in Spagna; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna (cit. con nome errato); GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; OLAO CONFORTI, Guadalajara. La prima sconfitta del fascismo, Milano, Mursia, 1967; GIOVANNI PESCE, Senza tregua. La guerra dei Gap, Milano, Feltrinelli, 1967; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza. In questa si veda inoltre la citazione nella voce Guadalajara, curata da Antonio Roasio. Rossetti, Bruno: AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; testimonianza orale di Bruno Rossetti, 4 aprile 1996. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Secchia, Matteo: ACS, Cpc, fascicolo personale (nulla sulla sua partecipazione alla guerra civile spagnola); ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Autobiografia di una guerra civile. Citato anche in: PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III, Torino, Einaudi, 1970; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 3. Sella, Olinto: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Siletti, Carlo: ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3. Tamagno, Giuseppe: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato in: IL MILITE R OSSO [PIETRO NENNI], Il Battaglione Garibaldi nella battaglia di Arganda, in “Il Nuovo Avanti”, 27 luglio 1937, ora in PIETRO NENNI, Spagna, Milano, Avanti, 1958, 123 ora Milano, Sugarco, 1976; ESTELLA [TERESA NOCE], Garibaldini in Spagna, Madrid, Unión general de trabajadores, 1937, ora Milano, Feltrinelli, 1966; Gli antifascisti italiani nella guerra di Spagna; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...; Quaderno Aicvas n. 7. Tondella, Carlo: ACS, Cpc (citato in documenti contenuti nel fascicolo personale di Sisto Boscono); ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ACS, Ministero dell’Interno, Ps aaggr, A5g seconda guerra mondiale, Internati civili pericolosi, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Autobiografia di una guerra civile. Citato anche in: Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3. Varnero, Benedetto: AICVAS, scheda biografica; ACS, Cpc, citato in un documento contenuto nel fascicolo di Vittorio Flecchia. Venezia, Eraldo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, Fondo Facelli, Testimonianza di Domenico Facelli su Eraldo Venezia; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; ANELLO POMA, Figure dell’antifascismo militante: Eraldo Venezia, in “l’impegno”, a. II, n. 4, dicembre 1982. Si veda anche DOMENICO FACELLI, Una vita per gli ideali del popolo. Eraldo Venezia, in “L’amico del popolo”, a. XXXIV, n. 38, 16 novembre 1978. Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: ANELLO POMA, Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Viana, Luigi: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 5. Biografato anche in: Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, vol. III, Roma, Editori Riuniti, 1978; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; STEFANO SCHIAPPARELLI, Ricordi di un fuoruscito, Milano, Edizioni del Calendario, 1971; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3. Zanada, Carlo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas 7. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo (cit. con nome errato); Quaderno Aicvas n. 2; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Zanotti, Arialdo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, Autobiografia di Aurora Rossetti, 1 novembre 1978; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Zanotto, Riccardo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, b. 73, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; testimonianza di Giuseppe Mosca in Autobiografia di una guerra civile. Citato anche in: La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2. Zucchetti, Giovanni: AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... In appendice: Archetti, Antonio: ACS, Cpc, fascicolo personale. Rossetti, Ernesto: ACS, Ps. aaggrr, cat. K1b-45. Santagostino, Attilio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Ps. aaggrr, cat. K1b-45. Zanone, Vittorio: ACS, Cpc, fascicolo personale. Zuppa, Pio: ACS, Cpc, fascicolo personale. 124 Terza parte Immagini 125 “Simboli che sembrano documenti” L’uso della fotografia nel “Calendario del Garibaldino 1938” di Pierangelo Cavanna “Nessuno pensava di fare fotografie per futura memoria” “Giornali, molti giornali, in tutte le lingue. Sulle pareti stanno numerose le fotografie” ricorda Giorgio Camen (Giuliano Pajetta) descrivendo l’ambiente di trincea1, e questa presenza importante e familiare, strettamente connessa al quotidiano della guerra, sembra essere confermata da altre testimonianze che ricordano queste “immagini scattate ‘dal vero’, dagli stessi protagonisti nelle pause dei combattimenti, sulla stessa linea del fuoco, o in retrovia, nei brevi momenti concessi alla Colonna Italiana o al Battaglione Garibaldi”2. “Nessuno pensava di fare fotografie per futura memoria. Quelle che si vedono sono istantanee dilettantesche fatte per divertimento da chi possedeva una macchina fotografica. Fanno eccezione le fotografie ricavate da un film (‘Tierra de España’) organizzato da Hemingway che volendo dimostrare i progressi della giovine repubblica spagnola, in pace e in guerra, come battaglione militare modello della Spagna repubblicana scelse il Battaglione Garibaldi che non era spagnolo”3. L’impressione che si ricava da queste testimonianze e l’immagine che alcuni protagonisti tentano di accreditare ancora a molti anni dalla conclusione della guerra spagnola, è quella di una produzione spontanea, dilettantistica, estranea a qualunque tipo di progettualità politica, posta ai margini del circuito informativo, quasi che i comandi delle brigate internazionali non tenessero in alcun conto questo potente mezzo di comunicazione. Anche “Life”, che pure annovera tra i propri corrispondenti autori quali Capa, Seymour e Taro, sembra confermare il quadro delineato da Pacciardi: “La guerra di Spagna - si legge in un articolo del 1937 - ha prodotto poche buone fotografie”, ma “più di un fotografo ha rischiato la vita per istantanee di azione solo per farsele poi sequestrare dai militari. Ambedue le parti hanno fatto scattare fotografie di propaganda di edifici distrutti e di civili uccisi dal nemico, nascondendo tutto ciò che poteva essere di aiuto o di utilità per l’altra parte”4. Ed ancora: “Non è stato per mancanza di coraggio se la guerra è stata descritta e fotografata in modo inadeguato. La guerra moderna usa la propaganda come un’arma e ambedue le parti in Spagna hanno censurato spietatamente notizie e fotografie”5. La prospettiva muta repentinamente. Alla spontanea familiarità del dilettante, alla marginalità dell’attività fotografica si sostituisce bruscamente un quadro più complesso e forse anche più prevedibile: ritroviamo qui come altrove le figure consuete della censura e della propaganda, sapientemente applicate ad un sistema di comunicazione che si avvia ad essere di massa. La propaganda come arma di guerra6. Valerio Castronovo ha recentemente fatto notare7 la “sostanziale univocità formale dei messaggi” e “la sorprendente analogia di strumenti espressivi utilizzati” sui due fronti, rilevando la “tendenza di entrambi ad avvalersi sino in fondo del linguaggio della propa126 ganda, assai più che di quello dell’analisi e della riflessione politica, per far valere le ragioni dell’intervento armato” e certo questa uniformità semantica è un dato importante, da tenere nella dovuta considerazione sebbene non sia un fenomeno isolato, ma non possono essere considerati di meno altri aspetti particolarmente significativi quali le differenze pur evidenti di strategie e di linguaggi espressivi riscontrabili tra i diversi attori del conflitto e la novità costituita proprio dalla definitiva messa a punto degli strumenti di propaganda legati alla comunicazione di massa. Come ricordava George Orwell, “è molto diffícile scrivere obiettivamente a proposito della guerra di Spagna a causa della mancanza di documenti non propagandistici”8. L’uso sistematico e massivo, tattico e strategico di questa nuova arma di guerra si rivela allora uno degli elementi più caratterizzanti e ricchi di significato della guerra di Spagna, della sua modernità terrificante, tragicamente espressa dal bombardamento aereo di Guernica. I servizi di propaganda Nazionalisti e fascisti: “Vandalismi e atrocità commesse dai rossi” La formazione di uffici o centri di coordinamento per la propaganda è una preoccupazione dei comandi politico-militari di tutte le forze impegnate nella guerra di Spagna. Anche i nazionalisti, nonostante la scarsa presenza di fotografi professionisti tra le loro file, riescono ad organizzare efficienti strutture di supporto per la produzione di documentazione fotografica destinata alla propaganda, come quella coordinata da Juan José Serrano Gomez “Serrano” al seguito delle truppe di Queipo de Llano in Andalusia, ma soprattutto il gabinetto fotografico costituito dal generale Aranda col compito di riprendere fotografie del campo nemico, ritrarre i soldati della propria colonna e documentare l’entrata nelle città e nei villaggi occupati9. Quando però sorge la necessità di operare su fronti più vasti, al di fuori degli stretti collegamenti con l’esercito, si rivela indispensabile il ricorso a fonti esterne; per illustrare il testo che il deputato Juan Estelrich dedica a “La persecuzione religiosa in Spagna”10, uno degli esempi canonici di propaganda del terrore, ci si affida alle immagini di agenzia: chiese distrutte e mummie profanate emergono dal repertorio fornito da Keystone, Associated Press e New York Times, a dimostrare e mostrare al mondo la volontà di distruggere e l’accanimento degli anarchici e dei bolscevichi nell’incendiare i templi ed ammazzare “gli ecclesiastici, secolari e regolari”. Obiettivo questo che ricade anche tra i compiti della sezione fotografica della Missione militare italiana in Spagna che deve essere impegnata nella “ripresa fotografica e cinematografica di distruzioni, vandalismi e atrocità commesse dai rossi; degli aspetti desolati delle zone evacuate dai comunisti”11. È sulla diffusione e sul potere di persuasione di questo tipo di documenti che si fonda il richiamo della “crociata” di Franco e dei suoi alleati internazionali: “Hanno mostrato loro [ai “volontari” fascisti, nda] fotografie orrende; hanno raccontato fantasie quali possono solo nascere nelle menti sadiche dei falangisti”12. L’accento posto sull’uso propagandistico delle immagini, e sulla parola parlata della radio, in contrapposizione a quella scritta, al testo, la necessità insomma di utilizzare i nuovi mezzi di comunicazione è ben chiara ad un personaggio quale Lamberti Sorrentino, vicecapo dell’Ufficio stampa e propaganda della Missione militare italiana in Spagna, responsabile della Sezione radio e buon fotografo. In un articolo del luglio 1938, pubblicato ne 127 “Il Legionario” e dedicato ai “Cacciatori d’immagini”13, individua nei periodici illustrati e nei “giornali da proiettare nelle sale cinematografíche” i nuovi prodotti del giornalismo moderno. “Il lettore - afferma Sorrentino - si è trasformato, ed è diventato una persona che non legge quasi più nulla e che vuole invece veder tutto. La parola ha perduto a poco a poco il suo potere di persuasione. L’immagine, invece, domina ormai su tutta la linea col fascino irresistibile della sua immediatezza sintetica e sbrigativa. Il cinema, la radio e la televisione devono ancora, in realtà, dire la loro parola decisiva; e molte cose cambieranno, allora, fino a far precipitare nel disinteresse più completo la povera inanimata, pallida fotografia del giornale, che apparirà inevitabilmente in ritardo e senza il guizzo della bruciante attualità”. Estremamente interessante risulta il riferimento esplicito alle possibilità della televisione e l’analisi delle conseguenze che essa avrà per il fotogiornalismo, di cui sarà destinata a segnare la fine o almeno a determinarne una trasformazione profonda, ma allora esso compie i suoi primi passi e proprio il ruolo dei nuovi fotografi, dei fotoreporter attrezzati coi maneggevoli apparecchi da 35 mm, risulta fondamentale, soprattutto per promuovere la conoscenza del conflitto spagnolo in campo internazionale dalle pagine dei maggiori periodici illustrati. I repubblicani: “Una missione sociale e storicamente necessaria” Molto importante, soprattutto nei confronti del fronte interno, è il ruolo dei fotografi spagnoli, nella grande maggioranza esplicitamente schierati coi repubblicani. Oltre a formare improvvisate agenzie fotografiche, destinate più a coprire le difficoltà di approvvigionamento di materiali che a fornire immagini alla stampa nazionale e internazionale, essi collaborano attivamente con le strutture politiche e militari: Faustino Mayo si unisce al V Reggimento di Enrique Líster; Francisco Mayo e Benitez Casaus fanno parte del cosiddetto Altavoz del Frente; Kati Horna collabora a testate anarchiche quali “Mujeres Libres”, “Tierra y Libertad” e “Umbral”; mentre il grafico Josep Renau, noto per i suoi fotomontaggi realizzati sulla scia di Heartfield, è nominato direttore della Propaganda grafica del Commissariato generale dello stato maggiore. Con la Unidad de Servicio Fotograficos del Ejercito del Este, con sede a Lérida, lavora dal settembre 1937 anche il più famoso fotoreporter spagnolo, Agustí Centelles, a cui viene affidata all’inizio del 1938 l’organizzazione e la direzione dell’archivio fotografico dell’Esercito di Catalogna, con sede a Barcellona, carica che lo porta a collaborare con Jaume Miravitlles, commissario per la Propaganda, e con Pere Catalá Pic, direttore delle pubblicazioni dell’Ufficio di propaganda della Generalitat di Catalogna, al quale si deve il notissimo manifesto fotografico “Aixafem el feixisme”14. Proprio ad un grafico come Renau si devono le dichiarazioni più esplicite e chiare sul ruolo organico che deve assumere l’artista militante: “Il cartellonista - scrive Renau15 impone alla sua funzione sociale una finalità diversa da quella puramente emozionale del libero artista. Il grafico è l’artista della libertà disciplinata, della libertà condizionata dalle esigenze obiettive, vale a dire, superiori alla sua volontà individuale”, e a questo ruolo esso si deve dedicare con la dignità che implica il pieno esercizio di “una missione sociale e storicamente necessaria”16. Ciò che merita di essere sottolineata è allora la condizione differente della produzione di propaganda sui due fronti avversi: mentre in campo nazionalista si tratta prevalentemente di una impostazione dirigista, centralizzata, con uno scarto netto tra ideazione ed esecuzione degli elaborati grafici e visivi destinati alla propaganda, che rimangono anco128 rati a canoni stilistici tradizionali17 (si veda ad esempio la ritrattistica di regime), in campo repubblicano l’adesione dei grafici e fotografi spagnoli è profondamente ideologica e politicizzata, con immediate ripercussioni sui temi e sui modi della loro produzione, e giunge a gettare le basi di una nuova estetica fotografica, strettamente aderente alle motivazioni etiche e politiche della lotta. Il fotografo scende in strada fin dal primo giorno, quel 18 luglio del 1936 in cui molti reporter erano convenuti a Barcellona per l’apertura delle Olimpiadi popolari, mai iniziate, e si ritrova totalmente immerso nel clima delle prime azioni di resistenza civile al sollevamento militare. Le foto di Centelles e quelle di Namuth-Reisner a Barcellona, quelle di Vidal e Albero y Segovia a Madrid mostrano da subito un profondo coinvolgimento, una prossimità non solo fisica del fotografo all’azione di resistenza. L’uso delle nuove Leica e Contax consente una agilità di movimento che permette di rendere pienamente questa consonanza e di rinunciare definitivamente alla posa, alla documentazione ex post che tanto aveva caratterizzato la fotografia di guerra fino a quel momento. In quei primi giorni il fotografo percorre le strade affiancando le barricate e mescolandosi alle manifestazioni di folla, partecipa all’evento e lo documenta sentendosi parte di esso, così come nei mesi successivi registrerà l’arrivo dei volontari delle brigate internazionali, la preparazione logistica e le azioni di guerra, le conseguenze atroci delle battaglie e dei bombardamenti, ma soprattutto il popolo che lotta e soffre e che risulta il grande protagonista di queste immagini, in particolare in quelle di Kati Horna, che rivolge la propria attenzione prevalentemente alle condizioni della vita quotidiana nei piccoli centri. Come ha rilevato Joan Fontcuberta a proposito delle immagini di Centelles18 - ma questa considerazione può essere estesa anche agli altri fotografi che operarono da parte repubblicana - le immagini che questi hanno prodotto vogliono essere documenti grafici allo stato bruto, volutamente “prive di firma e di stile”, nelle quali si vuole far prevalere il richiamo realistico del mezzo. Obiettivo principale è il compimento della missione politica e sociale che il fotografo ha scelto di svolgere, ciò che comporta in qualche modo l’annullamento della cifra personale, dell’interpretazione che si sovrappone e si interpone alla pura funzione documentaria, al fine di trasmettere il messaggio nel modo più convincente possibile, per produrre, come dice Fontcuberta, “simboli che sembrano documenti”. E poco importa se per raggiungere questo scopo si deve ricorrere, in alcuni casi, a soluzioni apparentemente in contraddizione col dettato strettamente documentario, ad interventi di costruzione o ricostruzione dell’immagine quali la riquadratura del negativo in fase di stampa, il fotomontaggio e la doppia esposizione, la messa in scena e la posa. Ma anche la composizione dell’inquadratura viene utilizzata in funzione di sottolineatura retorica del soggetto, come accade tipicamente nelle riprese dal basso verso l’alto, sovente composte in diagonale, più volte utilizzate ad esempio da Centelles e Campana19, mentre altri fotografi quali Namuth-Reisner e Albero y Segovia adottano soluzioni differenti, con riprese frontali o appena scorciate ed ombre marcate, ricercando una monumentalità dell’immagine che rimanda in modo esplicito alla produzione del realismo socialista ed al dibattito che in Unione Sovietica contrapponeva alle ricerche delle avanguardie, accusate di “tendenze formaliste, di feticismo della tecnica”, il ritorno a “forme comprensibili”, al “primato del contenuto sulla forma”, propugnato dai membri della Ropf, Russkoe Obcestvo Proletarskich Fotografov (Associazione russa dei fotografi proletari), che si battevano per l’abbandono dei modi del reportage a favore di un ritorno alla fotografia di composizione a fini celebrativi20. 129 Le brigate internazionali Allo stato attuale delle ricerche non sappiamo se e quanto di questo dibattito sia confluito ed abbia influenzato la produzione fotografica realizzata nell’ambito di organismi altamente politicizzati e ideologicamente controllati quali furono le brigate internazionali, ma certo la storia politica di questi organismi e di molti dei volontari e dei quadri dirigenti lascia supporre che sul fronte spagnolo ne giungesse più di una eco. Indagini condotte direttamente sulle fonti, fotografiche e a stampa, sono a tutt’oggi molto rare. La maggior parte delle immagini ci è nota attraverso pubblicazioni di anni o decenni successive alla data in cui venne effettuata la ripresa, né, senza conoscere l’originale e la sequenza di produzione in cui questo è inserito, siamo in grado di riconoscere e valutare il peso e il senso dell’impaginazione, che pure adotta schemi profondamente differenti nelle diverse testate21. Anche le recenti indagini di Paola Corti e Alejandro Pizarróso Quintéro, condotte su due importanti periodici prodotti dagli opposti schieramenti nel corso della guerra spagnola22, pur risultando di grande importanza per comprendere i meccanismi della propaganda politico-militare, fanno solo qualche cenno ai modi di produzione ed utilizzazione dell’immagine fotografica, che pure vi svolgeva un ruolo importante, e resta ancora sostanzialmente valida l’osservazione fatta a suo tempo da Nanda Torcellan a proposito della scarsità di pubblicazioni “sulla ricchissima documentazione visiva”23 della guerra di Spagna. Per la fotografia prodotta al di fuori dei circuiti professionali, ma comunque non da fotografi improvvisati, il lavoro è ancora tutto da fare e non può per ora andare molto oltre una prima indagine descrittiva, senza ancora poter affrontare l’ordine di problemi che emergono invece dalle prime attente ricerche sulle fotografie prodotte durante la Resistenza24. L’analisi che presentiamo di un piccolo esempio di uso propagandistico della fotografia durante la guerra di Spagna non può che essere considerata come un primo tentativo di avvicinamento al problema, certamente lacunoso e sottoposto al rischio di offrire interpretazioni falsate o insufficienti poiché, come si è detto, troppi ancora sono gli elementi di conoscenza che riconosciamo come indispensabili nel preciso momento in cui ne rileviamo l’assenza. Lacuna tanto più grave quando risulta evidente come la guerra civile spagnola sia uno dei passaggi obbligati per comprendere la formazione di una nuova forma di comunicazione sociale ampiamente centrata sull’uso delle immagini. Il “Calendario del Garibaldino” Il “Calendario del Garibaldino 1938”, edito dall’Unione popolare italiana, consta di cinquantatré fogli di cm 22,7/15,8, con una copertina centrata grafícamente sulla bandiera della brigata con l’effigie di Garibaldi25. I fogli settimanali presentano sempre una partizione verticale che prevede in alto una grande immagine fotografica, di soggetto vario, a cui corrispondono altre due fotografie di ridotte dimensioni poste agli angoli inferiori a cornice del calendario settimanale, generalmente raffiguranti singoli o gruppi, tutte fornite di didascalia. Non siamo per ora in grado di conoscere con esattezza le motivazioni e gli obiettivi che tale pubblicazione si prefiggeva, ma il “Calendario” va inserito nella politica editoriale condotta dal comando della brigata “Garibaldi” e deve essere messo in relazione col giornale “Il Garibaldino”26, pubblicato dal 1 maggio 1937 al 7 febbraio 1938, e quindi alla redazione del volume antologico “Garibaldini in Spagna”, edito nel 1937, nel quale com130 paiono numerose immagini presenti anche nel “Calendario”, ciò che fa supporre la presenza di una sola redazione e di un vero e proprio fondo di immagini al quale attingere nelle diverse occasioni. Caratteristica comune a queste pubblicazioni, soprattutto evidente per la parte iconografica, è la loro natura di prodotti a circolazione interna, autoreferenziali, nei quali la narrazione prevale sull’informazione; gli argomenti trattati riguardano quasi esclusivamente la vita delle brigate e dei loro membri mentre poco è mostrato delle relazioni col nemico. Il riferimento al giornale della brigata risulta esplicito nell’immagine di apertura del calendario, il “Trombettiere delle brigate internazionali”, che è anche il simbolo che accompagna graficamente la testata del periodico, ma altri rimandi sembrano possibili e soprattutto risulta evidente una precisa corrispondenza ed un adeguamento al programma politico e militare del comando delle brigate espresso in forma compiuta dalle pagine del giornale, a dimostrazione dell’articolazione estrema delle strategie di propaganda e di costruzione del consenso. Al trombettiere fanno seguito immagini relative ad altri ruoli militari, motociclisti, “cacciatori”, mitraglieri ed alcune scene di vita al fronte. Scarse sono le fotografie d’azione, la documentazione delle diverse fasi del combattimento (“Bombardamento aereo”, “All’attacco”, “I volontari passano i reticolati”) ma qui, rispetto agli esempi presenti in “Garibaldini in Spagna”, risultano meno ingenue, costruite e composte con maggiore attenzione e prive di particolari incongrui (il soldato che guarda in macchina durante un “attacco”, ad esempio) che ne rivelino l’artificio palese della posa. Caratteristica è anche la scelta del modo in cui l’azione di guerra viene documentata: o come evento terribilmente “spettacolare” (i bombardamenti) o come scena corale ambientata in spazi amplissimi nei quali la presenza della persona si riduce a puro segno. In queste fotografie brigatiste manca la rappresentazione diretta della tragedia; lo scontro armato viene presentato registrandone il prima e il dopo, mostrandone i luoghi e gli effetti sulle cose piuttosto che sulle persone, secondo una tecnica che aveva avuto larghissima applicazione per tutto il XIX secolo ma che i nuovi fotografi, i fotoreporter, avevano ormai abbandonato e programmaticamente rifiutavano27. Anche la celebrazione delle vittorie militari, diversamente da quanto accade per i testi scritti, non passa mai attraverso l’exemplum personale, non si trasforma in modello di eroismo, rifiuta la costruzione del simbolo iconico che viene praticata nella stessa occasione dalla stampa internazionale (la foto del miliziano di Capa) secondo un procedimento proprio della comunicazione di massa. Le immagini di Guadalajara, Huesca, Guadarrama e Brunete o quelle del fronte di Aragona, che scandiscono le settimane seguendo l’ordine delle ricorrenze, si riferiscono sempre alle fasi preparatorie (“La partenza”, “Il viaggio di avvicinamento”, “Lo spiegamento della brigata”) o documentano i segni lasciati dalla battaglia e i festeggiamenti per la vittoria (“La strada da Madrid a Saragozza dopo la sconfitta fascista di Guadalajara”, “I garibaldini ammirano il bottino preso al nemico”) mentre si evita accuratamente il riferimento alle gravi perdite subite (“Tank durante l’offensiva di Brunete”). Non c’è dubbio che questo atteggiamento derivi da una pratica nella quale censura e propaganda si intrecciano indissolubilmente senza che sia possibile distinguere nettamente dove finisca l’una ed inizi l’altra, pratica che trovava il proprio specifico campo d’azione nel controllo, seppure imperfetto, della stampa periodica delle brigate e che si è evidentemente estesa ad un prodotto non strettamente legato all’informazione come il “Calenda131 rio”. Per queste ragioni la scelta del corredo iconografico può essere meglio compresa nel quadro delle trasformazioni indotte dall’andamento della guerra: “Dall’agosto del ’37 - come ha rilevato Paola Corti - le informazioni sui singoli combattimenti vennero di fatto sostituite da più costanti aggiornamenti sulle attività di addestramento [...] A partire dalla tragica conclusione dell’episodio di Brunete il giornale [“Il Garibaldino”, nda] cominciò di fatto a prestare una sempre maggiore attenzione alla vita quotidiana delle truppe”28. Le immagini che si riferiscono a questi temi percorrono tutta l’estensione del “Calendario”, alternando la documentazione dei momenti di addestramento e di preparazione (“Istruzione sul fucile a mitraglia”, “Momenti di riposo utilizzati per gli esercizi contro i gas”) a quelli di pausa e di svago (“La zuppa”, “La squadra calcistica garibaldina”, “Coro di garibaldini”). Una grande attenzione è dedicata al tema dell’alfabetizzazione e della diffusione della stampa di informazione politico-militare tra le truppe (“Non più analfabeti nella Brigata Garibaldi”, “Il giornale murale di un battaglione”, “Lettura in trincea”), argomento più volte ripreso anche nelle pagine di “Garibaldini in Spagna” e presente nelle immagini di molti fotografi29, a dimostrazione dell’importanza che i comandi attribuivano alla diffusione dell’informazione ed alla pratica della lettura, di volta in volta finalizzate a scopi diversi a seconda dell’andamento del conflitto. Se - specialmente dopo Brunete - “le ricorrenti sconfitte subite dai repubblicani [...] imponevano anche al giornale di tacere sulla guerra, di sorreggere il morale di una truppa ormai in chiaro declino o ricorrendo alla rievocazione di alcune vittorie dei mesi precedenti o rimuovendo la memoria delle sconfitte”30, allora risulta pienamente comprensibile e giustificato l’ampio spazio dedicato nel “Calendario” alla rievocazione della difesa di Madrid che costituisce il tema delle immagini relative ai mesi di ottobre, novembre e dicembre ed assume un significato preciso la scelta della fotografia di chiusura, il ritratto di André Marty, “l’eroe del Mar Nero, forgiatore ed animatore delle Brigate Internazionali”, che costituisce certamente un richiamo all’ordine ed all’ortodossia più ferrea e feroce; la negazione finale dell’entusiasmo volontaristico che pure le immagini precedenti avevano cercato di documentare. 1 GIORGIO CAMEN [GIULIANO PAJETTA], In trincea con i volontari italiani del Battaglione Dimitroff, in Garibaldini in Spagna, Madrid, Ugt, 1937, pp. 230-232. 2 MASSIMO SCIOSCIOLI, Presentazione, in ID (a cura di), Italiani nella guerra di Spagna 19361938. Un contributo di libertà, in “Archivio trimestrale. Rassegna di studi sul Movimento Repubblicano”, a. VIII, n. 1, gennaio-marzo 1982, p. 6. 3 RANDOLFO PACCIARDI, La guerra di Spagna, in M. SCIOSCIOLI (a cura di), op. cit., pp. 9-12. Il riferimento è al noto documentario The Spanish Earth, realizzato da Joris Ivens e John Ferno con finanziamenti di John Dos Passos e Archibald MacLeish, con testi di Ernest Hemingway; cfr. EVA PAOLA AMENDOLA - FEDERICA DI CASTRO (a cura di), Spagna 1936-1939. Fotografia e informazione di guerra, Venezia, Marsilio, 1976, pp. 35-36. In occasione della presentazione di alcune immagini tratte da questo documentario, il periodico americano “Life” pubblica per la prima volta, nel numero del 12 luglio 1937, la famosissima immagine di Robert Capa del miliziano caduto a Cerro Muriano, sul fronte di Cordova, che assumerà ben presto il ruolo di icona della guerra di Spagna, ruolo che mantiene a tuttoggi nonostante la messa in discussione della sua natura di documento ed il disvelamento della sua costruzione artificiosa; cfr. ANDO GILARDI, Storia sociale della fotografia, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 299. Per una analisi sintetica e attenta delle forme del falso in fotografia cfr. RENZO CHINI, 132 Tecniche e autentiche del falso fotografico, in “Aft. Rivista di Storia e Fotografia”, a. VIII, n. 15, giugno 1992, pp. 42-46; una grande occasione perduta per discutere in modo approfondito di questi temi è quella offerta da ALAIN JAUBERT, Commissariato degli archivi. Le fotografie che falsificano la storia, Milano, Corbaccio, 1993, che si limita ad essere un esempio datato di anticomunismo viscerale. 4 The war in Spain makes a movie with captions by Ernest Hemingway, in “Life”, July 12, 1937, citato e riprodotto in E. P. AMENDOLA - F. DI CASTRO (a cura di), op. cit., pp. 35-37. È singolare notare come la notazione di Pacciardi richiami in modo quasi letterale l’osservazione dell’articolista di “Life”, fatta quarantacinque anni prima. 5 The camera overseas. The Spanish war kills its first woman photographer, in “Life”, August 16, 1937, citato e riprodotto in E. P. AMENDOLA - F. DI CASTRO (a cura di), op. cit., pp. 37-38. 6 L’individuazione delle esatte caratteristiche del fenomeno condotta dal redattore di “Life” non potrebbe essere più esplicita, e forse tale lucidità di analisi molto deve alla conoscenza diretta dei primi studi sulle tecniche di propaganda utilizzate nella grande guerra, pubblicati negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni venti; cfr. ALEJANDRO PIZARRÓSO QUINTÉRO, “Il Legionario”. Un quotidiano fascista nell’intervento propagandistico degli italiani nella guerra civile spagnola, in PAOLA CORTI - ALEJANDRO PIZARRÓSO QUINTÉRO, Giornali contro. “Il Legionario” e “Il Garibaldino”. La propaganda degli italiani nella guerra di Spagna, Alessandria, Edizioni dell’Orso; Torino, Istituto di studi storici “Gaetano Salvemini”, 1993, pp. 11-66, in particolare alle pp. 13-16. 7 VALERIO CASTRONOVO, Premessa, in P. CORTI - A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit., p. 9. 8 Citato da RIK SUERMONDT, Agustí Centelles, in “Perspektief”, n. 39, settembre 1990, pp. 6667. Ricordiamo qui l’attività di fotografo di Orwell, purtroppo dispersa, almeno per quanto riguarda le immagini della guerra di Spagna, in conseguenza di un incidente che lui stesso descrive in questi termini: “Verso la fine di marzo [1937, nda] ebbi un’infezione alla mano che dovette subire un’incisione ed essere tenuta con una benda al collo. [...] I ‘praticantes’, o infermieri, mi derubarono d’ogni oggetto utile che avessi, compresa la macchina fotografica con tutte le mie fotografie’’; cfr. GEORGE ORWELL, Omaggio alla Catalogna, Milano, Il Saggiatore, 1964, p. 91. 9 PUBLIO LÓPEZ MONDÉJAR, Las Fuentes de la Memoria II. Fotografia y Sociedad en España, 1900-1939, Madrid, Ministerio de Cultura, Lunwerg Editores, 1992, p. 98. 10 JUAN ESTELRICH, La persecuzione religiosa in Spagna, Milano, Mondadori, 1937. Contro questa ignobile propaganda si alza la voce di Picasso, nominato dal governo repubblicano direttore del Museo del Prado: “La ridicola frottola che i propagandisti fascisti hanno fatto circolare per il mondo è stata completamente smentita molte volte dal grande numero di artisti e intellettuali che ultimamente hanno visitato la Spagna. Tutti hanno riconosciuto il profondo rispetto che il popolo spagnolo in armi ha rivelato nel salvare la grande ricchezza di quadri e dipinti religiosi e di arazzi dalle bombe incendiarie fasciste. Tutti conoscono il barbaro bombardamento del Museo del Prado da parte degli aerei ribelli, tutti sanno anche come i soldati riuscirono a salvare i tesori d’arte a rischio della loro vita. Qui non ci sono dubbi possibili. Da una parte i ribelli buttarono bombe incendiarie sui musei, dall’altra il popolo ha messo al sicuro gli obiettivi di quelle bombe, le opere d’arte. A Salamanca Milan Astray grida ‘Morte all’intelligenza’. A Granada García Lorca è assassinato”; cfr. PABLO PICASSO, Dichiarazioni sulla guerra di Spagna 1937, in MARIO DE MICHELI (a cura di), Scritti di Picasso, Milano, Feltrinelli, 1964. È appena il caso di accennare qui alla larga eco che la guerra di Spagna ebbe nella comunità intellettuale internazionale, ed in particolare in quella artistica. Alle due opere più famose di Picasso, Sogno e menzogna di Franco, del 1936, e Guernica, del 1937, si affiancano quelle di Kokoschka, Masson, Alix, Wiemken, Sassu e altri, oltre naturalmente agli artisti spagnoli, prevalentemente di area surrealista, quali Mateos, Luna e Prieto. Gli elementi più significativi di questa produzione vennero presentati al pubblico internazionale nel padiglione spagnolo dell’Esposizione universale di Parigi del 1937 che, oltre a Guernica, ospitava La Montserrat di Julio Gonzáles, i pannelli di Joan Miró e la colonna monumentale di Alberto Sanchéz Pérez La strada del popolo spagnolo conduce a una stella. Anche la grafica repubblicana di propaganda si richiama sovente alle nuove correnti artistiche, differenziandosi profondamente in questo dalla corrispondente propaganda nazionalista; basti ricordare il coinvolgimento diretto di figure come Josep Renau e Pere Catalá Pic, che si ricollegano alla pratica del collage e del manifesto politico del dada berlinese, ma anche il manifesto El Rumor, pubblicato dalla Cnt, di chiara impronta surrealista, e quello di Miró Aidez l’Espagne, pubblicato nel 133 n. 45 della rivista parigina “Cahiers d’Art”, del 1937. Alla tradizione propagandistica del volume di Estelrich appartiene il più tardo LUDOVICO ZUCCOLI, La Repubblica di Spagna con riferimento alle cose d’Italia, Napoli, Stab. Tip. Raimondi, sd [1948], pubblicato con evidenti intenzioni antirepubblicane e soprattutto anticomuniste, “corredato da raccapriccianti fotografie sulle stragi e sulla distruzione di edifici religiosi”; cfr. NANDA TORCELLAN, Gli italiani in Spagna. Bibliografia della guerra civile spagnola, Milano, Angeli, 1988, p. 13. 11 A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit., p. 26. 12 G. C AMEN [G. PAJETTA], L’Altavoz del Frente parla ai “volontari” di Mussolini, in Garibaldini in Spagna, cit., pp. 266-268. Di segno totalmente diverso l’iniziativa dell’aviazione dell’esercito repubblicano che diffondeva nelle trincee nemiche volantini nei quali si prometteva salva la vita ai soldati che avessero disertato. A prova palese del mantenimento della promessa il testo era corredato da fotografie di prigionieri dei repubblicani in perfetta salute e da trascrizioni di loro dichiarazioni; cfr. Garibaldini in Spagna, cit., p. 312. Un altro esempio di manifesto propagandistico diffuso dal battaglione “Garibaldi” tra i soldati italiani a Guadalajara è pubblicato nelle pagine del Calendario del Garibaldino 1938, Unione popolare italiana, 14 marzo, e di Garibaldini in Spagna, cit., p. 286. Esso raffigura lo stivale fascista che opprime la Spagna sullo sfondo di una raccolta di messaggi propagandistici e si rifà direttamente ad un manifesto antinazista di identica impostazione, pubblicato nella rivista “Volks-Illustrierte”. Più rari sono i collage totalmente fotografici quali Madrid / 1936 / No Pasaran! o l’efficacissimo Kultur!, pubblicato dalla Sezione propaganda del Comitato nazionale della Cnt; cfr. ANN WILSON (a cura di), Images of Spanish Civil War, London, Sidney, George Allen & Unwin, 1986, p. 80 e ss. 13 L. S. [LAMBERTI SORRENTINO], Cacciatori d’immagini, in “Il Legionario”, a. II, n. 406, 27 agosto 1938, ora in P. CORTI - A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit., pp. 185-187. Sorrentino, di cui “Life” pubblica una immagine nel numero del 1 novembre 1937, è vicecapo dell’Usp per il settore radiofonico e redattore capo de “Il Legionario” fino all’agosto del 1937. Al suo ritorno in Italia pubblica Questa Spagna. Avventure di una coscienza, Roma, Edizioni Roma, 1939. Nello stesso anno entra a far parte, come inviato e fotografo, della redazione di “Tempo”, fondato da Alberto Mondadori, per il quale realizza la copertina del primo numero, un minatore di Carbonia, e successivamente numerosi servizi dal fronte. La riflessione di Sorrentino sulla nuova tipologia di lettore, che predilige le pubblicazioni ricche di illustrazioni fotografiche, risente evidentemente delle esperienze americane e soprattutto tedesche, ma il suo riferimento ad una specie di analfabetismo di ritorno che avrebbe caratterizzato il contemporaneo lettore di periodici, tipico delle grandi realtà urbane, risulta nettamente in contrasto con il livello medio di alfabetizzazione dei combattenti sui due fronti. Al problema dell’alfabetizzazione prestavano invece una grande attenzione i comandi delle brigate internazionali; cfr. infra, nota 28. 14 Per conoscere le vicende dei fotografi e della fotografia spagnola in questo periodo il riferimento fondamentale è P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., in particolare alle pp. 91-103. Si vedano inoltre: JOAN FONTCUBERTA - JERALD GREEN - ALBERT BARCELLS, Agustí Centelles (1909-1985) Fotoperiodista, Barcelona, Fundació Caixa de Catalunya, 1988, in cui si ricorda la collaborazione di Centelles alla pubblicazione repubblicana, edita nel 1937 in fascicoli, Visions de guerra i de Reraguarda. Història gràfica de la Revolució; ANTONIO GONZÁLES QUINTANA - ALBERTO M ARTÍN EXPÓSITO - JUAN ANTONIO PÉREZ MILLÁN, Kati Horna. Fotografías de la guerra civil española (19371938), Salamanca, Ministerio de Cultura, 1992. Le immagini spagnole di Capa sono pubblicate in Cornell Capa, Robert Capa. Images of War, New York, Grossman Publishers, 1964 (ed. italiana Milano, Mursia, 1965). Studi recenti di Carlos Serrano, citati in P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 103, n. 66, hanno rivelato però che molti dei reportage spagnoli firmati da Capa erano in realtà opera di David Seymour “Chim” e di Gerda Taro. Del manifesto di Catalá Pic vennero realizzate almeno due versioni, con e senza testo in catalano inserito, che presentano anche lievi differenze nelle fratture della svastica; cfr. PELAI PAGÈS, La guerra civil, Barcelona, Editorial Barcanova, 1993, p. 4, e P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 198. 15 JOSEP RENAU, Contestación a Ramón Gaya, cit. in P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 103, n. 65. 134 16 J. RENAU, Función social del cartel publicitario, cit. in P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 103, n. 62. 17 Cfr. P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 98 e pp. 210-211. Più interessante risulta dal punto di vista propagandistico l’opuscolo preparato dal Dipartimento per il turismo nazionalista nel 1938, redatto in inglese, che invitava ad un viaggio di nove giorni lungo la strada della guerra nel Nord, offrendo la possibilità di “osservare la storia nel suo farsi tra scenari spagnoli di incomparabile bellezza”, il tutto corredato da una doppia serie di immagini che contrappone vedute di luoghi e monumenti famosi a sistemi di difesa, città distrutte e visite al fronte di Franco; cfr. A. WILSON (a cura di), op. cit., pp. 138-139. 18 J. FONTCUBERTA, Agustí Centelles com a model, in J. FONTCUBERTA - J. GREEN - A. BARCELLS, op. cit., pp. 7-14. 19 Cfr. ibidem; P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., ma anche le immagini anonime riprodotte in IGNAZIO DELOGU - CESARE C OLOMBO (a cura di), 30 anni di Spagna, Roma, Anpi, 1969. Pur se strutturato in modo più dinamico, questo schema compositivo di monumentalizzazione della figura è lo stesso utilizzato da Capa per la foto del miliziano; schema che origina dalle ricerche delle avanguardie sovietiche, viene fatto proprio dall’iconografia del fascismo con il manifesto di Achille Bologna per la “Mostra della Rivoluzione Fascista” del 1932 e si ritrova ancora nella famosissima immagine di Max Alpert, Comunisti, avanti!, 1942 circa; cfr. VASILY CHUIKOV - VASILY RYABOV, The Great Patriotic War, Moscow, Planeta Publishers, 1985, p. 169. 20 Cfr. ROSALIND SARTORTI, Unione Sovietica, in JEAN-CLAUDE LEMAGNY - ANDRÉ ROUILLÉ (a cura di), Storia della fotografia, Firenze, Sansoni, 1988, pp. 127-135 (ed. orig. Histoire de la Photographie, Paris, Bordas, 1986). Esempi di questa produzione sono reperibili in moltissime pubblicazioni relative alla guerra di Spagna: si vedano ad esempio la fotografia anonima della Donna delle Milizie antifasciste, in I. DELOGU - C. COLOMBO (a cura di), op. cit., p. 98, un’immagine a figura intera ripresa in esterni che si staglia netta sullo sfondo perfettamente fuori fuoco, realizzata con tecnica da professionista che si ritrova anche nell’altra immagine anonima del Contadino in armi, idem, p. 103, che rimanda al Ritratto di contadino durante la guerra civile di Namuth-Reisner, 1937 (cfr. P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 92) ed all’immagine di Albero y Segovia pubblicata sulla copertina del numero del marzo 1937 della rivista sovietica “Smena”; cfr. E. P. AMENDOLA - F. DI CASTRO (a cura di), op. cit., p. 39. Sfuggono ai rischi della retorica le immagini dell’anarchica Kati Horna, nelle quali lo “stile documentario”, per riprendere la definizione di Walker Evans, si estende a tutto campo, senza le censure preventive legate alla collaborazione con gli organismi istituzionali o con i grandi periodici illustrati; tipica in questo senso la ripresa di un interno dell’Ospedale di Campagna a Grañen, del 1937, che mostra appese al muro sopra la branda immagini certamente “sconvenienti” e non ortodosse quali una grande fotografia di Marlene Dietrich, nudi femminili e copertine di riviste cinematografiche; cfr. A. GONZÁLES QUINTANA - A. MARTÍN EXPÓSITO - J. A. PÉREZ MILLÁN, op. cit., p. 27. 21 È sufficiente richiamare qui il confronto tra la facciata del primo numero de “II Garibaldino” del 1 maggio 1937, con tre piccole immagini inserite nella griglia delle colonne di testo, col numero di “Giustizia e Libertà” del 23 aprile dello stesso anno, in cui la pagina intitolata Tra i prigionieri italiani di Guadalajara è composta su due colonne di fotografie con didascalie a tutta pagina. Ancora maggiore l’impatto visivo della facciata de “Il Volontario della Libertà” del 25 novembre 1938, dedicato alla partenza delle brigate internazionali, in cui al di sotto del titolo il testo è sostituito da una fotografia a tutta pagina dei volontari in cui si inserisce in calce una foto di gruppo delle autorità repubblicane convenute alla cerimonia, mentre un estratto del discorso pronunciato da André Marty funge da didascalia; cfr. M. SCIOSCIOLI (a cura di), op. cit., sip. 22 P. CORTI - A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit. 23 N. TORCELLAN, op. cit., p. 7. 24 Il confronto tra la produzione dei volontari antifascisti in Spagna e quella partigiana durante la Resistenza potrebbe rivelarsi ricco di possibilità e di risultati e pare a mio avviso il solo pertinente, stante le finalità e le condizioni di produzione, per certi versi assimilabili nonostante le evidenti profonde differenze. Per una prima analisi della produzione fotografica in ambito resistenziale e per una discussione dei problemi posti dalla sua utilizzazione cfr. ADOLFO MIGNEMI, Fotografie, in Gli archivi e la memoria del presente, Roma, Ministero per i Beni culturali e ambientali, 1992, pp. 76-97, ID (a 135 cura di), Storia fotografica della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1995; SERGIO FANT, La fotografia della Resistenza bellunese, in “Protagonisti”, a. XIV, n. 53, ottobre-dicembre 1993, pp. 12-32. 25 La rarissima copia in possesso dell’Istituto (forse l’unica esistente) è stata messa a disposizione dell’Istituto alcuni anni fa dall’ex miliziano della brigata “Garibaldi” Joan Carreras, di Sant Pere Pescador (Gerona), grazie all’interessamento di Guido Rossi, già segretario del Cln provinciale vercellese, all’epoca direttore delle scuole italiane in Spagna (ndc). 26 Per una analisi di questa testata e delle strategie di propaganda interna della brigata “Garibaldi” si rimanda a P. CORTI, Dentro la guerra: “Il Garibaldino”, giornale di trincea della Brigata Garibaldi, in P. CORTI - A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit., pp. 67-96, ed all’antologia ordinata per temi alle pp. 194-251. 27 Notissima e sintomatica l’affermazione di Capa: “Se le tue fotografie non sono abbastanza buone, significa che non eri abbastanza vicino”, frase che condensa tutta la mitologia che circonda la figura del fotoreporter; cfr. LANFRANCO C OLOMBO (a cura di), The concerned photographer, in “Popular Photography Italiana”, n. 144, ottobre 1969, p. 19. Per la fotografia di guerra nel XIX secolo cfr. PIERANGELO CAVANNA, Fogli d’album, in PEPPINO ORTOLEVA - CHIARA OTTAVIANO (a cura di), Guerra e mass media nel Novecento. Strumenti e modi della comunicazione in contesto bellico, Napoli, Liguori, 1994, pp. 21-48. Che i comandi delle brigate internazionali potessero ricorrere anche a fotografie realizzate da professionisti è evidente da numerose immagini, si vedano ad esempio quelle relative al discorso tenuto dal ministro Hernandez e dal generale Miaja ai prigionieri italiani dopo la battaglia di Guadalajara, pubblicate anche nel Calendario (21 marzo), ma certo la possibilità di studiare i documenti fotografici alla fonte consentirebbe ulteriori verifiche. La sola analisi del materiale pubblicato non consente ad esempio di stabilire il formato del negativo di partenza e quindi dell’apparecchio fotografico utilizzato in ripresa. L’eventuale notevole incidenza di immagini realizzate nel nuovo formato di pellicola 35 mm potrebbe essere considerata quale elemento certo del professionismo degli operatori, perfettamente aggiornati ed attrezzati e quindi solo impropriamente definibili come dilettanti dedicati ad una produzione occasionale. Il problema dei formati è poi strettamente connesso a quello delle possibilità di approvvigionamento; mentre i nazionalisti venivano riforniti di materiale fotografico dagli alleati tedeschi, sul fronte repubblicano macchine fotografiche, pellicole e carte iniziarono a scarseggiare già pochi mesi dopo l’inizio del conflitto. Soprattutto la carenza di pellicole costrinse molti fotografi a ricorrere nuovamente alle vecchie macchine a lastre e ciò ebbe probabilmente una certa influenza sul modo stesso di fotografare; cfr. P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 93. 28 P. CORTI, op. cit., p. 91. 29 Cfr. Garibaldini in Spagna, cit., p. 153 e p. 166; A. GONZÁLES QUINTANA - A. MARTÍN EXPÓSITO - J. A. PÉREZ MILLÁN, op. cit., p. 38 e p. 121, n. 28; A. WILSON (a cura di), op. cit., p. 134. 30 P. CORTI, op. cit., p. 92. 136 Copertina del “Calendario del garibaldino” In viaggio verso il fronte di Huesca Trombettiere delle brigate internazionali ... e i militi si misero a scavare trincee 137 Tutto e tutti per fortificare Madrid: fu la parola d’ordine del novembre 1936 I primi garibaldini pronti per la sfilata 138 La batteria “Antonio Gramsci” si è fatta onore su tutti i fronti di Spagna La batteria anti-tank dei garibaldini 139 Una mitragliatrice antiaerea della brigata “Garibaldi” I volontari passano i reticolati. Comincia la grande offensiva del Guadarrama 140 Cacciatori di tanks pronti al lancio di dinamite Mitragliere all’agguato 141 Sono passati gli aeroplani fascisti Aeroplano abbattuto nei pressi di Morata de Tajuña 142 Prigionieri fascisti di Quinto e Belchite La strada da Madrid a Saragozza dopo la sconfitta fascista di Guadalajara 143 I garibaldini ammirano il bottino preso al nemico a Guadalajara La brigata “Garibaldi” a riposo in Aragona 144 Un momento di calma in trincea Un breve alt durante la marcia 145 Momenti di riposo utilizzati per esercizi contro i gas Non più analfabeti nella brigata “Garibaldi” 146 Posto di comando presso Villanueva del Pardillo Un angolo della cucina della brigata “Garibaldi” 147 La zuppa Tony e la sua fisarmonica 148 La pulizia delle stoviglie I garibaldini sanno scherzare Quattro garibaldini La lettura in trincea Lo studio della carta topografica Garibaldino barbitonsore in trincea 149 Fatti radere Coro di garibaldini 150 Squadra calcistica garibaldina Fraternizzazione fra bimbi spagnoli e feriti Pionieri spagnoli organizzati dai garibaldini La brigata distribuisce giocattoli ai bimbi 151 Il giornale murale di un battaglione Evacuazione di bimbi dalla zona di guerra 152 Appendice 153 La guerra di Spagna: ricordi e riflessioni* di Anello Poma Questa testimonianza, sull’esperienza vissuta in Spagna durante la partecipazione a quella sanguinosa guerra civile, aggiungerà poco a quanto già si conosce, ma ha forse la particolarità di riportare alle mutevoli condizioni ambientali di quegli anni e a quelle che sono state le duplici reazioni che si ebbero in Italia all’esplodere di quella tragedia, ai commenti influenzati dalla propaganda del regime fascista. Conservo ricordi nitidi di quei giorni così lontani, che coincisero con le mie prime esperienze di impegno politico-ideale. I commenti che riuscivo a captare nella fabbrica e fuori erano di vario genere e divergenti dall’uno all’altro ambiente, ma una sottolineatura si impose subito: ora più, ora meno, essi presentavano differenziazioni di fondo, assai marcate, rispetto a quelli che si erano manifestati un anno prima, nel corso, cioè, della guerra di Abissinia. In fabbrica, la maggior parte dei commenti era improntata ad una chiara simpatia per i repubblicani, ovvero alla parte che si opponeva al colpo di stato dei generali e c’era la speranza di una vittoria delle forze strette attorno al governo di Fronte popolare. Il clima di fabbrica era opprimente o, per meglio dire, rigido, per quanto atteneva all’impegno nel lavoro e all’osservanza dei regolamenti di disciplina; assoluto era il divieto di ogni protesta che intaccasse anche solo minimamente il potere del padrone, considerato indiscusso. Fuori di lì, per quanto ne ricavai dalla mia esperienza personale, le proteste erano piuttosto blande, vigeva una certa indifferenza. Laddove c’era, la stessa presenza di colui che aveva la qualifica politico-sindacale di fiduciario di fabbrica, designato dal sindacato fascista, non era molesta, non già perché qualcuno non lo fosse o non lo volesse essere, ma perché non aveva nessun potere riconosciuto dal proprietario dell’azienda. Semmai, era tenuto a non pretendere alcunché dal lavoratore che potesse infastidirlo o distoglierlo dal suo impegno di lavoro. Nella fabbrica, e più generalmente nei luoghi di lavoro, comandava chi ne era padrone, o qualcuno designato da questo. Personalmente ebbi a scontrarmi con il potere padronale ed a subirne i drastici provvedimenti disciplinari, il più grave dei quali, oltre al licenziamento in tronco, fu la denuncia ai carabinieri. Per fortuna non alle autorità di Pubblica sicurezza o, peggio, a quelle fasciste (altrimenti l’accusa sarebbe entrata nella sfera dei reati politici) e ciò non è senza significato. Subii infatti il provvedimento e la denuncia perché osai, in tempi in cui erano stati cancellati tutti i diritti dei lavoratori, ribellarmi e, soprattutto, reclamare per me e i miei compagni di lavoro, l’applicazione di quella che era una “larva” di contratto di lavoro; nel concreto, il pagamento a tariffa maggiorata delle ore straordinarie, la cui osservanza, nella pratica, era lasciata alla completa discrezione dell’imprenditore. Devo dire, però, che non mi fu mai rimproverato, nemmeno in quella circostanza, il fatto che la pensassi in modo 154 contrario al regime fascista e lo esprimessi abbastanza apertamente con gli altri operai. Quella fu veramente una grossa fortuna perché il fatto avvenne all’inizio dell’estate del 1937, cioè poche settimane prima del mio espatrio in Francia. Un’accusa per antifascismo lo avrebbe certo reso impossibile. Vale ancora la pena di ricordare, per rendere più chiaro un discorso che potrebbe apparire contraddittorio, che nessuno dei militanti antifascisti che tornarono dal carcere in quegli anni, in maggioranza comunisti dichiarati, incontrò serie difficoltà ad accedere ad un posto di lavoro. In questi casi, l’elemento determinante era la loro qualifica professionale, per il resto, poté toccar loro di ricevere il classico e abusato ammonimento: “In questa fabbrica si viene per lavorare”, frase lapidaria che comprendeva tutto. In questo clima, che definirei tollerante, persino le autorità di Pubblica sicurezza ostentavano un atteggiamento bonario. Ricordo che questo mi fu ancora più chiaro seguendo la vicenda di Domenico Bricarello, che incontrai alla fine del 1934. Veniva dal penitenziario di Civitavecchia, dove aveva scontato sei anni e mezzo di reclusione, e da dove era stato scarcerato per indulto. La pena inflittagli dal Tribunale speciale nel 1928 era stata, infatti, di dodici anni e nove mesi: una delle condanne più pesanti, a cui, come se non bastasse, si erano aggiunti tre anni di vigilanza speciale. In conseguenza di quest’ultimo provvedimento, era tenuto non solo a ritirarsi in casa al calar della sera, ma anche a recarsi periodicamente al Commissariato di Ps per apporre una firma che attestasse la sua presenza in città. Più di una volta il funzionario si lasciò andare a commenti scherzosi tipo: “Allora Bricarello, quando la facciamo questa rivoluzione”, a cui l’interpellato rispondeva: “Presto, signor commissario”. Si sentivano forti e saldamente attestati al potere i funzionari del regime e persino in vena di scherzare. Sarebbe stata proprio la guerra civile spagnola a rivelare le prime crepe di quell’edificio, nel quale essi allora credevano. Raccolsi le prime reazioni e i primi commenti sulla guerra di Spagna all’esterno del luogo di lavoro, frequentando un albergo-ristorante, nonché luogo di ritrovo della città, da lungo tempo scomparso. Si chiamava “Gallo antico” ed era situato nell’area adiacente la chiesa di San Cassiano. Vi si trovavano numerosi giochi delle bocce, dove si davano appuntamento i più provetti giocatori nonché moltissimi altri che non praticavano il gioco, ma si divertivano ad assistervi. Si potevano trovare persone di ogni ceto sociale: il lavoratore appena uscito dalla fabbrica, in certe ore anche il bottegaio o l’artigiano, l’impiegato e, non di rado, il professionista. Era un ambiente molto vario e anche alcuni antifascisti a me noti ne erano assidui frequentatori e lo utilizzavano come luogo di incontro. Ricordo, ad esempio, uno scambio furtivo e inavvertibile a chi non l’avesse saputo di stampa clandestina a cui mi capitò di assistere. Alla discussione sul procedere delle partite in corso, si mescolavano o facevano capolino riferimenti agli avvenimenti politici. Fin dalla vittoria dei fronti popolari, in Spagna ma soprattutto in Francia, si poteva avvertire un maggior interesse e partecipazione al discorso politico, cosa che non succedeva durante la guerra d’Africa. La Spagna, e il carattere di quello scontro, rivelatosi subito sanguinoso, accesero una grande curiosità ed ebbero il potere di monopolizzare le discussioni. Le opinioni di quanti tradivano simpatia per gli antifascisti spagnoli erano meno esplicite, sommesse e a mezze frasi; a voce alta venivano invece espresse quelle di coloro che pronosticavano, e si auguravano, il sopravvento dei militari, anche quan155 do non era ancora ben chiara la loro collocazione politica e ideologica. Tanto più venne ostentata e dichiarata la simpatia per i generali quando si ebbe conferma che erano fascisti e quando si seppe della partecipazione di forze armate italiane, che non tardò molto. Emergeva con chiarezza la presa efficace fin dall’inizio, della martellante propaganda degli organi d’informazione. “I comunisti perderanno in Spagna”, dicevano quanti ne erano influenzati. Si trattava, per lo più, di persone del ceto medio, piccolo borghese e la loro opinione, che esemplificava in modo eccessivamente drastico e schematico la qualifica delle parti in lotta, era per larga parte la conseguenza della loro scarsa informazione ricavata unicamente dagli organi d’informazione, specialmente dai giornali ufficiali. Doveva però essere soltanto una realtà apparente, o quanto meno non generalizzata, perché le autorità cominciarono ben presto a preoccuparsi dell’eco che gli avvenimenti di Spagna generavano negli ambienti operai, ansiosi, invece, di conoscere più da vicino i fatti, e di attingere informazioni meno contraffatte sulla realtà. Ciò è comprensibile se si tiene presente che molti di quei lavoratori avevano un passato di lotte sociali rilevanti e un presente di opposizione, anche aperta, al regime, come testimoniava il numero ragguardevole di militanti antifascisti, in maggioranza provenienti dal ceto operaio, condannati dal Tribunale speciale fascista o dalle commissioni per il confino. Gli stessi discorsi tenuti in quei mesi in particolari ricorrenze o occasioni dai gerarchi fascisti tradivano questa crescente preoccupazione. Si udirono infatti frasi, volutamente minacciose, di questo tenore: “È ora di rispolverare il manganello”. Proprio perché velleitarie nascondevano timori fondati. Le autorità, infatti, avvertivano un risveglio crescente dell’interesse politico: troppi ardivano parlare del Fronte popolare e poi, anche della Spagna; alcuni cominciarono a riunirsi per discuterne. A partire dalla fine del 1936 riprese a circolare più largamente, sempre in senso relativo, s’intende, la stampa clandestina. Passava più frequentemente tra le mie mani “l’Unità”, in piccolo formato e in carta finissima, ma anche “Il grido del popolo” e, subito dopo, “La voce degli italiani”, che lo sostituì. Non rammento se circolassero in città altri giornali stampati dai vari movimenti antifascisti; conobbi l’“Avanti!”, organo del Partito socialista, più tardi, in Francia. Si andò anche oltre a questo: a partire dai primi mesi del 1937 seppi, non ricordo come, della possibilità di captare l’emittente “Radio Barcellona”, dalla quale si potevano ascoltare i notiziari in lingua italiana. In quegli anni, però, erano in pochi a possedere un apparecchio radio, perché per tanti di noi era ancora un genere di lusso: si usavano allora degli stratagemmi. Persino i locali pubblici gestiti da persone fidate, e che a loro volta si fidavano degli avventori che li frequentavano, erano utilizzati a quello scopo. Nel popoloso rione Riva, dove ero nato e cresciuto, il bar Italia era fra questi e fu lì che ascoltai le prime trasmissioni. Andavano in onda a tarda sera e coincidevano con l’orario di chiusura dell’esercizio. Organizzava la ricezione, con tutte le precauzioni del caso, Giuseppe Zaldera, mio coetaneo ed amico, anche lui cresciuto in quel popolare rione. Ricordo che anche lui seguiva con la mia stessa trepidazione gli avvenimenti della Spagna e insieme gioivamo e soffrivamo per le vicende di quella battaglia che per noi era una battaglia di civiltà e a cui, comunque, attribuivamo, più per istinto che per convinzione ragionata, grande importanza per il nostro stesso domani. 156 Credo ci fossero altri in città a vivere attraverso quell’emittente il dramma di quel paese e di quel popolo. Seppi che anche nei paesi del circondario, specialmente nelle numerosissime frazioni disseminate nel Biellese, al riparo di un’omertà impenetrabile, quella trasmissione fu ampiamente ascoltata ed i fascisti, pur sapendolo, furono nell’impossibilità di reprimere. Se si ripensa alla situazione di due anni prima, quando il regime aveva saputo montare la folle avventura della guerra in Abissinia e al grandissimo consenso che aveva raccolto, si deve concluderne che i tempi erano molto cambiati e con una rapidità straordinaria. In quel nuovo clima, maturarono in me l’idea e poi la decisione di espatriare. La costituzione delle brigate internazionali in Spagna, l’eco delle loro imprese che ci giungeva da “Radio Barcellona”, specialmente dopo le notizie della battaglia di Guadalajara, esercitarono un grande richiamo. Quando giunsi in Spagna capii che eravamo stati in molti a sentirlo, perciò è discutibile la tesi, sostenuta anche in opere scritte, di coloro che affermano essere stato praticamente impossibile raggiungere la Spagna repubblicana a quanti risiedevano in Italia. Non furono in molti, questo è vero, ma oltre duecento tra i cinquemila italiani che combatterono nella XII brigata internazionale “Garibaldi” e in altre unità dell’esercito popolare spagnolo, provenivano direttamente dall’Italia. Il rischio, in fondo, era lo stesso di ogni espatrio clandestino. Personalmente provai in diversi modi. Un mio conoscente, che aveva parenti nei dintorni del lago di Como ed asseriva di poter contattare dei contrabbandieri per il mio espatrio, mi tenne per qualche tempo aggrappato a questa speranza, ma alla fine dovetti abbandonarla. Più seria e realistica fu una seconda via prospettatami da Bricarello, quel vecchio “galeotto”, benché poco più che trentenne, che tanta parte ebbe nella mia formazione di militante fino al mio espatrio dall’Italia. Egli si trovava sempre nel mirino della polizia perché faceva parte degli indiziati pericolosi ed era sempre soggetto a sorveglianza. Nella primavera del 1937 ci fu a Biella la visita di un grosso gerarca fascista, forse Starace, non ricordo. In tali occasioni, la polizia locale veniva mobilitata e il primo atto era l’arresto e l’incarceramento degli antifascisti più noti e giudicati più pericolosi. Parecchi furono dunque rinchiusi nelle carceri del Piazzo per otto o dieci giorni, anche se la visita del gerarca non durò più di due giorni. Mentre erano in cella, alcuni di loro progettarono di espatriare in Francia o in Svizzera, per raggiungere poi la Spagna. Poiché desideravo far parte di coloro che volevano realizzare il progetto, mi recai, su indicazione di Bricarello, a Pralungo Sant’Eurosia per parlare con Rodolfo Benna. Vi trovai invece la moglie, la quale probabilmente era al corrente della cosa e con ogni probabilità cercava di dissuadere il marito. Mi accolse, perciò, se non proprio con ostilità, con una certa freddezza. Non avversava, tutt’altro, le opinioni politiche del marito, già reduce dalle “patrie galere” per le sue convinzioni e il suo impegno, ma aveva due figlie e credo non se la sentisse di rimanere sola a sobbarcarsi quel peso e quella responsabilità. Non le si poteva dar torto, e anche questa possibilità cadde. Andò male, ma soltanto per me, l’opportunità sfruttata con successo da Eraldo Venezia e Gaspare Fracasso nel mese di luglio, forse per un malinteso, o per un eccesso di prudenza. Con loro, soprattutto con Eraldo, strinsi poi una affettuosa amicizia che fu interrotta solo dalla sua prematura morte, sul fronte di Estremadura, nel febbraio del 1938. Perseguii comunque con tenacia il mio progetto e finii per trovare la strada giusta, che era poi la più semplice e alla portata di tutti. Si rivelò tanto facile 157 da sembrare inverosimile nel regime fortemente restrittivo del tempo, per questo penso non sia stata sfruttata adeguatamente. Nel 1937, a Parigi, si tenne la Esposizione universale e le agenzie di viaggio italiane, in collaborazione con le ferrovie dello Stato, organizzarono treni popolari, a prezzi modesti, per agevolare coloro che la volevano visitare. Si viaggiava con passaporto collettivo e il controllo non fu severo, potrebbe sembrare una stranezza poco credibile ma fu così. Mi prenotai per quel viaggio e ai primi di agosto ero a Parigi. L’impatto con la realtà francese fu subito sconvolgente per una natura entusiasta, e diciamo pure un po’ sognante, come era la mia. Già durante il viaggio, poco dopo il passaggio della frontiera, c’imbattemmo in una unità dell’esercito francese in esercitazione, credo si trattasse di un reparto di chasseurs des Alpes, o comunque truppe alpine, ed i soldati salutarono il treno in arrivo dall’Italia con il pugno chiuso, che era il saluto del Fronte popolare. Ero partito con Pio Borsano, mio coetaneo e compagno di viaggio e, tutto sommato, di avventura, perché alla nostra età un’impresa come quella che avevamo cominciato aveva anche dell’avventuroso. Ci guardammo esterrefatti, comprendendo il carattere politico e polemico di quell’accoglienza, e Pio, che era una natura spontanea, esplose in una delle sue caratteristiche rumorose risate. Gli fece eco uno dei viaggiatori che proveniva da Roma, da dove il treno aveva iniziato il suo lungo viaggio, e che, se ben ricordo, doveva essere un impiegato statale. In primo luogo si espresse con un gesto piuttosto tipico, consistente in un certo movimento del braccio, poi esclamò: “Ci penserà Mussolini a sistemarli”. La cosa non ebbe seguito, noi eravamo troppo occupati a ripensare a quell’accoglienza, fatto nuovo e del tutto insolito, gli altri viaggiatori non ritennero di fiatare. Giunti a Parigi, cercammo subito di prendere contatto con le organizzazioni o gli ambienti antifascisti dell’emigrazione italiana, non prima però di aver camminato per diverse ore lungo le vie della città e conoscerne alcuni punti più rinomati. Per parte mia sperimentai l’uso di quel poco francese che avevo imparato, certo non a scuola perché avevo dovuto fermarmi alle elementari e darmi subito da fare per trovare un lavoro. Ad un certo punto, la nostra attenzione venne catturata da un gruppo di giovani che guardammo ammirati. Negli angoli delle vie erano intenti a vendere il quotidiano comunista l’“Humanité” e il settimanale della gioventù che, se ben ricordo, era intitolato “Regard”. Non solo vendevano i giornali, ma intavolavano discussioni con i passanti che vi erano interessati. Non cercai di mescolarmi a quella discussione, che del resto non avrei potuto pretendere di capire bene, ma tentai di scambiare qualche parola chiedendo informazioni. Ebbi poca fortuna, purtroppo, perché m’impappinavo, provocando la rumorosa risata del mio compagno, il che aveva il potere di accrescere ancor più il mio imbarazzo. Bricarello ci aveva fornito alcuni recapiti ed avemmo fortuna. In una libreria, intitolata “Les bureaux d’éditions sociales”, trovammo la persona giusta. Ricordo poco di lui ma quanto basta per provare commozione ripensando a quell’incontro. Era certamente un emigrato politico di età media, l’aspetto da persona dedita agli studi, perciò credo svolgesse il lavoro di libraio. Conosceva bene Bricarello e anche altri biellesi; saputo delle nostre intenzioni ci indirizzò alla redazione della “Voce degli italiani”, che seppi poi essere portavoce dell’Unione popolare italiana. 158 Ripetemmo la nostra storia, che non aveva nulla di complicato, e perciò non dovemmo faticare per essere creduti, dal momento che ci indirizzarono in una pensioncina popolare alla periferia della città, ridandoci appuntamento per discutere della nostra situazione e decidere cosa fare. Infatti non ci furono problemi e la nostra permanenza a Parigi fu di breve durata. Dopo meno d’una settimana eravamo in viaggio con altri verso il “Midi” della Francia, per fare tappa a Carcassonne. Ancora una sosta di qualche giorno, senza neanche il tempo di approfondire le nuove conoscenze e riprendemmo il viaggio, prima in camion poi a piedi, per attraversare i Pirenei e raggiungere la cittadina di Figueras: ero in Spagna. Percorsi in treno la Catalogna e la stupenda regione del Levante, terra dei legumi e degli agrumi, fino a Valencia, quindi deviai verso l’interno e, senza conoscere soste, giunsi ad Albacete, sede e base delle brigate internazionali. Albacete e la regione della Mancia erano ben altra cosa come paesaggio rispetto a quello che avevo visto di quella terra fino a quel momento, e questo valeva anche per il povero paesino di Quintanar de la Reina1, che da pochi anni, cioè dalla caduta della monarchia nel 1931, era stato ribattezzato Quintanar de la República. Avrei rivisto il Levante l’anno seguente, quando sostai all’ospedale di Murcia e al convalescenziario di Horiguela2 per guarire da una ferita rimediata a Campillo, sul fronte dell’Estremadura. La vera Spagna era però quella di Albacete: lo imparai dopo. Allora dovevo solo trascorrere il periodo, nemmeno lungo, di istruzione militare che, a parte alcune difficoltà iniziali per abituarmi all’alimentazione, non trovai eccessivamente noioso. Intanto cercai di “guardarmi attorno”. Affermare che capii tutto e subito sarebbe infantile, mentre è vero che ci fosse curiosità e persino ansia di comprendere. Faticai, naturalmente, a penetrare nella situazione del paese e le prime cose comprensibili furono le conseguenze dolorose di quella guerra che già contava centinaia di migliaia di morti. Eppure, nonostante questo, ebbi la sensazione, divenuta presto certezza, che quello fosse un popolo deciso a vincere e che ancora coltivasse questa speranza; forse perché si giocava tutto: la sua condizione di popolo libero e qualcos’altro ancora. Più convincente fu la sensazione che ricavai dai primi veri contatti umani che, superando l’ostacolo della lingua, stabilii con i giovani della classe 1917, chiamati alle armi. Li incontrai quando raggiunsi la brigata “Garibaldi”, dove venni incorporato in quanto italiano, e che, se ben ricordo, era acquartierata nelle vicinanze della città di Lérida, nell’impervia regione dell’Aragona. Stavamo per essere impiegati in una operazione offensiva sul fronte di Saragozza, quando affluirono, appunto, le reclute spagnole. Erano giovani mobilitati al servizio militare obbligatorio che la Repubblica aveva istituito da poco, non più, quindi, i combattenti volontari politicizzati delle prime milizie, sebbene anch’essi permeati dalla tensione ideale che animava lo sforzo bellico di quel popolo. Devo tuttavia aggiungere che la politicizzazione di quella guerra era grande ed estesa anche nella parte franchista e lo era persino con il marchio della crociata religiosa, come constatai fin dal primo contatto in guerra, e che mi fu confermata nel corso della battaglia dell’Ebro. Con quei giovani spagnoli salii al fronte ed ebbi l’impatto con la guerra. Fui impressionato da qualcosa nel loro comportamento che per me aveva dell’incredibile e che poteva spiegarsi solo con l’ignoranza che essi avevano della guerra. Ci trovavamo impegnati davanti a Saragozza, in uno dei tanti e vani assalti alla capitale dell’Aragona, che si rivelò sempre un obiettivo imprendibile. Non fu un combattimento parti159 colarmente cruento e le perdite furono limitate, tuttavia fu sconcertante la paura iniziale di quei giovani. Pensai che forse io, che avevo tanto sentito parlare della guerra 1914-1918 negli anni dell’infanzia, a scuola e fuori, da coloro che l’avevano fatta, mi ero in una certa misura familiarizzato con taluni dei suoi aspetti, come il bombardamento dell’artiglieria. Ciò influì certamente sul mio contegno, che determinò però un giudizio esageratamente positivo di quei giovani nei miei confronti. Lo manifestarono appunto dopo quel primo combattimento di Fuentes de Ebro con una sconfinata quanto gratuita ammirazione verso uno che, al pari di loro, era alle sue prime esperienze di guerra e non faceva niente di più che padroneggiare come poteva il senso di paura che sentiva intensamente e persino dolorosamente. “¿Tú no tienes miedo?”3, mi dicevano ammirati per il solo fatto che a me riuscivano comprensibili certi effetti della guerra che a loro invece sfuggivano e che al loro primo manifestarsi li atterriva. Non valse, in quel momento, spiegar loro che era vero il contrario. Si stabilì però un legame di affettuosa amicizia, di confidenza profonda. Ne parlo con commozione perché mi legai moltissimo a quei giovani, che raggiunsero con me la brigata nel settembre 1937 e che provenivano in maggioranza dalla provincia di Jaén in Andalusia. Più tardi avrei conosciuto e stretto rapporti amichevoli anche con giovani catalani, provenienti cioè da una regione più affine all’Italia del Nord, ma ciò che provai in affetto e amicizia con e per quei giovani andalusi non ebbe eguali. Fu comunque grazie a quei legami e a quelle conoscenze che imparai a guardare più addentro alle cose di quel paese e a formarmi un giudizio più completo e maturo, comprendendo certi fenomeni e certe contraddizioni. Capii, ad esempio, che il consenso di cui godeva la Repubblica era vasto ma non generalizzato. I franchisti e le forze della destra reazionaria che avevano promosso la ribellione dei generali avevano i loro seguaci infiltrati nella Spagna repubblicana. Franco battezzò quei suoi sostenitori “Quinta colonna”. Resta pur vero, tuttavia, che senza un largo consenso di massa la resistenza delle forze schieratesi con il governo di Fronte popolare non sarebbe durata quasi tre anni. Naturalmente l’appoggio e la partecipazione popolare rivelarono anche incrinature e momenti di crisi, specialmente quando si verificarono gravi rovesci sul piano militare. Di una in particolare vorrei parlare, non solo perché la vissi in tutta la sua drammaticità, ma perché resta un fenomeno quasi stupefacente il fatto che le manifestazioni di cedimento non abbiano avuto le conseguenze disastrose che il mondo esterno alla Spagna, e in particolare gli ambienti dirigenti degli stessi governi democratici europei, si attendevano. Fu quanto accadde nel marzo del 1938 con l’offensiva franchista in Aragona, che portò le truppe dei generali fascisti, comprese logicamente le divisioni italiane fasciste e le forze tedesche, a infrangere ogni resistenza repubblicana, a occupare la regione e, attraverso la Catalogna, a raggiungere il mare alla foce del fiume Ebro. La Spagna repubblicana si trovò così ad essere spaccata in due corpi separati, e si verificarono nelle nostre file fenomeni di disgregazione. Penetrò, cioè, la convinzione che la guerra fosse perduta e diversi si lasciarono prendere dal panico e vincere dallo sconforto, raggiungendo la Francia e consegnandosi alla polizia di confine di quel paese. Credo che quel fenomeno coinvolse soprattutto gli antifascisti che erano giunti da altri paesi. Non mi avventuro naturalmente in giudizi che coinvolgono le forze politiche e le sfere del governo, e mi limito a ciò che riguarda le brigate internazionali, che 160 del resto non erano poca cosa. La stragrande maggioranza dei volontari restarono al loro posto di lotta, posto che essi stessi avevano scelto. Considerammo infatti quella defezione un fatto passeggero, conseguenza della stanchezza e, diciamo pure, della delusione. Siccome si era volontari trovammo quasi logico e naturale che alcuni, in quella condizione, abbandonassero la lotta. Altri due dati, piuttosto, furono sorprendenti. L’afflusso dei volontari internazionali non si interruppe e altri ne giunsero; la testimonianza fisica della solidarietà morale e materiale delle forze democratiche e popolari si mantenne quindi integra, al di là del peso che tale presenza ebbe sul piano militare, cioè mai determinante. Fu invece importante per la parte repubblicana, sebbene in misura ben minore di quanto non lo sia stato per quella franchista, il flusso degli armamenti. Ciò che più mi impressionò e mi emozionò fu la crescita della determinazione degli spagnoli di battersi fino in fondo, e non solo per orgoglio, in battaglie di retroguardia. Ormai avevo imparato a conoscerli bene: dal nulla si erano fatti soldati ed erano diventati fior di combattenti. Solo così fu possibile costruire l’esercito dell’Ebro, che fuori dalla Spagna venne considerato un miracolo e stupì il mondo, perché si mostrò capace di compiere l’operazione più importante e più lunga di quella guerra, per quanto la più sanguinosa. Non mi dilungherò sui combattimenti ai quali presi parte. Ho voluto ricordare soprattutto i comportamenti umani ed è proprio in quest’ottica che intendo parlare dei fatti legati alla battaglia dell’Ebro, a come la vissi. Padrone ormai della lingua fino a pensare in castigliano, partecipai con entusiasmo alla preparazione di quello scontro, perché proprio in ragione dei legami che avevo stretto mi sentivo parte di quel popolo, della sua storia, che studiavo con passione, dei suoi costumi, che assimilavo. D’altra parte, sentivo, al pari degli altri volontari, con grande tensione che la prossima battaglia avrebbe avuto un carattere decisivo, che sarebbe stata una svolta, anche perché eravamo partecipi della storia dell’Europa e sentivamo dunque che la guerra di Spagna avrebbe avuto un grande significato per tutto il continente. Infatti lo ebbe, anche se negativo e molto diverso da come avevamo sperato, perché a Monaco, la Gran Bretagna e la Francia, che già aveva proclamato la mobilitazione generale, cedettero ai ricatti di Hitler, consegnandogli praticamente la Cecoslovacchia. In nessun altro fatto d’armi, in tutta quella guerra che durò quasi tre anni, vi fu un così grande dispiegamento di uomini e mezzi come nella battaglia dell’Ebro. La disponibilità di questi ultimi ne decise l’esito. Al suo inizio, il 24 luglio, l’esercito repubblicano poteva contare su un dispositivo efficiente. Dopo la sconfitta subita dalla Repubblica in Aragona, le nazioni europee, e particolarmente la Francia, convinte che la partita fosse decisa, avevano infatti allentato il rigido blocco delle frontiere, decretato in ossequio al famigerato “patto di non intervento”, sottoscritto da tutti i paesi ma mai rispettato da quelli fascisti. La Francia, dunque, lasciò affluire ingenti quantitativi d’armi, in particolare cannoni e aerei che la Spagna produceva in minima misura e doveva quindi importare. Al momento dell’offensiva repubblicana culminata col passaggio dell’Ebro, i paesi europei reagirono palesando umori anche maggiori degli stessi governi fascisti. Il blocco alle frontiere con la Francia torna ad essere rigido come non mai, e poiché i mari erano sorvegliati dalla marina dei paesi fascisti la sproporzione dell’armamento divenne abissale, diventando il fattore determinante delle sorti della guerra. 161 La “Garibaldi” fece interamente la sua parte, pur partecipando solamente alla fase difensiva, la più cruenta e ossessiva di quella battaglia. Capimmo, ma solo quando si rivelò in tutta la sua tragica realtà, che sarebbe stata l’ultima, al di là della nostra sopravvivenza. Era impressionante lo scenario delle colline nei pressi di Gandesa (il settore allora difeso dalle brigate internazionali si trovava in una zona denominata Sierra Caballs4); ancora più impressionante e sconvolgente il rombo dell’artiglieria e dell’aviazione franchista, assolutamente padrone del campo. L’artiglieria iniziava di buon mattino il suo martellamento e non cessava che alla sera, quando le truppe franchiste venivano scagliate contro le nostre postazioni. Per quanto provati dai vuoti paurosi provocati nelle nostre file dai bombardamenti e colmati con sempre maggiori difficoltà, la nostra reazione era rabbiosa, quasi fossimo sorretti da una sorta di determinazione fatalistica. Pareva impossibile tenere la posizione dopo giornate di bombardamenti così micidiali, ciononostante riuscimmo più volte a ricacciare gli assalitori con le armi individuali o a colpi di bombe a mano, provocando anche tra loro perdite gravissime. Ricordo le notizie forniteci da alcuni soldati franchisti passati nelle nostre file. Alla domanda se lamentavano forti perdite, risposero con l’ironia scanzonata che è tipica e spontanea degli spagnoli: “Hombre, es la única cosa que no falta”5. È noto, del resto, che la battaglia dell’Ebro, durata oltre due mesi di ininterrotti attacchi e contrattacchi, costò oltre centocinquantamila caduti in combattimento. La frase dell’ex combattente nelle file franchiste mi induce ad una notazione riflessiva. Le diserzioni fra i franchisti furono purtroppo limitate, anche perché Franco era spietato con le famiglie dei disertori, tuttavia considero lo scarso risultato ottenuto in questo senso una delle maggiori debolezze palesate dall’azione politica e propagandistica dei repubblicani e una tra le cause, seppure secondarie, che facilitarono la vittoria franchista. Mi sorregge in questa convinzione il fatto che potei, proprio in quei giorni e in quegli scontri sanguinosi, misurare la capacità combattiva delle truppe fasciste. È vero, come ho detto prima, che il loro assalto era preceduto dal bombardamento incessante delle nostre postazioni, mentre essi non ne erano praticamente più soggetti, ed è altrettanto vero, come credo capiti ad ogni esercito, che le truppe franchiste venissero all’attacco furiose per le perdite subite ed ebbre da abbondanti libagioni di anice. Lo sentivamo il giorno che precedeva l’azione, quando giungevano a noi le grida sprezzanti ed ammonitrici che dicevano testualmente: “Rojo, prepara las alpargatas que mañana vas a corer”6 e subito dopo la richiesta di “un otra copa de anís”7. Le frasi citate, che ricordo esattamente e non solo approssimativamente, avevano su di noi un effetto agghiacciante giacché si sapeva che se non a noi, sicuramente la sorte preannunciata sarebbe toccata a qualche reparto. Proprio in quelle occasioni, dicevo, potei registrare la caparbia determinazione degli assalitori nel continuare l’avanzata lungo il pendio fino all’obiettivo, pur subendo perdite assai pesanti, perché sapevamo usare le armi e lo facevamo. Non credo però che la loro insistenza, che alla fine, spesso, veniva premiata, pur a caro prezzo, fosse dovuta solo all’effetto dell’alcool e alle minacce degli ufficiali, rivolte a chi tentennava e mostrava di lasciarsi sopraffare dalla paura. Le minacce non erano gratuite, ma sono convinto che agisse su quegli uomini anche l’effetto di una propaganda efficace. Queste, comunque, furono le impressioni più vive riportate sulle impervie e desolate pendici di Sierra Caballs nei mesi di agosto e settembre 1938, che furono anche 162 gli ultimi della mia esperienza in Spagna. Verso la fine di settembre, infatti Álvarez del Vayo, ministro degli Esteri della Repubblica spagnola, comunica alla Società delle nazioni di Ginevra la decisione presa dal governo del suo paese di ritirare i combattenti delle brigate internazionali dal fronte. Nel tentativo di respingere uno dei tanti attacchi dei franchisti alla zona occupata dalla mia compagnia, ormai tale solo di nome, perché gli effettivi si erano drasticamente ridotti, rimasi ferito e fui evacuato in ospedale. Da lì raggiunsi il paese di Torelló in Catalogna, base di raccolta dei superstiti internazionalisti di nazionalità italiana. Era la terza ferita riportata in quella guerra, segno della mia permanenza sulla linea del fronte o nelle immediate retrovie. Forse anche per questo mi riesce difficile dominare una fastidiosa insofferenza verso quanti si erigono, a mio avviso con troppa disinvoltura, a giudici ipercritici rispetto alla politica e alla condotta del governo spagnolo. Capisco bene che la mia reazione è più istintiva che ragionata e dunque rispetto, anche quando non la condivido, l’opinione di coloro che, giornalisti e scrittori, si recarono in Spagna in qualità di osservatori, per capire e raccontare. Mi riesce invece molto più difficile capire, ripensando alla mia esperienza di persona che andò a offrire solidarietà fattiva per un popolo di cui condivideva la causa, combattendo fino allo stremo e senza il tempo di approfondire o di indagare nelle pieghe della politica governativa, come possano invece averlo trovato altri, partiti come me per combattere e da cosa derivi la loro sicurezza di giudizio. Personalmente ho una sola certezza: vissi in quegli anni una delle esperienze più esaltanti della mia vita, anche se fu la più sfortunata. Sono convinto, però, che fu determinante nel non avere esitazioni di fronte a importanti scelte successive. * Testo, riveduto e ampliato dall’autore, della relazione svolta al convegno La guerra di Spagna: dalla memoria storica alla lezione attuale, Torino, 11-12 maggio 1984, edito in “l’impegno”, a. VI, n. 2, giugno 1986. 1 Recte: Quintanar del Rey (ndc). 2 Recte: Orihuela (ndc). 3 “Tu non hai paura?”. 4 Recte: Sierra de Cavalls. 5 “Uomo, è l’unica cosa che non manca”. 6 “Rosso, prepara le pantofole che domani ti toccherà correre”. 7 “Un’altra coppa di anice”. 163 Un’esperienza antifascista nella Spagna della guerra civile* di Antonio Roasio Ritengo più che giusto ricordare gli avvenimenti che caratterizzarono gli anni trenta in Spagna. Se è vero che la storia è fonte inesauribile di esperienza per il futuro è doppiamente giusto ricordare quei fatti, perché la guerra di Spagna del 1936-39, rappresenta una delle pagine più importanti della lotta popolare contro il fascismo e per la libertà combattuta fra le due guerre mondiali. Viviamo di nuovo, oggi, un momento di acuta tensione internazionale, di contrapposizioni e di blocchi, la corsa agli armamenti è sempre più affannosa, la guerra nucleare, che distruggerebbe l’umanità, diventa sempre più un pericolo reale. Altrettanto ampio è il fronte della protesta contro la guerra, per ristabilire forme di collaborazione tra i paesi, per assicurare pace e libertà ai popoli. Gli anni ottanta presentano molti elementi di analogia con gli anni trenta. Per suffragare la mia affermazione vorrei ricordare alcune tappe salienti di quel periodo. 1931: aggressione della Cina da parte del Giappone e conquista della Manciuria: primo passo dell’imperialismo giapponese in Asia. 1933: conquista del potere da parte di Hitler ed avvio della violenta politica antidemocratica e razziale in Germania e di revanscismo nazionalista in Europa. 1934: rivolta armata a Vienna e vittoria delle forze fasciste; tentativo di colpo di stato fascista in Francia, sconfitto dalla protesta popolare: preludio alla vittoria del Fronte popolare nel 1936. 1935: guerra coloniale del fascismo italiano in Abissinia. 1936: accordo di Monaco e cedimento delle forze democratiche ai ricatti di Hitler, che può occupare tranquillamente la Cecoslovacchia. È in questo clima di tensione che si inserirono gli avvenimenti del decennio spagnolo, culminati nel 1929 con la sconfitta del regime fascista di De Rivera e, nel 1931, con la caduta della monarchia e la costituzione di un governo repubblicano. Questo governo non ebbe però sufficiente fiducia nella spinta delle masse popolari e dei partiti democratici e di sinistra nel portare avanti le riforme democratiche e nel contrastare le forze reazionarie: quella fiducia avrebbe forse dato alla Spagna un destino diverso. Il colpo di stato del luglio 1936 provocò un vasto movimento di lotta popolare nel Paese e profonda indignazione e solidarietà tra le masse popolari del mondo intero. In Spagna, la lotta armata contro i golpisti fu immediata: sorsero i primi gruppi della milizia popolare che imposero al governo la distribuzione delle armi per attaccare i focolai fascisti e liberarono in pochi giorni due terzi del Paese e tutte le città principali: Madrid, Barcellona, Valencia ed altre ancora. I golpisti, sconfitti sul terreno della sorpresa, di fronte alla reazione coraggiosa delle masse popolari non esitarono a gettare la Spagna nella più orribile e sanguinosa delle guerre civili con l’aiuto delle nazioni fasciste: Italia, Germania e Portogallo. Fu in que164 sto periodo che tra le forze democratiche e di sinistra maturò la coscienza di un aiuto concreto ai repubblicani, con l’organizzazione di forti nuclei di volontari che combattessero in Spagna la battaglia della libertà. Nacquero così i primi nuclei del volontariato internazionale: la colonna “Rosselli” (con il motto “oggi in Spagna, domani in Italia”), la centuria italiana “Gastone Sozzi”, la centuria “Comune di Parigi”, la centuria “Thaelmann”, la centuria “Dombrowski” e tante altre, che combatterono la loro prima battaglia contro il fascismo internazionale inquadrati in unità spagnole. Nel mese di agosto, la situazione politica e militare della Spagna cominciò a delinearsi con maggiore chiarezza e si intravidero gli sviluppi di un conflitto non più limitato ai confini della sola Spagna. Non si trattava, cioè, solo di uno scontro nazionale, di una guerra civile fra golpisti e repubblicani, ma di una guerra fra fascismo e democrazia in Europa. Lo confermarono, del resto, gli stessi governanti italiani quando parlarono apertamente di una guerra ideologica contro le plutodemocrazie, della prosecuzione della guerra d’Abissinia, di una necessità nazionale per fare del Mediterraneo un “lago” italiano. Ancora più esplicita fu la dichiarazione del generale tedesco Reichmann quando affermò: “L’intervento in Spagna non è soltanto una magnifica scuola di guerra ma anche una lezione politica ammirevole. Allo sforzo imperativo di preparazione sistematica alla guerra corrisponde quello di infiltrarsi nel campo avversario. L’appoggio dato a Franco ci ha permesso di situarci attraverso le linee strategiche e vitali della Francia e dell’Inghilterra”. Si rivelò quindi un grave errore, condannato da tutte le forze di sinistra e democratiche, la decisione di “non intervento” della Francia e della Gran Bretagna, che isolarono la Spagna repubblicana, le impedirono di acquistare armi e i materiali necessari per la guerra, fornendo, in pratica, un aiuto indiretto alla politica fascista. In questo momento tragico per le sorti della democrazia spagnola, come ho detto, prese coscienza il vasto movimento di solidarietà, attraverso l’organizzazione del volontariato internazionale. Iniziò quindi una vasta azione che vide uniti tutti i dirigenti della II e della III internazionale. Numerosi incontri videro impegnati personaggi come Nenni, De Brouckère, Adler, Thorez, Cachin, Longo, ecc., con queste finalità: realizzazione di una unità fattiva su obiettivi immediati e concreti, organizzazione alla base di comitati unitari per il reclutamento fra le forze popolari e antifasciste, organizzazione di manifestazioni di massa come non se ne erano ancora viste in passato. Fra la fine di agosto e settembre fu chiara a tutti la superiorità militare dell’esercito fascista, la cui forza era composta dalle unità comandate dal generale Franco, dall’esercito coloniale composto da dodicimila legionari e diecimila marocchini e dal battaglione del “Tercio”, mercenari trasportati nel continente con l’aiuto dell’aviazione italiana e tedesca. A ciò bisognava aggiungere le unità militari dell’esercito del Sud, comandate dal generale Queipo de Llano, e le armate del Nord, comandate dal generale Mola. A queste unità giungeva inoltre l’aiuto, in armi e uomini, da parte dei paesi fascisti. Si ritiene che l’Italia abbia utilizzato in Spagna circa centomila uomini, la Germania fra i venticinque e trentamila: in maggioranza tecnici ed unità speciali. L’esercito fascista seppe fin dal primo momento utilizzare le proprie forze, orientandole verso un obiettivo strategico-militare unico: l’unificazione delle forze armate del Sud e del Nord, con la conquista delle province occidentali e, successivamente, la conquista di Madrid, che fin dall’inizio era stata il centro della resistenza repubblicana. L’obiettivo, che avrebbe dovuto condurre alla resa totale delle forze repubblicane, fu raggiunto solo in parte nell’arco di due mesi. 165 L’esercito fascista del Nord, infatti, venne fermato sulla sierra e la somosierra dalle prime brigate “di acciaio” organizzate dai lavoratori di Madrid e venne inchiodato sulle posizioni di partenza. L’esercito del Sud, invece, al comando del generale Franco, in tre mesi occupò tutte le province occidentali, meridionali e centrali, praticamente senza incontrare una vera e propria resistenza, se si eccettua l’opposizione di unità locali, non collegate fra loro, che difendevano il proprio villaggio o provincia. Ai primi di novembre, le truppe franchiste raggiunsero così la periferia di Madrid, dove prepararono l’offensiva decisiva che consentì loro di occupare la capitale il 7 di quello stesso mese. A quel punto emersero tragicamente le deficienze politiche e militari del governo repubblicano, prima fra tutte, l’impossibilità di poter contrastare l’avanzata di un esercito ben preparato, armato fino ai denti e con una visione strategica precisa, soltanto con milizie operaie male armate, poco preparate e senza il minimo coordinamento. L’esigenza di un governo forte, che impegnasse direttamente tutti i partiti democratici divenne prioritaria. Si formò così la coalizione nota come governo di Largo Caballero, con il seguente programma: mobilitare tutte le energie del Paese per vincere la guerra; reclutare energie nuove per creare riserve fra le forze armate; organizzare un nuovo esercito repubblicano unendo in unità militari tutti i distaccamenti, le varie colonne, le unità combattive organizzate dai vari partiti ed organizzazioni sindacali; creare uno stato maggiore capace di elaborare una strategia militare unica utilizzando le unità militari nei punti strategici e non nella regione in cui si erano formate; mobilitare tutte le ricchezze nazionali per la causa repubblicana. La cosa fu quasi facile a dirsi, ma faticosa e lunga a realizzarsi e tra contrasti violenti. Su questa base si decise l’utilizzazione dei volontari internazionali, anch’essi organizzati in unità militari, nel nuovo esercito repubblicano e sotto il comando dello stato maggiore spagnolo. Si può così spiegare la contraddizione esistente fra il documento unitario, approvato a Parigi il 28 ottobre 1936 e firmato dal Partito socialista, dal Partito comunista e dal Partito repubblicano, in cui si parla della costituzione in Spagna di una legione di volontari antifascisti, e la decisione, presa ad Albacete, di costituire le brigate internazionali, fra cui il battaglione “Garibaldi”. Base di organizzazione e di raccolta delle brigate internazionali fu, appunto, la città di Albacete, piccolo centro lontano dalla linea del fronte. Il grosso dei volontari arrivò nei primi sei mesi della guerra, poi gli arrivi si diradarono fino a cessare nella primavera del 1938, quando il governo repubblicano, vista la durezza delle battaglie, le gravi perdite e la scarsa, se non nulla, possibilità di vittoria, pensò di ritirare i volontari dal fronte per rimpatriarli. Il rimpatrio avvenne nel settembre del ’38; nello stesso tempo, la Repubblica tentò, tramite l’ambasciatore francese, di stabilire una trattativa per trovare un accordo con i franchisti su basi onorevoli. Il tentativo fallì per il rifiuto di questi ultimi di trattare con i repubblicani, da cui si voleva una resa senza condizioni. Come ho detto, i volontari internazionali furono cinquantamila, provenienti da cinquantatré nazioni. Il contingente più numeroso era dato dai francesi, con oltre novemila uomini, seguito da tedeschi e austriaci con oltre cinquemila, dagli italiani con quattromilaottocento, dai polacchi con quattromilacinquecento, mentre dai paesi balcanici giunsero tremilacinquecento uomini. La maggioranza di questi volontari erano emigrati politici che vivevano all’estero, per lo più in Francia. Non meno significative le cifre riguardanti i volontari provenienti da altre nazioni, anche extraeuropee: tremila uomini da Stati Uniti e Canada, duemilacinquecento dalla Gran Bretagna, duemila dalla Cecoslovacchia, millecin166 quecento dai paesi del Nord Europa, oltre duemila dall’America latina. Numerosi, oltre duemila, furono anche i volontari sovietici, in maggioranza aviatori, carristi, artiglieri ed istruttori. Durante i primi cinque mesi di guerra furono organizzate sei brigate internazionali, due gruppi di artiglieria e vari servizi ausiliari come il servizio sanitario, con oltre duemilaseicento volontari e duecento medici, che consentì l’allestimento di diciassette ospedali fissi e di quaranta ospedali da campo; il servizio trasporti, dotato di oltre millesettecento automezzi e di un’officina per le varie riparazioni; il servizio postale per i volontari, il servizio vettovagliamento e raccolta mezzi inviati dalla solidarietà internazionale; il commissariato politico per la propaganda; una scuola per commissari politici ed un servizio di fureria. Poiché, però, le sei brigate erano composte da elementi di nazionalità diversa, destinati nelle varie unità a seconda del loro arrivo ad Albacete, si presentarono subito problemi di coesione dovuti alle differenze di lingua, mentalità, caratteristiche culturali e militari. Si rese quindi indispensabile risolvere al più presto tale stato di cose. Nell’aprile 1937, le brigate vennero ristrutturate in base alla nazionalità o alla lingua. I nomi che esse assunsero: “Garibaldi”, “Lincoln”, “Dimitrov”, “Thaelmann”, ecc., indicavano chiaramente la loro composizione nazionale. Io arrivai ad Albacete, proveniente dall’Unione Sovietica, il 12 ottobre 19361. Il flusso dei volontari in arrivo era di circa settecento-ottocento uomini la settimana; gli italiani erano già circa duecento. Alcuni giungevano in modo legale, altri no. In Francia esistevano due punti di raccolta: uno a Perpignan, per chi entrava attraverso i Pirenei, e uno a Marsiglia, per chi arrivava via mare. Successivamente i volontari venivano concentrati in vari punti della Catalogna e trasportati ad Albacete con treni speciali. Quando giunsi ad Albacete, i volontari erano già circa duemila e la mia prima impressione fu tutt’altro che esaltante. Le strutture ricettive erano scarsissime, inoltre sembrava di vivere nella torre di Babele, dove migliaia di uomini vivevano insieme senza comprendersi, con abitudini e culture diverse: da quel caos bisognava creare velocemente un esercito. Due condizioni richiedevano di fare presto: la situazione militare a Madrid e il desiderio dei volontari di entrare in azione, poiché era per combattere che erano giunti sin lì. La confusione era enorme: mancava di tutto. Bisognava trovare il posto per sistemare i volontari, possibilmente per nazionalità o per lingua, trovare i materassi, che erano pochissimi, la paglia, le coperte, organizzare le mense, trovare i viveri, i piatti, le posate. Si cominciava dal niente e la confusione favoriva fenomeni di indisciplina e di individualismo. Ci volle una settimana per superare le deficienze, mettere un po’ d’ordine, dividere e sistemare i volontari, conoscere gli uomini, la loro preparazione militare ed incominciare a dividerli in unità militari, plotoni, sezioni, compagnie, abbozzando una minima preparazione militare. Così, alla fine di ottobre del 1936, nascevano le prime due brigate internazionali, la XI e la XII. Verso la fine di ottobre venne costituito ufficialmente il battaglione “Garibaldi”, cinquecento volontari divisi in quattro compagnie, al comando di Randolfo Pacciardi; commissari politici io, comunista, e Amedeo Azzi, socialista. Per portare a termine la preparazione militare degli uomini ci volle molta iniziativa, se si tiene conto che i volontari avevano età molto diverse: i più giovani non avevano ancora diciotto anni, i più anziani ne avevano più di sessanta. La maggioranza aveva un’età che andava dai trenta ai quarant’anni. Gli italiani vennero spostati a Madrigueras, distante una ventina di chilometri da Albacete. Si trattava, in pochi giorni, di compiere azioni militari di prepa167 razione e di armarli, sparando però pochi colpi perché le munizioni erano molto scarse. Poche erano anche le mitragliatrici e i fucili, di tipo vecchio, modello 91, molto pesanti e pieni di difetti. Il 10 novembre, il battaglione “Garibaldi” partiva per il fronte, verso Madrid. Fu un viaggio trionfale, ad ogni stazione centinaia, migliaia di cittadini ci aspettavano, ci offrivano fiori, vino, frutta, ci ringraziavano di tutto cuore per il nostro esempio di solidarietà. Giunti al posto di concentramento prendemmo contatto ufficiale con il comando della XII brigata internazionale, comandata dall’ungherese Lukács (Máté Zalka, scrittore) e con Luigi Longo, commissario politico. Lo stato maggiore era composto da due bulgari, Belov e Pietrov (Damiànov e Lukanov), consigliere militare era il colonnello Fritz (solo dopo la guerra seppi che si trattava del generale Batov, che durante l’ultima guerra aveva comandato un corpo d’armata), vice commissario politico era il tedesco Regler, scrittore. La lingua ufficiale era il russo ed in parte il francese. Della brigata facevano parte il battaglione italiano, il battaglione tedesco e quello franco-belga. La preparazione dell’offensiva venne fatta in modo molto superficiale, con un viaggio verso l’obiettivo militare lontano cinque o sei chilometri. Si trattava di un’azione diversiva; bisognava attaccare e conquistare il Cerro rojo (Cerro de los Angeles), una montagnola che dominava una vasta pianura, per minacciare il fianco destro dei franchisti, dominare Getafe, dove esisteva il campo di aviazione usato come base per bombardare Madrid, e difendere le strade che univano la capitale alle province orientali della Spagna. Emersero subito dolenti note di impreparazione. I camion che dovevano portare i combattenti verso la linea del fronte arrivarono con ore di ritardo, le strade erano intasate, si marciava a passo d’uomo e quando un camion aveva un guasto non esisteva alcuna possibilità che rovesciarlo nell’argine della strada. Pesava la non conoscenza della località e quindi l’impossibilità di stabilire come e da quale parte attaccare l’obiettivo. Quando arrivammo vicino a Cerro rojo trovammo un muro invalicabile in cui bastava far rotolare dei sassi per fermarci. Inoltre, eravamo all’oscuro di quali altre unità militari fossero impegnate nell’operazione, cosicché ogni movimento di truppe ai nostri fianchi ci creava problemi e preoccupazioni. I servizi di collegamento non funzionarono, non avevamo quindi contatti con lo stato maggiore della brigata, con i servizi di vettovagliamento, né sapevamo dove portare i feriti (per fortuna solo due ed in modo leggero). Fu un’esperienza amara, dove imparammo a nostre spese che ci volevano tempo e pazienza, ma anche ingegno per diventare un’unità combattente; non bastavano la conoscenza e lo slancio per vincere un nemico agguerrito come l’armata franchista. Purtroppo, questa inesperienza, che al nostro battaglione era costata due feriti, venne pagata duramente da altre unità delle brigate internazionali che, impegnate in veri combattimenti frontali con il nemico persero il 30 e anche il 40 per cento dei loro uomini. Utilizzammo i pochi giorni successivi per parlare intensamente con i volontari, mettere a nudo le deficienze, sottolineare che non bastava la combattività, ma che dovevamo imparare l’arte militare, prestare maggiore attenzione alla organizzazione dei servizi e dei collegamenti con telefono e staffette, garantire i contatti con lo stato maggiore e migliorare la conoscenza degli obiettivi militari e della zona in cui eravamo costretti a combattere. Nello stesso tempo, si rendeva necessaria una partecipazione cosciente di tutti i volontari nel superare le difficoltà e una maggiore disciplina nell’assolvere i compiti cui erano preposti. I combattenti di compagnia, di sezione o di squadra dovevano innanzitutto imparare ad assolvere al loro dovere, mantenendo i contatti con le loro unità ed organizzando la 168 loro azione; questo valeva anche per i porta ordini, i barellisti e gli infermieri. Non doveva più succedere, cioè, come nella battaglia del Cerro rojo, in cui tutti avevano abbandonato il proprio incarico specifico e si erano trasformati in combattenti che sparavano contro i fascisti. Quelle poche ore di esperienza pratica, fatta sotto il tiro dei fascisti, tuttavia, servì molto più di tutte le conversazioni di Albacete. Quattro giorni dopo, il 18 novembre, il battaglione venne trasferito sul fronte di Madrid, nel settore di Casa de Campo. Erano giorni d’autunno freddi ed umidi: faceva un freddo cane. Nella notte del 19 novembre gli uomini vennero trasferiti sulla linea del fronte, in un parco con poche casette e con scarse possibilità di adattarsi per passare la notte e ripararsi dal freddo, che si faceva sentire anche perché non tutti i volontari avevano indumenti adatti per quel clima. Alla mattina presto fummo svegliati da un forte tiro di artiglieria: per molti volontari era la prima volta. Per fortuna non si ebbero vittime: nel bosco era facile trovare posizioni sicure. Il comandante del battaglione, Pacciardi, il sottoscritto e Francesco Leone, che aveva già una certa esperienza nel combattimento come ex commissario della centuria “Gastone Sozzi”, ci consultammo rapidamente. Non sapevamo dove si trovava il fronte, eravamo in seconda linea in attesa di ordini dal comando di brigata. Più tardi si cominciarono a vedere gruppi di combattenti che si ritiravano verso Madrid, capimmo che i fascisti attaccavano e che i nostri combattenti, come era successo molte volte, si ritiravano. Si decise di mandare avanti una compagnia per vedere cosa stesse accadendo, mentre Leone, che parlava bene lo spagnolo e poteva dialogare con i soldati che si ritiravano, cercava di fermarli e di convincerli a combattere. Dopo poche centinaia di metri i nostri volontari si trovarono a contatto con i franchisti e si organizzarono per resistere e fermare la loro avanzata. Così il nostro battaglione si trovò faccia a faccia con il nemico, senza sapere bene dove fosse il fronte e quali truppe avessimo alla nostra destra e sinistra. Il contatto con il comando di brigata ci permise di chiarire questi problemi e di sapere che a destra avevamo un battaglione di “carabineros” e a sinistra un battaglione di volontari tedeschi. Il fronte venne ristabilito e i fascisti fermati. Furono otto giorni di duri combattimenti con attacchi e contrattacchi, ma il fronte rimase fermo. Quei combattimenti furono un insegnamento preciso per gli uomini, i quali, a loro spese, impararono a cercare le posizioni migliori per colpire e per nascondersi, a non uscire allo scoperto se non per gravi motivi, perché sarebbero stati colpiti dai cecchini e dal nemico appostato, a creare trincee e buche per non prestarsi al tiro al piccione. In poche parole, si imparava a combattere. Le perdite, purtroppo, furono elevate: oltre cento uomini tra morti e feriti. Morirono un comandante di compagnia, un commissario politico, il comandante del servizio per i collegamenti, Leone fu ferito. Da novembre, cioè dalla battaglia del Cerro rojo, fino a marzo, alla battaglia di Guadalajara, il battaglione “Garibaldi” partecipò a tutti i duri combattimenti per la difesa di Madrid, guadagnandosi, con le altre unità di volontari internazionali, il titolo di brigate “modello”, la riconoscenza del governo spagnolo, ma anche l’onore e la soddisfazione di combattere una battaglia che persino la maggioranza degli spagnoli considerava persa, come aveva dimostrato lo spostamento del governo e dello stato maggiore dell’esercito a Valencia2. La battaglia, malgrado l’inferiorità in uomini ed armi, fu vinta perché combattuta con lo slancio coraggioso della maggioranza della popolazione che, in vista del pericolo, si 169 era tutta mobilitata per frenare ogni atto di ribellione da parte della famosa “quinta colonna”, così numerosa nella capitale, per aiutare i combattenti repubblicani, per costruire opere di difesa ed anche per combattere. A Madrid, l’antifascismo scriveva così la sua pagina gloriosa di storia, di esempio per il mondo intero, dimostrando che un esercito è invincibile quando è sostenuto da tutto il popolo. Eroismo che doveva ripetersi su scala ben più importante durante la seconda guerra mondiale. A conforto di questa mia affermazione, vorrei ricordare anche l’esempio contrario di Parigi, nel giugno 1940, quando le truppe tedesche, in formazione di parata ed al canto degli inni militari, marciarono nelle vie della città, senza che venisse sparato un solo colpo di fucile e sotto gli occhi di una massa di cittadini cupi e umorosi, ma anche vergognosi per quella brutta pagina di storia. I parigini cancellarono quella macchia solo nel giugno 1944, nei giorni dell’insurrezione nazionale. Per gli italiani antifascisti la battaglia di Guadalajara ebbe un valore particolare, perché fu la prima volta che l’antifascismo italiano si scontrò con il fascismo ad armi pari, infliggendogli una cocente sconfitta. Con l’organizzazione delle brigate internazionali su base nazionale o di lingua, confluirono nel battaglione “Garibaldi” tutti gli italiani che combattevano in altre unità: un piccolo gruppo della colonna “Rosselli” e gli italiani che erano stati inquadrati nella XIV, XV, XVI brigata internazionale, per un totale di circa quattrocento uomini. Gli ultimi scaglioni arrivati si trovavano ad Albacete al comando di Pacciardi, commissario politico era Ilio Barontini. Altri italiani che si trovavano in Spagna a combattere, oltre duecentottanta nei vari gruppi di artiglieria da campagna e nell’artiglieria antiaerea ed una cinquantina di specialisti nell’arte militare, erano impegnati in corpi speciali come cavalleria, carri armati, aviazione, marina. Oltre duecento italiani combattevano in unità spagnole anarchiche o del Poum. Una prima considerazione riguarda l’elevata qualità della presenza dell’antifascismo italiano in Spagna. Uomini come Togliatti, Nenni, Longo, Rosselli, Di Vittorio, Pacciardi, Braccialarghe, Platone, Vidali e numerosi altri portarono il loro contributo militare e politico in quella prima battaglia combattuta contro il fascismo. Gravi furono le perdite (oltre settecento combattenti) numerosi i mutilati. Voglio, a nome di tutti, ricordare Battistelli, comandante di battaglione; Battistatta, commissario politico della brigata; Melchiorre Vanni, che faceva parte del Comitato internazionale di solidarietà a Parigi, ferito durante una missione da un bombardamento su Madrid; Nino Nannetti, comandante di divisione; De Rosa, Angeloni, Jacchia, professore di Trieste, uno dei fondatori del fascismo che venne in Spagna per lavare la sua macchia; Primo Gibelli, operaio torinese espatriato in Urss, maggiore di aviazione, caduto durante un’azione in difesa di Madrid, unico italiano dichiarato eroe in Unione Sovietica. Questa gloriosa pagina di storia e di solidarietà popolare dovette purtroppo soccombere per molti motivi, internazionali ed interni. La decisione di “non intervento” applicata dalle democrazie borghesi privò, come ho detto, la Spagna repubblicana degli aiuti in armi e materiali necessari per la guerra. Soltanto l’Unione Sovietica inviò numerosi aiuti tecnici, armi, munizioni, materiali vari, ma l’aiuto cominciò a diminuire verso la fine del 1937 e si diradò nei primi sei mesi del 1938, per difficoltà logistiche: ben otto navi sovietiche da trasporto vennero affondate in quel periodo nel Mediterraneo da sottomarini “fantasma”, in realtà italiani e tedeschi. Per questi motivi la Spagna repubblicana, nel campo dell’armamento, non poté mai competere con la parte avversaria. Agirono negativamente per la Repubblica anche motivi di carattere politico, come l’arretratezza di larghe masse contadine influenzate dalla Chiesa; la nefasta influenza su ampi 170 strati popolari, specie in Catalogna, della concezione anarchica e populista contraria ad ogni iniziativa da parte del governo e dello stato maggiore per mobilitare tutte le possibilità del paese per vincere la guerra; le loro iniziative utopistiche condussero addirittura allo scontro armato con le forze repubblicane a Barcellona. A questi fattori va aggiunta l’incapacità del governo repubblicano di appoggiare e indirizzare l’entusiasmo popolare, così chiaro a Madrid nel novembre 1936, di utilizzare tutte le risorse nazionali per la guerra, di creare nelle retrovie del nemico un movimento partigiano, di smascherare i nemici che si annidavano nelle retrovie, prima fra tutte la famosa “quinta colonna”. Vanno ricordati, infine, i contrasti tra i vari partiti del Fronte popolare, generati dal latente anticomunismo che cresceva con il peggioramento della situazione militare all’interno, la diffidenza per l’attivismo e la combattività dei comunisti nell’esercito, l’aiuto materiale dell’Urss e la presenza delle brigate internazionali. Alcuni partiti, cioè, ebbero quasi sempre il pensiero rivolto al compromesso con le forze franchiste, poi realizzato da Besteiro, Casado e Carrillo nel marzo 1939 a Madrid. Tutti questi fatti ebbero un’influenza diretta sul morale dei volontari antifascisti, che non erano semplici soldati in cerca di avventura ma militanti coscienti, molti di essi con alte qualità politiche, che avevano dietro di loro un passato di combattività e di sacrificio. Dall’esame di alcune migliaia di cartellini individuali di volontari italiani, risulta che cinquantasei antifascisti avevano subito una condanna dal Tribunale speciale, quarantadue da tribunali ordinari e sei da tribunali militari. Inoltre, ben quattrocento avevano subito espulsioni dalla Francia, Belgio o Svizzera e duecentocinquanta avevano subito arresti per infrazione alla legge dopo la loro espulsione. Infine ben millecinquantaquattro nominativi si trovano sui bollettini del Ministero degli Interni con l’indicazione “da arrestare come antifascista”. Gli elementi di dissenso fra i vari partiti pesarono quindi sulla coscienza dei combattenti, anche perché essi avevano coscienza di essere sempre stati fedeli all’impegno di combattenti al servizio delle autorità della Repubblica spagnola, così come pesarono i fatti di Barcellona, il modo in cui veniva condotta la guerra nazionale di liberazione, sempre sulla difensiva e per tutti i trenta mesi con l’iniziativa sempre lasciata ai fascisti e senza offensive che incidessero sull’andamento della guerra. I volontari dimostrarono tuttavia un’alta coscienza internazionalista e la volontà di combattere fino in fondo la guerra antifascista. Dall’ottobre 1936 al marzo 1939, cioè fino alla ritirata, dimostrarono sempre la loro combattività, la loro fiducia sulla giustezza della guerra che combattevano. Vorrei terminare la mia testimonianza con questa affermazione di Togliatti, fatta nel maggio 1945 sulla rivista mensile “Risorgimento”: “Se è vero che sulla Spagna scese dopo il marzo del 1939 il silenzio funebre dei sepolcri e delle galere, il campo della lotta non fece altro che spostarsi e gli obiettivi non cambiarono. Se quel primo bastione fosse caduto senza combattimento le sorti del mondo, quelle del nostro paese, sarebbero state diverse. Su quel campo di battaglia riconoscemmo amici e nemici, riconoscemmo il pericolo ed il compito comune [...] Su quel campo di battaglia sorse l’unità antifascista, scuola concreta tanto di guerra quanto di politica”. Quell’esperienza, infatti, venne utilizzata dopo pochi anni in tutta Europa contro il nemico comune, venne utilizzata in Italia con l’unione di tutte le forze democratiche ed antifasciste, per combattere insieme la guerra di liberazione nazionale e creare una nuova nazione. 171 * Dalla relazione svolta al convegno La guerra di Spagna: dalla memoria storica alla lezione attuale, Torino, 11-12 maggio 1984, edita in “l’impegno”, a. VI, n. 1, marzo 1986. 1 Ero partito da Mosca il 12 ottobre 1936 e dopo una breve sosta a Parigi, per contatti con alcuni dirigenti del Partito comunista italiano, ero ripartito per Madrid, dove ero giunto il 20 ottobre, in compagnia di Edoardo D’Onofrio. 2 Il 30 novembre 1936, nella battaglia di Pozuelo, riportai una ferita alla garnba. Dopo quindici giorni di ospedale a Madrid e dieci giorni di convalescenza ad Albacete, ritornai al battaglione, partecipando alle battaglie di Mirabueno e Majadahonda. Alla fine di gennaio del 1937, fui richiamato ad Albacete dal comando generale delle brigate internazionali che mi incaricò di organizzare un ufficio matricola per gli italiani. Si trattava, in pratica, di preparare una scheda personale per ogni volontario, contenente i dati biografici principali, l’unità di inquadramento e ogni annotazione di fatti e di spostamenti riguardanti il volontario stesso. Si trattava, inoltre, di informare il Comitato di solidarietà di Parigi dei caduti, affiché si provvedesse ad avvisare parenti ed amici, di far giungere nella capitale francese i feriti più gravi e gli invalidi per assicurare loro assistenza e cure adeguate. Infine, si provvedeva al rientro in seno alle unità combattenti dei feriti dopo la guarigione o alla loro sistemazione in servizi alternativi in caso di inabilità al combattimento. L’incarico, nel luglio del 1937, fu affidato a D’Onofrio che, durante l’esodo in Francia del febbraio 1939, riuscì a mettere in salvo l’intero archivio dei volontari internazionali, inviandolo in Unione Sovietica. Personalmente, nell’aprile 1937, tornai alla mia unità in qualità di ufficiale di collegamento nello stato maggiore della XII divisione. Fui richiamato a Mosca nell’ottobre del 1937 per lavorare al Comintern e per altre missioni all’estero. 172 I principali avvenimenti della guerra civile spagnola I precedenti 1931 14 aprile Proclamazione della Repubblica spagnola. 1936 16 febbraio Vittoria elettorale del Fronte popolare. 20 febbraio Formazione del governo di Fronte popolare, presieduto da Manuel Azaña. 7 aprile Il presidente della Repubblica, Niceto Alcalá Zamora, viene destituito dalle Cortes per violazione della Costituzione. Il nuovo presidente sarà Manuel Azaña, mentre Santiago Casares Quiroga assumerà l’incarico di primo ministro. *** 1 agosto Costituzione del primo governo di Fronte popolare della Generalitat catalana. Léon Blum, capo del governo francese di Fronte popolare, accoglie le istanze inglesi di non intervento nella guerra civile spagnola. 5 agosto Le truppe marocchine spagnole, con l’appoggio dell’aviazione italiana, passano lo stretto di Gibilterra. 17 agosto Si costituisce la prima formazione volontaria di antifascisti italiani: la “Colonna italiana”. 23 agosto I volontari italiani della “Colonna italiana” prendono posizione sul fronte di Huesca. 3 settembre Si costituisce la seconda formazione di volontari italiani: la centuria “Gastone Sozzi”. La guerra civile 17 luglio Rivolta dei generali monarchici e fascisti contro il governo repubblicano: inizia la guerra civile. 4 settembre Nuovo governo, presieduto da Francisco Largo Caballero, comprendente socialisti, repubblicani e comunisti. 21 luglio A Barcellona i ribelli sono sconfitti. La Generalitat, governo della regione autonoma, istituisce un corpo di milizie. 9 settembre Prima riunione a Londra del “Comitato di non intervento”, costituito su iniziativa dei conservatori inglesi e con l’appoggio del governo francese. 25 luglio Inizia la prima offensiva fascista contro Madrid. 10 settembre Battesimo del fuoco dei volontari della centuria “Gastone Sozzi” a Cenicientos. 26 luglio Nuovo governo, presieduto da José Giral Pereira, costituito da soli repubblicani. 27 luglio Il governo italiano decide l’intervento in appoggio ai fascisti spagnoli. 30 luglio A Burgos si costituisce una giunta fascista, che si attribuisce le funzioni di governo sui territori sottratti alla Repubblica (diciotto province su quarantasette). 13 settembre I franchisti occupano San Sebastián. 27 settembre Rappresentanti della Confederación nacional de trabajo, diretta dagli anarchici, entrano a far parte del governo della Catalogna. 30 settembre Il governo spagnolo denuncia alla Società della nazioni l’intervento armato dell’Italia e della Germania a sostegno dei ribelli. 173 1 ottobre Proclamazione, a Burgos, dello stato spagnolo su basi corporative, nazionali, cattoliche. Il generale Francisco Franco è ufficialmente capo dello stato e comandante supremo dell’esercito. 3 ottobre Le Cortes approvano lo statuto autonomo dei Paesi baschi, analogo a quello catalano. 5-6 ottobre Il primo contingente di volontari internazionali (tra cui circa centocinquanta italiani) varca la frontiera: arriverà ad Albacete, base delle brigate internazionali, il 10 ottobre. 7 novembre Rappresentanti della Cnt entrano nel governo. 9 novembre Il battaglione “Garibaldi” viene incorporato nella XII brigata, assieme al battaglione franco-belga e a quello polacco. 13 novembre Il battaglione “Garibaldi” entra in azione a Cerro de los Angeles, sul fronte di Madrid. 18 novembre Germania e Italia riconoscono ufficialmente il governo di Franco. 10 ottobre Pubblicazione del decreto costituivo dell’Esercito popolare. 6 dicembre Conferenza militare italo-tedesca a Roma per decidere sugli aiuti da fornire a Franco. 12 ottobre Sbarca ad Alicante un grosso contingente di volontari (fra i quali molti italiani) partito da Marsiglia. 1937 6 febbraio Le truppe franchiste iniziano l’offensiva sul fronte del Jarama per accerchiare Madrid da est. 16-18 ottobre La centuria “Gastone Sozzi” combatte la sua ultima battaglia a Chapinería: nel mese di novembre i superstisti saranno incorporati nel battaglione “Garibaldi”. 8 febbraio Le truppe fasciste italiane occupano Malaga. 18 ottobre I governi italiano e tedesco riconoscono la Giunta di Burgos come governo di tutta la Spagna. 22 ottobre Il governo repubblicano autorizza la costituzione delle brigate internazionali. 23 ottobre Annuncio ufficiale dell’aiuto sovietico alla Repubblica spagnola. 27 ottobre Viene firmato a Parigi l’atto costitutivo della “Legione italiana” (che assumerà il nome di battaglione “Garibaldi”). 5 novembre I fascisti riescono a sfondare il fronte del centro e ad avvicinarsi a Madrid. 6 novembre Il governo repubblicano si trasferisce a Valencia. Nella capitale rimane una Giunta di difesa, capeggiata dal generale José Miaja. 174 17 febbraio Inizia la controffensiva, vittoriosa, dei repubblicani sul fronte del Jarama. 8-24 marzo Offensiva delle truppe franchiste e delle camicie nere italiane a Guadalajara: prima sconfitta internazionale del fascismo. 31 marzo Inizia l’offensiva franchista contro le Asturie e i Paesi baschi. 19 aprile Fusione dei falangisti e dei tradizionalisti nel Partito nazionale della falange, capeggiato da Franco. 26 aprile I tedeschi bombardano Guernica: oltre millecinquecento civili morti. 1 maggio Costituzione della brigata “Garibaldi”, che incorpora anche i resti della “Colonna italiana”. 3-5 maggio Insurrezione anarchica a Barcellona, duramente repressa. 16 maggio Dimissioni del governo Largo Caballero. Succederà il governo presieduto dal socialista Juan Negrín López, composto da repubblicani, socialisti, comunisti e nazionalisti baschi e catalani. 1938 11 gennaio L’aviazione italiana inizia bombardamenti sistematici di Barcellona e di altre città della Catalogna. 1 giugno La Cnt decide di appoggiare il governo Negrín. 9 marzo Inizia l’offensiva fascista in Aragona, in direzione del Mediterraneo. 24 giugno Occupazione di Bilbao. 29 giugno A Barcellona viene costituito un nuovo governo della Generalitat in cui sono rappresentate le organizzazioni che fanno capo al Fronte popolare e alla Cnt. 1 luglio Lettera collettiva dell’episcopato spagnolo in appoggio al movimento franchista. 5-28 luglio Offensiva repubblicana sul fronte del Guadarrama. 12-26 luglio Offensiva repubblicana a Brunete, a ovest di Madrid. 23 luglio Italia e Germania si ritirano dal Comitato di non intervento in Spagna. 14-22 agosto Offensiva delle truppe fasciste italiane, che conquistano Santander. 24 agosto Offensiva repubblicana sul fronte d’Aragona: durerà un mese ma non darà alcun risultato. 23 ottobre I franchisti conquistano Gijón, nelle Asturie, e praticamente dominano tutto il Nord del Paese. 3 aprile I franchisti penetrano in Catalogna occupando Lérida e Gandesa. 15 aprile Il territorio della Repubblica spagnola è spezzato in due: la Catalogna è isolata, ma l’avanzata franchista viene fermata sul fronte dell’Ebro. 24 giugno Il Vaticano riconosce il governo di Franco. 5 luglio Attacco franchista in direzione di Valencia. 24 luglio Inizia la battaglia dell’Ebro: le truppe repubblicane sono inizialmente vittoriose, ma ai primi di novembre saranno piegate. 21 settembre Negrín, nella vana illusione di ottenere come contropartita il ritiro delle divisioni fasciste italiane e tedesche, annuncia alla Società delle nazioni la decisione di ritirare dal fronte tutti i volontari internazionali e chiede la costituzione di una commissione incaricata di controllare l’effettivo ritiro di tutti i combattenti stranieri. 30 ottobre Inizia l’offensiva franchista sul fronte dell’Ebro. 25 dicembre Offensiva franchista in Catalogna. 15 dicembre Grande offensiva repubblicana a Teruel, a est di Madrid. 1939 26 gennaio I franchisti occupano Barcellona. Gruppi di combattenti internazionali lasciano i campi di smobilitazione e riprendono le armi in battaglie di retroguardia per coprire la ritirata verso la frontiera francese. 19 dicembre Controffensiva franchista a Teruel. La battaglia, con alterne vicende, durerà fino alla fine di febbraio del 1938. 9 febbraio I combattenti dell’esercito popolare e delle brigate internazionali passano la frontiera francese: saranno rinchiusi in campi di concentramento. 30 novembre Il Giappone riconosce il governo di Franco. 175 27 febbraio Gran Bretagna e Francia riconoscono il governo di Franco come governo di tutta la Spagna. 19 marzo Il Portogallo firma un patto di non aggressione e di amicizia con la Spagna nazionalista. 28 febbraio Dimissioni del presidente Azaña. 27 marzo Franco aderisce al Patto Antikomintern, stipulato da Germania, Italia e Giappone. 4 marzo Il colonnello Segismundo Casado López, comandante delle truppe repubblicane a Madrid, con un colpo di mano proclama decaduto il governo Negrín e si dichiara disposto a trattare la resa con i nazionalisti. 6 marzo I dirigenti repubblicani si rifugiano in Francia. 29 marzo Le truppe franchiste entrano in Madrid. 1 aprile Franco annuncia che le operazioni militari sono terminate: la guerra civile si conclude con la sconfitta della Repubblica e l’instaurazione della dittatura. Per una cronologia approfondita si veda ora PIETRO RAMELLA, Il secolo breve spagnolo. Cronologia ragionata 1898-1975, Varallo, Isrsc Bi-Vc, 2014. 176 Indice delle persone* Abd el-Krim v. Costetti, Renato Adler, Friedrich 165 Agosti, Aldo 50-52 Airoldi, Francesco 67, 75 Albero, Manuel 129, 135 Albertini, Enrico 66, 88, 119 Albertini, Giuseppe 88 Alcalá Zamora, Niceto 173 Alix, Yves 133 Alpert, Max 135 Álvarez del Vayo, Julio 163 Ambrosini, Giovanni Battista 28 Ambrosio, Piero 73, 76, 78, 120, 122 Amendola, Eva Paola 132, 133, 135 Amendola, Giorgio 29, 45, 51, 52, 83 Andreucci, Franco 27, 30, 51, 120, 122, 124 Angeloni, Mario 115, 170 Anselmi, Albino 74, 75 Anselmi, Antonio Albino 74 Anselmi, Michele 74 Antonietti, Quinto 82 Antonini, Angelo 19, 28 Aranda, Antonio 127 Archetti, Antonio 73, 111, 124 Archetti, Eugenio 111 Ardizzoni, Luigi 23 Ardizzoni, Vincenzo 28 Arfinenghi, Arturo 88, 119 Arfinenghi, Giovanni 88 Arrighelli, Alessio v. Airoldi, Francesco Astaldi, Antonio 117 Astaldi, Giovanni 117 Astaldi, Giuseppe 117 Astray, Milan 133 Auden, Wystan Hugh 49 Azaña Diaz, Manuel 40, 173, 176 Azzi, Amedeo 167 Bacchiocchi, Ciro 28 Baesi, Giovanni 22, 28 Bagnasacco, Antonio 88 Bagnasacco, Giuseppe 66, 67, 88, 114, 119 Bakunin, Michail Aleksandrovic 114 Balcells, Albert 134, 135 Baldini, Gino Bruno 28 Ballone, Adriano 9 Banchieri, Nino 82 Barani, Luigi 22, 28 Barberis, Felice 89 Barberis, Giovanni 84, 89, 114, 119 Barberis, Giuseppe 119 Barisone, Luigi 24, 28 Barontini, Anelito 29 Barontini, Ilio 119, 170 Bartoli, Alberto 289 Basso, Fortunato Marino 28 Batov, Pavel Ivanovich 168 Battistatta, Quinto 170 Battistelli, Libero 170 Becherini, Antonio 28 Béla, Frankl 168 Bellini, Giordano Bruno 22, 28 Belov v. Damiànov, Gueorgui Purvànov Belventi v. Costetti, Renato 22 Benna, Rodolfo 157 Benvegnù, Settimo 71, 76 Beretta, Giuseppe 28 Berger, Giuseppe Ferdinando 29 Bernieri, Camillo 54 Berti, Antonio 47, 51 Bertinetti, Eufrosina 99 Bertoli, Iginio 74, 75 Bertoli, Luigi 74 Bertoli, Pietro 74 Bertolini, Renato 29 Bertoni, Luigi 88, 114 Besteiro, Julián 171 Beux, Renato Ludovico 21, 29 Bianchi, Antonio 29 Bianchi, Silvio 69 Bibolotti, Aladino 82 Bibolotti, Marco 63 Biscotti, Vincenzo 71, 76 Blair, Eric Arthur 16, 17, 37, 38, 49, 127, 133 Blum, Léon 173 Bocca, Giorgio 47, 52 Bocchi, Giovanni 29 Boerio, Paola 97 Bolloten, Burnet 50 Bologna, Achille 135 * I nomi seguiti da punto interrogativo tra parentesi si riferiscono a persone citate nel corso di interrogatori di polizia: di esse non sono certe l’esattezza dei dati né l’effettiva esistenza. 177 Bonardi, Giuseppe 29 Bonchio, Roberto 51 Bonciani, Alighiero 24, 29 Bonfanti, Enrico 29 Bonfili, Étienne 29 Bongianini, Rosa 109 Bonora, Angelo 89 Bonora, Enrico 89, 114, 119 Borsano, Giacomo 89 Borsano, Giovanni Pio 53, 55, 73, 85, 89, 113, 119, 158 Bosco, Pierino 29 Boscono, Sisto 124 Bosoni, Paolo 74, 75 Bottan, Giacomo 90, 118, 119 Bottan, Guglielmo 90 Bottan, Regina 119 Braccialarghe, Giorgio 170 Bricarello, Domenico 155, 157, 158 Bricca, Carolina 103 Brunetti, Alberto 71, 76 Brusa, Carolina 98 Busoni v. Noca, Paolo Bussetti, Catterina 99 Cachin, Marcel 165 Calandrone, Giacomo 28, 64, 112, 115, 118124 Callegaro, Ferdinando 90 Callegaro, Ottavio 90, 114, 118, 119 Calligaris, Giovanni 60-64, 66, 68, 69, 80, 81, 83, 84, 90, 114, 115, 119 Calligaris, Lorenzo 60, 61, 63, 91, 119 Calligaris, Secondo 90, 91 Calligaris, Spartaco 60 Calligaris, Umberto 115 Calosso, Umberto 119 Camen, Giorgio v. Pajetta, Giuliano Campana, fotografo 129 Campesino (El) v. Gonzáles, Valentín Campo, Giovanni 23, 29 Campolonghi, Luigi 115, 116 Caneparo, Annibale 67, 69, 82, 91, 92, 114, 119 Caneparo, Quinto 91 Cannone, Giovanna 100 Cannonero, Luigi 18, 19, 24, 29, 30 Canonica, Antonio 20, 27-29, 121 Canova, Giovanni 117 Cansian, Luigi v. Lario, Plinio Cantarelli, Mario 113, 114 Cantarelli, Pietro 92, 119 Cantone, Angela 111 Cantone, Mario 70 Capa, Cornell 134 178 Capa, Robert 126, 131, 132, 134-136 Capellaro, Maria 90, 91 Capra, Giaele 88 Carboni, Gilberto 24, 29 Caretti, Stefano 27 Caron, Severino 92 Caron, Teresio 68, 92, 114, 119 Carpegna, Giovanna 92 Carreras, Joan 136 Carrillo, Wenceslao 171 Carta, Ester 95 Casado López, Segismundo 171, 176 Casares Quiroga, Santiago 173 Casaus, Benitez 128 Castoro, Ernesto 92 Castoro, Severino 92, 114, 120 Castronovo, Valerio 126, 133 Catalá Pic, Pere 128, 133, 134 Cattell, David Tredwel 50, 51 Cavanna, Pierangelo 136 Cazzaniga, Alberto 71 Centelles, Agustí 128, 129, 134 Cerreia Varale, Antonio 77 Cerreti, Giulio 48, 52 Cerruti, Angela 93 Cerruti, Domenico 93 Cerruti Miclet, Giuseppe 75 Cerruti Miclet, Luigi 75 Cerruti, Pietro 75, 93, 113, 120 Ceruti, Giuseppe 74 Cerutti, Giuseppe 75 Chiesa, Oberdan 23, 29 Chini, Renzo 132 Chirio, Agostina 107 Chuikov, Vasily 135 Cianca, Alberto 120, 122, 123 Ciano, Galeazzo 7 Cimamonte, Anna 75 Ciocchetti, Angela 98 Codovilla, Vittorio 41 Colani, Giuseppe 29 Collotti, Enzo 27, 51 Colombi, Arturo 51 Colombo, Cesare 135 Colombo, Lanfranco 136 Conforti, Olao 123 Conti, Renato 29 Corgnati, Caterina 102 Corti, Paola 51, 130, 132-136 Costa, Clementina 93 Costetti, Renato 22, 29 Couder, Christine 20, 29 Cozzi, Ermenegildo 68 Cristianelli, Aurelia 100 Croce, Emilio 29 Crovella, Andrea 93, 120 Crovella, Antonio 93 Curti, Angelo 24, 29 D’Onofrio, Edoardo 20, 22, 28, 47, 61, 86, 112, 172 Dabalà, Angelo 22, 29 Dal Pont, Adriano 27, 118, 119 Damiànov, Gueorgui Purvànov 168 De Ambris, Alceste 116 De Brouckère, Louis 165 De Felice, Renzo 7, 27 De La Mora, Constancia 49 De Margherita, Secondo 60, 61, 63, 94, 113, 120 De Micheli, Mario 133 De Rivera, Miguel Primo 164 De Rosa, Fernando 170 De Vita, Agostino 120, 122 Del Vayo, Julio Alvarez 57 Dellarolle, Camilla 108 Delogu, Ignazio 135 Delpiano, Rosa 106 Detoma, Bernardo 117 Detoma, Giovanni di Giuseppe 117 Detoma, Giovanni di Michele 117 Detoma, Giuseppe 117 Detoma, Michele 117 Detti, Tommaso 27, 30, 51, 120, 122, 124 Di Castro, Federica 132, 133, 135 Di Vittorio, Giuseppe 26, 40, 48, 54, 58, 170 Diaz, José 40 Dietrich, Marlene 135 Diodati, fratelli 63 Don Biagio bolscevico v. Leone, Francesco Donini, Ambrogio 28 Dos Passos, John 132 Durruti, Buenaventura 54 Džugašvili, Iosif Vissarionovic (Stalin) 8, 40, 45, 48, 51, 52 Enrico, Delfina 111 Ermini, Dina 51 Estella v. Noce, Teresa Estelrich, Juan 127, 133, 134 Evans, Walker 135 Fabre, Giorgio 52 Facelli, Domenico 120, 124 Falco, Bernardo 22, 29 Falco v. Lario, Plinio Fant, Sergio 136 Fantin, Giovanna 74 Faravelli, Giuseppe 70 Ferno, John 132 Ferrara, Giuliano 27 Ferrari, Germano 71, 76 Ferraris (?), comandante di compagnia 69 Ferrero, Felicita 51 Finotto, Pasquale 82 Flecchia, Vittorio 124 Flores, Marcello 7, 8 Fonovich, Arturo 23, 29 Fontcuberta, Joan 129, 134, 135 Fornasiero, Flavio 28 Fracasso, Gaspare 55, 66, 69, 72, 94, 108, 113115, 120, 157 Fracasso, Pietro 94 Franco y Bahamonde, Francisco 12, 20, 21, 40, 49, 61, 69, 127, 135, 162, 165, 166, 174-176 Franzinelli, Mimmo 52 Fraser, Ronald 45, 52 Frau, Giuseppe 23, 29 Fritz, Pablo v. Batov, Pavel Ivanovich Furia, Gianni 118 Furno, Salvatore 42 Gallinetti, Teresa 74 Gallo, Luigi v. Longo, Luigi Gamaccio, Teresio 83 Gannio, Giovanni 60-62, 94, 112, 114, 120 Gannio, Nicola 94 García Lorca, Federico 133 Garibaldi, Giuseppe 114 Garosci, Aldo 119 Gasparelli, Cesare 29 Gaya, Ramón 134 Gerardi, Ettore 71 Gherardi, Nello 29 Ghini, Vittorio 24, 26, 29 Gibelli, Primo 170 Gilardi, Ando 132 Gilli, Michele 29 Giolitti, Giovanni 88 Giovannini, Spartaco 23, 29 Giral Pereira, José 173 Giuseppe, miliziano vercellese 70 Giussani, Enrico 115 Gnerro, Giovanni 71 Gomez, José v. Barberis, Giovanni Gonzáles, Julio 133 Gonzáles, Valentín (El campesino) 39 Gonzáles Quintana, Antonio 134-136 Graglia, Annibale 95, 120 Graglia, Secondo 95 Graziano, Marino 59 Green, Jerald 134, 135 179 Guerini, Pietro 22, 24, 29 Guggia, Andrea 112 Gurgo, Gilio 74, 75 Gurgo, Raimondo 74 Lukacs, Paul alias Máté Zalka v. Béla, Frankl Lukanov, Karlo Todorov 168 Luna, pittore spagnolo 133 Lussu, Emilio 21, 29 Heartfield, John v. Herzfeld, Helmut Hemingway, Ernest 126, 132 Hernandez, Jesús 136 Herzfeld, Helmut 128 Hills, George 49 Hitler, Adolf 13, 58, 161, 164 Horna, Kati 128, 129, 135 Macchieraldo, Andrea 97, 121 Macchieraldo, Michele 97 Mac Leish, Archibald 132 Maffeo, Maria 110 Magoga Antonio 29 Magrini v. Garosci, Aldo Maia, Roberto 119 Mairone, Antonio 72 Malacarne Giovanni 29 Malatesta, Errico 88, 114 Malraux, André 38 Mambrin, Antonio 29 Manacorda, Giuseppina 101 Maniera, Aristodemo 121, 122 Manuilskij, Dmitriy Zakharovych 38 Marcellino, Nella 63 Marchetti, Giuseppe 24, 29 Marchi, Orazio 51 Marchina, Angelo 24, 29 Mario (?), comandante di compagnia 69 Martinelli, Renzo 120, 122 Martín Expósito, Alberto 134-136 Marty, André 40, 132, 135 Massara, Massimo 121, 123 Masserano, Luigia 76 Masson, André 133 Mateos, pittore spagnolo 133 Mayo, Faustino 128 Mayo, Francisco 128 Mellina Sartore, Alfonso 98, 114, 121 Mellina Sartore, Giovanni Battista 98 Menegozzo, Maddalena 90 Mercandino, Idelmo 58 Messen, Carolina 99 Mezzano, Antonio 98 Mezzano, Giuseppe 69, 75, 98, 113, 121 Miaja, José 136, 174 Mignemi, Adolfo 120, 135 Milanaccio, Panacea 112 Milite Rosso (Il) v. Nenni, Pietro 123 Milza, Pierre 83, 123 Minazio, Alfredo 99, 114, 121 Minazio, Pietro 99 Minazzi, Fabio 122 Minero Re, Giovanni 99 Minero Re, Quintino 67, 99, 121 Minetto, Attilio 60-62, 99, 121 Minetto, Giovanni 99 Minghetti, Giuseppe 29 Ibárruri Gómez, Dolores (La pasionaria) 49, 54 Ida (?), amica di Teresio Caron 68 Irico, Angelo 75, 95, 114, 119-121 Irico, Giacomo 95 Isola, Gianni 9, 10, 30, 50, 52 Ivens, Joris 132 Jacchia, Pietro 170 Jaubert, Alain 133 Juliá, Santos 41, 51, 52 King v. Minero Re, Quintino Knox, Bernard 37, 45, 49, 52 Kokoschka, Oskar 133 Kropotkin, Pëtr Alekseevic 114 Kurzman, Dan 49 Landini, Enea 20, 29 Largo Caballero, Francisco 41, 54, 166, 173, 175 Lari, Pietro 24, 29 Lario, Plinio 96, 113, 114, 120 Lastella, Maria 119 Lemagny, Jean-Claude 135 Lenin v. Ul’janov, Vladimir Il’ic Leone, Antonio 96 Leone, Francesco 18-22, 25-30, 39, 41, 42, 46, 58, 66, 70, 96, 113, 114, 120, 169 Lesca, Maria 104 Leto, Guido 84 Líster, Enrique 128 Llanos, Virgilio 19 Lombezzi, Nazzareno 22, 29 Longo, Luigi 26, 28, 39, 40, 43, 50-52, 58, 120123, 165, 168, 170 Lonni, Ada 83 López, Alvaro 20, 27-29, 85, 86, 118 López, giovane spagnolo 55 López Tienda, Rafael 19 López Mondéjar, Publio 133, 134, 135, 136 Lorenzo, César M. 50, 52 180 Miravitlles, Jaume 128 Miró, Joan 133 Mola Vidal, Emilio 165 Molinari, Domenico 100, 121 Molinari, Pietro 100 Molino, Caterina 96 Mondadori, Alberto 134 Montagnana, Franco 63 Montagnana, Mario 58 Montanar, Rocco 29 Montarolo, Antonio 100 Montarolo, Francesco 69, 100, 114, 121 Monti, Pietro 71 Morando, Francesco 72 Moranino, famiglia 82 Moranino, Luigi 64, 83, 84, 119 Mosca, Giovanni 100 Mosca, Giuseppe 69, 100, 113, 114, 121, 124 Mosca Carlottin, Antonio 66-69, 80, 84, 101, 114, 121 Mosca Carlottin, Giovanni 101 Motta, Adamastore 29 Muccini, Ugo 21, 23, 26-30, 121 Mussolini, Benito 7, 21, 53, 68, 70, 71, 88, 158 Mussone, Maria 89 Nahoum, Isacco (Milan) 122 Namuth, Hans 129, 135 Nannetti, Nino 41, 170 Nappi, Antonio 29 Nardini, Domenico 22, 29 Natoli, Claudio 50-52 Naula, Rosa 88 Negarville, Osvaldo “Valerio” 46, 48 Negrín López, Juan 54, 175, 176 Negro, Giuseppe 71 Negro, Maria 106 Nenni, Pietro 49, 120, 122, 123, 165, 170 Nerozzi, Amedeo 24, 29 Nervi, Ernesto 71, 76 Nese, Adelaide 90 Noca, Carlo 74 Noca, Giulia 74 Noca, Paolo 74, 75 Noca, Pietro 74, 75 Noce, Teresa 39, 40, 46, 50, 75, 120-124 Novas Calvo, L. 120 Occhio Policarpo, Caterina 107 Orlandino, Vittorio 24, 29 Ortoleva, Peppino 136 Orwell, George v. Blair, Eric Arthur Ottaviano, Chiara 136 Ottino, Amabile 103 Pacciardi, Randolfo 120, 122, 126, 132, 133, 167, 169, 170 Pagès, Pelai 134 Pais, Giordano 29 Pajetta, Giuliano 38, 40, 43, 46, 50-52, 58, 67, 75, 115, 126, 132, 134 Pajetta, Piero “Nedo” 63, 64, 82, 84 Pareti, Rocco 71 Parodi, Livia 100 Parsini, Carlo 72, 77 Pasini, Giulio 22, 29 Pasionaria (La) v. Ibárruri Gómez, Dolores Pavanin, Pietro 19, 20, 22, 23, 26-29 Perazio, Emilia 74 Pérez Millán, Juan Antonio 134-136 Perino, Emilio 74, 75 Perino, Giovanni 74 Perino, Giovanni di Emilio 74, 75 Perlino, Irma 103 Perona, Gianni 9, 118 Pesce, Giovanni 52, 118, 120-124 Pezzetta, Augusto 29 Picasso, Pablo (Pablo Ruiz y Picasso) 133 Picciardi (?), miliziano 74 Piccinato, Silvio 49 Picco, Teresa 74 Pietrov v. Lukanov, Karlo Todorov Pillon, Cesare 52, 123 Pizarróso Quintéro, Alejandro 51, 130, 133-136 Platone, Felice 58, 170 Poli, Gino 24, 293 Pollone, Antonia 95 Poma, Anello 50, 69, 78, 82-86, 101, 112-114, 118-124 Poma, Claudio 101 Poma, Ermete 72 Porta Variolo, Maddalena 105 Porta Variolo, Melania 91 Premoli, Giovanni 29 Prestes, Luis Carlos 26 Prevosto, Francesco 68, 102, 114, 122 Prevosto, Maurizio 102 Prieto, Gregorio 133 Prina Cerai, Carla 84 Prina Cerai, Emilio 103 Prina Cerai, Ezzelino 103, 113, 118, 122 Procacci, Giuliano 52 Puccini, Dario 49 Quaglino, Felice 51 Quagliotti, Giovanni 103 Quagliotti, Lorenzo 103, 114, 122 Quagliotti, Rolando 73, 103, 114, 122 Quarelli, Luigi 71 181 Quazza, Guido 83 Queipo de Llano, Gonzalo 127, 165 Quiriconi, Aladino 112 Radice, Rosa 104 Ramazzini Pietro 29 Ramella (?), miliziano 75 Ramella, Caterina 88 Ramella, Franco 64, 83, 123 Ramella, Giuseppe (?), miliziano 74 Ranzato, Gabriele 48, 52 Rapone, Leonardo 50-52 Rava, Enzo 29 Ravetto, Carlo 66, 104, 122 Ravetto, Giovanni 104 Ravetto, Silvio 66 Reale, Pietro 74 Regis, Maria 89 Regler, Gustav 120, 168 Reisner, George 129, 135 Renati v. Caneparo, Annibale 91, 92 Renau, Josep 128, 133-135 René v. Caneparo, Annibale Richards, Vernon 50 Righi, Maria Luisa 120, 122 Rigola, Rinaldo 51 Rigolino, Alessandro 70, 115 Rinaldi, Gottardo 23, 29 Riquelme, Manuel 29 Rivetti, Giovanni 50, 51, 104 Roasio, Antonio 19, 28, 38-52, 67, 78, 83, 104, 114, 115, 121-123 Roasio, Giovanni 50 Roasio, Giuseppe 104 Rolla, Domenico Bruno 21, 29 Rosazza Gianin, Elena 101 Roselli, Floro 64 Rosenberg, Marcel 40 Rosselli, Carlo 18, 170 Rossetti, Adriano 59-63, 66, 69, 78, 82, 83, 105, 106, 109, 113, 114, 123 Rossetti, Aurora 59, 61-64, 66, 124 Rossetti, Bruno 60, 61, 63, 83, 85, 105, 123 Rossetti, Ernesto 85, 111, 124 Rossetti, famiglia 61, 81, 83 Rossetti, Francesco (padre di Giuseppina) 59 Rossetti, Francesco (di Francesco) 111 Rossetti, Giorgina 59 Rossetti, Giovanni 105 Rossetti, Giuseppina (Fifina) 59-64 Rossetti, Liliana 59, 63, 66 Rossetti, Mario 60 Rossi, Antonio 71, 76 Rossi, Guido 136 182 Rossi, Lucia 92 Rosso, Augusto 48 Rouillé, André 135 Roveda, Giovanni 92 Rovighi, Alberto 123 Rubini, Libertario 29 Ryabov, Vasily 135 Salinari, Carlo 50, 51, 121, 123 Sanchéz Pérez, Alberto 133 Santagostino, Attilio 73, 111, 124 Santagostino, Francesco 111 Sartoris, Camillo 117 Sartorti, Rosalind 135 Sasso, Osvaldo 72 Sassu, Aligi 133 Savio, Giovanni Battista 71 Scalcon, Vittorio 24, 29 Scalfoni, Guerrino 72 Scandolera, Caterina 94 Scanzio, Ernesta 108 Scaramuzza, Emma 52 Schiapparelli, Francesca 111 Schiapparelli, Stefano “Willy” 83, 124 Schintone, Pietro 74, 75 Scioscioli, Massimo 132, 135 Secchia, Giovanni 106 Secchia, Matteo 75, 106, 114, 123 Secchia, Pietro 25, 28, 41, 45, 106 Segovia, Francisco 129, 135 Sella, Olinto 68, 69, 85, 106, 114, 123 Sella, Probo 106 Semprun Maura, Carlos 49 Senna, Pietro 29 Serrano, Carlos 134 Serrano Gomez, Juan José “Serrano” 127 Seymour, David “Chim” 126, 134 Siletti, Carlo 60, 61, 63, 69, 73, 106, 114, 123 Siletti, Valentino 106 Silvestrini, Umberto 29 Simonetti, Virginia 106 Sodano, Angela 74, 111 Sorrentino, Lamberti 127, 128, 134 Sozzi, Gastone 21, 25, 30 Spada, Angelo 29 Spano, Velio 40 Sparano, Ciro 29 Spina, Luigi 118 Spriano, Paolo 20, 21, 28, 29, 39-41, 50-52, 121-123 Stagnetti, Felice 29 Stalin v. Džugašvili, Iosif Vissarionovic Starace, Achille 157 Stefani, Filippo 123 Suermondt, Rik 133 Tamagno, Giovanni 107 Tamagno, Giuseppe 66, 107, 114, 123 Tamburini, Giovanni 20, 29 Tarchetti, Simona 83 Taro, Gerda 126, 134 Thomas, Hugh 49, 501 Thorez, Maurice 165 Togliatti, Palmiro 39, 40, 42, 45, 47-49, 105, 123, 170, 171 Togna, Angelo 118 Tollot, Giovanni 23, 24, 29 Tondella, Battista 107 Tondella, Carlo 67, 73, 75, 107, 114, 115, 124 Tondella, Domenica 89 Tondella, Federico 67, 75, 115 Tonussi, Antonio 20, 29 Torcellan, Nanda 130, 134, 135 Traverso, Mario 115 Tuñon De Lara, Manuel 49-51 Uberti Bona, Carolina 108 Ukmar, Anton 29 Ul’janov, Vladimir Il’ic (Lenin) 13 Vacchetta, Francesco 70 Valsesia, William 63, 82 Vanelli, Lorenzo 28, 86 Vanni, Melchiorre 170 Varela, José Enrique 41 Varnero, Benedetto 73, 108, 114, 124 Varnero, Enrico 108 Vecchiolino, Angela 94 Venezia, Alessandro 108 Venezia, Eraldo 55, 56, 66, 72, 94, 108, 113115, 124, 157 Venza, Claudio 50 Verc, Francesco 29 Vercellino, Maria 110 Vermicelli, Gino 63 Viana, Emilio 108 Viana, Luigi 68, 82, 108, 113, 114, 124 Vico, Luigi 23, 29 Vidal, Martín 129 Vidali, Vittorio 41, 46, 52, 60, 64, 170 Vignale, Eugenio 29 Vilar, Pierre 49 Vineis, Emilia 109 Viotti, Giuseppe 71 Vittorio Emanuele III 88 Vivian, Romeo 29 Volpato, Lindo 23, 29 Wedin, Edward 20, 29 Wiemken, pittore spagnolo 133 Wilson, Ann 134, 135, 136 Zaldera, Giuseppe 156 Zalka, Máté v. Béla, Frankl Zanada, Carlo 68, 69, 109, 114, 124 Zanada, Giuseppe 109 Zanazzo, Secondino 71, 76 Zanettin, Paolo 20, 29 Zanone (?), tenente colonnello 74 Zanone, Battista 74, 75 Zanone, Lorenzo 74, 111 Zanone, Vittorio 73, 111, 124 Zanoni, Arturo 74 Zanotti, Arialdo 60-63, 66, 79-81, 84, 109, 114, 124 Zanotti, Celestino 109 Zanotto, Celestino 110 Zanotto, Riccardo 67, 82, 110, 113, 114, 124 Zennaro, Giovanni 29 Zitelli, Fabrizio 123 Zocchi, Lino 23, 26, 27, 29, 118, 119 Zucchetti, Alessandro 110 Zucchetti, Giovanni 85, 110, 124 Zuccoli, Ludovico 134 Zugazagoitia, Julián 52 Zuppa, Pietro 112 Zuppa, Pio 73, 85, 112, 124 Zurilli, Orlando 29 183 Indice dei luoghi* Abissinia 18, 29, 154, 157, 164, 165 Africa 72 Africa orientale 70 Aix-les-Bains (Savoie) 106, 112 Albacete (Spagna) 39, 41, 46, 47, 54, 62, 67, 80, 88, 89, 91, 95, 98, 101, 103, 104, 115, 159, 166, 167, 169, 170, 172, 174 Alessandria 26, 50, 74 Algeria 87, 107, 108 Alicante (Spagna) 40, 174 Almudévar (Huesca) 109 Alsazia (Francia) 83 Altamura (Ba) 96 America 112 America del Sud 107, 113 America latina 167 Ancona 110 Andalusia 54, 127, 160 Andorno Micca 106 Anghiari (Ar) 92, 103 Annecy (Haute-Savoie) 77, 83, 111 Annemasse (Haute-Savoie) 111 Aosta 72, 109 Aragón, monte (fronte dell’Aragona) 92, 109, 115, 119 Aragona 55-57, 89, 90, 102, 106, 109, 131, 144, 159-161, 175 Arcola (Sp) 21 Arganda (Madrid) 98, 100, 101, 105, 107, 123 Argelès-sur-Mer (Pyrénées-Orientales) 29, 57, 89-91, 93, 94, 98, 102, 106, 110, 114 Argentina 93, 104 Asia 164 Asigliano Vercellese 25, 96, 98, 113 Asturie 39, 48, 53, 174, 175 Aulnay-sous-Bois (Seine-Saint-Denis) 81, 90, 91, 105 Austria 29 Badolato (Cz) 76 Balocco 82, 93, 113 Barcellona (Spagna) 19, 23, 45, 54, 66, 68-71, 80, 84, 88, 89, 94, 99, 103, 104, 129, 164, 171, 173-175 Bardonecchia (To) 70, 92, 100, 105 Basilea (Svizzera) 24, 60, 99 Bayonne (Pyrénées-Atlantiques) 98 Belchite (Saragozza) 100, 101, 108, 110 Belfort (Territoire de Belfort) 83, 90, 91 Belgio 21, 24, 29, 89, 109, 113, 116, 117, 171 Benicásim (Castellón) 88, 99 Berlino 116 Bianzè 55, 108, 113 Biella 25, 51, 55, 74-76, 82, 89-92, 96, 98102, 104, 107-110, 113, 157 Biellese 51, 64, 74, 78, 81-83, 86, 91, 92, 100, 105, 108-110, 113, 123, 157 Bilbao (Vizcaya) 175 Bisaccia (Av) 76 Boadilla del Monte (Madrid) 91, 98, 100, 101, 105, 107, 110 Boccioleto 89, 113 Bologna 22, 50, 86 Bolzaneto (Ge) 24 Bondy (Seine-Saint-Denis) 111 Bordeaux (Gironde) 66, 67, 88, 104 Borgo d’Ale 76 Borgosesia 72, 76, 77, 88, 112, 113 Boulogne-Billancourt (Hauts-de-Seine) 108 Bourg-Madame (Pyrénées-Orientales) 102 Brasile 22, 25, 26, 96, 97 Brennero 110 Briançon (Hautes-Alpes) 102 Briga (Svizzera) 103 Broni (Pv) 75 Brunete (Madrid) 88, 101, 110, 131, 132, 175 Brusnengo 74 Bruxelles (Belgio) 28, 110, 116 Buchenwald (Germania) 108 Buenos Aires (Argentina) 93, 104 Bujalaroz (Saragozza) 97 Burgos (Spagna) 173, 174 * Non sono state considerate le voci Italia e Spagna. Delle località vercellesi, biellesi e valsesiane non è stata riportata la sigla della provincia.Di ogni frazione di comuni delle province di Biella e Vercelli è indicato, tra parentesi, il capoluogo (situazione al 2014); per i comuni al di fuori delle stesse sono indicate le province di appartenenza all’epoca (per i comuni del Canavese è indicato anche il cambio di provincia nell’immediato dopoguerra); per i comuni francesi è indicato il dipartimento, per quelli spagnoli la provincia (per i capoluoghi lo stato); per altre località lo stato di appartenenza. 184 Camandona 103, 113 Campillo de Llerena (Badajoz) 62, 100, 102, 108, 110, 159 Canada 166 Candelo 108, 109, 113 Cannes (Alpes-Maritimes) 92 Cap-Martin (Alpes-Maritimes) 101 Caraman (Haute-Garonne) 96 Carbonia (Ca) 134 Carcassonne (Aude) 54, 159 Casa de Campo (Madrid) 62, 93, 94, 97, 99101, 107, 109, 110, 169 Casale Monferrato (Al) 74 Caspe (Saragozza) 56, 90, 91, 94, 101, 103, 107 Castelnau-Durban (Ariège) 96 Castelnovo del Friuli (Ud) 68 Catalogna 15, 19, 56, 82, 128, 159, 160, 163, 167, 171, 173, 175 Cavaglià 72, 94, 97, 108, 113 Cecoslovacchia 161, 164, 166 Cenicientos (Madrid) 19, 97, 173 Ceresane (Mongrando) 59, 63 Cerro de los Angeles (fronte di Madrid) 39, 93, 94, 97, 99, 104, 107, 110, 123, 168, 169, 174 Cerro Muriano (Cordoba) 132 Cerro rojo v. Cerro de los Angeles Cervo, valle 80 Chambéry (Savoie) 112 Chapinería (Madrid) 19, 22, 23, 24, 29, 97, 174 Chardanne (Svizzera) 76 Cherbourg (Manche) 96 Chiavazza (Biella) 100, 109 Cina 164 Civitavecchia (Rm) 26, 155 Clifton (Usa) 93 Colonia (Germania) 109 Como 95, 157 Connecticut (Usa) 93 Corbera d’Ebre (Tarragona) 92 Cordova (Spagna) 132 Cossato 81, 89, 93, 100, 113 Cossila (ora fraz. di Biella) 99, 113 Costigliole d’Asti (At) 50 Cuba 14 Curanuova (Mongrando) 59 Curino 71, 98, 113 Dachau (Germania) 108 Desana 76 Detroit (Usa) 74 Domodossola (No) 70, 98 Dorzano 93, 113 Drancy (Seine-Saint-Denis) 22 Eaubonne (Val-d’Oise) 91 Ebro, fiume 56, 57, 160, 161 Ebro, fronte 90, 91, 94, 95, 101-103, 106, 107, 159-162, 175 Elvo, valle 81 Emilia-Romagna 22, 47, 96, 105 Estremadura 55, 56, 62, 90, 94, 95, 101, 106, 109, 157, 159 Etiopia 7 Farlete (Saragozza) 55, 94, 101, 107, 108, 110 Figueras (Girona) 159 Firenze 85, 105 Fombio (Mi) 76 Fontecchio (Aq) 76 Forlì 22 Fossoli (Carpi, Mo) 24 Francia 8, 14, 19, 21, 22, 25, 26, 28, 29, 38, 40, 47, 51, 53, 56-61, 63, 65, 67-70, 72, 74, 75, 77-83, 87-104, 106-115, 117, 123, 124, 155, 157, 159-161, 164-167, 171, 172, 176 Fubine (Al) 82 Fuentes de Ebro (Saragozza) 54, 55, 89, 92, 101, 107, 108, 110, 160 Gaglianico 89, 90, 95, 113, 119 Gandesa (Tarragona) 56, 102, 162, 175 Gardanne (Bouches-du-Rhône) 107 Gattinara 71, 72, 74, 76, 92, 111, 113 Genova 85, 89 Germania 7, 8, 20, 57, 58, 114, 115, 164, 165, 173, 174, 175, 176 Getafe (Madrid) 168 Giappone 164, 175, 176 Gibilterra 173 Gijón (Asturias) 175 Ginevra (Svizzera) 98, 114, 163 Gordola (Svizzera) 98 Gran Bretagna 8, 88, 113, 161, 165, 166, 176 Granada (Spagna) 133 Grañen (Huesca) 135 Granze (Pd) 90 Grenoble (Isère) 103, 105, 111 Guadalajara (Spagna) 62, 88, 91, 98, 100, 101, 105, 107, 131, 134, 136, 143, 144, 157, 169, 170, 174 Guadarrama, sierra (fronte di Madrid) 131, 140, 175 Guernica (Vizcaya) 127, 174 Gurs (Pyrénées-Atlantiques) 28, 29, 57, 58, 8991, 93, 94, 98, 101, 102, 106-110, 115 Huesca (Spagna) 88, 89, 92, 98, 100-102, 109, 110, 115, 131, 137, 173 185 Inghilterra 7, 14, 165 Irún (Guipúzcoa) 19, 96 Istonio (ora Vasto, Ch) 94 Istria 23 Ivrea (Ao ora To) 103 Marche 29 Marocco 90 Marsiglia (Bouches-du-Rhône) 24, 66, 70, 93, 94, 101, 103, 111, 115, 167 Marzabotto (Bo) 24 Jaén (Spagna) 54, 160 Jarama, fiume (fronte di Madrid) 75, 174 Jarny (Meurthe-et-Moselle) 74 Jugoslavia 13, 58 Masserano 71, 115 Mathi (To) 111 Menton (Alpes-Maritimes) 89-91, 94, 101, 102, 106, 109 Mercato Saraceno (Fo) 22 Messico 58 Mezzana Mortigliengo 66, 104, 113 Milano 24, 25, 51, 70, 75, 76, 97, 100, 105, 114 Mirabueno (Guadalajara) 46, 62, 91, 98, 99, 101, 105, 107, 110, 172 Modane (Savoie) 95, 96, 103 Monaco (Baviera) 13, 161, 164 Monaco, principato 87, 97, 113 Moncenisio, valico di frontiera 77 Moncrivello 75 Monferrato 82 Mongrando 59, 60, 61, 63, 64, 66, 72, 78-80, 90, 91, 94, 99, 105, 106, 109, 113 Montbélliard (Doubs) 103 Monteveglio (Bo) 22 Montevideo (Uruguay) 93 Montreuil (Seine-Saint-Denis) 61, 63, 105 Morata de Tajuña (Madrid) 62, 75, 88, 91, 100, 142 Mosca (Urss, ora Russia) 13, 14, 16, 23, 24, 28, 38-41, 44-48, 52, 67, 86, 104-106, 172 Mosso Santa Maria 89 Mulhouse (Haute-Rhin) 60. 105 Murcia (Spagna) 56, 88, 101, 102, 159 Kienthal (Svizzera) 24, 25 La Mancia 159 La Seyne-sur-Mer (Var) 99 La Tronche (Isère) 95, 111, 112 Lampedusa (Ag) 108 Lantosque (Alpes-Maritimes) 74 Lazio 29 Le Vernet (Ariège) 29, 58, 89-91, 93, 94, 96, 97, 101, 102, 106-110, 112, 117 Leningrado (Urss, ora San Pietroburgo, Russia) 25, 96 Lérida (Spagna) 55, 128, 159, 175 Les Milles (Aix-en-Provence, Bouches du Rhône) 97 Levante (ora Comunidad Valenciana) 56, 109, 159 Liechtenstein 89, 113 Liguria 29 Lione (Rhône) 26, 100, 111 Livorno 25 Livorno Ferraris 103, 113 Lombardia 22, 45, 96, 100 Londra 173 Lorient (Finistère) 98 Loriol-sur-Drôme (Drôme) 103 Losanna (Svizzera) 74 Lucera (Fg) 75 Lugano (Svizzera) 22, 70 Lussemburgo 21, 29, 89, 102, 109, 113 Luzzara (Re) 24 Madrid 19, 27, 29, 39-41, 45, 48, 54, 62, 66, 67, 88, 94, 96, 97, 99, 106, 114, 123, 129, 131, 132, 138, 143, 164-176 Madrigueras (Albacete) 167 Magnano 107, 111, 113 Mahora (Albacete) 99 Maierato (Cz) 89 Majadahonda (Madrid) 46, 91, 98, 100, 101, 105, 107, 172 Malaga (Spagna) 70, 174 Manciuria 164 186 Nervi (Genova) 102 Neuilly-Plaisance (Seine-Saint-Denis) 89 New Jersey (Usa) 93 New York 74, 88, 93, 98 Nicolaev (Urss, ora Ucraina) 28 Nizza/Nice (Alpes-Maritimes) 74, 97, 111 Novara 24, 25, 96, 105, 110 Nuova Castiglia 62 Occhieppo Inferiore 91, 111, 113, 119 Occhieppo Superiore 106, 113 Odessa (Urss, ora Ucraina) 52 Orihuela (Alicante) 159, 163 Oropesa (Toledo) 41 Ospedaletti (Im) 97 Padova 90 Paesi baschi 174 Palazzolo Vercellese 95, 100 Palestro (Pv) 109 Parigi 20, 22, 27, 29, 40, 41, 53, 59-63, 6769, 74, 79, 80, 82, 88-90, 92, 96, 97, 99, 101, 102, 105, 108, 110, 115-117, 133, 158, 159, 166, 170, 172, 174 Parma 26 Paterson (Usa) 88 Pau (Pyrénées-Atlantiques) 57 Pelahustán (Toledo) 19, 20, 22, 29, 97 Pelato, monte v. Aragón, monte Perpignan (Pyrénées-Orientales) 69, 90, 167 Perugia 19 Peschici (Fg) 76 Pettinengo 74 Piccolo San Bernardo, valico di frontiera 77 Piemonte 29, 100, 105 Pinerolo (To) 74 Pola (ora Croazia) 23, 28 Pollone 88, 113 Pomarico (Mt) 76 Ponderano 117 Portogallo 164, 176 Portogruaro (Ve) 90 Portolongone (ora Porto Azzurro, Li) 26 Pozorrubio (Toledo) 99 Pozuelo de Alarcón (Madrid) 39, 46, 99, 104, 107, 110, 172 Pralungo 70, 71, 75, 76, 157 Prat de Llobregat (Barcellona) 97 Quarona 92, 113 Quintanar del Rey / de la República (Cuenca) 54, 159, 163 Quinto (Saragozza) 143 Real Cenicientos v. Cenicientos Renicci (Anghiari, Ar) 92, 103 Rio de Janeiro (Brasile) 93 Rivignano (Ud) 74 Roasio 74 Roma 23, 45, 59, 61, 70, 79, 85, 92, 93, 105, 106, 114, 116, 158, 174 Ronco Biellese 108, 113 Rosazza 80, 101, 113 Rosignano Solvay (Rosignano Marittima, Li) 23 Russia 8, 62, 72 Ruta (Mongrando) 59 Sagliano Micca 99, 113 Saint-Cyprien (Pyrénées-Orientales) 29, 63, 95, 101, 104, 107, 109, 110, 114 Saint-Fons (Rhône) 102 Saint-Imier (Svizzera) 76 Sala Biellese 117 Salamanca (Spagna) 67, 75, 133 Salsomaggiore (Pr) 107 Salussola 110, 113 San Germano Vercellese 77 San Giovanni Valdarno (Ar) 51 San Sebastián (Guipúzcoa) 19, 41, 89, 173 Sanremo (Im) 93 Sant Pere Pescador (Gerona) 136 Sant’Eurosia (Pralungo) 157 Sant’Onofrio (Cz) 89 Santa Maria Capua Vetere (Ce) 114 Santander (Cantabria) 89, 175 Santhià 102, 113 São Paulo (Brasile) 96 Saragozza (Spagna) 54, 97, 101, 131, 143, 159 Sardegna 29 Sariñena (Huesca) 97 Sassari 26 Savoia 111 Scipione (Salsomaggiore, Pr) 107 Serralunga di Crea (Al) 74 Serravalle Sesia 111 Sessera, valle 78, 81 Sicilia 29 Siderno (Rc) 76 Sierra de Cavalls 24, 94, 102, 162, 163 Soprana 75, 77 Stati Uniti d’America 14, 66, 74, 87, 88, 93, 98, 113-115, 166 Strona 83 Strona, valle 72, 78 Subbiano (Ar) 105 Svizzera 21, 24, 29, 60, 70, 75, 87-89, 93, 98, 99, 103, 111-115, 157, 171 Talavera (Toledo) 41, 121 Tardienta (Huesca) 109 Teruel (Spagna) 91, 110, 175 Thonon-les-Bains (Haute-Savoie) 111 Ticino, cantone 77 Toledo (Spagna) 41 Tollegno 81, 82 Tolone (Var) 80, 97, 101 Tolosa (Haute-Garonne) 24, 29, 96 Torelló (Barcellona) 100, 163 Torino 25, 30, 45, 72, 74, 76, 77, 89-91, 93, 95, 97, 99, 100, 102, 103, 111, 117 Torricella Peligna (Ch) 89 Tortosa (Tarragona) 23 Toscana 22, 97, 105 Tremiti (Fg) 75, 76, 89, 103 Trentino 29 187 Trieste 110, 170 Trino 77, 95, 100, 113, 117 Trivero 90 Tronzano Vercellese 55, 94, 113, 117 Troyes (Aube) 92 Udine 74 Ungheria 45 Unione Sovietica 7-9, 14-16, 20, 21, 23, 25, 28, 29, 40-42, 44, 46, 47, 49, 51, 57, 58, 62, 82, 87, 95, 96, 97, 99, 104, 106, 110, 113, 114, 129, 167, 170-172 Uruguay 104 Ustica (Pa) 25, 92, 108 Valdeavero (Madrid) 62 Valencia (Spagna) 74, 91, 95, 159, 164, 169, 174, 175 Valle d’Aosta 92, 105 Valle Mosso 90 Valsesia 86, 92, 112, 113 Varallo 88, 113 Vargem Grande do Sul (Brasile) 96 Vaticano 175 Vaujours (Seine-Saint-Denis) 79 Veneto 22, 105 Venezia Giulia 22 Venezie 110 188 Ventimiglia (Im) 102, 107 Ventotene (Lt) 69, 87, 89-92, 101-103, 106, 107, 109, 110, 120 Vercellese 25, 55, 86, 100, 103, 112, 113 Vercelli 25, 39, 50, 51, 63, 66, 67, 69-71, 7476, 80, 81, 86, 89, 91-98, 100-105, 107, 109, 110, 113, 115, 116 Vercelli, provincia 53, 65, 67, 72, 86, 102 Vernet v. Le Vernet Verrone 95, 113 Vicentino 95 Vichy (Allier) 63, 75 Vicién (Huesca) 89 Vienna (Austria) 164 Vienne (Isère) 89, 94, 95 Vigonovo (Ve) 76 Villanueva del Pardillo (Madrid) 147 Villejuif (Val-de-Marne) 22, 109 Villeparisis (Seine-et-Marne) 59-62, 66, 79, 81, 90, 94, 105, 106, 109 Villeurbanne (Rhône) 100, 106 Vincennes (Val-de-Marne) 89 Viverone 107, 113, 115 Voghera (Pv) 75 Zimmerwald (Svizzera) 24 Zubiena 76, 94, 107, 113, 117 Zumaglia 74, 106, 113, 119 Indice Presentazione della 2a edizione Prefazione di Nicola Tranfaglia p. ” Prima parte: saggi Marcello Flores Considerazioni per la discussione storiografica sulla guerra civile spagnola Gianni Isola Francesco Leone e la centuria “Gastone Sozzi”. Analisi quantitativa di una leggenda Adriano Ballone Antonio Roasio e le brigate internazionali. Spontaneità e organizzazione nella guerra civile spagnola Anello Poma La gioventù antifascista biellese in difesa della Repubblica spagnola Luigi Moranino Adriano Rossetti e il gruppo di Mongrando dall’emigrazione in Francia alla guerra di Spagna Piero Ambrosio Antifascismo e guerra di Spagna: “miliziani rossi” e altri “sovversivi” nei documenti del Casellario politico centrale Gianni Perona La partecipazione dei biellesi alla guerra di Spagna: spie di una trasformazione ” 11 Seconda parte: biografie Piero Ambrosio Vercellesi, biellesi e valsesiani volontari antifascisti in Spagna 5 7 ” 12 ” 18 ” 37 ” 53 ” 59 ” 65 ” 78 ” 85 ” 86 Terza parte: immagini Pierangelo Cavanna “Simboli che sembrano documenti”. L’uso della fotografia nel “Calendario del Garibaldino 1938” Immagini scelte del “Calendario del Garibaldino 1938” ” 125 Appendice Anello Poma La guerra di Spagna: ricordi e riflessioni Antonio Roasio Un’esperienza antifascista nella Spagna della guerra civile Cronologia Indice delle persone Indice dei luoghi ” 153 ” 126 ” 137 ” 154 ” ” ” ” 164 173 177 184 189