In Spagna per la libertà - Istituto per la storia della Resistenza

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In Spagna per la libertà - Istituto per la storia della Resistenza
“In Spagna per la libertà”
Vercellesi, biellesi e valsesiani
nelle brigate internazionali
(1936-1939)
a cura di Piero Ambrosio
prefazione di Nicola Tranfaglia
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea
nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia
Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna
I
In copertina: una compagnia della 12a brigata internazionale (archivio fotografico dell’Istituto)
1a edizione: Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli “Cino Moscatelli”, 1996
Borgosesia, via Sesone, 10
2a edizione, e-book: Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese,
nel Vercellese e in Valsesia, 2016
Varallo, via D’Adda, 6
Sito web: http://www.storia900bivc.it
E-mail: [email protected]
© Vietata la riproduzione anche parziale non autorizzata
II
“In Spagna per la libertà”
Vercellesi, biellesi e valsesiani
nelle brigate internazionali
(1936-1939)
a cura di Piero Ambrosio
prefazione di Nicola Tranfaglia
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea
nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia
Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna
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Nella prima parte di questo volume sono raccolte le relazioni presentate al convegno
omonimo, organizzato dall’Istituto e dalla Città di Biella, con la collaborazione dell’associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna, che si tenne a Biella il 6 maggio 1988.
Edizione identica alla precedente, salvo alcune correzioni e precisazioni nonché una diversa impostazione grafica; non aggiornata con riferimenti bibliografici e alle nuove conoscenze nel frattempo acquisite. Nell’appendice sono state aggiunte due memorie sul tema,
di Anello Poma e Antonio Roasio, già edite nella rivista “l’impegno” nel 1986.
IV
Presentazione
Gli anniversari della storia sono un’ottima occasione per riportare in primo piano il
lavoro di ricerca e di riflessione sviluppato e per stimolare nuove indagini o la revisione
di sintesi e giudizi elaborati in contesti culturali che risentivano di un diverso clima politico o erano ancora condizionati dalla presenza forte di protagonisti degli eventi. Il discorso
vale anche per la guerra civile spagnola, che fu un capitolo saliente della conflittualità
novecentesca tra conservatorismo e reazione da un lato, progresso e democrazia dall’altro. La sua collocazione cronologica alla vigilia della seconda guerra mondiale ne fa l’atto
iniziale dello scontro tra fascismo e antifascismo in un’Europa non ancora consapevole
della tragica importanza di questo conflitto, con le potenze democratiche come Francia e
Germania rinchiuse in una neutralità che oggi appare ignava, ma che al tempo fu una scelta
diplomatica tesa a evitare che la penisola iberica diventasse il teatro anticipato della seconda guerra mondiale.
Le forze repubblicane spagnole ebbero tuttavia il sostegno di un esercito di volontari
internazionalisti giunti da tutto il mondo, mentre sull’altro fronte l’Italia fascista e la Germania nazista non mancarono di prodigare i loro aiuti ai nazionalisti reazionari guidati da
Francisco Franco. Se storiograficamente non possiamo inscrivere la guerra di Spagna dentro
la seconda guerra mondiale, non possiamo tuttavia isolarla dal contesto storico in cui
maturò e ignorare gli elementi di continuità con il conflitto che sarebbe scoppiato a pochi
mesi dal suo epilogo. Basterebbe seguire il filone della partecipazione dei volontari antifascisti biellesi e vercellesi, biografati da Piero Ambrosio nel saggio riproposto in questa
occasione, per comprendere come l’esperienza della guerra civile spagnola sia stata determinante per la formazione dei quadri di comando della guerra di liberazione che si combatté in Italia dal 1943 al 1945: vi compaiono, infatti, tra gli altri resistenti, figure come
quelle di Antonio Roasio e Francesco Leone, che furono ispettori presso il Comando generale delle brigate “Garibaldi”; Anello Poma, commissario politico del Comando zona
biellese; Annibale Caneparo, commissario politico del Comando zona della valle d’Aosta;
Adriano Rossetti, primo commissario politico della 2a brigata “Garibaldi” e poi della VII
divisione “Fillak” in Valle d’Aosta; Luigi Viana, intendente della 2a brigata “Garibaldi” e
poi membro del Cln di Aosta.
Elementi di riflessione storiografica alta che furono sviluppati nel convegno che l’Istituto dedicò al tema e che si svolse a Biella il 6 maggio 1988, con la partecipazione di
Marcello Flores, attualmente direttore scientifico dell’Insmli, Gianni Isola, Adriano Ballone, Anello Poma, Luigi Moranino, Piero Ambrosio, Gianni Perona, Pierangelo Cavanna;
gli atti furono pubblicati nel 1996, corredati dalle accurate biografie dei volontari biellesi, vercellesi e valsesiani redatte da Piero Ambrosio, da immagini scelte dal “Calendario
del garibaldino” del 1938, edito a Parigi dall’Unione popolare italiana, esemplare rarissiV
mo e forse unico, e da una appendice cronologica. La decisione di realizzare un’edizione
digitale del volume risponde da un lato all’esigenza di rendere disponibile al pubblico interessato la pubblicazione, da tempo esaurita nel formato tradizionale, dall’altro all’opportunità di celebrare l’ottantesimo anniversario della guerra di Spagna riproponendo temi
importanti, come i legami fra la dimensione storica generale e quella locale. Troppo
frequentemente, infatti, la storia del territorio è interpretata come un recinto chiuso in
cui verificare gli effetti dei fenomeni che si determinano altrove, con una prospettiva banalmente localistica, utile a soddisfare curiosità intellettuali contingenti; più fecondo e
interessante è invece l’approccio teso a misurare il contributo della dimensione periferica ai processi e agli eventi storici generali.
Affidiamo ai lettori del web quest’opera, prodotta dalla preziosa collaborazione di Piero
Ambrosio, che si inserisce in un lungo percorso di ricerca, testimonianza e divulgazione
che l’Istituto ha affrontato sul tema della guerra civile spagnola, in particolare nella rivista
“l’impegno”, ma anche nella sua produzione editoriale di saggi.
Varallo, dicembre 2016
Enrico Pagano, direttore dell’Istituto
VI
Prefazione
di Nicola Tranfaglia
Contrariamente a quanto può fare apparire il titolo o, meglio, il sottotitolo di questo
volume e del convegno che ne è alla base, mi sembra che l’insieme dei saggi che lo costituiscono dimostri sostanzialmente due cose: prima di tutto lo stretto collegamento che
esiste tra i problemi storici aperti sulla guerra di Spagna, e quindi il grande interesse e anche
i problemi che sono aperti a una ricerca come questa, una ricerca che riguarda sia l’antifascismo, sia la lotta di liberazione in Italia e che in questo momento sembra scontrarsi con
un mutamento di termini del dibattito storiografico avvenuto negli ultimi anni.
Dovrei separare in questo intervento i due aspetti: cioè parlare, da una parte, di alcuni
problemi di contenuto che riguardano la guerra civile in Spagna e il ruolo degli antifascisti
italiani in quella guerra e, dall’altra, invece, accennare ad alcuni aspetti di metodo che
emergono in maniera molto chiara in alcuni degli interventi e che vanno ripresi.
Non c’è dubbio, come mi sembra dimostri con molta chiarezza Marcello Flores nella
sua relazione, che la guerra di Spagna è stata vista per lungo tempo non tanto come quello
che effettivamente fu, e cioè un episodio nella lunga guerra ininterrotta che attraversa gli
anni trenta e che si ricongiunge alla seconda guerra mondiale, ma come qualcosa, in fondo, di distaccato da quello che era successo prima e da quello che sarebbe successo poi.
Nel senso che, per esempio, un’interpretazione del fascismo italiano, che pure sembra aver
conquistato un ruolo notevole sia nelle università, sia nei mezzi di comunicazione di massa, tende ancora oggi in modo molto insistente, molto sottolineato, a interpretare la vicenda del regime fascista rispetto alla guerra di Spagna come se l’intervento italiano fosse un episodio di una politica estera che non aveva ancora scelto le proprie mete, che non
aveva ancora individuato i propri obiettivi e che si muoveva sempre secondo mosse tattiche.
Questo tipo di interpretazione tende a vedere la guerra di Spagna come un episodio del
pendolarismo tra le democrazie occidentali e la dittatura tedesca e quindi a interpretare la
scelta di Mussolini di entrare in guerra nel 1940 come un episodio ulteriore che si aggiunge ai precedenti e che ha scarso rapporto sia con la rottura con l’Inghilterra, consumata attraverso l’impresa d’Etiopia, sia con l’intervento nella guerra di Spagna a fianco della
Germania nazista e di nuovo contro sicuramente l’Unione Sovietica, ma in fondo anche
contro quelle potenze occidentali che pure scelgono la strada del non-intervento.
Così, ad esempio, nell’ultimo volume della biografia di Mussolini scritta da Renzo De
Felice si insiste per decine e decine di pagine sulle incertezze del duce, tra il marzo e il
giugno 1940, prima di decidere la guerra e si dà un’enorme importanza al fatto che Mussolini da una parte e Ciano dall’altra fossero indecisi sul momento di entrare in guerra,
come se tutto quello che era avvenuto negli anni trenta, ripeto: incominciando soprattutto
dalla guerra d’Etiopia, non fosse stata la premessa necessaria dell’intervento in guerra a
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fianco della Germania nazista. Quest’interpretazione nel mondo anglosassone viene di
continuo ripresa e riportata come l’interpretazione prevalente nella storiografia italiana.
Ora mi sembra che Marcello Flores metta in evidenza con molta chiarezza quale sia il senso
della guerra di Spagna rispetto alla politica italiana, sia rispetto alla politica del movimento operaio internazionale.
Sempre parlando della guerra di Spagna in questa fase di transizione che caratterizza la
politica europea e occidentale, mi sembra molto importante e da riprendere l’annotazione
che si fa, sul declino dell’internazionalismo proletario. Io ho l’impressione effettivamente che la guerra di Spagna segni uno degli ultimi momenti della tradizione internazionalista, sia dei socialisti che dei comunisti. Quella dei socialisti si era già trovata di fronte
alla crisi della prima guerra mondiale ma quella dei comunisti ancora no, e nonostante le
critiche molto forti, venute anche da gruppi che si riconoscevano nel comunismo, alla
gestione nazionalista da parte dell’Unione Sovietica della III Internazionale, anche da quelle
parti tuttavia c’era la speranza, l’auspicio e la fede, che l’internazionalismo comunista
potesse non andare incontro alle sconfitte che aveva avuto l’internazionalismo socialista
e segnasse una nuova fase. Ora non c’è dubbio che la guerra di Spagna sia l’ultimo avvenimento in cui questo internazionalismo si dispiega pienamente.
Non c’è dubbio, infatti, che le lotte di liberazione, pur nell’unità di una serie d’ideali
complessivi, segnino un momento di necessario ripiegamento all’interno delle realtà nazionali, e questo non è qualcosa a cui guardare con un giudizio storico negativo, ma è qualcosa di cui prendere atto e che troverà la sua piena realizzazione attraverso i trattati di pace
e la sistemazione mondiale che avverrà dopo la seconda guerra mondiale.
Si tratta di un punto, secondo me, che la storiografia, non solo italiana, ha poco approfondito e che andrebbe ripreso. Come d’altra parte mi sembra che l’altro binomio che si
evoca, quello del rapporto tra democrazia e socialismo, anche qui attraverso la guerra di
Spagna, trovi un momento di verifica particolare ed è molto significativo, riportandoci a
quelle che sono le tendenze storiografiche di oggi, in fondo una differenza di giudizio che
la storiografia del secondo dopoguerra registra tra il giudizio sulla democrazia occidentale e il giudizio sul socialismo.
È singolare che l’analisi della politica interna e internazionale delle democrazie occidentali fra le due guerre mondiali sia sottoposta di solito a una critica abbastanza forte, e
questa è una critica nei fatti, perché se studiamo la storia non soltanto dell’Italia e della
Germania, ma la storia della Francia e della Gran Bretagna negli anni fra le due guerre
mondiali, ci troviamo di fronte a delle significative cadute del regime democratico, sia
dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista politico, sia dal punto di vista sociale.
Ebbene curiosamente, però, la storiografia di cui parlo, cioè la maggior parte della storiografia occidentale, ricostruisce in qualche modo la fede nella democrazia per quello che
successe attraverso la Resistenza e nel dopoguerra.
Curiosamente questo non avviene per il socialismo: dopo il giudizio negativo che matura sul socialismo così come si è realizzato nella Russia di Stalin, la parola socialismo
diventa sinonimo comunque di fallimento, come se esistesse soltanto quella forma, come
se non ci fossero altre possibilità di realizzazione del socialismo, e questo ci fa vedere in
qualche modo una notevole egemonia, credo, oggi almeno, di una storiografia che si rifà
particolarmente a una serie di pregiudizi ideologici.
Da questi problemi generali, che però mi sembrano molto importanti per collocare la
guerra civile di Spagna all’interno di una vicenda occidentale e mondiale, che ha successi8
ve tappe, ma che effettivamente con la guerra di Spagna sembra chiudere, per alcuni aspetti, un periodo e aprirne un altro, passiamo a problemi che sono collocabili in un quadro più
limitato; mi sembra che dai saggi emergano alcuni spunti sempre di contenuto che sono
molto interessanti e voglio accennare ad alcuni.
Penso per esempio allo spunto che emerge dalla relazione di Adriano Ballone a proposito della difficile questione, che ancora oggi non ha trovato, mi pare, nella storiografia
internazionale, una sistemazione adeguata, della politica della III Internazionale nei confronti della guerra di Spagna. Intendiamoci, non ha trovato una sistemazione non perché
non siano stati messi in luce con chiarezza, e attraverso una documentazione adeguata, gli
aiuti che l’Unione Sovietica ha dato alla Repubblica spagnola, aiuti indubbiamente superiori a quelli di qualunque altro Paese, di qualunque altro regime. Ma noi non disponiamo
ancora oggi degli archivi del Partito comunista sovietico e della III Internazionale e questo costituisce per tutti gli storici un grave ostacolo all’approfondimento della ricerca in
maniera compiuta. L’annotazione di Ballone sul ritorno di una parte notevole dei dirigenti
comunisti inseriti nella III Internazionale o legati alla III Internazionale dalla Spagna abbastanza presto, abbastanza prima che fosse obiettivamente chiara la sconfitta della Repubblica spagnola è un elemento che andrebbe approfondito.
Così andrebbe approfondito il discorso che si fa in altri interventi su ciò che io chiamerei i ritmi e le caratteristiche dell’emigrazione politica e sul rapporto tra emigrazione
politica e emigrazione di lavoro. Mi sembra che anche su questo si stiano preparando una
serie di strumenti molto utili, e in questo gli istituti della Resistenza hanno avuto finora
una funzione estremamente importante, ma mi sembra che si sia fatta in generale ancora
poca strada, soprattutto a livello nazionale, per approfondire quella che è stata una vicenda
di importanza eccezionale, vedendola naturalmente, come sostiene Gianni Perona, dai due
punti di vista: dal punto di vista dell’emigrazione in se stessa e dal punto di vista della politica del fascismo nei confronti dell’emigrazione. Si tratta di ricerche molto lunghe e per
lo stato delle nostre fonti non facili, ma sono, mi pare, quelle che riescono meglio a far
vedere una vicenda che non ha soltanto contorni politici ma anche grandi contorni sociali
ed umani ancora da indagare.
Un altro punto molto significativo che si tocca riguarda un problema che negli anni
sessanta era stato esaminato a fondo, che ogni tanto riemerge nella storiografia italiana,
ma che mi pare abbia bisogno di maggiori precisazioni: il rapporto tra il movimento antifascista e la guerra di liberazione. Su questo io condivido le osservazioni di Perona sulla
situazione biellese e devo dire che ho l’impressione che queste osservazioni siano valide
per la realtà biellese e che in altre zone del Paese le cose siano andate in modi diversi e
quindi si tratterebbe, per cercare di analizzare il problema a livello nazionale, di comporre
un mosaico di questa situazione in modo da rispondere meglio alla domanda sul peso che
l’antifascismo ha avuto rispetto al dispiegarsi della Resistenza. Se si farà una ricerca analitica a livello nazionale, si scoprirà una notevole continuità tra l’uno e l’altro fenomeno,
che spesso è una continuità della vita di uomini e che ha anche un peso, un’importanza nel
tipo di resistenza che c’è stata in Italia, diversa da quella di altre resistenze che oggi si tende
a dimenticare.
Se rispetto a questi problemi di contenuto ho accennato solo a quelli che mi sono parsi, per molti aspetti, di particolare importanza per quanto riguarda i problemi di metodo,
credo che ci siano due aspetti che emergono in modo chiaro e che vadano ripresi: da una
parte si indica - lo fa Gianni Isola - l’interesse di quella che per esempio gli anglosassoni
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praticano da molto tempo, ma che in Italia effettivamente è poco praticata, la cosiddetta
storia politica quantitativa, che è l’uso dei termini quantitativi per indagare quelle che non
sono più tanto idee, quanto comportamenti, atteggiamenti, analisi di gruppi sociali piccoli
o grandi che siano. Isola lo ha fatto per la centuria “Sozzi “, è chiaro che si può fare in molti
altri casi e livelli.
L’altro aspetto importante, su cui mi pare gli istituti della Resistenza abbiano lavorato
molto, è quello delle biografie e delle memorie dei militanti. La storiografia italiana ha
lavorato per troppo tempo e, a livello accademico, continua ancora a lavorare su quelle
che, per una ragione o per l’altra, sono definite personalità d’eccezione. Il problema, nel
ricostruire la storia sia del movimento antifascista che della Resistenza, è anche quello di
ricostruire complessivamente quella che è stata l’esperienza politica e sociale di gruppi
anche estesi. Da questo punto di vista le memorie, le biografie, avendo oggi anche la possibilità di usare strumenti visivi, mi sembra siano una direzione da seguire in modo molto
chiaro.
Complessivamente mi sembra che l’elemento più interessante del convegno e di un
volume come questo sia la capacità di collegare i problemi generali della storiografia sul
movimento antifascista e sulla Resistenza con una storia locale che non è chiusa in se stessa
ma che vuole, per alcuni aspetti, suggerire alla storia nazionale i terreni e gli interrogativi
su cui andare avanti.
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Prima parte
Saggi
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Considerazioni per la discussione storiografica
sulla guerra civile spagnola
di Marcello Flores
La guerra di Spagna è stata più volte oggetto, negli ultimi anni, di una riflessione
storiografica nuova. Quest’ultima si è mossa perlopiù seguendo due direzioni: da una
parte c’è stata una riflessione incentrata sugli aspetti più interni alla storia della Spagna, una riflessione che tendeva cioè a vedere la guerra di Spagna entro una cornice
più ampia, a partire almeno dalla nascita della Repubblica e dall’inizio degli anni trenta, ma che riguardava più in generale tutta la storia del Paese. È quello che soprattutto hanno tentato di fare molti storici spagnoli che, a partire dalla morte di Franco, si
sono mossi in questa direzione più globalmente sociale che non politica. Dall’altra ci
sono stati approfondimenti di carattere più locale che, in alcuni casi, hanno avuto come
centro il problema dei volontari internazionali; un problema che ha finalmente cessato di essere solo un momento di celebrazione o di ricordo, seppure su un piano dignitoso e elevato, per divenire parte integrante della più generale riflessione storiografica.
Mentre la storiografia più generale si muoveva approfondendo temi sociali, culturali ed economici, la riflessione sulla storia e sulla partecipazione dei volontari ha permesso, pur con limiti e con particolarità, spesso con contraddizioni, che si rimanesse
ancorati a un livello politico e al piano internazionale della vicenda di Spagna all’interno della discussione storica. Sia il livello politico che quello internazionale, infatti,
sono stati spesso abbandonati a favore di una ricerca rivolta più verso le istituzioni
spagnole. In passato la partecipazione alla guerra di Spagna dei volontari internazionali è spesso stata vista come l’inizio di una fase storica nuova; e cioè solo nell’ottica
successiva della Resistenza, come preparazione e prodromo alla Resistenza stessa, o
come battesimo del fuoco, militare, di un antifascismo che finalmente poteva anche
prendere le armi in mano.
Proprio partendo dal punto di vista dell’ottica della partecipazione dei volontari è
possibile svolgere alcune riflessioni, che sono state già suggerite in alcune ricerche e
che credo possano rappresentare una ipotesi feconda per la discussione storiografica.
Molto sommariamente si tratterebbe di vedere la partecipazione dei volontari alla guerra
di Spagna come un momento che non è né iniziale né finale, ma piuttosto un momento transitorio, di passaggio, molto importante nella storia del movimento operaio di
questo secolo e che proprio le vicende e l’atteggiamento dei volontari evidenziano in
modo particolare. Il 1936, che segna l’inizio della guerra di Spagna, è un anno che
vede in fermento e insieme in crisi il movimento operaio: è una crisi in gran parte di
crescita e di allargamento, una crisi positiva, di superamento di settarismi precedenti
e di modificazioni strategiche, è una crisi che propone nuovi rapporti e nuove alleanze; è anche però un momento di transizione che l’inizio della politica dei fronti popo12
lari fa invece apparire, soprattutto all’epoca, come l’inizio di una fase democratica e
rivoluzionaria.
Se infatti guardiamo più complessivamente a tutto il decennio degli anni trenta,
vediamo che il ’36 rappresenta il momento più innovativo, più positivo, più di crescita in una fase che però è complessivamente di grandi sconfitte. Gli anni trenta si aprono
con la vittoria di Hitler e si chiudono con il patto russo-tedesco, due momenti diversissimi tra loro, ovviamente, che però caratterizzano una crisi vissuta drammaticamente
anche dal movimento operaio. La fase nuova, da un punto di vista storico, si aprirà
dopo: prima con l’alleanza antifascista del 1941-45, poi, in modo ancora diverso, con
gli anni della guerra fredda. In questo periodo di crisi degli anni trenta, invece, i due
momenti salienti, attorno a cui tra l’altro ancora adesso la riflessione storiografica e
non solo storiografica si appunta spesso, sono: quello che succede a Mosca, vale a
dire il VII Congresso dell’Internazionale, che lancia i fronti popolari; la nuova Costituzione sovietica e poi i processi drammatici e tragici che hanno luogo dal ’36 al ’39;
e la guerra di Spagna, che vive anche, ovviamente non solo, di riflesso, drammaticamente, tutto quello che succede a Mosca. In Spagna si evidenzia un primo paradosso: che la scelta democratica della strategia dei fronti popolari, la scelta cioè di alleanza non solo con gli altri partiti socialisti ma con la borghesia democratica, e quindi la
scelta di mettere momentaneamente da parte, o comunque proiettare più nel futuro,
la lotta socialista, coincide con un momento preciso di guerra civile in Spagna, che
era tipico della posizione che Lenin, nel corso della prima guerra mondiale, aveva
previsto come momento iniziale di una fase rivoluzionaria. E necessario sottolineare
questa contraddizione, che non può essere risolta solamente ricordando i giusti e necessari cambiamenti che le strategie del movimento operaio debbono avere; anche
perché questo paradosso non sarà più vero durante e dopo la seconda guerra mondiale, quando il problema della guerra civile come possibile spunto iniziale per una
guerra civile rivoluzionaria di fatto non esiste più, se non in alcune zone particolari,
per esempio in Jugoslavia. La Spagna si presenta quindi come momento di raccordo
tra la prima e la seconda guerra mondiale, che sono sì collegate da molti tratti comuni
ma che rappresentano anche l’inizio e la fine di un periodo: un periodo che alcuni storici
hanno paragonato alla guerra dei trent’anni di secoli addietro, e che rappresenta il
momento più grosso di crisi in cui si evidenziano, giungono a maturazione, si esasperano tutti i momenti di crisi del mondo moderno e contemporaneo.
La logica internazionale che presiede alla nuova fase dei fronti popolari è riassunta in realtà da un punto di vista della grande storia: non da quello che sarà l’eroico
atteggiamento dei volontari ma dal non-intervento, che è stato ricordato come un problema importantissimo anche per valutare l’insuccesso finale della guerra di Spagna e
della Repubblica spagnola. Il fallimento del non-intervento e la gravità degli effetti che
ebbe in Spagna e altrove avrebbero potuto mettere in discussione tutta la logica del
Fronte popolare? È possibile rispondere positivamente a questo interrogativo anche
se bisogna ricordare che la situazione non è assolutamente lineare, ci sono molte contraddizioni, incongruenze, zig-zag sia nella storia dei fronti popolari che nella storia
del non-intervento. Il non-intervento tuttavia non evita né l’allargamento del conflitto, né la capitolazione che le democrazie occidentali avranno a Monaco, né la seconda guerra mondiale. Sancisce invece, anche se questo è possibile vederlo solo in seguito, il fallimento di rivoluzioni autoctone, indigene, del modo in cui la rivoluzione si
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era rappresentata e si era costruita strategicamente all’inizio del secolo: cioè come rivoluzione internazionale, ma che non poteva che avere nelle singole realtà nazionali
la sua ragion d’essere e le sue motivazioni profonde. Da un punto di vista storico
occorrerà aspettare parecchio, fino all’esperienza di Cuba, e in un periodo quindi
caratterizzato da tutt’altre vicende, e alle lotte coloniali dell’indipendenza nazionale
del Terzo mondo, perché si riproponga la possibilità di una rivoluzione autoctona,
indigena; naturalmente in Europa la situazione è divenuta nel frattempo completamente
diversa.
Il secondo e più grave paradosso che ci insegna la Spagna è che nel momento in
cui c’è il massimo esempio individuale e collettivo di solidarietà e di internazionalismo, da un punto di vista politico-strategico si assiste alla fine dell’internazionalismo
ed al prevalere, anche nella logica del movimento operaio, degli interessi nazionali.
Anche questo avviene in modo molto contraddittorio, ma se noi guardiamo al comportamento del movimento operaio, complessivamente preso, in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti e nella stessa Unione Sovietica, vediamo che in realtà c’è questo passaggio che non è immediato, che non è brusco, ma che si evidenzia proprio in
questi anni: dall’internazionalismo del tipo di quello che era rinato attorno alla prima
guerra mondiale a, invece, un prevalere di interessi nazionali che sarà quello che caratterizzerà poi la seconda guerra mondiale.
Nella realtà quotidiana, e anche nel mito, nella memoria collettiva e persino nella
storiografia, si è dato naturalmente spazio alla spinta dal basso, alla solidarietà degli
internazionalisti; una solidarietà che, è bene ricordarlo, è stata quasi sempre incanalata e organizzata proprio da quei partiti che strategicamente cominciarono a modificare nel senso nazionale la propria strategia.
È questa partecipazione che maschera la coscienza drammatica della perdita di
questa strategia internazionalista. Una perdita soggettiva, da ascrivere a colpe di questo o quel partito, di questo o quel dirigente; siamo in presenza di una fase di transizione, una fase dinamica che coinvolge per spinte, in gran parte oggettive, tutto il
movimento operaio. Abbiamo così in questi anni l’Internazionale socialista, e i suoi
partiti, preda di immobilismo e di attendismo e l’Internazionale comunista che ha invece come riferimento privilegiato a cui subordinare tutto il resto il richiamo a Mosca
e all’Unione Sovietica.
La prevalenza di interessi nazionali non è avvertita come tale perché è inserita nella
necessità della lotta antifascista: questa enorme necessità serve ovviamente a giustificare e anche a dare un altro senso a quello che avviene in questi anni, ma tuttavia
non permette la partecipazione antifascista (che avviene soggettivamente da parte dei
singoli, ma anche dei partiti) in una chiave di solidarietà internazionale, non riesce a
mascherare del tutto questa svolta strategica: che è molto profonda e che avviene, questo
è da tener presente, proprio nel momento in cui si aggrava ed anzi si arresta quasi del
tutto la credibilità delle democrazie occidentali. Succede, cioè, che nel momento in
cui le democrazie occidentali non riescono più ad offrire e a dare alla parola democrazia e all’identità nazionale un loro significato, emerga il tentativo del movimento
operaio di impadronirsene attraverso una modificazione della propria tradizione passata. Una rottura della tradizione che non viene risolta appieno, di cui non si è pienamente consapevoli proprio perché c’è la necessità enorme della lotta antifascista da
concludere.
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Il terzo paradosso è appunto quello della scelta di una nuova democrazia. Per quanto
si insista molto sull’aggettivo, esso significa fondamentalmente l’inizio di una scelta
diversa, di puntare sulla democrazia più che sul socialismo come obiettivo immediato
da parte di tutto il movimento operaio. In questo 1’Internazionale comunista e quella
socialista sono abbastanza simili, non a caso in Spagna le gioventù dei due partiti riescono a collaborare pienamente proprio quando la democrazia sembra consumare la
lunga agonia che era iniziata con l’arretramento di fronte ai fascismi. È un’agonia che
però non porterà alla morte, tutt’altro: la democrazia si risveglierà completamente rinnovata dalle ceneri della seconda guerra mondiale e in questo suo risorgere grandissimo merito andrà naturalmente al movimento operaio. Questo però significa che fra
l’ipotesi e la cornice politica, ma anche psicologica, della rivoluzione, che si attende e
che si prevede rapida negli anni dopo la prima guerra mondiale, si passa a una fase
molto diversa e tra queste due fasi c’è la guerra di Spagna, che incarna questo drammatico momento di passaggio.
La tragedia della seconda guerra mondiale, almeno dal ’41 in poi, sembrerà purificare ed azzerare, insieme a tutti gli errori passati, le posizioni e le incomprensioni
degli anni trenta. È però forse possibile sostenere che si trattava di una tragedia evitabile, almeno come era evitabile la prima guerra mondiale se un effettivo internazionalismo fosse stato operante. Naturalmente anche le cause del mancato internazionalismo della prima guerra mondiale hanno origini profonde e reali che non possono essere attribuite semplicisticamente al tradimento dei capi della II internazionale. Eppure è importante rendersi conto che un fenomeno analogo avviene anche per la seconda guerra mondiale. Naturalmente nella ideologia e nella propaganda il richiamo internazionalista rimane ed ha una sua logica importante. Qui ci si pone un problema di
carattere ancora più generale, se cioè nei grandi momenti di crisi l’internazionalismo
sia sempre destinato a perdere di fronte al risorgere, anche in forma progressista, di
fenomeni di identità nazionale che trovano una loro maggiore coesione e consenso di
massa.
Ecco: sono proprio i volontari a essere l’emblema di tutti questi paradossi che ho
cercato di illustrare. Mescolando psicologia collettiva e coerenza politica, i volontari
sono nello stesso tempo i più convinti di una inevitabilità della guerra per sconfiggere
i fascismi ma anche i più illusi che si tratterà di una guerra di popoli e non di stati;
come invece effettivamente accadrà, anche se si tratterà di stati antifascisti, per la
seconda guerra mondiale. Naturalmente questa è una differenza non piccola nel comprendere perché gli esiti della seconda guerra mondiale e la sistemazione post-bellica
saranno quelli che sono stati e perché il rinvio definitivo della prospettiva di una rivoluzione socialista finirà proprio con la seconda guerra mondiale.
Su tutte queste questioni storiografiche, naturalmente, oggi c’è molta discussione
e il nuovo dato positivo è il pluralismo e la tolleranza per le diverse posizioni, le critiche e le autocritiche che la storiografia, soprattutto questa degli ultimi anni, ha manifestato, rispetto ad una storiografia precedente, che invece era stata spesso più un
rinfacciarsi di colpe fra socialisti, anarchici e comunisti sul ruolo dell’Urss, sulla repressione in Catalogna e così via.
Oggi la discussione storiografica sulla Spagna si rivolge soprattutto ai problemi che
riguardano la natura della giovane democrazia spagnola: alcuni suggeriscono che proprio con l’inizio della guerra civile finì anche l’esperimento della democrazia spagno15
la, altri sostengono che la rivoluzione e la guerra del 1936-39 crearono in realtà una
situazione di disordine che favorì una sorta di proliferazione di poteri autonomi e che
quindi è impossibile fare una sintesi della realtà spagnola di quegli anni. Si è parlato di
rivoluzione immatura, di una necessità di lotta in armi che non poteva che spingere
anche verso una dimensione rivoluzionaria e di una struttura sociale invece immatura
per la rivoluzione.
Si è posta molta attenzione alle onde lunghe della storia, alle strutture profonde della
società e della realtà spagnola di tutto il Novecento, rivedendo in quest’ottica tutto il
problema contadino ed anche il problema religioso e quindi riconsiderando complessivamente anche la storia degli anarchici, che erano la realtà politicamente più forte
all’inizio della guerra, e il problema di come far convivere una società arretrata con
un bisogno di modernizzazione, il peso di una comunità con le nuove tendenze centralizzatrici; tutto ciò entro la problematica di una rivoluzione possibile, mancata o
immatura, ma vista prevalentemente come fatto spagnolo. E quindi si è manifestata
una nuova attenzione al problema del centralismo, della burocrazia, delle istituzioni,
dei corpi separati, delle minoranze e dei nazionalismi, dell’integrazione fra la società
e lo Stato, delle tendenze centrifughe di tipo autonomistico o di tipo libertario, tutti
temi che in qualche modo rimangono e sono rimasti estranei (e questo è anche un
motivo per cui si è divaricata così tanto la storiografia in questi ultimi anni) alla riflessione e alla coscienza dei volontari e dei combattenti internazionalisti.
Era inevitabile naturalmente che fosse così, e infatti anche in molte memorie dei
volontari sembra mancare una identificazione profonda, anche se non si tratta certamente di mancanza di solidarietà e di amore, con i motivi interni della rivoluzione spagnola; il risultato era stato una comprensione soltanto parziale, spesso, da parte di chi
andava a combattere per la libertà della Spagna. Rileggendo le memorie dell’antifascismo, alcune volte sembra quasi che ci sia una maggiore omogeneità, per esempio,
fra i partigiani italiani, francesi, iugoslavi e i soldati americani, inglesi o russi, proprio
da un punto di vista di identità psicologica, che non tra i combattenti internazionalisti
e gli spagnoli. Anche questo credo sia il segno di una fase di transizione che non riguarda solo la strategia, ma anche il carattere politico-psicologico del rivoluzionario,
la configurazione completa del militante internazionalista, sia che si tratti del compagno di strada, dell’intellettuale impegnato o del combattente. A questo proposito vorrei ricordare l’atteggiamento di uno dei personaggi più unici, più isolati, ma anche più
scomodi che si è confrontato con la guerra di Spagna, lo scrittore inglese George Orwell.
Egli, pur essendo, e continuando ad essere anche dopo la sua partecipazione alla guerra,
tra i più critici nei confronti dei comunisti, continuando con una polemica asprissima
in nome del socialismo, rifiutando la strategia che era offerta dai comunisti e dall’Unione
Sovietica, denunciando quella che considerava nient’altro che l’esportazione anche
in Spagna dei processi di Mosca, proprio nel ’40 faceva delle considerazioni analoghe a quelle compiute dai comunisti; di un passaggio, cioè, in direzione del patriottismo nazionale, di un recupero dell’identità nazionale e del senso della patria, che saranno parte importantissima della adesione, soprattutto dei più giovani, alla Resistenza.
Orwell parla di bisogno spirituale, di patriottismo e di virtù militari a cui ancora non
si è trovato un sostituto e che sotto altre forme e nomi erano presenti anche in Spagna nello spirito dei combattenti. Se posizioni che sono state spesso giudicate in con16
trasto fra loro, e lo sono state realmente, come quelle dei combattenti comunisti e di
Orwell, giungono nel momento della seconda guerra mondiale a soluzioni analoghe,
vuol dire che dietro di esse vi è un processo storico che travalica l’intenzione e la
coscienza degli individui e anche dei partiti. Non si tratta più solo di un problema di
psicologia collettiva, ma anche di un problema storiografico: capire in che modo interagiscono i sentimenti più profondi, collettivi dell’uomo, i miti e le memorie, e come
nel corso delle lotte esse si saldino con le politiche e le strategie che spesso cambiano
più di quello che potrebbe sembrare. Questo fu vero per tutti i volontari, ma soprattutto per i volontari intellettuali, scrittori e artisti. L’adesione alla Spagna, soprattutto
per quanto riguarda il mondo anglosassone, fu un’adesione che partì spesso dal “mito”
della Spagna, dal mito che la Spagna aveva nei confronti della cultura di lingua inglese. Il contributo di questi scrittori e di questi artisti fu di rinnovare il mito della Spagna
ma in un altro modo, dandone una caratterizzazione politica e ideale che prima non
aveva, che prima era forse più semplicemente folkloristica. Complessivamente i volontari di tutti i paesi riunirono, in qualche modo, nella loro esperienza spagnola, i tratti
comuni, ma anche le divergenze e le contraddizioni, di tutta la storia recente che il
movimento operaio si trascinava con sé. Le loro vicende politiche, che sono anche,
bisogna ricordarlo, vicende umane, personali, di gruppi, di comunità, sono dense dei
problemi, dei drammi, delle contraddizioni dell’epoca. Solo riuscendo ad aver presente
questa complessità storica, ripercorrendo come si sta facendo, con risultati grandemente positivi, in questi ultimi anni, le vicende dei volontari in tutti i paesi, non solo
in Italia, e facendo poi delle analisi più particolari, regione per regione, zona per zona,
credo che si potrà dare un contributo a questo ripensamento complessivo che la storiografia sta compiendo sul periodo tra le due guerre.
17
Francesco Leone e la centuria “Gastone Sozzi”
Analisi quantitativa di una leggenda
di Gianni Isola
“Italiani e polacchi sono i beniamini dei miliziani e dei comandanti. In pochi giorni che
sono su questo fronte hanno conquistato una tale stima e simpatia tra i combattenti della
colonna ‘Libertad’, che, alle volte, noi stessi ci domandiamo se non sia un’esagerazione.
Volete un esempio? Il nostro compagno Ca[n]nonero (detto il ‘vecchio’, e, veramente, non
è giovane) caporale dei nostri mitraglieri, un giorno, in un’operazione di ricognizione perde
la sua pipa. Per il ‘vecchio’ perdere la pipa è lo stesso che perdere una persona cara. Quella perdita era per lui irreparabile. Con la pipa aveva perduto il suo buonumore. Lo viene a
sapere un capitano della colonna, e, immediatamente, ordina una pipa per il ‘vecchio’. Ma
una pipa nuova è come un militare ‘cappella’ e Canonero continuava a sospirare la ‘vecchia’.
Allora che fa il capitano? Prende una squadra dei suoi uomini e ordina un’ispezione
minuziosa lungo il cammino dove, presumibilmente, la pipa del ‘vecchio’ è stata perduta.
I miliziani prendono tanto a cuore la loro missione che ognuno gareggia nella ricerca per
avere la soddisfazione di meritarsi la riconoscenza del ‘vecchio’. E lungo il pendio del
monte, fra erbe e sassi, ecco che la pipa viene ritrovata. Grido di gioia dei miliziani spagnoli, su di corsa, a portarla a Canonero! Si ride, raccontando di questi episodi, ma il cuore si gonfia dall’emozione...”1.
Non c’è ragione di credere che il breve aneddoto raccontato da Francesco Leone sia
frutto della pur fertile fantasia del giornalista o del propagandista; certo avendo avuto la
fortuna di conoscere il carattere generoso e impetuoso di questo “figlio delle risaie vercellesi”, lo spirito di corpo e la sua forma mentis, lo si potrebbe anche dubitare. Non è
solo la descrizione del clima di generico od occasionale cameratismo quello che circola
fra le righe, quanto piuttosto il senso di “orgoglio” per il lavoro compiuto e il riconoscimento dei primi successi di un’iniziativa appena abbozzata.
Può sembrare retorico ricordare l’icastico appello lanciato attraverso i microfoni di
Radio Barcellona da Carlo Rosselli “Oggi in Spagna, domani in Italia”: il richiamo all’unità di tutte le forze democratiche per battere il fascismo e l’esortazione a far tesoro di quell’esperienza militare per poter metterla a frutto in un futuro ancora indistinto, ma che la
passione faceva vedere assai vicino, che si sarebbe chiamata Resistenza. E i combattenti
della “Sozzi”, così come tutti i garibaldini di Spagna, si impegnarono su tutto il continente
europeo ed oltre, fino in Abissinia, a contrastare il nazifascismo nel corso della seconda
guerra mondiale.
Per superare recenti polemiche sul nesso antifascismo-democrazia non basta sottolinearne la strumentalità2; è al contrario necessario continuare nella strada da sempre intrapresa di studiare la nostra storia e di fare anzi uno sforzo ulteriore per far avanzare lo stato
delle conoscenze e per capire il complesso e articolato intreccio di cause generali e di
18
motivi personali che seppero, ad esempio, rinsaldare quell’unità antifascista che, nella
pluralità delle opinioni politiche, può render ancor viva e vitale la lezione spagnola di cinquant’anni fa.
Per cercare appunto di sottrarsi alla consuetudine delle celebrazioni e per tentare di
avanzare sul terreno della ricerca e della metodologia, mi sembra utile introdurre attraverso l’uso dei metodi quantitativi l’analisi della composizione politica, sociale, geografica della centuria “Gastone Sozzi”. Intitolata al nome del giovane dirigente comunista
cesenate, seviziato e “suicidato” nelle carceri di Perugia dai fascisti nel 19283, la centuria
si era costituita ufficialmente il 3 settembre 1936 nella caserma Karl Marx di Barcellona,
a pochi giorni di distanza dalla colonna “Ascaso-Rosselli“, ed era stata inquadrata assieme
a polacchi, belgi e francesi nella colonna “Libertad” del Partito socialista unificato di Catalogna, un complesso di novecento volontari al comando del colonnello López Tienda e
del commissario politico Virgilio Llanos. Vi erano stati inclusi un primo gruppo di combattenti antifascisti italiani, in massima parte comunisti, appena giunti o già presenti in
Spagna, alcuni dei quali avevano avuto il battesimo del fuoco a Irún, a San Sebastián e a
Madrid. I quadri ufficiali erano formati dal comandante militare dei due plotoni, il romano
Angelo Antonini (in origine manovale e capocellula comunista del quartiere Trionfale e
Borgo, già segnalatosi per il suo valore a Irún e a San Sebastián, poi capitano dell’aviazione repubblicana e comandante partigiano della capitale, insignito di medaglia di bronzo al
valor militare) e dal commissario politico Francesco Leone; la sezione mitraglieri, dotata
di due antiquate mitragliatrici, era agli ordini proprio del ricordato Luigi Cannonero con il
carpentiere rodigino Pietro Pavanin quale delegato politico. Accanto ad essi gli altri volontari, giunti anch’essi clandestinamente in Spagna con false tessere d’identità per superare i rigidi e protervi controlli alla frontiera francese4.
In genere male armati5, scarsamente equipaggiati6, privi di artiglieria, addestrati rapidamente ed inviati in due riprese al fronte7, i combattenti della “Gastone Sozzi” hanno tuttavia lasciato nella memoria collettiva un ricordo quasi leggendario, apparentemente del
tutto sproporzionato alla brevissima apparizione di quella formazione militare. Entrata in
linea il 10 settembre 1936 con i suoi elementi più preparati militarmente, a cui si sarebbero aggiunti cinque giorni dopo gli altri, per lo più addetti alle armi leggere, la centuria
ebbe a disposizione poco più di un mese e mezzo per entrare nella leggenda: un periodo
denso di avvenimenti, di scontri a fuoco, di attacchi violenti e di ritirate ordinate, costellato di episodi eroici, concluso il 22 ottobre dello stesso anno con la confluenza dei superstiti nel battaglione “Garibaldi” e poi nella XII brigata internazionale, la cui 3a compagnia avrebbe a sua volta assunto il nome del martire antifascista. Pelahustán, Real Cenicientos, Chapinería erano state le tappe segnate dal sangue della “Gastone Sozzi”, che ebbe,
fra morti e feriti, perdite superiori ai due terzi degli effettivi8. A questi eroici combattenti
non fu riservato alcun trattamento di favore: “Direi che una deficienza dei compagni dirigenti - ha ricordato Antonio Roasio - fu proprio quella di non valutare l’apporto che poteva
venirci dai volontari della Gastone Sozzi e di non utilizzarli maggiormente come ufficiali”9.
Tuttavia molti di essi avrebbero avuto in seguito questo riconoscimento, ricoprendo
sia in Spagna che poi in Italia e in Francia nel corso della Resistenza posizioni di comando
militare e di responsabilità politica di tutto rilievo.
Ma cosa sappiamo oggi a cinquant’anni di distanza di quei militanti antifascisti, accorsi sulle ali dell’entusiasmo da ogni parte d’Europa a contrastare la sedizione militare di
19
Franco? Quali tradizioni di lotta politica rappresentavano, quale bagaglio di esperienze
militari potevano mettere a disposizione della Repubblica spagnola? Da quali regioni provenivano?
I dati quantitativi: il problema delle fonti
Della centuria ci sono pervenuti sino ad oggi quattro ruolini: il primo, stilato da Edoardo
D’Onofrio nel 1942, nel quadro di una più generale analisi del contributo dei militanti
comunisti italiani alla guerra di Spagna, probabilmente su richiesta dal Komintern, contiene sessantatré nomi10; il secondo redatto da Pavanin nel gennaio 1946, al ritorno dall’Urss
dove aveva militato con valore nell’esercito sovietico, elenca settantaquattro nominativi
con alcune aggiunte e non poche difformità rispetto al precedente non solo nella grafia11;
il terzo ancora dovuto a Pietro Pavanin, pubblicato nel 1973, riporta ottantasei nomi12: il
quarto e il più recente è stato compilato con grande cura da Alvaro López, che ha pazientemente ricostruito i dati essenziali di ottantadue volontari italiani, a cui vanno aggiunti
oltre allo svizzero Antonio Canonica, anche l’unica donna, la francese Christine Couder
che, nel seguire in prima linea il compagno Antonio Tonussi, “si dimostrerà nei combattimenti la degna emula delle combattenti della Comune di Parigi”13, e il misterioso marinaio svedese o americano Edward Wedin “che brucia dal desiderio di partire per il fronte ed
ha voluto unirsi a noi, antifascisti italiani”14, tanto da risultare il primo caduto della centuria (Pelahustán, 13 settembre 1936)15: in totale ottantacinque unità. Pur tralasciando di
considerare, nonostante le affermazioni di Leone, la presenza di trentasei antifascisti polacchi inquadrati nella centuria, per l’impossibilità di reperire documenti attendibili su di
essi16, o di seguire l’indicazione di Paolo Spriano secondo cui la centuria “comprende[va]
ottantasei italiani, sedici polacchi, un danese, qualche belga e dieci francesi: come un germe delle future brigate internazionali”17 senza specificare la fonte di queste sue informazioni, agli ottantacinque vanno comunque aggiunti altri tre nomi emersi da un’ulteriore
ricerca all’Archivio del Pci e all’Archivio centrale dello Stato di Roma: l’emiliano Enea
Landini, l’istriano Giovanni Tamburini - probabilmente espunti perché disertori18 - ed il
ligure Paolo Zanettin19. Si arriva perciò agli ottantotto nominativi, ancora incompleti per
quanto riguarda tutta una serie di informazioni importanti: per alcuni non disponiamo né
del luogo né della data di nascita, per altri della professione o delle precedenti esperienze
militari e politiche, per la quasi totalità degli esiti post-bellici20. Mi sembra comunque
costituire un piccolo, ma significativo campione, sufficiente per mettere alla prova i metodi quantitativi della ricerca.
C’è chi in passato ha voluto leggere nella formazione della centuria “Gastone Sozzi” la
definitiva adesione alla causa repubblicana dell’Internazionale comunista e dell’Urss; sulla base dell’analisi dei dati e soprattutto della non sempre definita opzione comunista di
alcuni dei combattenti, credo più aderente alla realtà affermare che la centuria si formò sì
su basi eminentemente di partito, ma in maniera del tutto volontaria, come la colonna “Ascaso-Rosselli”, in sostanza per reagire all’attendismo e all’inerzia internazionale di fronte
alla ribellione di Franco ed ai rischi per la pace mondiale dello stabilirsi in Spagna di una
dittatura fascista. Mi sembra difatti più storicamente corretto collocare l’intervento ufficiale dell’Internazionale comunista all’atto della formazione del battaglione “Garibaldi”
prima e delle brigate internazionali poi. La guerra civile divenne così il banco di prova della
capacità dell’antifascismo di rispondere armi alla mano all’aggressione falangista, appog20
giata dall’Italia fascista e dalla Germania nazista con armi, uomini e mezzi. Per gli antifascisti italiani era anche un’affermazione di presenza concreta dopo gli anni della clandestinità e dell’esilio, un’occasione di rivincita della ancor bruciante sconfitta subita in Italia per non aver voluto e saputo rispondere sullo stesso terreno alla violenza fascista, che
aveva disgregato e distrutto cinquant’anni di paziente tessitura della rete di organizzazioni
economiche e politiche del movimento operaio italiano.
“La nostra Centuria - chiariva enfaticamente Leone, concludendo una delle sue più note
corrispondenze dalla Spagna - ha promesso il suo sangue alla causa della Repubblica democratica di Spagna, per la difesa della libertà, per lavare l’onta del governo di Mussolini,
complice di Franco, per l’onore del popolo italiano: questo sangue è stato versato.
Ma la lotta non è finita. I compagni della Centuria ‘Gastone Sozzi’ lo sanno. Il loro motto
è: - Piuttosto di cedere, morire! - Come Gastone Sozzi, il Martire eroico del Partito comunista d’Italia, il cui magnifico esempio e sacrificio innalziamo come nostra bandiera”21.
Vi era dunque da parte italiana la coscienza di rivendicare un’autonomia di giudizio e
d’intervento rispetto alla complicità del fascismo: come ha rilevato Paolo Spriano “per la
prima volta, dopo il 1921-22, ci si può battere a viso aperto e con un’arma contro il fascismo. E a differenza del 1921 la lotta è impegnata non in un momento di riflusso del movimento, ma in mezzo a un popolo che fa dell’antifascismo, del motto ‘No pasaran’, la sua
divisa morale e politica. Ecco il salto di qualità che la guerra di Spagna imprime a tutto
l’antifascismo”22.
Negli stessi mesi della costituzione della centuria un grande antifascista italiano, Emilio Lussu, scriveva con una buona dose di autocritica “non ci siamo saputi battere contro il
fascismo. La piccola avanguardia politica dell’emigrazione italiana deve generosamente
sacrificarsi e affrontare quest’impresa. Essa si farà un’esperienza e un nome sui campi di
battaglia. E diventerà il nucleo affascinante attorno a cui si formerà la più grande avanguardia
di domani”23.
La “piccola avanguardia politica”, rappresentata fisicamente dalla colonna “AscasoRosselli” e dalla centuria “Gastone Sozzi”, raccoglieva quest’appello appassionato e un
poco retorico, che si concludeva con un richiamo alla tradizione risorgimentale ed ai garibaldini. Un passato a cui ci si sarebbe richiamati organicamente di lì a due mesi all’atto
della costituzione delle brigate internazionali, intitolando al più popolare dei padri della
patria la brigata italiana e sottraendo così alla propaganda nazionalistica, patriottarda e
populista uno dei simboli di cui il fascismo si era servito per sottolineare la supposta continuità fra le lotte per l’indipendenza nazionale e la scalata al potere delle camice nere.
La provenienza geografica
Da dove venivano gli ottantacinque antifascisti italiani della “Sozzi” che idealmente
accoglievano e facevano proprio l’invito dell’ex-capitano della brigata “Sassari”? Riassumendo i dati della tabella 1, che confronta in valore assoluto e in percentuale la nazione di
provenienza dei componenti della “Gastone Sozzi” con quella più generale dei garibaldini
italiani, degli ottantadue di cui siamo riusciti a ricostruire il percorso sessantasei erano
entrati in Spagna provenienti dalla Francia, quattro dal Belgio, altrettanti dalla Svizzera e
dal Lussemburgo, uno dall’Urss, mentre uno si trovava già in Spagna, il corrispondente di
guerra al seguito della centuria, il torinese Renato Ludovico Beux; due soli, gli amici Ugo
Muccini e Domenico Bruno Rolla di Arcola (Sp), provenivano dall’Italia24, avanguardia di
21
quel gruppo di oltre duecento giovani antifascisti che vi sarebbero accorsi dopo lo scoppio della guerra civile25.
I componenti della “Gastone Sozzi” erano nati per lo più in regioni con radicate tradizioni operaie come l’Emilia-Romagna (diciassette), la Lombardia (dodici) e la Toscana
(dieci) o di secolare emigrazione come il Veneto (dieci) e la Venezia Giulia (nove): la tabella 2 dimostra che queste cinque regioni davano oltre il 67 per cento dei combattenti,
mentre l’Italia settentrionale toccava più del 70 per cento, se si comprende anche il più
noto fra essi, il vercellese Francesco Leone, solo accidentalmente nato in Brasile, perché
figlio di emigranti, ed espunto perciò da questa statistica26.
Un altro “straniero” come Leone era Renato Costetti, un fornaio nato a Lugano che
aveva girato mezza Europa, sempre inseguito dalla polizia per la sua attività di democratico e di antifascista: conosciuto soprattutto con i nomi di battaglia di Abd el-Krim e Belventi (è indicativo che compaia ancora con questo secondo appellativo, storpiato in Belvenetti, sia nel primo dei due ruolini di Pavanin che in quello di D’Onofrio), si dimostrò
combattente di tempra eccezionale fino alla Resistenza ed oltre27.
Vi sono poi casi non facilmente spiegabili come quelli di Angelo Dabalà e di Bernardo
Falco, entrambi abitanti a Villejuif, nell’immediata periferia di Parigi: probabilmente due
amici che avrebbero per uno strano giuoco del destino trovato entrambi la morte nello stesso
giorno a Chapinería il 18 ottobre 1936, la battaglia che segnò la fine delle operazioni belliche della centuria ed il prodromo al suo scioglimento. O quello di Nazzareno Lombezzi
e Domenico Nardini, entrambi provenienti da Drancy (Nardini era nato a Mercato Saraceno, in provincia di Forlì, come Giulio Pasini, bombardiere e cuoco della centuria, e sarebbero morti a distanza di un mese l’uno dall’altro, il primo a Pelahustán nel tentativo di
soccorrere un compagno ferito28, il secondo a Chapinería); o dei coetanei Giovanni Baesi
e Luigi Barani, nati ad un mese di distanza l’uno dall’altro a Monteveglio in provincia di
Bologna - ma forse emigrati in Francia in tempi diversi - ritrovatisi a combattere fianco a
fianco nella centuria e poi nella brigata “Garibaldi”. Solo ricerche più approfondite potranno far luce su questi piccoli “enigmi” e dirci se alcuni di essi non siano qualcosa di più
di pure coincidenze.
Più del 40 per cento risulta espatriato prima del 1926 per motivi di lavoro o più spesso
per motivi politici, seppur non sia sempre possibile tracciare una netta linea di demarcazione fra questi due aspetti del medesimo processo di abbandono dell’Italia. Un altro 40
per cento fra il 1926 e il 1930: molti sia della prima che della seconda categoria ritornarono però clandestinamente in Italia soprattutto dopo la “svolta” del 1930, come il muratore cremonese Giordano Bruno Bellini o come il meccanico bresciano Pietro Guerini.
Attorno al 15 per cento la percentuale di quanti sarebbero emigrati clandestinamente dopo
il 1931: una distribuzione, come dimostra la tabella 3, che concentra oltre il 50 per cento
del totale nel decennio 1926-35 ed è indice probabilmente della scarsa presa delle ragioni della lotta antifascista negli emigrati di più antica data, cioè fino al 1920 compreso29.
Dati che rispettano dunque solo in parte i valori percentuali per le brigate internazionali,
dove le prime due fasce (1920 e 1921-25) raggiungono percentuali pressoché identiche a
quelle della terza e della quarta30: segno che l’intensa attività di propaganda promossa dai
partiti democratici in appoggio alla Spagna repubblicana seppe in seguito penetrare a fondo non solo negli strati di emigrazione politica più recente e, in teoria, inserita meno compiutamente nel mercato del lavoro, ma anche fra quanti ormai avevano trovato nei luoghi
d’esilio occupazioni stabili o comunque non precarie. Per questo mi sembra altrettanto
22
utile definire con la maggiore approssimazione possibile la condizione professionale dei
combattenti della centuria.
La condizione professionale
Operai, artigiani e contadini costituivano il grosso della “Gastone Sozzi”: di quanti è
stato possibile ricostruire con una buona dose di approssimazione la condizione professionale (oltre i tre quarti del totale, come si vede nella tabella 4), più del 55 per cento si
erano dichiarati operai con un’assoluta prevalenza di operai meccanici o metallurgici (dieci), di muratori (otto), di carpentieri (tre); quasi un quinto artigiani, al cui interno spiccavano quattro falegnami, e quasi altrettanti gli agricoltori, per il 60 per cento braccianti di
ogni regione italiana dal sardo Giuseppe Frau, sergente con funzioni di comandante di
sezione, poi radiato per aver rifiutato di continuare a combattere dopo il primo scontro a
fuoco31, o come il trevigiano Giovanni Tollot, un socialista che sarebbe poi caduto nel 1938
sul fronte di Tortosa.
Cinque invece gli impiegati (nemmeno il 6 per cento del totale), di cui ben due commessi postali, come il veneziano Lindo Volpato, un portaordini che secondo Pavanin avrebbe
disertato nell’ottobre 1936, un contabile ed un esercente, il reatino Luigi Vico, che, avendo perso il braccio destro nella battaglia di Chapinería, venne inviato nel 1937 in delegazione con l’altro ferito Lino Zocchi in Urss per portare a Mosca al Museo della Rivoluzione quella bandiera della centuria che oggi è conservata nell’Archivio storico del Pci a
Roma.
L’esperienza militare e politica
I dati sull’età media dei combattenti della centuria sono presentati analiticamente nella tabella 5. L’età media era di oltre trentacinque anni, superiore di un anno al medesimo
dato delle future brigate internazionali32: dal più vecchio, il trapanese Giovanni Campo,
nato nel 1879, unico siciliano e fra i primi a cadere a Chapinería il 18 ottobre 1936, ben
trentun volontari avevano avuto la possibilità di combattere nella prima guerra mondiale:
come il bolognese Gottardo Rinaldi, sergente dei bersaglieri, primo comandante militare
della centuria e addestratore delle reclute nella caserma Karl Marx di Barcellona; o come
il sergente maggiore Spartaco Giovannini, un falegname romano più volte ferito, che avrebbe raggiunto il grado di tenente nella brigata “Garibaldi”, dove avrebbe assunto il comando
della 1a compagnia del 2o battaglione; o come l’operaio bolognese Luigi Ardizzoni, caduto a Chapinería.
Il servizio di leva era stata invece l’unica forma di addestramento per gli altri quarantotto, compreso il più giovane membro della centuria, il venticinquenne Oberdan Chiesa,
un livornese espatriato al termine proprio del servizio di leva in marina, che, allo scioglimento della “Sozzi”, avrebbe militato nella marina repubblicana prima di rientrare in Italia
per morire fucilato dai nazisti sulla spiaggia di Rosignano Solvay il 29 gennaio 1944 per
la sua attività di partigiano: al suo nome sarebbe stata intitolata la brigata garibaldina operante nella zona labronica, come a Muccini quella operante nello spezzino; ma quasi tutti
potevano vantarsi di avere alle spalle anche episodi di lotta contro le squadracce fasciste:
come l’istriano Arturo Fonovich, responsabile delle “guardie rosse” di Pola nel 1921 e
poi segretario del Pcd’I per la VI zona, la Bassa Istria. Come lui ben ventitré combattenti
23
della “Sozzi” risultano iscritti al Partito comunista, alcuni sino dalla fondazione come, ad
esempio, Gilberto Carboni di Luzzara, il bresciano Angelo Marchina o il contabile reggiano Angelo Curti, sottotenente del genio della prima guerra mondiale poi degradato per l’intensa attività di “rivoluzionario” già all’atto dell’intervento, primo segretario della Federazione reggiana del Pcd’I, direttore dell’organo locale “Il Lavoratore comunista” e candidato alle elezioni politiche del 1921.
Alcuni potevano addirittura vantare una militanza più antica come il già ricordato Guerini, che era stato uno dei delegati italiani della Federazione giovanile socialista alle conferenze internazionali di Zimmerwald e Kienthal; sul piano internazionale non va neppure
dimenticata la presenza al V Congresso dell’Internazionale sindacale (Mosca, 1930) di
Alighiero Bonciani, un impiegato fiorentino cui l’invalidità riportata in Spagna non avrebbe impedito l’attiva partecipazione alla Resistenza, tanto da venir fucilato dai nazifascisti
a Milano il 22 ottobre 1944.
Avevano invece conosciuto il Tribunale speciale Vittorio Ghini, un parrucchiere bolognese, militante della Fgci, che ne ebbe una condanna ad un anno di reclusione: commissario politico della “Sozzi”, avrebbe raggiunto nella Resistenza il grado di tenente colonnello prima di venir arrestato dai nazifascisti e morire fucilato a Novara il 14 giugno 1944.
La medesima fine avrebbe fatto a Fossoli il vetraio empolese Pietro Lari, detto “Gigi il
toscano”, che il Tribunale speciale aveva invece assolto, attivo nell’emigrazione a Tolosa
come segretario della sezione del Pcd’I locale.
Ma non mancavano un socialista come il trevigiano Tollot ed un “cattolico popolare” a detta della polizia - come lo spezzino Vittorio Orlandino. Ma tutti, chi più chi meno, erano
stati costretti all’esilio dopo aver subito vessazioni di ogni genere. Come Amedeo Nerozzi, sindaco comunista di Marzabotto fra il 1920 e il 1921 fino al forzato scioglimento della
giunta democratica, più volte vittima di aggressioni e di intimidazioni conclusesi con il
bando dal paese e con il conseguente espatrio in Belgio nel 1923; fra i primi ad accorrere
in Spagna, la sua esperienza di soldato nel corpo della Sanità nel 1915-18 ne avrebbero
fatto il “medico” sia della centuria che del battaglione e della brigata “Garibaldi”; fino a
morire nel pieno della sua attività sotto un bombardamento che centrò il padiglione sanitario in cui stava lavorando sulla Sierra de Cavalls il 9 settembre 1938.
L’esperienza di amministratore comunale era stata condivisa anche dal “vecchio” dell’episodio iniziale, quel Luigi Cannonero, combattente della prima guerra mondiale, assessore appunto a Bolzaneto (Ge), che sarebbe caduto durante la battaglia di Chapinería33.
Anche lui era stato costretto a rifugiarsi in Belgio, dove aveva continuato a svolgere nelle
organizzazioni politiche dell’emigrazione un’intensa attività politica. Sempre in Belgio,
fu segretario nazionale dei gruppi di giovani comunisti italiani uno fra i promotori dell’Aicvas, il friulano Giuseppe Marchetti: espulso nel 1931, trovò modo di farsi arrestare
ed espellere dalla Svizzera per esser venuto alle mani con i fascisti. Rientrato nella Confederazione clandestinamente, era stato segretario della Fgci di Basilea dal 1931 al 1936,
facendosi arrestare più volte dalla polizia. In Spagna, dopo esser stato presente a tutti gli
scontri sostenuti dalla centuria, sarebbe stato tenente della brigata “Garibaldi”, combattendo poi nella Resistenza francese.
Avevano invece conosciuto il carcere, e non sempre come “università”, il bracciante
pistoiese Gino Poli (tre anni) e il muratore veneto Vittorio Scalcon, arrestato dalla polizia
francese al termine di una rissa con alcuni marinai fascisti italiani a Marsiglia. L’alessandrino Luigi Barisone, commissario politico di sezione caduto poi a Chapinería, era l’uni24
co invece ad aver sperimentato il confino ad Ustica fra il 1927 e il 1929. Ma non è il solo
primato di questo militante, già allievo della scuola di partito di Leningrado: poteva difatti
vantarsi di esser stato il primo diciottenne a subire il confino.
Umanità e senso di disciplina di un “rivoluzionario di professione”
Ma la biografia forse più completa, sino quasi a divenire emblematica di quella parte
della gioventù italiana che non aveva esitato a mettere a repentaglio la propria vita in Spagna contro i mercenari del Tercio o contro i legionari italiani, è quella di Francesco Leone. Più volte il suo nome è stato richiamato nel corso di questo rapido quadro dei componenti della centuria, della “sua“ centuria, il cui ricordo fotografico faceva mostra di sé nel
corridoio dell’appartamento di Vercelli. Figlio di poveri braccianti emigrati in Brasile poco
prima della fine del secolo scorso, era ben presto rientrato con la famiglia ad Asigliano
Vercellese.
Diplomatosi nel 1918 perito all’Istituto tecnico “Quintino Sella” di Biella, aveva già
dato giovanissimo segni inequivocabili dell’attrazione esercitata su di lui dalla lotta politica; era stato infatti arrestato nel 1916 per aver diffuso manifestini contenenti il documento “per trasformare la guerra imperialista in guerra civile” votato a Kienthal e per aver
organizzato il primo sciopero studentesco contro di essa.
Con il suo carattere arguto e impetuoso, non aveva esitato un attimo di fronte al falso
in atto pubblico pur di manifestare concretamente la sua opposizione alla guerra ed evitare di esser inviato al fronte con i giovani della sua classe: essendo nato nel 1899 e non nel
1900, come poi avrebbe continuato con pervicacia tutta contadina a sostenere - i manualetti parlamentari della “Navicella” ne fanno fede -, aveva convinto il funzionario dell’anagrafe del villaggio brasiliano a posticipare di un anno la data sul certificato. Aveva tuttavia
fatto il servizio militare di leva in aviazione fra il 1918 e il 1920. Membro della Federazione giovanile socialista, di cui aveva preso la tessera già nel 1916, sarebbe stato uno dei
fondatori e dei dirigenti di primo piano della Federazione giovanile comunista e del Pcd’I
nel Vercellese.
Delegato a Livorno al XVII Congresso del Psi, si mise in un primo momento in mostra
come uomo d’azione per aver fatto parte del corpo scelto delle guardie rosse poste a difesa de “l’Ordine Nuovo” a Torino e per aver guidato con coraggio e spavalderia gli arditi del
popolo nella lotta contro il sorgente fascismo sino ai fatti di Novara del luglio 1922: di
quella lotta portava ancora a distanza di oltre cinquant’anni le cicatrici e i segni. Era però
anche un giornalista caustico e pungente. Le sue corrispondenze sull’organo locale “La
Risaia”, firmate con lo pseudonimo “don Biagio bolscevico” sono esempio di concisione
e chiarezza. L’accusa di aver ucciso un fascista nella piazza principale di Vercelli, lo consigliò a lasciare la zona e ad espatriare in Francia per un anno.
Rientrato clandestinamente in Italia nel pieno del primo processo intentato al Pcd’I
(1923), lavorò come muratore assieme a Pietro Secchia alla Città degli studi di Milano,
collaborando nottetempo all’organo clandestino della Fgci “La voce della gioventù”.
Fu poi inviato in Unione Sovietica all’Accademia militare Tolmaciov di Leningrado,
frequentata assieme a quel Gastone Sozzi a cui avrebbe intitolato la centuria34: in quegli
anni completò la sua preparazione teorica e pratica, militare e politica, che ne avrebbe fatto
il prototipo del militante degli “anni di ferro e di fuoco” che attendevano i comunisti italiani. Da questo momento non si contano più gli incarichi di partito: fra gli organizzatori
25
del Congresso di Lione (1926), rimase in Francia fino al 1927, quando rientrò in Italia
clandestinamente per ordine del Centro estero. Arrestato con le bozze di un articolo per
“l’Unità” ancora in tasca, fu picchiato a sangue e torturato a San Vittore e a Regina Coeli
prima di esser assegnato dal Tribunale speciale a sette anni e sette mesi di reclusione. Sassari, Portolongone, Parma, Alessandria, Civitavecchia furono le tappe di una detenzione
quanto mai travagliata e costellata di lunghi periodi di isolamento per il suo carattere ribelle alla disciplina. I trasferimenti continui e le vessazioni quotidiane non lo piegarono:
anzi, all’atto della scarcerazione per amnistia nel 1933, preferì sfruttare la doppia nazionalità e chiese ed ottenne di emigrare in Brasile nel marzo 1934.
Ma anche sul continente americano la sua attività di “rivoluzionario professionale” non
conobbe sosta: al contrario si alimentò con la partecipazione alla fallita insurrezione di
Luis Carlos Prestes, sia sul terreno dell’azione prendendo parte alla leggendaria marcia
attraverso la giungla con cui gli insorti sfuggirono all’accerchiamento dell’esercito, sia
su quello della propaganda. Soffocata nel sangue la rivolta, Leone nel 1935 fu richiamato
in Francia e destinato al Soccorso rosso internazionale: ma un combattente come lui non
poteva rimanere a lungo dietro una scrivania. Non appena la situazione lo consentì, chiese
ed ottenne di poter andare in Spagna, dove era scoppiata la rivolta franchista. E qui assunse
la responsabilità di fare di un centinaio di volontari giunti alla spicciolata una formazione
di combattimento.
Anche in Spagna la sua azione si esplicò sia sul terreno della propaganda giornalistica
- di cui ho riportato solo brevi stralci, ma che forse meriterebbe di esser raccolta in un
volume a parte, assieme alle sue corrispondenze su “La Risaia” - sia su quello della lotta
armata, alla testa dei volontari. Ne rimangono alcune annotazioni nel più volte citato diario di Muccini, che danno il senso e il peso di quella presenza al fronte: “Zocchi si avvicina domandandomi - ma non sei Muccini - Sì - rispondo perché cosa c’è. In quel mentre
avanza Leone brontolando Dio... ti abbiamo dato per perduto. Intanto mi dà uno strettone
contro il suo petto, beh, meglio così, pubblicheremo la smentita. Fa una piccola riunione
all’ultimo il circolo si serra sempre più intorno a lui, c’è chi le manca le calze, chi il sapone, chi le sigarette, sembra il padre di tutti, in verità ha una parola buona per tutti35”.
Una presenza dunque paterna e affettuosa, protettiva sino a rischiare la vita per salvare
Ghini, pronta però a recuperare il controllo della situazione e a sottolineare il necessario
senso della disciplina fra i combattenti: “È già una quindicina di giorni che dormiamo all’aperto e Leone pensa bene di mandarci altri 15 uomini per darci il cambio, ma Pavanin
improvvisa una riunione che ha avuto per conclusione di non accettare questo cambio logico anche dal punto di vista politico, e fa un biglietto a Leone esaltando che noi non avremmo mai abbandonata la posizione ecc. I nuovi arrivati un po’ mortificati dovettero riprendere la strada del ritorno. All’indomani ritornano c’è anche Leone che ci riunisce, ha la
faccia un po’ turbata, comincia che un ordine militare va eseguito, che anche noi dobbiamo essere disciplinati, spiega la disciplina volontaria ecc. - Dio... che volevate fare gli eroi
solo voi altri? Gli altri compagni sono di carne come voi e risentono certe cose ecc. Dopo
una mezz’ora con questo linguaggio un po’ duro ritorna pian piano col suo sorriso naturale, nessuno ha da prendere la parola in riguardo, diamo la consegna agli altri, si prepara i
zaini e lo si segue”36.
Per quegli stessi, indisciplinati volontari, con uno di quei gesti passionali, tipici del
suo carattere emotivo, avrebbe rifiutato la nomina a commissario politico del battaglione
“Garibaldi”, abbandonando “la riunione, alla presenza di Longo e di Di Vittorio, indignatis26
simo perché nell’organigramma del battaglione nessun altro reduce della ‘Gastone’ tranne
me, era stato scelto, neanche come appuntato!”37.
Carattere impulsivo e insofferente dei torti subiti, irascibile e brontolone, Francesco
Leone era dunque il prototipo del “capo“ popolare amato, temuto e rispettato, ma capace
di gesti imprevedibili: doti che gli sarebbero costate allora l’allontanamento dal fronte,
nonostante la formale inclusione nello stato maggiore del battaglione “Garibaldi” e i gradi
di capitano delle brigate internazionali, e la destinazione alla direzione della “Voce degli
Italiani” a Parigi. Le ferite riportate in prima linea costituirono il motivo ufficiale di questa esclusione: ma è chiaro che contrasti di fondo dividevano il carattere spontaneo e ribelle dell’uomo d’azione dai gesti misurati di alcuni membri dell’apparato giunti dall’Unione
Sovietica a coordinare l’azione dei comunisti italiani in Spagna.
Terminava così la breve vicenda della centuria “Gastone Sozzi”, ma non del suo comandante, che avrebbe continuato la lotta al fascismo fino alla Resistenza ed oltre, con una
dedizione ed una disciplina pari solo alla profonda umanità che ne aveva sempre ispirato
l’azione.
1
Cfr. FRANCESCO LEONE, Fra i combattenti della centuria “Gastone Sozzi”, in “Il Grido del
popolo”, 10 ottobre 1936, ora in ADRIANO DAL PONT - LINO ZOCCHI (a cura di), Perché andammo
in Spagna. Scritti di militanti antifascisti. 1936-39, Roma, Anppia, 1967, pp. 64-65.
2 Mi riferisco alla fallita operazione giornalistica promossa da Giuliano Ferrara con l’intervista a
Renzo De Felice nel “Corriere della sera” del 27 dicembre 1987, esauritasi dopo quindici giorni non
senza qualche strascico polemico: per tutte si veda l’editoriale di ENZO COLLOTTI, Il fascismo: chi
era costui?, in “Passato e presente”, a. VI (1987), n. 14-15, pp. 3-10.
3 Per una biografia si veda STEFANO CARETTI, Gastone Sozzi, in FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio. Dizionario biografico. 1853-1943, vol. IV, Roma, Editori
Riuniti, 1977, pp. 672-676.
4
Cfr. la testimonianza rilasciata in occasione del 50o anniversario di fondazione del Pci da PIETRO
PAVANIN, Note e ricordi, in Archivio Partito comunista (APC), Biografie, memorie e testimonianze,
ad nomen, coincidente con quella di ANTONIO CANONICA, La Colonna Libertad y la Centuria
Gastone Sozzi, in ALVARO LÓPEZ, La Centuria Gastone Sozzi, “Quaderni Aicvas”, 1984, n. 4, p. 7.
5 Ricorda Ugo Muccini, uno dei membri della centuria, nello sgrammaticato diario giunto rocambolescamente in Italia dentro la camera d’aria di una ruota di automobile: “La questione delle armi ci
faceva un po’ impazientare tutti, ma ecco finalmente viene l’ordine di partire per Madrid, le armi per
noi c’erano, ci assicurò un comandante spagnolo, infatti alla sera, adunati nel cortile della caserma
“Karl Marx” si fa la distribuzione dei fucili che furono accolti con gioia dai compagni. Sono fucili non
troppo nuovi, senza cinghia, che si aggiusta subito col primo pezzo di corda trovato, la più parte sono
senza baionetta, ma infine si avrebbe potuto sparare lo stesso, si distribuiscono pure le poche giberne
che ci sono, che vengono attaccate subito alla cinghia dei pantaloni” (cfr. Il diario di Ugo Muccini,
La Spezia, Istituto storico della Resistenza, 1973, p. 22).
6 È sempre Muccini a testimoniare: “Intanto devono vestirci. Viene distribuito un sacco a zaino e
una tuta non ce n’è per tutti, ognuno si arrangia come può, viene pure distribuito un paio di pantofole
di corda” (cfr. idem, p. 26); e più oltre: “la colonna è pronta per imbarcarsi sui camion per essere
condotta sul luogo di combattimento, i zaini sono allineati nel cortile, si scorge anche qualche valigia,
gli uomini che compongono queste milizie popolari non sono affatto vestiti uguali, chi in pantofole, in
scarpe, in tuta, vestiti personali, ecc. ecc.” (cfr. idem, p. 27).
27
7
Si vedano le già citate testimonianze di Pavanin, Canonica e l’articolo di FRANCESCO LEONE,
Faccia a faccia col nemico sul fronte di Talavera, in “Il Grido del popolo”, 17 ottobre 1936, ora
in A. DAL PONT - L. ZOCCHI (a cura di), op. cit., pp. 96-102.
8
Per un quadro complessivo dei sedici caduti si veda A. LÓPEZ, op. cit., p. 22; altri dodici combattenti sarebbero caduti successivamente, nelle file delle brigate internazionali, mentre cinque sarebbero stati passati per le armi dai nazifascisti nel corso della Resistenza.
9 Cfr. ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, pp. 115-116.
10 Si veda la relazione di Edoardo D’Onofrio, Informe sobre la actividad de la XII Brigada y
de la XII Brigada Garibaldi, in APC, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 8, pp.
19-20; in un altro documento, elaborato a Mosca nel 1940 “sulla base di tutta la documentazione
delle brigate internazionali e del Cc del Pc spagnolo” dallo stesso D’Onofrio, Volontaires italiens
dans l’Espagne republicaine (1936-1938). Statistique, (v. APC, idem, fasc. 9, p. 9) i militanti della
centuria sarebbero invece settantasei. Pur rimanendo inalterato il totale, varia la composizione regionale dei garibaldini di Spagna stilata da PIETRO SECCHIA, Il Partito comunista italiano, in ID, Chi
sono i comunisti. Partito e masse nella vita nazionale. 1848-1870, a cura e con prefazione di
Ambrogio Donini, Milano, Mazzotta, 1977, p. 49, che riproduce la voce omonima in Enciclopedia
dell’antifascismo e della Resistenza (d’ora in poi Ear), vol. I, Milano, La Pietra, 1968. Secchia non
indica la sua fonte e quindi non spiega le ragioni di questa diversa attribuzione: non vi sono dati specifici sulla “Gastone Sozzi”. Anche secondo una lettera di Lorenzo Vanelli, segretario della Fratellanza ex
garibaldini di Spagna, inviata a Longo nel 1965 in previsione di una pubblicazione celebrativa del 30o
della guerra di Spagna, i componenti della centuria “Gastone Sozzi” risulterebbero settantasei (v. APC,
idem, fasc. 10, p. 7): ma probabilmente la fonte era la stessa. L’appassionata ricerca di Vanelli sarebbe stata pubblicata solo nove anni dopo in appendice a GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia. Cronache garibaldine, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 384-425. I dati di López sono stati
indicati come unica fonte e riprodotti senza variazioni dall’estensore della voce dedicata alla “Gastone
Sozzi” in Ear, vol. V, Milano, La Pietra - Walk Over, 1987, pp. 600-602, che - salvo errori di stampa
- dovrebbe essere l’ex garibaldino Flavio Fornasiero.
11 Cfr. APC, Bmt, doc. 2.
12 Si veda PIETRO PAVANIN, I componenti della Centuria “Gastone Sozzi”, in Il diario di Ugo
Muccini, cit., pp. 68-72.
13 Cfr. A. CANONICA, op. cit., p. 12.
14 Idem, p. 11.
15 È ancora Muccini a informarci: “Avevamo con noi un compagno di nazionalità americana che
non so com’è venuto fra noi, ragazzo di coraggio, in quando in quando le facevamo segno di non
sparar più tanto il fucile era caldo e mentre stava ritornando a prendere le munizioni una granata scoppiò a pochi passi da lui colpendolo alla gola. Lo trasportarono subito all’infermeria, ma poco dopo
spirò” (cfr. Il diario di Ugo Muccini, cit., p. 32).
16 Si veda F. LEONE, Faccia a faccia col nemico, cit., p. 97.
17 Si veda PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III: I fronti popolari,
Stalin e la guerra, Torino, Einaudi, 1970, p. 89.
18 II primo disertò l’unità nell’ottobre 1936, venendo in seguito espulso dal Pci; rientrato in Francia nel marzo 1937, secondo il cenno biografico della polizia italiana rimase comunque attivo antifascista frequentando gli anarchici, tanto da venire internato nel campo di Gurs nel 1940, da cui evase
per riprendere la lotta nella Resistenza e morire a Bruxelles il 21 gennaio 1941, fucilato dai nazisti (si
veda ACS, Cpc, ad nomen e G. CALANDRONE, op. cit., p. 370). Il secondo era invece un marittimo
nato a Pola, espatriato in Urss nel 1925, dove era rimasto a lavorare nei cantieri navali Marti di Nicolaev fino al 1934, prima di trasferirsi in Francia e quindi in Spagna: nel già citato rapporto del 1946 di
Pavanin, avrebbe disertato già nel settembre 1936. Non compare neppure nell’elenco di nomi pubblicato da G. CALANDRONE, op. cit.
19 Il nome di questo comunista ligure come combattente della Sozzi emerge sia da Biografie di
garibaldini in Spagna, in APC, Bmt, b. 7, fasc. 12, che da ACS, Cpc, ad nomen.
20
I combattenti della centuria “Gastone Sozzi”: Ambrosini Giovanni Battista, Antonini Angelo, Ardizzoni Vincenzo, Bacchiocchi Ciro, Baesi Giovanni, Baldini Gino Bruno, Barani Luigi, Barisone Luigi, Bartoli Alberto, Basso Fortunato Marino, Becherini Antonio, Bellini Giordano Bruno, Beretta Giu-
28
seppe, Berger Giuseppe Ferdinando, Bertolini Renato, Beux Renato Ludovico, Bocchi Giovanni,
Bonardi Giuseppe, Bonciani Alighiero, Bonfanti Enrico, Bonfili Étienne, Bosco Pierino, Campo Giovanni, Cannonero Luigi, Canonica Antonio, Carboni Gilberto, Chiesa Oberdan, Colani Giuseppe, Conti
Renato, Costetti Renato, Couder Christine, Croce Emilio, Curti Angelo, Dabalà Angelo, Falco Bernardo, Fonovich Arturo, Frau Giuseppe, Gasparelli Cesare, Gherardi Nello, Ghini Vittorio, Gilli Michele, Giovannini Spartaco, Guerini Pietro, Landini Enea, Lari Pietro, Leone Francesco, Lombezzi
Nazzareno, Magoga Antonio, Malacarne Giovanni, Mambrin Antonio, Marchetti Giuseppe, Marchina Angelo, Minghetti Giuseppe, Montanar Rocco, Motta Adamastore, Muccini Ugo, Nappi Antonio,
Nardini Domenico, Nerozzi Amedeo, Orlandini Vittorio, Pais Giordano, Pasini Giulio, Pavanin Pietro, Pezzetta Augusto, Poli Gino, Premoli Giovanni, Ramazzini Pietro, Rinaldi Gottardo, Rolla Domenico Bruno, Rubini Libertario, Scalcon Vittorio, Senna Pietro, Silvestrini Umberto, Spada Angelo,
Sparano Ciro, Stagnetti Felice, Tamburini Giovanni, Tollot Giovanni, Tonussi Antonio, Verc Francesco, Vico Luigi, Vivian Romeo, Volpato Lindo, Wedin Edward, Zanettin Paolo, Zennaro Giovanni,
Zocchi Lino, Zurilli Orlando
21 Si veda F. LEONE, Faccia a faccia col nemico, cit., p. 102.
22 Si veda P. SPRIANO, op. cit., p. 89.
23 Si veda EMILIO Lussu, La legione italiana in Spagna, in “Giustizia e Libertà”, 28 agosto 1936.
24 Entrambi già nel mirino della polizia fascista, si erano accordati con il responsabile spezzino del
Pcd’I Anelito Barontini per eluderne la sorveglianza e, contando sulla connivenza del concittadino e
compagno Eugenio Vignale, in quegli anni milite di frontiera in servizio sul confine jugoslavo, attraverso l’Austria avevano infine raggiunto Parigi e di lì, in treno, la Spagna. Lo stesso Vignale, scoperto dai
suoi superiori, sarebbe stato costretto ad espatriare e a gettare la divisa per indossare la tuta di miliziano garibaldino in Spagna prima e quella di partigiano in Belgio poi. Su questa poco nota figura di
combattente antifascista e sulla rocambolesca fuga dei due v. ANTONIO BIANCHI, Gli spezzini alla
guerra di Spagna, in Antifascismo e Resistenza alla Spezia (1922-1945), La Spezia, Istituto storico della Resistenza, 1987, p. 56 e Il diario di Ugo Muccini, cit. Sull’attività di Rolla in Abissinia si
veda anche la bella testimonianza di ANTON UKMAR, Contro il fascismo su qualsiasi fronte, in ENZO
RAVA (a cura di), I compagni. Scritti e testimonianze, prefazione di Giorgio Amendola, Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 297-303.
25 Il 75% dei componenti la centuria proveniva dalla Francia, il 4,54% dalla Svizzera, altrettanto
dal Belgio e dal Lussemburgo, il 2,27% dall’Italia, l’1,13% dall’Unione Sovietica, nella stessa percentuale i già residenti in Spagna, mentre del 6,81% non è stata determinata.
26 Altri sette provenivano dal Piemonte, cinque dalla Liguria, uno dal Trentino, tre dal Lazio, uno
dalle Marche, uno dalla Sicilia e uno dalla Sardegna. Di undici non è stata determinata.
27 Questo il ritratto che ne traccia López: “Con la Sozzi combatté a Pelahustán, Chapinería e poi
passò al battaglione e alla brigata Garibaldi, e partecipò a tutte le battaglie fino alla caduta della Repubblica. In Francia fu internato a Saint-Cyprien, Gurs, Argelès e Vernet. Fuggito dal Vernet, raggiunse a Tolosa le forze di liberazione e fece parte, col grado di maggiore, della IX brigata partigiana
spagnola agli ordini del generale Riquelme” (cfr. A. LÓPEZ, op. cit., p. 11).
28 “Ha un foro alla tempia sinistra. La testa inclinata in un pozzo di sangue. L’occhio sinistro è
aperto, vitreo. L’occhio destro è semichiuso. Sollevo il suo corpo, che mi ricade pesantemente sotto
la mano. Stringo il suo braccio sinistro: è freddo, il polso non batte più... [...] Seppi poi che era caduto
accorrendo in aiuto al compagno Ghini” (cfr. F. LEONE, Faccia a faccia col nemico, cit., p. 101).
29 Tre (pari al 4,28%) erano emigrati prima del 1920, ventisette (pari al 38,6%) tra il 1921 e il
1925, ventinove (41,42%) tra il 1926 e il 1930, sette (10%) tra il 1931 e il 1935, quattro (5,7%) nel
1936.
30 L’11,82% era emigrato prima del 1921. il 38,39% tra il 1921 e il 1925, il 28,62% tra il 1926
e il 1930, il 15,36% tra il 1931 e il 1935, quattro (5,7%) nel 1936.
31 Molto precisa in proposito la testimonianza del solito Muccini: “A [una] riunione ne seguì subito
un’altra per giudicare il comportamento del caposquadra Frau ormai guarito da una ferita che non ha
mai avuto e che era riuscito a imboscarsi presso lo stato maggiore a far nulla, l’antipatia era ormai
aperta in tutt’i compagni, finché un giorno apparve nell’ordine del giorno con questa frase: ‘espulso
dalla centuria G. Sozzi perché indegno di questo nome’ ecc. All’indomani fu accompagnato da due
guardie spagnole a Madrid e credo l’abbiano rimpatriato alla frontiera francese sempre accompagna-
29
to dalle guardie repubblicane” (cfr. Il diario di Ugo Muccini, cit., p. 40-41).
32
Trentuno degli appartenenti alla centuria (pari al 39,24%) erano nati nella fascia compresa tra il
1879 e il 1899, quarantuno (51,9%) tra il 1900 e il 1908, sette (8,86%) tra il 1909 e il 1911; di nove
non è nota la data di nascita.
33 Ancora una volta ci viene in aiuto la testimonianza di Muccini, così precisa pur nella concitazione della lotta: “I compagni si mettono a correre disordinatamente, Can[n]onero corre anche lui nel
piccolo burrone che andava sulla strada mi metto in ginocchio carico il fucile per di più non ho baionetta e dopo corro dietro agli altri, non sono sicuro ma dal cappotto nero con la faccia rivolta a terra
era lui senz’altro, Can[n]onero, dopo ferito ho visto un moro affondargli la baionetta attraverso la
schiena” (cfr. Il diario di Ugo Muccini, cit., p. 58).
34 Sempre a Leone si deve uno dei primi articoli apparsi nella stampa comunista dedicati a Gastone Sozzi, che aveva conosciuto a Torino a “l’Ordine Nuovo”. Cfr. F[RANCESCO] L[EONE], Gastone
Sozzi (Martiri della nuova Italia), in “Rinascita ”, a. II, 1945, n. 1, pp. 19-20.
35 Idem, p. 41.
36 Idem, pp. 45-46.
37 Da una lettera inviatami in data 17 dicembre 1983. Per una biografia completa si veda GIANNI
ISOLA, Francesco Leone, in F. ANDREUCCI - T. DETTI, op. cit., vol. III, Roma, Editori Riuniti, 1977,
pp. 92-95.
30
Tabella 1
Provenienza
Brigate Garibaldi
%
Centuria Sozzi
%
Francia
Italia
Usa
Belgio
Svizzera
Urss
Argentina
Lussemburgo
Jugoslavia
Cecoslovacchia
Austria
Spagna
1.996
223
104
98
60
58
37
25
19
4
2
-
59,50
6,65
3,10
2,90
1,80
1,70
1,10
0,75
0,55
0,13
0,07
-
66
2
4
4
1
4
1
6 75,00
2,28
4,55
4,55
1,14
4,55
1,14
Totale
Non determinata
2.626
728
78,25
21,75
82
6
93,21
10 6,79
Totale generale
3.354
100,00
88
100,00
31
Tabella 2
Regioni di nascita
Brigate Garibaldi
Piemonte
Lombardia
Liguria
Veneto
Venezia Giulia
Trentino
Emilia Romagna
%
Centuria Sozzi
%
167
225
77
309
132
29
209
4,96
6,70
2,30
9,21
3,94
0,86
6,25
7
12
5
10
9
1
17
7,93
13,64
5,68
11,36
10,23
1,14
19,32
1.148
34,22
61
69,30
Toscana
Lazio
Umbria
Marche
Abruzzo-Molise
145
41
32
26
12
4,32
1,22
0,95
0,78
0,36
10
3
1
-
11,36
3,42
1,14
-
Italia centrale
256
7,63
14
15,92
43
31
28
19
19
2
1,28
0,92
0,83
0,57
0,57
0,06
1
1
-
1,14
1,14
-
142
4,23
2
2,28
Italia
Non determinata
1.546
1.808
46,08
53,92
77
11
87,50
12,50
Totale generale
3.354
100,00
88
100,00
Italia settentrionale
Sicilia
Sardegna
Calabria
Puglia
Campania
Basilicata
Italia merid. e insul.
32
Tabella 3
Anno di espatrio
Anni
Prima del 1920
1920
Brigate Garibaldi
%
Centuria Sozzi
%
69
49
6,91
4,91
3
-
4,28
-
1a fascia
118
11,82
3
4,28
1921
1922
1923
1924
1925
44
82
98
104
54
4,42
8,23
9,84
10,45
5,45
1
6
7
8
5
1,43
8,57
10,00
11,44
7,16
2a fascia
382
38,39
27
38,60
1926
1927
1928
1929
1930
47
28
38
67
105
4,71
2,81
3,82
6,73
10,55
3
3
10
13
4,28
4,28
14,28
18,58
3a fascia
285
28,62
29
41,42
41
32
30
29
21
4,11
3,21
3,01
2,92
2,11
2
2
3
-
2,86
2,86
4,28
-
153
15,36
7
10,00
1936
58
5,81
4
5,70
Totale
996
100,00
70
100,00
1931
1932
1933
1934
1935
4a fascia
33
Tabella 4
Professioni
Categoria
Brigate Garibaldi
%
Centuria Sozzi
%
Operai
Artigiani
Impiegati
Agricoltori
1.471
254
180
104
43,86
7,58
5,36
3,10
37
13
5
12
42,05
14,78
5,68
13,63
Totale
Non determinata
2.009
1.345
59,90
40,10
67
21
76,10
23,86
Totale generale
3.354
100,00
88
100,00
Tabella 5
Età media
Fasce d’età
Brigate Garibaldi
%
Centuria Sozzi
%
1879-1899
1900-1908
1909-1911
695
1.193
225
32,90
56,46
10,64
31
41
7
39,24
51,90
8,86
Totale
2.113
100,00
79
100,00
Età media
34
34,36
35,39
Qui e nella pagina seguente: combattenti della “Centuria Sozzi”. In basso: gruppo di feriti
(il terzo seduto è Francesco Leone, riconoscibile anche nella successiva foto in alto)
35
36
Antonio Roasio e le brigate internazionali
Spontaneità e organizzazione nella guerra civile spagnola
di Adriano Ballone
Guerra di Spagna
Due aspetti di carattere generale vanno preliminarmente e sinteticamente indicati al
fine di meglio chiarire ciò che si dirà in seguito: il primo riguarda la bibliografia, e in particolare la memorialistica, sulla guerra di Spagna; il secondo le novità e le peculiarità di
questo conflitto di epoca contemporanea.
Per il contesto storico nel quale si sviluppò, per la commistione tra attività diplomatica,
lotta politica e mobilitazione rivoluzionaria, per l’intreccio che si stabilì tra forme tradizionali di scontro armato e guerra popolare, per le modalità con le quali si concluse la vicenda lasciando in eredità strascichi polemici e insegnamenti politici, la guerra di Spagna a
lungo ha costituito un terreno fertile per ricostruzioni storiche che fondevano insieme
passionalità ideologiche, esaltazione di memorie, eventi ed emozioni. Soggettività e ricostruzione storica connotano sin dall’inizio la bibliografia sul tema: a cominciare da quel
brillante e affascinante testo di George Orwell. “Ritengo che su avvenimenti come questi
nessuno sia o possa essere completamente veritiero. È difficile essere certi di qualcosa,
se non di quello che s’è visto con i propri occhi, e consciamente o inconsciamente, ognuno scrive con una certa partigianeria”: così Orwell chiudeva il suo “Omaggio alla Catalogna”, cogliendo quel tratto inconfondibile del distanziamento senza distacco, della visibilità possibile solo in virtù della presenza da un punto di vista inevitabilmente “partigiano”1.
Da quel conflitto, via via, per alcuni decenni, storiografi e movimenti politici trassero insegnamenti per il presente, facendone anche strumento di recriminazione o di rivalutazione2.
Politica, memoria, ideologia, soggettività e storia si sovrappongono spesso nella bibliografia sulla guerra spagnola: e ciò non dipende solo dal fatto che molti intellettuali europei
e non europei intervennero in modo diffuso e abbastanza inconsueto sui campi di battaglia: intervento che servì a dare risonanza, quasi “in presa diretta”, ai fatti bellici e politici
a livello mondiale e soprattutto a costruire un modello di conflitto in cui si intrecciavano
senso dell’avventura, coraggio individuale, passione politica, spirito di sacrificio e tensione etica.
Non infrequentemente l’aura di “romanticismo mediterraneo”, che ancora oggi avvolge la vicenda della “gloriosa Spagna”, ha condizionato la stessa ricostruzione storica e si è
tradotta, secondo una bella metafora di Bernard Knox, in un predominio di Calliope su Clio,
cioè dell’epica raccontata sull’analisi rigorosa di fatti e documenti3. Tutto ciò rende davvero complessa la vicenda spagnola. Tanto più quando - se accantoniamo le valutazioni sulle
cause lontane, di lunga durata, che originano il conflitto4 - questa guerra si conclude con
una indiscutibile sconfitta delle forze più autenticamente democratiche; eppure la scon37
fitta non si traduce in “disperazione”, per quanto bruciante, non ha i toni, le intensità e i
colori della “disfatta” irreparabile. Ancora una volta lucidamente lo ha intuito Orwell: “Il
risultato non è necessariamente disillusione e cinismo. Fatto curioso, tutta l’esperienza
spagnola non ha diminuito per nulla la mia fiducia nella dignità e nella bontà degli esseri
umani”5. Non è trascurabile il fatto che tale marchio di sconfitta con dignità e prospettiva
di riscatto, elemento identificatore della guerra antifranchista, sproni i partecipanti a ricreare quella che André Malraux, in “L’espoir”, chiama l’“illusion lyrique” e che consente di stabilire analogie e differenze, di cercare riscontri e trarre, in una parola, lezioni per
il presente. Ad esempio, Antonio Roasio, in quello che nel 1984 fu forse il suo ultimo
intervento pubblico, scriveva: “Ritengo più che giusto ricordare gli avvenimenti che caratterizzarono gli anni trenta in Spagna. [...] Viviamo di nuovo, oggi, un momento di acuta tensione internazionale, di contrapposizione e di blocchi, la corsa agli armamenti è sempre
più affannosa, la guerra nucleare, che distruggerebbe l’umanità, diventa sempre più un pericolo reale. Altrettanto ampio è il fronte della protesta contro la guerra, per ristabilire
forme di collaborazione tra i paesi, per assicurare pace e libertà ai popoli”6.
Tra tutti questi motivi, che nel leggere la vicenda della guerra spagnola vanno tenuti presenti, uno in particolare, per il tema che tratto, va sottolineato: la guerra di Spagna costituì
per il gruppo dirigente comunista italiano un momento di indiscutibile rilevanza. Con qualche
enfasi si potrebbe dire che il gruppo dirigente comunista italiano si diede, grazie alle prove affrontate durante quella esperienza, una fisionomia che resterà solida, quasi tessuto
connettivo, nei successivi quarant’anni, in certo modo si stabilizzò come partito. Questa è
l’opinione, ad esempio, di Giuliano Pajetta: “Proprio gli anni della guerra di Spagna, come
e forse ancor più di quelli del Fronte popolare in Francia, diedero un contributo decisivo
a creare le condizioni di base per un Partito comunista italiano reale con una solidità di
inquadramento, una chiarezza di orientamento generale, una fiducia nelle proprie forze e
un legittimo orgoglio nazionale che permise il superamento delle grandi difficoltà attraversate, proprio in quegli anni (1937-1939), dal partito ufficiale, debole nei collegamenti
interni, travagliato nella direzione, sottoposto a critiche severe e anche ingiuste (si veda il
discorso di Manuilskij al XVIII Congresso del Pcus, del marzo 1939) da parte di autorevoli esponenti dell’Internazionale”7.
Pajetta indica chiaramente alcuni “problemi” di storia del Pci che, in sede storiografica, devono ancora essere chiariti: quali “apprendimenti” ricavò il gruppo dirigente comunista italiano - in parte residente a Mosca, in parte disperso nell’emigrazione politica, in
parte impegnato in prima linea nella guerra spagnola - da quella vicenda? Quale incidenza
ebbe l’esperienza spagnola non solo rispetto alla partecipazione al movimento di liberazione italiano, ma anche alla strategia e alla tattica politica di almeno due decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale? A quali risultati approdò il “complesso e articolato intreccio di cause generali e di motivi personali”8 che caratterizzò la guerra civile
spagnola e anche l’intervento del Pci e dei suoi dirigenti?
Lo scopo di questo saggio è ben più limitato: concentra l’attenzione sulla partecipazione di Antonio Roasio alla vicenda spagnola, sul come questo dirigente comunista visse
e interpretò quell’evento. Peraltro non si può trascurare il fatto che questo dirigente comunista, non di secondo piano, in Spagna ricoprì un delicato incarico e che, per così dire,
in quel ruolo si specializzò. Una analisi della partecipazione di Roasio ci consente in tal
modo di illuminare alcune questioni che la pur vasta bibliografia sull’argomento, e in particolare sulle brigate internazionali9, ha talvolta sottovalutato.
38
Antonio Roasio in Spagna
Un primo elemento rilevante: la presenza di Antonio Roasio in Spagna è circoscritta
cronologicamente a non più di un anno, dall’ottobre 1936 all’ottobre 1937. Per quanto si
tratti di un anno cruciale, segnato da alcune delle battaglie più famose, si direbbe, ad una
prima superficiale valutazione, che la partecipazione di Roasio alla guerra di Spagna sia
marginale e secondaria, non certo simile a quella di un Francesco Leone o di un Luigi
Longo: sul piano personale, insufficiente a determinare un orientamento politico; sul piano generale, poco significativa, impressione questa che pare confermata da altri indicatori: il nome di Roasio appare ben poco citato nella storiografia e nella memorialistica10 e
talvolta con riferimenti inesatti. Sul piano militare l’anno spagnolo di Roasio coincide approssimativamente con la difesa di Madrid: la sua presenza è segnalata a Cerro de los Angeles, alla Ciudad Universitaria (dove, secondo le imprecise informazioni della polizia
fascista11, sarebbe stato ferito in modo grave) e infine a Pozuelo de Alarcón, dove, il 1
dicembre 1936, per lo scoppio di una granata restano feriti Longo, il “Campesino” e, “un
po’ più gravemente”, lo stesso Roasio12. Si tratta di una ferita alla gamba che lo costringerà ad un mese di inattività nell’ospedale delle retrovie e ad un periodo di convalescenza ad
Albacete. Lascerà la Spagna proprio in coincidenza con la caduta delle Asturie. Non risulta - sulla base della sua stessa testimonianza, della bibliografia, delle note informative della
polizia italiana - essere presente ad altre battaglie, né pare si sia distinto in scontri a fuoco
o in azioni arrischiate: giunto in ottobre, ferito in dicembre, inattivo sino a marzo, ripartito nell’ottobre successivo, si direbbe che la sua vita in Spagna sia trascorsa nell’anonimato, discreto, marginale, caratteristico di un lavoro oscuro e assai poco gratificante. Eppure non è così. La presenza di Roasio in Spagna, per quanto breve, per il ruolo che svolge e
per gli stretti legami con il movimento comunista internazionale, non è quella di un semplice militante. Sino alla partenza per la Spagna, Roasio ha svolto a Mosca, al fianco di
Togliatti, il compito di funzionario dell’ufficio quadri del Comintern: ha maturato una
conoscenza non superficiale dei problemi organizzativi e del “carattere” dei militanti comunisti. È questa una prima ragione che rende non credibile l’affermazione, contenuta
nell’autobiografia, circa la decisione di partire “volontario” per la Spagna. Indubbiamente
le sue doti e qualità temperamentali ne fanno un uomo poco propenso al lavoro d’ufficio
e più invece all’azione: lui stesso si autodefinisce un impulsivo, poco aduso alle diplomazie, anche impaziente e facile ad accendersi13. D’altra parte non pare il tipo da ritrarsi davanti al pericolo, che anzi affronta, quando necessario, in modo ardimentoso. Che lui stesso solleciti l’invio in Spagna è del tutto convincente. Tanto Teresa Noce che Paolo Spriano e Luigi Longo però, ritengono il suo ruolo importante14. In Spagna viene inviato con un
compito preciso - non necessariamente formalizzato in documenti ufficiali - che gli impone altresì di non esporsi oltre misura: per questo la sua presenza pare defilata.
Non sfugge questo dato alla Prefettura di Vercelli che, in data 12 marzo 1937, segnala
al Ministero dell’Interno l’informazione pervenuta: “Secondo notizie fornite, il comunista in oggetto troverebbesi in Spagna, nelle milizie rosse dove rivestirebbe un alto grado”15. Cautelativamente andrebbe detto che, e non solo sulla base della documentazione
raccolta nel Casellario politico centrale, la polizia fascista e i suoi informatori non sempre
risultano attendibili: appaiono talvolta meno occhiuti ed efficienti o più intriganti che rigorosi, nel tenere sotto controllo azioni, contatti, spostamenti dei “sovversivi” iscritti nel
Casellario “per il provvedimento di arrestare”. L’attività informativa della polizia è certo
39
assidua e intensa, ma a volte la macchina organizzativa, seppure ben oliata, pare incepparsi
e girare a vuoto per eccesso quasi di zelo burocratico16: inceppamenti che consentono probabilmente un qualche margine di manovra alle forze antifasciste attive in Italia, un uso
delle distensioni nella fitta maglia del controllo repressivo e intimidatorio. In genere, però,
l’informazione poliziesca si rivela attendibile e ad ogni buon conto in questo caso - l’importanza del ruolo di Roasio in Spagna - non sbaglia. Roasio parte per la Spagna con un
compito preciso e importante.
Conviene allora seguire le tappe del tragitto da Mosca a Madrid al fine di illuminare
alcuni aspetti che possono risultare decisivi nel caratterizzare le funzioni che poi svolgerà
tra i miliziani garibaldini. La decisione di partire per l’avventura spagnola viene presa a
Mosca - a quanto dichiara lo stesso Roasio17 - di concerto con Togliatti: contraria è invece, per ragioni che non conosciamo, ma che possiamo sospettare, la dirigente russa dell’ufficio quadri del Comintern dove Roasio lavora. Parte da Mosca - dove risiede oramai
da una decina d’anni - il 10 ottobre 1936 in treno, con passaporto cubano e del tutto digiuno di lingua spagnola. Nel viaggio da Mosca a Parigi è con un comunista austriaco, anche
lui destinato alla Spagna, che parla spagnolo, ma non l’italiano e il russo, lingue che conosce Roasio: sarà un “viaggio di muti”, ricorda divertito lo stesso Roasio.
Quella data - ottobre 1936 - non è senza significato. Alla metà di ottobre Stalin imprime una svolta alla politica nei confronti della vicenda spagnola: si conclude quella che Spriano ha chiamato “l’iniziale fase di incertezza diplomatica”, dovuta alla prudenza nei rapporti internazionali e alla sottovalutazione del “caso spagnolo”18. È del 19 settembre la “risoluzione del Segretariato politico sulla questione della Spagna”, dell’Internazionale comunista, risoluzione che fissa gli obiettivi dell’intervento comunista: tra l’altro, un diverso
atteggiamento nei confronti dei proprietari di terre e di fabbriche; soprattutto l’intenzione
“di lottare con decisione contro l’utopistico programma avventurista teso alla ‘creazione
di una società nuova’ quando il nemico è a 60 chilometri dalla capitale”; la necessità di
passare alla “trasformazione della milizia popolare in esercito popolare” mediante “l’introduzione della disciplina militare, l’esecuzione indiscussa degli ordini di guerra e la
nomina di uno stato maggiore”19. Del 16 ottobre è il telegramma di Stalin a José Diaz,
mentre alla fine di ottobre risale il primo arrivo in Spagna, ad Alicante, della nave sovietica Kuhan che trasporta i tanks e i primi trenta aerei. Il 27 agosto Marcel Rosenberg, primo
ambasciatore Urss in Spagna, aveva presentato le credenziali al presidente Azaña. Dunque,
la partenza di Roasio coincide con la decisione di Stalin di assumere un più preciso impegno di responsabilità e di solidarietà militare e politica nei confronti della repubblica spagnola dopo lo sbarco delle truppe di Franco sul territorio nazionale: l’invio ad agosto di
due milioni di dollari da parte dei sindacati sovietici aveva prefigurato il superamento della iniziale fase di incertezza dei dirigenti comunisti, dovuta anche ad una reale sottovalutazione dell’evento. Assieme a Roasio, a distanza di breve tempo, altri dirigenti comunisti
partono per la Spagna: ai primi di ottobre vi ritorna Longo e vi giungono André Marty, Giuseppe Di Vittorio, Giuliano Pajetta, Velio Spano, Teresa Noce, Osvaldo Negarville20.
Per la verità non sono venute a mancare le ragioni della prudenza diplomatica staliniana. Però un fatto nuovo, e imprevedibile, si è verificato: si vanno costituendo i primi raggruppamenti di volontari provenienti perlopiù dalla Francia, ma di varie nazionalità, decisi
a combattere a fianco e in difesa della repubblica. Non si tratta più di un volontariato di
piccole dimensioni. Questo afflusso di volontari (molti dei quali dichiaratamente comunisti), caratterizzato da accentuato spontaneismo, che fa nascere “un esercito popolare,
40
improvvisato e insieme fortemente politicizzato”21, pone all’Internazionale dei partiti
comunisti e al governo dell’Urss problemi, anche sul piano dei rapporti internazionali, non
risolvibili con semplici gesti di solidarietà ideale o diplomatica. Organizzare questi volontari diventa compito primario, tanto più che il governo di Largo Caballero si mostra
inadeguato sotto tutti gli aspetti e, come ha bene messo in luce Santos Juliá, il conflitto
interno al Fronte popolare si è fatto aspro dovendo determinare chi avrà l’egemonia reale
dell’azione politica e di governo22. Già nell’agosto 1936 “Mundo obrero”, organo ufficiale del Pce, partito a scarso radicamento sociale, aveva perorato la formazione di un esercito popolare, con un comando unico ed una severa disciplina militare23. Di lì a poco le
cocenti sconfitte militari (caduta di Oropesa del 30 agosto, di Talavera il 4 settembre, di
Irún il 5, di San Sebastián il 15, di Toledo il 27 ad opera del generale Varela) renderanno
perentoria tale esigenza. La partenza di Roasio si inserisce in questo quadro di riferimenti: quando giunge in Spagna, sono già oltre seicento i volontari italiani, perlopiù comunisti
e anarchici, animati da intensa fede internazionalista e rivoluzionaria, arruolatisi spontaneamente e con scarsi o nulli collegamenti con il partito. Scrive Spriano che i dirigenti
comunisti italiani ricevettero “una scossa dalle cose di Spagna”24: dopo anni di isolamento e di difficoltà nel lavoro in Italia, scoprirono di poter contare su di una base sociale
reale, anche se eterogenea e in gran parte sconosciuta. Uno dei compiti di Roasio, se non
il compito principale, è appunto quello di organizzare e vigilare politicamente su questa
massa di volontari giunti dall’Italia. Perché viene scelto Roasio per svolgere questo compito? Alcune indicazioni ci possono venire se ci soffermiamo sulla personalità di questo
dirigente comunista e, in parte, sulla sua biografia.
Soggettività e rivoluzione: la biografia di Roasio
Partito il 10 ottobre da Mosca, giunge il 14 a Parigi dove riceve le “indicazioni necessarie”. Il 19 è a Madrid dopo un fortunoso viaggio in aereo. Immediatamente si reca alla
sede Ce del Pce, dove incontra Codovilla: i due si conoscono da tempo e Codovilla vorrebbe trattenere Roasio presso la sezione quadri del Ce. Declina però l’invito e parte, secondo un evidente piano di istruzioni, per Albacete, centro organizzativo delle brigate internazionali. La sera stessa del 19 incontra Vittorio Vidali e Nino Nannetti, e soprattutto
Francesco Leone, “il solito allegro, ma brontolone”. L’incontro con Leone è, a detta di
Roasio, calorosissimo, ha quasi i toni della rimpatriata. Il ricordo comune va agli anni 192023, alle riunioni dei responsabili biellesi e vercellesi della Fgc: intensi anni di formazione
politica e culturale e di consolidamento delle basi ideologiche. Per il ventenne Roasio questi
anni e questa attività politica segnano le tappe della sua formazione come “coscienza politica di classe”25. Anni di confronti e di scontri ideologici e programmatici tra il Partito
socialista e il gruppo bordighista particolarmente solido in quelle federazioni. Il gruppo
bordighista fa capo a Pietro Secchia, mentre Roasio è schierato con i dirigenti socialisti.
Pietro Secchia ricorda in particolare un episodio rivelatore dei primi tempi, quando la sua
influenza sulla Federazione socialista giovanile locale non è ancora piena, prima dunque
che si sia imposta l’“egemonia di classe” sul movimento operaio biellese: durissima è la
protesta di Roasio, dirigente socialista giovanile, nel 1919 contro la decisione di Secchia
di costituire un “circolo giovanile socialista in una sede diversa da quella della sezione del
Psi e senza chiedere il permesso a loro [i dirigenti giovanili locali] e senza soprattutto prelevare tessere e bollini da loro”26. La “fedeltà al partito” e la sua “difesa” sono due orien41
tamenti solidi della personalità politica di Roasio in tutta la sua vita: cosa che non gli impedisce di passare, diventandone subito un dirigente provinciale, dal Psi al Pcd’I assieme
a quasi tutto il gruppo socialista giovanile, “ad eccezione di un piccolo gruppetto capeggiato da Salvatore Furno”. È quello giovanile comunista un gruppo di “scaldati” che la polizia novarese tiene sotto stretta sorveglianza a partire dal 1922. Risale all’aprile 1925 la
prima scheda di segnalazione di Roasio: vi viene descritto - con quale efficacia identificatrice sarebbe giusto chiedersi - di corporatura snella, di spalle larghe, mani larghe, gambe
larghe, piedi larghi. Il cenno biografico a lui dedicato è molto approssimativo e assai ingeneroso: “Nel pubblico riscuote fama poco buona. È di carattere violento, di educazione
volgare e di intelligenza mediocre. Ha fatto la 5a elementare. È lavoratore manovale e trae
i mezzi di sussistenza dal lavoro. Frequenta le compagnie dei sovversivi. In famiglia si
comporta in maniera da non dare luogo a rilievi. Non ha coperto cariche amministrative o
politiche. È iscritto al P.C. ed esercita scarsa influenza nell’ambiente in cui vive. Non ha
mai dimorato all’estero. Non ha mai collaborato alla redazione di giornali sovversivi. Riceve e legge i giornali del P.C. Fa propaganda spicciola fra i compagni di lavoro ma non è
capace di tenere pubbliche conferenze”.
La polizia politica fascista è sprezzante nei suoi giudizi sui “sovversivi”, però tra le tante
ovvietà, immagini stereotipate, illazioni gratuite di questa scheda poliziesca alcune annotazioni possono interessare poiché risultano penetranti e confortate dalla stessa testimonianza autobiografica di Roasio: l’impulsività del temperamento; le difficoltà reali, per lui
figlio di bracciante agricolo poverissimo, di formarsi una cultura anche solo di tipo elementare, difficoltà accentuate anche da un conflittuale e problematico inserimento nell’ambiente di lavoro biellese - a giudizio dello stesso Roasio - piuttosto chiuso e corporativo; il rapporto sofferto - così tipico della classe operaia - con la scrittura, con il “parlare
in pubblico”, con i dibattiti politici formalizzati. Tutto ciò resterà un tratto non modificato
nel profondo della personalità di Roasio, anche quando potrà dirsi, dopo gli intensi anni di
“apprendistato” in Urss, un dirigente formato. L’apprendimento nelle scuole di partito
dell’Internazionale, la frequentazione assidua dei compagni più istruiti (primo fra i quali
lo stesso Togliatti), gli incarichi nella direzione del movimento comunista italiano e internazionale costituiranno per lui un potente stimolo di alfabetizzazione culturale e politica,
ma non smusseranno del tutto, ad esempio, le impervietà nell’uso della lingua scritta: il
suo lessico politico e ideologico esprime una particolare predilezione per i toni forti,
ultimativi, per le metafore colorite e un po’ abusate, per le espressioni retoricamente precostituite e frequenti nei moduli oratori del linguaggio propagandistico dell’epoca staliniana. Questo lessico, per Roasio, ma anche per tutta una generazione di dirigenti e di
militanti comunisti, è anche la spia (e l’affermazione implicita) di una fedeltà ideologica,
così necessaria in quegli anni alla sopravvivenza nell’emigrazione e nella miseria27.
L’incontro con Francesco Leone - sempre citato nella autobiografia di Roasio con grande stima e rispetto e un sentimento di simpatia (anche se questo non esclude momenti di
divergenza e anche dissapori) - è certo qualcosa di più di una rimpatriata: Leone farà da
mentore al nuovo arrivato nei suoi primi giorni di vita spagnola. Stando alla stessa testimonianza di Roasio, Leone, oramai esperto di “cose spagnole”, essendo stato tra i primi a
giungere in Spagna, gli sottopone un inventario: “L’esperienza del primo gruppo di volontari antifascisti italiani e polacchi organizzati nella centuria Gastone Sozzi, le difficoltà
incontrate per avere un armamento efficiente, la mancanza di coordinamento tra le varie
unità militari che operavano sullo stesso fronte, l’impulso volontaristico, anche indisci42
plinato, delle unità miliziane, l’incapacità delle nostre colonne di fronteggiare un nemico
meglio organizzato e meglio armato in campo aperto”28.
Sintomatica quell’esplicita sottolineatura della indisciplina come carattere costitutivo delle prime formazioni internazionali. Questo della disciplina è un topos della pedagogia politica di Roasio, ma anche una delle questioni centrali attorno a cui ruota il rapporto
tra movimento operaio internazionale e guerra antifranchista in Spagna. Su questo tema
occorre soffermare l’attenzione per meglio intendere la natura e la portata storica del ruolo
di Roasio nella organizzazione di volontari e nella guerra spagnola: anche su questo aspetto la ”lezione” (secondo l’espressione di Giuliano Pajetta) che i comunisti italiani ricaveranno sarà preziosa.
Necessità e senso della disciplina
Il tema della disciplina - s’è detto - è un tema centrale nei discorsi di Roasio. Anche
sotto il profilo temperamentale manifesta per la improvvisazione, per la disorganizzazione, per la inefficienza, lui operaio abituato alla cooperazione organizzata ad un fine comune, un fastidio e una insofferenza che rasentano talvolta l’incomprensione e la chiusura
settaria: si tratta, per lui, di una “spontaneità” non funzionale. Così ad esempio descrive
l’esperienza quotidiana dei miliziani nei primi mesi di guerra: alla caserma nazionale:
“Alloggiavano oltre duemila volontari di tutte le nazionalità, la confusione era quindi inevitabile, e ciò permetteva ai furbi di sfuggire i servizi o disertare le esercitazioni in piazza
d’armi. Scoppiavano liti per un nonnulla, sparivano gli oggetti personali, si strappava il
materasso di sotto a chi ci dormiva, e tutto ciò senza potersi spiegare a parole. In queste
condizioni cresceva il malcontento ed era impossibile osservare l’orario e mantenere una
certa disciplina”. Ma soprattutto: “I combattenti erano dei volontari e dei democratici e
consideravano quindi un diritto e un dovere pronunciarsi liberamente su tutte le questioni,
scegliere e criticare i propri dirigenti; aspiravano a un’uguaglianza che non sempre è praticabile nella vita militare, quando la disciplina è una condizione necessaria per il buon
andamento delle operazioni; aborrivano i gradi, il saluto agli ufficiali: e prima di considerare gli ufficiali come tali, volevano vederli alla prova del fuoco”29.
Il “problema” della disciplina è per i comunisti in quegli anni una necessità e un cruccio: sono anni nei quali, secondo Luigi Longo, “il partito, i suoi organismi dirigenti, la sua
unità dovevano essere difesi ad ogni costo, sia nei dibattiti interni, che negli scontri con
gli avversari e i nemici. Le decisioni di questi organismi dovevano essere accettate da tutti
i compagni come leggi inviolabili. Con lo stesso spirito di disciplina dovevano essere
accettate le designazioni personali agli incarichi di lavoro e alle responsabilità di direzione del partito”30.
Ed esplicitamente fa riferimento alle “manifestazioni di indisciplina politica e organizzativa” che avevano preceduto la guerra di Spagna nel partito e nell’Internazionale: disciplina, fedeltà ideologica, obbedienza alla gerarchia, rispetto dell’autorità sono finalizzate, in quegli anni, alla sopravvivenza del partito. Aspetti che contraddicono le motivazioni che spingono i volontari internazionali in soccorso della Spagna democratica, motivazioni che più si avvicinano, sia pure con connotazioni romantiche e idealistiche, all’esperienza di una democrazia diretta, inevitabilmente disordinata e spontanea. Roasio è uno di
quei dirigenti comunisti che verrà inviato in Spagna con l’incarico di dare una “organizzazione” al volontariato.
43
Per temperamento, per convinzione ideologica, per educazione politica, per affinità
culturale con lo “spirito dei tempi” all’interno del movimento comunista internazionale,
per questioni oggettive, Roasio appare, più di altri, adatto a questo compito. Lo conferma
la sua stessa autobiografia: di aver ricevuto questo incarico Roasio non solo non nega, ma
indirettamente rivendica come manifestazione del suo impegno di “rivoluzionario professionale”. Rivendica con orgoglio di essere militante disciplinato e fedele e per intima convinzione. È ben vero che tutta l’autobiografia è costruita sulla base di collaudati modelli di
autorappresentazione ricorrenti nelle autobiografie dei militanti comunisti di formazione
leninista e bordighista31: il modulo narrativo lo descrive come “ribelle nato”, vissuto in
una nera miseria, capace però di emanciparsi dalla condizione di bracciante agricolo e
diventare operaio-proletario, anche acculturato e soprattutto dotato di coscienza politica
raggiunta grazie alla mediazione del partito-avanguardia, al quale si è riconoscenti anche
per la disciplina che ha saputo imporre all’originario “ribelle”. Ad indurci ad una qualche
maggiore cautela nei confronti dell’autobiografia vi sono altri aspetti: scritta quasi di getto nel 1975-76 e pubblicata dell’editore Vangelista, non nasconde il disappunto di Roasio
per il “rinnovamento” di quadri e di mentalità in corso nel Pci berlingueriano e per quella
proposta di “compromesso storico” che inquieta assai i “vecchi” dirigenti comunisti32.
D’altra parte Roasio sulla vicenda spagnola lascia altre testimonianze, tutte in vario modo,
sebbene di epoche diverse, convergenti. Al di là comunque delle questioni di interpretazione, la fedeltà di Roasio al partito è ribadita. In almeno altre due occasioni, di molto
posteriori agli anni di prima formazione politica, si rivela appieno.
La prima è del 1933 e riguarda una vicenda familiare: nel gennaio la polizia fascista
intercetta una lettera di Antonio al fratello e una alla sorella, ambedue da Mosca. La corrispondenza, che è anche in parte un’imprudenza, sia pure motivata, è originata da una precedente lettera - che non conosciamo se non per via indiretta - della sorella ad Antonio
nella quale si esprime più che simpatia, una qualche comprensione per il regime fascista,
oramai al potere da oltre un decennio, il quale avrebbe apportato “miglioramenti” ai ”poveri” e alla loro condizione di vita, tra i quali la sorella inserisce la propria famiglia. Roasio, pur protestandosi più realista del re e capace di “guardare in faccia alla realtà e ridere
di fronte agli scherzi che può giocarti la vita”, risponde con durezza non insolita. Accusa la
corrispondente di egoismo e ignoranza, di dimenticare i sacrifici sopportati dai genitori e
la triste condizione di lui Antonio: se in Urss, scrive non percependone l’ironia, “non ci
sono miglioramenti è perché non esistono più capitalisti che ci sfruttano”. L’immagine
dell’Urss che Roasio dipinge è anzi quasi idilliaca: “Le fabbriche, le officine, la terra, tutto è proprietà dell’operaio, questi lavorano solo 7 ore al giorno, fanno riposo ogni 5 giorni e l’utile del lavoro non va a finire nella cassa dei capitalisti sfruttatori, ma nella cassa
dello Stato (Stato diretto dagli operai) dove viene distribuito una parte per sviluppare il
paese e l’altra per migliorare la situazione degli operai”.
Quasi con gli stessi termini, la stessa fraseologia, gli stessi accenti accorati - e malgrado, a distanza d’anni, le tante prove empiriche contrarie - difende, nel 1976, “il socialismo sovietico” nelle pagine conclusive dell’autobiografia33.
La seconda occasione, alla quale accenno fugacemente, riguarda lo scabroso incarico
di segretario della Federazione comunista torinese, che assume, per mandato della Direzione nazionale del partito, un paio di mesi prima del crollo Fiom alla Fiat. Dovrà gestire
un’eredità pesante e difficile, uno sbandamento operaio devastante, una crisi della militanza politica comunista senza precedenti e ancor più aggravata dall’aperta critica degli
44
intellettuali torinesi a seguito dei fatti d’Ungheria. Il suo invio a Torino ha tutti i caratteri
di una fase di decantazione politica per un dirigente “scomodo”: pesano, alla metà degli
anni cinquanta, su Roasio sia i passati rapporti con Secchia, sia l’aver appoggiato incautamente e con convinzione nel 1951 la richiesta di Stalin di avere a Mosca Togliatti a dirigere il Cominform. L’invio di Roasio a Torino, successivo alla battaglia di Togliatti contro le
“satrapie“ delle segreterie regionali, per molti aspetti assomiglia a quello di Secchia in
Lombardia: a qualcosa che si può chiamare “declassamento per punizione”. Per certi aspetti
risulterà meno tollerabile di quello di Secchia, dati i tesi rapporti tra Torino e Roma e il
manifesto disagio dei torinesi verso un “estraneo” che non tarderanno a definire, in modo
ingeneroso, con l’epiteto di “bisonte”34. Eppure Roasio, in nome della fedeltà al partito,
prenderà molto seriamente il suo incarico, rivendicherà il suo compito di “normalizzatore” di una situazione che descriverà, bollando i torinesi come indisciplinati, in termini non
dissimili da quelli con i quali ha descritto la vita quotidiana dei miliziani in Spagna. Fedeltà al partito, necessità della organizzazione, rifiuto della spontaneità e dell’improvvisazione sono le caratteristiche che fanno di Roasio l’uomo adatto allo scopo nella vicenda spagnola.
Del resto che i volontari in Spagna, soprattutto nei primi tempi, intendono la guerra in
modo peculiare e “indisciplinato” ci è confermato da molte fonti: non ultimo il giornale
“Il Garibaldino”35. “Non era possibile - scrive Giorgio Amendola, quasi a giustificare una
scelta, dell’Internazionale, dura -, se si voleva vincere la guerra, permettere un’autogestione,
si direbbe oggi, della guerra, come veniva praticata soprattutto sul fronte catalano, dove
erano frequenti le gite individuali dei combattenti in città, sia per partecipare a manifestazioni politiche, sia per passare una serata in famiglia”. D’altra parte, aggiunge, “dietro alla
questione della disciplina e del contrasto tra Madrid e Barcellona, v’era tuttavia la questione centrale della prospettiva politica”36. Il conflitto tra comunisti, socialisti, anarchici, trotskisti e tra “politici” e “sindacalisti”37 coinvolgerà anche Roasio. Nell’anno in cui
egli è in Spagna, il suo ruolo di organizzatore si esplica con la nomina a commissario politico della Brigata Garibaldi. Il compito contempla diverse incombenze: molte ore sono
dedicate al “lavoro politico”, all’orientamento ideologico, alla discussione con i titubanti
e gli indecisi, a rintuzzare la “contropropaganda“ degli avversari38. Molto tempo deve dedicare alla conservazione o alla “ricucitura” di buoni rapporti unitari con gli altri gruppi
politici (socialisti, repubblicani, ecc.). Vi sono poi da garantire l’organizzazione dei servizi essenziali, il reperimento dei mezzi di trasporto truppe, il contatto quotidiano con i
volontari per infondere coraggio quando “cominciava a serpeggiare la diffidenza, diciamo
pure la paura”39.
Sul rapporto con anarchici e trotskisti, così centrale per il successo della strategia comunista in Spagna e determinante per illuminare il ruolo politico di Roasio quale dirigente dell’Internazionale, l’autobiografia è assai avara di informazioni: quasi eclettica e reticente. Soprattutto con gli anarchici il problema dell’organizzazione ha risvolti non solo
ideologici. Ha scritto sulla questione Knox, testimone non sospettabile, commentando il
libro di Ronald Fraser: “Meritano tale simpatia alla luce di quello che accadde loro per
mano dei comunisti; ma come difensori della repubblica sul campo lasciarono a desiderare. Dire che le colonne anarchiche non erano una forza di combattimento efficace è usare
un eufemismo. A volte dimostrarono un coraggio quasi folle e furono inclini a gesti drammatici; ma non si poteva fare affidamento su di loro. Nessuno a Madrid si sentiva tranquillo con una formazione anarchica al fianco”40.
45
Sono elementi che non si possono sottovalutare, tanto più che il progetto di orientamento e organizzazione, che Roasio è venuto a far funzionare, accusa difficoltà a realizzarsi persino tra le file comuniste. Secondo Giuliano Pajetta, il motivo per i dirigenti comunisti “di maggiore sorpresa e di inquietudine era rappresentato dall’insufficienza di qualsiasi organizzazione militare, dall’incapacità dei più perfino a comprendere una tale necessità”41. E anche quando verrà compresa, resteranno molte le riserve, soprattutto nei
confronti della gerarchia militare: Osvaldo Negarville, nell’autobiografia, scrive una dura
pagina contro l’abitudine dei “compagni comandanti” di utilizzare i volontari in parate ed
esibizioni: “Non accettiamo di diventare animali da esibizione”42.
L’insofferenza alla disciplina non è tanto, in questa occasione, un costume appreso o
un atteggiamento caratteriale, è invece il risultato di un modo di intendere e praticare l’attività politica e politico-militare proprio di una “guerra di popolo” spontanea, che mette
inevitabilmente in conflitto il comportamento del volontario con i “gesti misurati di alcuni membri dell’apparato giunti dall’Unione Sovietica a coordinare l’azione dei comunisti
italiani in Spagna” e che costerà a Leone, ad esempio, l’allontanamento dal fronte, malgrado le ampie prove di affidabilità tattica e umana43. Peraltro - e la nota non è solo di costume - dalle testimonianze tutte è agevole ricavare i giudizi ora caustici ora d’affetto ora
persino filiali dei volontari per i loro dirigenti e al di là delle barriere ideologiche: sintomo questo di un modo di vivere una guerra tutto particolare poiché qui “la lotta si sprigiona dal basso, è feroce, ma a misura d’uomo”44. Da questo punto di vista la dirigenza comunista italiana potrà davvero ricavare preziose “lezioni” da applicare, di lì a qualche anno, al
movimento che darà vita, in modo altrettanto spontaneo, alla Resistenza.
Il ritorno a Mosca di Roasio
Sulla base dell’autobiografia non è del tutto chiaro il motivo del rientro a Mosca di
Roasio, dopo le battaglie di Mirabueno e di Majadahonda. Secondo la Noce e Vidali il suo
allontanamento dal fronte è conseguente alle ferite riportate a Pozuelo. Più articolata è la
testimonianza dello stesso Roasio: “È appunto di fronte alla gravità delle perdite che l’Internazionale comunista, verso la fine del 1936, inviò una nota ai partiti comunisti più impegnati perché procurassero di preservare quadri politici che, formatisi in lunghi anni di
esperienza e di lavoro, ora cadevano numerosi come semplici combattenti”45.
La testimonianza è certo allusiva ai limiti della reticenza: la decisione di preservare
dirigenti politici sperimentati, impedendo che possano cadere numerosi come semplici
militanti, non può non corrispondere a una precisa valutazione del destino della guerra spagnola. In altri termini, significa riconoscere, alla fine del 1937, l’oramai inevitabile sconfitta. Per la verità non ci sono conferme documentarie a questo. Certo, il ruolo di Roasio
assume un’altra destinazione.
Nel gennaio 1937, non ancora del tutto ristabilito, si ritira al quartier generale di Albacete per organizzare l’ufficio matricole o ufficio quadri: lascia il suo incarico di commissario politico della brigata. Il suo compito ora è quello di accogliere i volontari, che giungono ancora numerosi, registrarne le generalità e il profilo politico, documentarsi sulla
storia personale di ognuno, seguirne poi gli spostamenti e assicurare a tutti l’assistenza
nei momenti di necessità. Anche ai commissari politici, da questo momento, secondo la
testimonianza di Vittorio Vidali, vengono assegnate incombenze analoghe: “Il commissario di guerra si interessa dei combattenti in quanto uomini. Li accompagna sempre: quan46
do si arruolano, quando si addestrano, quando si inquadrano in unità di combattimento,
quando vanno al fronte, quando combattono. Si interessa a tutto ciò che li riguarda: se
mangiano e se dormono, se vengono educati, se hanno qualche svago, o se hanno delle preoccupazioni”46.
Un ruolo di “tutoraggio“, che Roasio deve svolgere stando al centro della macchina
organizzativa e non al fronte, è un ruolo che egli già conosce perché lo ha praticato a Mosca negli uffici del Comintern. Così che in questo frangente risulta “facilitato dal fatto che
numerosi compagni li avevo incontrati alla scuola Zapada e leninista di Mosca e di molti
altri conoscevo la biografia per la mia attività all’ufficio quadri del Comintern”47. Si direbbe che questo è un destino (e una competenza) strettamente legato alla sua militanza
politica: nel dopoguerra sarà vice-responsabile della sezione di organizzazione e responsabile della sezione quadri fino al 1948, quando assumerà l’incarico di segretario regionale dell’Emilia-Romagna. All’ufficio quadri di Albacete resta sino all’ottobre 1937, al
momento del suo rientro a Mosca. Come leggere questo mutamento di ruolo?
Secondo Giorgio Bocca, che riprende la testimonianza di Antonio Berti, allora responsabile politico dei comunisti italiani, e di D’Onofrio, successore di Roasio ad Albacete,
l’incarico gli giunge direttamente da Togliatti che lo utilizza come testa di ponte e come
controllore nella intricata situazione del gruppo dirigente comunista italiano48. Allo stato
attuale della documentazione non conosco altri riscontri obiettivi a questa interpretazione, che è però plausibile, oltre che per tutto ciò che si è sin qui detto, anche per alcuni altri
elementi, in primo luogo quanto si dice nella stessa autobiografia.
“Mentre migliaia di comunisti, di antifascisti italiani combattevano la loro prima grande battaglia contro il fascismo, ed accumulavano una grande esperienza politica e militare, mentre decine e centinaia di migliaia di italiani in Francia si attivizzavano in questa battaglia per la pace e la libertà, creando una riserva di forze inimmaginabile da utilizzare verso
il nostro paese, il Centro del partito continuava a discutere se il pericolo principale era
l’opportunismo od il settarismo, si andava alla ricerca di quelle formule che dovevano
garantirci la purezza ideologica, approfondendo sempre più quei sintomi di crisi del centro direzionale, crisi che interessava un ristretto gruppo di compagni dirigenti, sempre più
staccati dal vivo della lotta, crisi che non aveva nessuna influenza diretta verso le migliaia
di comunisti che si trovavano in Francia”49.
Sono gli anni convulsi in cui, dopo aver attraversato una crisi di consenso profondissima e tale da aver quasi annullato la loro presenza in Italia, i comunisti italiani, grazie alla
sempre più autorevole leadership di Togliatti che dalla guerra di Spagna rilancia la politica delle alleanze50, avviano quel “nuovo corso” che li condurrà fuori dall’isolamento politico.
Contemporaneamente muta l’atteggiamento dell’Urss nei confronti delle democrazie
occidentali, malgrado le oscillazioni della diplomazia e della politica estera: situazione
questa che si traduce anche in una più serrata lotta politica interna di partito e negli imminenti processi staliniani ai “deviazionisti”. Il controllo politico sul Partito comunista italiano si fa più stretto e la guerra di Spagna viene utilizzata come occasione propizia.
Un secondo riscontro, a conferma del ruolo di Roasio, proviene da una nota informativa dell’Ambasciata italiana a Mosca, la quale tiene sotto stretta sorveglianza51 il gruppo
comunista italiano residente all’Hotel Lux, peraltro non facilmente raggiungibile da operazioni spionistiche, essendo - come afferma una precedente nota informativa - controllato “more sovietico”, intendendo in modo sospettoso e rigido. Il telespresso così recita:
47
“Da fonte attendibile risulta che il noto Antonio Roasio avrebbe da tempo fatto ritorno a
Mosca proveniente dalla Spagna, ove sarebbe rimasto ferito in una azione sul fronte di
Madrid. Il Roasio avrebbe ripreso la propria attività in seno al Comintern, dove gli sarebbe
stato affidato il reclutamento, il controllo e la selezione degli emigrati politici italiani, e
sembra anche di altre nazionalità, desiderosi di recarsi in Ispagna, nonché altri incarichi
politici. Il Regio Ambasciatore Rosso”52.
Se all’apparenza si tratta di un problema irrilevante, quello del ruolo di Roasio nella
guerra di Spagna e nella organizzazione comunista italiana e internazionale, in realtà solleva interrogativi circa tre questioni non marginali alle quali occorre dare una valutazione
più equilibrata e più complessa. La prima questione riguarda il rapporto tra reale spinta
autonoma e spontanea dei comunisti e degli antifascisti per la difesa della “rivoluzione
spagnola”, da un lato, e reclutamento-controllo-selezione diretto e promosso dal centro
organizzativo comunista: riguarda, cioè, il come e il perché di un controllo politico sulla
base del partito, di cui nella guerra di Spagna si fanno le prime esperienze che torneranno
assai utili nel dopoguerra in Italia.
La seconda questione riguarda la natura delle relazioni tra gruppi dirigenti comunisti
“nazionali” e linee di politica comune dell’Internazionale. In altri termini, si tratta di meglio comprendere quali siano gli effettivi margini di autonomia o quali i caratteri della
sudditanza o invece i percorsi di un inevitabile adattamento che intercorrono nei rapporti
tra singoli partiti comunisti e direzione dell’Internazionale: ne verrebbe una più articolata
analisi di quel fenomeno che siamo soliti definire “stalinismo”. Qual è, in questa situazione, il grado di “obbedienza” alle direttive? Il caso del rapporto tra Togliatti e Roasio può
essere esemplificativo. Malgrado la proclamata fedeltà al partito di Roasio, si direbbe che
i rapporti tra i due dirigenti siano alquanto fluidi. Da un lato tra i due corrono incomprensioni non marginali che Roasio nell’autobiografia non esplicita, ma neppure minimizza:
incomprensioni intanto di carattere (l’uno è sino in fondo “operaio”, l’altro politico e uomo
di cultura), ma anche politiche, strategiche e in parte ideologiche. Dall’altro lato traspare
nei confronti di Togliatti un atteggiamento di obbedienza, frutto in parte del modello di
autodisciplina e di autocontrollo e in parte conseguenza della maggiore delicatezza della
posizione personale di Roasio (è l’unico dirigente comunista italiano che a causa dell’omicidio Rivetti del 1926 non può, neppure clandestinamente, rientrare in Italia: e questo rende
la sua posizione assai debole).
La terza questione riguarda la tanto discussa vicenda dell’aiuto effettivo sovietico alla
repubblica spagnola. Non è certo ancora possibile una valutazione complessiva e piena,
ma alcuni elementi vanno messi in campo: ad esempio, nello stesso periodo in cui Roasio
viene richiamato a Mosca, anche altri dirigenti comunisti (Di Vittorio, Negarville, ecc.)
lasciano la Spagna, mentre viene avviata una profonda ristrutturazione del quadro dirigente
delle brigate Garibaldi.
Lo stesso Roasio poi, nell’autobiografia, muove esplicite critiche (quasi una polemica
cifrata con destinatari non dichiarati) circa la scarsa combattività della resistenza armata
dietro il fronte di guerra, nei paesi del Nord, nei paesi baschi, nelle Asturie53. Interessante, infine, il commento di Giulio Cerreti alla vicenda di “France-Navigation”: “Fu una bella festa e una rivincita su Stalin”54.
Ha probabilmente ragione Gabriele Ranzato quando sostiene che gli aiuti sovietici alla
Spagna repubblicana “non superarono mai un determinato limite”55 anche al fine di impedire “sviluppi rivoluzionari della situazione spagnola” che avrebbero potuto far naufragare
48
le possibili alleanze dell’Urss con le potenze democratiche occidentali. Peraltro, se l’afflusso di volontari non cessò, andò però diminuendo a partire dal 1938.
Quando Roasio se ne va, nell’ottobre 1937, gli subentra Togliatti “Alfredo”, e una nuova
fase comincia. Mi pare però necessario concludere queste succinte note con il convincimento che Roasio si porta appresso da quella, pur fugace, esperienza: “Sono convinto scrive nel 1984 - che la grande lezione storica di quella battaglia popolare non fu pienamente compresa dalle forze di sinistra”56. E intende dire che un meno timido intervento
avrebbe alquanto giovato alla democrazia spagnola e al movimento comunista internazionale: a questo principio Roasio rimarrà sempre fedele.
1 GEORGE ORWELL, Omaggio alla Catalogna, Milano, Saggiatore, 1964, p. 279. Su questi aspetti
presenti anche nella storiografia e nella memorialistica della Resistenza partigiana in Italia mi sono
soffermato in La dimensione esistenziale della banda partigiana, in “Rivista di storia contemporanea”, a. XIX, n. 4, ottobre 1990, pp. 550-586.
2 BERNARD KNOX, Ricordando Madrid, in “Comunità”, a. XXXV, n. 183, novembre 1981, pp.
176-177, sottolinea questi aspetti in un suo non retorico, ma commosso ricordo di quei giorni. Dopo
aver citato Auden (Spain, 1937, la traduzione italiana di Silvio Piccinato è in DARIO PUCCINI, Romancero della Resistenza spagnola, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 383): “La storia agli sconfitti potrà
dire ‘peccato!’ ma non potrà dare né aiuto né perdono”, ricorda come persino “l’amnistia proclamata
dopo la morte di Franco arrivò troppo tardi per gli esiliati, che avevano combattuto il fascismo così a
lungo e su tanti fronti. La storia era andata avanti senza di loro”.
3 B. KNOX, art. cit., p. 166. Si vedano a proposito delle testimonianze storiche, ad esempio, opere
quali GEORGE HILLS, The Battle for Madrid, New York, St. Martin’s, 1976; DAN KURZMAN, Miracle of November: Madrid’s Epic Stand, 1936, New York, Putnam’s, 1980; DOLORES Ibárruri,
Memorie di una rivoluzionaria, Roma, Editori Riuniti, 1962; CONSTANCIA DE LA MORA, Gloriosa Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1976; PIETRO NENNI, Spagna, Milano, Sugarco, 1976. In parte
questo atteggiamento ha condizionato anche la storiografia: si veda ad esempio HUGH THOMAS, Storia della guerra civile spagnola, Torino, Einaudi, 1963.
4
Si vedano ad esempio PIERRE VILAR, Storia della Spagna, Milano, Feltrinelli, 1955; ID, La
guerra del 1936 nella storia della Spagna contemporanea, in “Critica marxista”, a. VII, n. 2, marzoaprile 1969, pp. 91-117. Inoltre MANUEL TUÑON DE LARA, Storia del movimento operaio spagnolo, Roma, Editori Riuniti, 1972; CARLOS SEMPRUN MAURA, Rivoluzione e controrivoluzione
in Catalogna, Milano, Feltrinelli, 1976. Vilar scrive, ad esempio, che per comprendere la guerra
spagnola occorre in primo luogo ricostruire “l’ambiente di paura, di tensione, di rabbia sorda, originato dalla vittoria inaspettata del Fronte popolare, in tutti i nuclei di forze reazionarie e borghesi” (p.
115).
5 G. ORWELL, op. cit., p. 279.
6
ANTONIO ROASIO, Un’esperienza antifascista nella Spagna della guerra civile, in “l’impegno”, a. VI, n. 1, marzo 1986, pp. 5-10. Si tratta della relazione svolta al convegno La guerra di
49
Spagna: dalla memoria storica alla lezione attuale, Torino, 11-12 maggio 1984. Importante anche, in quello stesso convegno, la relazione di ANELLO POMA, La guerra di Spagna: ricordi e riflessioni, in “l’impegno”, a. VI, n. 2, giugno 1986, pp. 29-34.
Entrambe sono ora ripubblicate in questo e-book (ndc).
7 GIULIANO PAJETTA, Lezioni politiche della guerra in Spagna, in “Critica marxista”, a. IX, n.
3, maggio-giugno 1971, p. 106. Si veda anche VERNON R ICHARDS, Insegnamenti della rivoluzione spagnola (1936-1939), Pistoia, Edizioni “V. Valiera”, 1974.
8 Così si esprime GIANNI ISOLA, Francesco Leone e la centuria “Gastone Sozzi”. Analisi
quantitativa di una leggenda, in “l’impegno”, a. VIII, n. 2, agosto 1988, p. 12 e ora in questo volume.
9 Mi limiterò a ricordare M. TUÑON DE LARA, Storia della Repubblica e della guerra civile in
Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1966; H. THOMAS, op. cit.; BURNET BOLLOTEN, The Spanish Revolution: The Left and the Struggle for PowerDuring the Civil War, Chapel Hill, University of
North Carolina, 1980; l’interessante CÉSAR M. LORENZO, Los anarquistas españoles y el poder,
Paris, Ruedo Ibérico, 1972; la rassegna bibliografica di CLAUDIO VENZA, Gli anarchici e il Fronte
popolare nella recente storiografia italiana, in CLAUDIO NATOLI - LEONARDO RAPONE (a cura
di), A cinquant’anni dalla guerra di Spagna, Milano, Angeli, 1987; infine, ALDO AGOSTI (a cura
di), La stagione dei Fronti popolari, Bologna, Cappelli, 1989.
10 Talvolta, occorre aggiungere, anche in modo scorretto e impreciso.
11 Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Ps, Casellario politico
centrale, fascicolo “Antonio Roasio”, b. 4.356. D’ora innanzi le citazioni tratte da questa fonte verranno segnalate nel testo.
12 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, p. 127.
13 Idem, passim.
14 PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III: I fronti popolari, Stalin, la
guerra, Torino, Einaudi, 1970, pp. 130-144; TERESA NOCE, Rivoluzionaria professionale, Milano,
La Pietra, 1974, pp. 216-218; LUIGI LONGO - CARLO SALINARI, Dal socialfascismo alla guerra
di Spagna. Ricordi e riflessioni di un militante comunista, Milano, Teti, 1976, pp. 359-360.
15 Si veda la nota n. 11.
16 Sul nome di Roasio si concentrano ad esempio imprecisioni, incompletezze, infortuni informativi
derivati da omonimie, tali da sollevare seri dubbi sulla stessa attendibilità della fonte. Viene segnalato
ancora in Spagna nel 1938. Prima della vicenda spagnola viene ricercato per qualche tempo con il
nome di “Boasio Antonio”, poi di “Rossic Antonio di Giuseppe”, poi di “Roasio Antonio di Imperniato”, poi di “Lorasio Antonio”: imprecisioni inquietanti soprattutto se si tien conto che Antonio Roasio
è ricercato per l’omicidio Rivetti. Nel 1932 un fitto carteggio tra la Prefettura di Bologna (città nella
quale Roasio ha svolto servizio di leva e si è segnalato come contestatore della disciplina militare),
quelle di Vercelli e di Alessandria e il Ministero dell’Interno, è motivato da una parziale omonimia che
impegna per qualche mese le forze dell’ordine nel tentativo di identificare un certo Roasio Giovanni,
nato a Costigliole d’Asti, per un certo tempo istitutore presso un collegio salesiano bolognese, scambiato per il dirigente comunista e risultato poi del tutto estraneo agli ambienti eversivi e persona di
“moralità ineccepibile”. Va detto per altro, a parziale giustificazione dell’incoerente operato della polizia, che la lunga assenza di Roasio dall’Italia e la mancanza di fotografie segnaletiche aggiornate riducono in parte la possibilità stessa del controllo, che comunque, come dimostrato, resta assiduo e vigile.
17 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 99.
18 P. SPRIANO, op. cit., p. 89. Si veda anche D. T. CATTELL, I comunisti e la guerra civile spagnola, Milano, Feltrinelli, 1962.
19 A. AGOSTI, La Terza Internazionale. Storia documentaria, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp.
1.016-1.017, ma si vedano anche le pp. 1.025-1.044.
20 A parziale giustificazione della iniziale indifferenza, Giuliano Pajetta, nell’articolo citato, afferma
che “di fronte alla grandiosità degli avvenimenti di quegli anni”, “quanto succedeva in Spagna passava
effettivamente in secondo piano” e assumeva un “carattere che sembrava marginale”. La partenza di
quei dirigenti comunisti per la Spagna (anche Longo ritorna in Spagna nella prima quindicina di ottobre 1936) confermerebbe il mutato atteggiamento.
21 P. SPRIANO, op. cit., p. 80.
50
22
Di Santos Juliá si vedano i recenti Il Fronte popolare nella guerra civile spagnola, in C.
NATOLI - L. RAPONE (a cura di), op. cit., pp. 15-30 e Strategia comune e lotta per l’egemonia:
forza e debolezza del fronte popolare durante la guerra civile, in A. AGOSTI (a cura di), La stagione dei Fronti popolari, cit., pp. 241-263.
23 Citato in M. TUÑON DE LARA, La guerra civile in Spagna, in ROBERTO BONCHIO (a cura di),
Storia delle Rivoluzioni del XX secolo, vol. II, Roma, Editori Riuniti, 1966.
24 P. SPRIANO, op. cit., p. 84. Secondo Spriano, che riprende da Cattell, Stalin “avrebbe deciso
di intervenire in Spagna tra la fine d’agosto e la prima settimana di settembre” (idem, p. 93).
25 Antonio Roasio era nato a Vercelli nel novembre 1902 da poverissima famiglia di braccianti
agricoli, ultimo di tre fratelli. Nel 1908 si trasferisce con la famiglia a Biella, dove i genitori e poi il
fratello maggiore trovano lavoro nell’industria tessile. Anche lui entra al lavoro in fabbrica giovanissimo come apprendista tessile del turno di notte, “imparando allora che cosa significa la tortura del lavoro”. Si avvicina alla politica prima come socialista e poi come bordighista. Ancora negli anni settanta trova incomprensibile il “riformismo” degli operai biellesi: “Sembra una contraddizione che il Biellese, centro di grandi lotte economiche, con scoppi violenti di moti popolari e di classe, sin dall’inizio
e per lunghi anni sia stato influenzato da uomini come Rigola, Quaglino..., cioè esponenti della corrente riformista del Psi che godevano di larga influenza e prestigio tra i lavoratori”. Come attaccafili, partecipa e si fa organizzatore della famosa lotta. Nel 1920 viene licenziato dal Lanificio Sella. Tra il 1920
e il 1926 è molto impegnato nell’attività politica, come del resto tutta la sua famiglia: su quattro comunisti presenti nel consiglio comunale di Biella, uno è suo fratello e l’altro suo zio. L’episodio che segna
una svolta irreversibile nella sua vita avviene il 18 febbraio 1926: in fabbrica uccide il padrone Rivetti
(di questo episodio sono molte le versioni). Aiutato a fuggire dalla rete ormai clandestina del Partito
comunista (verrà tra l’altro ospitato per alcuni giorni a Milano), emigra nell’Unione Sovietica in un
viaggio avventuroso. Lì incontra Dina Ermini con la quale si sposa (la Ermini era nata a San Giovanni
Valdarno nel 1908 ed era già coniugata con Orazio Marchi, che sarà capitano nelle brigate “Garibaldi” in Spagna. Era poi emigrata in Francia e in Urss. Per qualche tempo sarà segretaria di Antonio
Berti). Nel 1943 viene fatto rientrare in Italia come responsabile organizzativo comunista nelle zone
liberate. Dal 1938 (subito dopo il rientro in Urss dalla Spagna) fa parte della Direzione del Partito
comunista italiano. Per tutto questo, oltre all’autobiografia, si veda la voce Antonio Roasio, di Aldo
Agosti, in FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio. Dizionario biografico.
1853-1943, vol. IV, Roma, Editori Riuniti, 1977, pp. 360-362.
26 Archivio Pietro Secchia. 1945-1973, in “Annali”, a. XIX (1978), Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 1979, p. 136. Per una valutazione critica di questi primi anni di vita del movimento
comunista biellese si veda l’importante introduzione al volume di Enzo Collotti.
27 Basterebbe fare un confronto con alcune tra le più significative autobiografie, quali ad esempio
quella di GIORGIO AMENDOLA, Una scelta di vita, Milano, Rizzoli, 1976; di ARTURO COLOMBI,
Vita di militante, Roma, La Pietra, 1976 e di FELICITA FERRERO, Un nocciolo di verità, Milano,
La Pietra, 1978.
28 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., pp. 100-101.
29 Idem, pp. 113-114.
30 L. LONGO - C. SALINARI, op. cit., pp. 359-360. Non diversamente G. PAJETTA, L’emigrazione italiana ed il Pcf tra le due guerre, in “Critica marxista”, a. VIII, n. 6, novembre-dicembre
1970, pp. 143-159.
31 Ho studiato questi aspetti nel mio Il militante comunista torinese (1945-1955). Fabbrica,
società, politica: una prima ricognizione, in A. AGOSTI (a cura di), I muscoli della storia. Militanti e organizzazioni operaie a Torino 1945-1955, Milano, Angeli, 1987, pp. 88-213.
32 Con il “rinnovamento” in atto tutto il “vecchio” gruppo dirigente verrà relegato ad un ruolo puramente rappresentativo ed escluso dalla direzione di partito: è un destino che riguarda Roasio, ma
anche altri dirigenti suoi coetanei. È interessante notare come, proprio in questi anni (1975-1980), ci
sia un fiorire di memorie e autobiografie di dirigenti e militanti comunisti italiani.
33 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 346 e ss.
34
Si veda il mio Uomini fabbrica potere, Milano, Angeli, 1987, in particolare il sesto capitolo su
La sconfitta.
35 PAOLA CORTI - ALEJANDRO PIZARRÓSO QUINTÉRO, Giornali contro. “Il Legionario” e “Il
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Garibaldino “. La propaganda degli italiani nella guerra di Spagna, Alessandria, Edizioni dell’Orso; Torino, Istituto di studi storici “Gaetano Salvemini”, 1993.
36 G. AMENDOLA, Storia del Partito comunista italiano. 1921-1943, Roma, Editori Riuniti, 1978,
pp. 308-309.
37 Si vedano i saggi, citati, di Santos Juliá e di César M. Lorenzo.
38
Sulla “contropropaganda” fascista e franchista si veda il saggio di MIMMO FRANZINELLI, L’intervento del clero militare italiano nella guerra civile spagnola, in “Spagna contemporanea”, n.
4, 1993, pp. 161-183.
39 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 122. Su questo però si vedano anche LUIGI
LONGO, Le brigate internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956 e GIOVANNI PESCE, Un
garibaldino in Spagna, Roma, Edizioni di Cultura sociale, 1955.
40 B. KNOX, art. cit., p. 157. Il testo di Ronald Fraser è Blood of Spain, New York, Pantheon,
1979. Sul ruolo giocato dal Poum si veda la rassegna bibliografica di EMMA SCARAMUZZA, Il Partito obrero de unificatión marxista: un bilancio storiografico, in “Rivista di storia contemporanea”, a. X, n. 2, luglio 1981, pp. 235-254. Interessanti, su queste vicende, le osservazioni nel fresco
libro di JULIÁN ZUGAZAGOITIA, Guerra y vicisitudes de los españoles, Parigi, Libreria española,
1969.
41 G. PAJETTA, La guerra di Spagna, cit., p. 109.
42 OSVALDO “VALERIO” NEGARVILLE, L’ironia e la pazienza, dattiloscritto, p. 90. Sullo “spontaneismo” dei volontari è interessante una osservazione dello stesso Roasio in un articolo, Note sulla
storia del partito dal ’37 al ’43, apparso in “Critica marxista”, a. X, nn. 2-3, marzo-giugno 1972,
nel quale si dice: molti antifascisti, “in modo spontaneo, riuscirono a varcare i confini per andare in
Spagna a combattere, e questo malgrado il parere contrario del Centro del partito, che considerava
il lavoro in Italia come compito principale” (p. 180).
43 G. ISOLA, art. cit., p. 21.
44 P. SPRIANO, op. cit., p. 80.
45
A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 131.
46 VITTORIO VIDALI, Spagna lunga battaglia, Milano, Vangelista, 1975, p. 110. Altri documenti sono editi in ID, Il Quinto Reggimento. Come si forgiò l’esercito popolare spagnolo, Milano, La
Pietra, 1976.
47 A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 113.
48 GIORGIO BOCCA, Palmiro Togliatti, Bari, Laterza, 1973.
49 La citazione e tratta da A. ROASIO, Note sulla storia del partito dal ’37 al ’43, cit., p. 180.
50 Si vedano, oltre che i capp. IX-XIV di P. SPRIANO, Storia del Pci, vol. III, cit., CLAUDIO
NATOLI, Togliatti e il dibattito sulla “democrazia di tipo nuovo” nel Fronte popolare (19351937), in C. NATOLI - L. RAPONE (a cura di), op. cit., pp. 109-124, e i saggi di A. AGOSTI, La linea
“Dimitrov“ nell’Internazionale comunista 1934-39, e di GIULIANO PROCACCI, Congressi della
pace e guerra di Spagna, in A. AGOSTI (a cura di), La stagione dei Fronti popolari, cit., rispettivamente alle pp. 65-85 e 86-126.
51 Sul controllo degli emigrati da parte della Ambasciata italiana a Mosca si veda GIORGIO FABRE, Roma a Mosca. Lo spionaggio fascista in Urss e il caso Guarnaschelli, Bari, Dedalo, 1990.
52 II telespresso è in data 17 febbraio 1938.
53
A. ROASIO, Figlio della classe operaia, cit., p. 128.
54 Ci si riferisce al noto episodio del mercantile sovietico, carico di armi e munizioni destinate ai
miliziani spagnoli e bloccato, per decisione di Stalin, nel porto di Odessa. Il carico viene trasferito
senza autorizzazione sul mercantile di France-Navigation affidato a “Cap Pinede” e portato a destinazione: si veda GIULIO CERRETI, Con Togliatti e Thorez, Milano, Feltrinelli, 1973. Il corsivo è mio.
55 GABRIELE RANZATO, Guerra civile in Spagna, in Il Mondo contemporaneo. Storia d’Europa, vol. I, Firenze, La Nuova Italia, 1980, pp. 424-425.
56 A. ROASIO, Un’esperienza antifascista, cit., p. 9. A conferma di questa lunga fedeltà, oltre
all’articolo e all’autobiografia, è utile rifarsi ad altri due scritti testimoniali di Roasio: Soldati della
Repubblica, in Perché andammo in Spagna, Roma, Anppia, 1966, pp. 66-73 e Battesimo del fuoco per i garibaldini al Cerro de los Angeles, in CESARE PILLON, I comunisti nella storia d’Italia,
Milano, Calendario del popolo, 1973, p. 515.
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La gioventù antifascista biellese in difesa della Repubblica spagnola
di Anello Poma
Gli antifascisti originari della provincia di Vercelli che, in numero abbastanza consistente, accorsero in Spagna provenivano in larghissima maggioranza dai paesi d’emigrazione. Trattandosi di persone impegnate politicamente, avevano seguito le vicende politico-sociali della Spagna almeno a partire dai fatti delle Asturie del 1934, per
l’emozione e la solidarietà che essi suscitarono. Conoscevano dunque, anche se soltanto superficialmente, quel paese e poterono inserirsi in quella realtà senza gravi difficoltà. Credo si possa dire che gli italiani ne incontrarono assai meno che non altri,
per tantissime ragioni a cominciare dall’affinità della lingua. Premesso questo, spero
abbia un qualche interesse parlare anche dell’impatto che ebbero con la realtà spagnola quei volontari che provenivano direttamente dall’Italia, soprattutto, come nel
caso di chi vi parla, di coloro che erano cresciuti nel regime fascista, nelle organizzazioni del regime, da “balilla” fino a “giovane fascista”. Questi non sapevano, se non
per sentito dire, ma pur sempre in modo nebuloso, che cosa era la democrazia, un
sistema parlamentare, la libertà di stampa e di associazione: nelle loro orecchie rintronavano soltanto le invettive contro le demo-plutocrazie, che Mussolini, i gerarchi, ed
anche i giornali, diffondevano quotidianamente. Né potevano servire da antidoto, se
non per poche persone, i rari fogli di stampa clandestina.
Da quanto mi risulta su cinquemila volontari italiani duecento provenivano direttamente dall’Italia; pochi certamente, ma un numero sufficiente per cercare di ricavare elementi di giudizio sul loro comportamento, sulle reazioni, anche differenziate,
che quell’esperienza provocò in loro.
Dalla nostra provincia quattro espatriarono in Francia e raggiunsero la Spagna, tutti
nell’estate del 1937. Tra questi c’ero anch’io che, in compagnia di un amico, Pio
Borsano, come me operaio ventiquattrenne, raggiunsi Parigi nell’agosto del 1937,
viaggiando su un treno popolare allestito da enti turistici per visitare l’Esposizione
internazionale. Da qui vorrei cominciare il mio racconto: la prima ventata di libertà,
che fu per me e il mio compagno entusiasmante, la ricevetti all’entrata in territorio
francese. Il treno sul quale viaggiavamo incrociò un reparto di soldati: erano chasseurs
des alpes, corrispondenti ai nostri alpini, che salutarono il treno, che sapevano venire
dall’Italia, alzando il pugno chiuso, nel saluto del Fronte popolare. Provai un’emozione grandissima, pari a quella che mi investì il giorno dopo, quando per le vie di Parigi
m’imbattei in due diffusori dell’“Humanité”, il quotidiano comunista, che mi offrirono il giornale mentre intavolavano un’animata conversazione con un altro passante.
Il mio primo incontro con la democrazia ebbe quei due segni inconfondibili: un esercito democratico e la libertà di stampare e diffondere un giornale. Non ebbi naturalmente il tempo di conoscere alcunché di Parigi negli otto giorni di permanenza, dedi53
cati interamente a stabilire i contatti con l’ambiente dell’antifascismo italiano, a conoscerlo e a farmi conoscere. La cosa che meglio ricordo, ma anche questa piuttosto
vagamente, è un comizio di Giuseppe Di Vittorio, appena tornato dalla Spagna, in una
grande sala molto affollata. Fu quella la prima volta che conobbi gli anarchici, che
chiedevano conto all’oratore dell’uccisione del loro compagno Camillo Bernieri, vittima dei fatti sanguinosi di Barcellona.
In Spagna giunsi verso la fine del mese di agosto, dopo una breve tappa a Carcassonne, prima di attraversare la frontiera spagnola. A cinquant’anni di distanza non mi
si possono chiedere altro che spezzoni di ricordi ed essi sono poi i fatti, importanti e
meno importanti, che più mi sono rimasti impressi nella memoria. Ricordi vaghi e senza
storia quelli del viaggio per raggiungere Albacete, centro di raccolta dei volontari delle
brigate internazionali. L’aria che tirava mi parve piena di ottimismo e di fiducia; campeggiavano scritte inneggianti al governo, a Juan Negrín e alla Pasionaria, ma anche a
Largo Caballero, nonostante non fosse più al governo, e a Buenaventura Durruti, il
capo anarchico caduto sul fronte di Madrid. Il periodo di addestramento che feci a
Quintanar de la República (come si chiamava allora) si limitò all’indispensabile.
Il ricordo si fa più vivo per quanto riguarda il mio arrivo alla brigata e soprattutto
per l’incontro con gli spagnoli. Venni assegnato al 3o battaglione, 3a compagnia, e la
prima scoperta che feci fu che l’organico della brigata era composto in maggioranza
da spagnoli, cosa del tutto logica, ma che in quel primo momento mi stupì. Tanti di
loro giunsero più o meno negli stessi giorni e si trattava non di volontari ma di soldati
di leva della classe 1917. Quelli che conobbi più a fondo, e con i quali legai di una
salda, affettuosa amicizia, provenivano dall’Andalusia, dalla provincia di Jaén. Il rapporto che stabilii con quei giovani andalusi fu, intanto, di stimolo all’apprendimento
della lingua, che infatti imparai rapidamente e nemmeno male. Credo che anche per
loro rappresentò qualcosa d’importante l’incontro con un giovane come anch’io ero,
tramite il quale imparavano a conoscere i miliziani delle brigate internazionali, e per
di più di nazionalità italiana, che combattevano per la Repubblica. Il fatto più significativo fu che assieme a quei giovani andalusi feci conoscenza della guerra e non so, o
meglio non ricordo, se quella compagnia influì nel mio comportamento. Ricordo tuttavia molto bene che ancor prima di guadagnarmi la loro salda amicizia mi guadagnai
la loro stima, per il solo fatto che seppi, come hanno saputo fare tanti altri, mantenere
una certa padronanza di nervi al primo impatto con la guerra. Salimmo al fronte a Fuentes de Ebro, nei pressi di Saragozza, per una azione offensiva. L’attacco non ebbe
alcun esito perché gli intenti offensivi furono bloccati sul nascere. Seguirono alcuni
giorni di sparatoria dalle opposte trincee e non vi furono scontri a breve distanza. La
guerra la conoscemmo soprattutto attraverso un intenso fuoco d’artiglieria a cui fummo sottoposti, senza però subire perdite serie perché eravamo su posizioni protette.
Era pur sempre il cosiddetto battesimo del fuoco e per quei giovani andalusi fu traumatizzante perché, a mio avviso, da generazioni gli spagnoli non sapevano cosa fosse
la guerra, nemmeno per sentito dire. Aggiungo subito che quando impararono a farla
la fecero bene, ma quel primo impatto per loro fu un trauma.
Nei mesi successivi altri giovani affluirono alla brigata ed erano catalani, parecchi
provenivano dalla città o dalla provincia di Barcellona. Vi erano certamente più affinità: erano, come me, figli di una civiltà industriale e quindi anche con loro mi fu facile stabilire rapporti di amicizia, che tuttavia non furono della stessa intensità rispetto
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a quelli con gli andalusi e quindi le mie preferenze andarono fino all’ultimo a questi.
Di loro mi sono portato dietro un ricordo sconvolgente. Eravamo nel mese di ottobre,
dopo che l’Esercito dell’Ebro era ritornato sulle posizioni di partenza, e mentre noi
eravamo in attesa di lasciare la Spagna, dopo il ritiro dal fronte: ricevetti la visita di
López, un ragazzo vivace con il quale credo di aver trascorso tutto il tempo sui vari
fronti. Mi raccontò del lavoro per la riorganizzazione della brigata dicendomi con la
massima serietà e convinzione una cosa incredibile: “Ci stiamo preparando per un’altra battaglia” e proferì una frase che mi rimase scolpita: “Me cago en Dios, voy a pelear
con mucha gana”. Potei solo guardarlo con un sentimento colmo di ammirata affezione, e questo resta il mio ultimo ricordo degli spagnoli.
Rifacendo il cammino a ritroso, racconterò che, durante la lunga sosta invernale
della fine del 1937 - inizio 1938 trascorsa in Aragona (mi pare fosse nelle vicinanze di
Lérida, ma non ne sono sicuro) conobbi i due altri miliziani di questa provincia, giunti
come me e Borsano dall’Italia, un mese prima del nostro arrivo: Gaspare Fracasso ed
Eraldo Venezia, di Tronzano il primo, di Bianzè il secondo, che tuttavia risiedeva da
molti anni a Biella. Ad Eraldo Venezia vorrei dedicare un ricordo: egli cadde sul fronte dell’Estremadura il 16 febbraio del 1938, ed appartiene alla schiera di militanti dell’antifascismo italiano ed internazionale che, donando la loro vita per la libertà del popolo
spagnolo, lasciarono un grande vuoto, perché possedevano doti che sarebbero certamente emerse già nel corso di quella guerra, ma soprattutto nelle battaglie successive.
La storia purtroppo non ha ricordato uomini come lui perché scomparsi troppo presto, perciò amo parlarne per quel poco che so e ricordo, per la grande stima e affetto
che ho conservato. Eraldo Venezia era cresciuto nel fuoco delle durissime lotte condotte dai braccianti del Vercellese per contrastare la marcia delle squadre fasciste: trasferitosi a Biella quando la vita al suo paese si rese pericolosa, ma soprattutto, si rese
difficile, anzi, impossibile avere occasioni di lavoro, non desistette dal suo impegno
militante, nemmeno quando il fascismo emanò le leggi eccezionali: subì dunque il rigore di quelle leggi con anni di galera e, scontata la pena, nel luglio del 1937 era in
Spagna. Combatté a Farlete, Fuentes de Ebro e cadde, come ho detto, sul fronte dell’Estremadura: faceva parte del 1o battaglione della brigata “Garibaldi” e, da quanto
seppi, era candidato alla nomina a commissario di compagnia, e forse gli era già toccato di assumere il comando del suo reparto, perché morì mentre proteggeva la ritirata dei suoi uomini, sotto l’incalzare di un contrattacco di truppe di colore. Al di là di
questo ebbi in seguito testimonianze di altri miliziani del suo battaglione, i quali lo tenevano in grande considerazione ed esaltavano la sua capacità di saper legare con gli
spagnoli.
Nei frequenti incontri che ebbi con lui, potei imparare qualcosa persino su taluni
aspetti dell’attività del movimento a Biella e in provincia, e poiché era più maturo di
me e attento allo svolgersi dell’attività non solo militare, mi aiutò a capire più in fretta
certi risvolti anche contraddittori della vita politica e dell’andamento delle operazioni
militari. Mi impressionava poi la sua carica umana e l’entusiasmo che sapeva trasmettere a chi gli stava vicino: era un uomo forte e, poco più che trentenne (era del 1903),
si trovava nel pieno della sua vigoria fisica e maturo intellettualmente. È facile intuire
come, essendo un modesto bracciante e poi operaio, quel che possedeva di cognizioni culturali fosse il prodotto della sua passione e del suo impegno dedicato durante il
soggiorno nelle patrie galere. La sua carica d’entusiasmo ne faceva anche un uomo
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coraggioso e di ciò ebbi più di una conferma da altri combattenti che sapevano cos’era il coraggio, nel senso di consapevolezza e quindi, quando bisognava averne.
Una delle impressioni che più mi sono rimaste impresse nella memoria, riguardanti l’atteggiamento della gente di Spagna verso i miliziani delle brigate internazionali, la
ricavai durante il viaggio che compimmo all’inizio di febbraio per recarci in Estremadura, partendo dall’Aragona e percorrendo tutto il Levante. Era la stagione della raccolta delle arance e, durante le soste del treno nelle stazioni, la popolazione e soprattutto le donne addette a quel lavoro riempivano letteralmente gli scompartimenti di
arance, accompagnate da calorose manifestazioni di saluto. Eravamo ormai nel 1938,
la guerra durava da un anno e mezzo, i dolori e i disagi si facevano sentire, e per me
quelle manifestazioni spontanee sono rimaste il segno dell’adesione popolare a quella
guerra.
Tornando alle vicende militari (posso parlarne avendo passato tutto il tempo al
fronte o nelle vicinanze), lo scontro che avemmo in Estremadura, nato, a quanto appresi in seguito, come parte di un’operazione su vasta scala, si rimpicciolì strada facendo fino a ridursi un’operazione di modeste dimensioni. Intanto però Venezia, e con
lui altri, ci rimisero vita ed io rimediai la prima ferita: niente di grave, ma i medici mi
spedirono all’ospedale di Murcia. Qualche giorno dopo fui trasferito in una località
balneare per la guarigione così mi godetti la mia prima vacanza al mare. Durò poco
perché all’inizio di marzo i fascisti sfondarono il fronte aragonese e perciò furono
affrettati i tempi per il rientro alla brigata. Venni incorporato nel 1 o battaglione, 1a
compagnia, che però esisteva ormai più di nome che di fatto. Nei combattimenti di
Caspe per arginare la dirompente offensiva dei franchisti la brigata aveva subito dure
perdite e i suoi reparti scompaginati dovevano essere ricomposti mentre si cercava di
ritardare l’avanzata nemica. L’impresa si dimostrò sempre più difficile e, dopo il tentativo di ristabilire il fronte a Gandesa, riprendemmo a ritirarci fino al fiume Ebro, che
ci salvò dalla completa disfatta. La brigata come tante altre unità subì una grave crisi,
perché diversi non se la sentirono di continuare quella lotta e si ritirarono in Francia.
Resto ancora oggi convinto che la riorganizzazione della brigata, attestatasi lungo
il tratto della riva sinistra dell’Ebro, abbia avuto del miracoloso. La sconfitta subita in
Aragona, che portò alla perdita di questa regione, la separazione della Catalogna dal
resto del Spagna, non ebbero le conseguenze irreparabili che si potevano temere. Credo
che l’Esercito dell’Ebro fu costruito grazie ad una straordinaria tenuta del morale, non
solo dei combattenti ma anche della popolazione. Certo, giunsero rinforzi persino di
interbrigatisti che sostituirono perdite ed abbandoni, ma il nucleo fondamentale di
quell’esercito furono i resti delle divisioni sconfitte in Aragona, uomini che non si
consideravano vinti. Lo avvertivo dentro di me e lo sentivo presente in tutti gli altri.
Quei mesi che trascorsi sulla riva sinistra dell’Ebro segnarono per me, e credo sia stato così per tantissimi altri, un processo di maturazione estremamente rapido, non solo
nella mia formazione di combattente, ma di uomo, diciamo pure di militante. Credo
sia maturata in quei mesi, e in modo pieno, la mia decisione di diventare quello che
nel linguaggio della III Internazionale, si definì il “rivoluzionario di professione”. Che
ci fosse piena consapevolezza del significato strettamente politico del termine non saprei
dirlo con certezza: forse in quel momento aveva semplicemente il significato di non
accettare la sconfitta e di cercare la rivincita. Fu così infatti per il proseguimento delle
altre battaglie in Spagna e poi fuori dalla Spagna. Partecipai alla fase difensiva della
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battaglia dell’Ebro, la più dura, la più ingrata e nel contempo la più sanguinosa: subii
due ferite, di quelle che in gergo militare si chiamano “ferite intelligenti” perché non
ledono nessun organo vitale, e dopo la seconda non tornai più al fronte. Eravamo alla
fine di settembre e proprio in quei giorni il ministro degli Esteri della Repubblica spagnola, Julio Alvarez del Vayo, annunciava alla Società delle nazioni che il suo governo aveva deliberato il ritiro delle brigate internazionali. Di lì a qualche mese avrei varcato
con i resti dell’Esercito repubblicano e centinaia di migliaia di civili fuggiaschi il confine francese, dove ci attendevano i campi di internamento.
Per la verità i campi non erano ancora pronti e fu la nuda sabbia del Mediterraneo
ad accogliere centinaia di migliaia di persone, sotto la vigilanza indifferente, ma non
certo amica, di truppe coloniali francesi, composte per l’occasione da senegalesi. Non
c’era proprio niente ad Argelès-sur-Mer dove fu la mia destinazione, non ancora le
baracche, mentre servizi erano improvvisati: solo sabbia e basta, ed eravamo nella prima
metà di febbraio. Per fortuna ci aveva temprati il freddo inverno di Aragona, regione
che conosce rigidi inverni e torride estati, e poi c’era la giovane età. Solo in aprile fummo
trasferiti a Gurs, nelle vicinanze di Pau, nei Pirenei occidentali. Quel campo sarebbe
diventato famoso e celebrato nella letteratura che parla di quei tempi bui e tormentati:
da quel campo passarono decine di migliaia di spagnoli, di antifascisti di tanti paesi
dell’Europa e infine di ebrei che si erano rifugiati in Francia. Un grande cartello esposto là dove vi era il campo (del quale si è conservato come unica testimonianza un
cimitero) ricorda che nel campo furono internati 23.000 combattenti repubblicani spagnoli, 7.000 volontari delle brigate internazionali e oltre 30.000 ebrei. La nostra comunità era composta soltanto da internazionali, perché le autorità del campo avevano
provveduto a separarci dagli spagnoli, e poi, ancora, ad operare una seconda separazione tra quelli conosciuti o sospettati di essere comunisti o simpatizzanti (praticamente
quasi tutti quelli che fecero parte della XII brigata o della batteria “Gramsci”) e coloro invece che avevano combattuto in altre unità, perlopiù anarchici. Tra di noi vi erano anche dei socialisti, ma ottennero ben presto la libertà e la legalizzazione in Francia.
Credo possa interessare conoscere come si svolgeva la vita al campo, quali prospettive avessero quegli internati. Vorrei centrare l’attenzione su quello che fu il nucleo più omogeneo, e che si mostrò irriducibile e, credo, almeno alla lunga, si rivelò il
più chiaroveggente: quelli cioè che ritenevano di aver subito in Spagna una grave sconfitta ma non si consideravano dei vinti. Ero tra questi, ed eravamo convinti che presto saremmo stati chiamati ad altre battaglie, e lo svolgersi vertiginoso degli avvenimenti lo stava confermando. Era così forte quella convinzione e quella determinazione, tanto da non essere scossa neppure da eventi di natura eccezionale, quale fu la
stipulazione del Patto di non aggressione tra la Germania e l’Unione Sovietica. Ci fu
emozione, questo è chiaro, ed anche dello sconcerto. La rovente polemica in atto tra
le forze politiche della sinistra, della quale si ebbe eco anche nel campo, con gli scherni
feroci che provenivano dal settore dove c’erano gli anarchici, non ci sconvolse però
se non superficialmente. Restava ferma in noi la quasi certezza che la guerra, che
consideravamo inevitabile, ed eravamo facili profeti, avrebbe ricomposto e sanato certe
lacerazioni e in quello scontro gli schieramenti si sarebbero delineati chiari e netti.
Quando la guerra scoppiò non avemmo esitazioni e chiedemmo di essere arruolati
nell’esercito francese: fu risposto con un rifiuto, e con una proposta alternativa: le
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compagnie di lavoro, per costruire trincee, che rifiutammo perché mortificante. Fermi nelle nostre convinzioni, seguimmo naturalmente con trepidazione lo svolgersi dei
drammatici avvenimenti, vivendo nella certezza che sarebbe venuto il nostro momento.
La débacle della Francia, che temevamo, ci causò molto dolore. Non dovevamo nulla al governo di quel paese, la cui politica del non-intervento nella guerra civile spagnola era stata tra le cause della nostra sconfitta, tuttavia amavamo la Francia e il suo
popolo: quel paese era sempre stato la terra di asilo per i perseguitati dal fascismo e
dal nazismo, ed in ultimo dei perseguitati per motivi razziali, e tutto ciò non poteva
essere cancellato dalla pavida e stolta politica dei governanti di quel momento, mostratisi incapaci anche nel prepararsi alla guerra contro Hitler.
Dall’arrivo a Gurs e successivamente al campo più duro di Vernet d’Ariège, nei
Pirenei orientali, cercammo di organizzare la nostra vita onde evitare che in quelle
condizioni di cattività diventasse improduttiva. Cercammo di renderla viva soprattutto sul piano culturale, per continuare, pur in quelle condizioni, a pensare. Per tanti di
noi, i più giovani, si trattava di cominciare a pensare seriamente attraverso un impegno di studio, che fu individuale e collettivo. I programmi di quell’impegno, che per
tanti di noi era una novità, e dovemmo impararne la tecnica nel corso stesso del loro
svolgimento, erano vari: andavano dalla storia e dall’economia all’apprendimento di
nozioni di matematica, alle lingue, mentre la letteratura, francese in particolar modo,
ma anche quella russa e inglese, riempivano i momenti meno impegnativi. Per me quel
periodo, che durò quasi tre anni, fu ricco di insegnamenti, non solo per l’impegno
profuso nello studio, che fu intenso e sorretto da una forte carica di passione che seppe reggere alle ristrettezze, privazioni e persino ai morsi della fame. Lo fu anche per
le tante conoscenze che feci di uomini di diverse nazionalità, diversi dei quali avevano accumulato esperienze e conoscenze, specialmente sul piano culturale, molto superiori alle mie. Con lo scoppio della guerra molti degli internati erano andati a lavorare nelle compagnie di lavoro, ed in ragione di ciò si era accentuato il processo di
selezione e, quando raggiunsi il campo di Vernet d’Ariège, alla fine di giugno del 1940,
vi trovai molti tra i dirigenti dei movimenti che operavano nell’emigrazione politica
dei paesi governati dai fascisti. Tra gli italiani una parte del gruppo dirigente del Pci,
tra i quali cito i più noti: Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio, Felice Platone, Mario
Montagnana e lo stesso Francesco Leone. Tutti costoro riuscirono a lasciare il campo, perché ottennero l’autorizzazione a raggiungere paesi che non erano in guerra: solo
Montagnana riuscì a raggiungere il Messico, altri come Leone e Giuliano Pajetta poterono rendersi liberi, sia pure in condizione di illegalità, in Francia, mentre Longo e
Di Vittorio li avrei ritrovati a Ventotene.
Con l’aggressione della Germania all’Urss avemmo la percezione di una svolta nella
direzione delle prospettive e delle speranze che avevamo coltivato. Giunsero conferme dell’accendersi di focolai di resistenza in Jugoslavia e in Francia. Intanto si sciolse
felicemente l’ansia che ci aveva tormentato, quando vi fu il rimpatrio improvviso di
un gruppetto di connazionali, tra i quali Idelmo Mercandino. Si era nell’inverno del
1941, e in estate giunse la notizia liberatoria che erano stati condannati al confino:
decidemmo tutti di chiedere il rimpatrio e così si concludeva, nel dicembre del 1941,
la fase iniziatasi nell’agosto del 1937. Venti mesi dopo, chiusasi anche la parentesi del
periodo di confino, si sarebbe aperta la pagina della Resistenza.
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Adriano Rossetti e il gruppo di Mongrando
dall’emigrazione in Francia alla guerra di Spagna
di Luigi Moranino
Fra i nove antifascisti di Mongrando (sette della frazione Ceresane, uno della frazione
Curanuova ed uno della frazione Ruta) che da Villeparisis, località non lontana da Parigi,
partirono, a cominciare dall’ottobre 1936, per accorrere in aiuto della Repubblica spagnola
vi era Adriano Rossetti: un antifascista la cui militanza politica era già stata contrassegnata da alcune significative esperienze.
Alla fine del 1924 Rossetti era stato espulso dalla Francia per l’intensa attività sindacale e antifascista svolta in questo paese, ma la polizia francese non aveva potuto notificargli il provvedimento perché egli, appena si era reso conto che le cose si mettevano male,
era partito per l’Italia, facendosi precedere, nel suo ritorno a Mongrando, dalla moglie
Giuseppina Rossetti, affettuosamente chiamata Fifina, e dalla figlia Liliana, di cinque mesi.
Nel febbraio 1927 era stato denunciato per attività antifascista a Mongrando insieme
al suocero Francesco Rossetti, alla cognata Aurora, alla zia Giorgina ed a Marino Graziano, fidanzato di quest’ultima. Nel mese di aprile era stato arrestato e rinchiuso per sei mesi
nel carcere “Regina Coeli” di Roma, prima di essere assolto per insufficienza di prove dal
Tribunale speciale dall’accusa di “avere in Mongrando continuato a far parte del Partito
Comunista, già sciolto per ordine della Pubblica Autorità, nella cellula degli edili”1.
Episodi rilevanti, le cui cause sono da far risalire all’iscrizione di Adriano Rossetti al
Partito comunista d’Italia fin dalla fondazione ed alla sua schedatura tra i “sovversivi”, da
tenere sotto controllo, specialmente dopo la promulgazione delle leggi eccezionali alla
fine del 1926.
La consapevolezza di Adriano Rossetti di poter incappare nei rigori delle leggi liberticide fasciste non gli impedì di trasformare la sua militanza nel Pci in una scelta di vita:
scelta che, all’epoca, significava la formazione di un militante politico di tipo speciale:
altruista, leale, incorruttibile e soprattutto onesto. Tutte qualità connaturate con la personalità di Adriano Rossetti che, dotato di un carattere forte e determinato, fecero di lui un
militante esemplare. Un altro aspetto importante della sua personalità era la qualificata
professionalità: per la sua perizia di stuccatore e muratore fu un lavoratore apprezzato dagli
imprenditori edili per i quali lavorò e da loro rispettato nonostante la diversità di idee. Pregi
che egli paleserà ancora di più con il suo comportamento nella cospirazione e nella lotta
antifascista, il cui impegno, oltre ad essere animato da una radicata convinzione, sarà stimolato e sorretto da un assunto che farà proprio: quello secondo cui “prima di tutto c’è il
partito2, come ebbe a dire alla moglie Fifina all’indomani del matrimonio.
Così, quando gli si presentò, nel 1930, l’occasione di poter ritornare in Francia a lavorare, e anche a riprendere la lotta antifascista (che a Mongrando, pur mantenendo i contatti
clandestini con il partito, gli era preclusa dalla stretta sorveglianza della polizia), non esitò un istante. Egli ben sapeva che nella vicina repubblica poteva contare sull’aiuto dei fa59
miliari e sulle buone relazioni che aveva con tanti amici e compagni di lavoro e, fra loro,
i molti compagni che condividevano le sue stesse idee politiche.
La zona della Francia dove decise di stabilirsi era quella di Parigi, che già conosceva,
ma, per raggiungerla, passò da Basilea, in Svizzera, quindi da Mulhouse, riuscendo, com’era
nel suo intento, a depistare la polizia italiana che cercava di controllare i suoi spostamenti.
Quanto agli altri antifascisti di Mongrando che, con Adriano Rossetti, parteciparono
alla guerra di Spagna nelle file del battaglione, prima, e brigata “Garibaldi”, poi, vi furono:
Giovanni Calligaris (anch’egli comunista dalla fondazione del partito, valente decoratore,
espulso dalla Francia insieme a Rossetti alla fine del 1924, vi era ritornato nel 1930, stabilendosi nella zona di Parigi, dove, l’anno seguente, era stato raggiunto dalla moglie e dal
giovanissimo figlio Spartaco; non essendo riuscito a procurarsi un regolare permesso di
soggiorno, era stato costretto a vivere illegalmente), suo fratello Lorenzo, Secondo De
Margherita, Giovanni Gannio, Attilio Minetto, Carlo Siletti, emigrati in Francia nei primi
anni venti, Bruno Rossetti e Arialdo Zanotti, rispettivamente fratello e cognato di Adriano, emigrati nel 1931: tutti elementi politicizzati e delle stesse idee di Adriano. Perlopiù
operai edili per i quali, come per moltissimi loro conterranei, “l’esperienza dell’emigrazione era parte integrante dell’ambiente in cui era[no] cresciut[i], e proprio per questo
motivo poteva[no] far riferimento in Francia ai familiari, agli amici e ai conoscenti che vi
lavoravano e si erano là stabiliti”3.
Ma torniamo ad Adriano Rossetti, le cui vicissitudini si arricchirono di nuove esperienze dopo l’arrivo in Francia, nel giugno 1931, della moglie e della figlia. La località
prescelta da Adriano e dai suoi familiari, su indicazione del fratello Mario, che vi abitava
da tempo, era Villeparisis, come già accennato, un piccolo centro collegato con la ferrovia a Parigi, senza stazione di polizia sul posto e pochi italiani emigrati residenti.
Di Adriano nessuno conosceva i precedenti politici ed egli, che rispettava rigorosamente le regole dell’attività politica illegale, poteva muoversi senza destare sospetti e la
sua abitazione, oltre ad essere un rifugio per la sua famiglia, diventò una base operativa del
Soccorso rosso. Egli era infaticabile, ed anche se il lavoro necessario per mantenere la
famiglia lo teneva lontano da casa per buona parte della giornata, trovò il tempo, come i
componenti del gruppo di attivisti antifascisti che costituì, di dedicarsi all’attività politica. A questo proposito ricorderà Fifina: “Per andare a lavorare a Parigi, partivano in treno
alle quattro e mezzo del mattino, poi dovevano magari attraversare tutta Parigi e prendere
diversi metrò [...] le quattro e mezzo del mattino sei giorni alla settimana perché si lavorava anche al sabato [...] e facevano riunioni due o tre volte alla settimana; Adriano veniva a
casa a dormire a mezzanotte o l’una: lui era il segretario”4.
Ma se per il lavoro politico fu rilevante l’apporto di Adriano, su Fifina praticamente
ricadde la responsabilità di gestire l’andamento della casa, che era grande: disponeva infatti di tante camere e numerosi letti; fu lei a dover pensare a dare asilo a compagni, provenienti da ogni dove, che il Centro di Parigi mandava a casa sua, e a molti dei quali venne
procurato anche un documento d’identità e trovato lavoro.
Sul compito svolto da Fifina fino al suo ritorno in Italia nel 1943, Vittorio Vidali, dirigente del Soccorso rosso internazionale, ha scritto: “L’emigrazione politica ha necessità
di sentire attorno a sé la solidarietà; è come un naufrago gettato a riva dai marosi; stremato, affamato, smarrito, solo. La mano che gli viene tesa, deve essere fraterna, comprensiva
[...]. Perciò gli incaricati di questo lavoro devono essere persone intelligenti e pazienti,
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capaci di intendere la solidarietà, come un impegno politico molto serio”5. Tutte qualità
possedute da Fifina, che si fece apprezzare per questo da tutti coloro che la conobbero ai
tempi di Villeparisis, della guerra di Spagna, di Montreuil e della Resistenza.
Tra il 1931 ed il 1932 giunsero dall’Italia Arialdo Zanotti e la moglie Aurora, sorella di
Fifina, che presero dimora nella casa di Adriano.
Negli anni che precedettero la costituzione del Fronte popolare e il suo avvento al potere
dopo la vittoria elettorale nella primavera del 1936, Adriano continuò ad estendere la rete
dell’organizzazione illegale mentre gli agenti fascisti dell’Ambasciata italiana a Parigi, che
mai avevano desistito dal raccogliere informazioni sul suo conto, continuarono nella loro
ricerca, che per molto tempo fu infruttuosa. Solo alla fine del 1933 riuscirono a scoprire
che egli risiedeva a Villeparisis e bisognò attendere fino al luglio 1935 - più o meno cinque anni dopo il suo espatrio - perché la stessa Ambasciata accertasse e trasmettesse a
Roma la notizia che Adriano Rossetti, oltre ad esercitare il mestiere di muratore, era un
antifascista attivo nella clandestinità.
In quegli anni, inoltre, furono molti gli antifascisti, dai dirigenti più noti ai semplici
militanti, che passarono o vennero ospitati a Villeparisis “da quelli di Mongrando”, come
veniva definita nell’ambiente dell’emigrazione e dell’antifascismo la casa di Adriano e di
Fifina, che aveva trovato nella sorella Aurora una valida collaboratrice.
L’attacco del generale Franco alla Repubblica spagnola provocò in casa Rossetti una
attività febbrile ed Adriano si trasformò in un propagandista che non perse occasione per
sollecitare gli antifascisti ad accorrere in aiuto del popolo spagnolo arruolandosi nelle
brigate internazionali. Lui stesso, proprio per dare l’esempio, fu tra i primi a partire per la
Spagna e, ad emularlo, in questo slancio di generosa solidarietà, ci fu ancora una volta Giovanni Calligaris, il compagno di tante battaglie. La loro partenza avvenne verso la metà di
ottobre del 1936 e con essi partirono Secondo De Margherita, Giovanni Gannio, Attilio
Minetto, Carlo Siletti ed Arialdo Zanotti. I sette furono seguiti da Bruno Rossetti, nell’aprile 1937, e da Lorenzo Calligaris, nel novembre dello stesso anno.
Un particolare significativo che testimonia il coinvolgimento delle famiglie dei nove
volontari in quella gara di solidarietà che, in Francia come altrove, si sarebbe tradotta nella costituzione di comitati per la raccolta di viveri, denari, medicinali per la Repubblica
spagnola, fu che essi partirono con la divisa da indossare in Spagna già confezionata nelle
loro case. Entusiasmo e un clima di diffusa mobilitazione antifascista fecero da cornice
alla partenza dei volontari. Solo l’idea che ai loro cari potesse succedere l’irreparabile creò
nelle mogli, che avevano bambini piccoli a cui pensare, non poche apprensioni, fugate
dall’assicurazione data loro che, in caso di necessità, avrebbero potuto contare sulla solidarietà internazionale. A questo riguardo Giovanni Calligaris disse: “Prima di partire per
la Spagna, ossia quando gli avvenimenti si sono sviluppati in Spagna, il Partito, ora non ricordo più di preciso la domenica, ma era una domenica tra la fine di luglio e la metà di
agosto, ci convocò, a Parigi nella sede dei sindacati, tutti i compagni comunisti della zona
che han voluto partecipare, ed eravamo molto numerosi, e il Partito, tramite un compagno
della Direzione, che suppongo fosse il compagno D’Onofrio, che allora si faceva chiamare Edo [...] ci diede questa direttiva: aiutare la Spagna era il primo compito, andare volontari in Spagna era un dovere; poi tutta la sequenza di garanzie, nel caso che fosse avvenuta
la morte o qualsiasi altra cosa. Cioè, in poche parole si trattava di questo: se si vinceva la
guerra saremmo diventati cittadini spagnoli e come tali trattati; se perdevamo la guerra e
per disgrazia non si fosse riusciti a vincere la battaglia contro il fascismo, evidentemente
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ci sarebbe sempre stata la nostra madre Patria: che in questo caso era la Russia. E cioè
saremmo finiti in Unione Sovietica. E questo valeva per noi e per le nostre famiglie. E
difatti si partiva entusiasti, sapendo che c’era questo ombrello che ci garantiva il domani.
Cioè o una o l’altra cosa poteva garantirci. C’era un altro pericolo: la morte. Ma la morte
per noi era una cosa logica, perché si sapeva che si andava a fare la guerra e si poteva anche
morire”6.
Giunti ad Albacete, la città spagnola centro di raccolta di tutti i volontari, con altri antifascisti italiani formarono il battaglione “Garibaldi” che, prima di essere impiegato sul
fronte di Madrid, fu sottoposto ad un breve periodo di addestramento e all’uso delle armi.
Fra i commissari dei reparti del battaglione c’erano anche Adriano Rossetti, che ebbe l’incarico di commissario politico di compagnia, e Giovanni Calligaris, nominato commissario politico di plotone.
Sull’impiego del battaglione “Garibaldi” nella difesa di Madrid nel novembre 1936,
Giovanni Calligaris ricorda: “E noi del ‘Garibaldi’ eravamo lì al Pardo - piccolo paese vicino a Madrid, sede di scuole militari ed ex scuderie reali - ed eravamo accasermati nei
locali della guardia del re e lì c’erano le stalle per i cavalli e c’erano gli alloggi per i soldati. E noi eravamo alloggiati lì. Ed è poi diventata la nostra sede permanente. Perché noi
diventammo poi delle formazioni mobili, delle formazioni di assalto. Ossia noi non andavamo in un posto per rimanere lì, ma andavamo nei punti più pericolosi per tappare i buchi,
oppure per dare un colpo, per sviare le forze nemiche in maniera da indebolirle”7.
Fra i primi garibaldini a cadere in combattimento sul fronte di Madrid ci fu Giovanni
Gannio (classe 1898), che morì a Casa de Campo il 30 novembre 1936. Poi fu la volta di
Attilio Minetto (classe 1901) che, nel combattimento di Mirabueno - sempre sul fronte
di Madrid - del l gennaio 1937, riportò una ferita al braccio destro che lo rese invalido.
Anche Giovanni Calligaris (classe 1900) riportò una ferita, al capo, nel combattimento di
Morata de Tajuña (fronte di Madrid) del 17 febbraio 1937. Una seconda ferita al piede
destro, che lo tenne per alcuni mesi lontano dal reparto, la riportò ai primi di maggio a
Valdeavero in Nuova Castiglia.
Adriano Rossetti (classe 1894) fu ferito gravemente all’addome il 14 marzo 1937 a
Guadalajara. Di lui l’ordine del giorno, che cita i garibaldini che si distinsero in quella
battaglia, riporta: “Il Commissario politico Adriano Rossetti è citato all’ordine del giorno
per il suo coraggioso comportamento sul fronte di Guadalajara. Ferito, rifiutava di abbandonare il combattimento. Colpito una seconda volta, continuava a combattere sino a cadere stremato di forze sul terreno”8. Sottoposto ad un primo intervento chirurgico a ridosso
del fronte, ai primi di maggio Adriano fu trasferito in un ospedale parigino dove lo attese
una lunga degenza.
Arialdo Zanotti (classe 1900), nominato sergente nel momento della costituzione della
brigata “Garibaldi”, fu promosso tenente dopo aver preso parte a numerosi combattimenti. A Campillo, in Estremadura, il 16 febbraio 1938, fu ferito gravemente al braccio sinistro, che gli verrà amputato e lo costringerà a rientrare a Parigi.
Durante la guerra di Spagna Fifina non solo continuò ad aiutare i compagni che si presentavano da lei, ma si prodigò per reperire i mezzi finanziari da distribuire alle famiglie
dei garibaldini partiti da Villeparisis e da località vicine e colà combattenti. Era un incarico di grande responsabilità perché si trattava di non far mancare il sostentamento alle famiglie dei combattenti, dei caduti, degli invalidi, dei feriti, le quali, prive del capo e del
salario che ricavava col proprio lavoro, si sarebbero trovate sul lastrico. Aurora, improvvi62
satasi attrice, regista, sceneggiatrice, mise insieme una piccola compagnia di teatro che
allestì spettacoli in lingua italiana, che ottennero un notevole successo di pubblico nelle
feste organizzate per sostenere la lotta dei garibaldini in Spagna e dalle quali si ricavarono
consistenti somme di denaro.
La sconfitta della Repubblica spagnola fu vissuta in modi diversi dai garibaldini di Mongrando: ai feriti o invalidi rientrati in Francia prima del 2 febbraio 1939 - data in cui venne
concesso il diritto d’asilo e l’entrata in Francia dei volontari ormai disarmati - non capitò
nulla. Giovanni Calligaris e Carlo Siletti, invece, privi di permesso di soggiorno del governo francese, furono internati nel campo di concentramento di Saint-Cyprien. Lorenzo
Calligaris, Secondo De Margherita, Bruno Rossetti, in regola con i documenti francesi,
poterono rientrare nei rispettivi luoghi di residenza. Diversa la vicenda di Adriano Rossetti: dopo il suo rientro a Parigi egli venne ricoverato in un ospedale, dal quale, nel giro di
un anno - tanto durerà la sua convalescenza - fu dimesso e ricoverato diverse volte. In questo periodo cambiò casa e si trasferì a Montreuil, sempre nei dintorni di Parigi, in una
abitazione il cui recapito “segreto” sarebbe stato utilizzato come base del Pci.
Lo scoppio della guerra il 3 settembre 1939 rese ancora più problematica l’esistenza
degli antifascisti in Francia: esemplare il caso di Aurora ed Arialdo Zanotti che, pur essendo in possesso di regolare permesso di soggiorno, furono arrestati il 4 settembre perché
“indesiderabili”9 e liberati, dopo quattro mesi di carcere, per interessamento della Lega
dei diritti dell’uomo.
Il precipitare degli eventi che decretò la fine della II Repubblica e l’instaurazione di un
regime collaborazionista con i nazisti, la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Francia, il
10 giugno 1940, costrinsero molti antifascisti, che illegalmente operavano ancora a Parigi, a lasciare la capitale e spostarsi verso il Sud. In quella zona, non ancora occupata dai
nazisti, poterono meglio organizzare la lotta antifascista sia in direzione dell’Italia che in
Francia dove, dopo l’occupazione nazista, assunse carattere di guerra di liberazione.
Fra i giovani antifascisti italiani attivi nella Resistenza francese, che operarono nella
regione parigina, vi furono: Piero Pajetta, William Valsesia, Gino Vermicelli, Nella Marcellino, Marco Bibolotti, i fratelli Diodati, Franco Montagnana, Liliana Rossetti ed altri,
appartenenti o collaboratori dell’organizzazione dei “Francs tireurs partisans”10).
Essi utilizzarono la casa di Adriano Rossetti a Montreuil come recapito, punto logistico, nascondiglio per il materiale di propaganda e delle armi che servirono per le azioni
contro i nazisti e i loro collaboratori di Vichy. Ciò fino a quando Adriano e i suoi familiari,
che avevano assistito Arialdo Zanotti fino alla morte (avvenuta nel febbraio 1943 per l’aggravarsi della malattia polmonare contratta in Spagna), decisero di rientrare in Italia.
Il loro rientro avvenne il 10 maggio e, consci di quanto sarebbe loro toccato alla frontiera, organizzarono il viaggio in modo che la figlia Liliana, essendo cittadina francese e
che doveva portare con sé una grossa valigia con doppio fondo contenente materiale politico antifascista, non venisse sottoposta a controlli. E così avvenne: Adriano e Fifina furono arrestati mentre Liliana, indisturbata, poté raggiungere Mongrando e consegnare il
compromettente materiale a chi di dovere. Sottoposti nel luglio 1943 al giudizio della
Commissione provinciale di Vercelli, ad Adriano furono inflitti tre anni di confino e Fifina venne condannata a tre anni di ammonizione. Solo dopo l’8 settembre la famiglia di Adriano si poté ricomporre nell’avita cascina Ciocchetti di Ceresane.
Ma non c’è tregua: bisogna armarsi e lottare subito contro l’invasore nazista e i loro
servi fascisti. Come in Francia tutta la famiglia si impegnerà in questa nuova lotta e la loro
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casa diventerà la prima base dalla quale Piero Pajetta “Nedo”, uno degli animatori e artefici della Resistenza nel Biellese, rientrato in Italia dopo l’armistizio, partirà per organizzare, nelle nostre vallate, i primi distaccamenti partigiani11.
A conclusione si può sottolineare che, con la morte di due compagni, il ferimento di
altri tre (uno dei quali restò invalido) il gruppo di Mongrando subì perdite di gran lunga
superiori a quelle medie di un esercito in guerra; e questo conferma la testimonianza di
Giovanni Calligaris di un impegno dato senza riserve e con generosità.
1
FLORO R OSELLI (a cura di), Tribunale speciale per la difeso dello Stato. Decisioni emesse
nel 1927, Roma, Stato maggiore dell’esercito, 1980, p. 483.
2 Da una testimonianza rilasciata all’autore da Giuseppina Rossetti il 30 ottobre 1980.
3 FRANCO RAMELLA, Biografia di un operaio antifascista: Adriano Rossetti, in “1’impegno”,
a. VII, n. 2, agosto 1987.
4 Testimonianza di Giuseppina Rossetti, cit.
5 VITTORIO VIDALI, Missione a Berlino, Milano, Vangelista, 1978, p. 120.
6
Da una testimonianza rilasciata all’autore da Giovanni Calligaris il 22 novembre 1980.
7 Ibidem.
8 GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia, Roma, Editori Riuniti, 19742, p. 124.
9 Da una memoria autobiografica di Aurora Rossetti del 1 novembre 1978, conservata nell’archivio dell’Istituto.
10 Testimonianza di Giuseppina Rossetti, cit.
11 Per un approfondimento sulla figura di Piero Pajetta si veda LUIGI MORANINO, Piero Pajetta
“Nedo”. Un combattente per la libertà, Taino, Associazione culturale “Elvira Berrini Pajetta”, 1995.
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Antifascismo e guerra di Spagna: “miliziani rossi” e altri “sovversivi” nei
documenti del Casellario politico centrale
di Piero Ambrosio
Lo schedario dei “sovversivi”
Lo schedario “per gli affiliati a partiti sovversivi considerati pericolosi per l’ordine e
la sicurezza pubblica” fu creato, in seno alla Direzione generale della Pubblica sicurezza,
a metà dell’ultimo decennio dell’Ottocento, con circolari del maggio 1894 e del giugno
1896. Sovrintendeva alla loro classificazione e vigilanza, con forme e mezzi diversi a seconda del grado di pericolosità2. Era destinato ad accogliere i fascicoli personali di anarchici, socialisti, repubblicani e, a partire dal 1921, anche di comunisti. A partire dal 1926,
in seguito all’approvazione del Testo unico delle leggi di Pubblica sicurezza, fu notevolmente ampliato e in esso furono inclusi, con la classificazione generica di antifascisti, anche
oppositori del regime di altri orientamenti politici: popolari, liberali, appartenenti al movimento “Giustizia e libertà”, irredentisti slavi e persino fascisti dissidenti1. Nel 1927 prese
il nome di Casellario politico centrale.
Nel Cpc sono conservati anche fascicoli di antifascisti che parteciparono alla guerra
civile spagnola come volontari nelle brigate internazionali o che furono schedati per “propaganda a favore della Spagna repubblicana” o per aver espresso pubblicamente il loro sostegno al legittimo governo spagnolo, non disgiunto da critiche al regime fascista italiano.
Per quanto riguarda la provincia di Vercelli sono stati individuati trentasei fascicoli di
combattenti in Spagna2, più alcuni altri fascicoli di antifascisti di cui non si hanno elementi sufficienti per provare la loro appartenenza alle brigate internazionali3.
Ovviamente non di tutti i volontari antifranchisti esiste il fascicolo del Cpc4: per realizzare un elenco il più completo e attendibile possibile dei volontari originari della provincia5, in mancanza di elenchi ufficiali, è necessario fare ricorso anche ad altre fonti6.
Per quanto riguarda invece gli antifascisti della provincia di Vercelli che furono denunciati per il loro atteggiamento favorevole alla Repubblica spagnola finora nel Cpc sono
stati individuati ventisette fascicoli7.
I volontari antifascisti in Spagna nella documentazione del Cpc
Esaminando la documentazione contenuta nei fascicoli del Cpc, e confrontandola con
i dati biografici riguardanti i volontari antifascisti in Spagna pubblicati in varie opere8,
emerge che essa è utile non solo per precisare alcuni aspetti della partecipazione alla guerra
civile ma anche, in modo particolare, per la ricostruzione delle vicende precedenti (attività politica in Italia o nei paesi di emigrazione, eventuali arresti e condanne) e anche seguenti (internamento in Francia, rimpatrio, interrogatori e condanne).
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Per essere precisi va segnalato che non sempre i dati relativi alla guerra spagnola contenuti nei fascicoli del Cpc e quelli riportati nelle opere citate e nelle schede biografiche
conservate nell’archivio dell’Aicvas corrispondono (per quanto concerne date di arruolamento, formazioni di appartenenza, combattimenti): se, da un lato, alcuni dati del Cpc sono
imprecisi, o inattendibili, per difetti delle fonti che erano alla base della redazione di quei
documenti9 o, come vedremo, per reticenze degli stessi antifascisti durante gli interrogatori, in altri casi la documentazione contenuta nei fascicoli del Cpc consente di entrare in
possesso di dati prima ignoti. Ad esempio finora ben poco si conosceva dell’anarchico borgosesiano Enrico Albertini, che raggiunse la Spagna dagli Stati Uniti, dove era emigrato:
questi, una vera “primula rossa”, si era messo in vista fin dal 1911 per la sua attività “sovversiva”10.
I “miliziani rossi”
Vediamo quanto emerge dall’esame dei fascicoli del Cpc dei volontari antifascisti.
La partenza per la Spagna, l’arrivo nel territorio della Repubblica, la presenza nelle
brigate internazionali (le “milizie rosse” come venivano definite dai fascisti) erano, nella
maggior parte dei casi, ben presto note alla Prefettura e alla Direzione generale della Ps11:
non appena segnalati, se non erano già schedati, gli antifascisti venivano iscritti nel Casellario politico centrale, per tutti scattava inoltre la segnalazione nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto (e, in alcuni casi, anche nel “Bollettino delle ricerche”) e veniva infine
disposta la revisione della corrispondenza diretta ai familiari e ai conoscenti.
Alcuni esempi. La partenza per la Spagna di Eraldo Venezia e Gaspare Fracasso fu segnalata al comando di Vercelli della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale da “fonte
fiduciaria non controllata”; quella di Giuseppe Tamagno fu comunicata dal console di Marsiglia al Ministero dell’Interno; quella di Adriano Rossetti da Villeparisis, dove risiedeva
con la famiglia, risultò da una lettera della figlia Liliana acclusa a una lettera di Arialdo
Zanotti diretta a sua moglie Aurora, a Mongrando, “revisionata e sequestrata”.
L’arrivo di Francesco Leone a Barcellona fu segnalato il 6 settembre 1936 alla Direzione generale della Ps con una “nota confidenziale” della polizia politica in cui si comunicava che il dirigente comunista aveva parlato alla radio di Barcellona. Da trasmissioni
della stessa emittente radiofonica furono ricavate varie notizie, tra cui quella del ferimento di Leone.
La presenza in Spagna di Carlo Ravetto risultò da una lettera censurata indirizzata dal
fratello Silvio alla madre, residente a Mezzana Mortigliengo; la partecipazione di Giovanni Calligaris alla guerra civile spagnola fu rivelata da sua moglie, ritornata a Mongrando
nell’aprile 1940.
“Fonte fiduciaria attendibilissima” nel maggio 1939 comunicò al comando delle truppe fasciste italiane che “il connazionale Mosca Carlotin (sic), miliziano nelle brigate internazionali, nell’anno 1937 [era stato] ricoverato nell’ospedale militare n. 1 di Madrid”.
Nel febbraio 1937 il Consolato di Bordeaux comunicò alla Direzione generale della
Ps che, secondo notizie non controllate, Giuseppe Bagnasacco sarebbe stato ucciso: questa incaricò pertanto la Prefettura di Vercelli “di fare eseguire riservate indagini nel di lui
luogo di origine per accertare se uguale notizia [fosse] giunta ai di lui parenti e di fare
controllare la corrispondenza dei medesimi anche per verificare se ad essi ven[issero] inviati
sussidi del soccorso rosso”. Ad ogni buon conto, “nell’eventualità che la notizia della di
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lui morte non [fosse stata] vera”, l’antifascista fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” per
l’arresto. Il Ministero degli Affari Esteri, interessato al riguardo, nell’agosto dell’anno
successivo comunicò che “malgrado le indagini esperite in questi ambienti sovversivi [di
Bordeaux] e presso un creditore del Bagnasacco, non [era] stato possibile aver conferma
del decesso”. Che il Bagnasacco si fosse arruolato “nelle milizie rosse” era stato comunque confermato da “fonte confidenziale in contatto col comando delle truppe volontarie
in Spagna”.
La presenza nelle brigate internazionali di Quintino Minero Re fu segnalata alla Direzione generale della Ps dal comando delle truppe fasciste italiane; quella di Annibale Caneparo fu comunicata dall’Ambasciata di Parigi; Riccardo Zanotto risultò invece trovarsi
“arruolato nelle milizie rosse in Spagna” secondo non meglio precisate “informazioni assunte sul luogo di nascita”.
L’Ambasciata di Mosca segnalò invece il ritorno in quella città di Antonio Roasio, “proveniente dalla Spagna, ove [era] rimasto ferito in una azione sul fronte di Madrid”, aggiungendo che egli aveva ripreso la “propria attività in seno al Comintern dove gli [era] stato
affidato il reclutamento, il controllo e la selezione degli emigrati politici desiderosi di
recarsi in Spagna”.
In molti casi le segnalazioni furono dovute, come si è visto, all’opera di “fiduciari”:
grazie a loro la Direzione generale della Ps poté redigere veri e propri elenchi di volontari. Nei fascicoli del Cpc abbiamo rinvenuto, ad esempio, due elenchi della Divisione polizia politica datati 22 maggio 1938, relativi l’uno a caduti e l’altro a “connazionali reclutati
nelle milizie rosse” con l’indicazione della data di partenza per la Spagna e la località dove
erano stati destinati.
Talvolta gli agenti fascisti poterono addirittura rilevare i nominativi dei “miliziani” dai
ruolini delle formazioni stesse; il Consolato di Salamanca poté infine redigere un elenco
di “connazionali arruolati nelle milizie rosse, appartenenti al battaglione Garibaldi” e che
avevano “preso parte attiva al conflitto” desumendo i nomi dal volume “Garibaldini in Spagna”, pubblicato a Madrid nel 193712, che era stato inviato in visione da un agente nel maggio
1938; grazie a una fotografia la Prefettura di Vercelli identificò, ad esempio, Antonio Mosca
Carlottin.
Inoltre, dopo la sconfitta della Francia nel secondo conflitto mondiale, nell’aprile 1942
furono rinvenuti negli archivi della Sureté, a Parigi, documenti riguardanti l’Unione popolare italiana e “i volontari italiani già combattenti nelle milizie rosse spagnole internati
nei campi di concentramento francesi”.
Infine non mancarono i casi di delazioni: ad esempio certo Alessio Arrighelli13, “reduce dalla Spagna rossa”, nel febbraio 1938 si presentò al Consolato di Parigi e fornì molti
nomi di antifascisti presenti nelle brigate internazionali, tra cui quello di un certo “Tondella della provincia di Vercelli” (che gli inquirenti ritennero di identificare “molto probabilmente in Tondella Federico”), che aveva sentito “ad Albacete parla[re] con altri tre
connazionali di un progettato viaggio in Italia, attraverso il confine svizzero, per compiere
un attentato con esplosivi durante qualche cerimonia” e aggiunse che questo attentato sarebbe stato diretto “da certo Camen”14.
Anche durante gli interrogatori cui gli ex volontari furono sottoposti nelle questure
delle rispettive province di appartenenza, dopo il rimpatrio seguito alla caduta della Repubblica spagnola e al periodo, per molti versi drammatico, dell’internamento nei campi
di concentramento francesi, vi furono casi in cui ex volontari confermarono l’appartenen67
za di loro ex commilitoni alle brigate internazionali. Ad esempio Ermenegildo Cozzi, da
Castelnovo del Friuli (Ud), fornì, tra gli altri, il nome di Teresio Caron. Questi invece sostenne di aver conosciuto il suo accusatore in una prigione francese dove sarebbe stato
incarcerato per contrabbando di effetti di vestiario dalla Spagna. Sostenne inoltre di essersi recato in Spagna nel marzo del 1937 alla ricerca di una certa Ida, svizzera tedesca,
con cui aveva avuto una relazione amorosa e di cui non ricordava il cognome, che era stata
colà portata “da persone che esercitavano la tratta delle bianche”; e aggiunse che, dopo
essersi soffermato in prossimità del confine, data l’impossibilità di proseguire nell’interno del paese per la guerra civile, era rientrato in Francia dove era, appunto, stato arrestato.
Dichiarò inoltre di non ricordarsi quali fossero esattamente i paesi in cui aveva dimorato
in Spagna e concluse negando di aver “combattuto nelle milizie rosse spagnole” e sostenendo di non essersi mai interessato di politica, ma di aver sempre esclusivamente pensato al suo lavoro.
Al prefetto la sua “narrazione” apparve “molto romanzesca e poco veridica” e, in considerazione sia dei suoi “sentimenti comunisti” sia della testimonianza dell’ex commilitone, pur non essendo stata la polizia in grado di “controllarne l’attendibilità”, dopo aver
sollecitato le “determinazioni del Ministero dell’Interno” (risulta che la relativa pratica fu
sottoposta a Mussolini) lo deferì alla Commissione provinciale per i provvedimenti di
polizia, che lo condannò a tre anni di confino.
Dopo il rimpatrio, nel corso degli interrogatori in Questura qualcuno, tra gli ex combattenti di cui ci occupiamo, cercò di far credere di essersi recato in Spagna in cerca di
lavoro: Giovanni Calligaris, ad esempio, dichiarò quanto segue: “A Parigi [...] avevo aperto
una modesta azienda di artigianato quale operaio decoratore, e gli affari andarono bene sin
verso il 1935. In seguito cominciarono insormontabili difficoltà [...] dovetti così chiudere l’azienda nei primi mesi del 1936 e la mia situazione divenne molto grave, per mancanza di mezzi. [...] A Parigi io frequentavo l’associazione del ‘Fronte unico antifascista’ che
divenne poi la ‘Unione popolare italiana’ e la ‘Lega dei diritti dell’uomo’15 dove mi fu consigliato di recarmi in Spagna [...] dove vi era possibilità di lavoro e di guadagno”.
Altri dichiararono di essersi arruolati spinti dalla necessità: ad esempio Carlo Zanada,
emigrato in Francia nel 1924, dichiarò: “Rimasto privo di occupazione e privo di mezzi mi
recai a Parigi nell’ottobre [1936] e decisi di andare in Spagna in cerca di lavoro. Alla frontiera spagnola ottenni di passare e mi recai in un paese nei pressi di Barcellona dove, non
avendo possibilità di vita, mi arruolai nelle milizie rosse”; Olinto Sella, emigrato in Francia nel 1934, dichiarò che in seguito a un incidente aveva perso la scarsa clientela della
sua modesta officina per riparazione di motociclette e quindi, “non disponendo di mezzi e
sollecitato da alcuni francesi del luogo, [aveva] decis[o] di arruolarsi nell’esercito repubblicano spagnolo”.
Anche Antonio Mosca Carlottin, emigrato in Francia nel 1925, dichiarò di essersi arruolato essendo rimasto disoccupato; e così pure Francesco Prevosto dichiarò che, emigrato clandestinamente in Francia, ed essendo stato espulso già nel 1925 e privato dei
documenti di identità nel 1928, nell’agosto del 1936, “preoccupando[si] della [sua] sorte,
[aveva] decis[o] di partire per la Spagna” e aggiunse che non fu “spinto da nessuno a partecipare alla campagna con i rossi spagnoli”.
Altri invece non nascosero i motivi politici alla base della loro decisione: ad esempio
nel verbale dell’interrogatorio di Luigi Viana si legge quanto segue: “nell’anno 1936 sentii il mio spirito di solidarietà verso i rivoluzionari spagnoli che combattevano contro il
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generale Franco ed il 20 agosto mi recai a Barcellona per arruolarmi nell’esercito popolare spagnolo”; anche Anello Poma dichiarò di essersi arruolato per “solidarietà morale
col governo repubblicano spagnolo che combatteva contro le forze del generale Franco”;
e Carlo Siletti “confermò di aver appartenuto alle forze comuniste spagnole aggiungendo
di aver fatto ciò spinto dalla sua fede antifascista”: in considerazione della sua dichiarazione, pur essendo stato riconosciuto non idoneo a sopportare il regime confinario, per le
sue gravi condizioni di salute, fu ugualmente condannato a cinque anni di confino.
Nel corso degli interrogatori la maggior parte degli arrestati cercò di minimizzare il
ruolo avuto nelle brigate internazionali: Olinto Sella, ad esempio, pur essendo stato costretto ad ammettere la propria partecipazione alla guerra civile, dichiarò di non aver partecipato ad alcun fatto d’armi. Altri, nell’intento di evitare la condanna al confino, non ammisero neppure di aver combattuto nelle brigate internazionali: Adriano Rossetti, ad esempio, negò “recisamente” la sua partecipazione alla guerra civile in Spagna; anche Annibale
Caneparo non ammise la sua partecipazione alla guerra civile spagnola, fornendo inoltre
una serie di recapiti e di nomi di persone che avrebbero potuto confermare che non si era
mai allontanato da Parigi o da Perpignan, sue località di residenza in Francia: essendosi
difeso “con accento di verità” e poiché la citata segnalazione dell’Ambasciata di Parigi
secondo cui avrebbe militato nelle brigate internazionali non aveva trovato conferma, non
fu assegnato al confino ma soltanto diffidato.
Comune a tutti i volontari antifranchisti della provincia di Vercelli fu l’atteggiamento
di non fornire nomi di compagni o di dare informazioni generiche o false: Giovanni Calligaris, ad esempio, ammise di aver conosciuto nel battaglione “Garibaldi” alcuni italiani
volontari, ma di non ricordarne i nomi; Anello Poma dichiarò che era stato arruolato col
grado di soldato nella 3a compagnia della brigata “Garibaldi”, comandata da un capitano
spagnolo e che “in detta compagnia erano anche altri italiani, ma non ne ricord[ava] i nomi”;
Antonio Mosca Carlottin affermò di non ricordare i nomi degli altri volontari italiani inquadrati nella sua compagnia e aggiunse che essi, in gran parte, erano caduti in combattimento.
Anche Giuseppe Mosca, pur avendo ammesso che nel suo “reparto vi erano anche altri
volontari italiani”, sostenne che “non ne ricorda[va] più i nomi”; per quanto riguardava il
comandante della sua compagnia disse che si trattava di un “certo Ferraris, italiano, settentrionale, da [lui] non meglio conosciuto”; Gaspare Fracasso, dopo aver ammesso di aver
fatto parte della 1a compagnia della brigata “Garibaldi”, disse che il comandante si chiamava Mario, piemontese di circa trentacinque anni e aggiunse che non ne aveva mai saputo
il cognome e di non ricordare i nomi di altri compagni; Carlo Zanada ammise di aver conosciuto “degli italiani facenti parte delle armate rosse” ma sostenne di non conoscerne i
nomi e quando, il 25 maggio 1942, nella direzione della colonia di confino di Ventotene
un funzionario di Ps gli mostrò una fotografia di Silvio Bianchi, suo ex comandante, dichiarò di non essere in grado di riconoscerlo, essendo stato ai suoi ordini soltanto per una
quindicina di giorni e non ricordandone le sembianze.
Alcuni ex combattenti ritornarono in Italia solo dopo la caduta del fascismo ma preferirono ugualmente negare la loro militanza: così Giuseppe Mezzano che, interrogato nel
mese di agosto del 1943, negò “recisamente di aver preso parte alla guerra civile spagnola, affermando di essersi recato in Spagna, e precisamente a Barcellona, nel 1936, unicamente per ragioni di lavoro e di esservi solamente rimasto sei mesi”: fu messo in libertà
e sottoposto a “opportuna vigilanza”; così pure Francesco Montarolo, fermato da agenti di
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Ps a Bardonecchia (To) il 19 agosto 1943, negò “recisamente di aver preso parte alla guerra
civile spagnola, aggiungendo di aver sempre lavorato in Francia e di non essersi mai allontanato nemmeno per ragioni di lavoro”, e dichiarò “di non aver mai fatto parte di partiti
politici a eccezione di un circolo ricreativo di amicizia italo-francese a sfondo popolare”:
fu rilasciato e avviato al comune di origine.
La guerra di Spagna e gli antifascisti in provincia di Vercelli
Ed ecco invece quanto emerge dall’esame dei fascicoli del Cpc di alcuni antifascisti
della provincia di Vercelli arrestati per episodi in qualche modo connessi alla guerra di
Spagna.
Il 7 febbraio 1937 la polizia venne a conoscenza che al noto sovversivo vercellese Alessandro Rigolino16 era stata recapitata una lettera “di provenienza sospetta”: perquisito il
suo domicilio, gli agenti rinvennero e sequestrarono un foglietto scritto a penna a essa
allegato in cui era scritto: “Marsiglia 8 novembre 1936. La mia partenza è prossima è quistione di ore, la motonave sta alzando le ancore quando riceverai questa spero di essere a
fianco di Leone a combattere per la libertà. Viva la Spagna proletaria. Viva la gloriosa centuria Gastone Sozzi. Preferisco morire sotto il cielo libero che vivere nelle carceri di
Mussolini. Saluti Giuseppe17. Molti italiani sono già caduti. Non ti comprometto più questa è la prima e ultima volta che ti scrivo”. Al foglietto era anche allegato “un ritaglio di
giornale sovversivo riproducente la fotografia del pericoloso comunista schedato Leone
Francesco”.
Fermato e sottoposto a stringenti interrogatori perché indicasse il mittente della lettera “non fornì alcuna indicazione al riguardo, “mantenendosi evidentemente e pensatamente reticente e dando in tal modo la prova evidente di ispirarsi alle direttive del partito comunista che prescrive agli adepti di non rivelare i nomi dei compagni. Arrivò anche al punto di cinicamente affermare di non conoscere il Leone, vercellese di elezione, ben noto in
provincia e suo amico”. Ritenendo il suo comportamento “tale da ostacolare l’azione dei
poteri dello Stato” fu deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia che, il 22 marzo, lo condannò a un anno di confino18.
Il 14 febbraio 1937 Francesco Vacchetta19 fu fermato dalla Milizia confinaria di Domodossola (No) mentre si dirigeva, insieme ad altri, verso il confine con la Svizzera. Risultò che il tentativo di espatrio era originato da motivi politici: l’Ovra infatti accertò che
“gli espatriandi avrebbero dovuto recarsi in Spagna per arruolarsi nelle file dei rossi spagnoli e presentarsi a Lugano da Giuseppe Faravelli20 per ricevere i mezzi per proseguire”.
Fu denunciato alla Commissione provinciale di Milano per i provvedimenti di polizia che,
l’8 aprile, lo condannò a cinque anni di confino21.
Nel pomeriggio del 29 marzo 1937 in una trattoria di Pralungo l’operaio Mario Cantone22 tra l’altro disse che “sapeva che, mentre ritornavano dall’Africa orientale, tre divisioni, invece di rimpatriare, erano state mandate in Ispagna per l’occupazione di Malaga, che
tra pochi giorni sarebbe stata ripresa dai rossi, e che quello che parla[va] alla radio di Barcellona [era] un biellese e di là si sent[iva] la pura verità di ciò che succede[va]”.
Ai carabinieri, che lo arrestarono, negò di aver pronunciato tali frasi, ammettendo soltanto “di aver ascoltato lagnanze da parte di disoccupati”, e cercò di giustificarsi affermando
che “il duce non sa[peva] come sta[vano] gli operai giacché a Roma [andavano] solo i militari in congedo, mentre i dirigenti fascisti non obbedi[vano] al Capo del Governo” e ag70
giungendo che sarebbe stata necessaria la libertà di stampa per far conoscere al duce i
desideri degli operai. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 5 giugno fu condannato a tre anni di confino23.
Nell’aprile 1937, a Gattinara, in seguito “ad un certo risveglio sovversivo manifestatosi mediante scritti sovversivi sui muri dell’abitato” furono operati numerosi fermi: mentre parte dei sospettati, dopo le prime indagini sommarie, fu rilasciata, nei confronti di
altri fu mantenuto il fermo perché fu accertato “che essi solevano spesso riunirsi fra loro
per confabulare e biasimare l’opera del Regime, scambiarsi idee di avversione al Governo
Fascista e di simpatia per quello Spagnolo”. Si trattava di Alberto Brunetti24, Ernesto Nervi25, Antonio Rossi26 e Secondino Zanazzo27 che, deferiti alla Commissione provinciale
per i provvedimenti di polizia, furono condannati a cinque anni di confino28.
Sempre nell’aprile del 1937, e precisamente il 24, quattro avventori di una trattoria di
Vercelli, Settimo Benvegnù29, Germano Ferrari30, Giovanni Battista Savio31 e Giuseppe
Viotti32, commentarono in francese gli avvenimenti della guerra di Spagna. Il primo esclamò: “Questo lo bevo in barba a Mussolini”, mentre il secondo rivolto a certo Alberto Cazzaniga33, ex ardito di guerra e decorato al valore, disse: “Il 24 maggio le tue medaglie te le
faremo saltare”. Un milite presente, tal Ettore Gerardi, “che in quel giorno vestiva da operaio”, denunciò il fatto al comando della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e
alla Questura: Benvegnù e Ferrari furono arrestati e deferiti alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia che, il 20 maggio li condannò tre anni di confino34, mentre Savio e Viotti furono diffidati.
Nel maggio 1937 a Pralungo fu arrestato l’attaccafili Giuseppe Negro35, in seguito alla
confessione del giovane Vincenzo Biscotti36, pure arrestato, che aveva dichiarato che da
lui “aveva appreso che qualche mese prima stando ad ascoltare le trasmissioni della stazione di Barcellona, alla radio del Dopolavoro di Pralungo, aveva udito notizie allarmanti
sui combattenti italiani in Spagna”. Interrogato, “si mantenne sulla negativa”, ammettendo
soltanto di essersi incontrato col Biscotti nel Dopolavoro di Pralungo e di avere ascoltato
con questi dalla radio di Barcellona il canto “Bandiera rossa” e che la stessa sera erano
anche venuti “a conoscenza che combattenti italiani erano stati fatti prigionieri dai rossi”.
Fu interrogato anche il gerente del dopolavoro, Pietro Monti, che “nulla seppe precisare, poiché quella sera nei locali vi erano parecchie persone tutte iscritte al Pnf che schiamazzavano e bevevano”. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di
polizia, l’8 luglio fu condannato a due anni di confino37.
Nel pomeriggio del 12 agosto 1937, Rocco Pareti38, carrettiere senza fissa dimora,
mentre era intento a segare legna, a Curino, con il bracciante Giovanni Gnerro, esclamò,
in presenza di due testimoni: “Maledetto quel giorno che sono ritornato in Italia a fare il
soldato. Si starebbe meglio se venisse una rivoluzione come quella che c’è in Spagna. Se
viene un’altra guerra, anche se dura venti anni, farò in modo di passare la frontiera per non
fare più ritorno in Italia e passando la frontiera mi pulirò le scarpe perché voglio uscire
con le scarpe pulite, perché della terra italiana ne sono stufo”. I carabinieri di Masserano,
venuti a conoscenza dell’episodio, il mattino successivo lo arrestarono. Denunciato alla
Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 30 settembre fu condannato a
tre anni di confino39.
Nel gennaio 1938 fu fermato e interrogato il vercellese Luigi Quarelli40, sorvegliato
dalla Milizia volontaria per la sicurezza nazionale perché sospettato di attività antinazionale41: ammise di avere espresso più volte “inconsulti apprezzamenti nei riguardi del Re71
gime e della guerra civile in Spagna”. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, nella seduta del 25 febbraio fu assegnato al confino per due anni42.
Nel mese di luglio del 1938 risultò che Osvaldo Sasso43, biellese, militare nel 4o reggimento alpini di stanza ad Aosta, aveva tentato di propagandare le idee comuniste fra i suoi
compagni d’arme: due soldati, Ermete Poma e Guerrino Scalfoni, avevano infatti dichiarato che aveva cercato “di attrarli con ogni mezzo nell’orbita delle sue vedute politiche”,
che aveva parlato “del benessere di cui god[evano] i lavoratori in Russia, auspicando l’avvento del comunismo anche in Italia [...e] della guerra civile di Spagna, dimostrando le più
aperte simpatie per i rossi e lamentando che la Francia e la Russia non [dessero] sufficiente aiuto di armi e di uomini ai rossi”. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia44, il 19 luglio 1938 fu condannato a tre anni di confino45.
Nel corso delle indagini praticate dai carabinieri e dall’Ovra a Borgosesia in seguito a
una serie di arresti operati nei mesi di agosto e settembre del 1938 risultò che, all’interno
dei due gruppi di sovversivi scoperti, uno comunista e l’altro socialista, era circolata stampa
di propaganda contro la guerra di Spagna e che alcuni degli arrestati avevano criticato l’intervento italiano46.
Nell’aprile dell’anno seguente uno degli arrestati in quell’occasione, Francesco Morando47, fu nuovamente denunciato e subì un nuovo provvedimento di ammonizione per aver
commentato, nello stabilimento in cui era occupato, la morte di un fascista borgosesiano
legionario in Spagna con un inequivocabile “Oh! là! è andato... uno di meno!”.
Nel Casellario politico sono ovviamente documentati altri episodi48. Ne cito ancora
due, in questo caso relativi a nati in provincia di Vercelli ma emigrati. Del primo fu protagonista Antonio Mairone49, che fu arrestato il 9 ottobre 1936 a Torino perché sospettato
di appartenere al movimento “Giustizia e libertà”: risultò, tra l’altro, che si era occupato
del reclutamento di volontari per le brigate internazionali spagnole; denunciato, con altri,
al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, per “cospirazione politica mediante associazione per attentare alla costituzione dello Stato”, il 20 marzo 1937 fu assolto per non
provata reità e scarcerato.
Il secondo episodio riguarda Carlo Parsini50, segnalato nel dicembre del 1938 per essere stato più volte a capo di carovane di camion, organizzate dalla Lega dei diritti dell’uomo, contenenti medicinali e indumenti per i volontari delle brigate internazionali51.
Come si è visto gli antifascisti citati furono quasi tutti sottoposti al giudizio della Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia52: gli episodi di cui furono protagonisti appartengono infatti perlopiù a un antifascismo per così dire “minore”: singoli atti di
protesta, di ribellione contro il regime fascista, contro la dittatura; tuttavia almeno due
episodi ebbero un’importanza e un valore ben superiore a quello che potrebbe apparire da
questa breve esposizione: quello di Gattinara e quello di Borgosesia, che coinvolsero (particolarmente il secondo) un numero consistente di antifascisti. Questi due episodi appartengono cioè a una fase di ripresa dell’antifascismo organizzato, dopo il periodo in cui,
dal 1927 fino al 1932, si era scatenata la repressione, con decine di condanne al carcere e
al confino comminate ai vari gruppi operanti in provincia, da quelli di Mongrando e della
valle Strona, fino a quello di Cavaglià (a cui, tra gli altri, appartennero Eraldo Venezia e
Gaspare Fracasso, poi volontari in Spagna). Una fase di ripresa dell’antifascismo che, a
distanza di pochi mesi dal momento di massimo “consenso” al fascismo, quello rappresentato dalla guerra d’Africa e dalla conquista dell’impero, trasse alimento proprio da quella
guerra che in Spagna migliaia di antifascisti stavano combattendo non solo in difesa della
72
democrazia in quel paese e contro il fascismo spagnolo, ma, in un certo senso, contro tutti
i fascismi: se nell’immediato l’antifascismo non ottenne i risultati sperati, se la repubblica spagnola fu sconfitta, quella lotta fu tuttavia, come ben sappiamo, assai importante per
molti avvenimenti successivi, anche nel nostro Paese e sulle nostre montagne.
1
Il Cpc, che è conservato nell’Archivio centrale dello Stato, è costituito da 152.589 fascicoli
(147.584 di uomini e 5.005 di donne), che contengono carteggio vario (rapporti, relazioni, note informative e confidenziali, verbali di interrogatori, lettere e altro materiale sequestrato ecc.) sull’attività
svolta dai “sovversivi” in Italia o all’estero; talvolta vi sono inoltre schede biografiche redatte dalle
prefetture e brevi “cenni” per gli aggiornamenti delle stesse. In molti casi nei fascicoli vi sono le foto
segnaletiche degli schedati e copie della “Rubrica di frontiera” e del “Bollettino delle ricerche”, in cui
i “sovversivi” venivano iscritti in caso di emigrazione o di irreperibilità: l’iscrizione nella prima prevedeva vari tipi di provvedimenti, dalla semplice segnalazione del passaggio del confine, alla perquisizione o all’arresto. All’estero l’attività dei “sovversivi” veniva seguita da funzionari dei consolati e,
soprattutto, da “fiduciari”, informatori non di rado “infiltrati” negli ambienti dell’opposizione.
2
Di Carlo Siletti, di cui non esiste il fascicolo del Cpc, esiste però quello della serie Confinati
politici.
3 Antonio Archetti, Attilio Santagostino, Vittorio Zanone, Pio Zuppa.
4 In alcuni casi (Giovanni Borsano, Rolando Quagliotti, Carlo Tondella, Benedetto Varnero) si
sono tuttavia trovate citazioni in documenti contenuti in fascicoli di altri schedati.
5 Sulla base dei dati attualmente in nostro possesso, il numero degli antifascisti vercellesi, biellesi
e valsesiani combattenti nella guerra civile spagnola è quantificabile in cinquantaquattro (di altri cinque
antifascisti non si hanno dati sufficienti per provare la loro partecipazione). Per le loro biografie si rinvia a PIERO AMBROSIO, Vercellesi, biellesi e valsesiani volontari antifascisti in Spagna, alle pp.
85-124 di questo volume.
6
Tra cui la serie Ministero dell’Interno, Ps aaggrr, cat. K1b-45 “Arruolamento di volontari per
l’Esercito rosso spagnolo”, conservata nell’Archivio centrale dello Stato. Si veda l’introduzione alle
biografie in P. AMBROSIO, saggio cit.
7 Alcuni di questi antifascisti furono denunciati anche con altre imputazioni. Poiché il dato distintivo
che ci interessa non è rilevabile dall’inventario del Cpc, per poter individuare, con un discreto margine
di certezza, tutti i denunciati per questo “reato” occorrerebbe consultare, oltre ai fascicoli dei confinati, come è stato fatto, anche tutti quelli relativi ad ammoniti e a diffidati.
8 Si veda l’elenco delle fonti delle biografie, alle pp. 118 e ss.
9
Nei fascicoli del Cpc (e anche in quelli della citata serie Ps aaggrr, cat. K1b-45) si trovano anche
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segnalazioni imprecise e insufficienti o che, per quanti ci riguarda, in seguito a più accurate indagini,
alcune si rivelarono errate.
Pietro Reale, nato a Serralunga di Crea (Al) il 2 novembre 1883, residente a Casale Monferrato
(Al), macchinista, ex combattente nelle brigate internazionali inquadrato in una batteria di artiglieria da
campagna della brigata “Garibaldi”, rimpatriato nel febbraio del 1938, nell’interrogatorio cui fu sottoposto nella Questura di Alessandria segnalò come suoi commilitoni certi Picciardi, contadino quarantacinquenne originario di Gattinara, e Giuseppe Ramella, di Pinerolo (To) o dintorni, muratore di circa
35 anni. Entrambi risultarono sconosciuti nelle località indicate.
Il secondo ha un cognome diffuso anche nel Biellese, ma non ci è stato possibile individuarlo.
Nel dicembre del 1936 un informatore segnalò che certo Giovanni Perino, nato a Brusnengo il 6
giugno 1897, già residente a Torino, meccanico, aveva preso alloggio in un albergo di Parigi e si sarebbe dovuto recare in Spagna per incarico del Partito socialista. Dagli accertamenti effettuati nulla
risultò sul conto di questi nel capoluogo piemontese, mentre a Brusnengo risultò nato un omonimo (di
Emilio e Teresa Gallinetti), il 4 settembre 1898, emigrato negli Stati Uniti nel 1914, sovversivo renitente alla leva, che risultò tuttavia risiedere a New York, da dove negli ultimi anni non si era allontanato.
Nel gennaio 1937 fu diramato alle prefetture un elenco di “connazionali adunati a Nizza per partire per la Spagna al servizio del fronte popolare” in cui risultava il nome di certo Albino Anselmi. Il
prefetto di Vercelli suppose potesse trattarsi di Antonio Albino Anselmi (di Michele e di Teresa Picco,
nato a Roasio il 17 gennaio 1890, sovversivo, emigrato nel 1921 per gli Stati Uniti d’America), che
risultò invece non essersi allontanato da Detroit, dove risiedeva.
Nello stesso mese fu segnalato certo Luigi Bertoli come “arruolato nelle truppe rosse spagnuole”.
Il prefetto di Vercelli suppose potesse trattarsi di Iginio Bertoli, di Pietro e Giovanna Fantin, nato a
Rivignano (Ud) il 10 agosto 1905, manovale, comunista, ex confinato politico (condannato il 6 marzo
1928 dalla Commissione provinciale di Udine per i provvedimenti di polizia a un anno per canti sovversivi), già residente a Zumaglia, da cui era emigrato clandestinamente per la Francia nel dicembre
del 1930, irreperibile, iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”. Rintracciato
nel marzo dell’anno seguente a Lantosque, fu accertato che egli, pur essendo “di sentimenti antifascisti”, non aveva mai lasciato la Francia. È probabile che la segnalazione si riferisse a un volontario piacentino.
Nel febbraio del 1937 fu segnalato certo Paolo Bosoni, capopezzo di una compagnia di mitraglieri, e nel giugno dell’anno seguente certo Pietro Noca, in servizio nella compagnia anticarri della 14a
brigata. In entrambi i casi il prefetto di Vercelli suppose potesse trattarsi di Paolo Noca, di Carlo e di
Giulia Noca, nato a Roasio il 13 marzo 1895, noto con il nomignolo di Busoni, emigrato in Francia,
disegnatore, comunista, iscritto nella “Rubrica di frontiera”, ma in seguito ad “accuratissime indagini”,
nell’ottobre del 1939 fu accertato che questi non si era mai allontanato da Jarny, sua località di residenza.
Nell’aprile 1937 fu segnalato da parte di una “fonte attendibile” che Gilio Gurgo, di Raimondo e
di Emilia Perazio, nato a Losanna l’8 marzo 1896, oriundo di Pettinengo, residente a Parigi, scultore,
aveva lasciato la capitale francese per recarsi in Spagna e arruolarsi nelle brigate internazionali. Nel
mese di luglio questi invece tornò al paese d’origine per alcuni mesi e non risultò che avesse combattuto in Spagna.
Alla fine di agosto del 1937 un informatore segnalò al Consolato di New York che certo Pietro
Schintone, di anni 37 circa, da Biella, si era recato in Spagna e aveva scritto a compagni newyorkesi
da Valencia. La Prefettura di Vercelli l’11 gennaio 1938 comunicò alla Direzione generale della Ps che
non risultava nato né conosciuto a Biella e nei comuni limitrofi.
In un elenco di “connazionali arruolati nelle milizie rosse spagnole” diramato alle prefetture nel luglio
1938 risultava un certo Zanone, tenente colonnello. Il prefetto di Vercelli ipotizzò che potesse trattarsi
di Battista Zanone, di Lorenzo e di Angela Sodano, nato il 28 febbraio 1891 a Gattinara, manovale,
emigrato in Francia nel 1924, dopo aver subito, quattro anni prima, una condanna a due mesi e mezzo
di carcere per “attentato alla libertà del lavoro”, schedato nel Casellario politico centrale e iscritto
nella “Rubrica di frontiera”, ma l’identificazione non fu confermata. È possibile che la segnalazione si
riferisse ad Arturo Zanoni, comandante della brigata “Garibaldi”.
Nell’ottobre del 1939 il Ministero dell’Interno ipotizzò che il Giuseppe Ceruti segnalato da una
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fonte fiduciaria del Consolato italiano di Salamanca come appartenente alla compagnia italiana del
battaglione “Dimitrov”, morto sul fronte del Jarama in epoca antecedente l’aprile del 1937, potesse
identificarsi in Giuseppe Cerruti Miclet, di Luigi e di Anna Cimamonte, nato il 19 ottobre 1892 a Soprana, tessitore, comunista, emigrato nel 1922, iscritto nella “Rubrica di frontiera”. L’emigrato biellese risultò però residente in Francia. Nel mese di giugno la Questura di Vercelli aveva anzi richiesto la
revoca della sua iscrizione nella “Rubrica di frontiera” non riscontrando nei suoi confronti “una accertata o fondatamente supposta pericolosità politica”. La segnalazione si riferiva probabilmente al lombardo Giuseppe Cerutti, caduto il 12 marzo 1937 a Morata de Tajuña.
ACS, Cpc, fascicoli personali di Giovanni Perino di Emilio, Iginio Bertoli, Paolo Noca, Battista
Zanone; per Giuseppe Cerruti Miclet fascicolo intestato “Giuseppe Cerruti”; Ps. aaggrr, cat. K1b45, fascicoli personali di Picciardi, Ramella, Giovanni Perino di Emilio; fascicoli intestati a Paolo Bosoni e Pietro Noca; per Albino Anselmi, Iginio Bertoli, Gilio Gurgo e Pietro Schintone non esistono
fascicoli personali ma solo documentazione sparsa in varie buste.
A proposito di segnalazioni errate si veda anche la seconda parte della nota n. 14.
10 Per notizie sulla sua attività e su quella degli altri volontari antifascisti di seguito citati si rinvia come si è detto - alle biografie pubblicate in questo volume.
11 Solo in tre casi (Pietro Cerruti, Angelo Irico, Matteo Secchia) nei fascicoli del Cpc non esistono documenti relativi alla partecipazione degli schedati alla guerra civile spagnola.
12 ESTELLA [TERESA NOCE] (a cura di), Garibaldini in Spagna, Madrid, Ugt, 1937; riedizione
Milano, Feltrinelli, 1966.
13 Alias Francesco Airoldi, originario di Voghera, già residente a Milano.
14 “Giorgio Camen” era il nome di battaglia del dirigente comunista Giuliano Pajetta. L’Arrighelli
fu denunciato dalla “Voce degli italiani” come provocatore e spia.
Come si è visto il contenuto di certe “confidenze” non sempre era attendibile: in questo caso va
segnalato che l’identificazione del Tondella era errata, essendo Carlo e non Federico l’antifascista
volontario in Spagna. Per notizie sui due fratelli si veda la biografia di Carlo, in questo volume a p.
107.
15 Associazione costituita nel 1927 in Francia comprendente socialisti, radicali, massoni, anarchici, liberali, esponenti di “Giustizia e libertà”. I comunisti vi aderirono solo dopo il VII Congresso dell’Internazionale comunista (1935), secondo la politica di fronte popolare, per stabilire legami unitari
con le altre forze antifasciste al fine sviluppare la lotta contro il fascismo. L’associazione mirava ad
assicurare aiuti agli emigrati politici italiani e a difendere gli antifascisti dagli arbitrii delle polizie locali.
16 Nato il 7 gennaio 1905 a Vercelli, ivi residente, operaio.
Appena ventenne aveva cominciato “a professare idee comuniste e, pur non avendo largo ascendente sulle masse, si [era] palesato elemento pericoloso per il suo carattere e per l’attività che spiegava in favore dei partiti sovversivi, sì da essere ritenuto uno dei più temibili esponenti del gruppo ‘centro’ di Vercelli”. Successivamente “pur non avendo abbandonato le vecchie idee [aveva] simulato un’acquiescenza non sincera” per cui era oggetto di particolare attenzione da parte della Questura, che
sospettava “ch’egli mantenesse ancora occulti contatti con emissari del partito comunista e soprattutto relazioni pistolari (sic) con fuorusciti”.
17 Non identificato. Potrebbe trattarsi di Giuseppe Mezzano.
18 Fu destinato a Tremiti (Fg). Il 25 agosto 1937 il Ministero dell’Interno ne dispose il proscioglimento, ma l’attuazione del provvedimento fu sospesa essendo stato nel frattempo incarcerato a Lucera (Fg) per aver partecipato “ad una manifestazione sediziosa avverso la prescrizione del saluto
romano”. Fu liberato il 7 febbraio 1938.
19 Nato il 16 maggio 1893 a Moncrivello, muratore, socialista, già emigrato in Francia e Svizzera.
20 Nato il 29 maggio 1896 a Broni (Pv), residente a Milano, laureato in legge, noto socialista fuoruscito, fu deferito più volte in stato di latitanza al Tribunale speciale per la difesa dello Stato; nel 1942,
consegnato dalle autorità del governo collaborazionista di Vichy alla polizia italiana, il 24 ottobre fu
condannato a trent’anni di reclusione.
21 Fu destinato a Tremiti (Fg) e prosciolto condizionalmente il 12 febbraio 1942.
22
Nato il 26 settembre 1896 a Biella, residente a Pralungo, filatore, antifascista. Era già stato
segnalato alla polizia come “individuo sospetto in quanto non [aveva] mai preso parte a manifestazioni
patriottiche”.
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23
Destinato a Badolato (Cz), fu prosciolto condizionalmente in occasione del Natale dello stesso
anno.
24 Nato il 2 novembre 1888 a Gattinara, ivi residente, carpentiere. Il 26 aprile 1924 era stato
condannato dal Tribunale militare di Torino a tre anni di reclusione militare per diserzione.
25 Nato il 1 giugno 1887 a Gattinara, ivi residente, agricoltore. Dalle indagini risultò che diverse
volte era stato “notato in compagnia di elementi sovversivi intento a leggere i giornali quotidiani affissi
all’albo pretorio, commentando la guerra civile spagnola e mettendo entusiasticamente in rilievo l’azione
vittoriosa dei rossi, i quali una volta vinta la guerra avrebbero senz’altro marciato sull’Europa intera,
sgominando le forze naziste e fasciste”. Risultò inoltre che una sera imprecisata del mese di febbraio
era stato sentito pronunciare frasi contrarie al Regime e che “la Spagna rossa avrebbe fatto molto
bene a vincere, perché colla sua vittoria il Fascismo sarebbe scomparso ed avrebbe trionfato il comunismo”.
26 Nato il 14 aprile 1874 a Gattinara, ivi residente, operaio.
27 Nato il 3 gennaio 1883 a Gattinara, ivi residente, agricoltore.
28 Brunetti, Nervi e Zanazzo furono destinati a Tremiti (Fg): il primo fu prosciolto condizionalmente in occasione del Natale 1938; gli altri due ebbero la condanna commutata in ammonizione rispettivamente l’11 maggio e il 5 agosto 1939. Rossi fu invece destinato a Siderno (Rc) dove morì il 14
agosto 1938.
29 Nato il 18 novembre 1899 a Vigonovo (Ve), residente a Vercelli dall’agosto 1936, classificato
comunista.
30 Nato il 23 maggio 1905 a Milano, abitante da pochi mesi a Vercelli, pittore disoccupato.
31 Nato il 24 aprile 1909 a Chardanne (Svizzera), originario di Borgo d’Ale, residente a Vercelli,
manovale.
32 Nato il 12 aprile 1903 a Saint-Imier (Svizzera), residente a Vercelli, gessatore.
33 Cinquantaseienne, nato a Milano, residente a Vercelli.
34 Destinati entrambi a Tremiti (Fg), furono prosciolti condizionalmente in occasione del Natale
dello stesso anno. Benvegnù ritornò a Vercelli e successivamente si trasferì a Zubiena, dove risulta
ancora vigilato nel gennaio 1944; Ferrari risulta ancora schedato nel Cpc nel marzo 1942 ma irreperibile.
35 Nato il 28 luglio 1901 a Pralungo, ivi residente, attaccafili.
36 Nato il 27 gennaio 1921 a Peschici (Fg), residente a Pralungo, attaccafili.
37 Destinato a Fontecchio (Aq), fu prosciolto condizionalmente in occasione del Natale dello stesso
anno. Risulta ancora vigilato nel maggio 1941.
Vincenzo Biscotti fu invece assegnato al riformatorio.
38 Nato l’11 novembre 1893 a Fombio (Mi).
39 Destinato a Pomarico (Mt), fu liberato il 28 novembre 1940. Nel novembre dell’anno successivo fu radiato dal novero dei sovversivi “in considerazione della buona condotta serbata e non essendo ritenuto pericoloso”.
40 Nato il 20 maggio 1907 a Desana, residente a Vercelli, venditore ambulante.
41 Era stato denunciato al comando della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale da sua moglie, Luigia Masserano, che aveva quindi avuto l’incarico di vigilarlo e di sequestrare e consegnare la
corrispondenza che eventualmente gli fosse giunta. Questa, il 16 gennaio 1938, aveva appunto consegnato al comando una lettera “di evidente carattere sovversivo”.
42 Fu destinato a Bisaccia (Av). Il 3 settembre il provvedimento fu commutato in quello dell’ammonizione, da cui fu prosciolto “per atto di clemenza” in occasione del Natale.
43 Nato il 7 dicembre 1915 a Biella, ivi residente, bracciante.
44 Era inoltre stato identificato quale autore di una lettera di “evidente carattere sovversivo” e gli
era anche stata sequestrata “altra corrispondenza pure di carattere sovversivo rintracciata a seguito di
una perquisizione operata nel suo corredo”.
45 Destinato a Tremiti (Fg), fu liberato l’8 luglio 1941.
46 Nella catena di arresti furono coinvolti numerosi antifascisti, alcuni dei quali deferiti al Tribunale
speciale per la difesa dello Stato o condannati al confino, altri ammoniti o diffidati. Sull’episodio si
veda P. AMBROSIO, Gli arresti dell’estate 1938 a Borgosesia, in “l’impegno”, a. VIII, n. 3, dicembre 1988.
76
47
Nato il 16 agosto 1895 a Trino, residente a Borgosesia, operaio.
Altri ancora sono documentati nella serie Ministero dell’Interno, Dir. gen. Ps, Div. aaggrr. Tra
questi quello relativo al falegname Antonio Cerreia Varale (nato il 12 maggio 1911 a Soprana, ivi residente, iscritto al Partito nazionale fascista dal 1931), che fu segnalato quale possibile autore della
scritta “Auguriamo la morte al duce e a tutti coloro che se ne interessano. Viva la Spagna rossa, viva
il comunismo” rinvenuta il 28 aprile 1938 a Soprana nella cassetta della raccolta delle denunce del
dazio. Deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato con l’accusa di offese al duce, fu rinviato
alla magistratura ordinaria. Non è noto l’esito del procedimento (fascicolo “Vercelli”, 1938, b. 30).
49 Nato il 15 febbraio 1899 a San Germano Vercellese, residente a Torino, tornitore meccanico.
Era noto alla polizia fin dal 1920 come anarchico, avendo riportato una condanna a quattordici anni di
reclusione e a due anni di vigilanza speciale, per attentato con esplosivi contro agenti della forza pubblica. Scarcerato nell’agosto 1925 per amnistia, nel novembre del 1933, ritenuto “elemento pericoloso, capace di commettere al momento opportuno atti inconsulti”, era stato inserito nell’elenco delle
persone da arrestare in determinate circostanze.
50 Nato il 15 marzo 1895 a Borgosesia, emigrato in Francia nel 1922, residente ad Annecy, falegname, poi autista. In seguito alla segnalazione fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto.
51 Risultò inoltre che si “sarebbe anche interessato del trasporto, attraverso il confine franco-svizzero, di libelli antifascisti, destinati poi ad essere inoltrati nel Regno a mezzo di emissari clandestini,
attraverso i vari valichi del Ticino” e che si sarebbe inoltre occupato di “assoldare colleghi francesi che
si prest[assero] ad introdurre in Italia, clandestinamente, a mezzo di autocarri (sic) turistici, stampati
di propaganda antifascista che [sarebbero stati] ritirato da appositi incaricati dopo le frontiere del Piccolo
San Bernardo e del Moncenisio”.
52 Fanno eccezione, tra i casi citati, i deferimenti del Parsini e del Cerreia Varale al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, dovuti alla maggior gravità dei “reati” loro ascritti.
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La partecipazione dei biellesi alla guerra di Spagna:
spie di una trasformazione
di Gianni Perona
Che un numero relativamente elevato di biellesi abbia partecipato alla guerra di Spagna
contro i franchisti è richiamato spesso negli scritti e nelle memorie dedicate all’antifascismo nella regione, e nel presente volume un contributo definitivo - dovuto al lavoro di
Piero Ambrosio - presenta l’elenco più completo possibile.
Su questi trentatré nomi, o trentasei includendo gl’immigrati, non ha senso fare statistiche, e le cose più interessanti che sono state scritte, ad esempio sulla figura di Adriano
Rossetti e sulla sua famiglia1, suggeriscono che il lavoro biografico o almeno prosopografico è l’unico che possa arricchire significativamente le nostre conoscenze e la nostra
comprensione di percorsi non facilmente ricostruibili, né riconducibili a schemi semplici di comportamento. Tuttavia può essere utile una breve riflessione d’insieme su questo
gruppo, sui suoi modi di aggregazione, sul suo riferirsi alla regione di origine, e sugli esiti
ultimi della sua vicenda.
Guardando alla composizione sociale, si nota che non pochi dei volontari in Spagna
sono muratori, e fra questi principalmente i nativi di Mongrando, che formano quasi un
quarto del totale. Altre professioni sono presenti, dal cameriere al manovale, ma limitatissima è la presenza di lavoratori tessili. Dei più noti, Antonio Roasio è ormai da tempo
un funzionario a tempo pieno del partito e dell’Internazionale comunista, mentre Anello
Poma è significativamente quasi il solo che arrivi in Spagna direttamente dall’Italia2. In
genere tuttavia mancano rappresentanti delle categorie operaie più numerose nel Biellese: nessuno proviene né dal settore cotoniero né dai cappellifici, ambienti nei quali pur si
trovano per tutto il ventennio fascista copiose manifestazioni di dissenso militante, cui
corrispondono episodi ben noti negli annali della repressione poliziesca.
Se si considera la distribuzione territoriale dei luoghi di nascita o di residenza, si rileva di conseguenza una distribuzione ineguale, che esclude, come prevedibile, tutte le valli
dello Strona e del Sessera, dove la specializzazione tessile è quasi esclusiva, e dove le
aziende vanno trovando una rinnovata prosperità dopo la crisi dei primi anni trenta. I quartieri operai della città capoluogo, i suoi immediati dintorni e il Biellese occidentale forniscono gran parte degli effettivi.
Si è detto a parziale spiegazione, da parte di militanti comunisti del Biellese orientale
direttamente collegati all’emigrazione politica in Francia, che era venuta dall’estero l’indicazione di non reclutare volontari per le brigate internazionali, ma di lavorare a organizzare la cospirazione all’interno del Paese. Ciò può essere vero3, ma una tale proibizione
ebbe comunque solo il risultato di legittimare agli occhi dei comunisti medesimi ciò che
stava accadendo e che sarebbe in ogni caso accaduto: le partenze dirette verso la Spagna
furono quasi nulle e il reclutamento dei volontari biellesi si compì quasi interamente negli ambienti dell’emigrazione economica e politica esauritasi con la prima metà degli anni
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venti. Emergeva in sostanza di riflesso, in questa vicenda marginale alla storia della società biellese, il grande processo di trasformazione che era in corso nel secondo decennio
fascista: non tanto per divieti e ostacoli all’emigrazione, quanto per interna dinamica economica e demografica, la piccola subregione prealpina aveva definitivamente cessato di
essere terra di emigrazione.
Specialmente il settore tessile era diventato molto più esteso, da quando gl’imprenditori locali avevano abbandonato le loro filiali torinesi e potenziato gl’impianti locali con
la generalizzazione dei doppi turni e la costruzione di nuove fabbriche, avviando un processo di costante sviluppo che durò fin oltre il 1930, e riprese dopo il 1933, pur attraverso crisi congiunturali e generali anche gravi4. Per questo verso la metà degli anni trenta,
quando giunsero i previsti anni del vuoto demografico, a vent’anni dalle stragi della prima
guerra mondiale e dalla rottura coatta dei legami familiari che questa aveva provocato, non
solo le industrie laniere non trovarono più abbastanza lavoratori per la rinnovata offerta di
occupazione, ma dovettero ricorrere in larghissima misura a operai forestieri, soprattutto
veneti. I quali, venendo ad aggiungersi agli immigrati dalla pianura vercellese e alessandrina giunti nel secondo e nel terzo decennio del secolo, contribuirono a modificare sostanzialmente la popolazione dei paesi, incidendo in particolar modo sulle fasce di età più giovani, cui le famiglie numerose di origine veneta fornirono il maggior numero di effettivi5.
La colonia italiana soprattutto parigina, anzi banlieusarde, che alimentò il reclutamento
dei volontari per la Spagna, apparteneva invece a un ciclo economico e demografico affatto diverso: strettamente biellese per origine, radicata in una tradizione antica6 di migrazioni stagionali verso le città e oltre le Alpi, essa era legata alla terra di provenienza da
vincoli patrimoniali e soprattutto da una rete di relazioni che stendeva un manto protettivo
di sicura efficacia su tutte le aree di destinazione, fornendo notizie sulle possibilità di lavoro, appoggio nelle prime fasi degli insediamenti, assistenza nei momenti di crisi.
Ma negli anni trenta anche i gruppi emigrati andavano cambiando: molti, dopo la rivalutazione della lira nel 1927, avevano portato in Francia tutta la famiglia, e i loro figli, se
non essi stessi, consideravano seriamente la prospettiva dell’integrazione nella società
ospite. Processo che si sarebbe avviato con più decisione, se non avesse incontrato il triplice ostacolo, in primis delle resistenze xenofobe forti nella destra francese, poi della
crisi economica - che divenne violenta in Francia con un certo ritardo su quella del 1929,
ma persisté fino alla metà degli trenta - infine della politica fascista di controllo sulle
comunità emigrate.
Al momento dello scoppio della crisi spagnola, nell’estate del 1936, i fattori che potevano rendere precaria la situazione degli emigrati erano ancora tutti attivi. Non bastava il
contesto politicamente più favorevole creato dal nuovo governo di Front populaire ad assicurare un miglioramento del mercato del lavoro e una sicura occupazione, senza la quale
pendeva sempre la minaccia, particolarmente grave per i militanti antifascisti, della revoca del permesso di soggiorno e dell’estradamento verso l’Italia a cura delle autorità fasciste.
E molto significativo perciò che nel 1935 troviamo proprio un membro del gruppo dei
futuri miliziani di Mongrando, Arialdo Zanotti, impegnato in una missione presso il console generale d’Italia a Parigi, insieme a un altro italiano e a tre francesi. “La ‘delegazione’
- riferisce a Roma il Consolato stesso - che si diceva nominata nel corso di due assemblee
di lavoratori che avrebbero avuto luogo a Villeparisis e a Vaujours con la partecipazione di
alcune centinaia di operai, era latrice di due lettere in busta chiusa, indirizzate al Ministe79
ro del Lavoro francese, nonché di due note indirizzate a S. E. l’Ambasciatore e redatte del
resto in termini abbastanza rispettosi, nelle quali si chiedeva un’energica azione di tutela
dei connazionali, specie per quanto riguarda il rinnovo delle carte da lavoratore”7.
In questa informazione si trovano per noi molti indizi importanti: l’influenza dei lavoratori antifascisti nell’ambiente degli operai emigrati, superiore alla loro consistenza numerica, la loro aggregazione nella banlieue parigina, ma soprattutto il precario stato di
occupazione e una situazione giuridica difficile, che li spingeva a chiedere tutela ai rappresentanti di quello stesso Paese al quale si temeva di essere rinviati se le “carte da lavoratore” francesi non fossero state rinnovate.
Un analogo disagio economico è testimoniato da un altro volontario biellese in Spagna, Antonio Mosca Carlottin, un muratore di Rosazza, nell’alta valle del Cervo, residente
a Tolone, quando espone le sue vicende. “Nel 1936 rimasto disoccupato perché la Polizia
Francese osteggiava il lavoro degli stranieri decisi di arruolarmi nell’esercito repubblicano spagnuolo e nel mese di novembre stesso anno mi recai in Spagna dove fui inviato ad
Albacete ed incorporato nella Brigata ‘Garibaldi’ 2a Compagnia”8. Certo il Mosca Carlottin narra questo alla polizia fascista il 31 ottobre 1941, cercando di minimizzare il significato politico della sua partecipazione alla guerra antifranchista, ma non c’è ragione di ritenere che il cenno alla disoccupazione e all’ostilità delle autorità francesi sia falso, poiché allude a una situazione assai simile a quella dello Zanotti.
Né diversa spia di una difficile situazione economica si trova nella vicenda familiare
che Giovanni Calligaris racconterà quasi nei medesimi giorni alle stesse autorità di polizia. “Dovetti [...] chiudere l’azienda nei primi mesi del 1936 e la mia situazione divenne
molto grave, per mancanza di mezzi. Per tale motivo sorsero anche quistioni in famiglia e
mia moglie mi lasciò ritirandosi in un comune della periferia di Parigi9. Che la testimonianza sulle vicende familiari e sullo stato economico sia veridica emerge sia dalla nota
della Prefettura di Vercelli del novembre 1941 che comunica l’assegnazione al confino di
Giovanni il quale “non ha mezzi per mantenersi e non ha parenti in grado di passargli gli
alimenti”, sia da una precedente dichiarazione della moglie, rientrata a Mongrando nell’aprile 1940, ai carabinieri del paese: “Richiesta del marito, ha dichiarato di ignorare ove
egli si trovi attualmente, aggiungendo che nel 1936 egli l’abbandonò in Francia, per recarsi in Spagna, ove sarebbesi arruolato nelle milizie rosse”10.
Ma conviene a questo punto continuare a seguire la vicenda del Calligaris, da cui emergono altri importanti indizi sulla comunità emigrata. “A Parigi io frequentavo l’associazione del ‘fronte unico antifascista’ che divenne poi la ‘Unione popolare italiana’ e la ‘Lega
dei diritti dell’uomo’ dove mi fu consigliato di recarmi in Spagna dove, a loro dire, vi era
possibilità di lavoro e di guadagno. Mi recai pertanto, con i miei mezzi, a Barcellona nel
mese di novembre stesso anno [1936] e da un circolo di operai cui mi ero presentato fui
indirizzato ad Albacete per essere arruolato nelle milizie rosse”11. Descrizione fattuale
corretta, da cui traspare - anche qui sotto l’evidente intenzione di minimizzare le responsabilità politiche del dichiarante - l’inestricabile imbricazione delle organizzazioni politiche e della socialità operaia, per cui i vari comitati antifascisti sono anche veicoli d’informazione tra lavoratori, in Spagna12 come in Francia. Emerge insomma un profilo di lavoratore-militante, che cerca di conciliare il suo impegno politico con le ineludibili costrizioni economiche della sua condizione.
Il circuito antifascista, da parte sua, è tanto più tenuto ad occuparsi di aspetti economici quanto meno i suoi membri possono utilizzare l’antica rete di solidarietà ancorata ai
80
villaggi d’origine. In un’osservazione molto illuminante, la Prefettura di Vercelli aveva colto
questo punto fin dal 1934, quando aveva indagato sui Rossetti, sullo Zanotti e sul Calligaris stesso, sospettati di aver inviato al paese stampa clandestina. “Non consta che all’Estero, apparentemente, svolgano attività sovversiva; ma ciò può essere giustificato dal fatto
che a Villeparisis e nel vicino comune di Aulnay-sous-Bois dimorano molte altre persone
di Mongrando di sentimenti fascisti i quali potrebbero informare le autorità in patria della
condotta tenuta dalla famiglia [Rossetti] suddetta”13.
Insomma, la divisione tra fascisti e antifascisti stava lacerando a poco a poco anche i
vincoli di solidarietà cui per secoli si era affidata l’emigrazione economica. Quanto poi
tale adesione al fascismo fosse estesa o sincera, richiederebbe studi che bisognerà pur
fare, e che per ora sono impediti dalla cattiva organizzazione degli archivi consolari presso il Ministero degli Esteri, sicché lo storico risente di un eccesso di visibilità della minoranza antifascista, documentatissima, rispetto ai non fascisti e ai fascisti dichiarati, di
cui poco e sporadicamente si apprende.
Riassumendo il significato di queste notazioni, ci sembra di poter definire la partecipazione alla guerra di Spagna non solo come l’esito di scelte individuali politiche, ma anche come un percorso che si iscrive all’interno degli spazi economici dell’emigrazione.
Insomma, sopravvenuta in un momento di crisi economica acutissima, la prospettiva spagnola sembrava quadrare il cerchio sia dal punto di vista delle organizzazioni antifasciste
sia da quello dei volontari stessi: offrendo una ragionevole fonte di sussistenza, garantita
dalla Repubblica spagnola, e uno statuto giuridico riconosciuto, si ponevano infatti i militanti nella condizione di mantenere la loro coesione politica e di superare la crisi economica. Il che permette di spiegare - nel caso dei mongrandesi e degli altri muratori biellesi
- come mai si rechino in Spagna non dei singoli, ma intere squadre di operai, che negli
anni precedenti avevano condiviso i medesimi cantieri.
La vicenda degli anni 1939-40, quando l’assenza di una valvola di sfogo porterà l’emigrazione politica in Francia a disgregarsi totalmente ci sembra confermare quest’analisi.
Ma a questo punto la nostra argomentazione si sposta su alcuni problemi di prospettiva
e si volge alla questione: come si passa da una situazione di crisi e di sostanziale emarginazione rispetto al Paese d’origine, a un ritorno generalizzato e all’assunzione d’importanti ruoli nel Biellese?
Infatti una delle ragioni per cui si è dedicata ripetuta attenzione alle vicende degli emigrati che si recarono alla guerra di Spagna è che un manipolo di questi si ritrovò poi nel
Biellese, dove svolse un compito decisivo tra l’autunno e l’inverno 1943-44, nel tenere in
piedi l’organizzazione militare dei distaccamenti garibaldini da cui si sarebbe sviluppata
quasi tutta la Resistenza armata locale. La linea di continuità che si disegna nelle loro biografie tra l’impegno in Spagna e la Resistenza in Italia sembra corrispondere perfettamente al motto rosselliano “Oggi in Spagna, domani in Italia”.
Ma una riflessione più approfondita invita ad articolare meglio il giudizio. La Resistenza
biellese nasce infatti su basi essenzialmente autoctone tra il settembre e l’ottobre 1943,
con un reclutamento di sbandati e anche di simpatizzanti antifascisti che si riuniscono intorno a personaggi locali: la valle dell’Elvo, il villaggio operaio di Tollegno, la valle Sessera, il vecchio centro antifascista di Cossato e i suoi dintorni forniscono i protagonisti
più rilevanti di questo moto politicamente eterogeneo.
Osserviamo anche - ritornando alle considerazioni da cui siamo partiti - che fra questi
primi iniziatori è largamente rappresentata la categoria dei tessili, ormai egemone nell’eco81
nomia locale, e in essa non poco peso hanno i gruppi di origine non biellese attratti dai
recenti sviluppi dell’industria laniera: come i Moranino, che provengono dalla pianura
vercellese, o Quinto Antonietti, che diverrà comandante dell’intera zona partigiana biellese, originario di Fubine nel Monferrato alessandrino (gli uni e l’altro reclutati dalla Filatura di Tollegno), o Pasquale Finotto, oriundo di Balocco, già animatore degli scioperi
dell’aprile 1943 alla Cerruti di Biella, poi membro del Cln.
Il ruolo degli “spagnoli” diventa eminente non per caso, ma per una situazione contingente ed eccezionale, quando nel novembre 1943 la prima organizzazione militare antifascista si disgrega. Piero Pajetta “Nedo”, un veterano di Spagna e della guerra clandestina
a Parigi14, inviato a Biella dal Partito comunista, riforma il gruppo dei responsabili dell’attività militare e si appoggia esclusivamente a reduci delle brigate internazionali, Adriano Rossetti ed Anello Poma. Inoltre i superstiti dei primi gruppi partigiani vengono riorganizzati, e anche in essi ruoli importanti vengono affidati a militanti provenienti dall’emigrazione, come William Valsesia, Nino Banchieri, Luigi Viana e altri.
Insomma, povero di quadri esperti nella cospirazione, Piero Pajetta cerca di formare
nuovi militanti per l’impegno politico-militare (un veterano dell’emigrazione in Urss e in
Francia come Aladino Bibolotti terrà un corso di preparazione politica in montagna nel
quale i due primi classificati sono, non a caso, il Valsesia e il Banchieri) e si appoggia
decisamente al solo personale sperimentato tecnicamente e fidato politicamente di cui
pensa di disporre. Con un pieno successo nella congiuntura difficile dell’inverno.
Ma una distinzione netta dev’essere tracciata fra questa prima stagione e l’avvento della Resistenza di massa dopo la primavera del 1944. In essa i legami con la società locale
ridiventeranno decisivi, e l’importanza del gruppo degli iniziatori sempre più marginale.
Morto Pajetta nel febbraio 1944, inviati Adriano Rossetti e Annibale Caneparo (altro veterano di Spagna) con diversi compiti organizzativi nell’area canavese e valdostana, anche
altri reduci della guerra antifranchista assumono ruoli più limitati, e talora perfino pesa
contro di essi, come nel caso di Riccardo Zanotto, l’eredità di dissensi antichi già maturati nella Catalogna del 1937.
Il quadro che presentano le brigate garibaldine nel 1944, animatrici di scioperi, insediate nei paesi, non riserva insomma che poco spazio ai rappresentanti di una stagione gloriosa ma irrevocabile. Un indicatore importante come il numero dei caduti, ci dice che
oltre il dodici per cento dei partigiani caduti nel Biellese orientale, dal quale non era venuto nessun volontario di Spagna, sono giovani veneti figli dell’ultima ondata migratoria,
che conquistavano così - dolorosamente - il diritto a un’integrazione nella nuova società
biellese15.
Paradossalmente, la militanza politica che aveva contribuito a isolare gli antifascisti
nell’emigrazione rispetto ai loro compaesani diventa - caduto il fascismo - un importante
veicolo di reinserimento nella società di origine profondamente trasformata. E l’eccezionale congiuntura della Resistenza armata renderà possibile l’assunzione di ruoli importanti, dopo i terribili anni di emarginazione nei campi di concentramento francesi, poi nelle
prigioni e nel confino fascista. Ma i grandi cambiamenti che sono avvenuti in Italia si registreranno anche in una sostanziale emarginazione dei veterani di Spagna sia nella seconda e più matura fase della Resistenza16, sia nel dopoguerra, nello stesso Partito comunista
dove avevano sempre militato. Dalla situazione francese, in cui il Comitato centrale del
partito aveva sempre contato, negli anni trenta, almeno un biellese in rappresentanza di uno
dei più forti gruppi emigrati, si passa così a quella italiana, dove i medesimi personaggi si
82
vedono affidare modesti ruoli provinciali. Processo inevitabile, in una situazione in cui
pesavano di nuovo i rapporti di massa con il vivo corpo sociale della nazione, e l’esperienza politica doveva accompagnarsi anche a un inserimento pieno nel nuovo contesto. Con
le dovute eccezioni, il personale dell’emigrazione non poteva più far valere allora competenze maturate nella stagione di fuoco della cospirazione e della lotta armata.
1
Si veda, ad esempio, di FRANCO R AMELLA, Biografia di un operaio antifascista: Adriano
Rossetti. Ipotesi per una storia dell’emigrazione politica, in “l’impegno’, a. VII, n. 2, agosto 1987,
pp. 2-12, edito anche in PIERRE MILZA (sous la direction de), Les Italiens en France de 1914 à
1940, collection de 1’École française de Rome, n. 94, Roma, 1986. Si veda anche LUIGI MORANINO, Giuseppina Rossetti: una donna nella lotta antifascista, in “l’impegno”, a. VII, n. 3, dicembre
1987, pp. 31-33, e per alcune considerazioni di carattere generale F. Ramella, L’émigration dans la
mémoire des migrants: les récits oraux, in L’immigration italienne en France dans les années
20, Paris, Éditions du Cedei, 1988, pp. 123-128.
2 Si veda ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977. Su Anello
Poma si veda il suo contributo a questo volume e la sua scheda biografica a p. 101.
Ora si veda anche l’articolo in appendice (ndc).
3 La riluttanza dei comunisti ad esporre i propri dirigenti ai rischi della guerra è testimoniata da un
altro emigrato biellese, Stefano Schiapparelli, nelle sue memorie. Cfr. STEFANO SCHIAPPARELLI
“WILLY”, Ricordi di un fuoruscito, prefazione di Giorgio Amendola, Milano, Edizioni del Calendario, 1971, p. 128.
4 Sullo sviluppo e l’affermazione sui mercati internazionali dell’industria laniera biellese nel corso
degli anni venti, si veda TERESIO GAMACCIO, L’industria laniera fra espansionismo e grande crisi.
Imprenditori, sindacato fascista e operai nel Biellese (1926-1933), prefazione di Guido Quazza,
Borgosesia, Isrsc Vc, 1990.
5 Ancora oggi in paesi come Strona la popolazione di origine veneta supera il dieci per cento,
nonostante il subentrare dell’immigrazione meridionale a partire dagli anni cinquanta.
6 Fra i pochi personaggi che menzioneremo più particolareggiatamente in questa nota, Giovanni
Calligaris era nato a Belfort, alle porte dell’Alsazia, e i Rossetti avevano lunga dimestichezza con la
Francia, dove nacque Bruno, fratello di Adriano. Già all’inizio del secolo l’intera famiglia è registrata
nei censimenti della grande colonia italiana di Annecy, dove i muratori e i decoratori biellesi, provenienti da non più di dieci comuni, formano il gruppo più compatto e numeroso. Quest’ultima notizia è
dovuta a Simona Tarchetti, la cui tesi di laurea - diretta da Ada Lonni - contiene molte informazioni sul
Biellese, e dà una precisa misura dell’incidenza quantitativamente limitatissima dei militanti antifascisti
attivi (meno di uno su cento).
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7
Cfr. Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale (d’ora in poi Acs, Cpc), fascicolo
di Arialdo Zanotti, lettera del Consolato italiano di Parigi, 27 aprile 1935.
8 Cfr. Acs, Cpc, fascicolo di Antonio Mosca Carlotin (sic), verbale di interrogatorio redatto dalla
Questura di Vercelli, 31 ottobre 1941. Il Mosca Carlottin, che era stato rimpatriato il 23 settembre,
fu assegnato al confino per cinque anni.
9
Acs, Cpc, fascicolo di Giovanni Calligaris, verbale di interrogatorio redatto dalla Questura di
Vercelli, 13 ottobre 1941.
10 Acs, Cpc, fascicolo di Giovanni Calligaris, cit., note della Prefettura di Vercelli, 26 aprile 1940
e 12 novembre 1941. L’incauta dichiarazione della moglie provocò l’inserimento del Calligaris nella
categoria degli emigrati da arrestare alla frontiera. La polizia italiana era fino a quel momento all’oscuro della sua partecipazione alla guerra di Spagna, e ne avrebbe avuta conferma solo assai tardi, nel
1942, attraverso i documenti dell’Unione popolare italiana e di altre organizzazioni antifasciste rimessi
dalla Súreté parigina alla polizia italiana. Cfr. Acs, Cpc, nota del capo della Divisione polizia politica
Leto, 29 aprile 1942.
11 Cfr. sopra, nota 9 e testo relativo.
12 Siamo tuttavia molto male informati sull’emigrazione economico-politica direttasi in Spagna prima
della guerra civile. Perciò rimane oscuro il profilo sociale di personaggi come l’anarchico Giovanni
Barberis, autista a Barcellona, che morirà combattendo con la “Colonna italiana”. Per le poche notizie su di lui si veda la biografia a p. 89 di questo volume.
13 Acs, Cpc, fascicolo di Giovanni Calligaris, cit., copia di lettera della Prefettura di Vercelli, 24
marzo 1934.
14 Su Piero Pajetta si veda ora l’esauriente profilo biografico di L. MORANINO, Piero Pajetta
“Nedo “. Un combattente per la libertà, Taino, Associazione culturale “Elvira Berrini Pajetta”, 1995.
15 Informazione avuta da Carla Prina Cerai, nel corso dei suoi lavori per la tesi di laurea in Scienze
politiche.
16 Ancora una volta, il caso di Anello Poma, commissario politico di zona, è la più visibile eccezione, a compimento di una carriera politica eccezionale, nella quale è altrettanto significativa, a nostro
avviso, la lunga esperienza nelle fabbriche biellesi fino al 1937, quanto la formazione politica e militare
all’estero e al confino dal 1937 al 1943.
84
Seconda parte
Biografie
Nota alla prima edizione. Per la realizzazione di queste biografie ringrazioAnello Poma per le preziose
informazioni; Alvaro López per la cortesia e l’infinita pazienza; il personale della sala di studiodell’Archivio centrale dello Stato. (p. a.)
Nota alla seconda edizione. Nel periodo intercorso tra la pubblicazione del volume (novembre 1996)
e questa riedizione ci hanno lasciati Gianni Isola (il 25 febbraio 2000 a Firenze), Anello Poma (il 18
dicembre 2001 a Nervi, Genova) e Alvaro López (il 2 gennaio 2004 a Roma). Sono inoltre deceduti
Giovanni Pio Borsano, Ernesto Rossetti, Olinto Sella, Giovanni Zucchetti, Pio Zuppa (le relative biografie sono state aggiornate). Non è invece stato possibile ottenere notizie di Bruno Rossetti. (p. a.)
85
Vercellesi, biellesi e valsesiani volontari antifascisti in Spagna
di Piero Ambrosio
Nel cercare di ricostruire un elenco il più completo possibile dei volontari antifascisti
originari (nati, residenti o oriundi) dell’allora provincia di Vercelli combattenti nella guerra
civile spagnola ci siamo imbattuti in non poche difficoltà: altri si erano cimentati, meritoriamente, in quest’opera e i risultati a cui erano giunti sono stati per noi un utile punto di
partenza, ma i problemi non sono mancati ugualmente. Ogni nuova fonte consultata, ogni
nuova informazione acquisita, messa a confronto con le fonti note, ha spesso comportato
lunghe verifiche e non tutti i dubbi sono stati risolti.
Per quanto riguarda le ricerche precedenti occorre innanzitutto ricordare - pur con tutti
i loro limiti - gli elenchi compilati dall’ex responsabile della commissione stranieri del
Partito comunista spagnolo, Edoardo D’Onofrio (a Mosca nel 1940, sulla base di documentazione delle brigate internazionali e del Pc spagnolo)1, e da Lorenzo Vanelli, segretario della Fratellanza ex garibaldini di Spagna (Bologna)2, che hanno costituito una base per
le successive ricerche e per la stesse schede biografiche conservate nell’archivio dell’Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna3. A essi attinse anche Anello
Poma, per il volumetto relativo ai volontari piemontesi e valdostani4, che è stato alla base
della nostra ricostruzione.
Poma elencava quarantacinque garibaldini nati o residenti nel Vercellese, nel Biellese
e nella Valsesia5; altri sei nominativi sono compresi in opere nel frattempo pubblicate dall’Aicvas, i “Quaderni” curati da Alvaro López6; la successiva ricerca, condotta su serie di
documenti conservati nell’Archivio centrale dello Stato e all’Istituto Gramsci di Roma ha
portato a cinquantaquattro il totale degli antifascisti la cui partecipazione alla guerra civile spagnola è stata accertata7.
A questo risultato si è giunti dopo aver effettuato accurati controlli su vari nomi citati
in documenti di polizia e del Partito comunista, che non sono risultati effettivamente volontari in Spagna o non originari della provincia di Vercelli8.
La stessa compilazione delle biografie ha richiesto un vaglio critico delle fonti, sia edite
che inedite, per dirimere le non poche difformità delle informazioni in esse presenti. Dei
residui casi dubbi, così come dell’assenza di informazioni sufficienti, si è dato conto. Si è
ritenuto invece, per non appesantire inutilmente l’apparato delle note, di non segnalare (salvo
casi particolari) discordanze tra la nostra ricostruzione e quelle di opere citate, né inesattezze riscontrate in queste o in fonti d’archivio9.
Alcuni dati10. Gli antifascisti volontari nelle brigate internazionali in Spagna originari
della provincia di Vercelli erano in maggioranza nati o oriundi del Biellese (trentatré),
mentre i vercellesi (nati o oriundi) erano quattordici e i valsesiani solo quattro11. Inoltre
tre antifascisti nati in altre province si stabilirono nel Biellese prima di emigrare e di raggiungere la Spagna12. La professione prevalente era quella di operaio13.
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Essi erano in maggioranza comunisti (trentaquattro); sei erano anarchici14 e quattro socialisti, mentre di dieci non è noto il colore politico15.
Quarantotto erano emigrati per motivi politici o di lavoro (non sempre è possibile tracciare una linea di demarcazione netta tra i due tipi di emigrazione) prevalentemente in Francia16.
Prima della guerra di Spagna ventisette volontari erano già schedati nel Casellario politico centrale, sei erano stati deferiti al Tribunale speciale per la difesa dello Stato (di cui
tre condannati) e uno era stato confinato17.
Trentadue volontari raggiunsero la Spagna nel 1936, sedici nel 1937, uno nel 1938,
mentre due si trovavano già in quel paese. Di tre non è noto l’anno di arrivo.
Perlopiù (trentasei) provenivano dalla Francia, tre provenivano dagli Stati Uniti, altrettanti dall’Unione Sovietica, e uno da ciascuno dei seguenti paesi: Svizzera, Principato di
Monaco, Algeria; mentre partirono direttamente dall’Italia per arruolarsi solo quattro volontari18.
Il paese di provenienza di tre volontari è ignoto19.
La loro età nell’anno di arruolamento era compresa tra i ventidue e i cinquantun anni20;
l’età prevalente era compresa tra i trentuno e i quarantadue anni e l’età media era di trentacinque anni.
Il 68,5 per cento dei volontari fu inquadrato nel battaglione “Garibaldi” e successivamente nella brigata omonima21.
Tredici combattenti raggiunsero i gradi di ufficiale, tra cui tre quello di capitano e due
quello di maggiore22.
Nel corso della guerra ventiquattro volontari (pari al 45,2 per cento) furono feriti e
otto vi lasciarono la vita23 (a questi va aggiunto un deceduto in seguito in Francia per infermità contratta nel corso della guerra24: la percentuale dei deceduti sul totale dei volontari considerati è quindi del 16,66 per cento). Un combattente cadde prigioniero: rimpatriato fu condannato al confino25.
Solo alcuni combattenti lasciarono la Spagna prima del febbraio 1939, epoca del ritiro
delle brigate internazionali26, perlopiù a causa di ferite o malattie, mentre gli altri ripararono solo allora in Francia27, dove, salvo rarissime eccezioni, furono internati.
In totale gli internati in campi di concentramento furono ventiquattro28. Tredici di questi, rimpatriati nel 1941 dalla commissione per l’armistizio, in seguito alla sconfitta della
Francia nella seconda guerra mondiale, furono condannati al confino29, assieme ad altri
due che in Francia erano riusciti a evitare l’internamento30: quasi tutti furono condannati a
cinque anni e destinati a Ventotene.
Un altro ex combattente rimpatriato, giudicato inidoneo a sopportare il regime confinario, fu internato in campo di concentramento31, mentre uno, rimpatriato e arrestato nel
luglio del 1943, fu trattenuto in carcere fino a dopo l’8 settembre32.
Infine uno, per insufficienza di prove, fu solo ammonito33.
Solo un ex combattente, reduce dall’internamento in Francia, non subì condanne, una
volta rientrato in Italia34.
Di diciannove ex volontari è nota la partecipazione alla Resistenza (quindici in Italia e
quattro in Francia)35; uno partecipò invece alla seconda guerra mondiale nelle file dell’esercito sovietico36.
Sei ex combattenti ritornarono in Italia nel dopoguerra, altri quattro rimasero in Francia, mentre di altri dieci non si hanno notizie.
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Albertini, Enrico
Di Giuseppe e di Rosa Naula, nato il 18 settembre 1887 a Borgosesia, bigiottiere.
Emigrato in Svizzera con la famiglia nel 1891. Militante anarchico, in stretto contatto
con Errico Malatesta37 e Luigi Bertoni38, esplicò un’intensa attività in Svizzera, Francia e
Gran Bretagna.
Nell’ottobre del 1911 fu sospettato di preparare, assieme ad altri, un attentato alla vita
di Vittorio Emanuele III e del presidente del Consiglio dei ministri, Giovanni Giolitti. Nel
1912 fece parte di un comitato contro la guerra italo-turca, che raccoglieva fondi per sussidiare i disertori italiani che si fossero rifugiati in territorio elvetico. Espulso dalla Francia, essendosi reso contravventore al decreto, il 22 ottobre fu arrestato e condannato a
due mesi di carcere.
Dopo varie traversie, nel settembre 1915 si stabilì a Paterson, negli Stati Uniti, addetto alla redazione di “Era Nuova”. Pochi mesi dopo si rese nuovamente irreperibile: essendo iscritto nel “Bollettino delle ricerche” (nonché nella “Rubrica di frontiera”) negli anni
seguenti giunsero alle autorità consolari italiane varie segnalazioni sul suo conto da diverse città americane.
Partì da New York, per arruolarsi nelle brigate internazionali, ai primi di febbraio del
1937, munito di passaporto rilasciatogli dal consolato spagnolo. Non è noto quale incarico gli sia stato affidato. Lasciò la Spagna il 12 settembre 1938, diretto a New York: sbarcato in quella città il 26 ottobre, fu trattenuto dalle autorità di immigrazione perché sprovvisto di regolare passaporto.
Non si hanno altre notizie.
Arfinenghi, Arturo
Di Giovanni e di Giaele Capra, nato il 10 marzo 1891 a Varallo.
Emigrato in Francia in epoca imprecisata, si stabilì a Parigi. Tra i primi a partire per la
Spagna, risulta arruolato il 18 ottobre 1936 nel battaglione “Garibaldi”. Partecipò ai primi
combattimenti sul fronte di Madrid, rimanendo ferito nel mese di novembre. Fu ricoverato in ospedali di Madrid e Barcellona.
Rimase in Spagna fino al ritiro delle brigate internazionali, nel febbraio del 1939. Rientrato in Francia, ritornò a Parigi, dove morì il 4 marzo 1963.
Bagnasacco, Giuseppe
Di Antonio e di Caterina Ramella, nato il 16 febbraio 1905 a Pollone, muratore.
Emigrato in Francia nel novembre del 1930, si recò dapprima a Parigi poi in varie altre
località, stabilendosi infine, nel 1933, a Bordeaux. Essendo stato segnalato da un informatore come possibile attentatore alla vita di Mussolini, nell’ottobre del 1936 fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” perché, in caso di
rimpatrio, fosse perquisito e sorvegliato.
Nel dicembre del 1936 raggiunse la Spagna per arruolarsi: inquadrato nel battaglione
“Garibaldi” e successivamente nella 2a compagnia del 2o battaglione della brigata omonima, combatté a Guadalajara, Morata de Tajuña, Huesca e Brunete, riportando due ferite. In
seguito lavorò come muratore nell’ospedale militare di Albacete e in quelli di Benicásim
e Murcia. Fu quindi destinato al servizio di censura postale ad Albacete, base delle brigate
internazionali, e successivamente a Barcellona.
Ritornato in Francia nel febbraio 1939, fu internato nei campi di concentramento di
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Argelès-sur-Mer, Gurs e Le Vernet. Rimpatriato, il 30 marzo 1941 fu arrestato alla frontiera di Menton e tradotto a Vercelli, dove, il 5 giugno, fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato il 21 agosto 1943.
Rientrato al paese d’origine, svolse attività politica nel Pci.
Morì il 10 novembre 1978 a Biella.
Barberis, Giovanni
Di Felice e di Domenica Tondella, nato l’11 marzo 1896 a Biella, meccanico.
Militante anarchico, nel 1919 fu aggredito da fascisti a Torino, dove si era da poco trasferito, e, creduto in fin di vita, fu portato all’ospedale, dal quale fuggì.
Espatriato clandestinamente nel 1921, dopo una breve permanenza in Francia, si stabilì a Barcellona, con il nome di José Gomez, esercitando il mestiere di autista.
Allo scoppio della guerra civile trasformò il suo camion in una rudimentale autoblinda
e raggiunse Vicién, quartier generale della “Colonna italiana”, in cui si arruolò. Combatté
a Huesca dove, il 1 settembre 1936, colpito da una granata, morì in seguito alle gravissime
ustioni.
Bonora, Enrico
Di Angelo e di Maria Regis, nato il 26 ottobre 1897 a Boccioleto, operaio tessile poi
imbianchino, comunista.
Nel 1919, congedato dall’esercito, si trasferì da Mosso Santa Maria, dove abitava con
la famiglia, in Svizzera e successivamente nel Liechtenstein, occupandosi come operaio
tessile. Ritornato in Italia nel 1921, due anni dopo emigrò nuovamente, dapprima in Francia, a Vienne, e successivamente in Belgio e nel Lussemburgo, dove iniziò a lavorare come
imbianchino. Alla fine del 1926 ritornò in Francia, stabilendosi a Neuilly-Plaisance e successivamente a Vincennes.
Allo scoppio della guerra civile spagnola fu tra i primi ad arruolarsi tra gli antifascisti,
nel mese di agosto del 1936. Combatté sul fronte di San Sebastián come sergente mitragliere. Catturato in divisa, nei pressi di Santander, da truppe fasciste italiane e rimpatriato,
giunse a Genova il 10 novembre 1937. Dapprima fu consegnato alle autorità militari, come
prigioniero di guerra, e successivamente messo a disposizione della Questura. Essendo
ritenuto elemento pericoloso, fu deferito alla Commissione provinciale per il confino del
capoluogo ligure che, il 7 febbraio 1938, lo condannò a cinque anni. Destinato a Tremiti
(Fg), fu successivamente trasferito a Sant’Onofrio (Cz) e a Torricella Peligna (Ch). Liberato il 25 novembre 1942, si stabilì dapprima a Sant’Onofrio, dove risiedeva la moglie,
sposata il 6 dicembre 1939, successivamente a Maierato (Cz) e, nel 1946, a Cossato.
Morì il 15 marzo 1954 a Torino.
Borsano, Giovanni Pio
Di Giacomo e di Maria Mussone, nato l’8 agosto 1913 a Gaglianico, residente a Biella, meccanico, comunista.
Disoccupato, emigrò in Francia ai primi di agosto del 1937. Recatosi a Parigi, si arruolò per combattere nelle brigate internazionali in Spagna. Giunto ad Albacete, fu inquadrato nella brigata “Garibaldi”. Segnalato quale “miliziano rosso” fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche” per l’arresto. Nel mese di ottobre prese
parte al combattimento di Fuentes de Ebro, sul fronte d’Aragona. Nel febbraio del 1938
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combatté in Estremadura e nel marzo a Caspe. Durante la ritirata dell’Aragona si rifugiò in
Francia. Internato in Marocco, nel 1943 si arruolò nell’esercito francese.
Dopo la fine della guerra ritornò a Biella, dove morì l’8 luglio 1998.
Bottan, Giacomo
Di Guglielmo e di Maddalena Menegozzo, nato il 29 ottobre 1910 a Portogruaro (Ve),
residente a Gaglianico, muratore, comunista.
Da poco tempo residente nel comune biellese, emigrò in Francia e, successivamente,
si recò in Spagna, arruolandosi nella brigata “Garibaldi”. Combatté sul fronte dell’Ebro,
dove fu ferito. Dopo il ritiro delle brigate internazionali fu internato in Francia. Durante il
periodo trascorso a Gurs si arruolò nelle compagnie di lavoro per il fronte francese.
Ritornato a Gaglianico dopo la fine della guerra, vi morì il 31 maggio 1969.
Callegaro, Ottavio
Di Ferdinando e di Adelaide Nese, nato il 12 aprile 1910 a Granze (Pd), operaio tessile.
Nel 1921 si trasferì a Valle Mosso, dove risiedette fino al mese di ottobre del 1937.
Dopo una permanenza di alcuni mesi a Torino, nel 1938 espatriò clandestinamente in Francia.
Nel mese di agosto raggiunse la Spagna, arruolandosi, il 27, nella 4a compagnia del 3o
battaglione della brigata “Garibaldi”. Combatté sul fronte dell’Ebro, restando gravemente
ferito al ventre, il 16 settembre. Ritornato in Francia nel febbraio del 1939 con un convoglio sanitario, fu ancora ricoverato, dapprima a Perpignan e successivamente in un ospedale nei pressi di Parigi. Il 23 marzo 1939 fu internato nel campo di Argelès-sur-Mer e
successivamente in quello di Le Vernet. Essendosi rivolto alla Commissione di armistizio
per essere rimpatriato, il 22 gennaio 1942 fu accompagnato da agenti della gendarmeria
francese a Menton, dove fu arrestato e tradotto a Padova.
Il 9 marzo fu condannato a cinque anni di confino e destinato a Ventotene (Lt). Liberato nell’agosto 1943, ritornò a Valle Mosso.
Morì il 12 febbraio 1991 a Trivero.
Calligaris, Giovanni
Di Secondo e di Maria Capellaro, nato il 12 maggio 1900 a Belfort (Francia) da famiglia originaria di Mongrando (dove ritornò nel 1906), decoratore.
Partecipò alle lotte operaie del primo dopoguerra, militando dapprima nella Federazione giovanile socialista biellese e poi in quella comunista. Nel novembre 1921 fu arrestato e condannato a sei mesi di reclusione per aver preso parte a una manifestazione in
cui rimase mortalmente ferito un fascista.
Nel 1922 emigrò in Francia, stabilendosi ad Aulnay-sous-Bois. Espulso per la sua attività politica, nel dicembre 1924, fu costretto a rimpatriare.
Attivo esponente di una cellula comunista che contribuì a costituire a Mongrando, nel
febbraio del 1927 fu coinvolto nelle indagini condotte dai carabinieri contro alcuni appartenenti a questa che erano stati scoperti e arrestati39.
Nel 1930 ritornò in Francia, stabilendosi, l’anno seguente, a Villeparisis, dove frequentò
gli ambienti dell’emigrazione antifascista. Fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” e successivamente nel “Bollettino delle ricerche”.
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Nell’ottobre del 1936 si recò in Spagna, dove fu inquadrato nella 2a compagnia del battaglione “Garibaldi”, di cui divenne commissario politico40. Combatté a Boadilla del Monte,
Mirabueno e Majadahonda. Ferito alla testa da un colpo di fucile, dopo due mesi di degenza in ospedale, riprese nuovamente il suo posto, partecipando alle battaglie di Guadalajara
(dove ricoprì per qualche giorno l’incarico di commissario politico del battaglione) e di
Morata de Tajuña. Nuovamente ferito (accidentalmente da un compagno) al piede destro,
fu costretto a un lungo ricovero. Guarito, ma inabile alle fatiche di guerra, fu assegnato a
incarichi ausiliari, dapprima ad Albacete e successivamente a Valencia, come responsabile della delegazione delle brigate internazionali, con il grado di capitano.
Uscì dalla Spagna nel febbraio del 1939 e fu internato ad Argelès-sur-Mer, Gurs e Le
Vernet, dove inoltrò domanda di rimpatrio. Il 14 settembre 1941 fu arrestato all’atto dell’ingresso in Italia al valico di frontiera di Menton. Tradotto a Vercelli e deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 6 novembre fu condannato a cinque
anni di confino. Destinato a Ventotene (Lt), fu liberato nell’agosto del 1943.
Organizzatore delle formazioni partigiane biellesi, il 22 novembre 1943 fu arrestato,
con altri, e denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, sezione staccata di
Torino, ma il procedimento fu sospeso in seguito alla sua liberazione per uno scambio con
militari tedeschi prigionieri dei partigiani. Partecipò alla Resistenza nel Biellese, nella V
divisione “Garibaldi”.
Dopo la Liberazione divenne funzionario della Federazione comunista di Biella, fino
al giugno 1952.
Morì il 10 giugno 1983 a Biella.
Calligaris, Lorenzo
Di Secondo e di Maria Capellaro, nato l’11 settembre 1898 a Belfort (Francia), da
emigrati di Mongrando che rimpatriarono nel 1906, comunista.
Dopo la prima guerra mondiale emigrò in Francia, stabilendosi ad Aulnay-sous-Bois,
dove divenne impresario edile.
Nel novembre 1937 partì per la Spagna per arruolarsi nella brigata “Garibaldi”. Nel gennaio del 1938 partecipò all’offensiva per la liberazione di Teruel e in seguito combatté a
Caspe e sul fronte dell’Ebro. Avendo contratto la tubercolosi, verso la fine del 1938 fu
costretto a rientrare in Francia, dove poté risiedere legalmente.
Morì il 3 febbraio 1951 a Eaubonne.
Caneparo, Annibale
Di Quinto e di Melania Porta Variolo, nato il 17 luglio 1905 a Occhieppo Inferiore,
operaio.
Emigrò in Francia per ragioni di lavoro nel 1922, rimpatriando nel 1925 per soddisfare gli obblighi di leva. In quel periodo entrò nel movimento giovanile comunista. Nel 1928
espatriò nuovamente, stabilendosi ad Aulnay-sous-Bois, occupandosi dapprima come manovale, nell’impresa edile di uno zio, e successivamente in altre, come lattoniere. Svolse
attività politica nel gruppo di lingua italiana del Pc francese, con lo pseudonimo di René.
Raggiunta la Spagna nel novembre del 1936, fu arruolato nella batteria “Gramsci”. Ferito durante un bombardamento aereo all’inizio del 1937, fu giudicato inabile e costretto
a rientrare in Francia.
Il 2 maggio 1940 mentre rimpatriava, con regolare passaporto, con la moglie e i due
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figli (naturalizzati francesi), essendo stato segnalato come volontario antifascista, schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, fu arrestato a Bardonecchia (To). Tradotto a Vercelli e interrogato, negò
di aver partecipato alla guerra civile spagnola e, nonostante il Ministero dell’Interno ne
avesse disposto l’assegnazione al confino, con destinazione Ventotene (Lt), in seguito a
ripetute obiezioni della Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, per mancanza di prove concrete, fu solamente diffidato.
Ritornato nel Biellese, riprese l’attività politica, occupandosi, tra l’altro, della sistemazione del dirigente comunista Giovanni Roveda, fuggito dal confino nel marzo del 1943.
Dopo l’8 settembre 1943 fu tra i primi organizzatori delle formazioni partigiane. Trasferito in Valle d’Aosta, ricoprì, con lo pseudonimo di Renati, l’incarico di commissario
politico del Comando zona.
Morì il 20 maggio 1969 a Roma.
Cantarelli, Mario
Di Pietro e di Maria Luisa Sanpique, oriundo di Quarona, nato il 24 marzo 1911 a Cannes, dove era emigrato il padre, attivo militante anarchico.
Arruolato nella 14a brigata in epoca imprecisata, cadde il 18 settembre 1938 nei pressi di Corbera d’Ebre.
Caron, Teresio
Di Severino e di Lucia Rossi, nato il 27 luglio 1896 a Gattinara, manovale poi cameriere.
Emigrato in Francia nel 1920. Di tendenza prima anarchica e poi comunista, a Parigi
partecipò attivamente alla ricostituzione della Confederazione generale del lavoro.
Fu tra i primi a raggiungere la Spagna, il 2 agosto 1936, arruolandosi nella “Colonna
italiana”. Combatté a monte Pelato41 e a Huesca. Nel maggio del 1937 passò alla brigata
“Garibaldi”, combattendo su vari fronti. Rimasto ferito a Fuentes de Ebro il 12 ottobre
1937, nel gennaio 1939 fu tradotto in Francia, su un treno ospedale, come invalido.
Il 29 gennaio 1941, all’atto del rimpatrio, essendo stato segnalato come volontario antifascista ed essendo stato schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, fu arrestato alla frontiera di Bardonecchia (To). Tradotto a Vercelli, il 22 aprile fu condannato a tre anni di confino: inviato a
Ventotene (Lt), nel settembre del 1942 fu trasferito a Ustica (Pa) e infine, nel giugno del
1943, nel campo di concentramento di Renicci di Anghiari (Ar). Liberato ai primi di settembre, ritornò al paese di origine e, durante la Resistenza, fu attivo collaboratore delle
formazioni partigiane della Valsesia e del Biellese.
Morì il 18 febbraio 1969 a Biella.
Castoro, Severino
Di Ernesto e di Giovanna Carpegna, nato il 31 luglio 1899 a Vercelli, tessitore, comunista.
Emigrò in Francia nel 1923, stabilendosi a Troyes, dove, nell’ottobre del 1929, fu segnalato come appartenente a un Comitato per la difesa delle vittime del fascismo. Fu pertanto schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”.
Negli anni seguenti fece ripetutamente perdere le sue tracce ai “fiduciari” della polizia
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fascista incaricati di sorvegliarlo. Partecipò alla guerra civile spagnola, inquadrato nella
brigata “Garibaldi”.
Ritornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato ad Argelès-sur-Mer, Gurs e Le
Vernet. Liberato il 10 maggio 1941 e tradotto in Italia, fu interrogato da funzionari della
Questura di Vercelli: non essendo nota la sua appartenenza alle brigate internazionali e
avendo negato ogni attività antifascista, riuscì a evitare la condanna al confino, subendo
solo l’ammonizione, da cui fu prosciolto in occasione del ventennale della marcia su Roma.
Dopo la caduta del fascismo si fece notare come “sobillatore dell’elemento operaio”
e, nel marzo del 1944, arrestato perché sospettato di una diffusione di manifestini, fu nuovamente ammonito.
Morì il 19 dicembre 1988 a Sanremo (Im).
Cerruti, Pietro
Di Domenico e di Angela Cerruti, nato il 13 dicembre 1885 a Dorzano.
Al paese natale era occupato come bracciante e, sebbene giovanissimo, professava idee
anarchiche. All’età di quindici anni emigrò in Svizzera e successivamente, in epoca imprecisata, si trasferì negli Stati Uniti.
Nel 1906 fu spiccato nei suoi confronti mandato di cattura da parte del Tribunale militare di Torino per renitenza alla leva. Nell’aprile del 1911, grazie al rinvenimento di una
sua lettera, sequestrata a un anarchico arrestato a Torino, la polizia italiana seppe che risiedeva a Clifton (New Jersey), dove era occupato come tessitore. Ritenuto elemento pericolosissimo, fu sottoposto a vigilanza e schedato nel Casellario politico centrale.
In seguito, dopo essere stato a Rio de Janeiro, Montevideo e Buenos Aires (occupato
come manovale), si rese irreperibile: essendo ritenuto “capace di commettere gravissimi
delitti” fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”.
Dopo una permanenza in Francia (il 6 gennaio 1913 fu arrestato a Marsiglia, dove lavorava come scaricatore di carbone), ritornò negli Stati Uniti, stabilendosi dapprima nel
New Jersey e successivamente nel Connecticut.
Nel dicembre del 1929, resosi nuovamente irreperibile, fu iscritto anche nella “Rubrica di frontiera”.
Dopo aver risieduto a New York (dove, nel febbraio 1932, si fece notare per l’intensa
attività politica), nel novembre 1936 si arruolò in difesa della Repubblica spagnola. Rimase ferito. Pare abbia lasciato la Spagna nell’agosto del 1938.
Non si hanno altre notizie.
Crovella, Andrea
Di Antonio e di Clementina Costa, nato il 10 aprile 1902 a Balocco (da famiglia originaria di Cossato), operaio, socialista.
Nel 1930 emigrò in Francia, trasferendosi successivamente in Svizzera. Essendosi reso
irreperibile, nel gennaio del 1936 fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto
nella “Rubrica di frontiera”.
Recatosi in Spagna per combattere a difesa della Repubblica, nel mese di ottobre fu
arruolato nel costituendo battaglione “Garibaldi”. Partecipò ai combattimenti del Cerro
de los Angeles e di Casa de Campo, dove riportò gravi ferite al braccio e alla mano sinistra, che gli causarono l’invalidità.
Sembra abbia prestato attività nelle retrovie come commissario politico.
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Lasciata la Spagna il 27 luglio 1938 con un convoglio sanitario, continuò a risiedere in
Francia.
Morì il 30 agosto 1974 a Vienne.
De Margherita, Secondo
Nato presumibilmente a Mongrando42, ivi residente, muratore, comunista.
Emigrò in Francia nei primi anni venti, stabilendosi a Villeparisis.
Partito per la Spagna nel mese di ottobre del 1936, fu arruolato nel costituendo battaglione “Garibaldi” e successivamente nella brigata omonima. Combatté su vari fronti, a
partire da quello di Madrid.
Rientrato in Francia nel febbraio 1939, essendo in possesso di documenti regolari, poté
ritornare a Villeparisis.
Non si hanno altre notizie
Fracasso, Gaspare
Di Pietro e di Caterina Scandolera, nato il 17 agosto 1904 a Tronzano Vercellese, contadino.
Nel maggio del 1930 emigrò in Francia, rimpatriando nel gennaio dell’anno seguente.
Nel 1932 fu denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato per appartenenza a
un gruppo comunista operante a Cavaglià e Tronzano Vercellese, ma beneficiò dell’amnistia “del decennale” e non fu processato.
Il 4 luglio 1937 espatriò clandestinamente in Francia, con Eraldo Venezia43: fu pertanto denunciato e iscritto nel “Bollettino delle ricerche” e nella “Rubrica di frontiera”.
Raggiunta la Spagna, il 20 si arruolò nella brigata “Garibaldi”, dove fu inquadrato nella
compagnia mitraglieri del 1o battaglione. Combatté a Farlete, dove, il 27 agosto 1937, fu
ferito alla tempia destra. Dopo un mese di degenza all’ospedale di Barcellona, chiese di
ritornare in linea: inquadrato nella 1a compagnia del 3o battaglione, fu destinato al fronte
dell’Ebro. Combatté ancora in Estremadura, a Caspe e sulla Sierra de Cavalls, dove, il 5
settembre 1938, fu ferito gravemente al polmone destro. Dopo aver subito due interventi
chirurgici, nel febbraio 1939 fu trasferito all’ospedale di Marsiglia. Dimesso dopo due
mesi, fu internato ad Argelès-sur-Mer, Gurs e Le Vernet.
Consegnato dalle autorità francesi a quelle italiane, il 14 luglio 1941 fu tratto in arresto al posto di frontiera di Menton e tradotto a Vercelli, a disposizione della Questura.
Essendo le sue condizioni di salute tali da non consentirne l’assegnazione al confino,
il 14 dicembre ne fu disposto l’invio nel campo di concentramento di Istonio (Ch). Il provvedimento fu revocato il 6 settembre 1943.
Partecipò alla Resistenza, inquadrato nella brigata Sap vercellese “Boero”.
Morì il 29 aprile 1978 a Tronzano Vercellese.
Gannio, Giovanni
Di Nicola e di Angela Vecchiolino, nato il 28 ottobre 1898 a Zubiena, residente a Mongrando, muratore.
Emigrò in Francia nei primi anni venti. Attivo militante antifascista, nell’ottobre del
1936 partì per arruolarsi in difesa della Repubblica. Inquadrato nella 4a compagnia del
battaglione “Garibaldi”, partecipò al combattimento del Cerro de los Angeles e a quello di
Casa de Campo, dove cadde il 30 novembre.
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Graglia, Annibale
Di Secondo e di Ester Carta, nato il 23 agosto 1903 a Verrone, residente a Gaglianico,
manovale.
Emigrò in Francia per motivi di lavoro nel luglio del 1920.
Recatosi in Spagna per combattere in difesa della Repubblica spagnola (presumibilmente alla fine del 1936 o all’inizio del 1937), fu inquadrato nel battaglione e successivamente nella brigata “Garibaldi”. Ferito in circostanze non note, in seguito svolse mansioni di infermiere in vari ospedali.
Ritornato in Francia in epoca imprecisata (risulta ancora in Spagna, ad Albacete, l’11
dicembre 1937), nell’aprile del 1939 fu segnalato da un informatore della polizia politica
fascista come attivo “agitatore” comunista a Vienne. Fu pertanto iscritto nella “Rubrica di
frontiera” per il fermo. Non si hanno altre notizie.
Irico, Angelo
Di Giacomo e Antonia Pollone, nato il 27 gennaio 1898 a Trino, residente a Palazzolo
Vercellese, muratore poi assistente edile.
Aderente a circoli giovanili socialisti fin dal 1911, svolse attiva propaganda. Chiamato
alle armi nel 1917, condannato per antimilitarismo e incarcerato, evase e visse per alcuni
mesi alla macchia, finché fu arrestato, nel mese di ottobre: beneficiò di amnistia e fu inviato a ultimare il periodo di ferma nel Vicentino, dove continuò a impegnarsi politicamente. Congedato nel dicembre 1920, si trasferì a Torino, dove esercitò servizio di guardia a “l’Ordine Nuovo”. Licenziato per motivi politici, tornò a Palazzolo Vercellese, dove
partecipò a uno scontro con fascisti, che lo costrinse a vivere nella clandestinità fino al
gennaio del 1923, quando decise di emigrare in Francia.
Si stabilì dapprima a Modane e successivamente a La Tronche. Occupatosi come muratore, continuò a svolgere attività politica e sindacale, tra l’altro come dirigente dei comitati proletari antifascisti. Nel 1927, segnalato alla Direzione generale della Pubblica
sicurezza, fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”.
Il 3 agosto 1931 fu fermato dalla polizia francese per complicità nell’aggressione a
due fascisti: condannato a sei giorni di carcere, nel mese di novembre fu espulso. Fu pertanto iscritto anche nel “Bollettino delle ricerche”.
Nel gennaio del 1932 raggiunse l’Unione Sovietica, dove lavorò come assistente edile
fino al novembre 1936, quando, su disposizione del Komintern, partì alla volta della Spagna. Giunto ad Albacete il 21, ricoprì dapprima l’incarico di vicedirettore dei servizi di
intendenza e, dal mese di dicembre, di responsabile della delegazione delle brigate internazionali a Valencia. Raggiunta in seguito la brigata “Garibaldi”, della quale fu nominato
amministratore, con il grado di tenente, fu in Estremadura e sul fronte dell’Ebro. Dopo il
ritiro dei volontari, nel febbraio del 1939 fu internato nel campo di Saint-Cyprien, da cui
fu liberato nel mese di marzo per intervento del governo sovietico.
Durante la seconda guerra mondiale fu incaricato di svolgere propaganda antifascista
tra i prigionieri italiani in Unione Sovietica.
Ritornato in Italia nel dicembre 1945, occupato negli uffici di collocamento di Vercelli e, successivamente, di Como, continuò a impegnarsi come sindacalista, segretario di
sezione del Pci e collaboratore dell’Inca.
Nel novembre del 1964 ritornò a Trino, dove morì il 29 settembre 1982.
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Lario, Plinio
Di ignoti, nato il 5 settembre 1894 a Biella, tessitore, comunista.
Trasferitosi nel 1925 ad Altamura (Ba), dove esercitò la professione di commerciante,
nel 1928 emigrò clandestinamente in Francia, stabilendosi a Castelnau-Durban. Fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche” e nella “Rubrica di frontiera” per il fermo.
Militante molto attivo, usò vari nomi di copertura, tra cui Raimondo Falco e Luigi Cansian. Il 28 ottobre 1930 fu arrestato perché trovato in possesso di una bomba che intendeva collocare nella sede del Fascio di Parigi: dopo aver scontato una condanna a tre anni di
reclusione (in seguito alla quale fu schedato nel Casellario politico centrale), fu espulso
e si rese irreperibile.
Allo scoppio della guerra civile probabilmente era già in Spagna, poiché risulta arruolato il 28 luglio. Operò con un gruppo di italiani nella regione basca, combattendo a Irún e
in altre località. In seguito all’avanzata dei fascisti nel Nord, riparò temporaneamente in
Francia, arruolandosi successivamente nella squadriglia “España”, con la quale combatté
sul fronte di Madrid; fu quindi trasferito alla brigata “treni blindati” e successivamente al
servizio informazioni dell’Armata del centro, con il grado di maggiore. Divenuto inabile
in seguito a una ferita e a un intervento chirurgico, fu infine addetto al servizio di censura
a Madrid, dove rimase fino al marzo del 1939.
Raggiunta la Francia, riuscì a restare in libertà fino all’inizio del 1942, quando fu arrestato a Tolosa: dopo aver scontato tre mesi di carcere perché sprovvisto di documenti, nuovamente arrestato, il 20 gennaio 1943 fu condannato ad altri sei mesi per uso di falso stato
civile e infrazione a decreto di espulsione.
Scarcerato nel mese di giugno, fu internato nel campo di Le Vernet, dove presentò
domanda di rimpatrio. Mentre veniva tradotto in Italia, riuscì a fuggire dal forte di Modane: arrestato a Caraman, fu nuovamente internato. Prelevato dai tedeschi e condotto nella
prigione di Cherbourg, riuscì ancora a evadere e a entrare nella Resistenza francese, combattendo con il grado di maggiore.
Non si hanno altre notizie.
Leone, Francesco
Di Antonio e di Caterina Molino, nato il 13 marzo 1899 a Vargem Grande do Sul (São
Paulo, Brasile), da emigrati che rimpatriarono l’anno seguente, stabilendosi ad Asigliano
Vercellese, loro paese d’origine.
Dopo essersi diplomato perito elettrotecnico, prestò servizio militare in aviazione.
Membro della gioventù socialista, collaboratore de “La Risaia”, organo socialista vercellese, nel 1921 aderì al Partito comunista.
Fondatore e organizzatore degli Arditi del popolo a Vercelli e guardia rossa a “l’Ordine
Nuovo”, fu segretario della Federazione giovanile comunista di Novara e redattore de “Il
Bolscevico”. Per la sua intensa attività politica fu più volte processato e subì varie condanne fino a quando, accusato dell’uccisione di un fascista durante scontri a Novara nel
mese di luglio del 1922, fu costretto a espatriare in Francia. Successivamente, dopo essere rientrato clandestinamente in Italia nel 1923 e aver collaborato con il centro illegale
della Federazione giovanile comunista, fu inviato in Unione Sovietica, dove frequentò l’accademia militare “Tolmacev” di Leningrado.
Rientrato in Italia nella seconda metà del 1925, con l’incarico di segretario interregionale per l’Emilia-Romagna e la Lombardia, nel 1926 fu inviato a Parigi, dove rimase un
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anno, dirigendo “Il Lavoratore”, organo dei gruppi italiani del Partito comunista francese.
Nuovamente rimpatriato, grazie all’assoluzione per insufficienza di prove dall’accusa di
omicidio, si occupò della redazione de “l’Unità” clandestina a Milano. Scoperto e arrestato il 28 luglio 1927, fu denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato e, il 26
ottobre dell’anno seguente, condannato a sette anni e sette mesi di reclusione. Scarcerato
il 27 maggio 1933, in seguito a indulto, un anno più tardi emigrò in Brasile e fu pertanto
iscritto nel “Bollettino delle ricerche” e nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto.
Militò nel Partito comunista brasiliano e partecipò al movimento insurrezionale promosso dall’Alleanza di liberazione nazionale, che fu duramente represso. Richiamato dal
Partito comunista italiano in Francia alla fine del 1935, fu assegnato all’organizzazione
del Soccorso rosso internazionale.
Inviato in Spagna allo scoppio della guerra civile, partecipò alla costituzione della centuria “Gastone Sozzi”, della quale fu nominato commissario politico. Organizzò e diresse
le operazioni sul fronte di Madrid, partecipando a vari scontri, tra cui quelli di Pelahustán
e Cenicientos. Con lo scioglimento della formazione, alla fine del mese di ottobre, dopo
la battaglia di Chapinería, contribuì alla costituzione del battaglione “Garibaldi”, entrandone a far parte dello stato maggiore, con il grado di capitano. Operò al Cerro de los Angeles e a Casa de Campo, comandando un attacco alla “Casa rossa”, nel corso del quale, il
23 novembre, fu ferito.
Dimesso dall’ospedale, dopo un breve soggiorno in Unione Sovietica ritornò a Parigi,
dove, nel 1938, fu segretario dell’Unione popolare italiana e redattore de “La voce degli
italiani”.
Arrestato nell’ottobre del 1939 e internato nel campo di Le Vernet, nel dicembre 1941
fu trasferito al campo di Les Milles, da cui riuscì a fuggire, entrando in contatto con il
maquis. Nuovamente arrestato a Tolone nel luglio 1943, fu consegnato dalla polizia francese alle autorità italiane, che lo incarcerarono. Liberato nei giorni dell’occupazione tedesca, nel mese di ottobre partecipò alle riunioni per la formazione delle brigate “Garibaldi”, entrando a far parte del comando generale delle stesse. Nel maggio del 1944 fu
inviato in Toscana come membro del Triumvirato insurrezionale e in seguito assunse gli
incarichi di ispettore generale delle brigate “Garibaldi” e di delegato del Pci nel comitato
militare del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia.
Dopo la Liberazione diresse la Federazione comunista di Vercelli, fu membro della
Consulta, deputato all’Assemblea Costituente, senatore di diritto nel 1948, rieletto alla
Camera dei deputati nel 1958; fino a quell’anno fu inoltre membro del Comitato centrale
del Pci.
Morì il 23 maggio 1984 a Vercelli.
Macchieraldo, Andrea
Di Michele e di Angela Nicolello, ato il 2 novembre 1894 a Nizza, da famiglia originaria di Cavaglià, meccanico, comunista.
Nel 1925 si trasferì da Torino a Ospedaletti (Im). Nel settembre 1934 espatriò clandestinamente nel Principato di Monaco.
Fu tra i primi a partire per la Spagna, nell’agosto del 1936: inquadrato nella “Colonna
italiana” alle dipendenze dell’aviazione, fu addetto alla riparazione di motori d’aereo nei
campi di Sariñena, Prat de Llobregat e Bujalaroz.
Il 18 ottobre, sul fronte di Saragozza, fu ferito al braccio sinistro in seguito all’abbat97
timento dell’aereo sul quale aveva preso posto come mitragliere. Alla fine del 1937 fu promosso ufficiale tecnico d’aviazione.
Individuato come “miliziano rosso” in seguito alla censura di lettere inviate a familiari, fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche” per l’arresto.
Ritornato in Francia nel febbraio del 1939, dopo essere stato internato nei campi di
Argelès-sur-Mer e Gurs, si stabilì dapprima a Bayonne e successivamente a Lorient, dove
risiedeva ancora all’inizio del 1942, occupato come operaio44.
In seguito sembra abbia fatto parte delle Forces françaises de l’interieur.
Non si hanno altre notizie.
Mellina Sartore, Alfonso
Di Giovanni Battista e di Angela Ciocchetti, nato il 18 agosto 1897 a Curino, muratore.
Emigrato in Svizzera all’età di quindici anni, rimpatriò nel 1915 per prestare servizio
militare, combattendo nella prima guerra mondiale. Congedato dopo l’armistizio, nel 1921
emigrò negli Stati Uniti, stabilendosi a New York e occupandosi come cameriere.
Nel novembre del 1927, sospettato quale autore dell’invio di ritagli di giornali e manifestini di propaganda antifascista ad alcune persone di Curino, tra cui il podestà, fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”45.
Nel 1936 ricoprì l’incarico di segretario del “Circolo di cultura operaia” del West Side.
Raggiunta la Spagna nel marzo del 1937, fu arruolato nel battaglione “Garibaldi” (e successivamente nella brigata). Segnalato alla Direzione generale della Pubblica sicurezza,
fu iscritto anche nel “Bollettino delle ricerche” come comunista pericoloso. Cadde in combattimento a Huesca il 16 giugno 1937.
Mezzano, Giuseppe
Di Antonio e di Carolina Brusa, nato il 6 gennaio 1896 ad Asigliano Vercellese, verniciatore.
Emigrato in Svizzera in epoca imprecisata, si stabilì a Ginevra. Segnalato da un informatore della polizia come militante antifascista, il 12 settembre 1935, rientrato in Italia,
fu fermato a Vercelli e incarcerato. Non essendo emerso nulla di concreto nei suoi confronti, dopo alcuni giorni fu rilasciato ma schedato nel Casellario politico centrale come
anarchico46 e sottoposto a vigilanza.
Il 6 agosto dell’anno seguente espatriò nuovamente, clandestinamente, recandosi ancora a Ginevra. Nell’autunno47 raggiunse la Spagna, arruolandosi nel costituendo battaglione
“Garibaldi”. Partecipò ai combattimenti di Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda,
Arganda e Guadalajara, dove fu ferito alla mano e alla gamba destre. Dimesso dall’ospedale nel marzo del 1938, fu addetto a servizi ausiliari ad Albacete fino al mese di maggio,
quando ritornò in Svizzera. Arrestato dalla polizia elvetica a Ginevra l’11 ottobre 1939, fu
internato nel campo di lavoro di Gordola.
Dopo la caduta del fascismo si rivolse al Consolato di Ginevra per essere rimpatriato:
il 3 agosto, essendo stato segnalato come “ex miliziano rosso” e iscritto nella “Rubrica di
frontiera” fu arrestato a Domodossola (No) e tradotto a Vercelli dove, dopo essere stato
interrogato, fu messo in libertà e sottoposto a vigilanza.
Partecipò alla Resistenza, inquadrato nella 182a brigata “Garibaldi”.
Nel dopoguerra si trasferì a Biella, dove morì il 29 novembre 1950.
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Minazio, Alfredo
Di Pietro e di Carolina Messen, nato il 18 dicembre 1903 a Cossila (Biella), calderaio.
Emigrato con la famiglia all’età di tre anni, nel 1921 fu segnalato come iscritto a una
sezione comunista di Torino. L’anno seguente fu denunciato per il ferimento di un fascista. Durante l’occupazione delle fabbriche fu guardia rossa alle Officine di Savigliano.
Nel 1930 emigrò in Francia e, successivamente, in Svizzera. Il 19 gennaio 1932 fu arrestato a Basilea per uso di documenti falsi. Condannato a tre settimane di carcere, fu in
seguito espulso e accompagnato alla frontiera francese. Schedato nel Casellario politico
centrale, essendosi reso irreperibile, fu iscritto anche nella “Rubrica di frontiera” e nel
“Bollettino delle ricerche”.
In Francia assunse la cittadinanza, risiedendo a La Seyne-sur-Mer. Partì alla volta della
Spagna nel maggio 1937, fu arruolato nella 15a brigata. Un mese più tardi era al campo di
Pozorrubio. Cadde in località e in data imprecisate.
Minero Re, Quintino
Di Giovanni e di Catterina Bussetti, nato il 3 ottobre 1901 a Sagliano Micca, cementista.
Emigrò in Francia nel 1921, stabilendosi a Parigi48.
Trasferitosi a Barcellona, essendo stato segnalato alla polizia italiana come autorevole
esponente anarchico (noto con il soprannome di King), nel marzo 1932 fu schedato nel
Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle
ricerche”. Successivamente si stabilì a Madrid, dove si occupò come facchino e poi come
operaio. Nel 1934 ritornò in Francia, stabilendosi nella banlieue parigina e lavorando come
muratore.
Alla fine ottobre del 1936 partì per la Spagna. Arruolato nella 3a compagnia del battaglione “Garibaldi”, combatté al Cerro de los Angeles, a Casa de Campo e a Pozuelo de Alarcón, dove rimase ferito alla gamba sinistra. Dichiarato inabile per il fronte, nel maggio del
1938 venne addetto al servizio ausiliario a Benicásim, fino al mese di luglio, quando fu
rimandato in Francia, dove si occupò come tornitore.
Dal dicembre del 1941 fino al maggio del 1942 fu internato per ordine della polizia
francese. Dopo la caduta del fascismo richiese il passaporto per poter rimpatriare, ma gli
fu rifiutato.
Risulta abbia collaborato alla Resistenza francese. Non si hanno altre notizie.
Minetto, Attilio
Di Giovanni e di Eufrosina Bertinetti, nato l’11 dicembre 1901 a Mongrando.
Emigrò in Francia nei primi anni venti, stabilendosi nella regione parigina. Recatosi in
Spagna alla fine del mese di ottobre del 1936, il 6 novembre fu arruolato nel costituendo
battaglione “Garibaldi”. Il 1 gennaio 1937, a Mirabueno, rimase gravemente ferito al gomito destro.
Nel febbraio 1938 un informatore segnalò al comando del Corpo truppe volontarie la
sua presenza in un centro di riabilitazione fisica a Mahora. In considerazione della sua inabilità al servizio, nel mese di luglio ritornò in Francia. In seguito fu in Unione Sovietica,
da cui rimpatriò nel gennaio del 1948.
Morì il 21 novembre 1961 a Mongrando.
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Molinari, Domenico
Di Pietro e di Livia Parodi, nato il 27 aprile 1908 a Biella.
Nel 1926 si trasferì a Milano con i genitori, immigrati veneti. Espatriato in data imprecisata, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”. Nel settembre del 1937 si recò in
Spagna per arruolarsi nelle brigate internazionali: inquadrato nel 3o battaglione della “Garibaldi”, combatté a Campillo, dove, il 16 febbraio 1938, rimase ferito.
Il 1 gennaio 1939 era nel campo di smobilitazione di Torelló.
Non si hanno altre notizie.
Montarolo, Francesco
Di Antonio e di Giovanna Cannone, nato il 23 giugno 1900 a Trino, bracciante.
Già iscritto al circolo giovanile socialista del paese natale dal 1914, nel 1921 aderì al
Partito comunista. Costretto alla latitanza perché coinvolto in uno scontro con fascisti avvenuto a Palazzolo Vercellese, si trasferì in seguito a Torino, dove continuò a partecipare
alle lotte contro le squadracce. Nel 1930 emigrò in Francia, stabilendosi dapprima a Lione e successivamente a Villeurbanne. Segnalato per la sua intensa attività antifascista, nel
1936 fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”.
Nel novembre di quell’anno si recò in Spagna: segnalato, fu iscritto anche nel “Bollettino delle ricerche”. Arruolatosi nel battaglione “Garibaldi”, combatté ad Arganda, Guadalajara, Morata de Tajuña, Casa de Campo. Con la costituzione della brigata “Garibaldi” fece
dapprima parte del 2o battaglione e successivamente della compagnia dello stato maggiore, come mitragliere. Combatté ancora a Huesca, Boadilla del Monte, Majadahonda e Belchite.
Nel marzo del 1938, ammalatosi, fu costretto a tornare in Francia: poté risiedere legalmente a Lione, dove partecipò all’attività dell’Unione popolare italiana.
Dopo la caduta del fascismo decise di rimpatriare: il 19 agosto 1943 fu pertanto fermato a Bardonecchia (To) e tradotto a Vercelli, dove, dopo essere stato interrogato, fu rilasciato.
Durante la Resistenza collaborò con la brigata Sap vercellese “Boero”.
Morì il 2 febbraio 1973 a Trino.
Mosca, Giuseppe
Di Giovanni e di Aurelia Cristianelli, nato l’11 gennaio 1903 a Cossato, residente a Chiavazza (Biella) fin dall’infanzia, fonditore.
Iscrittosi alla Camera del lavoro e successivamente alla gioventù comunista, fu un militante molto attivo. Costretto, dopo ripetuti scontri con i fascisti, alla vita clandestina, il
27 novembre 1927 fu arrestato a Torino con l’accusa di appartenenza al Partito comunista
e diffusione di stampa sovversiva nelle fabbriche della città: deferito al Tribunale speciale
per la difesa dello Stato, il 6 luglio 1928 fu assolto in istruttoria per insufficienza di prove.
In seguito resse l’organizzazione del partito nel Biellese. In procinto d’essere arrestato, in seguito alla scoperta di un gruppo clandestino operante nel basso Biellese e nel Vercellese49, cui aveva fornito materiale e direttive, nel novembre 1932 riuscì a espatriare
illegalmente in Francia, dove si stabilì a Villeurbanne. Fu iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Nel marzo 1934, in seguito a indagini dell’Ovra che portarono all’arresto, in Piemonte e Lombardia, di ventisei comunisti, tra cui alcuni biellesi, fu nuovamente denuncia100
to al Tribunale speciale, in stato di latitanza, per attività comunista.
Il 19 novembre 1936 si arruolò nel battaglione “Garibaldi”. Combatté a Boadilla del
Monte, Mirabueno, Arganda, Guadalajara, dove rimase ferito. Rientrato nella formazione,
nel frattempo trasformatasi in brigata, fu inquadrato nella 2a compagnia del 2o battaglione,
con il grado di sergente. Combatté ancora a Huesca, Brunete, Farlete, Belchite, Fuentes
de Ebro, Caspe, in Estremadura e, promosso tenente nell’aprile del 1938, sul fronte dell’Ebro. Tornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato a Saint-Cyprien, Gurs e Le
Vernet. Rimpatriato il 23 settembre 1941 e tradotto, in stato di arresto, a Vercelli, il 19
novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato dopo
la caduta del fascismo.
Partecipò alla Resistenza nella brigata Sap biellese “Graziola” come commissario di
battaglione. Riportò una ferita.
Dopo la Liberazione svolse attività sindacale nella Fiom e politica nella Federazione
comunista di Biella.
Morì il 18 luglio 1992 a Biella.
Mosca Carlottin, Antonio
Di Giovanni e di Elena Rosazza Gianin, nato il 18 maggio 1903 a Rosazza, muratore,
comunista.
Nel 1925 fu costretto, per motivi politici, a emigrare in Francia: si stabilì a Cap-Martin e successivamente a Tolone.
Ai primi di novembre del 1936 partì per la Spagna per arruolarsi tra i volontari antifranchisti: inquadrato nella 2a compagnia del battaglione “Garibaldi” e poi, come sergente, nella compagnia mitraglieri del 1o battaglione della brigata omonima, combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda, Arganda, Guadalajara50, Casa de Campo, Huesca e Brunete (dove fu promosso tenente). Il 13 luglio 1937 fu ferito al piede sinistro e fu
pertanto ricoverato, dapprima in un ospedale militare della capitale spagnola e successivamente a Murcia e infine, il 12 agosto 1938, trasferito in un ospedale di Marsiglia. Dimesso nell’ottobre del 1938, fu inviato dalla polizia francese a Tolone, ultimo comune di
residenza in Francia.
All’inizio delle ostilità franco-italiane fu internato nella fortezza di quella città e successivamente nel campo di concentramento di Le Vernet.
Rimpatriato, essendo stato nel frattempo iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, il 25 settembre 1941 fu arrestato a Menton. Tradotto a Vercelli, il
19 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato
nell’agosto del 1943. Partecipò alla Resistenza, inquadrato nella 2a brigata “Garibaldi”.
Morì il 12 settembre 1960 a Rosazza.
Poma, Anello
Di Claudio e di Giuseppina Manacorda, nato il 27 luglio 1914 a Biella, attaccafili.
Entrato nelle file comuniste nel 1934, all’inizio di agosto del 1937 si recò a Parigi,
con passaporto collettivo, in occasione dell’Esposizione internazionale, con il proposito
di arruolarsi per combattere in difesa della Repubblica spagnola. Giunto ad Albacete il 23
agosto e arruolato nella 3a compagnia del 3o battaglione della brigata “Garibaldi”, nel mese
di ottobre prese parte all’offensiva repubblicana sul fronte di Saragozza, combattendo a
Fuentes de Ebro.
101
Combatté poi a Campillo, dove, il 16 febbraio 1938, fu ferito al braccio sinistro. Dimesso dall’ospedale di Murcia e inquadrato nella 1a compagnia del 1o battaglione, nel mese
di aprile partecipò alla ritirata dell’Aragona, combattendo a Gandesa. Nel mese di luglio
fu nuovamente ferito, alla gamba sinistra, sul fronte dell’Ebro.
Ritornato alla brigata, fu inquadrato nel reparto d’assalto e, nel mese di settembre,
combatté sulla Sierra de Cavalls, sul fronte dell’Ebro, riportando una ferita alla testa.
Uscito dalla Spagna nel febbraio del 1939, fu internato ad Argelès-sur-Mer, Gurs e Le
Vernet. Rimpatriato il 10 dicembre 1941, essendo stato segnalato come “miliziano rosso” e pertanto schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”, fu arrestato a Menton e fatto tradurre a Vercelli, dove, il 20 marzo 1942, fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato il 26 agosto 1943.
Subito dopo l’8 settembre fu tra i primi organizzatori della Resistenza nel Biellese,
durante la quale raggiunse il grado di commissario politico del Comando zona (corrispondente a tenente colonnello dell’esercito).
Nel dopoguerra fu impegnato nell’attività politica e sindacale: dopo aver svolto per alcuni mesi le funzioni di segretario della Federazione comunista di Vercelli e aver operato
nella commissione nazionale di organizzazione del partito, fu eletto vicesegretario della
Federazione comunista biellese e valsesiana e nominato dapprima vicedirettore e successivamente direttore del settimanale “Vita nuova”; dal 1955 al 1960 fu segretario della
Camera del lavoro di Biella, in seguito fece parte della segreteria regionale del Pci, fino
al 1964. Fu assessore comunale a Biella dal 1946 al 1951 e consigliere fino al 1985.
Nel 1974 fu tra i fondatori dell’Istituto per la storia della Resistenza in provincia di
Vercelli e dal 1981 fu presidente del Comitato provinciale biellese dell’Anpi.
Morì il 18 dicembre 2001 a Nervi (Genova).
Prevosto, Francesco
Di Maurizio e di Caterina Corgnati, nato il 19 settembre 1892 a Santhià, verniciatore.
Trasferitosi a Torino nel 1913, iniziò a frequentare il “Fascio libertario” e si fece notare dalla polizia come propagandista anarchico. Nel 1914 fu condannato a cinque mesi di
reclusione per distribuzione di manifestini antimilitaristi.
Nel 1924 emigrò clandestinamente in Francia, stabilendosi prima a Briançon e poi a
Saint-Fons, dove frequentò ambienti “sovversivi”. Espulso dalla Francia, si trasferì nel Lussemburgo, dove lavorò in una fonderia fino all’aprile 1928; ritornò quindi clandestinamente
in Francia, stabilendosi a Parigi51.
Fu tra i primi a partire per la Spagna, il 19 agosto 1936: arruolatosi nella “Colonna italiana”, combatté sul fronte di Huesca.
Il 2 marzo 1937 fu arrestato dalla gendarmeria di Bourg-Madame, nei pressi del confine franco-spagnolo, con altri tre volontari, mentre ritornava in Spagna dopo una licenza di
quindici giorni. Deferito all’autorità giudiziaria, fu condannato a sei mesi di reclusione
per infrazione alla legge che vietava l’arruolamento nelle milizie spagnole e per contravvenzione al decreto di espulsione. Venutene a conoscenza le autorità italiane, fu iscritto
nel “Bollettino delle ricerche”.
Nuovamente arrestato, nel settembre del 1939 fu inviato al campo di concentramento
di Le Vernet. Avendo inoltrato domanda di rimpatrio, il 2 luglio 1941 fu accompagnato dai
gendarmi francesi all’ufficio di Pubblica sicurezza di Menton. Dopo essere stato incarcerato a Ventimiglia (Im), fu trasferito a Torino, dove, l’8 agosto, la Commissione provin102
ciale per il confino lo condannò a cinque anni. Fu destinato a Ventotene (Lt) e successivamente trasferito al campo di concentramento di Renicci di Anghiari (Ar), da cui fu liberato ai primi di settembre del 1943.
Morì il 6 settembre 1960 a Torino.
Prina Cerai, Ezzelino
Di Emilio e di Amabile Ottino, nato il 7 dicembre 1915 a Camandona.
Emigrò in Francia in epoca imprecisata, stabilendosi a Montbélliard. Raggiunta la Spagna in data non accertata, fu arruolato nella brigata “Garibaldi”. Ferito a Caspe, rientrò in
Francia verso la fine del 1938, diretto in una località dell’Est. Non si hanno altre notizie.
Quagliotti, Lorenzo
Di Giovanni e di Carolina Bricca, nato il 28 aprile 1895 a Livorno Ferraris, aggiustatore meccanico.
Già residente a Torino, nel 1920 emigrò in Francia, stabilendosi a Grenoble, e successivamente in Svizzera, a Briga. Nel 1927 rimpatriò e prese residenza a Ivrea (Ao, ora To)
ma, dopo alcuni mesi, ritornò a Grenoble, dove, rimasto senza lavoro, fu costretto a esercitare il mestiere di venditore ambulante. Nel 1934, per contravvenzione alle leggi sulla
vendita, dovette scontare cinque giorni di carcere e fu quindi colpito da decreto di espulsione quale straniero pregiudicato, che fu però più volte prorogato in considerazione della sua numerosa famiglia.
Partito da Marsiglia il 25 maggio 1937 per arruolarsi a difesa della repubblica spagnola, raggiunse la brigata “Garibaldi” nel mese di giugno. Segnalato dalla polizia politica alla
Direzione generale della Pubblica sicurezza, fu schedato nel Casellario politico centrale.
Risulta che il 24 novembre fosse ad Albacete. Sulla sua partecipazione alla guerra civile
non si hanno altre notizie.
Ritornato in Francia nel novembre 1938, fu arrestato perché contravventore al decreto
di espulsione, che nel frattempo era diventato esecutivo, e condannato a sei mesi di carcere. Scontata la pena si recò a Grenoble e fu nuovamente arrestato e condannato a un anno
di reclusione. Scarcerato nell’agosto 1940, fu inviato nel campo di concentramento di Loriol-sur-Drôme. Il 12 dicembre fu consegnato alle autorità italiane di frontiera a Modane52. Tradotto a Vercelli e interrogato da funzionari della Questura, dichiarò di non aver
preso parte alla guerra civile spagnola come combattente ma semplicemente come operaio, occupato in un’officina di riparazione di autocarri militari ad Albacete e, successivamente, in lavori stradali a Barcellona. Ciononostante fu deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia e, il 15 gennaio 1941, condannato a tre anni di confino. Inviato a Tremiti, fu liberato il 21 agosto 1943.
Morì il 15 luglio 1953 a Torino.
Quagliotti, Rolando
Di Lorenzo53 e di Irma Perlino, nato il 9 novembre 1914 a Ivrea (Ao, ora To), da famiglia originaria del Vercellese.
Emigrato in Francia con la famiglia, risiedeva a Grenoble. Partì per la Spagna, per arruolarsi nella brigata “Garibaldi”, presumibilmente nell’aprile 1937. Mitragliere, fu promosso sergente.
Cadde il 9 settembre 1938 sul fronte dell’Ebro, per lo scoppio di una granata nemica.
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Ravetto, Carlo
Di Giovanni e di Rosa Radice, nato il 9 novembre 1900 a Mezzana Mortigliengo, tessitore.
Aderì, giovanissimo, alla Federazione giovanile socialista e, successivamente, al Partito comunista, svolgendo intensa attività sindacale e partecipando alle lotte antifasciste.
Nel 1921 emigrò in Argentina, stabilendosi a Buenos Aires, dove continuò l’attività politica, diventando un dirigente del Partito comunista argentino e del sindacato dei tessili.
Operò inoltre attivamente nell’Alleanza antifascista, di cui fu membro del comitato esecutivo nazionale, e nel Soccorso rosso. Fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”.
Licenziato per motivi politici e arrestato più volte, nell’aprile del 1931 fu anche espulso
e dovette trasferirsi in Uruguay. Rientrato nel febbraio dell’anno seguente, dopo essere
stato ancora arrestato e nuovamente espulso, nel settembre del 1933 partì alla volta di Barcellona. In Spagna assolse incarichi come dirigente del Partito comunista spagnolo.
Scoppiata la rivolta fascista, partecipò all’organizzazione delle unità militari dell’esercito popolare. In seguito fu impegnato nel servizio d’informazione e di propaganda radiofonica. Uscì dalla Spagna nel febbraio del 1939 e, dopo essere stato internato a Saint-Cyprien e arruolato in una compagnia di lavoro, si stabilì nella zona di Bordeaux, dove partecipò alla Resistenza.
Rientrato in Italia alla fine della guerra, riprese l’attività politica: fu segretario della
Camera del lavoro di Biella fino al 1955, consigliere comunale e tra i dirigenti della Federazione comunista di Biella.
Morì il 4 dicembre 1989 a Mezzana Mortigliengo.
Roasio, Antonio
Di Giuseppe e di Maria Lesca, nato il 6 novembre 1902 a Vercelli.
Trasferitosi a Biella con la famiglia, a dodici anni cominciò a lavorare come attaccafili. Iscrittosi al sindacato, fu tra i fondatori del circolo giovanile socialista. Nel 1921 aderì
al Partito comunista, partecipando attivamente alla resistenza contro le squadracce fasciste. In seguito a uno di questi scontri, nel 1922 fu condannato a un breve periodo di detenzione. Scarcerato, riprese l’attività politica, ricoprendo cariche direttive nella Federazione giovanile comunista, di cui, nel gennaio del 1926, contribuì a organizzare il congresso
nazionale a Mezzana Mortigliengo. Nel mese di febbraio di quello stesso anno, in seguito
all’uccisione dell’industriale Giovanni Rivetti, che l’aveva licenziato per motivi politici,
dovette espatriare in Francia, da dove raggiunse l’Unione Sovietica. Colpito da mandato di
cattura, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche” e nella “Rubrica di frontiera”.
A Mosca frequentò la scuola leninista e lavorò come operaio. Nel 1934 fu chiamato al
Comintern, dove prestò la propria attività nell’Ufficio quadri.
Nell’ottobre del 1936 raggiunse la Spagna, contribuendo alla costituzione del battaglione “Garibaldi”, di cui fu il primo commissario politico. Partecipò a vari combattimenti, a partire dall’attacco al Cerro de los Angeles fino a quello di Pozuelo de Alarcón, nel
corso del quale fu ferito. Richiamato ad Albacete, al comando delle brigate internazionali,
fu incaricato di organizzare l’ufficio matricola per gli italiani.
Nell’aprile del 1937, ritornò al battaglione, assumendo in seguito incarichi nello stato
maggiore della brigata “Garibaldi” ma, non essendosi ancora ristabilito perfettamente,
dovette nuovamente essere ricoverato in ospedale. Nel mese di ottobre fu richiamato a
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Mosca, per lavorare nuovamente al Comintern. Nell’agosto del 1938, inviato a Parigi, entrò
a far parte del “centro di riorganizzazione” del Partito comunista, come responsabile dell’Ufficio quadri e poi (nel 1940) dell’Ufficio estero. Nel gennaio del 1943 rientrò in Italia per dirigere l’organizzazione clandestina del partito in Emilia, nel Veneto e in Toscana.
Durante la Resistenza fece parte del Comando generale delle brigate “Garibaldi” come
ispettore e successivamente come dirigente del Triumvirato insurrezionale della Toscana.
Dopo la liberazione di Firenze fu chiamato da Togliatti a Roma, dove diresse la sezione di
organizzazione del Pci.
Nel dopoguerra fu dirigente politico in Emilia-Romagna e in Piemonte; deputato e poi
senatore fino al 1968, membro del comitato centrale e della direzione del Pci fino al 1962;
presidente dell’Associazione italiana combattenti volontari antifascisti di Spagna.
Morì il 2 gennaio 1986 a Roma.
Rossetti, Adriano
Di Giovanni e di Maddalena Porta Variolo, nato il 31 ottobre 1894 a Mongrando, muratore.
Già emigrato in Francia con la famiglia nel 1909 e rimpatriato nel 1914, tornò nel paese
d’oltralpe nel 1921, stabilendosi ad Aulnay-sous-Bois. Espulso nel dicembre 1924 per
motivi politici, tornò al paese natale dove, alla fine del gennaio del 1927 fu coinvolto nelle indagini contro un gruppo comunista clandestino54: deferito al Tribunale speciale per la
difesa dello Stato, il 12 novembre fu assolto per insufficienza di prove.
Il 15 ottobre 1930 emigrò nuovamente in Francia, prima a Mulhouse, per un breve periodo, e successivamente a Villeparisis, dove svolse intensa attività antifascista. Fu iscritto
nella “Rubrica di frontiera”.
Raggiunta la Spagna nel mese di ottobre del 1936, fu arruolato nella 2a compagnia del
battaglione “Garibaldi”, della quale fu nominato commissario politico. Combatté a Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda, Arganda e Guadalajara, dove, il 14 marzo 1937,
rimase gravemente ferito al ventre e fu decorato sul campo. Ai primi di maggio fu trasferito in un ospedale di Parigi per continuare le cure. Segnalato alla Direzione generale della Pubblica sicurezza come “ex miliziano rosso”, nel luglio del 1938 fu iscritto anche nel
“Bollettino delle ricerche” per l’arresto.
Dopo essersi trasferito a Montreuil, nel maggio del 1943 decise di rimpatriare: arrestato a Bardonecchia (To), fu tradotto a Vercelli dove, il 9 luglio, fu condannato a tre anni
di confino. Il 26 luglio ne fu iniziata la traduzione a Subbiano (Ar) ma, in seguito alla caduta del fascismo, fu fermato a Milano e trattenuto in carcere. Liberato nella seconda metà
di ottobre, fu tra gli organizzatori della 2a brigata “Garibaldi”, di cui fu il primo commissario politico. Il 2 marzo 1944 fu arrestato da agenti della Questura di Novara ma, non essendo emerso nulla a suo carico, fu rilasciato. Trasferito in Valle d’Aosta, divenne il commissario politico della VII divisione “Garibaldi”.
Nel dopoguerra continuò a impegnarsi nell’organizzazione comunista in Valle d’Aosta
e nel Biellese; fu anche assessore comunale a Mongrando e dirigente dell’Anpi biellese.
Morì il 9 giugno 1962 a Mongrando.
Rossetti, Bruno
Di Giovanni e di Maddalena Porta Variolo, nato il 2 novembre 1913 a Grenoble da famiglia originaria di Mongrando (che rimpatriò nel 1914), muratore.
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Nel 1931 raggiunse il fratello Adriano55 in Francia. Stabilitosi a Villeparisis, al compimento della maggiore età acquisì la cittadinanza francese. Militò nella Confedération
général du travail unitaire e fu segretario della gioventù comunista.
Nell’aprile del 1937 partì per la Spagna. Dopo aver frequentato la scuola militare, nel
mese di novembre raggiunse la brigata “Garibaldi”, in cui fu inquadrato nel 2o battaglione,
con il grado di sergente. Combatté in Aragona, in Estremadura e sul fronte dell’Ebro.
Alla fine del 1938 ritornò in Francia perché richiamato alle armi. Durante la seconda
guerra mondiale fu fatto prigioniero dai tedeschi. Nel dopoguerra ritornò a Villeparisis.
Secchia, Matteo
Di Giovanni e di Maria Negro, nato il 21 febbraio 1906 a Occhieppo Superiore, tessitore, comunista.
Fratello del noto dirigente comunista Pietro Secchia, sospettato di svolgere attività
clandestina, sfuggito fortunosamente all’arresto, il 10 ottobre 1929 emigrò clandestinamente in Francia, stabilendosi a Villeurbanne, dove svolse attività politica negli ambienti
dell’emigrazione italiana. Fu schedato nel Casellario politico centrale56 e iscritto nella
“Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”. Nel 1932 si recò in Unione Sovietica, dove frequentò il corso “fondamentale” alla scuola leninista e svolse lavoro politico tra i marinai italiani nei porti sul mar Nero. Risiedette poi a Mosca, incaricato del
lavoro sindacale al Komintern.
Nel novembre del 1936 raggiunse la Spagna, entrando nello stato maggiore del V reggimento delle milizie popolari. In seguito fece parte del comando del V corpo dell’esercito repubblicano, con il grado di capitano. Quando, nel febbraio del 1939, le brigate internazionali lasciarono la Spagna, raggiunse nuovamente l’Unione Sovietica, dove, durante la seconda guerra mondiale, combatté contro i tedeschi, partecipando, tra l’altro, alla
difesa di Mosca, nell’inverno del 1941. Fu insignito di una decorazione sovietica al valor
militare. Rientrato in Italia nel 1946, fece parte dell’apparato centrale del Pci.
Morì il 13 giugno 1979 a Roma.
Sella, Olinto
Di Probo e di Rosa Delpiano, nato il 21 gennaio 1909 a Zumaglia, meccanico, comunista.
Nel marzo del 1934, essendo disoccupato, emigrò in Francia, stabilendosi ad Aix-lesBains. Nel dicembre del 1936 partì per la Spagna: segnalato alla Direzione generale della
Pubblica sicurezza, fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica
di frontiera”. Arruolato come autista nella 14a brigata, fu destinato al fronte di Madrid. In
seguito fu trasferito alla 13a brigata “Dombrowsky”, dove rimase fino al febbraio del 1939.
In Francia fu internato nei campi di concentramento di Argelès-sur-Mer, Gurs e Le
Vernet. Richiesto il rimpatrio, il 10 novembre 1941 fu arrestato a Menton. Denunciato
alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 20 marzo 1942 fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato nell’agosto del 1943.
Tornò ad Andorno Micca, dove morì il 26 agosto 1997.
Siletti, Carlo
Di Valentino e di Virginia Simonetti, nato il 16 dicembre 1902 a Mongrando, operaio,
comunista.
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Nel 1921 emigrò in Francia, da cui rimpatriò nel 1926 per contrarre matrimonio. Ritornatovi per sfuggire alle persecuzioni fasciste, ne fu espulso per il suo impegno politico, rimanendovi tuttavia illegalmente fino all’ottobre 1936, quando si recò in Spagna, per
arruolarsi nelle brigate internazionali. Inquadrato nel costituendo battaglione “Garibaldi”,
combatté a Casa de Campo, Boadilla del Monte, Mirabueno, Majadahonda, Arganda e Guadalajara. In seguito appartenne al 1o battaglione della brigata “Garibaldi” e combatté in varie altre località, fino alle battaglie sul fronte dell’Ebro.
Tornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato a Saint-Cyprien, Gurs e Le Vernet. Nel 1943 chiese di essere rimpatriato e il 17 febbraio fu arrestato alla frontiera. Tradotto a Vercelli, l’8 maggio la Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia,
non tenendo conto della dichiarazione medica di inidoneità a sopportare il regime confinario (era infatti affetto da tubercolosi), ritenendolo pericoloso, lo condannò a cinque anni.
Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato il 21 agosto.
Partecipò alla Resistenza nella 75a brigata “Garibaldi”. Nel dopoguerra collaborò con
la Federazione comunista di Biella.
Morì il 20 maggio 1963 a Biella.
Tamagno, Giuseppe
Di Giovanni e di Caterina Occhio Policarpo, nato il 5 dicembre 1892 a Magnano, muratore.
Militante socialista, dopo essersi trasferito nel 1921 a Zubiena, in epoca imprecisata
emigrò in Francia per motivi di lavoro. Nel maggio 1932 fu segnalato alla polizia italiana
come attivo comunista a Gardanne: fu pertanto schedato nel Casellario politico centrale e
iscritto nella “Rubrica di frontiera”.
Nell’ottobre 1936 partì per la Spagna: arruolatosi nel costituendo battaglione “Garibaldi”, combatté al Cerro de los Angeles, a Casa de Campo, Pozuelo de Alarcón, Boadilla
del Monte, Majadahonda e ad Arganda, dove morì il 13 febbraio 1937, colpito da un proiettile di artiglieria.
Tondella, Carlo
Di Battista e di Agostina Chirio, nato il 30 marzo 1906 a Viverone, esercitò vari mestieri, tra cui il minatore, comunista.
Nel maggio 1934 emigrò clandestinamente in cerca di lavoro, dapprima in Francia e
successivamente in Spagna, Algeria e America del Sud. Rimpatriato, fu condannato a quattro mesi di carcere.
Il 14 maggio 1936 fu fermato a Ventimiglia (Im) mentre, con un compagno, tentava nuovamente di espatriare clandestinamente. Dopo aver scontato tre mesi di carcere, riuscì, in
epoca imprecisata, a espatriare in Francia.
Nell’agosto del 1937 si recò in Spagna, per arruolarsi nelle brigate internazionali: inquadrato nella 2a compagnia del 2o battaglione della “Garibaldi”, combatté, con il grado di
caporale, a Farlete, Fuentes de Ebro, a Caspe e sul fronte dell’Ebro57.
Rientrato in Francia nel febbraio del 1939, riuscì a restare in libertà fino allo scoppio
della guerra mondiale, quando fu arrestato e internato. Rimpatriato nell’aprile del 1942
dalla Commissione d’armistizio, riuscì a evitare la condanna al confino58. Dopo la caduta
del fascismo riprese l’attività politica ma, il 5 dicembre 1943, fu arrestato e internato nel
campo di Scipione di Salsomaggiore (Pr), da dove fu prelevato il 13 giugno 1944 per es107
sere deportato a Dachau. Rientrato in Italia nel maggio del 1945, fece ritorno al paese
d’origine.
Morì il 26 dicembre 1989 a Biella.
Varnero, Benedetto
Di Enrico e di Carolina Uberti Bona, nato il 20 settembre 1905 a Ronco Biellese.
Emigrato in epoca imprecisata, giunse in Spagna nell’aprile del 1937, proveniente dall’Algeria. Appartenne al 3o battaglione della brigata “Garibaldi”. Non si sa a quali combattimenti abbia partecipato, ma pare che nel gennaio 1939 sia stato al fronte, con uno dei
reparti che, seppure nella fase di smobilitazione, decisero di riprendere le armi. In Francia
fu internato a Gurs e a Le Vernet.
Risulta deportato a Buchenwald, ma non si hanno altre notizie al riguardo.
Venezia, Eraldo
Di Alessandro e di Camilla Dellarolle, nato il 27 dicembre 1903 a Bianzè.
Bracciante, militante della gioventù comunista, nel 1922, dopo diversi scontri con fascisti, si trasferì a Biella, dove esercitò vari mestieri. Emigrato in Francia nel 1927, si stabilì a Boulogne-Billancourt. Rimpatriato nel 1931 per svolgere attività illegale per conto
del Partito comunista, prese domicilio a Cavaglià e svolse la professione di merciaio ambulante. Fu tra gli organizzatori dello sciopero delle mondine del mese di giugno di quell’anno.
Sospettato e vigilato, soprattutto dopo una diffusione di manifestini nel mese di novembre, il 21 aprile 1932 fu arrestato e denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, con altri appartenenti a un gruppo clandestino, con l’accusa di ricostituzione del
disciolto Partito comunista e, il 22 settembre, fu condannato a cinque anni di reclusione
(di cui tre condonati). Scarcerato nell’aprile del 1934, ritornò al paese d’origine, occupandosi come contadino.
Il 4 luglio 1937 espatriò clandestinamente in Francia, con Gaspare Fracasso59, per arruolarsi nelle brigate internazionali: fu pertanto denunciato e iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”.
Inquadrato nella 1a compagnia del 1o battaglione della brigata “Garibaldi”, combatté a
Farlete, Belchite, Fuentes de Ebro e a Campillo, dove cadde il 16 febbraio 1938, nel tentativo di liberare un ufficiale catturato dai fascisti60.
Viana, Luigi
Di Emilio e di Ernesta Scanzio, nato il 10 febbraio 1896 a Candelo, muratore.
Fu tra i fondatori del Partito comunista nel Biellese, di cui divenne, nel 1924, il primo
segretario di Federazione. Già condannato nel 1922 a sette mesi e mezzo di carcere per
“eccitamento alla disubbidienza alla legge”, nuovamente arrestato il 5 ottobre 1925 e denunciato con l’accusa di aver organizzato cellule comuniste, fu condannato a un anno.
Il 29 novembre 1926, poco dopo la scarcerazione, essendo ritenuto un pericoloso propagandista, gli furono inflitti cinque anni di confino, ridotti a tre in appello, scontati a Lampedusa (Ag) e a Ustica (Pa).
Nel marzo 1931 emigrò clandestinamente in Francia: fu pertanto iscritto nel “Bollettino delle ricerche” quale “comunista pericoloso da fermare”61. Si stabilì a Parigi, dove
frequentò ambienti antifascisti, mantenendo contatti con altri fuorusciti italiani. Nell’aprile
108
del 1931, al IV Congresso del Partito comunista, svoltosi nei pressi di Colonia, fu eletto
nel Comitato centrale.
Dopo aver portato a termine varie missioni clandestine in Italia, nell’agosto del 1936
fu tra i primi a partire per la Spagna: arruolatosi nella “Colonna italiana”, combatté a monte Pelato, Huesca, Tardienta e Almudévar. Nel febbraio del 1937 passò al Gruppo di artiglieria internazionale, con il grado di tenente, combattendo in Aragona, Estremadura e nel
Levante.
Ritornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato nei campi di Saint-Cyprien, Gurs
e Le Vernet. Rimpatriato il 20 settembre 1941, fu arrestato dalla polizia alla frontiera di
Menton e tradotto a Vercelli. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti
di polizia, il 6 novembre fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt),
fu liberato nell’agosto del 1943. Durante la Resistenza ricoprì dapprima l’incarico di intendente della 2a brigata “Garibaldi” e in seguito fece parte del Cln di Aosta.
Dopo la Liberazione fu per alcuni mesi segretario della Federazione comunista di Aosta, poi ritornò nel Biellese, dove continuò a svolgere attività politica.
Morì il 23 febbraio 1950 a Candelo.
Zanada, Carlo
Di Giuseppe e di Rosa Bongianini, nato il 27 maggio 1895 a Palestro (Pv), residente a
Chiavazza (Biella) dal 1919, attaccafili poi manovale.
Emigrato in Francia nel 1924, quattro anni più tardi fu schedato nel Casellario politico
centrale come socialista e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Nel settembre del 1931,
espulso per motivi politici, riparò in Belgio, dove, nell’ottobre dell’anno seguente, fu arrestato per contravvenzione a un foglio di via e accompagnato alla frontiera con il Lussemburgo. Rientrò in Francia e poi ancora nel Belgio, da cui fu nuovamente espulso nel
luglio 1936. Dopo una nuova breve permanenza in Francia, nel mese di ottobre si recò in
Spagna.
Arruolatosi nelle brigate internazionali, nel mese di novembre fu inquadrato nel battaglione “Garibaldi” (e successivamente, nella primavera del 1938, nella 4a compagnia della
brigata omonima). Partecipò alla battaglia di Casa de Campo e ad altri combattimenti, fino
all’Ebro. Smobilitato, nel febbraio 1939 riparò in Francia, dove fu internato nei campi di
concentramento di Saint-Cyprien, Gurs e Le Vernet. Rimpatriato, il 30 agosto 1941 fu arrestato dalla polizia a Menton e tradotto a Vercelli. Deferito alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia, il 6 novembre fu condannato a cinque anni di confino.
Inviato a Ventotene (Lt), fu liberato il 22 agosto 1943.
Partecipò alla Resistenza inquadrato nella brigata Sap biellese “Graziola”. Dopo la Liberazione continuò l’attività politica, come dirigente di sezione del Pci.
Morì il 20 novembre 1959 a Biella.
Zanotti, Arialdo
Di Celestino e di Emilia Vineis, nato il 6 maggio 1900 a Mongrando, panettiere poi
manovale, comunista. Cognato di Adriano Rossetti62.
Nel novembre del 1931 emigrò in Francia per motivi di lavoro, stabilendosi a Villeparisis. L’anno seguente fu schedato nel Casellario politico centrale come socialista. Nel
giugno del 1935, essendosi reso irreperibile, fu iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Poco
dopo fu rintracciato a Villejuif.
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Partito per la Spagna nell’ottobre del 1936, fu arruolato nella 1a compagnia del costituendo battaglione “Garibaldi”. Segnalato alla Direzione generale della Pubblica sicurezza come “miliziano rosso”, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”.
Prese parte a numerosi combattimenti (Cerro de los Angeles, Casa de Campo, Pozuelo de Alarcón, Boadilla del Monte e Mirabueno) finché, nel gennaio del 1937, contratta
una pleurite, fu ricoverato in ospedale. Rientrato nella formazione nel mese di marzo, poco
dopo fu promosso sergente. Dopo la costituzione della brigata “Garibaldi”, partecipò ai
combattimenti di Huesca, Brunete, Farlete, Belchite, Fuentes de Ebro (dove fu promosso
tenente) e a Campillo, dove, il 16 febbraio 1938, rimase ferito al braccio sinistro. Subita
l’amputazione, nell’agosto del 1938, rientrò in Francia, dove fu ricoverato in ospedale per
tubercolosi. Il 4 settembre 1939 fu arrestato e incarcerato per quattro mesi.
Morì il 27 febbraio 1943 a Parigi.
Zanotto, Riccardo
Di Celestino e di Maria Maffeo, nato l’8 gennaio 1904 a Salussola, residente a Biella,
operaio.
Attivo militante comunista nel Biellese, divenuto funzionario comunista nelle Venezie, nel mese di dicembre del 1927 fu arrestato a Trieste: denunciato al Tribunale speciale
per la difesa dello Stato, il 6 febbraio 1929 fu condannato a due anni e sei mesi di reclusione e a tre anni di vigilanza speciale.
Avendo usufruito di condono, fu dimesso dalle carceri di Ancona il 25 febbraio 1930.
Verso la fine del mese di maggio espatriò clandestinamente in Francia, raggiungendo successivamente l’Unione Sovietica, per frequentare la scuola leninista. Fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” per il fermo.
Ritornato in Francia nel 1933, in seguito a dissidi, dopo qualche tempo uscì dal partito. In seguito pare abbia frequentato ambienti trozkisti63.
Nell’estate del 1936 si recò in Spagna, dove sembra sia stato tra i promotori della “Colonna italiana”. In seguito avrebbe fatto parte di una formazione anarchica, raggiungendo il
grado di maggiore64. Combatté a Huesca e Teruel.
Ritornato in Francia nel febbraio del 1939, fu internato ad Argelès-sur-Mer, Saint-Cyprien, Gurs e Le Vernet. Nel 1940 si arruolò nelle compagnie di lavoro. Rimpatriato dal
Consolato di Bruxelles65, il 23 giugno fu fermato al valico del Brennero e fatto tradurre a
Vercelli dove, il 9 agosto, fu condannato a cinque anni di confino. Inviato a Ventotene (Lt),
nell’aprile del 1942 fu ricoverato, per tubercolosi, dapprima in un ospedale napoletano e
successivamente a Novara. Tradotto nuovamente a Ventotene (Lt), fu liberato alla fine del
mese di agosto del 1943.
Ritornato nel Biellese, risulta che durante la guerra di liberazione sia stato processato
con l’accusa (probabilmente non vera) di spionaggio a favore dei nazifascisti e fucilato il
30 agosto 1944.
Zucchetti, Giovanni
Di Alessandro e di Maria Vercellino, nato il 6 luglio 1895 a Vercelli, socialista.
Emigrato clandestinamente in Francia nel 1923, fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche”. Partecipò alla guerra civile spagnola combattendo nelle brigate internazionali, ma
non si hanno altre informazioni al suo riguardo.
Morì il 27 novembre 1974 in Francia.
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Appendice: antifascisti di cui si hanno dati insufficienti
Archetti, Antonio
Di Eugenio e di Francesca Schiapparelli, nato il 15 gennaio 1909 a Occhieppo Inferiore, vetraio.
Emigrato in Svizzera nell’aprile del 1930, nel mese di dicembre fu arrestato ad Annecy, in Savoia, accusato di “violenza per scopi politici”, e condannato a quindici giorni di
reclusione. Segnalato al Ministero dell’Interno fu schedato nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. In seguito prese domicilio ad Annemasse. Rientrato in Italia alla fine del 1931, il 3 marzo 1932 fu fermato perché sospettato di aver diffuso manifestini antifascisti, ma fu rilasciato per mancanza di prove. Poco dopo ritornò in
Francia, a Thonon-les-Bains. Resosi in seguito irreperibile, nel maggio 1938 risultò risiedere a Marsiglia.
Il 14 giugno 1939 il comando delle truppe fasciste in Spagna segnalò che aveva militato nelle brigate internazionali.
Non si hanno altre notizie.
Rossetti, Ernesto
Di Francesco e di Delfina Enrico, nato il 17 maggio 1904 a Magnano, già residente a
Torino.
Emigrato in Francia nel 1923 (pare risiedesse a Bondy) e iscritto nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto. Nel gennaio 1937 fu segnalato per essere partito da Nizza per la Spagna e in seguito come arruolato. Non si hanno elementi per provare l’attendibilità delle
segnalazioni.
Morì il 21 febbraio 1982 a Biella.
Santagostino, Attilio
Di Francesco e di Angela Cantone, nato il 12 luglio 1901 a Serravalle Sesia, emigrato
a Mathi (To) nel 1914, operaio cartaio.
Nel gennaio 1916 si rese irreperibile. Nel dicembre 1923 fu colpito da mandato di
cattura per renitenza alla leva.
Nel gennaio 1937 fu segnalato alla polizia politica che svolgeva “notevole attività antifascista” in Alta Savoia e che si era arruolato “nelle milizie rosse spagnole”. Fu schedato
nel Casellario politico centrale e iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Non si hanno elementi per provare l’attendibilità della segnalazione.
Morì il 16 maggio 1973 a Lione.
Zanone, Vittorio
Di Lorenzo e di Angela Sodano, nato il 27 marzo 1899 a Gattinara, calzolaio.
Attivo militante socialista, schedato nel Casellario politico centrale nel 1917 per antimilitarismo. Emigrato in data imprecisata, nel giugno 1928 fu segnalato a Grenoble e
venne iscritto nella “Rubrica di frontiera”. L’anno seguente fu segnalato a La Tronche, dove
svolgeva “attività sovversiva”, particolarmente nella Lega italiana per i diritti dell’uomo66,
anche come conferenziere. Nel 1931 fu iscritto nel “Bollettino delle ricerche” come
comunista pericoloso da arrestare. Nel 1933 fu nominato presidente della Lidu di Grenoble. Risulta si fosse naturalizzato francese. Nell’agosto 1936 fu segnalato come “attivis111
simo aderente al movimento di Giustizia e Libertà”. Nell’aprile del 1937 fu segnalato come
“arruolato nelle milizie rosse in Spagna” in un reparto della Croce Rossa, ma non si hanno
altri elementi al riguardo.
Morì il 17 ottobre 1970 a La Tronche.
Zuppa, Pio
Di Pietro e di Panacea Milanaccio, nato il 28 giugno 1880 a Borgosesia, operaio.
Fervente socialista, nei primi anni del secolo fu tra i dirigenti del movimento operaio
locale. Licenziato per rappresaglia, emigrò, dapprima in America e successivamente in
Francia, stabilendosi ad Aix-les-Bains e occupandosi come operaio in una fabbrica di mattonelle. Nel 1928 fu iscritto nella “Rubrica di frontiera” per il fermo. Cinque anni più tardi fu segnalato come frequentante ambienti comunisti.
Nel 1935 si rese irreperibile: tre anni dopo un informatore segnalò alla polizia politica che, secondo voci raccolte negli ambienti antifascisti, si era arruolato nelle brigate internazionali. Fu pertanto iscritto nel “Bollettino delle ricerche” per l’arresto.
Nel giugno del 1941 risultava risiedere a Chambéry.
Morì il 24 gennaio 1965 ad Aix-les-Bains.
1
Depositati all’Istituto Gramsci di Roma, nell’archivio del Partito comunista italiano, serie “I comunisti italiani nella guerra di Spagna”.
2
Pubblicato nel 1962 nella “Rivista storica del socialismo” (n. 15-16, pp. 225-261) e in appendice a GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia, Roma, Editori Riuniti.
3 Neppure gli schedari dell’Aicvas sono completi, e le schede, a una attenta verifica, rivelano talvolta imprecisioni. Il fatto che esse riportino informazioni (non sempre provate) tratte da altre fonti,
rischia di avallare anche errori.
È da rilevare che anche documentazione ufficiale o che, in qualche misura, ha carattere di ufficialità, come alcuni elenchi dell’epoca conservati nella citata serie “I comunisti italiani nella guerra di
Spagna” o quelli, pure citati, di D’Onofrio, presentano non poche imprecisioni.
4
ANELLO POMA (a cura di), Antifascisti piemontesi e valdostani nella guerra di Spagna, Torino,
Centro studi Piero Gobetti - Sezione piemontese Aicvas, 1975.
5 L’opera di Poma è sicuramente preziosa, ma occorre rilevare che presenta alcune inesattezze
(soprattutto per quanto riguarda nomi e dati anagrafici, parte delle quali è stato possibile correggere
ricorrendo alle anagrafi comunali). In essa compare inoltre, citato come originario della Valsesia, Andrea Guggia, che non risulta esserlo; inoltre Giovanni Gannio è erroneamente biografato anche come
Giovanni Cagno.
6
Anche i Quaderni dell’Aicvas non sono esenti da lacune ed errori. Riteniamo utile (soprattutto
per evitare che anche in futuro, sulla base di questa fonte, l’errore si ripeta) precisare che Aladino
Quiriconi non è originario del Vercellese.
7
Di altri cinque non si hanno dati sufficienti per provare la loro partecipazione. Le loro biografie
sono pubblicate in appendice.
8 Per quanto riguarda l’esame della documentazione dell’Archivio centrale dello Stato si rinvia alle
pp. 65-66; per quella dell’Istituto Gramsci (la citata serie “I comunisti italiani nella guerra di Spagna”)
occorre tenere conto - oltre a quanto detto nella seconda parte della nota n. 3 - che in essa sono
compresi anche vari elenchi di internati nel “quartiere c” del campo di Le Vernet, che ospitava gli ex
volontari delle brigate internazionali, ma in cui, come è noto, furono rinchiusi anche antifascisti che non
provenivano da quell’esperienza: ciò costringe, ovviamente, a una particolare cautela e al necessario
riscontro con altre fonti.
112
9
Per lo stesso motivo non sono state indicate nel testo le province di appartenenza delle località
spagnole e i dipartimenti delle località francesi, per i quali si rinvia all’indice delle località.
10 In questa elaborazione non sono stati presi in considerazione i cinque antifascisti di cui non vi
sono dati sufficienti a confermare l’arruolamento nelle brigate internazionali, le cui biografie sono pubblicate in appendice.
11
Vercellese: Vercelli tre, Trino due, uno ciascuno nei seguenti comuni: Asigliano Vercellese (più
un oriundo), Balocco, Bianzè, Gattinara, Livorno Ferraris (più un oriundo), Santhià, Tronzano Vercellese. Biellese: Mongrando cinque (più tre oriundi), Biella quattro, uno ciascuno nei seguenti comuni: Camandona, Candelo, Cavaglià (oriundo), Cossato, Cossila (ora frazione di Biella), Curino, Dorzano, Gaglianico, Magnano, Mezzana Mortigliengo, Occhieppo Inferiore, Occhieppo Superiore, Pollone, Ronco Biellese, Rosazza, Sagliano Micca, Salussola, Verrone, Viverone, Zubiena, Zumaglia.
Valsesia: uno in ciascuno dei seguenti comuni: Boccioleto, Borgosesia, Quarona (oriundo), Varallo.
12 Inoltre un vercellese e un valsesiano emigrarono nel Biellese: consideriamo quindi biellesi trentotto volontari, vercellesi tredici e valsesiani tre.
13 Premesso che non sempre è possibile stabilire con certezza se alcune attività erano svolte alle
dipendenze o in proprio, consideriamo operai trentaquattro volontari (di cui tredici risultano del settore edile, otto di quello metalmeccanico, sei di quello tessile). Tre volontari erano addetti all’agricoltura, due ad attività artigianali (ma anche per questi potrebbe essere valida la considerazione precedente), sette ad altre attività. Di otto non è nota la professione. Dei dirigenti politici è stata considerata
la professione originaria.
14 Nei casi di mancanza di altri dati si è fatto riferimento alle classificazione nel Casellario politico
centrale, non scevre da errori. A tal proposito si veda, ad esempio, la nota 46 relativa a Giuseppe
Mezzano.
15 Uno di questi (Mario Cantarelli) era probabilmente anarchico, ma non è stato possibile accertarlo.
16 In totale (considerando la “mobilità”) sono noti trentasei casi di emigrazione in Francia, otto in
Svizzera, cinque in Unione Sovietica, quattro in Spagna, altrettanti nell’America del Sud, tre negli Stati
Uniti, altrettanti nel Lussemburgo, due in Belgio, uno in Gran Bretagna, nel Principato di Monaco e
nel Liechtenstein. Di quattro non è noto il paese di emigrazione.
È considerato come emigrato anche un volontario nato in Francia (il citato Cantarelli) la cui famiglia, dopo la sua nascita, presumibilmente rimpatriò temporaneamente a Quarona, nei cui registri anagrafici fu registrato. Anche tutti gli altri oriundi nati in Francia (quattro) vi ritornarono dopo rimpatri
temporanei.
17 Erano stati condannati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato: Francesco Leone, Eraldo
Venezia e Riccardo Zanotto; deferiti ma assolti Gaspare Fracasso, Giuseppe Mosca, Adriano Rossetti; il confinato era Luigi Viana.
Sono inoltre noti vari casi di arresti e di condanne sia in Italia che all’estero e alcuni casi di espulsione da paesi di emigrazione. Inoltre undici volontari risultano iscritti nella “Rubrica di frontiera” e nel
“Bollettino delle ricerche”, dodici solo nella “Rubrica” e tre solo nel “Bollettino”.
Durante la guerra civile spagnola, o in seguito ma a causa della partecipazione a essa, nove volontari furono schedati nel Casellario politico centrale; risultano inoltre sette casi di iscrizione nella “Rubrica di frontiera” e nel “Bollettino delle ricerche”, dodici solo nel “Bollettino” e tre solo nella “Rubrica”.
18 Giovanni Pio Borsano, Gaspare Fracasso, Anello Poma ed Eraldo Venezia.
19 Uno di questi, Plinio Lario, risulta arruolato il 28 luglio 1936: non è pertanto da escludere che si
trovasse già in Spagna al momento dello scoppio della guerra civile.
20 Il più giovane era Ezzelino Prina Cerai, il più anziano Pietro Cerruti. Di un volontario (De Margherita) non è noto l’anno di nascita. Per i tre volontari di cui non è noto l’anno di arruolamento si è
fatto riferimento al 1937.
21 Tenendo conto dei trasferimenti dalle varie formazioni, si ha complessivamente la seguente situazione: diciannove volontari furono inquadrati nel battaglione e altri diciotto nella brigata, uno in una
formazione anarchica, undici in vari altri reparti, mentre di cinque non è nota la formazione di appartenenza. Inoltre cinque volontari appartennero alla “Colonna italiana” e uno alla centuria “GastoneSozzi”
fino al loro scioglimento.
113
22
Altri ufficiali: un commissario politico di battaglione, un commissario politico di compagnia, cinque tenenti, un ufficiale tecnico di aviazione. Risultano inoltre due sottufficiali (sergenti) e un graduato
(caporale).
23
Si tratta di Giovanni Barberis, Mario Cantarelli, Giovanni Gannio, Alfonso Mellina Sartore, Alfredo Minazio, Rolando Quagliotti, Giuseppe Tamagno, Eraldo Venezia.
24
Si tratta di Arialdo Zanotti.
25 Si tratta di Enrico Bonora.
26 Diciotto ritornarono in Francia (in seguito sei saranno arrestati e internati, mentre uno emigrò in
Unione Sovietica), uno negli Stati Uniti, uno in Svizzera (dove fu internato), due in Unione Sovietica.
27
L’ultimo volontario a lasciare la Spagna fu presumibilmente Plinio Lario, che restò a Madrid
fino al mese di marzo del 1939. Probabilmente anche Benedetto Varnero lasciò la Spagna dopo il
ritiro delle brigate internazionali, ma non si hanno dati certi: pare solo che abbia combattuto con uno
dei reparti che ripresero le armi nel mese di gennaio e non risulta che sia stato internato ad Argelèssur-Mer o a Saint-Cyprien, località dove furono raggruppati i volontari subito dopo il loro ingresso in
Francia.
28 Comprendendo anche i sei che erano ritornati in Francia prima del febbraio 1939.
29 Si tratta di Giuseppe Bagnasacco, Ottavio Callegaro, Giovanni Calligaris, Giuseppe Mosca,
Antonio Mosca Carlottin, Anello Poma, Francesco Prevosto, Lorenzo Quagliotti, Olinto Sella, Carlo
Siletti, Luigi Viana, Carlo Zanada, Riccardo Zanotto (quest’ultimo era rimpatriato in precedenza).
30 Teresio Caron e Adriano Rossetti.
31 Si tratta di Gaspare Fracasso.
32 Si tratta di Francesco Leone.
33 Si tratta di Severino Castoro.
34 Si tratta di Carlo Tondella, nei cui confronti non esistevano prove (tuttavia durante l’occupazione tedesca fu internato e successivamente deportato in Germania).
Tra quanti, invece, rientrati in Francia prima del febbraio del 1939, vi poterono risiedere legalmente, Annibale Caneparo rimpatriò nel maggio del 1940 e fu solo diffidato, per mancanza di prove
concrete sulla sua partecipazione alla guerra civile spagnola, mentre il dirigente comunista Antonio
Roasio, che riuscì a rimpatriare clandestinamente nel gennaio 1943, non subì condanne. Stessa sorte
toccò a Francesco Montarolo, ritornato in Italia nell’agosto 1943.
35 Durante l’occupazione tedesca un ex volontario (Giovanni Calligaris) fu deferito al Tribunale
speciale per la difesa dello Stato, uno (Severino Castoro) fu ammonito e uno (Adriano Rossetti) fu
arrestato.
36 Si tratta di Matteo Secchia. Ad Angelo Irico, sempre in Urss, fu invece affidato un incarico di
carattere politico tra i prigionieri di guerra italiani.
37 Errico Malatesta, nato a Santa Maria Capua Vetere (Ce) il 14 dicembre 1853, fu uno dei maggiori esponenti del movimento operaio italiano. Repubblicano e seguace di Garibaldi, ruppe con il mazzinianesimo in seguito alla forte impressione ricavata dalla Comune di Parigi e si avvicinò all’Internazionale, aderendo ben presto alle teorie di Michail Aleksandrovic Bakunin e, in seguito, di Pëtr
Alekseevic Kropotkin. Agì senza sosta per gli ideali dell’anarchia e fu arrestato numerose volte, condannato al domicilio coatto e costretto anche all’esilio. Morì a Roma il 22 luglio 1932.
38 Luigi Bertoni, nato il 6 febbraio 1872 a Milano, da madre lombarda e padre ticinese, tipografo.
Nel settembre 1890 si trasferì in Svizzera, dove ebbe i primi contatti con il movimento operaio e le
prime esperienze di propagandista e prese parte alla rivoluzione liberale ticinese. L’anno seguente si
stabilì a Ginevra ed entrò in contatto con gli ambienti dell’emigrazione anarchica, aderendo alle idee
libertarie. Fondò il periodico bilingue “Il Risveglio - Le Réveil”, la voce più autorevole dell’anarchismo nella Confederazione elvetica, che uscì dal 7 luglio 1900 fino all’agosto 1940, quando fu soppresso da una legge che proibiva tutti i giornali anarchici. Per la sua attività sindacale e politica ebbe
ripetutamente a che fare con le autorità elvetiche e scontò a più riprese brevi o lunghi periodi di detenzione. Fu definito «padre spirituale dell’anarchismo in Svizzera». Morì il 19 gennaio 1947 a Ginevra.
39 Tra cui Adriano Rossetti, deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che parteciperà
alla guerra civile spagnola (se ne veda la biografia).
Nella documentazione conservata nel fascicolo del Casellario politico centrale del Calligaris, salvo una notizia generica di deferimento all’autorità “competente”, non vi è alcun cenno a eventuali prov-
114
vedimenti nei suoi confronti: tuttavia è certo che non fu deferito al Tribunale speciale per la difesa dello
Stato né alla Commissione provinciale per i provvedimenti di polizia.
40 È inesatta la notizia della sua appartenenza per un certo periodo al “Battallón de la muerte”
riportata in alcune opere, ricavata probabilmente dagli articoli di ENRICO GIUSSANI, Dalla Spagna,
in “Giustizia e libertà”, 12 febbraio 1937, e di LUIGI CAMPOLONGHI, Viaggio nella Spagna in guerra, in “Il grido del popolo”, 3 e 10 aprile 1937, entrambi ora in Perché andammo in Spagna, cit.:
l’omonimo volontario qui citato (solo con il cognome) era il triestino Umberto Calligaris (cfr. AICVAS,
schede biografiche).
41 Monte Aragón, nei pressi di Huesca. Denominato “monte Pelato” da Mario Angeloni, volontario perugino tra i fondatori della “Colonna italiana”, e solitamente citato in questo modo nelle varie
opere di parte antifascista sulla guerra di Spagna.
42 Non è stato possibile reperire i suoi dati anagrafici completi nell’archivio comunale.
43 Già suo compagno nel citato gruppo scoperto nel 1932 (se ne veda la biografia).
44 Non trova riscontro la notizia riportata nel Quaderno dell’Aicvas n. 5 secondo cui dal campo di
Gurs sarebbe stato deportato dai tedeschi in Bretagna.
45 Secondo la scheda biografica redatta dalla Prefettura il 21 maggio 1937 per questo episodio
sarebbe stato anche denunciato dai carabinieri di Masserano al Tribunale speciale per la difesa dello
Stato con l’accusa di offese al duce e al re: di ciò non si è tuttavia trovata alcuna conferma.
46 Da una tessera conservata dai familiari (di cui si è venuti a conoscenza dopo la pubblicazione
della prima edizione di questo volume risulta che nel 1937 era iscritto al Partito comunista.
47 Secondo la scheda biografica dell’Aicvas sarebbe stato arruolato nel mese di ottobre; nel caso
fosse l’autore di una lettera sequestrata al vercellese Alessandro Rigolino, come è ipotizzabile, sarebbe invece partito da Marsiglia l’8 novembre.
48 Secondo una nota contenuta nel suo fascicolo del Casellario politico centrale sarebbe stato anche,
per molto tempo, negli Usa.
49 Tra i cui membri vi erano i qui biografati Gaspare Fracasso ed Eraldo Venezia.
50
Il 10 marzo, al comando di un gruppo di garibaldini riuscì a catturare un automezzo fascista
carico di rifornimenti: l’episodio è ricordato da G. CALANDRONE in La Spagna brucia e da A[NTONIO]
R[OASIO] nella voce Guadalajara dell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza.
51 Nel dicembre 1933 risulta iscritto nella “Rubrica di frontiera” ma non è nota la decorrenza del
provvedimento.
52 È priva di fondamento la notizia pubblicata nel Quaderno dell’Aicvas n. 3 della sua partecipazione alla Resistenza francese e della deportazione in Germania.
53 Vedi.
54 Tra cui Giovanni Calligaris (vedi).
55 Vedi.
56 In cui fu, curiosamente, classificato genericamente come “antifascista”.
57 Nel febbraio 1938 la presenza in Spagna di un Tondella fu segnalata al Consolato italiano di
Parigi da un informatore, che precisò che questi, ad Albacete, avrebbe progettato, con altri, di rientrare in Italia, attraverso la Svizzera, per compiere, durante qualche cerimonia, un attentato che sarebbe stato diretto “da certo Camen” (Giuliano Pajetta). Il prefetto di Vercelli, interessato al riguardo,
ritenne che potesse trattarsi di Federico Tondella (nato il 29 luglio 1899 a Viverone, barbiere, emigrato clandestinamente in Francia nell’agosto del 1930 e iscritto nella “Rubrica di frontiera”), fratello di
Carlo, che fu pertanto incluso nell’elenco degli attentatori e che, rientrato in Italia, il 9 luglio 1943 fu
condannato a cinque anni di confino (ACS, Casellario politico centrale e Confinati politici, fascicoli
personali di Federico Tondella).
58 Sebbene il suo nominativo fosse stato incluso in un elenco di volontari antifascisti inviato dalla
Direzione generale della Ps ai prefetti nel dicembre del 1938 (ACS, Ps aaggr, cat. K1b-45, 1938, b.
50).
59 Già suo compagno nel citato gruppo scoperto nel 1932 (se ne veda la biografia).
60 Si trattava del capitano Mario Traverso, calzolaio genovese quarantottenne, ferito a una gamba, che fu poi ucciso a colpi di baionetta.
61 Nel marzo del 1940 risulta iscritto anche nella “Rubrica di frontiera”, ma non è nota la decorrenza del provvedimento.
115
62
Vedi.
Secondo una segnalazione di fonte fiduciaria alle autorità italiane.
64 Sulla data di arrivo in Spagna, come del resto sul periodo precedente, non si hanno notizie certe. Nell’interrogatorio cui fu sottoposto il 4 luglio 1940 nella Questura di Vercelli sostenne che, dopo
la sua rottura con il Pcd’I, si sarebbe trasferito dapprima a Bruxelles, successivamente a Berlino e
nuovamente a Parigi, fino alla fine del 1933, epoca in cui si sarebbe trasferito in Spagna, occupandosi
di commercio fino allo scoppio della guerra civile. Sull’attendibilità delle informazioni fornite nel corso
dell’interrogatorio ci sembrano tuttavia possibili alcuni dubbi che, oltre a essere suffragati da minimizzazioni, peraltro ovvie (dichiarò ad esempio di aver svolto semplicemente funzioni di autista), sono
alimentati dalla descrizione di alcune vicende che sembra essere romanzata.
65 A proposito del trasferimento in Belgio rilasciò in seguito versioni contrastanti.
66 Fondata alla fine dell’Ottocento a Roma, dopo la presa del potere da parte del fascismo si trasferì a Parigi, dove fu diretta dal giornalista Luigi Campolonghi e poi dall’ex sindacalista rivoluzionario
Alceste De Ambris. In Francia vi aderivano socialisti, radicali, massoni, anarchici, liberali, esponenti
di “Giustizia e libertà”. I comunisti ne fecero parte solo dopo il VII Congresso dell’Internazionale comunista (1935), secondo la politica di fronte popolare, per stabilire legami unitari con le altre forze
antifasciste al fine di sviluppare la lotta contro il fascismo. Durante l’esilio francese l’associazione mirava ad assicurare aiuti agli emigrati politici italiani e a difendere gli antifascisti dagli arbitrii delle polizie
locali.
63
116
Nota finale
Nel volume dell’Aicvas La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939. Tre anni di storia da non
dimenticare, Roma, 1996, sono elencati tra i volontari delle brigate internazionali - sulla base delle
brevi schede biografiche pubblicate in Antifascisti nel Casellario politico centrale, Quaderni dell’Anppia, Roma, 1988-1995 - alcuni antifascisti che, secondo i risultati delle nostre ricerche, abbiamo invece ritenuto di escludere. Si tratta di Antonio, Giuseppe e Giovanni Astaldi, Giovanni Canova,
Giovanni De Toma (recte: Detoma).
Riguardo ai primi tre, fratelli di Tronzano Vercellese (nati rispettivamente il 2 settembre 1890, il 17
ottobre 1892 e il 7 maggio 1901 - l’ultimo a Torino -, meccanici, schedati come anarchici e comunisti
ma attivi in un gruppo di “Giustizia e libertà”) si può escludere che si siano allontanati dal Belgio, dove
risiedevano. Antonio fu sospettato dalla polizia di aver fatto parte delle brigate internazionali ma la
segnalazione si basò su un evidente errore di interpretazione di un elenco di volontari (in cui il suo
nominativo compare come recapito fornito da un arruolato), inoltre risulta che successive indagini
“esclus[ero] tale circostanza”. Giovanni figura nel “Bollettino delle ricerche” come “ex miliziano truppe rosse spagnole” ma una lettura attenta di altri documenti contenuti nel fascicolo del Casellario politico
centrale fa ritenere che anche questo provvedimento sia stato originato dall’errata interpretazione del
citato documento e di confusione tra i fratelli (il nome del Giovanni Astaldi non figura infatti tra gli arruolati ivi elencati, mentre nei tre fascicoli sono vari i casi di scambio di persona). Neppure riguardo
a Giuseppe vi è alcun riferimento alla partecipazione alla guerra di Spagna. La citazione in un documento contenuto nel suo fascicolo è infatti relativa al fratello Giovanni.
Anche il Canova (nato il 10 ottobre 1898 a Ponderano, muratore, socialista), nonostante una segnalazione ricevuta dalla polizia circa la sua appartenenza alle “milizie rosse spagnole”, risulta non essersi allontanato dalla Francia, dove risiedeva.
Infine il Detoma (di Michele, nato il 19 aprile 1900 - e non il 19 settembre - a Zubiena, sarto,
comunista, residente a Sala Biellese, mai emigrato) non è identificabile con l’omonimo di cui esiste
scheda biografica all’Aicvas: quest’ultimo (di Giuseppe, nato il 19 gennaio 1902 a Zubiena - dove
peraltro risulta registrato come Bernardo -, commerciante, residente a Parigi) risulterebbe - secondo
una segnalazione della “Fratellanza di Parigi” internato nel campo di Le Vernet, circostanza - peraltro
non accertata - che, come si è detto (cfr. nota 8 ), non è di per sé sufficiente a provare l’appartenenza
alle brigate internazionali.
Nel volume è inoltre indicato come nato a Trino il volontario Camillo Sartoris, che nacque invece
a Torino.
117
Fonti e bibliografia
ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO (ACS), Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica
sicurezza, Casellario politico centrale (Cpc)
ACS, Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, Confinati politici
ACS, Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica sicurezza, Divisione affari generali e
riservati, cat. K1b-45 “Arruolamento di volontari per l’Esercito rosso spagnolo”
ASSOCIAZIONE ITALIANA COMBATTENTI VOLONTARI ANTIFASCISTI DI SPAGNA (AICVAS), schede biografiche
ARCHIVIO PARTITO COMUNISTA ITALIANO (APCI), depositato all’Istituto Gramsci di Roma, serie “ I
comunisti italiani nella guerra di Spagna”
Gli antifascisti italiani nella guerra di Spagna, “Quaderni italiani”, New York, n. 3, aprile 1943
I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo, Biella, Pci, [1945]
GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1955
ANELLO POMA, Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo, in Il prezzo della libertà. Episodi di
lotta antifascista, Roma, Anppia, 1958
GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia, Roma, Editori Riuniti, 1962
ADRIANO DAL PONT - LINO ZOCCHI (a cura di), Perché andammo in Spagna. Scritti di militanti
antifascisti. 1936-1939, Roma, Anppia, 1966
ANELLO POMA (a cura di), Antifascisti piemontesi e valdostani nella guerra di Spagna, Torino,
Centro studi Piero Gobetti - Associazione italiana combattenti volontari antifascisti in Spagna, sezione
piemontese, 1975
Autobiografia di una guerra civile, Torino, Archivio nazionale cinematografico della Resistenza, 1976
ALVARO LÓPEZ (a cura di), Antifascisti italiani caduti nella guerra di Spagna. Combattenti antifascisti di Spagna caduti nella lotta di liberazione in Italia, Quaderno Aicvas n. 1, Roma, 1982
ID, La centuria Gastone Sozzi, Quaderno Aicvas n. 4, Roma, 1984
ID, La Colonna italiana, Quaderno Aicvas n. 5, Roma, 1985
ID, Il battaglione Garibaldi, Quaderno Aicvas n. 7, Roma, 1990
Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, voll. I-III, Milano, La Pietra, 1968-1976, voll.
IV-VI, Milano, La Pietra-Walk Over, 1984-1989.
Volontari antifascisti in Spagna qui biografati sono elencati anche nelle seguenti opere:
ALVARO LÓPEZ, Dalla Spagna al confino, 2a parte del Quaderno Aicvas n. 2, Roma, 1982 (contiene però anche elenchi di ammoniti, internati, condannati al carcere)
ID, Dalla Spagna alla Resistenza in Europa, in Italia, ai campi di sterminio, Quaderno Aicvas n.
3, Roma, 1983 (contiene però anche elenchi di confinati e di condannati al carcere)
ANELLO POMA - GIANNI PERONA, La Resistenza nel Biellese, Parma, Guanda, 1972; Biella, Giovannacci, 1978
GIANNI FURIA - LUIGI SPINA - ANGELO TOGNA (a cura di), 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci attraverso i suoi congressi, Biella, Pci, 1984.
Nelle seguenti note sulle fonti i dati archivistici e bibliografici relativi alle serie di documenti e alle
pubblicazioni di questo elenco sono riportati in forma abbreviata. Di alcune altre fonti archivistiche e
opere, in cui vi è un numero limitato di citazioni e che pertanto non sono state qui sopra elencate, i dati
bibliografici sono invece riportati direttamente nelle singole note sulle fonti. Sono citate solo opere in
cui i biografati sono citati a proposito della loro partecipazione alla guerra civile spagnola. Non si fanno rinvii ai saggi pubblicati in questo volume. Le schede biografiche dell’Aicvas sono state citate solo
nei casi in cui siano state effettivamente utilizzate come fonti. Non è stato citato il ricorso agli archivi
comunali, pressoché generalizzato.
Il volume La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939. Tre anni di storia da non dimenticare, Roma, Aicvas, 1996, non è stato citato, essendo pervenuto quando l’impaginazione di questo volume
era già stata ultimata. In esso sono pubblicate, con alcune imprecisioni, brevi schede di tutti i volontari
qui biografati, a eccezione di Bottan, Callegaro, De Margherita, Prina Cerai e dei biografati in appendice. Per alcune altre osservazioni su quest’opera si veda la nota alle pp. 116-117.
118
Albertini, Enrico: ACS, Cpc, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti
italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...
Arfinenghi, Arturo: ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in Quaderno Aicvas n. 7.
Bagnasacco, Giuseppe: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi;
ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo (con nome errato); Quaderno Aicvas n. 2; 60 anni di vita della
Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Barberis, Giovanni: ACS, Cpc, citato in documenti contenuti nel fascicolo personale di Giuseppe Barberis; MAGRINI [ALDO GAROSCI], L’assedio di Huesca, in “Giustizia e libertà”, 11 settembre
1936, ora in Perché andammo in Spagna (che contiene ampi riferimenti alla sua figura di combattente e all’episodio della sua morte); Gli antifascisti italiani nella guerra di Spagna; ANELLO POMA,
Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 5; testimonianze orali del nipote Roberto Maia (Occhieppo Inferiore) e della cugina Maria Lastella (Zumaglia), 27 febbraio 1994. Citato anche in UMBERTO CALOSSO, La battaglia di Monte Pelato, in “Il Mondo”, 17 gennaio 1953, ora in ADRIANO
DAL PONT - LINO ZOCCHI (a cura di), Pionieri dell’Italia democratica. Vita e scritti di combattenti antifascisti, Roma, Anppia, 1966; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza
nel Biellese (in alcune di queste opere è citato come Giuseppe anziché Giovanni).
Bonora, Enrico: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS,
Ps aaggrr, cat. K1b-45. Citato anche in Quaderno Aicvas n. 3.
Borsano, Giovanni Pio: ACS, Cpc, citato in documenti contenuti nel fascicolo personale di Anello Poma; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato in: ANELLO
POMA, Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita
della Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Bottan, Giacomo: AICVAS, scheda biografica; testimonianza orale della sorella Regina, Gaglianico, 9 febbraio 1996. Citato in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel
Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Callegaro, Ottavio: ACS, Cpc, fascicolo personale; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; Quaderno Aicvas n. 2. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro
il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana
del Pci...
Calligaris, Giovanni: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi;
ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7; Autobiografia di una guerra
civile; Testimonianza orale di Giovanni Calligaris a Luigi Moranino, 22 novembre 1980; ISRSC BIVC, Fondo Facelli, Autobiografia di Angelo Irico, sd. Citato anche in: ILIO BARONTINI, La vittoria
di Guadalajara, in “La Voce degli italiani”, 15 marzo 1938, ora in ADRIANO DAL PONT - LINO ZOCCHI
(a cura di), Pionieri dell’Italia democratica. Vita e scritti di combattenti antifascisti, Roma,
Anppia, 1966; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIACOMO CALANDRONE, La
Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni
di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Calligaris, Lorenzo: ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti
italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche
in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; 60 anni di vita della Federazione biellese e
valsesiana del Pci...
Caneparo, Annibale: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese;
Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza.
Cantarelli, Mario: ACS, Cpc, fascicolo di Pietro Cantarelli; AICVAS, scheda biografica.
Caron, Teresio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS,
Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 5. Citato
anche in: Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3.
119
Castoro, Severino: ACS, Cpc, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti
italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi. Citato anche in Quaderno Aicvas n. 2.
Cerruti, Pietro: ACS, Cpc, fascicolo personale (nulla sulla sua partecipazione alla guerra civile
spagnola); AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...
Crovella, Andrea: ACS, Cpc, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti
italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; Quaderno Aicvas n. 7.
De Margherita, Secondo: AICVAS, scheda biografica. Citato in: I comunisti biellesi nella lotta
contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Fracasso, Gaspare: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale;
ACS, Ministero dell’Interno, Ps aaggr, A5g seconda guerra mondiale, Internati civili pericolosi, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, Fondo Facelli, lettera (autobiografia) di Gaspare Fracasso a Domenico
Facelli, 12 novembre 1969 e questionario Aicvas compilato il 23 febbraio 1976; APCI, I comunisti
italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Autobiografia di una guerra civile. Citato anche in: ANELLO POMA, Dalle fabbriche biellesi al fronte
spagnolo; Quaderno Aicvas n. 2 (indicato erroneamente come confinato a Ventotene); Quaderno
Aicvas n. 3.
Gannio, Giovanni: ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza nel
Biellese; Quaderno Aicvas n. 1; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...;
Quaderno Aicvas n. 7.
Graglia, Annibale: ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...
Citato anche in Quaderno Aicvas n. 7.
Irico, Angelo: ACS, Cpc, fascicolo personale (nulla sulla sua partecipazione alla guerra civile spagnola); AICVAS, scheda biografica; ISRSC BI-VC, Fondo Facelli, Autobiografia di Angelo Irico, sd,
parzialmente edita, a cura di PIERO AMBROSIO, con il titolo “Nel lavoro che svolgevo davo tutto
me stesso”, in “l’impegno”, a. XIII, n. 3, dicembre 1993 e successivamente in ID, “Un ideale in cui
sperar”. Cinque storie di antifascisti biellesi e vercellesi, Borgosesia, Isrsc Bi-Vc, 2002; APCI, I
comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...
Citato anche in GIACOMO C ALANDRONE, La Spagna brucia. Biografato anche nell’Enciclopedia
dell’Antifascismo e della Resistenza.
Lario, Plinio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato
anche in Quaderno Aicvas n. 3.
Leone, Francesco: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Ministero di Grazia e giustizia, Detenuti
politici, fascicolo personale; APCI, Biografie, memorie, testimonianze, “Note [auto]biografiche del compagno Francesco Leone, consultore”, 29 maggio 1945; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 4; Quaderno
Aicvas n. 7. Biografato anche in: FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio
italiano. Dizionario biografico, vol. III, Roma, Editori Riuniti, 1977; Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; ADOLFO M IGNEMI (a cura di), Figure e centri dell’antifascismo in terra
novarese, Novara, Istituto storico della Resistenza, 1992; RENZO MARTINELLI - MARIA LUISA RIGHI (a cura di), La politica del Partito comunista italiano nel periodo costituente, Annali della
Fondazione Istituto Gramsci, 1990, Roma, Editori Riuniti, 1992. Citato anche in: L. NOVAS CALVO,
Un militante: Francesco Leone, in “Lo Stato Operaio”, a. XI, n. 1, gennaio 1937; GUSTAV REGLER, La Casa verde, ivi; ALBERTO CIANCA, Visita al battaglione Garibaldi, in “Giustizia e libertà”, 26 febbraio 1937, ora in Perché andammo in Spagna; LUIGI GALLO [LUIGI LONGO], Il battesimo del fuoco del battaglione Garibaldi, in “La Voce degli Italiani”, 13-14-15 ottobre 1937, ora
in Perché andammo in Spagna; AGOSTINO DE VITA, Battaglione Garibaldi. Ottobre 1936 - aprile 1937, Parigi, Edizioni di Coltura Sociale, 1937; ESTELLA [TERESA NOCE], Garibaldini in Spagna, Madrid, Unión general de trabajadores, 1937, ora Milano, Feltrinelli, 1966; RANDOLFO PACCIARDI, Il battaglione Garibaldi, Lugano, Nuove edizioni di Capolago, 1938, poi Roma, La Lanterna, 1945; Gli antifascisti italiani nella guerra di Spagna; GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in
Spagna; LUIGI LONGO, Le brigate internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956; PIETRO
NENNI, Spagna, Milano, Avanti, 1958, ora Milano, Sugarco, 1976; GIACOMO CALANDRONE, La
120
Spagna brucia; GIOVANNI PESCE, Senza tregua. La guerra dei Gap, Milano, Feltrinelli, 1967; PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III, Torino, Einaudi, 1970; ARISTODEMO
MANIERA, Nelle trincee dell’antifascismo. Ricordi di un garibaldino di Spagna, Urbino, Argalia,
1970; MASSIMO MASSARA (a cura di), I comunisti raccontano, Milano, Edizioni del Calendario,
1972; Diario di Ugo Muccini, Comune di Arcola - Isr La Spezia, 1973; La solidaridad de los pueblos
con la República Española. 1936-1939, Mosca, 1974, traduzione italiana Le brigate internazionali. La solidarietà dei popoli con la Repubblica spagnola. 1936-1939, Milano, La Pietra, 1976;
LUIGI LONGO - C ARLO SALINARI, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna, Milano, Teti, 1976,
ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977; A[NTONIO] RO[ASIO], Casa
Rossa, in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno
Aicvas n. 3; ANTONIO CANONICA, La Colonna Libertad y la Centuria Gastone Sozzi, in Quaderno Aicvas n. 4.
Suoi scritti sulla guerra civile spagnola: Fra i combattenti della Centuria “Gastone Sozzi”, in
“Il grido del popolo”, 10 ottobre 1936, e in Garibaldini in Spagna, cit.; Faccia a faccia con il
nemico sul fronte di Talavera, ivi, 17 ottobre 1936, entrambi riediti in Perché andammo in Spagna; Piuttosto di cedere morire (testo quasi identico a quello dell’articolo precedente), in ESTELLA,
Garibaldini in Spagna, cit., ora anche in Quaderno Aicvas n. 4; Verso il fronte di Talavera, in
Garibaldini in Spagna, cit.; Con i feriti del Battaglione “Garibaldi”, ivi; Spagna, in “La voce
degli italiani”, 17 gennaio 1939; Ottanta uomini in tuta costituirono la prima Brigata, in “l’Unità”,
edizione piemontese, 29 ottobre 1950.
Macchieraldo, Andrea: ACS, Cpc, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; Quaderno
Aicvas n. 5. Citato anche in GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; Quaderno Aicvas n. 3.
Mellina Sartore, Alfonso: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1.
Mezzano, Giuseppe: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7.
Minazio, Alfredo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; AICVAS, scheda
biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in Quaderno Aicvas n. 1.
Minero Re, Quintino: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in Quaderno Aicvas n. 3.
Minetto, Attilio: ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna,
b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella
lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni di vita della Federazione biellese e
valsesiana del Pci... (in queste tre opere è citato con nome errato); Quaderno Aicvas n. 7.
Molinari, Domenico: AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...
Montarolo, Francesco: ACS, Cpc, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, Miscellanea, Breve autobiografia di Francesco Montarolo; ISRSC BI-VC, Fondo Facelli, Autobiografia di Angelo Irico; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza e citato anche nel Quaderno Aicvas n. 3.
Mosca, Giuseppe: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale;
ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO
POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n.
2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda
inoltre Autobiografia di una guerra civile.
Mosca Carlottin, Antonio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti
piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: Quaderno Aicvas n. 2; I comunisti biellesi
nella lotta contro il fascismo; G. C ALANDRONE in La Spagna brucia; A[NTONIO] R[OASIO], Guadalajara, in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Poma, Anello: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS,
Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO
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POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della
Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra civile.
Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza.
Suoi scritti sulla guerra civile spagnola, oltre all’opuscolo citato: Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo, in Il prezzo della libertà, Roma, Anppia, 1958; Figure dell’Antifascismo militante:
Eraldo Venezia, in “l’impegno”, a. II, n. 4, dicembre 1982; Cosa è stato Nedo per i partigiani biellesi, ivi, a. IV, n. 1, marzo 1984; La guerra di Spagna: ricordi e riflessioni, ivi, a. VI, n. 2, giugno
1986; Ripensando alla guerra di Spagna cinquant’anni dopo, ivi, a. VIII, n. 1, aprile 1988; Come
vissero gli ex combattenti delle brigate internazionali nei campi di concentramento francesi, in
“l’impegno”, a. XVII, n. 2, agosto 1997; Dalla lotta antifascista in Spagna alla Resistenza in Italia, in “Agorà”, annuario del Liceo scientifico statale “Galileo Ferraris”, Varese, a. V, 2001, poi in
Fabio Minazzi (a cura di), La lotta antifascista dei comunisti in Europa. Dalla guerra di Spagna
alla Resistenza: testimonianze orali, Napoli, La città del Sole, 2005. I cinque articoli pubblicati ne
“l’impegno” sono stati riediti in Ricordi di due guerre civili. Spagna 1936-1939 - Italia 1943-1945.
Scritti di e su Anello Poma “Italo”, a cura di Piero Ambrosio, Varallo, Isrsc Bi-Vc, 2016, e-book;
l’articolo pubblicato nel 1986 è riedito anche in questo e-book.
Prevosto, Francesco: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi;
Quaderno Aicvas n. 5. Citato anche nel Quaderno Aicvas n. 3.
Prina Cerai, Ezzelino: AICVAS, scheda biografica; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...
Quagliotti, Lorenzo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale;
ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in: Quaderno
Aicvas n. 2 e (con imprecisioni) Quaderno Aicvas n. 3.
Quagliotti, Rolando: ACS, Cpc, citato in documenti contenuti nel fascicolo intestato a suo padre;
ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato anche in GIACOMO CALANDRONE, La Spagna
brucia; Quaderno Aicvas n. 1.
Ravetto, Carlo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: I comunisti
biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni
di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra
civile.
Roasio, Antonio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANTONIO ROASIO, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977; ANTONIO ROASIO, relazione al convegno “La guerra di Spagna: dalla
memoria storica alla lezione attuale”, Torino, 11-12 maggio 1984, pubblicata con il titolo Un’esperienza antifascista nella Spagna della guerra civile, in “l’impegno”, a. VI, n. 1, marzo 1986 e riedita in questo e-book; Quaderno Aicvas n. 7; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi.... Biografato
anche in: FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, vol. IV, Roma, Editori Riuniti, 1978; ISACCO NAHOUM “MILAN”, Dalla lotta antifascista
alla Resistenza alla costruzione della Repubblica, in “Patria indipendente”, 1 febbraio 1987; Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; RENZO MARTINELLI - MARIA LUISA RIGHI (a cura
di), La politica del Partito comunista italiano nel periodo costituente, Annali della Fondazione
Istituto Gramsci, 1990, Roma, Editori Riuniti, 1992. Citato anche in: ALBERTO CIANCA, Visita al
battaglione Garibaldi, in “Giustizia e libertà”, 26 febbraio 1937, ora in Perché andammo in Spagna; AGOSTINO DE VITA, Battaglione Garibaldi. Ottobre 1936-aprile 1937, Parigi, Edizioni di
coltura sociale, 1937; ESTELLA [TERESA NOCE], Garibaldini in Spagna, Madrid, Unión general de
trabajadores, 1937, ora Milano, Feltrinelli, 1966; RANDOLFO PACCIARDI, Il battaglione Garibaldi,
Lugano, Nuove edizioni di Capolago, 1938, poi Roma, La Lanterna, 1945; Gli antifascisti italiani
nella guerra di Spagna; GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna; LUIGI LONGO, Le brigate
internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956; PIETRO NENNI, Spagna, Milano, Avanti, 1958,
ora Milano, Sugarco, 1976; GIACOMO C ALANDRONE, La Spagna brucia; GIOVANNI PESCE, Senza
tregua. La guerra dei Gap, Milano, Feltrinelli, 1967; PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III, Torino, Einaudi, 1970; ARISTODEMO MANIERA, Nelle trincee dell’antifasci-
122
smo. Ricordi di un garibaldino di Spagna, Urbino, Argalia, 1970; MASSIMO MASSARA (a cura di),
I comunisti raccontano, Milano, Edizioni del Calendario, 1972; La solidaridad de los pueblos con
la República Española. 1936-1939, Mosca, 1974, traduzione italiana Le brigate internazionali.
La solidarietà dei popoli con la Repubblica spagnola. 1936-1939, Milano, La Pietra, 1976; LUIGI LONGO - CARLO SALINARI, Dal socialfascismo alla guerra di Spagna, Milano, Teti, 1976; ALBERTO ROVIGHI - FILIPPO STEFANI, La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola (19361939), Roma, Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito, 1992. Citato anche in: Quaderno
Aicvas n. 3; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; 60 anni
di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Si veda inoltre Autobiografia di una guerra
civile.
Suoi scritti sulla guerra civile spagnola, oltre al citato volume autobiografico: All’assalto con le
bombe a mano, in ESTELLA, Garibaldini in Spagna, cit.; Due attacchi ribelli respinti vittoriosamente dalle brigate internazionali, ivi; Soldati della Repubblica, in “La voce degli italiani”, 21-23
novembre 1937, riedito in Perché andammo in Spagna; Sul fronte di Madrid, in Il Partito comunista italiano, Roma, Pci, sd [1946?]*; I comunisti italiani nella guerra di Spagna, in PALMIRO
TOGLIATTI (a cura di), Trenta anni di vita e lotte del Pci, “Quaderni di Rinascita”, n. 2, Roma, Rinascita, 1952; Battesimo del fuoco per i garibaldini al Cerro de los Angeles, in CESARE PILLON (a
cura di), I comunisti nella storia d’Italia, Milano, Calendario del popolo, 1973; voci Albacete, Casa
rossa, Cerro de los Angeles, Guadalajara, in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza.
* Copia in bozza di stampa si trova in FONDAZIONE ISTITUTO GRAMSCi, Roma, Archivio Partito
comunista, serie: Biografie, memorie, testimonianze. Secondo l’ex archivista dell’Istituto, FabrizioZitelli,
il volume non fu edito.
Rossetti, Adriano: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale;
ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; FRANCO R AMELLA, Biografia di un operaio antifascista: Adriano Rossetti, in “l’impegno”, a. VII, n. 2, agosto 1987 (tratto da Les italiens en France de 1914 à 1940, sous la direction de Pierre Milza, Collection de l’École française de Rome, n. 94); Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: ALBERTO CIANCA, Visita al
battaglione Garibaldi, in “Giustizia e libertà”, 26 febbraio 1937, ora in Perché andammo in Spagna; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in Spagna (cit. con nome errato); GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; OLAO CONFORTI, Guadalajara. La prima sconfitta del fascismo, Milano, Mursia, 1967; GIOVANNI PESCE, Senza tregua. La guerra dei Gap, Milano, Feltrinelli, 1967; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n.
2; Quaderno Aicvas n. 3; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci... Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza. In questa si veda inoltre la citazione nella voce Guadalajara, curata da Antonio Roasio.
Rossetti, Bruno: AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; testimonianza orale di Bruno Rossetti, 4 aprile 1996. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro
il fascismo; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Secchia, Matteo: ACS, Cpc, fascicolo personale (nulla sulla sua partecipazione alla guerra civile
spagnola); ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Autobiografia di una guerra civile. Citato
anche in: PAOLO SPRIANO, Storia del Partito comunista italiano, vol. III, Torino, Einaudi, 1970;
La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 3.
Sella, Olinto: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps
aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA,
Antifascisti piemontesi... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La
Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Siletti, Carlo: ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I
comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La
Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3.
Tamagno, Giuseppe: ACS, Cpc, fascicolo personale; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi... Citato in: IL MILITE R OSSO [PIETRO NENNI], Il Battaglione Garibaldi nella battaglia di Arganda, in “Il Nuovo Avanti”, 27 luglio 1937, ora in PIETRO NENNI, Spagna, Milano, Avanti, 1958,
123
ora Milano, Sugarco, 1976; ESTELLA [TERESA NOCE], Garibaldini in Spagna, Madrid, Unión general de trabajadores, 1937, ora Milano, Feltrinelli, 1966; Gli antifascisti italiani nella guerra di
Spagna; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; GIOVANNI PESCE, Un garibaldino in
Spagna; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...; Quaderno Aicvas n. 7.
Tondella, Carlo: ACS, Cpc (citato in documenti contenuti nel fascicolo personale di Sisto Boscono); ACS, Ps aaggrr, cat. K1b-45; ACS, Ministero dell’Interno, Ps aaggr, A5g seconda guerra mondiale, Internati civili pericolosi, fascicolo personale; AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Autobiografia di una guerra civile. Citato anche in: Quaderno Aicvas n. 2;
Quaderno Aicvas n. 3.
Varnero, Benedetto: AICVAS, scheda biografica; ACS, Cpc, citato in un documento contenuto
nel fascicolo di Vittorio Flecchia.
Venezia, Eraldo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, Fondo Facelli, Testimonianza di
Domenico Facelli su Eraldo Venezia; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; ANELLO POMA,
Figure dell’antifascismo militante: Eraldo Venezia, in “l’impegno”, a. II, n. 4, dicembre 1982. Si
veda anche DOMENICO FACELLI, Una vita per gli ideali del popolo. Eraldo Venezia, in “L’amico
del popolo”, a. XXXIV, n. 38, 16 novembre 1978. Biografato anche nell’Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza e citato anche in: ANELLO POMA, Dalle fabbriche biellesi al fronte spagnolo; GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del Pci...
Viana, Luigi: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; ACS, Ps
aaggrr, cat. K1b-45; APCI, I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA,
Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 5. Biografato anche in: Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza; FRANCO ANDREUCCI - TOMMASO DETTI, Il movimento operaio italiano.
Dizionario biografico, vol. III, Roma, Editori Riuniti, 1978; 60 anni di vita della Federazione biellese
e valsesiana del Pci... Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; STEFANO
SCHIAPPARELLI, Ricordi di un fuoruscito, Milano, Edizioni del Calendario, 1971; La Resistenza nel
Biellese; Quaderno Aicvas n. 2; Quaderno Aicvas n. 3.
Zanada, Carlo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale; APCI,
I comunisti italiani nella guerra di Spagna, b. 7, vari elenchi; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas 7. Citato anche in: I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo (cit. con
nome errato); Quaderno Aicvas n. 2; 60 anni di vita della Federazione biellese e valsesiana del
Pci...
Zanotti, Arialdo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ISRSC BI-VC, Autobiografia di Aurora Rossetti,
1 novembre 1978; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; Quaderno Aicvas n. 7. Citato anche
in: GIACOMO CALANDRONE, La Spagna brucia; I comunisti biellesi nella lotta contro il fascismo; La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 1; 60 anni di vita della Federazione biellese
e valsesiana del Pci...
Zanotto, Riccardo: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Confinati politici, fascicolo personale;
ISRSC BI-VC, b. 73, fasc. 9; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...; testimonianza di Giuseppe
Mosca in Autobiografia di una guerra civile. Citato anche in: La Resistenza nel Biellese; Quaderno Aicvas n. 2.
Zucchetti, Giovanni: AICVAS, scheda biografica; ANELLO POMA, Antifascisti piemontesi...
In appendice:
Archetti, Antonio: ACS, Cpc, fascicolo personale.
Rossetti, Ernesto: ACS, Ps. aaggrr, cat. K1b-45.
Santagostino, Attilio: ACS, Cpc, fascicolo personale; ACS, Ps. aaggrr, cat. K1b-45.
Zanone, Vittorio: ACS, Cpc, fascicolo personale.
Zuppa, Pio: ACS, Cpc, fascicolo personale.
124
Terza parte
Immagini
125
“Simboli che sembrano documenti”
L’uso della fotografia nel “Calendario del Garibaldino 1938”
di Pierangelo Cavanna
“Nessuno pensava di fare fotografie per futura memoria”
“Giornali, molti giornali, in tutte le lingue. Sulle pareti stanno numerose le fotografie”
ricorda Giorgio Camen (Giuliano Pajetta) descrivendo l’ambiente di trincea1, e questa
presenza importante e familiare, strettamente connessa al quotidiano della guerra, sembra
essere confermata da altre testimonianze che ricordano queste “immagini scattate ‘dal vero’,
dagli stessi protagonisti nelle pause dei combattimenti, sulla stessa linea del fuoco, o in
retrovia, nei brevi momenti concessi alla Colonna Italiana o al Battaglione Garibaldi”2.
“Nessuno pensava di fare fotografie per futura memoria. Quelle che si vedono sono istantanee dilettantesche fatte per divertimento da chi possedeva una macchina fotografica. Fanno
eccezione le fotografie ricavate da un film (‘Tierra de España’) organizzato da Hemingway
che volendo dimostrare i progressi della giovine repubblica spagnola, in pace e in guerra,
come battaglione militare modello della Spagna repubblicana scelse il Battaglione Garibaldi che non era spagnolo”3. L’impressione che si ricava da queste testimonianze e l’immagine che alcuni protagonisti tentano di accreditare ancora a molti anni dalla conclusione della guerra spagnola, è quella di una produzione spontanea, dilettantistica, estranea a
qualunque tipo di progettualità politica, posta ai margini del circuito informativo, quasi
che i comandi delle brigate internazionali non tenessero in alcun conto questo potente
mezzo di comunicazione.
Anche “Life”, che pure annovera tra i propri corrispondenti autori quali Capa, Seymour
e Taro, sembra confermare il quadro delineato da Pacciardi: “La guerra di Spagna - si legge in un articolo del 1937 - ha prodotto poche buone fotografie”, ma “più di un fotografo
ha rischiato la vita per istantanee di azione solo per farsele poi sequestrare dai militari.
Ambedue le parti hanno fatto scattare fotografie di propaganda di edifici distrutti e di civili uccisi dal nemico, nascondendo tutto ciò che poteva essere di aiuto o di utilità per l’altra
parte”4. Ed ancora: “Non è stato per mancanza di coraggio se la guerra è stata descritta e
fotografata in modo inadeguato. La guerra moderna usa la propaganda come un’arma e
ambedue le parti in Spagna hanno censurato spietatamente notizie e fotografie”5.
La prospettiva muta repentinamente. Alla spontanea familiarità del dilettante, alla marginalità dell’attività fotografica si sostituisce bruscamente un quadro più complesso e forse
anche più prevedibile: ritroviamo qui come altrove le figure consuete della censura e della propaganda, sapientemente applicate ad un sistema di comunicazione che si avvia ad
essere di massa. La propaganda come arma di guerra6.
Valerio Castronovo ha recentemente fatto notare7 la “sostanziale univocità formale dei
messaggi” e “la sorprendente analogia di strumenti espressivi utilizzati” sui due fronti,
rilevando la “tendenza di entrambi ad avvalersi sino in fondo del linguaggio della propa126
ganda, assai più che di quello dell’analisi e della riflessione politica, per far valere le ragioni dell’intervento armato” e certo questa uniformità semantica è un dato importante, da
tenere nella dovuta considerazione sebbene non sia un fenomeno isolato, ma non possono
essere considerati di meno altri aspetti particolarmente significativi quali le differenze
pur evidenti di strategie e di linguaggi espressivi riscontrabili tra i diversi attori del conflitto e la novità costituita proprio dalla definitiva messa a punto degli strumenti di propaganda legati alla comunicazione di massa. Come ricordava George Orwell, “è molto diffícile scrivere obiettivamente a proposito della guerra di Spagna a causa della mancanza di
documenti non propagandistici”8.
L’uso sistematico e massivo, tattico e strategico di questa nuova arma di guerra si rivela allora uno degli elementi più caratterizzanti e ricchi di significato della guerra di Spagna, della sua modernità terrificante, tragicamente espressa dal bombardamento aereo di
Guernica.
I servizi di propaganda
Nazionalisti e fascisti: “Vandalismi e atrocità commesse dai rossi”
La formazione di uffici o centri di coordinamento per la propaganda è una preoccupazione dei comandi politico-militari di tutte le forze impegnate nella guerra di Spagna. Anche
i nazionalisti, nonostante la scarsa presenza di fotografi professionisti tra le loro file, riescono ad organizzare efficienti strutture di supporto per la produzione di documentazione
fotografica destinata alla propaganda, come quella coordinata da Juan José Serrano Gomez “Serrano” al seguito delle truppe di Queipo de Llano in Andalusia, ma soprattutto il
gabinetto fotografico costituito dal generale Aranda col compito di riprendere fotografie
del campo nemico, ritrarre i soldati della propria colonna e documentare l’entrata nelle
città e nei villaggi occupati9.
Quando però sorge la necessità di operare su fronti più vasti, al di fuori degli stretti
collegamenti con l’esercito, si rivela indispensabile il ricorso a fonti esterne; per illustrare il testo che il deputato Juan Estelrich dedica a “La persecuzione religiosa in Spagna”10,
uno degli esempi canonici di propaganda del terrore, ci si affida alle immagini di agenzia:
chiese distrutte e mummie profanate emergono dal repertorio fornito da Keystone, Associated Press e New York Times, a dimostrare e mostrare al mondo la volontà di distruggere e l’accanimento degli anarchici e dei bolscevichi nell’incendiare i templi ed ammazzare “gli ecclesiastici, secolari e regolari”. Obiettivo questo che ricade anche tra i compiti
della sezione fotografica della Missione militare italiana in Spagna che deve essere impegnata nella “ripresa fotografica e cinematografica di distruzioni, vandalismi e atrocità commesse dai rossi; degli aspetti desolati delle zone evacuate dai comunisti”11. È sulla diffusione e sul potere di persuasione di questo tipo di documenti che si fonda il richiamo della “crociata” di Franco e dei suoi alleati internazionali: “Hanno mostrato loro [ai “volontari” fascisti, nda] fotografie orrende; hanno raccontato fantasie quali possono solo nascere nelle menti sadiche dei falangisti”12.
L’accento posto sull’uso propagandistico delle immagini, e sulla parola parlata della
radio, in contrapposizione a quella scritta, al testo, la necessità insomma di utilizzare i nuovi
mezzi di comunicazione è ben chiara ad un personaggio quale Lamberti Sorrentino, vicecapo dell’Ufficio stampa e propaganda della Missione militare italiana in Spagna, responsabile della Sezione radio e buon fotografo. In un articolo del luglio 1938, pubblicato ne
127
“Il Legionario” e dedicato ai “Cacciatori d’immagini”13, individua nei periodici illustrati e
nei “giornali da proiettare nelle sale cinematografíche” i nuovi prodotti del giornalismo
moderno. “Il lettore - afferma Sorrentino - si è trasformato, ed è diventato una persona
che non legge quasi più nulla e che vuole invece veder tutto. La parola ha perduto a poco a
poco il suo potere di persuasione. L’immagine, invece, domina ormai su tutta la linea col
fascino irresistibile della sua immediatezza sintetica e sbrigativa. Il cinema, la radio e la
televisione devono ancora, in realtà, dire la loro parola decisiva; e molte cose cambieranno, allora, fino a far precipitare nel disinteresse più completo la povera inanimata, pallida
fotografia del giornale, che apparirà inevitabilmente in ritardo e senza il guizzo della bruciante attualità”. Estremamente interessante risulta il riferimento esplicito alle possibilità della televisione e l’analisi delle conseguenze che essa avrà per il fotogiornalismo, di
cui sarà destinata a segnare la fine o almeno a determinarne una trasformazione profonda,
ma allora esso compie i suoi primi passi e proprio il ruolo dei nuovi fotografi, dei fotoreporter attrezzati coi maneggevoli apparecchi da 35 mm, risulta fondamentale, soprattutto
per promuovere la conoscenza del conflitto spagnolo in campo internazionale dalle pagine dei maggiori periodici illustrati.
I repubblicani: “Una missione sociale e storicamente necessaria”
Molto importante, soprattutto nei confronti del fronte interno, è il ruolo dei fotografi
spagnoli, nella grande maggioranza esplicitamente schierati coi repubblicani. Oltre a formare improvvisate agenzie fotografiche, destinate più a coprire le difficoltà di approvvigionamento di materiali che a fornire immagini alla stampa nazionale e internazionale, essi
collaborano attivamente con le strutture politiche e militari: Faustino Mayo si unisce al V
Reggimento di Enrique Líster; Francisco Mayo e Benitez Casaus fanno parte del cosiddetto Altavoz del Frente; Kati Horna collabora a testate anarchiche quali “Mujeres Libres”,
“Tierra y Libertad” e “Umbral”; mentre il grafico Josep Renau, noto per i suoi fotomontaggi realizzati sulla scia di Heartfield, è nominato direttore della Propaganda grafica del
Commissariato generale dello stato maggiore.
Con la Unidad de Servicio Fotograficos del Ejercito del Este, con sede a Lérida, lavora dal settembre 1937 anche il più famoso fotoreporter spagnolo, Agustí Centelles, a
cui viene affidata all’inizio del 1938 l’organizzazione e la direzione dell’archivio fotografico dell’Esercito di Catalogna, con sede a Barcellona, carica che lo porta a collaborare
con Jaume Miravitlles, commissario per la Propaganda, e con Pere Catalá Pic, direttore
delle pubblicazioni dell’Ufficio di propaganda della Generalitat di Catalogna, al quale si
deve il notissimo manifesto fotografico “Aixafem el feixisme”14.
Proprio ad un grafico come Renau si devono le dichiarazioni più esplicite e chiare sul
ruolo organico che deve assumere l’artista militante: “Il cartellonista - scrive Renau15 impone alla sua funzione sociale una finalità diversa da quella puramente emozionale del
libero artista. Il grafico è l’artista della libertà disciplinata, della libertà condizionata dalle
esigenze obiettive, vale a dire, superiori alla sua volontà individuale”, e a questo ruolo esso
si deve dedicare con la dignità che implica il pieno esercizio di “una missione sociale e
storicamente necessaria”16.
Ciò che merita di essere sottolineata è allora la condizione differente della produzione di propaganda sui due fronti avversi: mentre in campo nazionalista si tratta prevalentemente di una impostazione dirigista, centralizzata, con uno scarto netto tra ideazione ed
esecuzione degli elaborati grafici e visivi destinati alla propaganda, che rimangono anco128
rati a canoni stilistici tradizionali17 (si veda ad esempio la ritrattistica di regime), in campo repubblicano l’adesione dei grafici e fotografi spagnoli è profondamente ideologica e
politicizzata, con immediate ripercussioni sui temi e sui modi della loro produzione, e
giunge a gettare le basi di una nuova estetica fotografica, strettamente aderente alle motivazioni etiche e politiche della lotta. Il fotografo scende in strada fin dal primo giorno,
quel 18 luglio del 1936 in cui molti reporter erano convenuti a Barcellona per l’apertura
delle Olimpiadi popolari, mai iniziate, e si ritrova totalmente immerso nel clima delle prime
azioni di resistenza civile al sollevamento militare. Le foto di Centelles e quelle di Namuth-Reisner a Barcellona, quelle di Vidal e Albero y Segovia a Madrid mostrano da subito un profondo coinvolgimento, una prossimità non solo fisica del fotografo all’azione di
resistenza. L’uso delle nuove Leica e Contax consente una agilità di movimento che permette di rendere pienamente questa consonanza e di rinunciare definitivamente alla posa,
alla documentazione ex post che tanto aveva caratterizzato la fotografia di guerra fino a
quel momento.
In quei primi giorni il fotografo percorre le strade affiancando le barricate e mescolandosi alle manifestazioni di folla, partecipa all’evento e lo documenta sentendosi parte
di esso, così come nei mesi successivi registrerà l’arrivo dei volontari delle brigate internazionali, la preparazione logistica e le azioni di guerra, le conseguenze atroci delle battaglie e dei bombardamenti, ma soprattutto il popolo che lotta e soffre e che risulta il grande protagonista di queste immagini, in particolare in quelle di Kati Horna, che rivolge la
propria attenzione prevalentemente alle condizioni della vita quotidiana nei piccoli centri.
Come ha rilevato Joan Fontcuberta a proposito delle immagini di Centelles18 - ma questa considerazione può essere estesa anche agli altri fotografi che operarono da parte repubblicana - le immagini che questi hanno prodotto vogliono essere documenti grafici allo
stato bruto, volutamente “prive di firma e di stile”, nelle quali si vuole far prevalere il richiamo realistico del mezzo. Obiettivo principale è il compimento della missione politica e sociale che il fotografo ha scelto di svolgere, ciò che comporta in qualche modo l’annullamento della cifra personale, dell’interpretazione che si sovrappone e si interpone alla
pura funzione documentaria, al fine di trasmettere il messaggio nel modo più convincente
possibile, per produrre, come dice Fontcuberta, “simboli che sembrano documenti”.
E poco importa se per raggiungere questo scopo si deve ricorrere, in alcuni casi, a
soluzioni apparentemente in contraddizione col dettato strettamente documentario, ad
interventi di costruzione o ricostruzione dell’immagine quali la riquadratura del negativo
in fase di stampa, il fotomontaggio e la doppia esposizione, la messa in scena e la posa.
Ma anche la composizione dell’inquadratura viene utilizzata in funzione di sottolineatura
retorica del soggetto, come accade tipicamente nelle riprese dal basso verso l’alto, sovente composte in diagonale, più volte utilizzate ad esempio da Centelles e Campana19,
mentre altri fotografi quali Namuth-Reisner e Albero y Segovia adottano soluzioni differenti, con riprese frontali o appena scorciate ed ombre marcate, ricercando una monumentalità dell’immagine che rimanda in modo esplicito alla produzione del realismo socialista ed al dibattito che in Unione Sovietica contrapponeva alle ricerche delle avanguardie,
accusate di “tendenze formaliste, di feticismo della tecnica”, il ritorno a “forme comprensibili”, al “primato del contenuto sulla forma”, propugnato dai membri della Ropf, Russkoe Obcestvo Proletarskich Fotografov (Associazione russa dei fotografi proletari), che
si battevano per l’abbandono dei modi del reportage a favore di un ritorno alla fotografia
di composizione a fini celebrativi20.
129
Le brigate internazionali
Allo stato attuale delle ricerche non sappiamo se e quanto di questo dibattito sia confluito ed abbia influenzato la produzione fotografica realizzata nell’ambito di organismi
altamente politicizzati e ideologicamente controllati quali furono le brigate internazionali, ma certo la storia politica di questi organismi e di molti dei volontari e dei quadri dirigenti lascia supporre che sul fronte spagnolo ne giungesse più di una eco. Indagini condotte direttamente sulle fonti, fotografiche e a stampa, sono a tutt’oggi molto rare. La maggior parte delle immagini ci è nota attraverso pubblicazioni di anni o decenni successive
alla data in cui venne effettuata la ripresa, né, senza conoscere l’originale e la sequenza di
produzione in cui questo è inserito, siamo in grado di riconoscere e valutare il peso e il
senso dell’impaginazione, che pure adotta schemi profondamente differenti nelle diverse
testate21.
Anche le recenti indagini di Paola Corti e Alejandro Pizarróso Quintéro, condotte su
due importanti periodici prodotti dagli opposti schieramenti nel corso della guerra spagnola22, pur risultando di grande importanza per comprendere i meccanismi della propaganda politico-militare, fanno solo qualche cenno ai modi di produzione ed utilizzazione
dell’immagine fotografica, che pure vi svolgeva un ruolo importante, e resta ancora sostanzialmente valida l’osservazione fatta a suo tempo da Nanda Torcellan a proposito della
scarsità di pubblicazioni “sulla ricchissima documentazione visiva”23 della guerra di Spagna.
Per la fotografia prodotta al di fuori dei circuiti professionali, ma comunque non da
fotografi improvvisati, il lavoro è ancora tutto da fare e non può per ora andare molto oltre
una prima indagine descrittiva, senza ancora poter affrontare l’ordine di problemi che emergono invece dalle prime attente ricerche sulle fotografie prodotte durante la Resistenza24.
L’analisi che presentiamo di un piccolo esempio di uso propagandistico della fotografia durante la guerra di Spagna non può che essere considerata come un primo tentativo di
avvicinamento al problema, certamente lacunoso e sottoposto al rischio di offrire interpretazioni falsate o insufficienti poiché, come si è detto, troppi ancora sono gli elementi
di conoscenza che riconosciamo come indispensabili nel preciso momento in cui ne rileviamo l’assenza. Lacuna tanto più grave quando risulta evidente come la guerra civile spagnola sia uno dei passaggi obbligati per comprendere la formazione di una nuova forma di
comunicazione sociale ampiamente centrata sull’uso delle immagini.
Il “Calendario del Garibaldino”
Il “Calendario del Garibaldino 1938”, edito dall’Unione popolare italiana, consta di cinquantatré fogli di cm 22,7/15,8, con una copertina centrata grafícamente sulla bandiera
della brigata con l’effigie di Garibaldi25. I fogli settimanali presentano sempre una partizione verticale che prevede in alto una grande immagine fotografica, di soggetto vario, a
cui corrispondono altre due fotografie di ridotte dimensioni poste agli angoli inferiori a
cornice del calendario settimanale, generalmente raffiguranti singoli o gruppi, tutte fornite di didascalia.
Non siamo per ora in grado di conoscere con esattezza le motivazioni e gli obiettivi
che tale pubblicazione si prefiggeva, ma il “Calendario” va inserito nella politica editoriale condotta dal comando della brigata “Garibaldi” e deve essere messo in relazione col
giornale “Il Garibaldino”26, pubblicato dal 1 maggio 1937 al 7 febbraio 1938, e quindi alla
redazione del volume antologico “Garibaldini in Spagna”, edito nel 1937, nel quale com130
paiono numerose immagini presenti anche nel “Calendario”, ciò che fa supporre la presenza di una sola redazione e di un vero e proprio fondo di immagini al quale attingere nelle
diverse occasioni. Caratteristica comune a queste pubblicazioni, soprattutto evidente per
la parte iconografica, è la loro natura di prodotti a circolazione interna, autoreferenziali,
nei quali la narrazione prevale sull’informazione; gli argomenti trattati riguardano quasi
esclusivamente la vita delle brigate e dei loro membri mentre poco è mostrato delle relazioni col nemico.
Il riferimento al giornale della brigata risulta esplicito nell’immagine di apertura del
calendario, il “Trombettiere delle brigate internazionali”, che è anche il simbolo che accompagna graficamente la testata del periodico, ma altri rimandi sembrano possibili e
soprattutto risulta evidente una precisa corrispondenza ed un adeguamento al programma
politico e militare del comando delle brigate espresso in forma compiuta dalle pagine del
giornale, a dimostrazione dell’articolazione estrema delle strategie di propaganda e di
costruzione del consenso.
Al trombettiere fanno seguito immagini relative ad altri ruoli militari, motociclisti,
“cacciatori”, mitraglieri ed alcune scene di vita al fronte. Scarse sono le fotografie d’azione, la documentazione delle diverse fasi del combattimento (“Bombardamento aereo”, “All’attacco”, “I volontari passano i reticolati”) ma qui, rispetto agli esempi presenti in “Garibaldini in Spagna”, risultano meno ingenue, costruite e composte con maggiore attenzione e prive di particolari incongrui (il soldato che guarda in macchina durante un “attacco”, ad esempio) che ne rivelino l’artificio palese della posa. Caratteristica è anche la scelta
del modo in cui l’azione di guerra viene documentata: o come evento terribilmente “spettacolare” (i bombardamenti) o come scena corale ambientata in spazi amplissimi nei quali
la presenza della persona si riduce a puro segno. In queste fotografie brigatiste manca la
rappresentazione diretta della tragedia; lo scontro armato viene presentato registrandone
il prima e il dopo, mostrandone i luoghi e gli effetti sulle cose piuttosto che sulle persone, secondo una tecnica che aveva avuto larghissima applicazione per tutto il XIX secolo
ma che i nuovi fotografi, i fotoreporter, avevano ormai abbandonato e programmaticamente
rifiutavano27.
Anche la celebrazione delle vittorie militari, diversamente da quanto accade per i testi
scritti, non passa mai attraverso l’exemplum personale, non si trasforma in modello di
eroismo, rifiuta la costruzione del simbolo iconico che viene praticata nella stessa occasione dalla stampa internazionale (la foto del miliziano di Capa) secondo un procedimento proprio della comunicazione di massa. Le immagini di Guadalajara, Huesca, Guadarrama e Brunete o quelle del fronte di Aragona, che scandiscono le settimane seguendo l’ordine delle ricorrenze, si riferiscono sempre alle fasi preparatorie (“La partenza”, “Il viaggio di avvicinamento”, “Lo spiegamento della brigata”) o documentano i segni lasciati dalla
battaglia e i festeggiamenti per la vittoria (“La strada da Madrid a Saragozza dopo la sconfitta fascista di Guadalajara”, “I garibaldini ammirano il bottino preso al nemico”) mentre
si evita accuratamente il riferimento alle gravi perdite subite (“Tank durante l’offensiva di
Brunete”).
Non c’è dubbio che questo atteggiamento derivi da una pratica nella quale censura e
propaganda si intrecciano indissolubilmente senza che sia possibile distinguere nettamente
dove finisca l’una ed inizi l’altra, pratica che trovava il proprio specifico campo d’azione
nel controllo, seppure imperfetto, della stampa periodica delle brigate e che si è evidentemente estesa ad un prodotto non strettamente legato all’informazione come il “Calenda131
rio”. Per queste ragioni la scelta del corredo iconografico può essere meglio compresa
nel quadro delle trasformazioni indotte dall’andamento della guerra: “Dall’agosto del ’37
- come ha rilevato Paola Corti - le informazioni sui singoli combattimenti vennero di fatto sostituite da più costanti aggiornamenti sulle attività di addestramento [...] A partire dalla
tragica conclusione dell’episodio di Brunete il giornale [“Il Garibaldino”, nda] cominciò
di fatto a prestare una sempre maggiore attenzione alla vita quotidiana delle truppe”28.
Le immagini che si riferiscono a questi temi percorrono tutta l’estensione del “Calendario”, alternando la documentazione dei momenti di addestramento e di preparazione
(“Istruzione sul fucile a mitraglia”, “Momenti di riposo utilizzati per gli esercizi contro i
gas”) a quelli di pausa e di svago (“La zuppa”, “La squadra calcistica garibaldina”, “Coro di
garibaldini”). Una grande attenzione è dedicata al tema dell’alfabetizzazione e della diffusione della stampa di informazione politico-militare tra le truppe (“Non più analfabeti nella
Brigata Garibaldi”, “Il giornale murale di un battaglione”, “Lettura in trincea”), argomento
più volte ripreso anche nelle pagine di “Garibaldini in Spagna” e presente nelle immagini
di molti fotografi29, a dimostrazione dell’importanza che i comandi attribuivano alla diffusione dell’informazione ed alla pratica della lettura, di volta in volta finalizzate a scopi
diversi a seconda dell’andamento del conflitto. Se - specialmente dopo Brunete - “le ricorrenti sconfitte subite dai repubblicani [...] imponevano anche al giornale di tacere sulla
guerra, di sorreggere il morale di una truppa ormai in chiaro declino o ricorrendo alla rievocazione di alcune vittorie dei mesi precedenti o rimuovendo la memoria delle sconfitte”30, allora risulta pienamente comprensibile e giustificato l’ampio spazio dedicato nel
“Calendario” alla rievocazione della difesa di Madrid che costituisce il tema delle immagini relative ai mesi di ottobre, novembre e dicembre ed assume un significato preciso la
scelta della fotografia di chiusura, il ritratto di André Marty, “l’eroe del Mar Nero, forgiatore ed animatore delle Brigate Internazionali”, che costituisce certamente un richiamo
all’ordine ed all’ortodossia più ferrea e feroce; la negazione finale dell’entusiasmo volontaristico che pure le immagini precedenti avevano cercato di documentare.
1 GIORGIO CAMEN [GIULIANO PAJETTA], In trincea con i volontari italiani del Battaglione
Dimitroff, in Garibaldini in Spagna, Madrid, Ugt, 1937, pp. 230-232.
2 MASSIMO SCIOSCIOLI, Presentazione, in ID (a cura di), Italiani nella guerra di Spagna 19361938. Un contributo di libertà, in “Archivio trimestrale. Rassegna di studi sul Movimento Repubblicano”, a. VIII, n. 1, gennaio-marzo 1982, p. 6.
3 RANDOLFO PACCIARDI, La guerra di Spagna, in M. SCIOSCIOLI (a cura di), op. cit., pp. 9-12.
Il riferimento è al noto documentario The Spanish Earth, realizzato da Joris Ivens e John Ferno con
finanziamenti di John Dos Passos e Archibald MacLeish, con testi di Ernest Hemingway; cfr. EVA PAOLA
AMENDOLA - FEDERICA DI CASTRO (a cura di), Spagna 1936-1939. Fotografia e informazione di
guerra, Venezia, Marsilio, 1976, pp. 35-36. In occasione della presentazione di alcune immagini tratte
da questo documentario, il periodico americano “Life” pubblica per la prima volta, nel numero del 12
luglio 1937, la famosissima immagine di Robert Capa del miliziano caduto a Cerro Muriano, sul fronte di Cordova, che assumerà ben presto il ruolo di icona della guerra di Spagna, ruolo che mantiene
a tuttoggi nonostante la messa in discussione della sua natura di documento ed il disvelamento della
sua costruzione artificiosa; cfr. ANDO GILARDI, Storia sociale della fotografia, Milano, Feltrinelli,
1976, p. 299. Per una analisi sintetica e attenta delle forme del falso in fotografia cfr. RENZO CHINI,
132
Tecniche e autentiche del falso fotografico, in “Aft. Rivista di Storia e Fotografia”, a. VIII, n. 15,
giugno 1992, pp. 42-46; una grande occasione perduta per discutere in modo approfondito di questi
temi è quella offerta da ALAIN JAUBERT, Commissariato degli archivi. Le fotografie che falsificano la storia, Milano, Corbaccio, 1993, che si limita ad essere un esempio datato di anticomunismo
viscerale.
4
The war in Spain makes a movie with captions by Ernest Hemingway, in “Life”, July 12,
1937, citato e riprodotto in E. P. AMENDOLA - F. DI CASTRO (a cura di), op. cit., pp. 35-37. È singolare notare come la notazione di Pacciardi richiami in modo quasi letterale l’osservazione dell’articolista di “Life”, fatta quarantacinque anni prima.
5
The camera overseas. The Spanish war kills its first woman photographer, in “Life”, August
16, 1937, citato e riprodotto in E. P. AMENDOLA - F. DI CASTRO (a cura di), op. cit., pp. 37-38.
6 L’individuazione delle esatte caratteristiche del fenomeno condotta dal redattore di “Life” non
potrebbe essere più esplicita, e forse tale lucidità di analisi molto deve alla conoscenza diretta dei primi
studi sulle tecniche di propaganda utilizzate nella grande guerra, pubblicati negli Stati Uniti a partire
dalla fine degli anni venti; cfr. ALEJANDRO PIZARRÓSO QUINTÉRO, “Il Legionario”. Un quotidiano
fascista nell’intervento propagandistico degli italiani nella guerra civile spagnola, in PAOLA CORTI
- ALEJANDRO PIZARRÓSO QUINTÉRO, Giornali contro. “Il Legionario” e “Il Garibaldino”. La
propaganda degli italiani nella guerra di Spagna, Alessandria, Edizioni dell’Orso; Torino, Istituto
di studi storici “Gaetano Salvemini”, 1993, pp. 11-66, in particolare alle pp. 13-16.
7 VALERIO CASTRONOVO, Premessa, in P. CORTI - A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit., p. 9.
8 Citato da RIK SUERMONDT, Agustí Centelles, in “Perspektief”, n. 39, settembre 1990, pp. 6667. Ricordiamo qui l’attività di fotografo di Orwell, purtroppo dispersa, almeno per quanto riguarda
le immagini della guerra di Spagna, in conseguenza di un incidente che lui stesso descrive in questi
termini: “Verso la fine di marzo [1937, nda] ebbi un’infezione alla mano che dovette subire un’incisione ed essere tenuta con una benda al collo. [...] I ‘praticantes’, o infermieri, mi derubarono d’ogni
oggetto utile che avessi, compresa la macchina fotografica con tutte le mie fotografie’’; cfr. GEORGE
ORWELL, Omaggio alla Catalogna, Milano, Il Saggiatore, 1964, p. 91.
9 PUBLIO LÓPEZ MONDÉJAR, Las Fuentes de la Memoria II. Fotografia y Sociedad en España,
1900-1939, Madrid, Ministerio de Cultura, Lunwerg Editores, 1992, p. 98.
10 JUAN ESTELRICH, La persecuzione religiosa in Spagna, Milano, Mondadori, 1937. Contro
questa ignobile propaganda si alza la voce di Picasso, nominato dal governo repubblicano direttore
del Museo del Prado: “La ridicola frottola che i propagandisti fascisti hanno fatto circolare per il mondo
è stata completamente smentita molte volte dal grande numero di artisti e intellettuali che ultimamente
hanno visitato la Spagna. Tutti hanno riconosciuto il profondo rispetto che il popolo spagnolo in armi
ha rivelato nel salvare la grande ricchezza di quadri e dipinti religiosi e di arazzi dalle bombe incendiarie fasciste. Tutti conoscono il barbaro bombardamento del Museo del Prado da parte degli aerei
ribelli, tutti sanno anche come i soldati riuscirono a salvare i tesori d’arte a rischio della loro vita. Qui
non ci sono dubbi possibili. Da una parte i ribelli buttarono bombe incendiarie sui musei, dall’altra il
popolo ha messo al sicuro gli obiettivi di quelle bombe, le opere d’arte. A Salamanca Milan Astray
grida ‘Morte all’intelligenza’. A Granada García Lorca è assassinato”; cfr. PABLO PICASSO, Dichiarazioni sulla guerra di Spagna 1937, in MARIO DE MICHELI (a cura di), Scritti di Picasso, Milano,
Feltrinelli, 1964. È appena il caso di accennare qui alla larga eco che la guerra di Spagna ebbe nella
comunità intellettuale internazionale, ed in particolare in quella artistica. Alle due opere più famose di
Picasso, Sogno e menzogna di Franco, del 1936, e Guernica, del 1937, si affiancano quelle di Kokoschka, Masson, Alix, Wiemken, Sassu e altri, oltre naturalmente agli artisti spagnoli, prevalentemente di area surrealista, quali Mateos, Luna e Prieto. Gli elementi più significativi di questa produzione vennero presentati al pubblico internazionale nel padiglione spagnolo dell’Esposizione universale
di Parigi del 1937 che, oltre a Guernica, ospitava La Montserrat di Julio Gonzáles, i pannelli di Joan
Miró e la colonna monumentale di Alberto Sanchéz Pérez La strada del popolo spagnolo conduce
a una stella. Anche la grafica repubblicana di propaganda si richiama sovente alle nuove correnti
artistiche, differenziandosi profondamente in questo dalla corrispondente propaganda nazionalista; basti
ricordare il coinvolgimento diretto di figure come Josep Renau e Pere Catalá Pic, che si ricollegano
alla pratica del collage e del manifesto politico del dada berlinese, ma anche il manifesto El Rumor,
pubblicato dalla Cnt, di chiara impronta surrealista, e quello di Miró Aidez l’Espagne, pubblicato nel
133
n. 45 della rivista parigina “Cahiers d’Art”, del 1937. Alla tradizione propagandistica del volume di
Estelrich appartiene il più tardo LUDOVICO ZUCCOLI, La Repubblica di Spagna con riferimento
alle cose d’Italia, Napoli, Stab. Tip. Raimondi, sd [1948], pubblicato con evidenti intenzioni antirepubblicane e soprattutto anticomuniste, “corredato da raccapriccianti fotografie sulle stragi e sulla distruzione di edifici religiosi”; cfr. NANDA TORCELLAN, Gli italiani in Spagna. Bibliografia della
guerra civile spagnola, Milano, Angeli, 1988, p. 13.
11 A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit., p. 26.
12 G. C AMEN [G. PAJETTA], L’Altavoz del Frente parla ai “volontari” di Mussolini, in Garibaldini in Spagna, cit., pp. 266-268.
Di segno totalmente diverso l’iniziativa dell’aviazione dell’esercito repubblicano che diffondeva
nelle trincee nemiche volantini nei quali si prometteva salva la vita ai soldati che avessero disertato. A
prova palese del mantenimento della promessa il testo era corredato da fotografie di prigionieri dei
repubblicani in perfetta salute e da trascrizioni di loro dichiarazioni; cfr. Garibaldini in Spagna, cit.,
p. 312.
Un altro esempio di manifesto propagandistico diffuso dal battaglione “Garibaldi” tra i soldati italiani a Guadalajara è pubblicato nelle pagine del Calendario del Garibaldino 1938, Unione popolare italiana, 14 marzo, e di Garibaldini in Spagna, cit., p. 286. Esso raffigura lo stivale fascista che
opprime la Spagna sullo sfondo di una raccolta di messaggi propagandistici e si rifà direttamente ad
un manifesto antinazista di identica impostazione, pubblicato nella rivista “Volks-Illustrierte”.
Più rari sono i collage totalmente fotografici quali Madrid / 1936 / No Pasaran! o l’efficacissimo
Kultur!, pubblicato dalla Sezione propaganda del Comitato nazionale della Cnt; cfr. ANN WILSON (a
cura di), Images of Spanish Civil War, London, Sidney, George Allen & Unwin, 1986, p. 80 e ss.
13 L. S. [LAMBERTI SORRENTINO], Cacciatori d’immagini, in “Il Legionario”, a. II, n. 406, 27
agosto 1938, ora in P. CORTI - A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit., pp. 185-187. Sorrentino, di cui
“Life” pubblica una immagine nel numero del 1 novembre 1937, è vicecapo dell’Usp per il settore
radiofonico e redattore capo de “Il Legionario” fino all’agosto del 1937. Al suo ritorno in Italia pubblica Questa Spagna. Avventure di una coscienza, Roma, Edizioni Roma, 1939. Nello stesso anno
entra a far parte, come inviato e fotografo, della redazione di “Tempo”, fondato da Alberto Mondadori, per il quale realizza la copertina del primo numero, un minatore di Carbonia, e successivamente
numerosi servizi dal fronte.
La riflessione di Sorrentino sulla nuova tipologia di lettore, che predilige le pubblicazioni ricche di
illustrazioni fotografiche, risente evidentemente delle esperienze americane e soprattutto tedesche, ma
il suo riferimento ad una specie di analfabetismo di ritorno che avrebbe caratterizzato il contemporaneo lettore di periodici, tipico delle grandi realtà urbane, risulta nettamente in contrasto con il livello
medio di alfabetizzazione dei combattenti sui due fronti.
Al problema dell’alfabetizzazione prestavano invece una grande attenzione i comandi delle brigate
internazionali; cfr. infra, nota 28.
14 Per conoscere le vicende dei fotografi e della fotografia spagnola in questo periodo il riferimento fondamentale è P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., in particolare alle pp. 91-103. Si vedano inoltre:
JOAN FONTCUBERTA - JERALD GREEN - ALBERT BARCELLS, Agustí Centelles (1909-1985) Fotoperiodista, Barcelona, Fundació Caixa de Catalunya, 1988, in cui si ricorda la collaborazione di Centelles alla pubblicazione repubblicana, edita nel 1937 in fascicoli, Visions de guerra i de Reraguarda. Història gràfica de la Revolució; ANTONIO GONZÁLES QUINTANA - ALBERTO M ARTÍN EXPÓSITO - JUAN ANTONIO PÉREZ MILLÁN, Kati Horna. Fotografías de la guerra civil española (19371938), Salamanca, Ministerio de Cultura, 1992. Le immagini spagnole di Capa sono pubblicate in
Cornell Capa, Robert Capa. Images of War, New York, Grossman Publishers, 1964 (ed. italiana
Milano, Mursia, 1965). Studi recenti di Carlos Serrano, citati in P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p.
103, n. 66, hanno rivelato però che molti dei reportage spagnoli firmati da Capa erano in realtà opera
di David Seymour “Chim” e di Gerda Taro. Del manifesto di Catalá Pic vennero realizzate almeno
due versioni, con e senza testo in catalano inserito, che presentano anche lievi differenze nelle fratture
della svastica; cfr. PELAI PAGÈS, La guerra civil, Barcelona, Editorial Barcanova, 1993, p. 4, e P.
LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 198.
15 JOSEP RENAU, Contestación a Ramón Gaya, cit. in P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 103, n.
65.
134
16
J. RENAU, Función social del cartel publicitario, cit. in P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p.
103, n. 62.
17 Cfr. P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 98 e pp. 210-211. Più interessante risulta dal punto di
vista propagandistico l’opuscolo preparato dal Dipartimento per il turismo nazionalista nel 1938, redatto in inglese, che invitava ad un viaggio di nove giorni lungo la strada della guerra nel Nord, offrendo la possibilità di “osservare la storia nel suo farsi tra scenari spagnoli di incomparabile bellezza”, il
tutto corredato da una doppia serie di immagini che contrappone vedute di luoghi e monumenti famosi
a sistemi di difesa, città distrutte e visite al fronte di Franco; cfr. A. WILSON (a cura di), op. cit., pp.
138-139.
18
J. FONTCUBERTA, Agustí Centelles com a model, in J. FONTCUBERTA - J. GREEN - A. BARCELLS, op. cit., pp. 7-14.
19 Cfr. ibidem; P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., ma anche le immagini anonime riprodotte in IGNAZIO DELOGU - CESARE C OLOMBO (a cura di), 30 anni di Spagna, Roma, Anpi, 1969. Pur se strutturato in modo più dinamico, questo schema compositivo di monumentalizzazione della figura è lo stesso
utilizzato da Capa per la foto del miliziano; schema che origina dalle ricerche delle avanguardie sovietiche, viene fatto proprio dall’iconografia del fascismo con il manifesto di Achille Bologna per la “Mostra della Rivoluzione Fascista” del 1932 e si ritrova ancora nella famosissima immagine di Max Alpert, Comunisti, avanti!, 1942 circa; cfr. VASILY CHUIKOV - VASILY RYABOV, The Great Patriotic War, Moscow, Planeta Publishers, 1985, p. 169.
20 Cfr. ROSALIND SARTORTI, Unione Sovietica, in JEAN-CLAUDE LEMAGNY - ANDRÉ ROUILLÉ
(a cura di), Storia della fotografia, Firenze, Sansoni, 1988, pp. 127-135 (ed. orig. Histoire de la
Photographie, Paris, Bordas, 1986). Esempi di questa produzione sono reperibili in moltissime pubblicazioni relative alla guerra di Spagna: si vedano ad esempio la fotografia anonima della Donna delle
Milizie antifasciste, in I. DELOGU - C. COLOMBO (a cura di), op. cit., p. 98, un’immagine a figura
intera ripresa in esterni che si staglia netta sullo sfondo perfettamente fuori fuoco, realizzata con tecnica da professionista che si ritrova anche nell’altra immagine anonima del Contadino in armi, idem,
p. 103, che rimanda al Ritratto di contadino durante la guerra civile di Namuth-Reisner, 1937
(cfr. P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 92) ed all’immagine di Albero y Segovia pubblicata sulla copertina del numero del marzo 1937 della rivista sovietica “Smena”; cfr. E. P. AMENDOLA - F. DI CASTRO
(a cura di), op. cit., p. 39. Sfuggono ai rischi della retorica le immagini dell’anarchica Kati Horna,
nelle quali lo “stile documentario”, per riprendere la definizione di Walker Evans, si estende a tutto
campo, senza le censure preventive legate alla collaborazione con gli organismi istituzionali o con i
grandi periodici illustrati; tipica in questo senso la ripresa di un interno dell’Ospedale di Campagna a
Grañen, del 1937, che mostra appese al muro sopra la branda immagini certamente “sconvenienti” e
non ortodosse quali una grande fotografia di Marlene Dietrich, nudi femminili e copertine di riviste
cinematografiche; cfr. A. GONZÁLES QUINTANA - A. MARTÍN EXPÓSITO - J. A. PÉREZ MILLÁN, op.
cit., p. 27.
21 È sufficiente richiamare qui il confronto tra la facciata del primo numero de “II Garibaldino” del
1 maggio 1937, con tre piccole immagini inserite nella griglia delle colonne di testo, col numero di
“Giustizia e Libertà” del 23 aprile dello stesso anno, in cui la pagina intitolata Tra i prigionieri italiani
di Guadalajara è composta su due colonne di fotografie con didascalie a tutta pagina. Ancora maggiore l’impatto visivo della facciata de “Il Volontario della Libertà” del 25 novembre 1938, dedicato
alla partenza delle brigate internazionali, in cui al di sotto del titolo il testo è sostituito da una fotografia
a tutta pagina dei volontari in cui si inserisce in calce una foto di gruppo delle autorità repubblicane
convenute alla cerimonia, mentre un estratto del discorso pronunciato da André Marty funge da didascalia; cfr. M. SCIOSCIOLI (a cura di), op. cit., sip.
22 P. CORTI - A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit.
23 N. TORCELLAN, op. cit., p. 7.
24 Il confronto tra la produzione dei volontari antifascisti in Spagna e quella partigiana durante la
Resistenza potrebbe rivelarsi ricco di possibilità e di risultati e pare a mio avviso il solo pertinente,
stante le finalità e le condizioni di produzione, per certi versi assimilabili nonostante le evidenti profonde differenze. Per una prima analisi della produzione fotografica in ambito resistenziale e per una discussione dei problemi posti dalla sua utilizzazione cfr. ADOLFO MIGNEMI, Fotografie, in Gli archivi
e la memoria del presente, Roma, Ministero per i Beni culturali e ambientali, 1992, pp. 76-97, ID (a
135
cura di), Storia fotografica della Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1995; SERGIO FANT, La
fotografia della Resistenza bellunese, in “Protagonisti”, a. XIV, n. 53, ottobre-dicembre 1993, pp.
12-32.
25
La rarissima copia in possesso dell’Istituto (forse l’unica esistente) è stata messa a disposizione
dell’Istituto alcuni anni fa dall’ex miliziano della brigata “Garibaldi” Joan Carreras, di Sant Pere Pescador (Gerona), grazie all’interessamento di Guido Rossi, già segretario del Cln provinciale vercellese, all’epoca direttore delle scuole italiane in Spagna (ndc).
26 Per una analisi di questa testata e delle strategie di propaganda interna della brigata “Garibaldi”
si rimanda a P. CORTI, Dentro la guerra: “Il Garibaldino”, giornale di trincea della Brigata Garibaldi, in P. CORTI - A. PIZARRÓSO QUINTÉRO, op. cit., pp. 67-96, ed all’antologia ordinata per
temi alle pp. 194-251.
27 Notissima e sintomatica l’affermazione di Capa: “Se le tue fotografie non sono abbastanza buone, significa che non eri abbastanza vicino”, frase che condensa tutta la mitologia che circonda la figura del fotoreporter; cfr. LANFRANCO C OLOMBO (a cura di), The concerned photographer, in “Popular Photography Italiana”, n. 144, ottobre 1969, p. 19.
Per la fotografia di guerra nel XIX secolo cfr. PIERANGELO CAVANNA, Fogli d’album, in PEPPINO ORTOLEVA - CHIARA OTTAVIANO (a cura di), Guerra e mass media nel Novecento. Strumenti
e modi della comunicazione in contesto bellico, Napoli, Liguori, 1994, pp. 21-48.
Che i comandi delle brigate internazionali potessero ricorrere anche a fotografie realizzate da professionisti è evidente da numerose immagini, si vedano ad esempio quelle relative al discorso tenuto
dal ministro Hernandez e dal generale Miaja ai prigionieri italiani dopo la battaglia di Guadalajara,
pubblicate anche nel Calendario (21 marzo), ma certo la possibilità di studiare i documenti fotografici alla fonte consentirebbe ulteriori verifiche. La sola analisi del materiale pubblicato non consente ad
esempio di stabilire il formato del negativo di partenza e quindi dell’apparecchio fotografico utilizzato
in ripresa. L’eventuale notevole incidenza di immagini realizzate nel nuovo formato di pellicola 35 mm
potrebbe essere considerata quale elemento certo del professionismo degli operatori, perfettamente
aggiornati ed attrezzati e quindi solo impropriamente definibili come dilettanti dedicati ad una produzione occasionale. Il problema dei formati è poi strettamente connesso a quello delle possibilità di
approvvigionamento; mentre i nazionalisti venivano riforniti di materiale fotografico dagli alleati tedeschi, sul fronte repubblicano macchine fotografiche, pellicole e carte iniziarono a scarseggiare già pochi
mesi dopo l’inizio del conflitto. Soprattutto la carenza di pellicole costrinse molti fotografi a ricorrere
nuovamente alle vecchie macchine a lastre e ciò ebbe probabilmente una certa influenza sul modo
stesso di fotografare; cfr. P. LÓPEZ MONDÉJAR, op. cit., p. 93.
28 P. CORTI, op. cit., p. 91.
29 Cfr. Garibaldini in Spagna, cit., p. 153 e p. 166; A. GONZÁLES QUINTANA - A. MARTÍN
EXPÓSITO - J. A. PÉREZ MILLÁN, op. cit., p. 38 e p. 121, n. 28; A. WILSON (a cura di), op. cit., p.
134.
30 P. CORTI, op. cit., p. 92.
136
Copertina del “Calendario del garibaldino”
In viaggio verso il fronte di Huesca
Trombettiere delle brigate internazionali
... e i militi si misero a scavare trincee
137
Tutto e tutti per fortificare Madrid: fu la parola d’ordine del novembre 1936
I primi garibaldini pronti per la sfilata
138
La batteria “Antonio Gramsci” si è fatta onore su tutti i fronti di Spagna
La batteria anti-tank dei garibaldini
139
Una mitragliatrice antiaerea della brigata “Garibaldi”
I volontari passano i reticolati. Comincia la grande offensiva del Guadarrama
140
Cacciatori di tanks pronti al lancio di dinamite
Mitragliere all’agguato
141
Sono passati gli aeroplani fascisti
Aeroplano abbattuto nei pressi di Morata de Tajuña
142
Prigionieri fascisti di Quinto e Belchite
La strada da Madrid a Saragozza dopo la sconfitta fascista di Guadalajara
143
I garibaldini ammirano il bottino preso al nemico a Guadalajara
La brigata “Garibaldi” a riposo in Aragona
144
Un momento di calma in trincea
Un breve alt durante la marcia
145
Momenti di riposo utilizzati per esercizi contro i gas
Non più analfabeti nella brigata “Garibaldi”
146
Posto di comando presso Villanueva del Pardillo
Un angolo della cucina della brigata “Garibaldi”
147
La zuppa
Tony e la sua fisarmonica
148
La pulizia delle stoviglie
I garibaldini sanno scherzare
Quattro garibaldini
La lettura in trincea
Lo studio della carta topografica
Garibaldino barbitonsore in trincea
149
Fatti radere
Coro di garibaldini
150
Squadra calcistica garibaldina
Fraternizzazione fra bimbi spagnoli e feriti
Pionieri spagnoli organizzati dai garibaldini
La brigata distribuisce giocattoli ai bimbi
151
Il giornale murale di un battaglione
Evacuazione di bimbi dalla zona di guerra
152
Appendice
153
La guerra di Spagna: ricordi e riflessioni*
di Anello Poma
Questa testimonianza, sull’esperienza vissuta in Spagna durante la partecipazione
a quella sanguinosa guerra civile, aggiungerà poco a quanto già si conosce, ma ha forse
la particolarità di riportare alle mutevoli condizioni ambientali di quegli anni e a quelle
che sono state le duplici reazioni che si ebbero in Italia all’esplodere di quella tragedia, ai commenti influenzati dalla propaganda del regime fascista. Conservo ricordi
nitidi di quei giorni così lontani, che coincisero con le mie prime esperienze di impegno politico-ideale. I commenti che riuscivo a captare nella fabbrica e fuori erano di
vario genere e divergenti dall’uno all’altro ambiente, ma una sottolineatura si impose
subito: ora più, ora meno, essi presentavano differenziazioni di fondo, assai marcate,
rispetto a quelli che si erano manifestati un anno prima, nel corso, cioè, della guerra
di Abissinia.
In fabbrica, la maggior parte dei commenti era improntata ad una chiara simpatia
per i repubblicani, ovvero alla parte che si opponeva al colpo di stato dei generali e
c’era la speranza di una vittoria delle forze strette attorno al governo di Fronte popolare. Il clima di fabbrica era opprimente o, per meglio dire, rigido, per quanto atteneva all’impegno nel lavoro e all’osservanza dei regolamenti di disciplina; assoluto era il
divieto di ogni protesta che intaccasse anche solo minimamente il potere del padrone,
considerato indiscusso. Fuori di lì, per quanto ne ricavai dalla mia esperienza personale, le proteste erano piuttosto blande, vigeva una certa indifferenza. Laddove c’era,
la stessa presenza di colui che aveva la qualifica politico-sindacale di fiduciario di fabbrica, designato dal sindacato fascista, non era molesta, non già perché qualcuno non
lo fosse o non lo volesse essere, ma perché non aveva nessun potere riconosciuto dal
proprietario dell’azienda. Semmai, era tenuto a non pretendere alcunché dal lavoratore che potesse infastidirlo o distoglierlo dal suo impegno di lavoro.
Nella fabbrica, e più generalmente nei luoghi di lavoro, comandava chi ne era padrone, o qualcuno designato da questo. Personalmente ebbi a scontrarmi con il potere padronale ed a subirne i drastici provvedimenti disciplinari, il più grave dei quali,
oltre al licenziamento in tronco, fu la denuncia ai carabinieri. Per fortuna non alle
autorità di Pubblica sicurezza o, peggio, a quelle fasciste (altrimenti l’accusa sarebbe
entrata nella sfera dei reati politici) e ciò non è senza significato. Subii infatti il provvedimento e la denuncia perché osai, in tempi in cui erano stati cancellati tutti i diritti
dei lavoratori, ribellarmi e, soprattutto, reclamare per me e i miei compagni di lavoro,
l’applicazione di quella che era una “larva” di contratto di lavoro; nel concreto, il
pagamento a tariffa maggiorata delle ore straordinarie, la cui osservanza, nella pratica, era lasciata alla completa discrezione dell’imprenditore. Devo dire, però, che non
mi fu mai rimproverato, nemmeno in quella circostanza, il fatto che la pensassi in modo
154
contrario al regime fascista e lo esprimessi abbastanza apertamente con gli altri operai. Quella fu veramente una grossa fortuna perché il fatto avvenne all’inizio dell’estate
del 1937, cioè poche settimane prima del mio espatrio in Francia. Un’accusa per antifascismo lo avrebbe certo reso impossibile.
Vale ancora la pena di ricordare, per rendere più chiaro un discorso che potrebbe
apparire contraddittorio, che nessuno dei militanti antifascisti che tornarono dal carcere in quegli anni, in maggioranza comunisti dichiarati, incontrò serie difficoltà ad
accedere ad un posto di lavoro. In questi casi, l’elemento determinante era la loro
qualifica professionale, per il resto, poté toccar loro di ricevere il classico e abusato
ammonimento: “In questa fabbrica si viene per lavorare”, frase lapidaria che comprendeva tutto.
In questo clima, che definirei tollerante, persino le autorità di Pubblica sicurezza
ostentavano un atteggiamento bonario. Ricordo che questo mi fu ancora più chiaro
seguendo la vicenda di Domenico Bricarello, che incontrai alla fine del 1934. Veniva
dal penitenziario di Civitavecchia, dove aveva scontato sei anni e mezzo di reclusione, e da dove era stato scarcerato per indulto. La pena inflittagli dal Tribunale speciale nel 1928 era stata, infatti, di dodici anni e nove mesi: una delle condanne più pesanti, a cui, come se non bastasse, si erano aggiunti tre anni di vigilanza speciale. In
conseguenza di quest’ultimo provvedimento, era tenuto non solo a ritirarsi in casa al
calar della sera, ma anche a recarsi periodicamente al Commissariato di Ps per apporre una firma che attestasse la sua presenza in città. Più di una volta il funzionario
si lasciò andare a commenti scherzosi tipo: “Allora Bricarello, quando la facciamo
questa rivoluzione”, a cui l’interpellato rispondeva: “Presto, signor commissario”. Si
sentivano forti e saldamente attestati al potere i funzionari del regime e persino in vena
di scherzare. Sarebbe stata proprio la guerra civile spagnola a rivelare le prime crepe
di quell’edificio, nel quale essi allora credevano.
Raccolsi le prime reazioni e i primi commenti sulla guerra di Spagna all’esterno del
luogo di lavoro, frequentando un albergo-ristorante, nonché luogo di ritrovo della città, da lungo tempo scomparso. Si chiamava “Gallo antico” ed era situato nell’area
adiacente la chiesa di San Cassiano. Vi si trovavano numerosi giochi delle bocce, dove
si davano appuntamento i più provetti giocatori nonché moltissimi altri che non praticavano il gioco, ma si divertivano ad assistervi. Si potevano trovare persone di ogni
ceto sociale: il lavoratore appena uscito dalla fabbrica, in certe ore anche il bottegaio
o l’artigiano, l’impiegato e, non di rado, il professionista. Era un ambiente molto vario e anche alcuni antifascisti a me noti ne erano assidui frequentatori e lo utilizzavano come luogo di incontro. Ricordo, ad esempio, uno scambio furtivo e inavvertibile
a chi non l’avesse saputo di stampa clandestina a cui mi capitò di assistere.
Alla discussione sul procedere delle partite in corso, si mescolavano o facevano
capolino riferimenti agli avvenimenti politici. Fin dalla vittoria dei fronti popolari, in
Spagna ma soprattutto in Francia, si poteva avvertire un maggior interesse e partecipazione al discorso politico, cosa che non succedeva durante la guerra d’Africa. La
Spagna, e il carattere di quello scontro, rivelatosi subito sanguinoso, accesero una
grande curiosità ed ebbero il potere di monopolizzare le discussioni.
Le opinioni di quanti tradivano simpatia per gli antifascisti spagnoli erano meno
esplicite, sommesse e a mezze frasi; a voce alta venivano invece espresse quelle di
coloro che pronosticavano, e si auguravano, il sopravvento dei militari, anche quan155
do non era ancora ben chiara la loro collocazione politica e ideologica. Tanto più venne ostentata e dichiarata la simpatia per i generali quando si ebbe conferma che erano
fascisti e quando si seppe della partecipazione di forze armate italiane, che non tardò
molto. Emergeva con chiarezza la presa efficace fin dall’inizio, della martellante propaganda degli organi d’informazione. “I comunisti perderanno in Spagna”, dicevano
quanti ne erano influenzati. Si trattava, per lo più, di persone del ceto medio, piccolo
borghese e la loro opinione, che esemplificava in modo eccessivamente drastico e
schematico la qualifica delle parti in lotta, era per larga parte la conseguenza della loro
scarsa informazione ricavata unicamente dagli organi d’informazione, specialmente
dai giornali ufficiali.
Doveva però essere soltanto una realtà apparente, o quanto meno non generalizzata, perché le autorità cominciarono ben presto a preoccuparsi dell’eco che gli avvenimenti di Spagna generavano negli ambienti operai, ansiosi, invece, di conoscere più
da vicino i fatti, e di attingere informazioni meno contraffatte sulla realtà. Ciò è comprensibile se si tiene presente che molti di quei lavoratori avevano un passato di lotte
sociali rilevanti e un presente di opposizione, anche aperta, al regime, come testimoniava il numero ragguardevole di militanti antifascisti, in maggioranza provenienti dal
ceto operaio, condannati dal Tribunale speciale fascista o dalle commissioni per il
confino.
Gli stessi discorsi tenuti in quei mesi in particolari ricorrenze o occasioni dai gerarchi fascisti tradivano questa crescente preoccupazione. Si udirono infatti frasi, volutamente minacciose, di questo tenore: “È ora di rispolverare il manganello”. Proprio
perché velleitarie nascondevano timori fondati. Le autorità, infatti, avvertivano un
risveglio crescente dell’interesse politico: troppi ardivano parlare del Fronte popolare
e poi, anche della Spagna; alcuni cominciarono a riunirsi per discuterne.
A partire dalla fine del 1936 riprese a circolare più largamente, sempre in senso
relativo, s’intende, la stampa clandestina. Passava più frequentemente tra le mie mani
“l’Unità”, in piccolo formato e in carta finissima, ma anche “Il grido del popolo” e,
subito dopo, “La voce degli italiani”, che lo sostituì. Non rammento se circolassero in
città altri giornali stampati dai vari movimenti antifascisti; conobbi l’“Avanti!”, organo del Partito socialista, più tardi, in Francia.
Si andò anche oltre a questo: a partire dai primi mesi del 1937 seppi, non ricordo
come, della possibilità di captare l’emittente “Radio Barcellona”, dalla quale si potevano ascoltare i notiziari in lingua italiana. In quegli anni, però, erano in pochi a possedere un apparecchio radio, perché per tanti di noi era ancora un genere di lusso: si
usavano allora degli stratagemmi.
Persino i locali pubblici gestiti da persone fidate, e che a loro volta si fidavano degli
avventori che li frequentavano, erano utilizzati a quello scopo. Nel popoloso rione Riva,
dove ero nato e cresciuto, il bar Italia era fra questi e fu lì che ascoltai le prime trasmissioni. Andavano in onda a tarda sera e coincidevano con l’orario di chiusura dell’esercizio. Organizzava la ricezione, con tutte le precauzioni del caso, Giuseppe Zaldera, mio coetaneo ed amico, anche lui cresciuto in quel popolare rione. Ricordo che
anche lui seguiva con la mia stessa trepidazione gli avvenimenti della Spagna e insieme gioivamo e soffrivamo per le vicende di quella battaglia che per noi era una battaglia di civiltà e a cui, comunque, attribuivamo, più per istinto che per convinzione
ragionata, grande importanza per il nostro stesso domani.
156
Credo ci fossero altri in città a vivere attraverso quell’emittente il dramma di quel
paese e di quel popolo. Seppi che anche nei paesi del circondario, specialmente nelle
numerosissime frazioni disseminate nel Biellese, al riparo di un’omertà impenetrabile, quella trasmissione fu ampiamente ascoltata ed i fascisti, pur sapendolo, furono
nell’impossibilità di reprimere. Se si ripensa alla situazione di due anni prima, quando
il regime aveva saputo montare la folle avventura della guerra in Abissinia e al grandissimo consenso che aveva raccolto, si deve concluderne che i tempi erano molto
cambiati e con una rapidità straordinaria.
In quel nuovo clima, maturarono in me l’idea e poi la decisione di espatriare. La
costituzione delle brigate internazionali in Spagna, l’eco delle loro imprese che ci giungeva da “Radio Barcellona”, specialmente dopo le notizie della battaglia di Guadalajara,
esercitarono un grande richiamo. Quando giunsi in Spagna capii che eravamo stati in
molti a sentirlo, perciò è discutibile la tesi, sostenuta anche in opere scritte, di coloro
che affermano essere stato praticamente impossibile raggiungere la Spagna repubblicana a quanti risiedevano in Italia. Non furono in molti, questo è vero, ma oltre duecento tra i cinquemila italiani che combatterono nella XII brigata internazionale “Garibaldi” e in altre unità dell’esercito popolare spagnolo, provenivano direttamente
dall’Italia. Il rischio, in fondo, era lo stesso di ogni espatrio clandestino.
Personalmente provai in diversi modi. Un mio conoscente, che aveva parenti nei
dintorni del lago di Como ed asseriva di poter contattare dei contrabbandieri per il mio
espatrio, mi tenne per qualche tempo aggrappato a questa speranza, ma alla fine dovetti abbandonarla. Più seria e realistica fu una seconda via prospettatami da Bricarello, quel vecchio “galeotto”, benché poco più che trentenne, che tanta parte ebbe
nella mia formazione di militante fino al mio espatrio dall’Italia. Egli si trovava sempre nel mirino della polizia perché faceva parte degli indiziati pericolosi ed era sempre
soggetto a sorveglianza. Nella primavera del 1937 ci fu a Biella la visita di un grosso
gerarca fascista, forse Starace, non ricordo. In tali occasioni, la polizia locale veniva
mobilitata e il primo atto era l’arresto e l’incarceramento degli antifascisti più noti e
giudicati più pericolosi. Parecchi furono dunque rinchiusi nelle carceri del Piazzo per
otto o dieci giorni, anche se la visita del gerarca non durò più di due giorni. Mentre
erano in cella, alcuni di loro progettarono di espatriare in Francia o in Svizzera, per
raggiungere poi la Spagna. Poiché desideravo far parte di coloro che volevano realizzare il progetto, mi recai, su indicazione di Bricarello, a Pralungo Sant’Eurosia per
parlare con Rodolfo Benna. Vi trovai invece la moglie, la quale probabilmente era al
corrente della cosa e con ogni probabilità cercava di dissuadere il marito. Mi accolse,
perciò, se non proprio con ostilità, con una certa freddezza. Non avversava, tutt’altro, le opinioni politiche del marito, già reduce dalle “patrie galere” per le sue convinzioni e il suo impegno, ma aveva due figlie e credo non se la sentisse di rimanere sola
a sobbarcarsi quel peso e quella responsabilità. Non le si poteva dar torto, e anche
questa possibilità cadde.
Andò male, ma soltanto per me, l’opportunità sfruttata con successo da Eraldo
Venezia e Gaspare Fracasso nel mese di luglio, forse per un malinteso, o per un eccesso di prudenza. Con loro, soprattutto con Eraldo, strinsi poi una affettuosa amicizia che fu interrotta solo dalla sua prematura morte, sul fronte di Estremadura, nel
febbraio del 1938. Perseguii comunque con tenacia il mio progetto e finii per trovare
la strada giusta, che era poi la più semplice e alla portata di tutti. Si rivelò tanto facile
157
da sembrare inverosimile nel regime fortemente restrittivo del tempo, per questo penso
non sia stata sfruttata adeguatamente. Nel 1937, a Parigi, si tenne la Esposizione
universale e le agenzie di viaggio italiane, in collaborazione con le ferrovie dello Stato, organizzarono treni popolari, a prezzi modesti, per agevolare coloro che la volevano visitare. Si viaggiava con passaporto collettivo e il controllo non fu severo, potrebbe sembrare una stranezza poco credibile ma fu così. Mi prenotai per quel viaggio e ai primi di agosto ero a Parigi.
L’impatto con la realtà francese fu subito sconvolgente per una natura entusiasta,
e diciamo pure un po’ sognante, come era la mia. Già durante il viaggio, poco dopo il
passaggio della frontiera, c’imbattemmo in una unità dell’esercito francese in esercitazione, credo si trattasse di un reparto di chasseurs des Alpes, o comunque truppe
alpine, ed i soldati salutarono il treno in arrivo dall’Italia con il pugno chiuso, che era
il saluto del Fronte popolare. Ero partito con Pio Borsano, mio coetaneo e compagno
di viaggio e, tutto sommato, di avventura, perché alla nostra età un’impresa come quella
che avevamo cominciato aveva anche dell’avventuroso.
Ci guardammo esterrefatti, comprendendo il carattere politico e polemico di
quell’accoglienza, e Pio, che era una natura spontanea, esplose in una delle sue caratteristiche rumorose risate. Gli fece eco uno dei viaggiatori che proveniva da Roma,
da dove il treno aveva iniziato il suo lungo viaggio, e che, se ben ricordo, doveva essere un impiegato statale. In primo luogo si espresse con un gesto piuttosto tipico,
consistente in un certo movimento del braccio, poi esclamò: “Ci penserà Mussolini a
sistemarli”. La cosa non ebbe seguito, noi eravamo troppo occupati a ripensare a
quell’accoglienza, fatto nuovo e del tutto insolito, gli altri viaggiatori non ritennero di
fiatare.
Giunti a Parigi, cercammo subito di prendere contatto con le organizzazioni o gli
ambienti antifascisti dell’emigrazione italiana, non prima però di aver camminato per
diverse ore lungo le vie della città e conoscerne alcuni punti più rinomati. Per parte
mia sperimentai l’uso di quel poco francese che avevo imparato, certo non a scuola
perché avevo dovuto fermarmi alle elementari e darmi subito da fare per trovare un
lavoro.
Ad un certo punto, la nostra attenzione venne catturata da un gruppo di giovani
che guardammo ammirati. Negli angoli delle vie erano intenti a vendere il quotidiano
comunista l’“Humanité” e il settimanale della gioventù che, se ben ricordo, era intitolato “Regard”. Non solo vendevano i giornali, ma intavolavano discussioni con i passanti che vi erano interessati. Non cercai di mescolarmi a quella discussione, che del
resto non avrei potuto pretendere di capire bene, ma tentai di scambiare qualche parola chiedendo informazioni. Ebbi poca fortuna, purtroppo, perché m’impappinavo,
provocando la rumorosa risata del mio compagno, il che aveva il potere di accrescere
ancor più il mio imbarazzo.
Bricarello ci aveva fornito alcuni recapiti ed avemmo fortuna. In una libreria, intitolata “Les bureaux d’éditions sociales”, trovammo la persona giusta. Ricordo poco
di lui ma quanto basta per provare commozione ripensando a quell’incontro. Era certamente un emigrato politico di età media, l’aspetto da persona dedita agli studi, perciò credo svolgesse il lavoro di libraio. Conosceva bene Bricarello e anche altri biellesi; saputo delle nostre intenzioni ci indirizzò alla redazione della “Voce degli italiani”,
che seppi poi essere portavoce dell’Unione popolare italiana.
158
Ripetemmo la nostra storia, che non aveva nulla di complicato, e perciò non dovemmo faticare per essere creduti, dal momento che ci indirizzarono in una pensioncina popolare alla periferia della città, ridandoci appuntamento per discutere della nostra
situazione e decidere cosa fare. Infatti non ci furono problemi e la nostra permanenza a Parigi fu di breve durata. Dopo meno d’una settimana eravamo in viaggio con
altri verso il “Midi” della Francia, per fare tappa a Carcassonne. Ancora una sosta di
qualche giorno, senza neanche il tempo di approfondire le nuove conoscenze e riprendemmo il viaggio, prima in camion poi a piedi, per attraversare i Pirenei e raggiungere
la cittadina di Figueras: ero in Spagna.
Percorsi in treno la Catalogna e la stupenda regione del Levante, terra dei legumi
e degli agrumi, fino a Valencia, quindi deviai verso l’interno e, senza conoscere soste,
giunsi ad Albacete, sede e base delle brigate internazionali. Albacete e la regione della
Mancia erano ben altra cosa come paesaggio rispetto a quello che avevo visto di quella
terra fino a quel momento, e questo valeva anche per il povero paesino di Quintanar
de la Reina1, che da pochi anni, cioè dalla caduta della monarchia nel 1931, era stato
ribattezzato Quintanar de la República. Avrei rivisto il Levante l’anno seguente, quando
sostai all’ospedale di Murcia e al convalescenziario di Horiguela2 per guarire da una
ferita rimediata a Campillo, sul fronte dell’Estremadura. La vera Spagna era però quella
di Albacete: lo imparai dopo. Allora dovevo solo trascorrere il periodo, nemmeno lungo, di istruzione militare che, a parte alcune difficoltà iniziali per abituarmi all’alimentazione, non trovai eccessivamente noioso. Intanto cercai di “guardarmi attorno”.
Affermare che capii tutto e subito sarebbe infantile, mentre è vero che ci fosse
curiosità e persino ansia di comprendere. Faticai, naturalmente, a penetrare nella situazione del paese e le prime cose comprensibili furono le conseguenze dolorose di
quella guerra che già contava centinaia di migliaia di morti. Eppure, nonostante questo, ebbi la sensazione, divenuta presto certezza, che quello fosse un popolo deciso a
vincere e che ancora coltivasse questa speranza; forse perché si giocava tutto: la sua
condizione di popolo libero e qualcos’altro ancora. Più convincente fu la sensazione
che ricavai dai primi veri contatti umani che, superando l’ostacolo della lingua, stabilii con i giovani della classe 1917, chiamati alle armi. Li incontrai quando raggiunsi la
brigata “Garibaldi”, dove venni incorporato in quanto italiano, e che, se ben ricordo,
era acquartierata nelle vicinanze della città di Lérida, nell’impervia regione dell’Aragona.
Stavamo per essere impiegati in una operazione offensiva sul fronte di Saragozza,
quando affluirono, appunto, le reclute spagnole. Erano giovani mobilitati al servizio
militare obbligatorio che la Repubblica aveva istituito da poco, non più, quindi, i combattenti volontari politicizzati delle prime milizie, sebbene anch’essi permeati dalla
tensione ideale che animava lo sforzo bellico di quel popolo. Devo tuttavia aggiungere che la politicizzazione di quella guerra era grande ed estesa anche nella parte franchista e lo era persino con il marchio della crociata religiosa, come constatai fin dal
primo contatto in guerra, e che mi fu confermata nel corso della battaglia dell’Ebro.
Con quei giovani spagnoli salii al fronte ed ebbi l’impatto con la guerra. Fui impressionato da qualcosa nel loro comportamento che per me aveva dell’incredibile e
che poteva spiegarsi solo con l’ignoranza che essi avevano della guerra. Ci trovavamo impegnati davanti a Saragozza, in uno dei tanti e vani assalti alla capitale dell’Aragona, che si rivelò sempre un obiettivo imprendibile. Non fu un combattimento parti159
colarmente cruento e le perdite furono limitate, tuttavia fu sconcertante la paura iniziale di quei giovani. Pensai che forse io, che avevo tanto sentito parlare della guerra
1914-1918 negli anni dell’infanzia, a scuola e fuori, da coloro che l’avevano fatta, mi
ero in una certa misura familiarizzato con taluni dei suoi aspetti, come il bombardamento dell’artiglieria. Ciò influì certamente sul mio contegno, che determinò però un
giudizio esageratamente positivo di quei giovani nei miei confronti.
Lo manifestarono appunto dopo quel primo combattimento di Fuentes de Ebro con
una sconfinata quanto gratuita ammirazione verso uno che, al pari di loro, era alle sue
prime esperienze di guerra e non faceva niente di più che padroneggiare come poteva
il senso di paura che sentiva intensamente e persino dolorosamente. “¿Tú no tienes
miedo?”3, mi dicevano ammirati per il solo fatto che a me riuscivano comprensibili
certi effetti della guerra che a loro invece sfuggivano e che al loro primo manifestarsi
li atterriva. Non valse, in quel momento, spiegar loro che era vero il contrario. Si stabilì però un legame di affettuosa amicizia, di confidenza profonda. Ne parlo con commozione perché mi legai moltissimo a quei giovani, che raggiunsero con me la brigata
nel settembre 1937 e che provenivano in maggioranza dalla provincia di Jaén in Andalusia. Più tardi avrei conosciuto e stretto rapporti amichevoli anche con giovani catalani, provenienti cioè da una regione più affine all’Italia del Nord, ma ciò che provai
in affetto e amicizia con e per quei giovani andalusi non ebbe eguali.
Fu comunque grazie a quei legami e a quelle conoscenze che imparai a guardare
più addentro alle cose di quel paese e a formarmi un giudizio più completo e maturo,
comprendendo certi fenomeni e certe contraddizioni. Capii, ad esempio, che il consenso di cui godeva la Repubblica era vasto ma non generalizzato. I franchisti e le forze
della destra reazionaria che avevano promosso la ribellione dei generali avevano i loro
seguaci infiltrati nella Spagna repubblicana. Franco battezzò quei suoi sostenitori
“Quinta colonna”. Resta pur vero, tuttavia, che senza un largo consenso di massa la
resistenza delle forze schieratesi con il governo di Fronte popolare non sarebbe durata quasi tre anni.
Naturalmente l’appoggio e la partecipazione popolare rivelarono anche incrinature e momenti di crisi, specialmente quando si verificarono gravi rovesci sul piano
militare. Di una in particolare vorrei parlare, non solo perché la vissi in tutta la sua
drammaticità, ma perché resta un fenomeno quasi stupefacente il fatto che le manifestazioni di cedimento non abbiano avuto le conseguenze disastrose che il mondo esterno
alla Spagna, e in particolare gli ambienti dirigenti degli stessi governi democratici europei, si attendevano. Fu quanto accadde nel marzo del 1938 con l’offensiva franchista in Aragona, che portò le truppe dei generali fascisti, comprese logicamente le divisioni italiane fasciste e le forze tedesche, a infrangere ogni resistenza repubblicana, a
occupare la regione e, attraverso la Catalogna, a raggiungere il mare alla foce del fiume Ebro. La Spagna repubblicana si trovò così ad essere spaccata in due corpi separati, e si verificarono nelle nostre file fenomeni di disgregazione. Penetrò, cioè, la
convinzione che la guerra fosse perduta e diversi si lasciarono prendere dal panico e
vincere dallo sconforto, raggiungendo la Francia e consegnandosi alla polizia di confine di quel paese.
Credo che quel fenomeno coinvolse soprattutto gli antifascisti che erano giunti da
altri paesi. Non mi avventuro naturalmente in giudizi che coinvolgono le forze politiche e le sfere del governo, e mi limito a ciò che riguarda le brigate internazionali, che
160
del resto non erano poca cosa. La stragrande maggioranza dei volontari restarono al
loro posto di lotta, posto che essi stessi avevano scelto. Considerammo infatti quella
defezione un fatto passeggero, conseguenza della stanchezza e, diciamo pure, della
delusione. Siccome si era volontari trovammo quasi logico e naturale che alcuni, in
quella condizione, abbandonassero la lotta.
Altri due dati, piuttosto, furono sorprendenti. L’afflusso dei volontari internazionali non si interruppe e altri ne giunsero; la testimonianza fisica della solidarietà morale e materiale delle forze democratiche e popolari si mantenne quindi integra, al di
là del peso che tale presenza ebbe sul piano militare, cioè mai determinante. Fu invece importante per la parte repubblicana, sebbene in misura ben minore di quanto non
lo sia stato per quella franchista, il flusso degli armamenti.
Ciò che più mi impressionò e mi emozionò fu la crescita della determinazione degli spagnoli di battersi fino in fondo, e non solo per orgoglio, in battaglie di retroguardia. Ormai avevo imparato a conoscerli bene: dal nulla si erano fatti soldati ed erano
diventati fior di combattenti. Solo così fu possibile costruire l’esercito dell’Ebro, che
fuori dalla Spagna venne considerato un miracolo e stupì il mondo, perché si mostrò
capace di compiere l’operazione più importante e più lunga di quella guerra, per quanto
la più sanguinosa.
Non mi dilungherò sui combattimenti ai quali presi parte. Ho voluto ricordare soprattutto i comportamenti umani ed è proprio in quest’ottica che intendo parlare dei
fatti legati alla battaglia dell’Ebro, a come la vissi. Padrone ormai della lingua fino a
pensare in castigliano, partecipai con entusiasmo alla preparazione di quello scontro,
perché proprio in ragione dei legami che avevo stretto mi sentivo parte di quel popolo, della sua storia, che studiavo con passione, dei suoi costumi, che assimilavo. D’altra parte, sentivo, al pari degli altri volontari, con grande tensione che la prossima
battaglia avrebbe avuto un carattere decisivo, che sarebbe stata una svolta, anche perché
eravamo partecipi della storia dell’Europa e sentivamo dunque che la guerra di Spagna avrebbe avuto un grande significato per tutto il continente. Infatti lo ebbe, anche
se negativo e molto diverso da come avevamo sperato, perché a Monaco, la Gran
Bretagna e la Francia, che già aveva proclamato la mobilitazione generale, cedettero
ai ricatti di Hitler, consegnandogli praticamente la Cecoslovacchia.
In nessun altro fatto d’armi, in tutta quella guerra che durò quasi tre anni, vi fu un
così grande dispiegamento di uomini e mezzi come nella battaglia dell’Ebro. La disponibilità di questi ultimi ne decise l’esito. Al suo inizio, il 24 luglio, l’esercito repubblicano poteva contare su un dispositivo efficiente. Dopo la sconfitta subita dalla
Repubblica in Aragona, le nazioni europee, e particolarmente la Francia, convinte che
la partita fosse decisa, avevano infatti allentato il rigido blocco delle frontiere, decretato in ossequio al famigerato “patto di non intervento”, sottoscritto da tutti i paesi
ma mai rispettato da quelli fascisti. La Francia, dunque, lasciò affluire ingenti quantitativi d’armi, in particolare cannoni e aerei che la Spagna produceva in minima misura e doveva quindi importare. Al momento dell’offensiva repubblicana culminata col
passaggio dell’Ebro, i paesi europei reagirono palesando umori anche maggiori degli
stessi governi fascisti. Il blocco alle frontiere con la Francia torna ad essere rigido come
non mai, e poiché i mari erano sorvegliati dalla marina dei paesi fascisti la sproporzione dell’armamento divenne abissale, diventando il fattore determinante delle sorti della
guerra.
161
La “Garibaldi” fece interamente la sua parte, pur partecipando solamente alla fase
difensiva, la più cruenta e ossessiva di quella battaglia. Capimmo, ma solo quando si
rivelò in tutta la sua tragica realtà, che sarebbe stata l’ultima, al di là della nostra sopravvivenza. Era impressionante lo scenario delle colline nei pressi di Gandesa (il
settore allora difeso dalle brigate internazionali si trovava in una zona denominata Sierra
Caballs4); ancora più impressionante e sconvolgente il rombo dell’artiglieria e dell’aviazione franchista, assolutamente padrone del campo.
L’artiglieria iniziava di buon mattino il suo martellamento e non cessava che alla
sera, quando le truppe franchiste venivano scagliate contro le nostre postazioni. Per
quanto provati dai vuoti paurosi provocati nelle nostre file dai bombardamenti e colmati con sempre maggiori difficoltà, la nostra reazione era rabbiosa, quasi fossimo
sorretti da una sorta di determinazione fatalistica. Pareva impossibile tenere la posizione dopo giornate di bombardamenti così micidiali, ciononostante riuscimmo più volte
a ricacciare gli assalitori con le armi individuali o a colpi di bombe a mano, provocando anche tra loro perdite gravissime.
Ricordo le notizie forniteci da alcuni soldati franchisti passati nelle nostre file. Alla
domanda se lamentavano forti perdite, risposero con l’ironia scanzonata che è tipica
e spontanea degli spagnoli: “Hombre, es la única cosa que no falta”5. È noto, del resto,
che la battaglia dell’Ebro, durata oltre due mesi di ininterrotti attacchi e contrattacchi,
costò oltre centocinquantamila caduti in combattimento. La frase dell’ex combattente nelle file franchiste mi induce ad una notazione riflessiva. Le diserzioni fra i franchisti furono purtroppo limitate, anche perché Franco era spietato con le famiglie dei
disertori, tuttavia considero lo scarso risultato ottenuto in questo senso una delle
maggiori debolezze palesate dall’azione politica e propagandistica dei repubblicani e
una tra le cause, seppure secondarie, che facilitarono la vittoria franchista.
Mi sorregge in questa convinzione il fatto che potei, proprio in quei giorni e in quegli
scontri sanguinosi, misurare la capacità combattiva delle truppe fasciste. È vero, come
ho detto prima, che il loro assalto era preceduto dal bombardamento incessante delle
nostre postazioni, mentre essi non ne erano praticamente più soggetti, ed è altrettanto
vero, come credo capiti ad ogni esercito, che le truppe franchiste venissero all’attacco furiose per le perdite subite ed ebbre da abbondanti libagioni di anice. Lo sentivamo il giorno che precedeva l’azione, quando giungevano a noi le grida sprezzanti ed
ammonitrici che dicevano testualmente: “Rojo, prepara las alpargatas que mañana
vas a corer”6 e subito dopo la richiesta di “un otra copa de anís”7. Le frasi citate, che
ricordo esattamente e non solo approssimativamente, avevano su di noi un effetto
agghiacciante giacché si sapeva che se non a noi, sicuramente la sorte preannunciata
sarebbe toccata a qualche reparto. Proprio in quelle occasioni, dicevo, potei registrare la caparbia determinazione degli assalitori nel continuare l’avanzata lungo il pendio
fino all’obiettivo, pur subendo perdite assai pesanti, perché sapevamo usare le armi e
lo facevamo. Non credo però che la loro insistenza, che alla fine, spesso, veniva premiata, pur a caro prezzo, fosse dovuta solo all’effetto dell’alcool e alle minacce degli
ufficiali, rivolte a chi tentennava e mostrava di lasciarsi sopraffare dalla paura. Le
minacce non erano gratuite, ma sono convinto che agisse su quegli uomini anche l’effetto di una propaganda efficace.
Queste, comunque, furono le impressioni più vive riportate sulle impervie e desolate pendici di Sierra Caballs nei mesi di agosto e settembre 1938, che furono anche
162
gli ultimi della mia esperienza in Spagna. Verso la fine di settembre, infatti Álvarez
del Vayo, ministro degli Esteri della Repubblica spagnola, comunica alla Società delle
nazioni di Ginevra la decisione presa dal governo del suo paese di ritirare i combattenti delle brigate internazionali dal fronte. Nel tentativo di respingere uno dei tanti
attacchi dei franchisti alla zona occupata dalla mia compagnia, ormai tale solo di nome,
perché gli effettivi si erano drasticamente ridotti, rimasi ferito e fui evacuato in ospedale. Da lì raggiunsi il paese di Torelló in Catalogna, base di raccolta dei superstiti
internazionalisti di nazionalità italiana. Era la terza ferita riportata in quella guerra, segno
della mia permanenza sulla linea del fronte o nelle immediate retrovie.
Forse anche per questo mi riesce difficile dominare una fastidiosa insofferenza verso
quanti si erigono, a mio avviso con troppa disinvoltura, a giudici ipercritici rispetto alla
politica e alla condotta del governo spagnolo. Capisco bene che la mia reazione è più
istintiva che ragionata e dunque rispetto, anche quando non la condivido, l’opinione
di coloro che, giornalisti e scrittori, si recarono in Spagna in qualità di osservatori, per
capire e raccontare. Mi riesce invece molto più difficile capire, ripensando alla mia
esperienza di persona che andò a offrire solidarietà fattiva per un popolo di cui condivideva la causa, combattendo fino allo stremo e senza il tempo di approfondire o di
indagare nelle pieghe della politica governativa, come possano invece averlo trovato
altri, partiti come me per combattere e da cosa derivi la loro sicurezza di giudizio.
Personalmente ho una sola certezza: vissi in quegli anni una delle esperienze più esaltanti della mia vita, anche se fu la più sfortunata. Sono convinto, però, che fu determinante nel non avere esitazioni di fronte a importanti scelte successive.
* Testo,
riveduto e ampliato dall’autore, della relazione svolta al convegno La guerra di Spagna:
dalla memoria storica alla lezione attuale, Torino, 11-12 maggio 1984, edito in “l’impegno”, a.
VI, n. 2, giugno 1986.
1 Recte: Quintanar del Rey (ndc).
2 Recte: Orihuela (ndc).
3 “Tu non hai paura?”.
4 Recte: Sierra de Cavalls.
5 “Uomo, è l’unica cosa che non manca”.
6 “Rosso, prepara le pantofole che domani ti toccherà correre”.
7 “Un’altra coppa di anice”.
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Un’esperienza antifascista nella Spagna della guerra civile*
di Antonio Roasio
Ritengo più che giusto ricordare gli avvenimenti che caratterizzarono gli anni trenta in
Spagna. Se è vero che la storia è fonte inesauribile di esperienza per il futuro è doppiamente giusto ricordare quei fatti, perché la guerra di Spagna del 1936-39, rappresenta una
delle pagine più importanti della lotta popolare contro il fascismo e per la libertà combattuta fra le due guerre mondiali.
Viviamo di nuovo, oggi, un momento di acuta tensione internazionale, di contrapposizioni e di blocchi, la corsa agli armamenti è sempre più affannosa, la guerra nucleare, che
distruggerebbe l’umanità, diventa sempre più un pericolo reale. Altrettanto ampio è il fronte
della protesta contro la guerra, per ristabilire forme di collaborazione tra i paesi, per assicurare pace e libertà ai popoli.
Gli anni ottanta presentano molti elementi di analogia con gli anni trenta. Per suffragare la mia affermazione vorrei ricordare alcune tappe salienti di quel periodo.
1931: aggressione della Cina da parte del Giappone e conquista della Manciuria: primo passo dell’imperialismo giapponese in Asia.
1933: conquista del potere da parte di Hitler ed avvio della violenta politica antidemocratica e razziale in Germania e di revanscismo nazionalista in Europa.
1934: rivolta armata a Vienna e vittoria delle forze fasciste; tentativo di colpo di stato
fascista in Francia, sconfitto dalla protesta popolare: preludio alla vittoria del Fronte popolare nel 1936.
1935: guerra coloniale del fascismo italiano in Abissinia.
1936: accordo di Monaco e cedimento delle forze democratiche ai ricatti di Hitler,
che può occupare tranquillamente la Cecoslovacchia.
È in questo clima di tensione che si inserirono gli avvenimenti del decennio spagnolo,
culminati nel 1929 con la sconfitta del regime fascista di De Rivera e, nel 1931, con la
caduta della monarchia e la costituzione di un governo repubblicano. Questo governo non
ebbe però sufficiente fiducia nella spinta delle masse popolari e dei partiti democratici e
di sinistra nel portare avanti le riforme democratiche e nel contrastare le forze reazionarie: quella fiducia avrebbe forse dato alla Spagna un destino diverso. Il colpo di stato del
luglio 1936 provocò un vasto movimento di lotta popolare nel Paese e profonda indignazione e solidarietà tra le masse popolari del mondo intero. In Spagna, la lotta armata contro i golpisti fu immediata: sorsero i primi gruppi della milizia popolare che imposero al
governo la distribuzione delle armi per attaccare i focolai fascisti e liberarono in pochi
giorni due terzi del Paese e tutte le città principali: Madrid, Barcellona, Valencia ed altre
ancora. I golpisti, sconfitti sul terreno della sorpresa, di fronte alla reazione coraggiosa
delle masse popolari non esitarono a gettare la Spagna nella più orribile e sanguinosa delle guerre civili con l’aiuto delle nazioni fasciste: Italia, Germania e Portogallo. Fu in que164
sto periodo che tra le forze democratiche e di sinistra maturò la coscienza di un aiuto
concreto ai repubblicani, con l’organizzazione di forti nuclei di volontari che combattessero in Spagna la battaglia della libertà. Nacquero così i primi nuclei del volontariato internazionale: la colonna “Rosselli” (con il motto “oggi in Spagna, domani in Italia”), la
centuria italiana “Gastone Sozzi”, la centuria “Comune di Parigi”, la centuria “Thaelmann”,
la centuria “Dombrowski” e tante altre, che combatterono la loro prima battaglia contro il
fascismo internazionale inquadrati in unità spagnole.
Nel mese di agosto, la situazione politica e militare della Spagna cominciò a delinearsi con maggiore chiarezza e si intravidero gli sviluppi di un conflitto non più limitato ai
confini della sola Spagna. Non si trattava, cioè, solo di uno scontro nazionale, di una guerra civile fra golpisti e repubblicani, ma di una guerra fra fascismo e democrazia in Europa.
Lo confermarono, del resto, gli stessi governanti italiani quando parlarono apertamente di una guerra ideologica contro le plutodemocrazie, della prosecuzione della guerra
d’Abissinia, di una necessità nazionale per fare del Mediterraneo un “lago” italiano. Ancora più esplicita fu la dichiarazione del generale tedesco Reichmann quando affermò: “L’intervento in Spagna non è soltanto una magnifica scuola di guerra ma anche una lezione
politica ammirevole. Allo sforzo imperativo di preparazione sistematica alla guerra corrisponde quello di infiltrarsi nel campo avversario. L’appoggio dato a Franco ci ha permesso di situarci attraverso le linee strategiche e vitali della Francia e dell’Inghilterra”.
Si rivelò quindi un grave errore, condannato da tutte le forze di sinistra e democratiche, la
decisione di “non intervento” della Francia e della Gran Bretagna, che isolarono la Spagna
repubblicana, le impedirono di acquistare armi e i materiali necessari per la guerra, fornendo, in pratica, un aiuto indiretto alla politica fascista.
In questo momento tragico per le sorti della democrazia spagnola, come ho detto, prese coscienza il vasto movimento di solidarietà, attraverso l’organizzazione del volontariato internazionale. Iniziò quindi una vasta azione che vide uniti tutti i dirigenti della II e della
III internazionale. Numerosi incontri videro impegnati personaggi come Nenni, De
Brouckère, Adler, Thorez, Cachin, Longo, ecc., con queste finalità: realizzazione di una
unità fattiva su obiettivi immediati e concreti, organizzazione alla base di comitati unitari
per il reclutamento fra le forze popolari e antifasciste, organizzazione di manifestazioni
di massa come non se ne erano ancora viste in passato.
Fra la fine di agosto e settembre fu chiara a tutti la superiorità militare dell’esercito
fascista, la cui forza era composta dalle unità comandate dal generale Franco, dall’esercito coloniale composto da dodicimila legionari e diecimila marocchini e dal battaglione
del “Tercio”, mercenari trasportati nel continente con l’aiuto dell’aviazione italiana e tedesca. A ciò bisognava aggiungere le unità militari dell’esercito del Sud, comandate dal
generale Queipo de Llano, e le armate del Nord, comandate dal generale Mola. A queste
unità giungeva inoltre l’aiuto, in armi e uomini, da parte dei paesi fascisti. Si ritiene che
l’Italia abbia utilizzato in Spagna circa centomila uomini, la Germania fra i venticinque e
trentamila: in maggioranza tecnici ed unità speciali.
L’esercito fascista seppe fin dal primo momento utilizzare le proprie forze, orientandole verso un obiettivo strategico-militare unico: l’unificazione delle forze armate del Sud
e del Nord, con la conquista delle province occidentali e, successivamente, la conquista di
Madrid, che fin dall’inizio era stata il centro della resistenza repubblicana. L’obiettivo, che
avrebbe dovuto condurre alla resa totale delle forze repubblicane, fu raggiunto solo in parte
nell’arco di due mesi.
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L’esercito fascista del Nord, infatti, venne fermato sulla sierra e la somosierra dalle
prime brigate “di acciaio” organizzate dai lavoratori di Madrid e venne inchiodato sulle
posizioni di partenza. L’esercito del Sud, invece, al comando del generale Franco, in tre
mesi occupò tutte le province occidentali, meridionali e centrali, praticamente senza incontrare una vera e propria resistenza, se si eccettua l’opposizione di unità locali, non
collegate fra loro, che difendevano il proprio villaggio o provincia. Ai primi di novembre,
le truppe franchiste raggiunsero così la periferia di Madrid, dove prepararono l’offensiva
decisiva che consentì loro di occupare la capitale il 7 di quello stesso mese.
A quel punto emersero tragicamente le deficienze politiche e militari del governo repubblicano, prima fra tutte, l’impossibilità di poter contrastare l’avanzata di un esercito
ben preparato, armato fino ai denti e con una visione strategica precisa, soltanto con milizie operaie male armate, poco preparate e senza il minimo coordinamento.
L’esigenza di un governo forte, che impegnasse direttamente tutti i partiti democratici
divenne prioritaria. Si formò così la coalizione nota come governo di Largo Caballero,
con il seguente programma: mobilitare tutte le energie del Paese per vincere la guerra;
reclutare energie nuove per creare riserve fra le forze armate; organizzare un nuovo esercito repubblicano unendo in unità militari tutti i distaccamenti, le varie colonne, le unità
combattive organizzate dai vari partiti ed organizzazioni sindacali; creare uno stato maggiore capace di elaborare una strategia militare unica utilizzando le unità militari nei punti
strategici e non nella regione in cui si erano formate; mobilitare tutte le ricchezze nazionali per la causa repubblicana.
La cosa fu quasi facile a dirsi, ma faticosa e lunga a realizzarsi e tra contrasti violenti.
Su questa base si decise l’utilizzazione dei volontari internazionali, anch’essi organizzati
in unità militari, nel nuovo esercito repubblicano e sotto il comando dello stato maggiore
spagnolo. Si può così spiegare la contraddizione esistente fra il documento unitario, approvato a Parigi il 28 ottobre 1936 e firmato dal Partito socialista, dal Partito comunista
e dal Partito repubblicano, in cui si parla della costituzione in Spagna di una legione di
volontari antifascisti, e la decisione, presa ad Albacete, di costituire le brigate internazionali, fra cui il battaglione “Garibaldi”.
Base di organizzazione e di raccolta delle brigate internazionali fu, appunto, la città di
Albacete, piccolo centro lontano dalla linea del fronte. Il grosso dei volontari arrivò nei
primi sei mesi della guerra, poi gli arrivi si diradarono fino a cessare nella primavera del
1938, quando il governo repubblicano, vista la durezza delle battaglie, le gravi perdite e la
scarsa, se non nulla, possibilità di vittoria, pensò di ritirare i volontari dal fronte per rimpatriarli. Il rimpatrio avvenne nel settembre del ’38; nello stesso tempo, la Repubblica tentò,
tramite l’ambasciatore francese, di stabilire una trattativa per trovare un accordo con i franchisti su basi onorevoli. Il tentativo fallì per il rifiuto di questi ultimi di trattare con i repubblicani, da cui si voleva una resa senza condizioni.
Come ho detto, i volontari internazionali furono cinquantamila, provenienti da cinquantatré nazioni. Il contingente più numeroso era dato dai francesi, con oltre novemila uomini, seguito da tedeschi e austriaci con oltre cinquemila, dagli italiani con quattromilaottocento, dai polacchi con quattromilacinquecento, mentre dai paesi balcanici giunsero tremilacinquecento uomini. La maggioranza di questi volontari erano emigrati politici che
vivevano all’estero, per lo più in Francia. Non meno significative le cifre riguardanti i volontari provenienti da altre nazioni, anche extraeuropee: tremila uomini da Stati Uniti e
Canada, duemilacinquecento dalla Gran Bretagna, duemila dalla Cecoslovacchia, millecin166
quecento dai paesi del Nord Europa, oltre duemila dall’America latina. Numerosi, oltre
duemila, furono anche i volontari sovietici, in maggioranza aviatori, carristi, artiglieri ed
istruttori.
Durante i primi cinque mesi di guerra furono organizzate sei brigate internazionali, due
gruppi di artiglieria e vari servizi ausiliari come il servizio sanitario, con oltre duemilaseicento volontari e duecento medici, che consentì l’allestimento di diciassette ospedali fissi e di quaranta ospedali da campo; il servizio trasporti, dotato di oltre millesettecento
automezzi e di un’officina per le varie riparazioni; il servizio postale per i volontari, il
servizio vettovagliamento e raccolta mezzi inviati dalla solidarietà internazionale; il commissariato politico per la propaganda; una scuola per commissari politici ed un servizio di
fureria.
Poiché, però, le sei brigate erano composte da elementi di nazionalità diversa, destinati nelle varie unità a seconda del loro arrivo ad Albacete, si presentarono subito problemi
di coesione dovuti alle differenze di lingua, mentalità, caratteristiche culturali e militari.
Si rese quindi indispensabile risolvere al più presto tale stato di cose. Nell’aprile 1937, le
brigate vennero ristrutturate in base alla nazionalità o alla lingua. I nomi che esse assunsero: “Garibaldi”, “Lincoln”, “Dimitrov”, “Thaelmann”, ecc., indicavano chiaramente la loro
composizione nazionale.
Io arrivai ad Albacete, proveniente dall’Unione Sovietica, il 12 ottobre 19361. Il flusso
dei volontari in arrivo era di circa settecento-ottocento uomini la settimana; gli italiani
erano già circa duecento. Alcuni giungevano in modo legale, altri no. In Francia esistevano
due punti di raccolta: uno a Perpignan, per chi entrava attraverso i Pirenei, e uno a Marsiglia, per chi arrivava via mare. Successivamente i volontari venivano concentrati in vari punti
della Catalogna e trasportati ad Albacete con treni speciali.
Quando giunsi ad Albacete, i volontari erano già circa duemila e la mia prima impressione fu tutt’altro che esaltante. Le strutture ricettive erano scarsissime, inoltre sembrava
di vivere nella torre di Babele, dove migliaia di uomini vivevano insieme senza comprendersi, con abitudini e culture diverse: da quel caos bisognava creare velocemente un esercito. Due condizioni richiedevano di fare presto: la situazione militare a Madrid e il desiderio dei volontari di entrare in azione, poiché era per combattere che erano giunti sin lì.
La confusione era enorme: mancava di tutto. Bisognava trovare il posto per sistemare
i volontari, possibilmente per nazionalità o per lingua, trovare i materassi, che erano pochissimi, la paglia, le coperte, organizzare le mense, trovare i viveri, i piatti, le posate. Si
cominciava dal niente e la confusione favoriva fenomeni di indisciplina e di individualismo. Ci volle una settimana per superare le deficienze, mettere un po’ d’ordine, dividere e
sistemare i volontari, conoscere gli uomini, la loro preparazione militare ed incominciare
a dividerli in unità militari, plotoni, sezioni, compagnie, abbozzando una minima preparazione militare. Così, alla fine di ottobre del 1936, nascevano le prime due brigate internazionali, la XI e la XII. Verso la fine di ottobre venne costituito ufficialmente il battaglione
“Garibaldi”, cinquecento volontari divisi in quattro compagnie, al comando di Randolfo
Pacciardi; commissari politici io, comunista, e Amedeo Azzi, socialista.
Per portare a termine la preparazione militare degli uomini ci volle molta iniziativa, se
si tiene conto che i volontari avevano età molto diverse: i più giovani non avevano ancora
diciotto anni, i più anziani ne avevano più di sessanta. La maggioranza aveva un’età che andava
dai trenta ai quarant’anni. Gli italiani vennero spostati a Madrigueras, distante una ventina
di chilometri da Albacete. Si trattava, in pochi giorni, di compiere azioni militari di prepa167
razione e di armarli, sparando però pochi colpi perché le munizioni erano molto scarse.
Poche erano anche le mitragliatrici e i fucili, di tipo vecchio, modello 91, molto pesanti e
pieni di difetti.
Il 10 novembre, il battaglione “Garibaldi” partiva per il fronte, verso Madrid. Fu un viaggio trionfale, ad ogni stazione centinaia, migliaia di cittadini ci aspettavano, ci offrivano
fiori, vino, frutta, ci ringraziavano di tutto cuore per il nostro esempio di solidarietà. Giunti
al posto di concentramento prendemmo contatto ufficiale con il comando della XII brigata internazionale, comandata dall’ungherese Lukács (Máté Zalka, scrittore) e con Luigi Longo, commissario politico. Lo stato maggiore era composto da due bulgari, Belov e Pietrov (Damiànov e Lukanov), consigliere militare era il colonnello Fritz (solo dopo la guerra
seppi che si trattava del generale Batov, che durante l’ultima guerra aveva comandato un
corpo d’armata), vice commissario politico era il tedesco Regler, scrittore. La lingua ufficiale era il russo ed in parte il francese. Della brigata facevano parte il battaglione italiano, il battaglione tedesco e quello franco-belga.
La preparazione dell’offensiva venne fatta in modo molto superficiale, con un viaggio
verso l’obiettivo militare lontano cinque o sei chilometri. Si trattava di un’azione diversiva; bisognava attaccare e conquistare il Cerro rojo (Cerro de los Angeles), una montagnola che dominava una vasta pianura, per minacciare il fianco destro dei franchisti, dominare
Getafe, dove esisteva il campo di aviazione usato come base per bombardare Madrid, e
difendere le strade che univano la capitale alle province orientali della Spagna.
Emersero subito dolenti note di impreparazione. I camion che dovevano portare i combattenti verso la linea del fronte arrivarono con ore di ritardo, le strade erano intasate, si
marciava a passo d’uomo e quando un camion aveva un guasto non esisteva alcuna possibilità che rovesciarlo nell’argine della strada. Pesava la non conoscenza della località e quindi
l’impossibilità di stabilire come e da quale parte attaccare l’obiettivo. Quando arrivammo
vicino a Cerro rojo trovammo un muro invalicabile in cui bastava far rotolare dei sassi per
fermarci. Inoltre, eravamo all’oscuro di quali altre unità militari fossero impegnate nell’operazione, cosicché ogni movimento di truppe ai nostri fianchi ci creava problemi e
preoccupazioni. I servizi di collegamento non funzionarono, non avevamo quindi contatti
con lo stato maggiore della brigata, con i servizi di vettovagliamento, né sapevamo dove
portare i feriti (per fortuna solo due ed in modo leggero).
Fu un’esperienza amara, dove imparammo a nostre spese che ci volevano tempo e pazienza, ma anche ingegno per diventare un’unità combattente; non bastavano la conoscenza e lo slancio per vincere un nemico agguerrito come l’armata franchista. Purtroppo, questa
inesperienza, che al nostro battaglione era costata due feriti, venne pagata duramente da
altre unità delle brigate internazionali che, impegnate in veri combattimenti frontali con il
nemico persero il 30 e anche il 40 per cento dei loro uomini.
Utilizzammo i pochi giorni successivi per parlare intensamente con i volontari, mettere a nudo le deficienze, sottolineare che non bastava la combattività, ma che dovevamo imparare l’arte militare, prestare maggiore attenzione alla organizzazione dei servizi e dei
collegamenti con telefono e staffette, garantire i contatti con lo stato maggiore e migliorare la conoscenza degli obiettivi militari e della zona in cui eravamo costretti a combattere. Nello stesso tempo, si rendeva necessaria una partecipazione cosciente di tutti i volontari nel superare le difficoltà e una maggiore disciplina nell’assolvere i compiti cui erano
preposti. I combattenti di compagnia, di sezione o di squadra dovevano innanzitutto imparare ad assolvere al loro dovere, mantenendo i contatti con le loro unità ed organizzando la
168
loro azione; questo valeva anche per i porta ordini, i barellisti e gli infermieri. Non doveva
più succedere, cioè, come nella battaglia del Cerro rojo, in cui tutti avevano abbandonato
il proprio incarico specifico e si erano trasformati in combattenti che sparavano contro i
fascisti. Quelle poche ore di esperienza pratica, fatta sotto il tiro dei fascisti, tuttavia, servì molto più di tutte le conversazioni di Albacete.
Quattro giorni dopo, il 18 novembre, il battaglione venne trasferito sul fronte di Madrid, nel settore di Casa de Campo. Erano giorni d’autunno freddi ed umidi: faceva un freddo
cane. Nella notte del 19 novembre gli uomini vennero trasferiti sulla linea del fronte, in
un parco con poche casette e con scarse possibilità di adattarsi per passare la notte e ripararsi dal freddo, che si faceva sentire anche perché non tutti i volontari avevano indumenti
adatti per quel clima.
Alla mattina presto fummo svegliati da un forte tiro di artiglieria: per molti volontari
era la prima volta. Per fortuna non si ebbero vittime: nel bosco era facile trovare posizioni
sicure. Il comandante del battaglione, Pacciardi, il sottoscritto e Francesco Leone, che
aveva già una certa esperienza nel combattimento come ex commissario della centuria
“Gastone Sozzi”, ci consultammo rapidamente. Non sapevamo dove si trovava il fronte,
eravamo in seconda linea in attesa di ordini dal comando di brigata.
Più tardi si cominciarono a vedere gruppi di combattenti che si ritiravano verso Madrid, capimmo che i fascisti attaccavano e che i nostri combattenti, come era successo
molte volte, si ritiravano. Si decise di mandare avanti una compagnia per vedere cosa stesse accadendo, mentre Leone, che parlava bene lo spagnolo e poteva dialogare con i soldati
che si ritiravano, cercava di fermarli e di convincerli a combattere.
Dopo poche centinaia di metri i nostri volontari si trovarono a contatto con i franchisti
e si organizzarono per resistere e fermare la loro avanzata. Così il nostro battaglione si
trovò faccia a faccia con il nemico, senza sapere bene dove fosse il fronte e quali truppe
avessimo alla nostra destra e sinistra. Il contatto con il comando di brigata ci permise di
chiarire questi problemi e di sapere che a destra avevamo un battaglione di “carabineros”
e a sinistra un battaglione di volontari tedeschi. Il fronte venne ristabilito e i fascisti fermati.
Furono otto giorni di duri combattimenti con attacchi e contrattacchi, ma il fronte rimase fermo. Quei combattimenti furono un insegnamento preciso per gli uomini, i quali,
a loro spese, impararono a cercare le posizioni migliori per colpire e per nascondersi, a
non uscire allo scoperto se non per gravi motivi, perché sarebbero stati colpiti dai cecchini e dal nemico appostato, a creare trincee e buche per non prestarsi al tiro al piccione. In
poche parole, si imparava a combattere. Le perdite, purtroppo, furono elevate: oltre cento
uomini tra morti e feriti. Morirono un comandante di compagnia, un commissario politico, il comandante del servizio per i collegamenti, Leone fu ferito.
Da novembre, cioè dalla battaglia del Cerro rojo, fino a marzo, alla battaglia di Guadalajara, il battaglione “Garibaldi” partecipò a tutti i duri combattimenti per la difesa di Madrid, guadagnandosi, con le altre unità di volontari internazionali, il titolo di brigate “modello”, la riconoscenza del governo spagnolo, ma anche l’onore e la soddisfazione di combattere una battaglia che persino la maggioranza degli spagnoli considerava persa, come
aveva dimostrato lo spostamento del governo e dello stato maggiore dell’esercito a Valencia2.
La battaglia, malgrado l’inferiorità in uomini ed armi, fu vinta perché combattuta con
lo slancio coraggioso della maggioranza della popolazione che, in vista del pericolo, si
169
era tutta mobilitata per frenare ogni atto di ribellione da parte della famosa “quinta colonna”, così numerosa nella capitale, per aiutare i combattenti repubblicani, per costruire opere
di difesa ed anche per combattere. A Madrid, l’antifascismo scriveva così la sua pagina
gloriosa di storia, di esempio per il mondo intero, dimostrando che un esercito è invincibile quando è sostenuto da tutto il popolo. Eroismo che doveva ripetersi su scala ben più
importante durante la seconda guerra mondiale. A conforto di questa mia affermazione,
vorrei ricordare anche l’esempio contrario di Parigi, nel giugno 1940, quando le truppe
tedesche, in formazione di parata ed al canto degli inni militari, marciarono nelle vie della
città, senza che venisse sparato un solo colpo di fucile e sotto gli occhi di una massa di
cittadini cupi e umorosi, ma anche vergognosi per quella brutta pagina di storia. I parigini
cancellarono quella macchia solo nel giugno 1944, nei giorni dell’insurrezione nazionale.
Per gli italiani antifascisti la battaglia di Guadalajara ebbe un valore particolare, perché
fu la prima volta che l’antifascismo italiano si scontrò con il fascismo ad armi pari, infliggendogli una cocente sconfitta. Con l’organizzazione delle brigate internazionali su base
nazionale o di lingua, confluirono nel battaglione “Garibaldi” tutti gli italiani che combattevano in altre unità: un piccolo gruppo della colonna “Rosselli” e gli italiani che erano
stati inquadrati nella XIV, XV, XVI brigata internazionale, per un totale di circa quattrocento uomini. Gli ultimi scaglioni arrivati si trovavano ad Albacete al comando di Pacciardi, commissario politico era Ilio Barontini. Altri italiani che si trovavano in Spagna a combattere, oltre duecentottanta nei vari gruppi di artiglieria da campagna e nell’artiglieria
antiaerea ed una cinquantina di specialisti nell’arte militare, erano impegnati in corpi speciali come cavalleria, carri armati, aviazione, marina. Oltre duecento italiani combattevano in unità spagnole anarchiche o del Poum.
Una prima considerazione riguarda l’elevata qualità della presenza dell’antifascismo
italiano in Spagna. Uomini come Togliatti, Nenni, Longo, Rosselli, Di Vittorio, Pacciardi,
Braccialarghe, Platone, Vidali e numerosi altri portarono il loro contributo militare e politico in quella prima battaglia combattuta contro il fascismo. Gravi furono le perdite (oltre settecento combattenti) numerosi i mutilati. Voglio, a nome di tutti, ricordare Battistelli, comandante di battaglione; Battistatta, commissario politico della brigata; Melchiorre
Vanni, che faceva parte del Comitato internazionale di solidarietà a Parigi, ferito durante
una missione da un bombardamento su Madrid; Nino Nannetti, comandante di divisione;
De Rosa, Angeloni, Jacchia, professore di Trieste, uno dei fondatori del fascismo che venne
in Spagna per lavare la sua macchia; Primo Gibelli, operaio torinese espatriato in Urss,
maggiore di aviazione, caduto durante un’azione in difesa di Madrid, unico italiano dichiarato eroe in Unione Sovietica.
Questa gloriosa pagina di storia e di solidarietà popolare dovette purtroppo soccombere per molti motivi, internazionali ed interni. La decisione di “non intervento” applicata
dalle democrazie borghesi privò, come ho detto, la Spagna repubblicana degli aiuti in armi
e materiali necessari per la guerra. Soltanto l’Unione Sovietica inviò numerosi aiuti tecnici, armi, munizioni, materiali vari, ma l’aiuto cominciò a diminuire verso la fine del 1937
e si diradò nei primi sei mesi del 1938, per difficoltà logistiche: ben otto navi sovietiche
da trasporto vennero affondate in quel periodo nel Mediterraneo da sottomarini “fantasma”,
in realtà italiani e tedeschi. Per questi motivi la Spagna repubblicana, nel campo dell’armamento, non poté mai competere con la parte avversaria.
Agirono negativamente per la Repubblica anche motivi di carattere politico, come l’arretratezza di larghe masse contadine influenzate dalla Chiesa; la nefasta influenza su ampi
170
strati popolari, specie in Catalogna, della concezione anarchica e populista contraria ad
ogni iniziativa da parte del governo e dello stato maggiore per mobilitare tutte le possibilità del paese per vincere la guerra; le loro iniziative utopistiche condussero addirittura
allo scontro armato con le forze repubblicane a Barcellona. A questi fattori va aggiunta
l’incapacità del governo repubblicano di appoggiare e indirizzare l’entusiasmo popolare,
così chiaro a Madrid nel novembre 1936, di utilizzare tutte le risorse nazionali per la guerra,
di creare nelle retrovie del nemico un movimento partigiano, di smascherare i nemici che
si annidavano nelle retrovie, prima fra tutte la famosa “quinta colonna”.
Vanno ricordati, infine, i contrasti tra i vari partiti del Fronte popolare, generati dal latente anticomunismo che cresceva con il peggioramento della situazione militare all’interno, la diffidenza per l’attivismo e la combattività dei comunisti nell’esercito, l’aiuto
materiale dell’Urss e la presenza delle brigate internazionali. Alcuni partiti, cioè, ebbero
quasi sempre il pensiero rivolto al compromesso con le forze franchiste, poi realizzato da
Besteiro, Casado e Carrillo nel marzo 1939 a Madrid.
Tutti questi fatti ebbero un’influenza diretta sul morale dei volontari antifascisti, che
non erano semplici soldati in cerca di avventura ma militanti coscienti, molti di essi con
alte qualità politiche, che avevano dietro di loro un passato di combattività e di sacrificio.
Dall’esame di alcune migliaia di cartellini individuali di volontari italiani, risulta che cinquantasei antifascisti avevano subito una condanna dal Tribunale speciale, quarantadue da
tribunali ordinari e sei da tribunali militari. Inoltre, ben quattrocento avevano subito espulsioni dalla Francia, Belgio o Svizzera e duecentocinquanta avevano subito arresti per infrazione alla legge dopo la loro espulsione. Infine ben millecinquantaquattro nominativi si
trovano sui bollettini del Ministero degli Interni con l’indicazione “da arrestare come antifascista”.
Gli elementi di dissenso fra i vari partiti pesarono quindi sulla coscienza dei combattenti, anche perché essi avevano coscienza di essere sempre stati fedeli all’impegno di combattenti al servizio delle autorità della Repubblica spagnola, così come pesarono i fatti di
Barcellona, il modo in cui veniva condotta la guerra nazionale di liberazione, sempre sulla
difensiva e per tutti i trenta mesi con l’iniziativa sempre lasciata ai fascisti e senza offensive che incidessero sull’andamento della guerra.
I volontari dimostrarono tuttavia un’alta coscienza internazionalista e la volontà di combattere fino in fondo la guerra antifascista. Dall’ottobre 1936 al marzo 1939, cioè fino
alla ritirata, dimostrarono sempre la loro combattività, la loro fiducia sulla giustezza della
guerra che combattevano.
Vorrei terminare la mia testimonianza con questa affermazione di Togliatti, fatta nel
maggio 1945 sulla rivista mensile “Risorgimento”: “Se è vero che sulla Spagna scese dopo
il marzo del 1939 il silenzio funebre dei sepolcri e delle galere, il campo della lotta non
fece altro che spostarsi e gli obiettivi non cambiarono. Se quel primo bastione fosse caduto senza combattimento le sorti del mondo, quelle del nostro paese, sarebbero state
diverse. Su quel campo di battaglia riconoscemmo amici e nemici, riconoscemmo il pericolo ed il compito comune [...] Su quel campo di battaglia sorse l’unità antifascista, scuola
concreta tanto di guerra quanto di politica”.
Quell’esperienza, infatti, venne utilizzata dopo pochi anni in tutta Europa contro il nemico comune, venne utilizzata in Italia con l’unione di tutte le forze democratiche ed antifasciste, per combattere insieme la guerra di liberazione nazionale e creare una nuova
nazione.
171
* Dalla relazione svolta al convegno La guerra di Spagna: dalla memoria storica alla lezione
attuale, Torino, 11-12 maggio 1984, edita in “l’impegno”, a. VI, n. 1, marzo 1986.
1 Ero partito da Mosca il 12 ottobre 1936 e dopo una breve sosta a Parigi, per contatti con alcuni
dirigenti del Partito comunista italiano, ero ripartito per Madrid, dove ero giunto il 20 ottobre, in
compagnia di Edoardo D’Onofrio.
2
Il 30 novembre 1936, nella battaglia di Pozuelo, riportai una ferita alla garnba. Dopo quindici
giorni di ospedale a Madrid e dieci giorni di convalescenza ad Albacete, ritornai al battaglione,
partecipando alle battaglie di Mirabueno e Majadahonda. Alla fine di gennaio del 1937, fui richiamato
ad Albacete dal comando generale delle brigate internazionali che mi incaricò di organizzare un ufficio
matricola per gli italiani. Si trattava, in pratica, di preparare una scheda personale per ogni volontario,
contenente i dati biografici principali, l’unità di inquadramento e ogni annotazione di fatti e di spostamenti
riguardanti il volontario stesso. Si trattava, inoltre, di informare il Comitato di solidarietà di Parigi dei
caduti, affiché si provvedesse ad avvisare parenti ed amici, di far giungere nella capitale francese i
feriti più gravi e gli invalidi per assicurare loro assistenza e cure adeguate. Infine, si provvedeva al
rientro in seno alle unità combattenti dei feriti dopo la guarigione o alla loro sistemazione in servizi
alternativi in caso di inabilità al combattimento. L’incarico, nel luglio del 1937, fu affidato a D’Onofrio
che, durante l’esodo in Francia del febbraio 1939, riuscì a mettere in salvo l’intero archivio dei volontari
internazionali, inviandolo in Unione Sovietica. Personalmente, nell’aprile 1937, tornai alla mia unità in
qualità di ufficiale di collegamento nello stato maggiore della XII divisione. Fui richiamato a Mosca
nell’ottobre del 1937 per lavorare al Comintern e per altre missioni all’estero.
172
I principali avvenimenti della guerra civile spagnola
I precedenti
1931
14 aprile
Proclamazione della Repubblica spagnola.
1936
16 febbraio
Vittoria elettorale del Fronte popolare.
20 febbraio
Formazione del governo di Fronte popolare, presieduto da Manuel Azaña.
7 aprile
Il presidente della Repubblica, Niceto Alcalá Zamora, viene destituito dalle Cortes per violazione
della Costituzione. Il nuovo presidente sarà Manuel
Azaña, mentre Santiago Casares Quiroga assumerà l’incarico di primo ministro.
***
1 agosto
Costituzione del primo governo di Fronte popolare
della Generalitat catalana.
Léon Blum, capo del governo francese di Fronte
popolare, accoglie le istanze inglesi di non intervento nella guerra civile spagnola.
5 agosto
Le truppe marocchine spagnole, con l’appoggio
dell’aviazione italiana, passano lo stretto di Gibilterra.
17 agosto
Si costituisce la prima formazione volontaria di
antifascisti italiani: la “Colonna italiana”.
23 agosto
I volontari italiani della “Colonna italiana” prendono posizione sul fronte di Huesca.
3 settembre
Si costituisce la seconda formazione di volontari
italiani: la centuria “Gastone Sozzi”.
La guerra civile
17 luglio
Rivolta dei generali monarchici e fascisti contro il
governo repubblicano: inizia la guerra civile.
4 settembre
Nuovo governo, presieduto da Francisco Largo
Caballero, comprendente socialisti, repubblicani e
comunisti.
21 luglio
A Barcellona i ribelli sono sconfitti. La Generalitat, governo della regione autonoma, istituisce un
corpo di milizie.
9 settembre
Prima riunione a Londra del “Comitato di non intervento”, costituito su iniziativa dei conservatori
inglesi e con l’appoggio del governo francese.
25 luglio
Inizia la prima offensiva fascista contro Madrid.
10 settembre
Battesimo del fuoco dei volontari della centuria
“Gastone Sozzi” a Cenicientos.
26 luglio
Nuovo governo, presieduto da José Giral Pereira,
costituito da soli repubblicani.
27 luglio
Il governo italiano decide l’intervento in appoggio
ai fascisti spagnoli.
30 luglio
A Burgos si costituisce una giunta fascista, che si
attribuisce le funzioni di governo sui territori sottratti alla Repubblica (diciotto province su quarantasette).
13 settembre
I franchisti occupano San Sebastián.
27 settembre
Rappresentanti della Confederación nacional de
trabajo, diretta dagli anarchici, entrano a far parte del governo della Catalogna.
30 settembre
Il governo spagnolo denuncia alla Società della
nazioni l’intervento armato dell’Italia e della Germania a sostegno dei ribelli.
173
1 ottobre
Proclamazione, a Burgos, dello stato spagnolo su
basi corporative, nazionali, cattoliche.
Il generale Francisco Franco è ufficialmente capo
dello stato e comandante supremo dell’esercito.
3 ottobre
Le Cortes approvano lo statuto autonomo dei Paesi baschi, analogo a quello catalano.
5-6 ottobre
Il primo contingente di volontari internazionali (tra
cui circa centocinquanta italiani) varca la frontiera: arriverà ad Albacete, base delle brigate internazionali, il 10 ottobre.
7 novembre
Rappresentanti della Cnt entrano nel governo.
9 novembre
Il battaglione “Garibaldi” viene incorporato nella
XII brigata, assieme al battaglione franco-belga e
a quello polacco.
13 novembre
Il battaglione “Garibaldi” entra in azione a Cerro
de los Angeles, sul fronte di Madrid.
18 novembre
Germania e Italia riconoscono ufficialmente il governo di Franco.
10 ottobre
Pubblicazione del decreto costituivo dell’Esercito
popolare.
6 dicembre
Conferenza militare italo-tedesca a Roma per decidere sugli aiuti da fornire a Franco.
12 ottobre
Sbarca ad Alicante un grosso contingente di volontari (fra i quali molti italiani) partito da Marsiglia.
1937
6 febbraio
Le truppe franchiste iniziano l’offensiva sul fronte
del Jarama per accerchiare Madrid da est.
16-18 ottobre
La centuria “Gastone Sozzi” combatte la sua ultima battaglia a Chapinería: nel mese di novembre i
superstisti saranno incorporati nel battaglione “Garibaldi”.
8 febbraio
Le truppe fasciste italiane occupano Malaga.
18 ottobre
I governi italiano e tedesco riconoscono la Giunta
di Burgos come governo di tutta la Spagna.
22 ottobre
Il governo repubblicano autorizza la costituzione
delle brigate internazionali.
23 ottobre
Annuncio ufficiale dell’aiuto sovietico alla Repubblica spagnola.
27 ottobre
Viene firmato a Parigi l’atto costitutivo della “Legione italiana” (che assumerà il nome di battaglione “Garibaldi”).
5 novembre
I fascisti riescono a sfondare il fronte del centro e
ad avvicinarsi a Madrid.
6 novembre
Il governo repubblicano si trasferisce a Valencia.
Nella capitale rimane una Giunta di difesa, capeggiata dal generale José Miaja.
174
17 febbraio
Inizia la controffensiva, vittoriosa, dei repubblicani sul fronte del Jarama.
8-24 marzo
Offensiva delle truppe franchiste e delle camicie
nere italiane a Guadalajara: prima sconfitta internazionale del fascismo.
31 marzo
Inizia l’offensiva franchista contro le Asturie e i
Paesi baschi.
19 aprile
Fusione dei falangisti e dei tradizionalisti nel Partito nazionale della falange, capeggiato da Franco.
26 aprile
I tedeschi bombardano Guernica: oltre millecinquecento civili morti.
1 maggio
Costituzione della brigata “Garibaldi”, che incorpora anche i resti della “Colonna italiana”.
3-5 maggio
Insurrezione anarchica a Barcellona, duramente
repressa.
16 maggio
Dimissioni del governo Largo Caballero. Succederà il governo presieduto dal socialista Juan Negrín
López, composto da repubblicani, socialisti, comunisti e nazionalisti baschi e catalani.
1938
11 gennaio
L’aviazione italiana inizia bombardamenti sistematici di Barcellona e di altre città della Catalogna.
1 giugno
La Cnt decide di appoggiare il governo Negrín.
9 marzo
Inizia l’offensiva fascista in Aragona, in direzione
del Mediterraneo.
24 giugno
Occupazione di Bilbao.
29 giugno
A Barcellona viene costituito un nuovo governo
della Generalitat in cui sono rappresentate le organizzazioni che fanno capo al Fronte popolare e
alla Cnt.
1 luglio
Lettera collettiva dell’episcopato spagnolo in appoggio al movimento franchista.
5-28 luglio
Offensiva repubblicana sul fronte del Guadarrama.
12-26 luglio
Offensiva repubblicana a Brunete, a ovest di Madrid.
23 luglio
Italia e Germania si ritirano dal Comitato di non intervento in Spagna.
14-22 agosto
Offensiva delle truppe fasciste italiane, che conquistano Santander.
24 agosto
Offensiva repubblicana sul fronte d’Aragona: durerà un mese ma non darà alcun risultato.
23 ottobre
I franchisti conquistano Gijón, nelle Asturie, e praticamente dominano tutto il Nord del Paese.
3 aprile
I franchisti penetrano in Catalogna occupando
Lérida e Gandesa.
15 aprile
Il territorio della Repubblica spagnola è spezzato
in due: la Catalogna è isolata, ma l’avanzata franchista viene fermata sul fronte dell’Ebro.
24 giugno
Il Vaticano riconosce il governo di Franco.
5 luglio
Attacco franchista in direzione di Valencia.
24 luglio
Inizia la battaglia dell’Ebro: le truppe repubblicane sono inizialmente vittoriose, ma ai primi di novembre saranno piegate.
21 settembre
Negrín, nella vana illusione di ottenere come contropartita il ritiro delle divisioni fasciste italiane e
tedesche, annuncia alla Società delle nazioni la
decisione di ritirare dal fronte tutti i volontari internazionali e chiede la costituzione di una commissione incaricata di controllare l’effettivo ritiro di tutti
i combattenti stranieri.
30 ottobre
Inizia l’offensiva franchista sul fronte dell’Ebro.
25 dicembre
Offensiva franchista in Catalogna.
15 dicembre
Grande offensiva repubblicana a Teruel, a est di
Madrid.
1939
26 gennaio
I franchisti occupano Barcellona. Gruppi di combattenti internazionali lasciano i campi di smobilitazione e riprendono le armi in battaglie di retroguardia per coprire la ritirata verso la frontiera
francese.
19 dicembre
Controffensiva franchista a Teruel. La battaglia,
con alterne vicende, durerà fino alla fine di febbraio del 1938.
9 febbraio
I combattenti dell’esercito popolare e delle brigate internazionali passano la frontiera francese: saranno rinchiusi in campi di concentramento.
30 novembre
Il Giappone riconosce il governo di Franco.
175
27 febbraio
Gran Bretagna e Francia riconoscono il governo
di Franco come governo di tutta la Spagna.
19 marzo
Il Portogallo firma un patto di non aggressione e di
amicizia con la Spagna nazionalista.
28 febbraio
Dimissioni del presidente Azaña.
27 marzo
Franco aderisce al Patto Antikomintern, stipulato
da Germania, Italia e Giappone.
4 marzo
Il colonnello Segismundo Casado López, comandante delle truppe repubblicane a Madrid, con un
colpo di mano proclama decaduto il governo Negrín e si dichiara disposto a trattare la resa con i
nazionalisti.
6 marzo
I dirigenti repubblicani si rifugiano in Francia.
29 marzo
Le truppe franchiste entrano in Madrid.
1 aprile
Franco annuncia che le operazioni militari sono
terminate: la guerra civile si conclude con la sconfitta della Repubblica e l’instaurazione della dittatura.
Per una cronologia approfondita si veda ora PIETRO RAMELLA, Il secolo breve spagnolo.
Cronologia ragionata 1898-1975, Varallo, Isrsc Bi-Vc, 2014.
176
Indice delle persone*
Abd el-Krim v. Costetti, Renato
Adler, Friedrich 165
Agosti, Aldo 50-52
Airoldi, Francesco 67, 75
Albero, Manuel 129, 135
Albertini, Enrico 66, 88, 119
Albertini, Giuseppe 88
Alcalá Zamora, Niceto 173
Alix, Yves 133
Alpert, Max 135
Álvarez del Vayo, Julio 163
Ambrosini, Giovanni Battista 28
Ambrosio, Piero 73, 76, 78, 120, 122
Amendola, Eva Paola 132, 133, 135
Amendola, Giorgio 29, 45, 51, 52, 83
Andreucci, Franco 27, 30, 51, 120, 122, 124
Angeloni, Mario 115, 170
Anselmi, Albino 74, 75
Anselmi, Antonio Albino 74
Anselmi, Michele 74
Antonietti, Quinto 82
Antonini, Angelo 19, 28
Aranda, Antonio 127
Archetti, Antonio 73, 111, 124
Archetti, Eugenio 111
Ardizzoni, Luigi 23
Ardizzoni, Vincenzo 28
Arfinenghi, Arturo 88, 119
Arfinenghi, Giovanni 88
Arrighelli, Alessio v. Airoldi, Francesco
Astaldi, Antonio 117
Astaldi, Giovanni 117
Astaldi, Giuseppe 117
Astray, Milan 133
Auden, Wystan Hugh 49
Azaña Diaz, Manuel 40, 173, 176
Azzi, Amedeo 167
Bacchiocchi, Ciro 28
Baesi, Giovanni 22, 28
Bagnasacco, Antonio 88
Bagnasacco, Giuseppe 66, 67, 88, 114, 119
Bakunin, Michail Aleksandrovic 114
Balcells, Albert 134, 135
Baldini, Gino Bruno 28
Ballone, Adriano 9
Banchieri, Nino 82
Barani, Luigi 22, 28
Barberis, Felice 89
Barberis, Giovanni 84, 89, 114, 119
Barberis, Giuseppe 119
Barisone, Luigi 24, 28
Barontini, Anelito 29
Barontini, Ilio 119, 170
Bartoli, Alberto 289
Basso, Fortunato Marino 28
Batov, Pavel Ivanovich 168
Battistatta, Quinto 170
Battistelli, Libero 170
Becherini, Antonio 28
Béla, Frankl 168
Bellini, Giordano Bruno 22, 28
Belov v. Damiànov, Gueorgui Purvànov
Belventi v. Costetti, Renato 22
Benna, Rodolfo 157
Benvegnù, Settimo 71, 76
Beretta, Giuseppe 28
Berger, Giuseppe Ferdinando 29
Bernieri, Camillo 54
Berti, Antonio 47, 51
Bertinetti, Eufrosina 99
Bertoli, Iginio 74, 75
Bertoli, Luigi 74
Bertoli, Pietro 74
Bertolini, Renato 29
Bertoni, Luigi 88, 114
Besteiro, Julián 171
Beux, Renato Ludovico 21, 29
Bianchi, Antonio 29
Bianchi, Silvio 69
Bibolotti, Aladino 82
Bibolotti, Marco 63
Biscotti, Vincenzo 71, 76
Blair, Eric Arthur 16, 17, 37, 38, 49, 127, 133
Blum, Léon 173
Bocca, Giorgio 47, 52
Bocchi, Giovanni 29
Boerio, Paola 97
Bolloten, Burnet 50
Bologna, Achille 135
*
I nomi seguiti da punto interrogativo tra parentesi si riferiscono a persone citate nel corso di interrogatori di polizia: di esse non sono certe l’esattezza dei dati né l’effettiva esistenza.
177
Bonardi, Giuseppe 29
Bonchio, Roberto 51
Bonciani, Alighiero 24, 29
Bonfanti, Enrico 29
Bonfili, Étienne 29
Bongianini, Rosa 109
Bonora, Angelo 89
Bonora, Enrico 89, 114, 119
Borsano, Giacomo 89
Borsano, Giovanni Pio 53, 55, 73, 85, 89, 113,
119, 158
Bosco, Pierino 29
Boscono, Sisto 124
Bosoni, Paolo 74, 75
Bottan, Giacomo 90, 118, 119
Bottan, Guglielmo 90
Bottan, Regina 119
Braccialarghe, Giorgio 170
Bricarello, Domenico 155, 157, 158
Bricca, Carolina 103
Brunetti, Alberto 71, 76
Brusa, Carolina 98
Busoni v. Noca, Paolo
Bussetti, Catterina 99
Cachin, Marcel 165
Calandrone, Giacomo 28, 64, 112, 115, 118124
Callegaro, Ferdinando 90
Callegaro, Ottavio 90, 114, 118, 119
Calligaris, Giovanni 60-64, 66, 68, 69, 80, 81,
83, 84, 90, 114, 115, 119
Calligaris, Lorenzo 60, 61, 63, 91, 119
Calligaris, Secondo 90, 91
Calligaris, Spartaco 60
Calligaris, Umberto 115
Calosso, Umberto 119
Camen, Giorgio v. Pajetta, Giuliano
Campana, fotografo 129
Campesino (El) v. Gonzáles, Valentín
Campo, Giovanni 23, 29
Campolonghi, Luigi 115, 116
Caneparo, Annibale 67, 69, 82, 91, 92, 114, 119
Caneparo, Quinto 91
Cannone, Giovanna 100
Cannonero, Luigi 18, 19, 24, 29, 30
Canonica, Antonio 20, 27-29, 121
Canova, Giovanni 117
Cansian, Luigi v. Lario, Plinio
Cantarelli, Mario 113, 114
Cantarelli, Pietro 92, 119
Cantone, Angela 111
Cantone, Mario 70
Capa, Cornell 134
178
Capa, Robert 126, 131, 132, 134-136
Capellaro, Maria 90, 91
Capra, Giaele 88
Carboni, Gilberto 24, 29
Caretti, Stefano 27
Caron, Severino 92
Caron, Teresio 68, 92, 114, 119
Carpegna, Giovanna 92
Carreras, Joan 136
Carrillo, Wenceslao 171
Carta, Ester 95
Casado López, Segismundo 171, 176
Casares Quiroga, Santiago 173
Casaus, Benitez 128
Castoro, Ernesto 92
Castoro, Severino 92, 114, 120
Castronovo, Valerio 126, 133
Catalá Pic, Pere 128, 133, 134
Cattell, David Tredwel 50, 51
Cavanna, Pierangelo 136
Cazzaniga, Alberto 71
Centelles, Agustí 128, 129, 134
Cerreia Varale, Antonio 77
Cerreti, Giulio 48, 52
Cerruti, Angela 93
Cerruti, Domenico 93
Cerruti Miclet, Giuseppe 75
Cerruti Miclet, Luigi 75
Cerruti, Pietro 75, 93, 113, 120
Ceruti, Giuseppe 74
Cerutti, Giuseppe 75
Chiesa, Oberdan 23, 29
Chini, Renzo 132
Chirio, Agostina 107
Chuikov, Vasily 135
Cianca, Alberto 120, 122, 123
Ciano, Galeazzo 7
Cimamonte, Anna 75
Ciocchetti, Angela 98
Codovilla, Vittorio 41
Colani, Giuseppe 29
Collotti, Enzo 27, 51
Colombi, Arturo 51
Colombo, Cesare 135
Colombo, Lanfranco 136
Conforti, Olao 123
Conti, Renato 29
Corgnati, Caterina 102
Corti, Paola 51, 130, 132-136
Costa, Clementina 93
Costetti, Renato 22, 29
Couder, Christine 20, 29
Cozzi, Ermenegildo 68
Cristianelli, Aurelia 100
Croce, Emilio 29
Crovella, Andrea 93, 120
Crovella, Antonio 93
Curti, Angelo 24, 29
D’Onofrio, Edoardo 20, 22, 28, 47, 61, 86, 112,
172
Dabalà, Angelo 22, 29
Dal Pont, Adriano 27, 118, 119
Damiànov, Gueorgui Purvànov 168
De Ambris, Alceste 116
De Brouckère, Louis 165
De Felice, Renzo 7, 27
De La Mora, Constancia 49
De Margherita, Secondo 60, 61, 63, 94, 113,
120
De Micheli, Mario 133
De Rivera, Miguel Primo 164
De Rosa, Fernando 170
De Vita, Agostino 120, 122
Del Vayo, Julio Alvarez 57
Dellarolle, Camilla 108
Delogu, Ignazio 135
Delpiano, Rosa 106
Detoma, Bernardo 117
Detoma, Giovanni di Giuseppe 117
Detoma, Giovanni di Michele 117
Detoma, Giuseppe 117
Detoma, Michele 117
Detti, Tommaso 27, 30, 51, 120, 122, 124
Di Castro, Federica 132, 133, 135
Di Vittorio, Giuseppe 26, 40, 48, 54, 58, 170
Diaz, José 40
Dietrich, Marlene 135
Diodati, fratelli 63
Don Biagio bolscevico v. Leone, Francesco
Donini, Ambrogio 28
Dos Passos, John 132
Durruti, Buenaventura 54
Džugašvili, Iosif Vissarionovic (Stalin) 8, 40, 45,
48, 51, 52
Enrico, Delfina 111
Ermini, Dina 51
Estella v. Noce, Teresa
Estelrich, Juan 127, 133, 134
Evans, Walker 135
Fabre, Giorgio 52
Facelli, Domenico 120, 124
Falco, Bernardo 22, 29
Falco v. Lario, Plinio
Fant, Sergio 136
Fantin, Giovanna 74
Faravelli, Giuseppe 70
Ferno, John 132
Ferrara, Giuliano 27
Ferrari, Germano 71, 76
Ferraris (?), comandante di compagnia 69
Ferrero, Felicita 51
Finotto, Pasquale 82
Flecchia, Vittorio 124
Flores, Marcello 7, 8
Fonovich, Arturo 23, 29
Fontcuberta, Joan 129, 134, 135
Fornasiero, Flavio 28
Fracasso, Gaspare 55, 66, 69, 72, 94, 108, 113115, 120, 157
Fracasso, Pietro 94
Franco y Bahamonde, Francisco 12, 20, 21, 40,
49, 61, 69, 127, 135, 162, 165, 166, 174-176
Franzinelli, Mimmo 52
Fraser, Ronald 45, 52
Frau, Giuseppe 23, 29
Fritz, Pablo v. Batov, Pavel Ivanovich
Furia, Gianni 118
Furno, Salvatore 42
Gallinetti, Teresa 74
Gallo, Luigi v. Longo, Luigi
Gamaccio, Teresio 83
Gannio, Giovanni 60-62, 94, 112, 114, 120
Gannio, Nicola 94
García Lorca, Federico 133
Garibaldi, Giuseppe 114
Garosci, Aldo 119
Gasparelli, Cesare 29
Gaya, Ramón 134
Gerardi, Ettore 71
Gherardi, Nello 29
Ghini, Vittorio 24, 26, 29
Gibelli, Primo 170
Gilardi, Ando 132
Gilli, Michele 29
Giolitti, Giovanni 88
Giovannini, Spartaco 23, 29
Giral Pereira, José 173
Giuseppe, miliziano vercellese 70
Giussani, Enrico 115
Gnerro, Giovanni 71
Gomez, José v. Barberis, Giovanni
Gonzáles, Julio 133
Gonzáles, Valentín (El campesino) 39
Gonzáles Quintana, Antonio 134-136
Graglia, Annibale 95, 120
Graglia, Secondo 95
Graziano, Marino 59
Green, Jerald 134, 135
179
Guerini, Pietro 22, 24, 29
Guggia, Andrea 112
Gurgo, Gilio 74, 75
Gurgo, Raimondo 74
Lukacs, Paul alias Máté Zalka v. Béla, Frankl
Lukanov, Karlo Todorov 168
Luna, pittore spagnolo 133
Lussu, Emilio 21, 29
Heartfield, John v. Herzfeld, Helmut
Hemingway, Ernest 126, 132
Hernandez, Jesús 136
Herzfeld, Helmut 128
Hills, George 49
Hitler, Adolf 13, 58, 161, 164
Horna, Kati 128, 129, 135
Macchieraldo, Andrea 97, 121
Macchieraldo, Michele 97
Mac Leish, Archibald 132
Maffeo, Maria 110
Magoga Antonio 29
Magrini v. Garosci, Aldo
Maia, Roberto 119
Mairone, Antonio 72
Malacarne Giovanni 29
Malatesta, Errico 88, 114
Malraux, André 38
Mambrin, Antonio 29
Manacorda, Giuseppina 101
Maniera, Aristodemo 121, 122
Manuilskij, Dmitriy Zakharovych 38
Marcellino, Nella 63
Marchetti, Giuseppe 24, 29
Marchi, Orazio 51
Marchina, Angelo 24, 29
Mario (?), comandante di compagnia 69
Martinelli, Renzo 120, 122
Martín Expósito, Alberto 134-136
Marty, André 40, 132, 135
Massara, Massimo 121, 123
Masserano, Luigia 76
Masson, André 133
Mateos, pittore spagnolo 133
Mayo, Faustino 128
Mayo, Francisco 128
Mellina Sartore, Alfonso 98, 114, 121
Mellina Sartore, Giovanni Battista 98
Menegozzo, Maddalena 90
Mercandino, Idelmo 58
Messen, Carolina 99
Mezzano, Antonio 98
Mezzano, Giuseppe 69, 75, 98, 113, 121
Miaja, José 136, 174
Mignemi, Adolfo 120, 135
Milanaccio, Panacea 112
Milite Rosso (Il) v. Nenni, Pietro 123
Milza, Pierre 83, 123
Minazio, Alfredo 99, 114, 121
Minazio, Pietro 99
Minazzi, Fabio 122
Minero Re, Giovanni 99
Minero Re, Quintino 67, 99, 121
Minetto, Attilio 60-62, 99, 121
Minetto, Giovanni 99
Minghetti, Giuseppe 29
Ibárruri Gómez, Dolores (La pasionaria) 49, 54
Ida (?), amica di Teresio Caron 68
Irico, Angelo 75, 95, 114, 119-121
Irico, Giacomo 95
Isola, Gianni 9, 10, 30, 50, 52
Ivens, Joris 132
Jacchia, Pietro 170
Jaubert, Alain 133
Juliá, Santos 41, 51, 52
King v. Minero Re, Quintino
Knox, Bernard 37, 45, 49, 52
Kokoschka, Oskar 133
Kropotkin, Pëtr Alekseevic 114
Kurzman, Dan 49
Landini, Enea 20, 29
Largo Caballero, Francisco 41, 54, 166, 173,
175
Lari, Pietro 24, 29
Lario, Plinio 96, 113, 114, 120
Lastella, Maria 119
Lemagny, Jean-Claude 135
Lenin v. Ul’janov, Vladimir Il’ic
Leone, Antonio 96
Leone, Francesco 18-22, 25-30, 39, 41, 42, 46,
58, 66, 70, 96, 113, 114, 120, 169
Lesca, Maria 104
Leto, Guido 84
Líster, Enrique 128
Llanos, Virgilio 19
Lombezzi, Nazzareno 22, 29
Longo, Luigi 26, 28, 39, 40, 43, 50-52, 58, 120123, 165, 168, 170
Lonni, Ada 83
López, Alvaro 20, 27-29, 85, 86, 118
López, giovane spagnolo 55
López Tienda, Rafael 19
López Mondéjar, Publio 133, 134, 135, 136
Lorenzo, César M. 50, 52
180
Miravitlles, Jaume 128
Miró, Joan 133
Mola Vidal, Emilio 165
Molinari, Domenico 100, 121
Molinari, Pietro 100
Molino, Caterina 96
Mondadori, Alberto 134
Montagnana, Franco 63
Montagnana, Mario 58
Montanar, Rocco 29
Montarolo, Antonio 100
Montarolo, Francesco 69, 100, 114, 121
Monti, Pietro 71
Morando, Francesco 72
Moranino, famiglia 82
Moranino, Luigi 64, 83, 84, 119
Mosca, Giovanni 100
Mosca, Giuseppe 69, 100, 113, 114, 121, 124
Mosca Carlottin, Antonio 66-69, 80, 84, 101,
114, 121
Mosca Carlottin, Giovanni 101
Motta, Adamastore 29
Muccini, Ugo 21, 23, 26-30, 121
Mussolini, Benito 7, 21, 53, 68, 70, 71, 88, 158
Mussone, Maria 89
Nahoum, Isacco (Milan) 122
Namuth, Hans 129, 135
Nannetti, Nino 41, 170
Nappi, Antonio 29
Nardini, Domenico 22, 29
Natoli, Claudio 50-52
Naula, Rosa 88
Negarville, Osvaldo “Valerio” 46, 48
Negrín López, Juan 54, 175, 176
Negro, Giuseppe 71
Negro, Maria 106
Nenni, Pietro 49, 120, 122, 123, 165, 170
Nerozzi, Amedeo 24, 29
Nervi, Ernesto 71, 76
Nese, Adelaide 90
Noca, Carlo 74
Noca, Giulia 74
Noca, Paolo 74, 75
Noca, Pietro 74, 75
Noce, Teresa 39, 40, 46, 50, 75, 120-124
Novas Calvo, L. 120
Occhio Policarpo, Caterina 107
Orlandino, Vittorio 24, 29
Ortoleva, Peppino 136
Orwell, George v. Blair, Eric Arthur
Ottaviano, Chiara 136
Ottino, Amabile 103
Pacciardi, Randolfo 120, 122, 126, 132, 133,
167, 169, 170
Pagès, Pelai 134
Pais, Giordano 29
Pajetta, Giuliano 38, 40, 43, 46, 50-52, 58, 67,
75, 115, 126, 132, 134
Pajetta, Piero “Nedo” 63, 64, 82, 84
Pareti, Rocco 71
Parodi, Livia 100
Parsini, Carlo 72, 77
Pasini, Giulio 22, 29
Pasionaria (La) v. Ibárruri Gómez, Dolores
Pavanin, Pietro 19, 20, 22, 23, 26-29
Perazio, Emilia 74
Pérez Millán, Juan Antonio 134-136
Perino, Emilio 74, 75
Perino, Giovanni 74
Perino, Giovanni di Emilio 74, 75
Perlino, Irma 103
Perona, Gianni 9, 118
Pesce, Giovanni 52, 118, 120-124
Pezzetta, Augusto 29
Picasso, Pablo (Pablo Ruiz y Picasso) 133
Picciardi (?), miliziano 74
Piccinato, Silvio 49
Picco, Teresa 74
Pietrov v. Lukanov, Karlo Todorov
Pillon, Cesare 52, 123
Pizarróso Quintéro, Alejandro 51, 130, 133-136
Platone, Felice 58, 170
Poli, Gino 24, 293
Pollone, Antonia 95
Poma, Anello 50, 69, 78, 82-86, 101, 112-114,
118-124
Poma, Claudio 101
Poma, Ermete 72
Porta Variolo, Maddalena 105
Porta Variolo, Melania 91
Premoli, Giovanni 29
Prestes, Luis Carlos 26
Prevosto, Francesco 68, 102, 114, 122
Prevosto, Maurizio 102
Prieto, Gregorio 133
Prina Cerai, Carla 84
Prina Cerai, Emilio 103
Prina Cerai, Ezzelino 103, 113, 118, 122
Procacci, Giuliano 52
Puccini, Dario 49
Quaglino, Felice 51
Quagliotti, Giovanni 103
Quagliotti, Lorenzo 103, 114, 122
Quagliotti, Rolando 73, 103, 114, 122
Quarelli, Luigi 71
181
Quazza, Guido 83
Queipo de Llano, Gonzalo 127, 165
Quiriconi, Aladino 112
Radice, Rosa 104
Ramazzini Pietro 29
Ramella (?), miliziano 75
Ramella, Caterina 88
Ramella, Franco 64, 83, 123
Ramella, Giuseppe (?), miliziano 74
Ranzato, Gabriele 48, 52
Rapone, Leonardo 50-52
Rava, Enzo 29
Ravetto, Carlo 66, 104, 122
Ravetto, Giovanni 104
Ravetto, Silvio 66
Reale, Pietro 74
Regis, Maria 89
Regler, Gustav 120, 168
Reisner, George 129, 135
Renati v. Caneparo, Annibale 91, 92
Renau, Josep 128, 133-135
René v. Caneparo, Annibale
Richards, Vernon 50
Righi, Maria Luisa 120, 122
Rigola, Rinaldo 51
Rigolino, Alessandro 70, 115
Rinaldi, Gottardo 23, 29
Riquelme, Manuel 29
Rivetti, Giovanni 50, 51, 104
Roasio, Antonio 19, 28, 38-52, 67, 78, 83, 104,
114, 115, 121-123
Roasio, Giovanni 50
Roasio, Giuseppe 104
Rolla, Domenico Bruno 21, 29
Rosazza Gianin, Elena 101
Roselli, Floro 64
Rosenberg, Marcel 40
Rosselli, Carlo 18, 170
Rossetti, Adriano 59-63, 66, 69, 78, 82, 83,
105, 106, 109, 113, 114, 123
Rossetti, Aurora 59, 61-64, 66, 124
Rossetti, Bruno 60, 61, 63, 83, 85, 105, 123
Rossetti, Ernesto 85, 111, 124
Rossetti, famiglia 61, 81, 83
Rossetti, Francesco (padre di Giuseppina) 59
Rossetti, Francesco (di Francesco) 111
Rossetti, Giorgina 59
Rossetti, Giovanni 105
Rossetti, Giuseppina (Fifina) 59-64
Rossetti, Liliana 59, 63, 66
Rossetti, Mario 60
Rossi, Antonio 71, 76
Rossi, Guido 136
182
Rossi, Lucia 92
Rosso, Augusto 48
Rouillé, André 135
Roveda, Giovanni 92
Rovighi, Alberto 123
Rubini, Libertario 29
Ryabov, Vasily 135
Salinari, Carlo 50, 51, 121, 123
Sanchéz Pérez, Alberto 133
Santagostino, Attilio 73, 111, 124
Santagostino, Francesco 111
Sartoris, Camillo 117
Sartorti, Rosalind 135
Sasso, Osvaldo 72
Sassu, Aligi 133
Savio, Giovanni Battista 71
Scalcon, Vittorio 24, 29
Scalfoni, Guerrino 72
Scandolera, Caterina 94
Scanzio, Ernesta 108
Scaramuzza, Emma 52
Schiapparelli, Francesca 111
Schiapparelli, Stefano “Willy” 83, 124
Schintone, Pietro 74, 75
Scioscioli, Massimo 132, 135
Secchia, Giovanni 106
Secchia, Matteo 75, 106, 114, 123
Secchia, Pietro 25, 28, 41, 45, 106
Segovia, Francisco 129, 135
Sella, Olinto 68, 69, 85, 106, 114, 123
Sella, Probo 106
Semprun Maura, Carlos 49
Senna, Pietro 29
Serrano, Carlos 134
Serrano Gomez, Juan José “Serrano” 127
Seymour, David “Chim” 126, 134
Siletti, Carlo 60, 61, 63, 69, 73, 106, 114, 123
Siletti, Valentino 106
Silvestrini, Umberto 29
Simonetti, Virginia 106
Sodano, Angela 74, 111
Sorrentino, Lamberti 127, 128, 134
Sozzi, Gastone 21, 25, 30
Spada, Angelo 29
Spano, Velio 40
Sparano, Ciro 29
Spina, Luigi 118
Spriano, Paolo 20, 21, 28, 29, 39-41, 50-52,
121-123
Stagnetti, Felice 29
Stalin v. Džugašvili, Iosif Vissarionovic
Starace, Achille 157
Stefani, Filippo 123
Suermondt, Rik 133
Tamagno, Giovanni 107
Tamagno, Giuseppe 66, 107, 114, 123
Tamburini, Giovanni 20, 29
Tarchetti, Simona 83
Taro, Gerda 126, 134
Thomas, Hugh 49, 501
Thorez, Maurice 165
Togliatti, Palmiro 39, 40, 42, 45, 47-49, 105,
123, 170, 171
Togna, Angelo 118
Tollot, Giovanni 23, 24, 29
Tondella, Battista 107
Tondella, Carlo 67, 73, 75, 107, 114, 115, 124
Tondella, Domenica 89
Tondella, Federico 67, 75, 115
Tonussi, Antonio 20, 29
Torcellan, Nanda 130, 134, 135
Traverso, Mario 115
Tuñon De Lara, Manuel 49-51
Uberti Bona, Carolina 108
Ukmar, Anton 29
Ul’janov, Vladimir Il’ic (Lenin) 13
Vacchetta, Francesco 70
Valsesia, William 63, 82
Vanelli, Lorenzo 28, 86
Vanni, Melchiorre 170
Varela, José Enrique 41
Varnero, Benedetto 73, 108, 114, 124
Varnero, Enrico 108
Vecchiolino, Angela 94
Venezia, Alessandro 108
Venezia, Eraldo 55, 56, 66, 72, 94, 108, 113115, 124, 157
Venza, Claudio 50
Verc, Francesco 29
Vercellino, Maria 110
Vermicelli, Gino 63
Viana, Emilio 108
Viana, Luigi 68, 82, 108, 113, 114, 124
Vico, Luigi 23, 29
Vidal, Martín 129
Vidali, Vittorio 41, 46, 52, 60, 64, 170
Vignale, Eugenio 29
Vilar, Pierre 49
Vineis, Emilia 109
Viotti, Giuseppe 71
Vittorio Emanuele III 88
Vivian, Romeo 29
Volpato, Lindo 23, 29
Wedin, Edward 20, 29
Wiemken, pittore spagnolo 133
Wilson, Ann 134, 135, 136
Zaldera, Giuseppe 156
Zalka, Máté v. Béla, Frankl
Zanada, Carlo 68, 69, 109, 114, 124
Zanada, Giuseppe 109
Zanazzo, Secondino 71, 76
Zanettin, Paolo 20, 29
Zanone (?), tenente colonnello 74
Zanone, Battista 74, 75
Zanone, Lorenzo 74, 111
Zanone, Vittorio 73, 111, 124
Zanoni, Arturo 74
Zanotti, Arialdo 60-63, 66, 79-81, 84, 109, 114,
124
Zanotti, Celestino 109
Zanotto, Celestino 110
Zanotto, Riccardo 67, 82, 110, 113, 114, 124
Zennaro, Giovanni 29
Zitelli, Fabrizio 123
Zocchi, Lino 23, 26, 27, 29, 118, 119
Zucchetti, Alessandro 110
Zucchetti, Giovanni 85, 110, 124
Zuccoli, Ludovico 134
Zugazagoitia, Julián 52
Zuppa, Pietro 112
Zuppa, Pio 73, 85, 112, 124
Zurilli, Orlando 29
183
Indice dei luoghi*
Abissinia 18, 29, 154, 157, 164, 165
Africa 72
Africa orientale 70
Aix-les-Bains (Savoie) 106, 112
Albacete (Spagna) 39, 41, 46, 47, 54, 62, 67,
80, 88, 89, 91, 95, 98, 101, 103, 104, 115,
159, 166, 167, 169, 170, 172, 174
Alessandria 26, 50, 74
Algeria 87, 107, 108
Alicante (Spagna) 40, 174
Almudévar (Huesca) 109
Alsazia (Francia) 83
Altamura (Ba) 96
America 112
America del Sud 107, 113
America latina 167
Ancona 110
Andalusia 54, 127, 160
Andorno Micca 106
Anghiari (Ar) 92, 103
Annecy (Haute-Savoie) 77, 83, 111
Annemasse (Haute-Savoie) 111
Aosta 72, 109
Aragón, monte (fronte dell’Aragona) 92, 109,
115, 119
Aragona 55-57, 89, 90, 102, 106, 109, 131,
144, 159-161, 175
Arcola (Sp) 21
Arganda (Madrid) 98, 100, 101, 105, 107, 123
Argelès-sur-Mer (Pyrénées-Orientales) 29, 57,
89-91, 93, 94, 98, 102, 106, 110, 114
Argentina 93, 104
Asia 164
Asigliano Vercellese 25, 96, 98, 113
Asturie 39, 48, 53, 174, 175
Aulnay-sous-Bois (Seine-Saint-Denis) 81, 90,
91, 105
Austria 29
Badolato (Cz) 76
Balocco 82, 93, 113
Barcellona (Spagna) 19, 23, 45, 54, 66, 68-71,
80, 84, 88, 89, 94, 99, 103, 104, 129, 164,
171, 173-175
Bardonecchia (To) 70, 92, 100, 105
Basilea (Svizzera) 24, 60, 99
Bayonne (Pyrénées-Atlantiques) 98
Belchite (Saragozza) 100, 101, 108, 110
Belfort (Territoire de Belfort) 83, 90, 91
Belgio 21, 24, 29, 89, 109, 113, 116, 117, 171
Benicásim (Castellón) 88, 99
Berlino 116
Bianzè 55, 108, 113
Biella 25, 51, 55, 74-76, 82, 89-92, 96, 98102, 104, 107-110, 113, 157
Biellese 51, 64, 74, 78, 81-83, 86, 91, 92, 100,
105, 108-110, 113, 123, 157
Bilbao (Vizcaya) 175
Bisaccia (Av) 76
Boadilla del Monte (Madrid) 91, 98, 100, 101,
105, 107, 110
Boccioleto 89, 113
Bologna 22, 50, 86
Bolzaneto (Ge) 24
Bondy (Seine-Saint-Denis) 111
Bordeaux (Gironde) 66, 67, 88, 104
Borgo d’Ale 76
Borgosesia 72, 76, 77, 88, 112, 113
Boulogne-Billancourt (Hauts-de-Seine) 108
Bourg-Madame (Pyrénées-Orientales) 102
Brasile 22, 25, 26, 96, 97
Brennero 110
Briançon (Hautes-Alpes) 102
Briga (Svizzera) 103
Broni (Pv) 75
Brunete (Madrid) 88, 101, 110, 131, 132, 175
Brusnengo 74
Bruxelles (Belgio) 28, 110, 116
Buchenwald (Germania) 108
Buenos Aires (Argentina) 93, 104
Bujalaroz (Saragozza) 97
Burgos (Spagna) 173, 174
* Non sono state considerate le voci Italia e Spagna. Delle località vercellesi, biellesi e valsesiane non
è stata riportata la sigla della provincia.Di ogni frazione di comuni delle province di Biella e Vercelli è
indicato, tra parentesi, il capoluogo (situazione al 2014); per i comuni al di fuori delle stesse sono
indicate le province di appartenenza all’epoca (per i comuni del Canavese è indicato anche il cambio
di provincia nell’immediato dopoguerra); per i comuni francesi è indicato il dipartimento, per quelli
spagnoli la provincia (per i capoluoghi lo stato); per altre località lo stato di appartenenza.
184
Camandona 103, 113
Campillo de Llerena (Badajoz) 62, 100, 102,
108, 110, 159
Canada 166
Candelo 108, 109, 113
Cannes (Alpes-Maritimes) 92
Cap-Martin (Alpes-Maritimes) 101
Caraman (Haute-Garonne) 96
Carbonia (Ca) 134
Carcassonne (Aude) 54, 159
Casa de Campo (Madrid) 62, 93, 94, 97, 99101, 107, 109, 110, 169
Casale Monferrato (Al) 74
Caspe (Saragozza) 56, 90, 91, 94, 101, 103,
107
Castelnau-Durban (Ariège) 96
Castelnovo del Friuli (Ud) 68
Catalogna 15, 19, 56, 82, 128, 159, 160, 163,
167, 171, 173, 175
Cavaglià 72, 94, 97, 108, 113
Cecoslovacchia 161, 164, 166
Cenicientos (Madrid) 19, 97, 173
Ceresane (Mongrando) 59, 63
Cerro de los Angeles (fronte di Madrid) 39, 93,
94, 97, 99, 104, 107, 110, 123, 168, 169, 174
Cerro Muriano (Cordoba) 132
Cerro rojo v. Cerro de los Angeles
Cervo, valle 80
Chambéry (Savoie) 112
Chapinería (Madrid) 19, 22, 23, 24, 29, 97, 174
Chardanne (Svizzera) 76
Cherbourg (Manche) 96
Chiavazza (Biella) 100, 109
Cina 164
Civitavecchia (Rm) 26, 155
Clifton (Usa) 93
Colonia (Germania) 109
Como 95, 157
Connecticut (Usa) 93
Corbera d’Ebre (Tarragona) 92
Cordova (Spagna) 132
Cossato 81, 89, 93, 100, 113
Cossila (ora fraz. di Biella) 99, 113
Costigliole d’Asti (At) 50
Cuba 14
Curanuova (Mongrando) 59
Curino 71, 98, 113
Dachau (Germania) 108
Desana 76
Detroit (Usa) 74
Domodossola (No) 70, 98
Dorzano 93, 113
Drancy (Seine-Saint-Denis) 22
Eaubonne (Val-d’Oise) 91
Ebro, fiume 56, 57, 160, 161
Ebro, fronte 90, 91, 94, 95, 101-103, 106, 107,
159-162, 175
Elvo, valle 81
Emilia-Romagna 22, 47, 96, 105
Estremadura 55, 56, 62, 90, 94, 95, 101, 106,
109, 157, 159
Etiopia 7
Farlete (Saragozza) 55, 94, 101, 107, 108, 110
Figueras (Girona) 159
Firenze 85, 105
Fombio (Mi) 76
Fontecchio (Aq) 76
Forlì 22
Fossoli (Carpi, Mo) 24
Francia 8, 14, 19, 21, 22, 25, 26, 28, 29, 38,
40, 47, 51, 53, 56-61, 63, 65, 67-70, 72, 74,
75, 77-83, 87-104, 106-115, 117, 123, 124,
155, 157, 159-161, 164-167, 171, 172, 176
Fubine (Al) 82
Fuentes de Ebro (Saragozza) 54, 55, 89, 92,
101, 107, 108, 110, 160
Gaglianico 89, 90, 95, 113, 119
Gandesa (Tarragona) 56, 102, 162, 175
Gardanne (Bouches-du-Rhône) 107
Gattinara 71, 72, 74, 76, 92, 111, 113
Genova 85, 89
Germania 7, 8, 20, 57, 58, 114, 115, 164, 165,
173, 174, 175, 176
Getafe (Madrid) 168
Giappone 164, 175, 176
Gibilterra 173
Gijón (Asturias) 175
Ginevra (Svizzera) 98, 114, 163
Gordola (Svizzera) 98
Gran Bretagna 8, 88, 113, 161, 165, 166, 176
Granada (Spagna) 133
Grañen (Huesca) 135
Granze (Pd) 90
Grenoble (Isère) 103, 105, 111
Guadalajara (Spagna) 62, 88, 91, 98, 100, 101,
105, 107, 131, 134, 136, 143, 144, 157, 169,
170, 174
Guadarrama, sierra (fronte di Madrid) 131, 140,
175
Guernica (Vizcaya) 127, 174
Gurs (Pyrénées-Atlantiques) 28, 29, 57, 58, 8991, 93, 94, 98, 101, 102, 106-110, 115
Huesca (Spagna) 88, 89, 92, 98, 100-102, 109,
110, 115, 131, 137, 173
185
Inghilterra 7, 14, 165
Irún (Guipúzcoa) 19, 96
Istonio (ora Vasto, Ch) 94
Istria 23
Ivrea (Ao ora To) 103
Marche 29
Marocco 90
Marsiglia (Bouches-du-Rhône) 24, 66, 70, 93,
94, 101, 103, 111, 115, 167
Marzabotto (Bo) 24
Jaén (Spagna) 54, 160
Jarama, fiume (fronte di Madrid) 75, 174
Jarny (Meurthe-et-Moselle) 74
Jugoslavia 13, 58
Masserano 71, 115
Mathi (To) 111
Menton (Alpes-Maritimes) 89-91, 94, 101, 102,
106, 109
Mercato Saraceno (Fo) 22
Messico 58
Mezzana Mortigliengo 66, 104, 113
Milano 24, 25, 51, 70, 75, 76, 97, 100, 105,
114
Mirabueno (Guadalajara) 46, 62, 91, 98, 99,
101, 105, 107, 110, 172
Modane (Savoie) 95, 96, 103
Monaco (Baviera) 13, 161, 164
Monaco, principato 87, 97, 113
Moncenisio, valico di frontiera 77
Moncrivello 75
Monferrato 82
Mongrando 59, 60, 61, 63, 64, 66, 72, 78-80,
90, 91, 94, 99, 105, 106, 109, 113
Montbélliard (Doubs) 103
Monteveglio (Bo) 22
Montevideo (Uruguay) 93
Montreuil (Seine-Saint-Denis) 61, 63, 105
Morata de Tajuña (Madrid) 62, 75, 88, 91, 100,
142
Mosca (Urss, ora Russia) 13, 14, 16, 23, 24, 28,
38-41, 44-48, 52, 67, 86, 104-106, 172
Mosso Santa Maria 89
Mulhouse (Haute-Rhin) 60. 105
Murcia (Spagna) 56, 88, 101, 102, 159
Kienthal (Svizzera) 24, 25
La Mancia 159
La Seyne-sur-Mer (Var) 99
La Tronche (Isère) 95, 111, 112
Lampedusa (Ag) 108
Lantosque (Alpes-Maritimes) 74
Lazio 29
Le Vernet (Ariège) 29, 58, 89-91, 93, 94, 96,
97, 101, 102, 106-110, 112, 117
Leningrado (Urss, ora San Pietroburgo, Russia)
25, 96
Lérida (Spagna) 55, 128, 159, 175
Les Milles (Aix-en-Provence, Bouches du Rhône) 97
Levante (ora Comunidad Valenciana) 56, 109,
159
Liechtenstein 89, 113
Liguria 29
Lione (Rhône) 26, 100, 111
Livorno 25
Livorno Ferraris 103, 113
Lombardia 22, 45, 96, 100
Londra 173
Lorient (Finistère) 98
Loriol-sur-Drôme (Drôme) 103
Losanna (Svizzera) 74
Lucera (Fg) 75
Lugano (Svizzera) 22, 70
Lussemburgo 21, 29, 89, 102, 109, 113
Luzzara (Re) 24
Madrid 19, 27, 29, 39-41, 45, 48, 54, 62, 66,
67, 88, 94, 96, 97, 99, 106, 114, 123, 129,
131, 132, 138, 143, 164-176
Madrigueras (Albacete) 167
Magnano 107, 111, 113
Mahora (Albacete) 99
Maierato (Cz) 89
Majadahonda (Madrid) 46, 91, 98, 100, 101,
105, 107, 172
Malaga (Spagna) 70, 174
Manciuria 164
186
Nervi (Genova) 102
Neuilly-Plaisance (Seine-Saint-Denis) 89
New Jersey (Usa) 93
New York 74, 88, 93, 98
Nicolaev (Urss, ora Ucraina) 28
Nizza/Nice (Alpes-Maritimes) 74, 97, 111
Novara 24, 25, 96, 105, 110
Nuova Castiglia 62
Occhieppo Inferiore 91, 111, 113, 119
Occhieppo Superiore 106, 113
Odessa (Urss, ora Ucraina) 52
Orihuela (Alicante) 159, 163
Oropesa (Toledo) 41
Ospedaletti (Im) 97
Padova 90
Paesi baschi 174
Palazzolo Vercellese 95, 100
Palestro (Pv) 109
Parigi 20, 22, 27, 29, 40, 41, 53, 59-63, 6769, 74, 79, 80, 82, 88-90, 92, 96, 97, 99, 101,
102, 105, 108, 110, 115-117, 133, 158, 159,
166, 170, 172, 174
Parma 26
Paterson (Usa) 88
Pau (Pyrénées-Atlantiques) 57
Pelahustán (Toledo) 19, 20, 22, 29, 97
Pelato, monte v. Aragón, monte
Perpignan (Pyrénées-Orientales) 69, 90, 167
Perugia 19
Peschici (Fg) 76
Pettinengo 74
Piccolo San Bernardo, valico di frontiera 77
Piemonte 29, 100, 105
Pinerolo (To) 74
Pola (ora Croazia) 23, 28
Pollone 88, 113
Pomarico (Mt) 76
Ponderano 117
Portogallo 164, 176
Portogruaro (Ve) 90
Portolongone (ora Porto Azzurro, Li) 26
Pozorrubio (Toledo) 99
Pozuelo de Alarcón (Madrid) 39, 46, 99, 104,
107, 110, 172
Pralungo 70, 71, 75, 76, 157
Prat de Llobregat (Barcellona) 97
Quarona 92, 113
Quintanar del Rey / de la República (Cuenca) 54,
159, 163
Quinto (Saragozza) 143
Real Cenicientos v. Cenicientos
Renicci (Anghiari, Ar) 92, 103
Rio de Janeiro (Brasile) 93
Rivignano (Ud) 74
Roasio 74
Roma 23, 45, 59, 61, 70, 79, 85, 92, 93, 105,
106, 114, 116, 158, 174
Ronco Biellese 108, 113
Rosazza 80, 101, 113
Rosignano Solvay (Rosignano Marittima, Li) 23
Russia 8, 62, 72
Ruta (Mongrando) 59
Sagliano Micca 99, 113
Saint-Cyprien (Pyrénées-Orientales) 29, 63, 95,
101, 104, 107, 109, 110, 114
Saint-Fons (Rhône) 102
Saint-Imier (Svizzera) 76
Sala Biellese 117
Salamanca (Spagna) 67, 75, 133
Salsomaggiore (Pr) 107
Salussola 110, 113
San Germano Vercellese 77
San Giovanni Valdarno (Ar) 51
San Sebastián (Guipúzcoa) 19, 41, 89, 173
Sanremo (Im) 93
Sant Pere Pescador (Gerona) 136
Sant’Eurosia (Pralungo) 157
Sant’Onofrio (Cz) 89
Santa Maria Capua Vetere (Ce) 114
Santander (Cantabria) 89, 175
Santhià 102, 113
São Paulo (Brasile) 96
Saragozza (Spagna) 54, 97, 101, 131, 143, 159
Sardegna 29
Sariñena (Huesca) 97
Sassari 26
Savoia 111
Scipione (Salsomaggiore, Pr) 107
Serralunga di Crea (Al) 74
Serravalle Sesia 111
Sessera, valle 78, 81
Sicilia 29
Siderno (Rc) 76
Sierra de Cavalls 24, 94, 102, 162, 163
Soprana 75, 77
Stati Uniti d’America 14, 66, 74, 87, 88, 93,
98, 113-115, 166
Strona 83
Strona, valle 72, 78
Subbiano (Ar) 105
Svizzera 21, 24, 29, 60, 70, 75, 87-89, 93, 98,
99, 103, 111-115, 157, 171
Talavera (Toledo) 41, 121
Tardienta (Huesca) 109
Teruel (Spagna) 91, 110, 175
Thonon-les-Bains (Haute-Savoie) 111
Ticino, cantone 77
Toledo (Spagna) 41
Tollegno 81, 82
Tolone (Var) 80, 97, 101
Tolosa (Haute-Garonne) 24, 29, 96
Torelló (Barcellona) 100, 163
Torino 25, 30, 45, 72, 74, 76, 77, 89-91, 93,
95, 97, 99, 100, 102, 103, 111, 117
Torricella Peligna (Ch) 89
Tortosa (Tarragona) 23
Toscana 22, 97, 105
Tremiti (Fg) 75, 76, 89, 103
Trentino 29
187
Trieste 110, 170
Trino 77, 95, 100, 113, 117
Trivero 90
Tronzano Vercellese 55, 94, 113, 117
Troyes (Aube) 92
Udine 74
Ungheria 45
Unione Sovietica 7-9, 14-16, 20, 21, 23, 25, 28,
29, 40-42, 44, 46, 47, 49, 51, 57, 58, 62, 82,
87, 95, 96, 97, 99, 104, 106, 110, 113, 114,
129, 167, 170-172
Uruguay 104
Ustica (Pa) 25, 92, 108
Valdeavero (Madrid) 62
Valencia (Spagna) 74, 91, 95, 159, 164, 169,
174, 175
Valle d’Aosta 92, 105
Valle Mosso 90
Valsesia 86, 92, 112, 113
Varallo 88, 113
Vargem Grande do Sul (Brasile) 96
Vaticano 175
Vaujours (Seine-Saint-Denis) 79
Veneto 22, 105
Venezia Giulia 22
Venezie 110
188
Ventimiglia (Im) 102, 107
Ventotene (Lt) 69, 87, 89-92, 101-103, 106,
107, 109, 110, 120
Vercellese 25, 55, 86, 100, 103, 112, 113
Vercelli 25, 39, 50, 51, 63, 66, 67, 69-71, 7476, 80, 81, 86, 89, 91-98, 100-105, 107, 109,
110, 113, 115, 116
Vercelli, provincia 53, 65, 67, 72, 86, 102
Vernet v. Le Vernet
Verrone 95, 113
Vicentino 95
Vichy (Allier) 63, 75
Vicién (Huesca) 89
Vienna (Austria) 164
Vienne (Isère) 89, 94, 95
Vigonovo (Ve) 76
Villanueva del Pardillo (Madrid) 147
Villejuif (Val-de-Marne) 22, 109
Villeparisis (Seine-et-Marne) 59-62, 66, 79, 81,
90, 94, 105, 106, 109
Villeurbanne (Rhône) 100, 106
Vincennes (Val-de-Marne) 89
Viverone 107, 113, 115
Voghera (Pv) 75
Zimmerwald (Svizzera) 24
Zubiena 76, 94, 107, 113, 117
Zumaglia 74, 106, 113, 119
Indice
Presentazione della 2a edizione
Prefazione di Nicola Tranfaglia
p.
”
Prima parte: saggi
Marcello Flores
Considerazioni per la discussione storiografica sulla guerra civile spagnola
Gianni Isola
Francesco Leone e la centuria “Gastone Sozzi”. Analisi quantitativa
di una leggenda
Adriano Ballone
Antonio Roasio e le brigate internazionali. Spontaneità e organizzazione
nella guerra civile spagnola
Anello Poma
La gioventù antifascista biellese in difesa della Repubblica spagnola
Luigi Moranino
Adriano Rossetti e il gruppo di Mongrando dall’emigrazione in Francia
alla guerra di Spagna
Piero Ambrosio
Antifascismo e guerra di Spagna: “miliziani rossi” e altri “sovversivi”
nei documenti del Casellario politico centrale
Gianni Perona
La partecipazione dei biellesi alla guerra di Spagna:
spie di una trasformazione
” 11
Seconda parte: biografie
Piero Ambrosio
Vercellesi, biellesi e valsesiani volontari antifascisti in Spagna
5
7
” 12
” 18
” 37
”
53
” 59
” 65
” 78
” 85
” 86
Terza parte: immagini
Pierangelo Cavanna
“Simboli che sembrano documenti”. L’uso della fotografia nel
“Calendario del Garibaldino 1938”
Immagini scelte del “Calendario del Garibaldino 1938”
” 125
Appendice
Anello Poma
La guerra di Spagna: ricordi e riflessioni
Antonio Roasio
Un’esperienza antifascista nella Spagna della guerra civile
Cronologia
Indice delle persone
Indice dei luoghi
” 153
” 126
” 137
” 154
”
”
”
”
164
173
177
184
189