L`OSSERVATORE ROMANO
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L`OSSERVATORE ROMANO
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVI n. 152 (47.287) Città del Vaticano mercoledì 6 luglio 2016 . Videomessaggio del Papa per la campagna di Caritas internationalis Bogotá tra l’intesa con la Farc e gli attacchi dell’Eln In Siria la pace è possibile Dialogo nonostante le violenze Incredibili quantità di denaro vengono spese per le armi mentre il popolo soffre «Incoraggio tutti a proclamare con forza che la pace in Siria è possibile! La pace in Siria è possibile!»: è un auspicio che Papa Francesco ripete per ben due volte, quello espresso nel videomessaggio a sostegno della campagna lanciata da Caritas internationalis martedì mattina, 5 luglio. Da mezzogiorno sul nuovo sito internet attivato appositamente per l’iniziativa (syria.caritas.org) le parole del Pontefice riecheggiano in italiano — sottotitolate in inglese — nei cinque continenti attraverso la rete e i social network, per contribuire alla più grande operazione di soccorso intrapresa dall’organismo caritativo nel mondo. Un’azione umanitaria fatta di forniture di cibo e di beni di prima necessità, assistenza sanitaria, istruzione, rifugio, consulenza psicologica, protezione. Francesco esordisce ricordando che «la guerra in Siria, oramai entrata nel suo quinto anno» provoca condizioni «di indicibile sofferenza di cui è vittima il popolo, costretto a sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga verso altri Paesi», lasciandosi dietro tutto. E il pensiero del Papa va subito «alle comunità cristiane, a cui» assicura tutto il proprio «sostegno a causa delle discriminazioni che devono sopportare». Rivolgendosi poi a quanti «sono impegnati, con Caritas, nella costruzione di una società più giusta», Francesco evidenzia come «incredi- bili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti». Con la denuncia «che alcuni dei Paesi fornitori di armi, sono anche fra quelli che parlano di pace». Ecco allora l’invito «a vivere con entusiasmo quest’Anno della Misericordia» pregando «per la pace in Siria e per il suo popolo in occasione di veglie, di iniziative di sensibilizzazione nei gruppi, nelle parrocchie e nelle comunità, per diffondere un messaggio di unità e di speranza». E alla preghiera, il Pontefice chiede di far seguire opere concrete, per esempio stimolando quanti sono «coinvolti nei negoziati di pace, affinché prendano sul serio questi accordi e si impegnino ad agevolare l’accesso agli aiuti umanitari». Del resto, secondo Francesco tutti dovrebbero riconoscere «che non c’è una soluzione militare per la Siria, ma solo una politica». E di conseguenza la comunità internazionale è chiamata a «sostenere i colloqui di pace verso la costruzione di un governo di unità nazionale». Il messaggio si conclude con l’esortazione a unire «le forze, a tutti i livelli, per far sì che la pace nell’amata Siria sia possibile. Questo sì — è la considerazione finale del Papa — che sarà un grandioso esempio di misericordia». PAGINA 7 Appello dell’Onu per l’invio immediato di aiuti umanitari ai civili siriani Quattro città allo stremo DAMASCO, 5. Quattro città siriane sono alla fame, messe in ginocchio da combattimenti che si protraggono da quasi dodici mesi: servono perciò aiuti immediati per garantire, pur tra le violenze, la sopravvivenza della popolazione civile. Questo l’appello lanciato ieri da funzionari delle Nazioni Unite al lavoro in Siria. Le città sono quelle di Madaya, Zabadani, Foua e Kafraya. Le prime due, poco fuori Damasco, sono circondate dalle forze governative che combattono contro i ribelli. Quelle di Foua e Kafraya, nel nord ovest della Siria, subiscono invece l’assedio delle forze ribelli. Le quattro città sono isolate dall’anno scorso e sempre più rari sono i carichi di aiuti che riescono ad arrivare. A Foua e Kafraya l’ulti- mo carico era stato consegnato ad aprile. Circa 62.000 persone sono intrappolate nei combattimenti e rischiano la vita. Manca tutto: dai generi alimentari alle cure mediche, ai servizi più elementari, come quelli igienici. Secondo Medici senza frontiere, a gennaio sedici persone sono morte di fame a Madaya a causa dell’assedio. La mancanza di rifornimenti non fa che accrescere la gravità delle condizioni dei civili sottoposti a violenze in diverse parti del Paese. L’organizzazione internazionale Amnesty International ha denunciato ieri che alcuni gruppi dell’opposizione armata in Siria si sono macchiati di abusi gravissimi nei confronti dei civili. L’organizzazione ha documentato «un’ondata agghiacciante di torture, Ocse e Fao chiedono un’azione dei Governi y(7HA3J1*QSSKKM( +.!z!/!z!.! Politiche contro la fame PAGINA 2 rapimenti e omicidi sommari nelle zone controllate dai ribelli», ovvero gruppi di diversa estrazione, molti dei quali legati anche al terrorismo. Secondo l’organizzazione che si batte per i diritti umani, a compiere gli abusi sarebbero stati in particolare cinque gruppi armati, tra i quali figurano alcune milizie appoggiate dagli Stati Uniti e da altre potenze regionali e il Fronte Al Nusra, il braccio di Al Qaeda in Siria. Il rapporto è basato su interviste a circa settanta persone che vivono o lavorano nelle province settentrionali di Aleppo e Idlib, zone profondamente segnate dai combattimenti e dalle violenze. «Mentre alcuni civili nelle aree controllate da gruppi armati di opposizione potrebbero in un primo momento aver accolto positivamente una fuga del Governo siriano, le loro speranze sono naufragate non appena questi gruppi hanno preso il potere e commesso gravi abusi» ha dichiarato Philip Luther, direttore del programma per il Medio oriente di Amnesty. Il rapporto documenta non solo 24 sequestri di attivisti appartenenti sia a minoranze etniche che religiose, ma anche esecuzioni sommarie in pubblico di combattenti filo-governativi, da considerare alla stregua di crimini di guerra. Alcune persone «sono state rapite semplicemente per aver criticato i gruppi armati o per aver suonato della musica» riferisce il rapporto. Amnesty ha quindi invitato i Paesi coinvolti nella crisi a interrompere i trasferimenti di armi ai gruppi implicati negli abusi e a prendere seri provvedimenti affinché tali violenze non abbiano più a ripertersi. Ma dalla Siria non giungono solo cattive notizie. Ieri l’O rganizzazione mondiale della sanità (Oms) ha annunciato di aver consegnato «trattamenti salvavita» a 43.000 persone che vivono a Zamalka e Arbeen, due città siriane della Ghouta orientale in mano ai ribelli e sotto l’assedio delle forze governative. Qui la situazione sta leggermente migliorando per i civili, nonostante i combattimenti. In una nota pubblicata sul sito ufficiale, l’Oms spiega che tra gli aiuti forniti figurano anestetici, farmaci salvavita, antibiotici e kit per rendere potabile l’acqua. Era dal novembre del 2012 che ad Arbeen e Zamalka non entrava un convoglio di aiuti umanitari. Le località erano le ultime delle diciotto — dicono gli esperti dell’Oms — sotto assedio che quest’anno ancora non erano state raggiunte dagli aiuti. Nel comunicato l’O ms ha inoltre specificato che nel 2016 sono stati forniti «trattamenti salvavita a 176.000 civili nella Ghouta orientale». La penna, ricavata da un proiettile, con cui è stata firmata l’intesa tra Governo e Farc (Ansa) BO GOTÁ, 5. I recenti scontri tra l’esercito e i ribelli dell’Eln (Esercito di liberazione nazionale) non piegano il processo di pace di Colombia, giunto ormai alle sue fasi conclusive dopo la firma del cessate il fuoco tra il Governo del presidente Juan Manuel Santos e i ribelli delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), lo scorso 23 giugno. Forte sostegno alla «costruzione della pace in Colombia» è stato espresso ieri dal cardinale Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá, in alcune dichiarazioni riportate da un comunicato della presidenza colombiana. Il presidente Santos ha incontrato ieri alla Casa del Nariño, sede dell’Esecutivo, 115 leader delle principali confessioni religiose presenti nel Paese in occasione della firma di un decreto che istituisce il 4 luglio quale Giornata nazionale della libertà religiosa e di culto in Colombia. Il cardinale Salazar Gómez ha sottolineato l’importanza dell’accordo per il cessate il fuoco tra Governo e Farc definendolo «un passo molto importante». Anche il delegato del Consiglio ecumenico delle Chiese, Rudelmar Bueno de Faria, ha espresso soddisfazione per l’intesa. Dal canto suo, il presidente della Conferenza colombiana della Li- Un testo inedito sul piano nazista per sequestrare Pio XII Quella notte d’inverno del 1944 ANTONIO NO GARA A PAGINA 4 bertà religiosa, della coscienza e del culto, Héctor José Pardo, ha evidenziato che tutte le confessioni religiose del Paese possono «servire alla riconciliazione tra gli attori del conflitto». Il prossimo 17 luglio è in programma una giornata nazionale interreligiosa per la pace in Colombia. E oggi inizia la visita nel Paese dell’inviato speciale dell’Unione europea, Eamon Gilmore, che vuole monitorare i nuovi passi verso la pace. Il conflitto tra Bogotá e le Farc ha causato circa 260.000 morti, 45.000 “desaparecidos” e più di sei milioni di sfollati. L’accordo tecnico sul cessate il fuoco non è il trattato di pace definitivo, anche se spalanca la strada verso questo obiettivo. Ed è stato solo l’ultimo passo di un cammino difficile e complesso, iniziato nell’agosto 2012 con la firma di un accordo generale per porre fine al conflitto e arrivare a una pace duratura. I negoziati iniziarono formalmente pochi mesi dopo, nel novembre 2012. I principali risultati raggiunti sono stati l’accordo sulla riforma rurale (prevede lo sviluppo economico-sociale delle campagne e la distribuzione della terra ai contadini: maggio 2013), quello sulla partecipazione degli ex guerriglieri alla vita politica (con la trasformazione delle Farc in un movimento legale e maggiori garanzie di partecipazione per tutti i cittadini: novembre 2013), la soluzione al problema del traffico illegale di droga (con la creazione di un nuovo piano nazionale per il contrasto del narcotraffico: maggio 2014). A completare il quadro, nel dicembre 2015, c’è stata l’intesa sui risarcimenti (economici, sociali e morali) alle vittime e ai parenti delle vittime, che saranno stabiliti da una commissione speciale; e quindi, pochi mesi dopo, l’accordo per la riabilitazione dei bambini soldato. Tuttavia, come detto, la firma del cessate il fuoco definitivo non significa la fine automatica delle violenze in Colombia, dove il secondo gruppo guerrigliero, l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), e gruppi armati paramilitari continuano a sfidare l’autorità del Governo. E infatti ieri si sono registrati gli ultimi scontri: tre militari colombiani sono morti in un attacco dell’Eln a Caño Dagua, alla frontiera con il Venezuela. Si sarebbe trattato — dicono fonti di stampa — di un’imboscata. Alcune ore dopo l’azione, i guerriglieri dell’Eln sono stati avvistati nella piazza principale di Providencia. La speranza, tuttavia, è che la storica intesa con i guerriglieri delle Farc faciliti i prossimi colloqui di pace tra le autorità di Bogotá e i ribelli dell’Eln, dopo due anni di conversazioni preliminari confidenziali. Anche Washington, a tal proposito, ha inviato un proprio delegato per accelerare il dialogo. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 6 luglio 2016 Un bandiera britannica tra gli scranni del Parlamento europeo (Ansa) Ocse e Fao chiedono un’azione dei Governi a favore di un’agricoltura sostenibile Politiche contro la fame Prima sessione plenaria ordinaria del parlamento di Strasburgo dopo la Brexit Nuovo passo per l’Europa Regno Unito, di una perdita del prodotto interno lordo nel 2017 dell’1,2 per cento. Sul piano politico, invece, si prende atto del passo indietro dei due paladini della Brexit: l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson, che ha ritirato la sua candidatura a premier, e Nigel Farage, che ha lasciato la guida del partito da lui fondato, l’Ukip. Farage, però, partecipa alla Plenaria di Strasburgo STRASBURGO, 5. Il Parlamento europeo, riunito nella sua prima plenaria ordinaria dopo il referendum sulla Brexit, discute del nuovo slancio che l’Unione europea deve ritrovare sul piano politico e su quello economico. Intanto, la Gran Bretagna è alle prese con i primi dati sulla recessione e le prime votazioni per le candidature per il nuovo premier. A Strasburgo il messaggio ribadito è che, nel dopo Brexit, non si può tornare al «business as usual». Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, non ha nascosto critiche in questo senso all’Esecutivo. Ma per tutta risposta all’avvio della Plenaria, al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, è arrivato l’appoggio delle principali famiglie politiche dell’Europarlamento. Manfred Weber, presidente del gruppo Partito popolare europeo, Ppe, sottolinea che «Juncker ha fatto molte riforme in vari settori», per poi ribadire «il pieno appoggio». Gianni Pittella, presidente del gruppo dei socialisti e democratici, S&D, sottolinea che «tempi straordinari richiedono reazioni straordinarie», ma spiega che «non è giusto cercare il capro espiatorio nel presidente della Commissione». Piuttosto, Pittella chiede che si parli dei «veti e dell’irresponsabilità di alcuni Stati che nell’ambito del Consiglio, molto spesso, lavorano per disfare la tela che faticosamente Commissione e Parlamento preparano». Nel dibattito interviene, sulla stampa, l’ex presidente della Banca centrale europea (Bce), Jean-Claude Trichet, che riconosce il prevalere di una «sensazione di tristezza», ma nega «che l’uscita del Regno Unito possa disgregare il progetto storico dell’Unione europea». Trichet aggiunge poi anche una precisa valutazione economica: «L’impatto sulla crescita economica dei 27 non sarà importante: la percentuale di crescita mancata nel 2017 sarà tra lo 0,2 e lo 0,3 per cento». A Londra la City discute però su altre stime, che parlano, per il Per formare l’Esecutivo dopo il voto del 26 giugno Rajoy avvia consultazioni informali Il presidente del Governo uscente spagnolo (Ap) MADRID, 5. Il presidente del Governo uscente spagnolo, Mariano Rajoy, vincitore delle politiche del 26 giugno ma senza maggioranza, ha avviato oggi le consultazioni informali con un primo incontro con i leader del partito Coalición canaria. Rajoy tenta di formare il nuovo «accompagnare il processo di avvicinamento all’Unione europea, anche attraverso il rafforzamento degli scambi e della mobilità giovanile tra Balcani e Ue». Hollande allude così alla prevista creazione di un Ufficio regionale di cooperazione giovanile. Al vertice, nel pomeriggio all’Eliseo, si parlerà pure dell’attuale contesto di crisi dei rifugiati e di lotta al terrorismo. All’incontro partecipano anche l’Alta Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogherini, e i rappresentanti delle grandi istituzioni finanziarie, come la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Berd) e la Banca europea degli investimenti, (Bei). L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Il direttore della Fao Da Silva, dal canto suo, ha poi auspicato che «la maggior parte della domanda futura dei beni agricoli primari possa essere soddisfatta attraverso i guadagni in termini di produttività e non con l’espansione delle aree coltivate». In Ungheria referendum sui ricollocamenti Balcani più vicini all’Unione GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum menti e non ci sono le condizioni naturali. Queste regioni — ha spiegato Gurrìa — «sono costrette a importare di più e non soltanto per un miglioramento delle condizioni di vita, ma anche perché ci sono più abitanti, perché la popolazione continua a crescere, come ad esempio nell’Africa subsahariana». Il rapporto mostra che nella regione subsahariana il tasso di denutrizione dovrebbe diminuire tra il 23 e il 19 per cento, ma, a causa della rapida crescita demografica, la popolazione continuerà a soffrire la fame. Ciò significa che senza un cambiamento importante, non si riuscirà a raggiungere l’eliminazione della fame entro il 2030, come concordato dalle Nazioni Unite e da tutta la comunità internazionale. In tal senso servono politiche efficaci che possano riequilibrare la distribuzione e la produzione. Un altro grosso problema che pesa sull'agricoltura mondiale è quello della speculazione finanziaria. Questo fenomeno «è presente, quando non c’è informazione» ha spiegato Gurrìa. «Ci sono, infatti, agenti economici, finanziari — banche e così via — che sanno più di altri, e che fanno il mercato. Ma quando abbiamo più informazioni, la speculazione è minore». Naturalmente — ha aggiunto il direttore dell’O cse — «se c’è un ciclone, un uragano, un problema di inondazione, in una regione molto importante dal punto di vista della produzione, abbiamo sempre una reazione dei prezzi». Quello che è importante, però, «è che le riserve alimentari sono oggi oltre il cinquanta per cento di quanto non fossero prima della crisi. E questo è un elemento di forte stabilità». Resta blindato per i migranti il confine meridionale Cooperazione su infrastrutture e giovani PARIGI, 5. La Ue si impegna a mettere a disposizione 150 milioni di euro a favore del potenziamento delle infrastrutture, della rete dei trasporti e di progetti energetici nei Balcani occidentali, ma chiede riforme in linea con gli standard europei. È quanto conferma il commissario Ue all’allargamento, Johannes Hahn, al Forum economico a Parigi, poco prima dell’avvio del vertice tra sei Paesi balcanici e sei Stati membri dell’Unione europea proprio nella capitale francese. Il vertice sui Balcani è diventato un appuntamento ormai annuale, dopo le precedenti edizioni, a Berlino nel 2014 e a Vienna nel 2015. Nelle parole del presidente francese, François Hollande, l’obiettivo è perché non si è dimesso da parlamentare europeo. In questo clima, i deputati conservatori britannici hanno iniziato a votare per scegliere il nuovo leader Tory, dopo le dimissioni di David Cameron. Dopo la prima votazione martedì a eliminazione, ce ne sarà una seconda giovedì. Quando resteranno due candidati, voteranno per posta tutti i militanti del partito. ROMA, 5. Vanno promosse politiche efficaci per permettere la nascita di una nuova agricoltura più sostenibile, che possa accelerare la lotta contro la fame nel mondo. Questo il messaggio contenuto nel rapporto congiunto Ocse-Fao 2016-2025, presentato ieri a Roma dal direttore generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Ángel Gurría, e dal direttore dell’Organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, José Graziano da Silva. Il rapporto prevede un'inversione di rotta per i prezzi dei principali prodotti, che, dopo un lungo periodo di salita, resteranno nell’insieme bassi per il prossimo decennio. Tuttavia, dicono gli esperti, la situazione è ancora altamente incerta, dunque tutte le previsioni vanno fatte con molta cautela. In ogni caso il calo dei prezzi non basterà a sconfiggere la fame nel mondo — ha sottolineato Da Silva — se non vi saranno forti politiche di sostegno per ottimizzare le produzioni agricole e soprattutto per migliorare la distribuzione delle risorse tra Paesi e popolazioni. Un ruolo chiave avrà quindi il commercio globale, in uno scenario di economia ancora in ristagno, con una crescita prevista dell’1,8 per cento rispetto al 4,3 dello scorso decennio. Resta fortemente critica la situazione dell’Africa Subsahariana, dove da qui al 2015, si concentrerà un terzo della popolazione mondiale sottoalimentata, anche se il numero totale scenderà da 788 milioni a 650 milioni. In effetti, il consumo di cibo sta aumentando soprattutto in quelle regioni che non hanno la capacità di produrre nel proprio Paese perché non ci sono gli investi- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio governo, dopo mesi di impasse politica. Il leader popolare ha conquistato 137 seggi su 350 alle legislative, davanti ai socialisti del Partido socialista obrero español, che ne hanno conquistati 85; Podemos, 71 e Ciudadanos 32. Rajoy ha annunciato di volere incontrare tutti i partiti rappresentati nel Congresso dei deputati prima della costituzione del Parlamento il 19 luglio. Il 20 o il 21 inizieranno le consultazioni formali di re Filippo VI, che potrebbero portare già il 23 alla designazione del premier incaricato. Rajoy tenta come prima opzione di formare una grande coalizione con socialisti e Ciudadanos. Ma non esclude altre formule e neanche di «poter governare in minoranza». Il voto del 26 giugno è stato necessario dopo lo stallo emerso dal voto di dicembre, che non ha permesso una maggioranza di governo. Il 9 luglio si riunisce il Consiglio federale del Psoe, che dovrebbe definire la posizione del partito sui contatti con i popolari. Intanto, guardando ai dati economici, in Spagna continua a scendere il numero dei disoccupati, che tocca, a giugno, quota 3,767 milioni, la cifra più bassa dal 2009. Il trend è innegabile, anche se bisogna ricordare che giugno è un mese tradizionalmente positivo per il mercato del lavoro spagnolo, che molto deve al turismo. Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va BRUXELLES, 5. L’Ungheria si prepara a un referendum che non mancherà di far discutere tutta l’Europa. Budapest ha indetto per il 2 ottobre la consultazione popolare per decidere se accettare o meno migranti giunti in altri Paesi dell’Unione europea, in base al sistema di quote di ridistribuzione stabilito da Bruxelles. Il cosiddetto piano di ricollocamento dei migranti è stato deciso dall’Unione europea nel settembre scorso (a maggioranza tra i 28 Stati membri), per venire incontro a Paesi come Grecia e Italia che sopportano il peso degli sbarchi. In Ungheria il Governo di Viktor Orbán si è sempre dichiarato contrario. Ora il presidente ungherese, János Áder, spiega che i cittadini con il referendum decideranno, in sostanza, se vogliono che sia il Parlamento ungherese, e non l’Ue, ad autorizzare eventuali ricollocamenti. A settembre, l’Ungheria e la Slovacchia avevano annunciato ricorso a Bruxelles, contro il piano che ritengono violi la sovranità nazionale, ma che, di fatto, non è mai stato realmente applicato. Nel territorio ungherese, nel 2015, sono entrati 400.000 migranti, prima della costruzione del muro che ha blindato il confine meridionale. Da parte sua, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, nelle stesse ore ricorda che l’Ue ha avviato nuove politiche di cooperazione con i Paesi terzi per limitare i flussi nel Mediterraneo dei cosiddetti migranti economici, che «rimangono troppo elevati», «sebbene non ci sia un aumento significativo rispetto agli ultimi due anni». Intanto, nel Canale di Sicilia proseguono giornalieri i salvataggi di centinaia di persone. Ma proseguono anche nei vari Paesi gli arresti di scafisti e trafficanti. Una bambina di fronte alla barriera tra Serbia e Ungheria (Ap) Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Missione di Obama in Polonia e in Spagna VARSAVIA, 5. Barack Obama comincia questa settimana il tour europeo che lo porterà prima in Polonia e poi in Spagna. Il presidente sarà a Varsavia dal 7 al 9 luglio per partecipare al vertice della Nato, quindi si trasferirà a Madrid, dove rimarrà fino all’11. Si tratta del primo viaggio di un presidente degli Stati Uniti in Spagna negli ultimi quindici anni. «La Spagna è il solo grande Paese europeo che Obama non ha ancora visitato», ha ricordato la Casa Bianca. Le relazioni fra Stati Uniti e Spagna sono cambiate molto dall’ultima visita di un presidente statunitense: la fece George W. Bush, nel giugno del 2001, pochi mesi prima che gli attentati alle Torri Gemelle di New York modificassero radicalmente gli schemi transatlantici di cooperazione in materia di sicurezza. Nel 2010 Obama incontrò il presidente del Governo pro tempore Zapatero durante la visita di questi a Washington e a gennaio del 2014, alla Casa Bianca, ricevette il successore, il popolare Mariano Rajoy. Negli ultimi due anni i contatti bilaterali si sono accelerati, Nel settembre del 2014, Obama incontrò re Filippo VI all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. A Bruxelles un servizio d’intelligence della Nato BRUXELLES, 5. Nel vertice dell’Alleanza Atlantica di venerdì e sabato prossimi a Varsavia sarà dato il via libera alla creazione di una Divisione d’intelligence, che avrà sede a Bruxelles. L’obiettivo della nuova struttura — si legge in una nota del segretario generale, Jens Stoltenberg — sarà quello di «snellire ulteriormente il flusso di informazioni di intelligence civile e militare, che aiuterà la Nato a prendere le decisioni giuste al momento giusto per affrontare al meglio le sfide moderne, comprese le minacce ibride e terroristiche». Allo stesso tempo, Stoltenberg ha confermato che durante il summit firmerà con il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, una dichiarazione comune per rafforzare la cooperazione e la sicurezza marittima, quest’ultima intesa a complementare l’operazione “Sophia”" nel Mediterraneo. La Brexit, ha poi detto Stoltenberg, «cambia il rapporto del Regno Unito con l’Unione europea, ma non la sua posizione nella Nato. E semmai rafforza la necessità della collaborazione tra Nato e Ue». Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 6 luglio 2016 pagina 3 Il luogo di uno degli attentati suicidi che hanno colpito Medina (Reuters) Netanyahu e il ricordo di Entebbe Il Bangladesh alla ricerca dei mandanti TEL AVIV, 5. «È commovente per me trovarmi dove mio fratello fu ucciso». Con poche, sentite parole il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in visita in Uganda, ha ricordato suo fratello, Yonathan, unico militare ucciso durante la famigerata “operazione Entebbe” nel luglio del 1976. Netanyahu si è recato ieri proprio sul luogo dell’operazione, lanciata per liberare gli israeliani ed ebrei tenuti in ostaggio su un aereo della Air France dirottato da un gruppo di terroristi tedeschi e palestinesi. Si trattò di «una missione storica ed eroica» e, in questo senso, «la campagna contro il terrorismo deve continuare» ha detto Netanyahu, parlando all’aeroporto di Entebbe dove è stato ricevuto dal presidente ugandese, Yoweri Museveni. Il dirottamento «toccò un nervo scoperto per il popolo di Israele. Trentuno anni dopo la Shoah, un’altra “selezione” da parte di chi voleva ucciderci separò gli ebrei dai non ebrei» ha spiegato il premier. «I terroristi rilasciarono le persone di altra nazionalità e condannarono gli ebrei». I dirottatori liberarono circa 140 ostaggi, trattenendo almeno 105 cittadini israeliani ed ebrei, minacciando di ucciderli se le loro richieste non fossero state accolte. Fallite le trattative, il raid ebbe inizio nel corso del quale furono tratti in salvo 103 ostaggi. DACCA, 5. Prosegue senza sosta in Bangladesh la ricerca dei mandanti della strage al ristorante Holey Artesan Bakery di Dacca, dove sabato scorso un commando terroristico ha barbaramente ucciso venti persone, in prevalenza stranieri. La polizia bengalese è convinta che i terroristi abbiano assassinato gli ostaggi nei primi 20 minuti dalla loro irruzione nel ristorante. Ieri sono state arrestate due persone in relazione alla strage: non si sa ancora chi siano, né dove siano custodite. La polizia ha detto, però, che entrambe sono in cattive condizioni di salute (senza specificare se siano ferite o meno) e ha aggiunto che saranno interrogate non appena le loro condizioni lo consentiranno. Anche due dei clienti del ristorante, rimasti per ore in ostaggio dei terroristi, e poi liberati nel raid delle forze speciali bengalesi, sono ancora in stato di fermo: la polizia sta verificando le loro dichiarazioni. Uno di loro si chiama Hasnat Karim, che, in alcune fotografie, è ripreso sul terrazzo del ristorante in compagnia di due membri del commando terroristico. Intanto, è partito stamane da Dacca l’aereo che riporta in Italia le salme dei nove italiani uccisi. A Ciampino, ad accoglierle ci sarà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha interrotto un viaggio in America latina. Attentatore suicida si fa esplodere davanti alla moschea di Medina Arabia Saudita nel mirino RIAD, 5. L’Arabia Saudita ancora nel mirino dei terroristi. Dopo l’attacco davanti al consolato statunitense di Gedda, un attentatore suicida si è fatto esplodere ieri sera nei pressi della moschea del profeta Maometto, a Medina. La potente deflagrazione — hanno reso noto fonti del ministero dell’Interno di Riad — ha ucciso quattro guardie della sicurezza. Altri 5 agenti sono rimasti feriti. L’esplosione è avvenuta in un parcheggio del complesso che fa da contorno alla moschea, uno dei luoghi più sacri dell’islam. L’azione — che non è stata ancora rivendicata — è coincisa con uno dei momenti di maggiore affollamento del sito, dove erano affluite decine di migliaia di perso- Il Venezuela verso la presidenza del Mercosur Messaggio a Obama per l’Indipendence Day Putin auspica la ripresa del dialogo WASHINGTON, 5. Il presidente della Russia, Vladimir Putin, auspica che i rapporti diplomatici tra il suo Paese e gli Stati Uniti possano riprendere la «giusta direzione». Il leader del Cremlino ha espresso questa speranza in un messaggio di auguri inviato ieri al presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in occasione dell’Independence Day del 4 luglio. Gli analisti ricordano che i rapporti diplomatici tra Nuovi arresti per corruzione in Brasile BRASILIA, 5. Ondata di arresti in Brasile nell’ambito di una nuova fase dell’inchiesta Lava Jato, che ha già portato in carcere decine di politici, imprenditori, manager pubblici e privati e faccendieri. L’operazione è scattata all’alba tra San Paolo, Rio de Janeiro e Brasilia e la polizia federale ha eseguito complessivamente 35 mandati di arresto — emessi dal pool di magistrati di Curitiba guidato da Sergio Moro, a capo dell’inchiesta sulla Tangentopoli brasiliana — con l’accusa di frodi in appalti, riciclaggio e tangenti per 39 milioni di reais (circa 10 milioni di euro) usciti dalle casse del colosso petrolifero statale Petrobras. In manette sono finiti numerosi imprenditori e affaristi mentre all’ex tesoriere del Partito dei lavoratori, Paulo Ferreira, il mandato di arresto è stato notificato nel carcere dove è rinchiuso dal 23 giugno scorso per un’altra vicenda di tangenti, in cui venne arrestato anche l’ex ministro dei Governi di Luiz Inácio Lula da Silva e di Dilma Rousseff, Paulo Bernardo. Fonti della procura hanno rivelato che una parte delle tangenti è servita a finanziare anche una scuola di samba. ne per le celebrazioni della fine del ramadan. Secondo quanto si apprende, l’attentatore suicida era in procinto di entrare nella moschea, ma è stato bloccato da una guardia. «Le forze di sicurezza — ha confermato il generale Mansour Al Turki, portavoce del ministero degli Interni di Riad — sono state insospettite da un uomo che si dirigeva verso la moschea del profeta attraverso il parcheggio per i visitatori. Quando hanno tentato di fermarlo, l’uomo ha azionato la cintura esplosiva che aveva indosso. Quattro agenti di sicurezza sono stati uccisi e altri cinque feriti». Poco dopo altri due attentati con le stesse modalità sono stati perpetrati nelle vicinanze di mo- Mosca e Washington hanno subito una battuta di arresto nel 2014, quando la penisola di Crimea è stata annessa alla Russia. Putin, nel suo messaggio, ha ricordato la storia delle relazioni russo-statunitensi, dicendo che un tempo i due Paesi sono stati in grado di risolvere «i più difficili problemi internazionali a beneficio di entrambe le nostre Nazioni e di tutta l’umanità» e ha quindi espresso l’auspicio che questa esperienza possa aiutare Russia e Stati Uniti «a tornare a lavorare di nuovo insieme». Nell’intervento nel suo ultimo Indipendence day alla Casa Bianca, Obama ha detto che «la libertà non è qualcosa che accade, ma deve essere difesa ogni singolo giorno». Una libertà che, ha proseguito il presidente, comporta il rispetto reciproco e il riconoscimento delle difficoltà di fronte a cui si trovano i concittadini, come la fame, la disoccupazione, la casa. CARACAS, 5. Il Venezuela, alle prese con una grave crisi economica e politica, si appresta ad assumere la presidenza di turno del Mercato comune del Sud America (Mercosur), prevista per il 21 luglio. Tuttavia, proprio in vista di questo appuntamento, dure critiche sono arrivate dall’Argentina e dal Brasile, membri principali del blocco regionale. I due Paesi hanno infatti criticato ieri il Governo di Nicolás Maduro, accusandolo di «violare i diritti umani dei suoi concittadini». Il presidente argentino, Mauricio Macri, in una intervista alla stampa spagnola, ha detto che il Governo di Maduro «ha violato tutti i diritti umani, portando il suo popolo alla fame» e che il referendum abrogativo del mandato presidenziale deve essere convocato quanto prima. Da parte sua, Caracas ha contestato tutte le accuse così come la richiesta del referendum abrogativo. schee sciite sempre a Gedda, sulla costa occidentale, e a Qatif, capoluogo della regione a maggioranza sciita nell’est del Paese. Già nel maggio del 2015 un’azione suicida sempre presso una moschea sciita a Qatif provocò oltre venti morti. L’attacco venne rivendicato dai miliziani fondamentalisti del cosiddetto Stato islamico. In un’intervista all’emittente Al Arabiya, il generale Al Turki ha precisato che il terrorista che si è fatto esplodere vicino al consolato statunitense di Gedda, due giorni fa, «era uno straniero residente in Arabia Saudita». Il portavoce non ha precisato la nazionalità dell’attentatore. Mentre aumenta il rischio dell’escalation jihadista L’Onu rafforza il sostegno alla pace libica TRIPOLI, 5. «Una nuova fase per l’applicazione dell’accordo politico interlibico vedrà la luce dopo la festa musulmana del Fitr», che segna la fine del mese sacro del ramadan. È questo l’annuncio compiuto ieri dall’inviato dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, che ha lanciato un nuovo appello «al cessate il fuoco a Bengasi e a ricorrere al dialogo per instaurare la pace». Kobler ha poi sottolineato la necessità di creare un unico esercito in Libia e ha promesso di «fornire assistenza medica alle truppe dell’operazione» delle forze leali al Governo di Al Sarraj che attualmente sono impegnate nella lotta contro il cosiddetto Stato islamico (Is) a Sirte. L’appello di Kobler arriva in una fase delicatissima per la Libia, nella quale il rischio di un’escalation della presenza jihadista nel Paese si fa sempre più concreto. Secondo un recente rapporto dell’intelligence statunitense, sono oltre un migliaio i miliziani arrivati in Libia da vari Paesi occidentali e arabi nei primi tre mesi del 2016. La Libia si è trasformata negli ultimi mesi in «una meta privilegiata per i jihadisti provenienti da tutto il mondo». Ed è per questo — dicono le fonti — che l’Algeria «ha imposto misure di sicurezza rafforzate lungo i suoi confini terrestri con la Libia, trasferendo centinaia di soldati nella zona frontaliera sud-orientale». E le ultime notizie confermano questa analisi. Unità dell’esercito tunisino hanno intercettato ieri nella zona militare di Mokassem, nei pressi di Ben Guerdane (al confine tra Tunisia e Libia), dieci automezzi libici carichi di armi. Lo ha dichiarato il portavoce del ministero della Difesa, Belhassen Oueslati, precisando che un’auto libica del convoglio ha risposto al fuoco dei militari che sono comunque riusciti a far desistere i contrabbandieri dal loro intento e a tornare in Libia. Nel frattempo, il ministero dell’Interno di Tunisi ha fatto sapere che sono settecento i tunisini tornati in patria dalla Siria, dalla Libia e dall’Iraq. Ma il loro numero reale è probabilmente più elevato considerando il fatto che alcuni sono potuti rientrare illegalmente in Tunisia at- La sonda della Nasa è entrata nell’orbita del pianeta più grande del sistema solare Juno conquista Giove WASHINGTON, 5. «Welcome to Jupiter!» è il grido che si è levato questa mattina, assieme all’applauso, nel quartier generale del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, in California. Sono scattati tutti quanti in piedi nel momento in cui è arrivata la conferma da oltre 500 milioni di chilometri: la sonda Juno è entrata nell’orbita di Giove. Si trattava — dicono gli esperti — della fase più delicata di tutta la missione. Non erano ammessi sbagli: se il motore non si fosse acceso per rallentare la corsa di Juno (oltre 200.000 chilometri all’ora) o se si fosse acceso per un tempo non sufficiente, la sonda sarebbe sfuggita alla pur immensa attrazione gravitazionale di Giove, avrebbe rimbalzato e cominciato una lunga odissea attraverso il Sistema solare senza possibilità di tornare indietro. Ma così non è stato. L’immagine rielaborata elettronicamente dalla Nasa mostra la sonda Juno nell’orbita di Giove (Epa) traverso il confine libico, hanno fatto sapere funzionari dell’intelligence tunisina. Molti sarebbero in stato di libertà poiché a loro carico non è stato possibile ascrivere alcun reato da parte delle autorità; altri invece si trovano in carcere, in reparti speciali, a seguire appositi programmi di “deradicalizzazione”. Progetto contro la desertificazione ROMA, 5. La desertificazione colpisce ormai quasi il quaranta per cento del nostro pianeta, territorio nel quale vive un terzo della popolazione mondiale. In questo allarmante contesto una soluzione possibile per rendere disponibile acqua all’agricoltura nelle zone aride è il recupero delle rare ma violenti piogge delle zone desertiche attraverso la ricarica artificiale dei serbatoi naturali del sottosuolo. Si tratta di una tecnica stata sviluppata per le regioni del Maghreb grazie al progetto WadisMar (Water Harvesting and Agricultural Techniques in Dry Lands: an Integrated and Sustainable Model in the Maghreb Regions), presentato di recente a Cagliari in un convegno. Finanziato dall’Unione europea, negli ultimi quattro anni e mezzo vi hanno lavorato diversi gruppi di ricerca italiani, spagnoli e africani. Il progetto, si legge in un comunicato, si basa sul principio di «sottrarre al deserto e all’evaporazione i milioni di metri cubi di acqua piovana che ogni anno, nel giro di due o tre settimane, alimenta in maniera tumultuosa, violenta e repentina corsi d’acqua periodici ed effimeri, tipici delle zone aride». La soluzione è stata suggerita da Giorgio Ghiglieri, professore di idrogeologia dell’Università di Cagliari e coordinatore del progetto, che ha proposto la ricarica artificiale degli acquiferi, cioè dei serbatoi d’acqua naturali. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 mercoledì 6 luglio 2016 Bartolomeo Nogara con il personale dei Musei vaticani (28 aprile 1948) Un’inedita testimonianza sul piano nazista per sequestrare Pio XII Quella notte del 1944 E il sostituto si precipitò dal direttore dei Musei vaticani di ANTONIO NO GARA ella Roma “città aperta” del 1943 e 1944 il linguaggio corrente annoverava, con molta frequenza, le parole allontanarsi, eclissarsi, imbucarsi, nascondersi, scappare, scomparire, con riferimento alle persone, e celare, mascherare, mimetizzare, occultare, rispetto alle cose; parole tutte in contrapposizione ad arresti, deportazioni, razzie, retate, requisizioni, sequestri, termini rivelatori dell’allora travagliata situazione. Pur con l’afflusso di profughi in cerca di assistenza e rifugio, la sovrappopolata Urbe appariva quasi deserta. Pressoché totalmente aboliti passeggi, ricevimenti, intrattenimenti in genere; le “sortite”, talvolta ai limiti dell’avventura, erano destinate alla ricerca dello stretto necessario da re- N Ricordo d’inverno Tra le carte di Antonio Nogara (1918-2014) — unico figlio di Bartolomeo, che fu direttore dei Musei vaticani dal 1920 fino alla morte nel 1954, e di Maria Albani, insegnante e traduttrice — il cugino Bernardino Osio ha ritrovato uno scritto inedito datato 11 marzo 2013. Il testo, che pubblichiamo per intero con lievi ritocchi formali, aggiunge un’importante testimonianza di prima mano sul progettato sequestro di Pio XII da parte dei nazisti durante il terribile inverno dell’occupazione di Roma. perire il più possibile vicino, percorrendo preferibilmente vicoli, stradine, piazzette ove contiguità di negozi, portoni e svincoli offrivano maggiori possibilità di occultarsi o vie di fuga. A sera tutti a casa, intorno a gracchianti radio, di limitate e disturbate ricezioni, col volume al minimo, in cerca di informazioni, o impegnati, con familiari e condomini, in prolungate partite a briscola, scopa e giochi simili, ma sempre con le orecchie tese ad avvertire il pericolo incombente nel rumore sospetto del passo cadenzato di una ronda, un secco comando militare, il rumore di un veicolo, uno sparo… Gli assembramenti indispensabili per ragioni vitali, lesti a dissolversi al primo segnale di allarme, si formavano a ridosso delle mense pubbliche, delle parrocchie elargitrici di razioni provviste dal Vicariato e dal Circolo di San Pietro, che grazie alla generosità della Società Generale Immobiliare e ai suoi camion protetti dalle bandiere vaticane — alcuni vennero anche mitragliati con vittime fra gli autisti — venivano reperite nell’Italia centrale (Umbria e Toscana). Nell’attesa dei turni, l’anonimato e l’occasionalità degli incontri favorivano l’intreccio di banali, guardinghe conversazioni di circostanza nelle quali la comune forzata sopportazione trovava momenti di sfogo con interiezioni nelle quali l’iperbole sarcastica mascherava spesso la protesta. Tra tante riportatemi mi colpì allora quella di un tale che, raccontando di aver assistito a sistematiche retate e sparizioni di parenti e conoscenti, azzardò, in tono sornione, «ci manca solo che qui si portino via anche il Papa!». L’espressione, al limite dell’immaginabile, avrebbe trovato il voluto effetto pure con riferimento al Cupolone o al Colosseo, ma con l’allusione al Pontefice raggiungeva la massima efficacia, come una maledizione tra dolore, umiliazione, sgomento, risvegliando nel subcosciente, credente o non credente, l’angosciosa domanda: ma che ne sarebbe di Roma senza il Papa, centro della cristianità? L’incalzare degli avvenimenti non mi distolse dal ricordo di quella battuta, scaturita ingenuamente come effusione in un momento di stizza, ma non tanto inverosimile né del tutto infondata. A distanza di poche settimane la sorte me ne avrebbe inaspettatamente data personale prova. Nel 1921 in considerazione dei molteplici incarichi affidati, oltre alla direzione generale dei Musei, il Pontefice Benedetto XV concesse a mio padre Bartolomeo, privilegio ambito ed eccezionale per un laico sposato con prole, l’abitazione nei Sacri Palazzi apostolici che, con i Musei, la Biblioteca, l’Archivio e una limitata parte degli attuali giardini, completavano territorialmente il Vaticano, prima del concordato e del trattato del Laterano del 1929. Pur con le migliori disposizioni da parte degli uffici competenti, la ristrettezza degli spazi rendeva difficile il reperimento dei locali idonei a uso abitativo familiare e, dopo vari mesi di ricerche, l’assegnazione cadde su un gruppo di sale dismesse dalla Segreteria dei Brevi, affacciate con due ampie vetrate sul centro del braccio centrale della Terza loggia, con un retro di camere e corridoi prospicienti il cortile del Triangolo. L’accesso era a fianco dell’ascensore, allora ad acqua, che serviva anche le altre logge del cortile di San Damaso. Quando la Segreteria di Stato era chiusa, la deserta Terza loggia diveniva un ideale ambulacro con vista su Roma, da percorrere da un capo all’altro col bello e col brutto tempo. I miei genitori ne approfittavano la sera dopo pranzo; spesso li raggiungevo e più volte li trovavo mentre conversavano con monsignor Giovanni Battista Montini che incontravano mentre usciva, abbondantemente fuori orario, dalla Segreteria di Stato per ritornare alla sua abitazione situata sul retro della Prima loggia, a poca distanza dall’appartamento Borgia. I contatti per motivi di ufficio di mio padre con monsignor Montini erano pressoché giornalieri e i ripetuti incontri serali, divenuti abituali negli anni, avevano dato un’impronta di familiarità anche ai rapporti con mia madre e con me. A parte l’ora — saranno state le ventitré — non provai quindi particolare sorpresa, quando a sera inoltrata in pieno inverno del 1944, tra fine gennaio e i primi di febbraio, avendo sentito suonare il campanello all’ingresso, mi trovai di fronte monsignor Montini che, entrando velocemente e chiudendo immediatamente la porta alle sue spalle, mi disse di «dover» incontrare urgentemente «il professore». Antonio Nogara in divisa da aviatore in una fotografia del 1943 Imbarazzato di trovarmi già in vestaglia e pantofole, lo pregai di accomodarsi nello studio-biblioteca e corsi da mio padre che già era a letto sotto un paio di coperte pesanti, papalina in testa e piumino sui piedi. Il riscaldamento era stato abolito per mancanza di carbone e per rispetto ai sacrifici imposti dalle circostanze ai romani; la stanza, esposta a nord, era particolarmente fredda. Con i tempi che correvano, sorpreso ma non contrariato tenuto conto dell’urgenza manifestata da un personaggio di nota discrezione, mio padre si rivestì rapidamente. Non ricordo come intrattenni l’illustre ospite finché, più presto del previsto, comparve mio padre e, dopo un breve conciliabolo riservato fra i due, essi uscirono frettolosamente: mio padre imbacuccato con in mano il pesante mazzo delle chiavi del Museo e della Biblioteca, monsignor Montini con una torcia elettrica che aveva depositato su una cassapanca all’ingresso, torcia del tipo di quelle in dotazione dei pompieri per le ronde notturne. Preoccupato per la salute di mio padre più che per i motivi dell’escursione che aveva per evidente oggetto i musei, attesi con mia madre il ritorno che avvenne dopo quasi tre ore. Mio padre, che apparve molto provato e infreddolito, laconicamente ci rassicurò e, rinviando il resoconto a ore migliori, si mise decisamente a letto con aria preoccupata. Solo nel pomeriggio seguente, con raccomandazioni di assoluta segretezza, mio padre ci svelò che l’ambasciatore del Regno Unito sir Francis d’Arcy Osborne e l’incaricato d’Affari degli Stati Uniti Harold Tittmann avevano congiuntamente avvertito monsignor Montini di aver avuto notizia, da parte dei rispettivi servizi militari di informazione, di un avanzato piano dell’Alto Comando tedesco per la cattura e deportazione del Santo Padre col pretesto di porlo in sicurezza «sotto l’alta protezione» del Führer. Nel qual caso, ritenuto imminente, le forze alleate sarebbero immediatamente intervenute per bloccare l’operazione, anche con sbarchi a nord di Roma e lancio di paracadutisti. Occorreva pertanto apprestare subito un rifugio segreto ove rendere irreperibile il Santo Padre per il tempo strettamente necessario, due o tre giorni, all’intervento militare. Queste in sintesi la sostanza e la portata del passo diplomatico anglo-americano, confidenzialmente esposte da monsignor Montini a mio padre come drammatico movente eccezionale dell’escursione notturna, naturalmente da mantenersi segreta. Montini ne parve convinto per quindi concludere la galoppata straordinaria e tornare a casa. Non vi è dubbio che di galoppata si fosse trattato per il ritmo di marcia che monsignor Montini aveva impresso nella foga della ricerca, retto bene da mio padre che contava trent’anni di età più di Montini [Bartolomeo Nogara aveva allora quasi 76 anni, Montini 46]. Mio padre ricordava anche come l’illustre compagno di galoppata, pur nell’angoscia della ricerca, manifestasse ogni tanto brevi commenti per le bellezze d’arte suggestive intraviste, a sprazzi di luce, nella rapida ricerca. Quanto alla definitiva scelta del rifugio mio padre aveva la sua personale convinzione sulle improbabilità del caso di ricorrervi, trattandosi di un espediente precario, di sicurezza relativa e di validità temporale molto ridotta. E aveva proposto a monsignor Montini anche un piano alter- delle autorità diplomatiche tedesche a Roma. È certo comunque che le apprensioni per l’incolumità del Pontefice trovarono fine solo dopo l’abbandono di Roma da parte dell’esercito tedesco. La pacifica soluzione della vicenda non dissipò alcune perplessità che l’accompagnarono e che, trattandone, non possiamo trascurare. È fuori dubbio che le informazioni portate dai due ambasciatori alleati fossero di gravità tale, anche rispetto a quanto già a conoscenza, da indurre monsignor Montini ad attivarsi immediatamente per affrontare subito un’improvvisa emergenza. È altrettanto impensabile che monsignor Montini non rendesse immediatamente edotto del passo diplomatico il cardinale Luigi Maglione, allora segretario di Stato, senza escludere più estese e alte consultazioni. L’intervallo di circa quattro ore, tra il congedo dei due ambasciatori e la solitaria intrusione-visita all’abitazione Antonio Nogara con il Pontefice (10 gennaio 2014) nativo di riserva, e cioè di estendere la ricerca anche alla basilica di San Pietro, con annessi e connessi, sotterranei compresi, come sede forse più sicura nella deprecata ipotesi di sequestro del Santo Padre. Mio padre concluse il resoconto, fissandoci Erano passate le undici di sera amorevolmente, con la frase «Dio ci aiuti», invocazione quando suonò il campanello che era anche un invito: e mi trovai di fronte monsignor Montini «non chiedetemi altro». Seguì un lungo silenzio, che mi disse di «dover» incontrare mia madre annichilita tra incon urgenza «il professore» credulità e sgomento, io stupito dell’improvvisa piega degli avvenimenti che richieCon questo scopo, sempre secondo il reso- devano l’immediata ricerca di soluzioni conto di mio padre, iniziò quella notte la certamente a elevato rischio personale, anricerca, dalla Galleria lapidaria alla scala che per gli amici che avevamo aiutato a del Bramante e, da lì, nei locali della vec- nascondersi in Vaticano e che non volevachia Direzione dei musei e annessi, intor- mo abbandonare. Oltre all’umiliante infeno al Nicchione, al cortile Ottagono sino lice sorte del Santo Padre cui ci legavano al cortile della Pigna, non trascurando affetto e devozione, incombeva l’oppriambienti minori adibiti a depositi, riposti- mente pensiero che una visita delle SS non gli, spogliatoi, eventualmente da adattare; avrebbe giovato a nessuno, rifugiati ebrei ma purtroppo la ricerca relativa a questi e non ebrei, con le possibili ritorsioni sui locali diede esito negativo. residenti ecclesiastici e laici. In questa spaEscludendo a priori per troppa visibilità smodica quanto vana attesa di confortanti la Pinacoteca e il fabbricato inerente al sviluppi del fronte di Anzio trascorsero alnuovo ingresso, parzialmente abitato, ed cune settimane agitate, anche per un susescludendo i magazzini dei Marmi struttu- seguirsi di informazioni contrastanti proralmente inabitabili, si imponeva una so- venienti da varie fonti, anche autorevoli. sta. La ricerca, sino a quel momento deluRicordo quindi come giorno di grande dente, venne estesa alla Biblioteca che, sollievo quello nel quale mio padre, ritornon presentando soluzioni interne, suggerì nando a casa, dopo una delle pressoché tuttavia a mio padre, per avervi lavorato quotidiane visite in Segreteria di Stato, ci oltre dieci anni quale “scrittore” agli inizi confidò che il piano di Hitler era già da del secolo, l’idea di visitare anche la conti- tempo a conoscenza del Vaticano, che era gua Torre dei Venti e la visita confermò le stato allertato da riservate indiscrezioni teaspettative. desche di persone ostili al piano in queIl massiccio ed elegante torrione, in sta- stione. La stessa ambasciata di Germania to di semiabbandono, si rivelò il conteni- avrebbe evidenziato a Berlino gli inevitatore di un intrico di vani, corridoi, scale e bili riflessi negativi nelle popolazioni catscalette, un minilabirinto, in ubicazione toliche, anche dei vari paesi neutrali. La favorevole per un tragitto coperto e di temuta folle operazione non sarebbe avvebreve durata da percorrere. Monsignor nuta grazie alle prese di posizione interne di Bartolomeo Nogara, troverebbe spiegazione in queste previe consultazioni interne nella Segreteria di Stato. L’assicurazione dell’immediato intervento che nel giro di pochissimi giorni avrebbe liberato il Pontefice fecero senza dubbio affiorare motivi di incertezza e scetticismi per il brevissimo tempo prospettato per l’intervento militare come sulla possibilità di contrastare gli eventuali incursori tedeschi che, certamente ben addestrati e preparati allo scopo, avrebbero agito a colpo sicuro nel termine di mezz’ora o poco più. A distanza di qualche tempo, riparlando della escursione notturna con i dubbi che l’accompagnarono, mio padre manifestò il convincimento che nella circostanza monsignor Montini, indipendentemente da personali valutazioni, assolvesse a un atto dovuto, con lo scrupolo e lo zelo a lui connaturati. Nella situazione drammatica di quei mesi la denuncia congiunta degli ambasciatori delle due maggiori potenze alleate non poteva in alcun modo essere disattesa. Fortunatamente l’esecrabile evento fu scongiurato risparmiando alla storia pagine più dolorose di quelle già registrate in quei tempi. Ritengo oggi pressoché condivisa da tutti la convinzione espressa da mio padre che Pio XII, per l’alto senso di dignità, per il carattere forte dimostrato in varie circostanze, per l’alto senso di onore che sempre accompagnò il suo magistero, mai avrebbe ammesso compromessi barattando la propria incolumità con soluzioni incompatibili, pur in minima parte, col decoro e il prestigio del Pontefice e della Chiesa. La riesumazione di ricordi di quel periodo intensamente vissuto mi risveglia ancora sopite emozioni come quella delle ampie vetrate della Terza loggia che tremavano al rombo cadenzato delle cannonate del fronte, ormai vicino ai Castelli romani, annuncio dei tempi nuovi che avrebbero presto bussato alla porta. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 6 luglio 2016 pagina 5 Pio IX e Vittorio Emanuele II in un fotomontaggio di Enrico Verzaschi (1873 circa) L’origine giansenista della formula rilanciata da Cavour Libera Chiesa in libero Stato Dopo la strage di Dacca L’immane equivoco di ANTONIO ZANARDI LANDI n questi giorni che seguono la carneficina di Dacca si moltiplicano analisi e tentativi di spiegare fenomeni che saremmo tentati di attribuire semplicemente a pura e feroce follia, se non fossero la punta dell’iceberg di stati d’animo assai diffusi al mondo e chiari indicatori di un futuro molto difficile tanto per l’occidente, quanto per la grande parte del mondo abitata dall’umma musulmana, quella “comunità dei fedeli” la cui radice etimologica si avvicina e ricorda quella di umm e cioè “madre”. Il dettaglio letteralmente sconvolgente è costituito dalle fotografie degli attentatori. Appaiono felici, con le loro armi automatiche imbracciate, per un progetto già chiaramente delineato nelle loro menti e per la prospettiva di uccidere e di essere uccisi. Trasmettono determinazione e serenità e il loro messaggio è per questo tanto più pericoloso e potenzialmente contagioso. Dobbiamo cercare di capire in profondità quale perversa ideologia, quale meccanismo psicologico, quale fuorviante autoidentificazione possa catturare la mente e tutto l’essere di giovani usciti da famiglie normali e da normali scuole e università. Negli editoriali che leggiamo in questi giorni, da ultimo quello lucido e informatissimo di Roberto Toscano su «Repubblica» del 3 luglio scorso, si va facendo strada un concetto, già presente da tempo nel dibattito, ma che sempre richiede di venir riproposto, sottolineato e messo in posizione centrale: la battaglia contro il terrorismo fondamentalista richiede uno sforzo non settoriale e a tutto campo, soprattutto culturale. Meno chiaro è chi e come debba avviare quella “grande battaglia culturale” che credo sia la chiave di volta di ogni azione razionale tesa a consentirci di riportare il dialogo tra noi e quello che, ci piaccia o non ci piaccia, è un aspetto della modernità, pur deviata e negativa, nel mondo islamico; aspetto anch’esso figlio di mille padri, tra cui la comunicazione in rete non è certo l’ultimo. Il concetto di “battaglia culturale” è stato proposto da Ernesto Galli della Loggia in un suo editoriale sul «Corriere della Sera» del 16 novembre scorso ed è stato d’altra parte ampiamente utilizzato dal Governo I e dal Presidente della Repubblica che sovente tocca i temi del dialogo interculturale e, di recente, in un messaggio inviato in occasione dell’apertura di un’iniziativa culturale, ha scritto: «È la cultura il terreno su cui siamo in questi anni chiamati a combattere la battaglia più impegnativa ed ardua: la battaglia per fugare equivoci che sembrano essere riusciti a divenire sostanza, per ritrovare le ragioni del dialogo, della tolleranza e dello stare insieme, in Europa e con paesi con cui abbiamo avuto, e vogliamo avere ancora, rapporti ricchi, articolati e positivi». Non è il concetto di “battaglia culturale” il più giusto, il più appro- di FRANCESCO MARGIOTTA BRO GLIO a storiografia è tuttora concorde, rifacendosi al Ruffini, a Jemolo e poi a Ettore Passerin — che però aveva rivalutato Montalembert — nel ritenere che il Conte di Cavour avesse mutuato dal pastore ginevrino Alexandre Vinet, se non nella lettera, certamente nello spirito, la famosa formula libera Chiesa in libero Stato, centrale per definire il profilo dei rapporti Stato-religione nel Risorgimento italiano. È noto che Montalembert accusò il Vinet — e Cavour nel 1863 — di avergli “rubato” la formula e che Cavour e Vinet si erano frequentati durante i soggiorni a Ginevra del giovane rampollo dei marchesi di Cavour. Meno nota, anche se studiata proprio dal Ruffini con riferimento alla madre, l’influenza sul medesimo giovane Cavour delle dottrine gianseniste. È proprio Ruffini, infatti, a mettere in piena evidenza, richiamando anche il caso di Enrichetta Blondel Manzoni, il ruolo dei giansenisti piemontesi nella conversione al cattolicesimo della madre di Cavour, la ginevrina Adele de Sellon moglie del marchese Michele. L Vale certo la pena di cercare insieme le ragioni del disastro E perché l’accoglienza è resa così difficile da errori che non vengono certo da una parte sola priato per descrivere l’immane compito che hanno di fronte a sé le società europee e il mondo occidentale per riassorbire la montagna di incomprensione, di disprezzo e di astio che, senza quasi che ce ne accorgessimo, si è accumulata tra noi e frange non minori di uno dei “popoli del libro”? Come fare per dissipare l’immane equivoco che ci fa essere i nemici predestinati e i simboli del male nel mondo? Sembra una sfida ardua, ma non impossibile. In fondo, nelle società occidentali troviamo ottimi ricercatori, ottimi comunicatori, ottimi registi, generosissimi operatori di pace. Vale certo la pena di cercare di capire insieme le ragioni del disastro e dell’incomprensione, i motivi per cui l’umma, o parte di essa, tace e non condanna neppure le stragi più efferate, quelli per cui l’accoglienza è resa così difficile da errori che non vengono certo da una parte sola. Forse qualcuno sta portando avanti la sua personale “battaglia culturale”, forse semplicemente non vediamo, mentre qualcosa di importante si sta muovendo nelle nostre società. Dobbiamo allora metterci in ascolto per scoprire e leggere i segnali di una risposta culturale che forse sta prendendo inizio. Si è fatta pressante l’urgenza di rilanciare il precipuo ruolo del liceo classico poiché rischia di essere snaturato da chi intende privarlo della sua ragion d’essere, ovvero della traduzione dal latino e dal greco. E al coro di coloro che, in questi ultimi tempi, sono scesi in campo a difesa di un’istituzione che è alla base della formazione umana e culturale dei giovani si è aggiunta la «Task force per il classico», un gruppo di professori di vari istituti pubblici italiani, che ha inviato una letteraappello al presidente della Repubblica italiana, al ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca e al direttore generale per gli Ordinamenti scolastici e per l’Autonomia scolastica. «Nostra opinione — si afferma nella missiva — è che la centralità dello studio delle lingue e delle culture classiche in uno o più indirizzi di studi superiori, coniugata con una salda preparazione in ambito scientifico, costituisca un’eccellenza da preservare che rende un unicum il nostro Paese nell’intero contesto mondiale». La traduzione dal greco e dal latino rappresenta l’attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di «ciò che è Jus Pubblichiamo ampi stralci di un saggio apparso nel 2014 sulla «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa» e riedito nell’ultimo numero di «Jus», pubblicazione quadrimestrale di Vita e Pensiero curata dalla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Peraltro né il Ruffini nel 1929, né Passerin nel 1953 e nel 1954 potevano sapere quello che Pietro Stella avrebbe messo in luce nel 2006. Nello studio Respublica non in ecclesia sed ecclesia in respublica est id est in imperio romano (Ottato di Milevi). Da Giannone, a Cavour e al Vaticano II Stella ricorda appunto che il testo fu opera di sant’O ttato — vescovo africano di Milevi visse tra il 320 (?) e il 397 (o 392?), citato da san Gerolamo e sant’Agostino — e compare nei suoi Libri VII, pubblicati a Magonza nel 1549 da Cochlaeus col titolo De Schismate donatistarum. Opera che, nella edizione di Parigi del 1631, fu «im- Task force per il classico sconosciuto». Per affrontarla in modo adeguato occorre infatti attuare una serie di operazioni mentali che sono tipiche di ogni metodologia razionale. Senza contare, si rileva nella lettera, che i linguaggi di un gran numero di saperi — non solo umanistici e filosofici, ma anche sociali, tecnici, artistici e scientifici — sono in gran parte costruiti su termini di origine greca e latina. Si mette poi in evidenza che lo studio delle lingue antiche deve essere sempre adeguatamente contestualizzato. È perciò prioritario rendere di nuovo la storia una disciplina autonoma, dotata di specifica valutazione di spazi orari adeguati (e quindi non confusi, come ora accade con la geografia) nel biennio ginnasiale, proprio quando si approfondiscono le civiltà del mondo antico. Questo provvedimento — osservano i firmatari — potrebbe costituire inoltre un potente strumento di integrazione per gli studenti sempre più numerosi che provengono da aree quali il sud del Mediterraneo, il Vicino oriente e l’Asia. Quei Paesi e popoli — si ricorda nella missiva — hanno visto fiorire splendide civiltà diverse tra loro, ma tutte in realtà confluite in un percorso storico comune che le ha portate a condividere con l’Europa le vicende millenarie del mondo antico: come dimostrano gli splendidi resti archeologici e monumentali, da mancabilmente presente nell’arsenale erudito di giurisdizionalisti e giansenisti che miravano a districare i poteri civili e politici da quelli dell’organizzazione ecclesiastica. In pieno Ottocento Camillo Cavour proclamò la famosa formula: “Libera Chiesa in libero Stato” lasciando facilmente trasparire il dettato di Ottato ed evocando, di fatto, le battaglie dottrinali combattute attorno ad essa per secoli dagli schieramenti teologici e politici più vari. Nel Novecento i processi avanzati di secolarizzazione mutarono i rapporti tra religiosità cristiana e società: la citazione dell’antico padre della Chiesa scomparve, come si vedrà, dalla griglia erudita anche del concilio Vaticano II, a riprova, si direbbe, di un cambiamento epocale» (Stella). In effetti già nei primi decenni del Seicento la formula di Ottato aveva assunto una enfasi particolare negli autori che si occupavano di rapporti tra potere politico e potere spirituale: Stella ricorda Grozio (1614), che la legge come ecclesia regitur a republica, e Pufendorf che però negava che le Chiese, come sosteneva Bellarmino, fossero “società perfette”, mentre più vicine al senso originario delle parole del vescovo di Milevi appaiono le idee di uno dei “santoni” del giansenismo, Quesnel, il quale nella famosa Discipline de l’Eglise (1689) cita letteralmente la formula, richiamando anche Leone Magno, in una chiave gallicanamoderata (Passerin). La medesima formula è citata, nello stesso anno, da Louis Ellies Dupin che cura anche un’edizione dell’opera di Ottato. Da Parigi la formula rimbalzò a Napoli e a Torino dove venne usata nella difesa dei diritti della “Monarchia sicula”. A Napoli ne colsero l’efficacia politica Giuseppe Valletta e Gaetano Argento. Giannone, invece, attinse a piene mani al Dupin e fece propria la lettura di Ottato data dall’Argento, mentre a Firenze l’abate Nicolini in una lettera a Neri Corsini (1775) — citata proprio da Passerin in La riforma giansenista della Chiesa (1959) — riecheggia la formula di Ottato. Ma è l’oratoriano de la Borde, deciso sostenitore di Quesnel e strenuo refrattario alla bolla Unigenitus, a scrivere in un’opera tradotta a Venezia dal Pujati (1775) e inserita da Scipione de Ricci nella Raccolta di opuscoli pistoiesi del 1784, ad affermare, diremmo noi proprio in chiave cavouriana: «Come cristiani, noi non abbiam qui né diritti, né pretensioni: altrove abbiam la patria, altrove i diritti (...). E in questo senso ha detto S. Ottato Milevitano, che la Chiesa è nell’impero, ecclesia in imperio. Notisi, che non la dice dell’impero, né dipendente dall’impero ma semplicemente ch’è nell’impero: ed ella in fatti vi è straniera, né gli domanda altro favore che la libertà del passaggio». E il Ricci, scrivendo all’abate “giansenistissimo” Augustin Clément il 14 aprile 1791, fa implicitamente appello alla formula milevitana quando specifica: «La Chiesa è nata nella repubblica, e non ha voluto il suo fondatore turbare in alcuna maniera i diritti della società e del principato perché dati ugualmente da Dio». Palmira a Leptis Magna, da Afrodisia a Baalbek, da Cesarea a Zeugma. E nella lettera è contenuta infine la proposta di aggiungere nell’ambito della prova scritta di italiano, in occasione dell’esame di Stato, una traccia specifica rivolta principalmente agli studenti del classico, relativa ai rapporti tra cultura greco-romana e mondo contemporaneo, nell’ambito delle varie e complesse espressioni letterarie, artistiche e filosofiche. (gabriele nicolò) Cesare Macari, «Cicerone denuncia Catilina» (188o) Per Stella «negli anni del riformismo illuminato il peso sempre maggiore del potere statale in materia ecclesiastica rende più frequente il richiamo alla libertà della Chiesa, che pure viene descritta come all’interno dello Stato. Il richiamo alla libertà diventa più esplicito e insistente quando, in epoca rivoluzionaria, la prigionia di Pio VI e poi quella di Pio VII si materializzano in simbolo della Chiesa non più libera e di Cristo in balia dei suoi crocifissori. Con ciò si spiega, pertanto, il persistere della formula «la Chiesa nello Stato» ancora nell’Ottocento. A farne conservare il ricordo e l’uso contribuiscono negli anni della Restaurazione il permanere dell’insegnamento giusnaturalista e di quello giurisdizionalista nelle versioni rinnovate del giuseppinismo e del gallicanesimo. Non a caso «negli anni sessanta dell’O ttocento vennero ristampate, o stampate per la prima volta, opere di esponenti del giansenismo italiano del tardo Settecento e del primo Ottocento» (Stella). È lo stesso Ruffini peraltro, a citare uno scritto Sant’Ottato di Milevi in un disegno senza data di di Jacques Callot (XVII secolo) Carlo Alberto (edito dal Manno) nel quale il re di Sardegna accusa proprio i giansenisti di avere favorito la méfiance e la désunion tra Chiesa e monarchia sabauda. Quei giansenisti di Torino che, come si è accennato all’inizio, furono i padri spirituali della marchesa madre di Cavour al momento della sua conversione. Tra i componenti del cenacolo giansenistico di Torino due persone in particolare — secondo Ruffini — ebbero un ruolo de- Tutto iniziò in età tardoantica quando il vescovo africano Ottato di Milevi dettò in un’opera sui donatisti la frase «respublica non in ecclesia sed ecclesia in respublica est» terminante: Giuseppe Boyer, professore universitario di procedura civile e penale (!), già di storia ecclesiastica, poi di diritto ecclesiastico e canonico. Abate Carlo Tardì, cui il giansenizzante Donaudi dedicava un suo Elogio di san Francesco di Sales, parente dei Cavour: dai marchesi de Sales discendeva la nonna paterna di Cavour, Filippina. Per Ruffini Francesco di Sales era «il Santo di elezione dei giansenisti» (i francesi direbbero tout se tient ...) il quale aveva personalmente incontrato a Parigi nel 1619 la Mère Angelique di Port-Royal, sorella del celeberrimo Antoine Arnauld; Sainte-Beuve del resto parlò di una intensa fase spirituale di Port-Royal definendola La période de St. François de Sales. Ed è proprio lo stesso Ruffini a segnalare, nello scritto sulla conversione di Adele de Sellon, che il Degola — saturo delle memorie e delle dottrine di PortRoyal — immaginò rapporti personali tra la madre di Cavour e la moglie di Manzoni le cui coscienze erano state entrambe dirette dai ricordati componenti del piccolo cenacolo giansenista di Torino: Giuseppe Boyer e Carlo Tardì. E a segnalare anche la devozione del Cavour per l’antenato Francesco de Sales nel quale, secondo la Mère Angélique Arnauld, Dieu était vraiment et visiblement présent, e che essa ritrovò, come ebbe a testimoniare il Racine, nel suo successivo direttore di coscienza, l’abate di SaintCyran. Insomma da Ottato di Milevi nel IV secolo, al conte di Cavour nel XIX la formula famosa («Libera Chiesa in libero Stato») dipana la sua lunga strada che è passata sicuramente da Port-Royal prima che dalla Ginevra di Vinet e dalla Parigi di Montalembert. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 6 luglio 2016 Allarme di Caritas Libano Campi profughi al collasso Intervento del cardinale Marx all’incontro del Ccee a Berlino Vangelo per il continente europeo BERLINO, 5. «Non possiamo capire l’Europa senza la nostra fede, il Vangelo, e non possiamo comprendere la Chiesa senza la storia della libertà che abbiamo sperimentato in questo continente». Parole del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di München und Freising e presidente dell’episcopato tedesco, intervenuto a Berlino all’incontro dei segretari generali delle conferenze episcopali d’Europa. Secondo il porporato, che è anche presidente della Commissione degli episcopati della Comunità eu- ropea, questo è il tempo di un «rinnovamento dell’evangelizzazione». Per questo, ha detto, «è necessario unire insieme il Vangelo e il nostro impegno per l’Europa. Il Vangelo è, infatti, il messaggio centrale per il continente europeo». Tuttavia, ha aggiunto, «la via della Chiesa non è una “riconquista” o un castello che deve essere difeso. Il cammino della Chiesa è la missione di incoraggiare e guidare le persone a una gestione responsabile del dono della libertà. Pertanto è necessario avere sempre in vista la qualità del nostro lavoro. Lettera dei leader religiosi britannici dopo la Brexit Unità non intolleranza LONDRA, 5. «In questo tempo di incertezza, la gente ha bisogno di punti di riferimento, ma ciò non è un valido motivo per cedere alla diffidenza verso l’altro»: è quanto si legge in una lettera aperta, pubblicata nei giorni sabilità personali nelle proprie azioni, invece di evitarle cercando capri espiatori, e a contrastare i pregiudizi razziali e comunitari ovunque si manifestino, assicurando che il Paese resti più che mai unito». Poiché è a causa di questa qualità che si raggiunge la gente». Quello di Marx è stato l’intervento centrale dell’appuntamento berlinese promosso dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (Ccee). Quattro giorni di lavori, dal 30 giugno al 3 luglio, all’insegna di tre parole chiave — integrare, dialogare, generare — suggerite da Papa Francesco, fondamentali per la vocazione dell’Europa, in occasione del conferimento del premio «Carlo Magno». I segretari generali delle conferenze episcopali d’Europa — rende noto un comunicato del Ccee — «hanno discusso di solidarietà con i migranti e i rifugiati (integrare), con le famiglie (dialogare) e tra le conferenze episcopali del continente (generare)». Il tutto, «tenendo presente l’esito referendario della Brexit e gli interrogativi che oggi animano le discussioni sul futuro dell’Ue». Particolare spazio è stato dato al tema della solidarietà nei confronti di migranti e rifugiati, attraverso un confronto sulle numerose esperienze di accoglienza e integrazione promosse dalla Chiesa, di fronte alle difficoltà nell’applicare una comune politica migratoria europea e soprattutto al dilagare di una paura ingiustificata nei confronti dei migranti. In questa prospettiva, una sessione dei lavori ha ospitato il ministro dell’Interno tedesco, Thomas de Maizière, che si è soffermato sulla politica migratoria messa in opera dal proprio Governo. BEIRUT, 5. «Noi cerchiamo di restituire giustizia e dignità a popoli e persone. I centri Caritas fanno il massimo anche se non ci sono aiuti sufficienti per tutti ed è solo una goccia nel mare». È l’ennesimo segnale d’allarme quello lanciato dal direttore di Caritas Libano, padre Paul Karam, ormai da anni in prima fila per il sostegno al flusso continuo di famiglie siriane, e non solo, che fuggono dalla guerra. Il Libano — ha dichiarato il sacerdote all’agenzia AsiaNews — paga «a caro prezzo» le politiche di altri e rischia di perdere quel «mosaico» etnico, religioso e culturale che da decenni «ne costituisce la specificità». Tanto più che il Paese dei cedri «non è un grande territorio» e non può assumersi «da solo» l’onere dell’accoglienza, mentre altre nazioni «consentono l’ingresso a un numero ridotto di persone». In oltre quattro anni, il Libano ha ospitato quasi 1,6 milioni di rifugiati siriani, affrontando anche tutti gli squilibri demografici, economici, politici, di sicurezza che questo comporta. Le Nazioni Unite, che conteggiano solo i profughi registrati, affermano che ve ne sono 1,2 milioni. A questi vanno però aggiunte almeno settecento famiglie di cristiani iracheni provenienti da Baghdad, Mosul, Erbil e decine di migliaia di palestinesi arrivati dalla Siria. Il tutto a fronte di una popolazione libanese di appena 4,4 milioni di abitanti e un Paese sempre più in difficoltà nella gestione dell’emergenza e paralizzato sotto il profilo istituzionale perché da due anni non riesce a eleggere il proprio capo dello Stato. Nelle parole di padre Karam si ritrovano gli stessi motivi di preoccupazione espressi pochi giorni fa a New York, nel corso di una visita pastorale, dal cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, per il quale la massa enorme di profughi siriani che hanno trovato rifugio in Libano rischia di stravolgere gli equilibri della nazione libanese. Secondo il patriarca, una soluzione per la crisi dei rifugiati in tutto il Vicino oriente richiede una pace duratura e il progressivo rimpatrio nelle nazioni d’origine, mentre è da evitare il loro insediamento permanente, in condizioni spesso ai limiti della sopportazione, nelle terre dove hanno trovato rifugio. Tanto più, ha aggiunto, che le moltitudini di rifugiati che trascinano la loro esistenza in condizioni precarie rappresentano un potenziale bacino di reclutamento per le organizzazioni terroristiche. Non bisogna certo generalizzare — avverte il direttore di Caritas Libano — «perché non tutti i profughi sono criminali, ma quando mancano cibo, scuola, lavoro, quando alle persone è negato il diritto alla vita e si è rinchiusi nei campi, il rischio di radicalizzazione è reale». Iniziativa della Federazione protestante di Francia per il 14 luglio Accoglienza fraterna scorsi sul «The Times» di Londra, sottoscritta dal cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, e dall’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della Comunione anglicana, insieme a Ephraim Mirvis, rabbino capo di Gran Bretagna e del Commonwealth delle Nazioni, e al maulana musulmano Syed Ali Raza Rizvi. Nella lettera, i leader religiosi esprimono ferma condanna dell’escalation di episodi di intolleranza xenofoba registrata nel Regno Unito dopo l’esito del referendum sulla Brexit e invitano tutti i cittadini all’unità e alla solidarietà nazionale. «Quando non riusciamo ad avere il controllo di una situazione ognuno di noi cede all’istinto di scaricare sugli altri le colpe per le ingiustizie che ritiene di avere subito. Oggi — prosegue la lettera — ci appelliamo a tutti i cittadini del nostro grande Paese a riconoscere le proprie respon- Nella settimana dal 23 al 30 giugno — riferisce l’Agi — si sono verificate nel Regno Unito 331 aggressioni a sfondo xenofobo, in particolare nei confronti di immigrati comunitari, contro una media di 63. Episodi condannati con fermezza dal cardinale Nichols. In un’intervista alla «Bbc» il presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles ha ribadito le sue forti preoccupazioni per questa escalation razzista, chiamando in causa le responsabilità dei governi di questi ultimi anni che — a detta del porporato — «hanno lasciato sole le Chiese e le comunità religiose ad affrontare le tensioni sociali legate all’immigrazione. Questa ondata di razzismo e odio è inaccettabile e non va tollerata». Il cardinale ha invitato a non cedere alla paura e a confidare in Dio: «Se non lasciamo spazio alla Provvidenza, la società si chiude in se stessa e diventa molto più egocentrica e divisa». PARIGI, 5. «Liberté, égalité, fraternité. Exilés: l’accueil d’abord!»: è il titolo della campagna a favore dell’accoglienza, promossa dalla Federazione protestante di Francia (Fpf), che si svolgerà il prossimo 14 luglio, festa della Repubblica. L’annuncio è stato dato dal pastore François Clavairoly, presidente della Fpf nonché della Conferenza dei responsabili dei culti in Francia, che ha incontrato nei giorni scorsi a Roma il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei). Durante l’incontro, i due responsabili religiosi hanno affrontato numerosi temi, fra cui le relazioni ecumeniche, il dialogo tra le fedi, il cinquecentesimo anniversario della Riforma, la testimonianza cristiana in una società secolarizzata, il cambiamento climatico e la “casa comune”, la giustizia sociale, il terrorismo, la crisi securitaria, ma anche le politiche migratorie, l’accoglienza dei profughi e i “corridoi umanitari” verso l’Italia. La visita di Clavairoly a Roma è stata anche un’occasione per incontrare alcuni operatori del progetto della Fcei per i rifugiati e migranti «Mediterranean Hope», molto apprezzato per il suo approccio olistico al fenomeno migratorio. Al riguardo, il pastore Clavairoly ha ricordato che «la Fpf ha a disposizione delle possibilità di accoglienza che tuttavia, a oggi, il Governo francese non sta sfruttando, e ce ne rammarichiamo. Insieme alla Federazione protestante di mutuo soccorso e all’Esercito della salvezza — ha aggiunto il presidente — da un anno e mezzo ospitiamo diverse centinaia di rifugiati. Ma abbiamo ancora potenzialità di accoglienza. Il fatto è che la maggior parte dei profughi non passa dalla Francia, non siamo più sulla rotta dei flussi». François Clavairoly ha inoltre spiegato di aver interpellato il Governo francese in merito alla decisione di accogliere solo trentamila pro- fughi in due anni: «Consideriamo questi numeri del tutto insufficienti per un Paese come la Francia. Ecco perché abbiamo lanciato questa campagna che mira a richiamare le responsabilità di ognuno di noi di fronte alle tragedie umanitarie dei nostri tempi». Al processo vaticano per la divulgazione di documenti riservati Quattro richieste di condanna Quattro richieste di condanna e una di assoluzione sono state formulate dall’accusa durante l’udienza, svoltasi nel pomeriggio del 4 luglio in Vaticano. È entrato così nella fase finale il processo penale per la rivelazione di notizie e documenti riguardanti interessi fondamentali dello Stato, che vede imputati per il reato di associazione criminale monsignor Ángel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui e Nicola Maio. L’ufficio del promotore di giustizia — composto da Giampiero Milano e Roberto Zannotti — ha chiesto tre anni e un mese di reclusione per il sacerdote, tre anni e nove mesi per la donna, ritenuta ispiratrice e responsabile delle condotte contestate, e un anno e nove mesi per Maio, in considerazione del limitato ruolo svolto nella vicenda. Per i giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, accusati per il concorso nella divulgazione di documenti attraverso la pubblicazione, rispettivamente dei libri Avarizia e Via Crucis, è stato invece ritenuto di differenziare le posizioni, concludendo con una richiesta di assoluzione per insufficienza di prove per Fittipaldi e con una richiesta di condanna a un anno di reclusione, con sospensione condizionale della pena, per Nuzzi. Nell’aula del Tribunale erano presenti il collegio giudicante (Giuseppe Dalla Torre, Piero Antonio Bonnet, Paolo Papanti-Pelletier e Venerando Marano), il promotore di giustizia, tutti gli imputati e gli avvocati. Nella mattina del 5 luglio sono iniziati gli interventi della difesa, che termineranno nel pomeriggio del 6 luglio. Progetti di Acs in Iraq e Siria ROMA, 5. L’Iraq e la Siria sono i principali beneficiari di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) che nel corso dell’ultimo anno ha potuto finanziare 6.209 progetti in centoquarantasei Paesi, seicento interventi in più rispetto al 2014. È quanto rende noto la fondazione di diritto pontificio sottolineando come il 2015 sia stato un anno record per le donazioni. «Acs — si legge in un comunicato — ha raccolto 124,1 milioni di euro, superando del 15 per cento la raccolta dell’anno precedente. Le aree geografiche prioritarie continuano a essere l’Africa e il Medio oriente». Soltanto per quanto riguarda quest’ultima macroregione, Acs ha donato oltre 20.500.000 euro. Sono così quasi raddoppiati gli aiuti di emergenza e la fornitura di strutture per far fronte soprattutto alle necessità dei milioni di rifugiati. «Un aumento costante — viene sottolineato — sin da quando è iniziata ad aggravarsi l’instabilità nella regione. Dal 2011 a oggi Acs ha infatti donato 47.630.000 euro in tutto il Medio oriente». Nel corso del 2015, viene riportato nella nota, «la fondazione ha continuato a sostenere la pastorale della Chiesa in tutto il mondo, per esempio attraverso la costruzione e la ricostruzione di 1.674 tra chiese, cappelle, seminari, monasteri, centri pastorali e altri edifici religiosi. A questo ambito di intervento è stato devoluto il 36 per cento delle offerte, per un totale di oltre 34 milioni di euro». L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 6 luglio 2016 pagina 7 Videomessaggio del Papa a sostegno dell’iniziativa di Caritas internationalis In Siria la pace è possibile Incredibili quantità di denaro vengono spese per le armi mentre il popolo soffre Un pensiero per le vittime costrette «a sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga»; un incoraggiamento ai fedeli affinché preghino e si impegnino in opere concrete; e uno alla comunità internazionale perché sostenga «i colloqui verso la costruzione di un governo di unità nazionale». Sono contenuti nel videomessaggio con cui Papa Francesco sostiene la campagna «Siria: la pace è possibile», lanciata da Caritas internationalis martedì 5 luglio. Cari fratelli e sorelle, oggi desidero parlarvi di qualcosa che rattrista molto il mio cuore: la guerra in Siria, oramai entrata nel suo quinto anno. È una situazione di indicibile sofferenza di cui è vittima il popolo siriano, costretto a sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga verso altri Paesi o zone della Siria meno dilaniate dalla guerra: lasciare le loro case, tutto... Penso anche alle comunità cristiane, a cui va tutto il mio sostegno a causa delle discriminazioni che devono sopportare. Ecco, desidero rivolgermi a tutti i fedeli e a coloro i quali sono impegnati, con Caritas, nella costruzione di una società più giusta. Mentre il popolo soffre, incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti. E alcuni dei Paesi fornitori di queste armi, sono anche fra quelli che parlano di pace. Come si può credere a chi con la mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce? Incoraggio tutti, adulti e giovani, a vivere con entusiasmo quest’Anno della Misericordia per vincere l’indifferenza e proclamare con forza che la pace in Siria è possibile! La pace in Siria è possibile! Per questo, siamo chiamati a incarnare questa Parola di Dio: «Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto al vostro riguardo — dice il Signore — progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza» (Geremia 29, 11). L’invito è di pregare per la pace in Siria e per il suo popolo in occa- Una valigia, un pallone e una casa bombardata Una valigia, come simbolo di chi è costretto alla fuga; un pallone pieno di spine, per raccontare un’infanzia a cui è stato negato anche il diritto di giocare; un palazzo disastrato dai bombardamenti, dove l’unico appello alla speranza sono dei palloncini colorati dipinti fra le crepe. Sono le tre immagini che l’artista Tammam Azzam ha scelto per accompagnare la campagna di Caritas internationalis «Siria: la pace è possibile» lanciata martedì 5 luglio con il sostegno del videomessaggio di Papa Francesco. Insieme a un film d’animazione sulla guerra e alle testimonianze di siriani rimasti in Una delle immagini scelte per la campagna dall’artista siriano Tammam Azzam D all’associazione Santi Pietro e Paolo Gesto di solidarietà per i poveri Un’offerta in denaro messa a disposizione dell’Elemosineria Apostolica da destinarsi alle priorità caritative di Papa Francesco. Così l’associazione Santi Pietro e Paolo ha voluto ricordare il quarantacinquesimo anniversario della fondazione. La raccolta è avvenuta durante una serata di beneficenza svoltasi presso un istituto romano dei fratelli delle Scuole cristiane. E per commemorare l’istituzione del sodalizio da parte di Paolo VI nel 1971, erede degli ideali di fedeltà al Papa della Guardia palatina d’onore, si è pensato anche all’aspetto spirituale. In prossimità della solennità dei santi Pietro e Paolo è stata celebrata la festa patronale: momento culminante la messa presieduta dal cardinale arciprete Angelo Comastri all’altare della cattedra della basilica vaticana. All’inizio della liturgia, alla presenza del presidente Calvino Gasparini, quaranta nuovi soci, molti dei quali provenienti dal gruppo allievi, hanno pronunciato la promessa a conferma della vitalità dell’associazione, che sempre più è capace di attirare giovani chiamati a testimoniare, nelle molteplici attività loro proposte, la fedeltà al Successore di Pietro. All’omelia, il porporato ha ringraziato i soci per il servizio svolto principalmente nella basilica di San Pietro. «In questo luogo impregnato di sangue di martirio — ha detto il cardinale Comastri — la vostra pazienza, le vostre buone parole, la vostra gentilezza sono messaggi importanti per i pellegrini». Questa testimonianza di vita cristiana, orientata alla misericordia di Dio, ancor prima della fedeltà alla Sede Apostolica, è lo spirito che deve animare i soci, sicuri — ha concluso l’arciprete — che Dio è mite, è benevolo, è paziente all’infinito. (eugenio cecchini) patria e di rifugiati che vivono nei Paesi confinanti, quelle tre immagini saranno il promemoria visivo, in tutto il mondo, di una tragedia umanitaria che si protrae ormai da oltre cinque anni. Sette milioni di sfollati interni, quasi cinque milioni di rifugiati costretti ad abbandonare il Paese, centinaia di migliaia di persone uccise, tredici milioni e mezzo bisognosi di assistenza: di questi, la metà sono bambini. Sono i numeri agghiaccianti del conflitto in corso. Affrontare le conseguenze umanitarie dei cinque anni di guerra nel Paese, è attualmente la più grande operazione di soccorso intrapresa da Caritas nel mondo. L’organismo internazionale fornisce cibo, assistenza sanitaria, beni di prima necessità, istruzione, rifugio, consulenza psicologica, protezione e sostentamento nel territorio e nelle nazioni che ospitano i rifugiati. Solo l’anno scorso le varie Caritas nazionali sono riuscite a portare aiuti a quasi un milione e mezzo di persone. «Non sono solo numeri, sono esseri umani — ha detto il cardinale presidente di Caritas internationalis Luis Antonio G. Tagle che ha incontrato i rifugiati siriani in Libano e in Grecia — e dobbiamo dare loro speranza, dignità e pace. È necessario dare inizio a un movimento mondiale per la pace». Di fronte al perdurare della crisi, viene quindi lanciata una campagna internazionale: in rete tutte le informazioni, i consigli e gli strumenti operativi per chiunque volesse aderire si trovano su un nuovo sito web (syria.caritas.org). Il primo obiettivo è quello di vincere la disinformazione e l’indifferenza di fronte a tutto quello che accade in Medio oriente: vengono sollecitati convegni, gruppi di studio, coinvolgimento di scuole, incontri, dibattiti. Tra i mezzi suggeriti, anche i social, come Facebook e Twitter (hashtag: #peacepossible4syria e account: @iamCaritas). Occorre che tutti conoscano le sistematiche violazioni dei diritti umani che vengono commesse in Siria e cosa alimenta tanta sofferenza e tanto spargimento di sangue: «Mentre il popolo soffre — spiegano gli organizzatori — incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti. E alcuni dei Paesi fornitori sono anche fra quelli che parlano di pace». Perciò la campagna prevede anche azioni per fare pressione sui Governi di tutto il mondo per far «sì che le parti in conflitto si confrontino per trovare una soluzione pacifica, sostengano i milioni di persone che subiscono le conseguenze della guerra e restituiscano ai Siriani, all’interno e fuori dal Paese, dignità e speranza». sione di veglie di preghiera, di iniziative di sensibilizzazione nei gruppi, nelle parrocchie e nelle comunità, per diffondere un messaggio di pace, un messaggio di unità e di speranza. Alla preghiera, poi, seguano le opere di pace. Vi invito a rivolgervi a coloro i quali sono coinvolti nei negoziati di pace affinché prendano sul serio questi accordi e si impegnino ad agevolare l’accesso agli aiuti umanitari. Tutti devono riconoscere che non c’è una soluzione militare per la Siria, ma solo una politica. La comunità internazionale deve pertanto sostenere i colloqui di pace verso la costruzione di un governo di unità nazionale. Uniamo le forze, a tutti i livelli, per far sì che la pace nell’amata Siria sia possibile. Questo sì che sarà un grandioso esempio di misericordia e di amore vissuto per il bene di tutta la comunità internazionale! Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. Grazie. La comunità cattolica armena dopo la visita di Francesco Come piante assetate nel deserto di RAPHAEL MINASSIAN* È passata una settimana da quei giorni memorabili che hanno segnato la presenza di Papa Francesco in Armenia, e anche se il Pontefice è rientrato in Vaticano, nel Paese caucasico si ha la sensazione che la sua permanenza continui. Tutti, sia i cittadini dell’Armenia sia quelli della diaspora, i giornali, le televisioni e le radio continuano a parlare di questa visita storica nella prima nazione cristiana. Francesco ha lasciato il segno, con la sua umiltà, la sua testimonianza cristiana e la sua condotta esemplare, che hanno fatto breccia nei cuori degli armeni e che ora sono diventati argomenti di commento e approfondimento, e anche oggetto di comparazione con la realtà locale. È come una pianta assetata nel deserto che, quando riceve un poco di acqua, sembra fiorita ma non è ancora sazia. L’incontro con il Papa ha offerto l’occasione alla popolazione locale di alzare lo sguardo e di guardarsi intorno per poi convincersi A tali aspirazioni si unisce unanime anche la diaspora armena, che ha vissuto momento per momento tutta la visita del Pontefice e che ancora una volta desidera ringraziarlo per l’amore che ha dimostrato nei confronti di questo popolo martoriato. Lo vuole ringraziare per i suoi messaggi chiari e trasparenti, per i suoi inviti alla pace e soprattutto per la sua testimonianza evangelica. Gli armeni hanno percepito che il messaggero arrivato da Roma in visita al popolo che per primo ha abbracciato la fede cristiana come religione di Stato e che per questa fede ha versato anche il proprio sangue, aveva il compito di ravvivare quella fede ancestrale, quella fede salda nella roccia che guarda oltre la croce e vede la sua fonte di vita nel Risorto. Il vero senso della visita era dunque apprezzare e incoraggiare il popolo di Dio in Armenia. Rinsaldarlo nella sua fede. E a questo richiamo non hanno risposto solo i cattolici ma anche i fedeli della Chiesa apostolica, che nel Papa hanno riconosciuto un La messa celebrata dal Pontefice a Gyumri il 25 giugno che non è un’utopia aspirare a un qualche cambiamento; che la Chiesa è fatta per servire, che la vita sociale deve avere al centro l’essere umano e la sua dignità. Che il bene comune va custodito e difeso; e che è imperativo che anche le istituzioni aspirino a loro volta a un cambiamento di rotta per far sì che questa piccola nazione, dimenticata a volte dal mondo, possa sperare sempre di più in un futuro migliore, di pace e di prosperità, di giustizia sociale e di fratellanza. vero pastore universale, il successore di Pietro, che attraverso i suoi gesti e i suoi messaggi ha fatto sentire questo popolo come parte integrante della Chiesa universale, dello stesso corpo di Cristo. Le parole del Pontefice sono arrivate a destinazione: hanno trovato un terreno fertile e maturo che le ha accolte, come la pianta assetata che riceve l’acqua e si sente rinascere. L’Armenia e gli armeni sentono infatti questa sete, a causa dell’isolamento socio-geografico, dei confini chiusi con i Paesi non cristiani limitrofi, cui vanno aggiunte le tensioni belliche che preoccupano e ostacolano la crescita e lo sviluppo. Possiamo dire che la visita del Papa in Armenia è stata estremamente positiva, perché ha lasciato un’eredità da coltivare. A cominciare dal cammino ecumenico. Forse è giunto il momento che il clero, cattolico e apostolico, faccia un esame di coscienza e cominci a operare perché la preghiera del Signore «che siano uno» diventi realtà. Forse, invece della perdita di tempo nell’autodifesa e nel giustificare le nostre condotte, è ora di accettare gli sbagli e iniziare un nuovo percorso spirituale al servizio del popolo armeno, senza calcoli egoistici, senza pretese di potere o posizioni, ma consapevoli della responsabilità a noi affidata: aspirare a quel cammino, insieme, verso la nostra vera meta che è l’unità della Chiesa di Cristo. Così come è stato il 25 giugno scorso con la messa celebrata a Gyumri, città cuore degli armeni cattolici. Un momento condiviso da tutta la comunità cittadina, senza distinzione, in presenza della gerarchia armeno cattolica con a capo il patriarca Grégoire Pierre XX Ghabroyan e dei nostri fratelli apostolici con Karekin II. In quella celebrazione si è potuta vedere e vivere l’unità dei cristiani. Un’immagine che lascia ben sperare per il futuro. Il quattordicesimo viaggio internazionale di Papa Francesco, che ha avuto come meta il Paese biblico d’Armenia, ha già cominciato a dare i suoi frutti spirituali che si chiamano modestia, umiltà, fraternità, solidarietà e attenzione verso i più bisognosi, amore cristiano che si manifesta anche attraverso la giustizia sociale e il servizio e il sacrificio. «Vengo come pellegrino di Pace e servitore del Vangelo», aveva detto Francesco nel suo messaggio alla nazione prima del viaggio. Ora che questo è stato realizzato, l’auspicio è che quel messaggio di pace prenda corpo e che la testimonianza del servitore del vangelo sia spunto per un cambiamento radicale e un progresso sociale, che porti l’Armenia e gli armeni a essere non solo la prima nazione che ha abbracciato il cristianesimo, ma anche testimonianza viva di questa fede in un mondo sempre più segnato da lotte e divisioni. In un mondo che ha bisogno di pace. *Arcivescovo, ordinario per gli armeni cattolici dell’Europa orientale