L`OSSERVATORE ROMANO

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L`OSSERVATORE ROMANO
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 152 (47.287)
Città del Vaticano
mercoledì 6 luglio 2016
.
Videomessaggio del Papa per la campagna di Caritas internationalis
Bogotá tra l’intesa con la Farc e gli attacchi dell’Eln
In Siria la pace è possibile
Dialogo
nonostante le violenze
Incredibili quantità di denaro vengono spese per le armi mentre il popolo soffre
«Incoraggio tutti a proclamare con
forza che la pace in Siria è possibile!
La pace in Siria è possibile!»: è un
auspicio che Papa Francesco ripete
per ben due volte, quello espresso
nel videomessaggio a sostegno della
campagna lanciata da Caritas internationalis martedì mattina, 5 luglio.
Da mezzogiorno sul nuovo sito internet attivato appositamente per
l’iniziativa (syria.caritas.org) le parole del Pontefice riecheggiano in italiano — sottotitolate in inglese — nei
cinque continenti attraverso la rete e
i social network, per contribuire alla
più grande operazione di soccorso
intrapresa dall’organismo caritativo
nel mondo. Un’azione umanitaria
fatta di forniture di cibo e di beni di
prima necessità, assistenza sanitaria,
istruzione, rifugio, consulenza psicologica, protezione.
Francesco esordisce ricordando
che «la guerra in Siria, oramai entrata nel suo quinto anno» provoca
condizioni «di indicibile sofferenza
di cui è vittima il popolo, costretto a
sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga verso altri Paesi», lasciandosi dietro tutto. E il pensiero
del Papa va subito «alle comunità
cristiane, a cui» assicura tutto il proprio «sostegno a causa delle discriminazioni che devono sopportare».
Rivolgendosi poi a quanti «sono
impegnati, con Caritas, nella costruzione di una società più giusta»,
Francesco evidenzia come «incredi-
bili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi ai combattenti». Con la denuncia «che alcuni dei
Paesi fornitori di armi, sono anche
fra quelli che parlano di pace». Ecco
allora l’invito «a vivere con entusiasmo quest’Anno della Misericordia»
pregando «per la pace in Siria e per
il suo popolo in occasione di veglie,
di iniziative di sensibilizzazione nei
gruppi, nelle parrocchie e nelle comunità, per diffondere un messaggio
di unità e di speranza».
E alla preghiera, il Pontefice chiede di far seguire opere concrete, per
esempio stimolando quanti sono
«coinvolti nei negoziati di pace, affinché prendano sul serio questi accordi e si impegnino ad agevolare
l’accesso agli aiuti umanitari».
Del resto, secondo Francesco tutti
dovrebbero riconoscere «che non c’è
una soluzione militare per la Siria,
ma solo una politica». E di conseguenza la comunità internazionale è
chiamata a «sostenere i colloqui di
pace verso la costruzione di un governo di unità nazionale».
Il messaggio si conclude con
l’esortazione a unire «le forze, a tutti
i livelli, per far sì che la pace
nell’amata Siria sia possibile. Questo
sì — è la considerazione finale del
Papa — che sarà un grandioso esempio di misericordia».
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Appello dell’Onu per l’invio immediato di aiuti umanitari ai civili siriani
Quattro città allo stremo
DAMASCO, 5. Quattro città siriane
sono alla fame, messe in ginocchio
da combattimenti che si protraggono
da quasi dodici mesi: servono perciò
aiuti immediati per garantire, pur tra
le violenze, la sopravvivenza della
popolazione civile. Questo l’appello
lanciato ieri da funzionari delle Nazioni Unite al lavoro in Siria. Le città sono quelle di Madaya, Zabadani,
Foua e Kafraya. Le prime due, poco
fuori Damasco, sono circondate dalle forze governative che combattono
contro i ribelli. Quelle di Foua e Kafraya, nel nord ovest della Siria, subiscono invece l’assedio delle forze
ribelli.
Le quattro città sono isolate
dall’anno scorso e sempre più rari
sono i carichi di aiuti che riescono
ad arrivare. A Foua e Kafraya l’ulti-
mo carico era stato consegnato ad
aprile. Circa 62.000 persone sono intrappolate nei combattimenti e rischiano la vita. Manca tutto: dai generi alimentari alle cure mediche, ai
servizi più elementari, come quelli
igienici. Secondo Medici senza frontiere, a gennaio sedici persone sono
morte di fame a Madaya a causa
dell’assedio.
La mancanza di rifornimenti non
fa che accrescere la gravità delle condizioni dei civili sottoposti a violenze in diverse parti del Paese. L’organizzazione internazionale Amnesty
International ha denunciato ieri che
alcuni gruppi dell’opposizione armata in Siria si sono macchiati di abusi
gravissimi nei confronti dei civili.
L’organizzazione ha documentato
«un’ondata agghiacciante di torture,
Ocse e Fao chiedono un’azione dei Governi
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Politiche contro la fame
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rapimenti e omicidi sommari nelle
zone controllate dai ribelli», ovvero
gruppi di diversa estrazione, molti
dei quali legati anche al terrorismo.
Secondo l’organizzazione che si batte per i diritti umani, a compiere gli
abusi sarebbero stati in particolare
cinque gruppi armati, tra i quali figurano alcune milizie appoggiate
dagli Stati Uniti e da altre potenze
regionali e il Fronte Al Nusra, il
braccio di Al Qaeda in Siria. Il rapporto è basato su interviste a circa
settanta persone che vivono o lavorano nelle province settentrionali di
Aleppo e Idlib, zone profondamente
segnate dai combattimenti e dalle
violenze.
«Mentre alcuni civili nelle aree
controllate da gruppi armati di opposizione potrebbero in un primo
momento aver accolto positivamente
una fuga del Governo siriano, le loro speranze sono naufragate non appena questi gruppi hanno preso il
potere e commesso gravi abusi» ha
dichiarato Philip Luther, direttore
del programma per il Medio oriente
di Amnesty. Il rapporto documenta
non solo 24 sequestri di attivisti appartenenti sia a minoranze etniche
che religiose, ma anche esecuzioni
sommarie in pubblico di combattenti
filo-governativi, da considerare alla
stregua di crimini di guerra. Alcune
persone «sono state rapite semplicemente per aver criticato i gruppi armati o per aver suonato della musica» riferisce il rapporto. Amnesty ha
quindi invitato i Paesi coinvolti nella
crisi a interrompere i trasferimenti di
armi ai gruppi implicati negli abusi
e a prendere seri provvedimenti affinché tali violenze non abbiano più
a ripertersi.
Ma dalla Siria non giungono solo
cattive notizie. Ieri l’O rganizzazione
mondiale della sanità (Oms) ha annunciato di aver consegnato «trattamenti salvavita» a 43.000 persone
che vivono a Zamalka e Arbeen, due
città siriane della Ghouta orientale
in mano ai ribelli e sotto l’assedio
delle forze governative. Qui la situazione sta leggermente migliorando
per i civili, nonostante i combattimenti.
In una nota pubblicata sul sito ufficiale, l’Oms spiega che tra gli aiuti
forniti figurano anestetici, farmaci
salvavita, antibiotici e kit per rendere
potabile l’acqua. Era dal novembre
del 2012 che ad Arbeen e Zamalka
non entrava un convoglio di aiuti
umanitari.
Le località erano le ultime delle
diciotto — dicono gli esperti dell’Oms — sotto assedio che quest’anno ancora non erano state raggiunte
dagli aiuti. Nel comunicato l’O ms
ha inoltre specificato che nel 2016
sono stati forniti «trattamenti salvavita a 176.000 civili nella Ghouta
orientale».
La penna, ricavata da un proiettile, con cui è stata firmata l’intesa tra Governo e Farc (Ansa)
BO GOTÁ, 5. I recenti scontri tra
l’esercito e i ribelli dell’Eln (Esercito di liberazione nazionale) non
piegano il processo di pace di Colombia, giunto ormai alle sue fasi
conclusive dopo la firma del cessate il fuoco tra il Governo del presidente Juan Manuel Santos e i ribelli delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), lo scorso 23 giugno.
Forte sostegno alla «costruzione
della pace in Colombia» è stato
espresso ieri dal cardinale Rubén
Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotá, in alcune dichiarazioni riportate da un comunicato della presidenza colombiana. Il presidente
Santos ha incontrato ieri alla Casa
del Nariño, sede dell’Esecutivo, 115
leader delle principali confessioni
religiose presenti nel Paese in occasione della firma di un decreto che
istituisce il 4 luglio quale Giornata
nazionale della libertà religiosa e di
culto in Colombia. Il cardinale Salazar Gómez ha sottolineato l’importanza dell’accordo per il cessate
il fuoco tra Governo e Farc definendolo «un passo molto importante». Anche il delegato del Consiglio ecumenico delle Chiese, Rudelmar Bueno de Faria, ha espresso
soddisfazione per l’intesa.
Dal canto suo, il presidente della
Conferenza colombiana della Li-
Un testo inedito sul piano nazista per sequestrare Pio
XII
Quella notte d’inverno del 1944
ANTONIO NO GARA
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bertà religiosa, della coscienza e
del culto, Héctor José Pardo, ha
evidenziato che tutte le confessioni
religiose del Paese possono «servire
alla riconciliazione tra gli attori del
conflitto». Il prossimo 17 luglio è
in programma una giornata nazionale interreligiosa per la pace in
Colombia. E oggi inizia la visita
nel Paese dell’inviato speciale
dell’Unione europea, Eamon Gilmore, che vuole monitorare i nuovi
passi verso la pace.
Il conflitto tra Bogotá e le Farc
ha causato circa 260.000 morti,
45.000 “desaparecidos” e più di sei
milioni di sfollati. L’accordo tecnico sul cessate il fuoco non è il trattato di pace definitivo, anche se
spalanca la strada verso questo
obiettivo. Ed è stato solo l’ultimo
passo di un cammino difficile e
complesso, iniziato nell’agosto 2012
con la firma di un accordo generale
per porre fine al conflitto e arrivare
a una pace duratura. I negoziati
iniziarono formalmente pochi mesi
dopo, nel novembre 2012. I principali risultati raggiunti sono stati
l’accordo sulla riforma rurale (prevede lo sviluppo economico-sociale
delle campagne e la distribuzione
della terra ai contadini: maggio
2013), quello sulla partecipazione
degli ex guerriglieri alla vita politica (con la trasformazione delle
Farc in un movimento legale e
maggiori garanzie di partecipazione per tutti i cittadini: novembre
2013), la soluzione al problema del
traffico illegale di droga (con la
creazione di un nuovo piano nazionale per il contrasto del narcotraffico: maggio 2014). A completare il
quadro, nel dicembre 2015, c’è stata
l’intesa sui risarcimenti (economici,
sociali e morali) alle vittime e ai
parenti delle vittime, che saranno
stabiliti da una commissione speciale; e quindi, pochi mesi dopo,
l’accordo per la riabilitazione dei
bambini soldato.
Tuttavia, come detto, la firma
del cessate il fuoco definitivo non
significa la fine automatica delle
violenze in Colombia, dove il secondo gruppo guerrigliero, l’Esercito di liberazione nazionale (Eln),
e gruppi armati paramilitari continuano a sfidare l’autorità del Governo. E infatti ieri si sono registrati gli ultimi scontri: tre militari colombiani sono morti in un attacco
dell’Eln a Caño Dagua, alla frontiera con il Venezuela. Si sarebbe
trattato — dicono fonti di stampa —
di un’imboscata. Alcune ore dopo
l’azione, i guerriglieri dell’Eln sono
stati avvistati nella piazza principale di Providencia. La speranza, tuttavia, è che la storica intesa con i
guerriglieri delle Farc faciliti i prossimi colloqui di pace tra le autorità
di Bogotá e i ribelli dell’Eln, dopo
due anni di conversazioni preliminari confidenziali. Anche Washington, a tal proposito, ha inviato un
proprio delegato per accelerare il
dialogo.
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mercoledì 6 luglio 2016
Un bandiera britannica
tra gli scranni del Parlamento europeo (Ansa)
Ocse e Fao chiedono un’azione dei Governi a favore di un’agricoltura sostenibile
Politiche contro la fame
Prima sessione plenaria ordinaria del parlamento di Strasburgo dopo la Brexit
Nuovo passo per l’Europa
Regno Unito, di una perdita del
prodotto interno lordo nel 2017
dell’1,2 per cento. Sul piano politico,
invece, si prende atto del passo indietro dei due paladini della Brexit:
l’ex sindaco di Londra, Boris
Johnson, che ha ritirato la sua candidatura a premier, e Nigel Farage,
che ha lasciato la guida del partito
da lui fondato, l’Ukip. Farage, però,
partecipa alla Plenaria di Strasburgo
STRASBURGO, 5. Il Parlamento europeo, riunito nella sua prima plenaria
ordinaria dopo il referendum sulla
Brexit, discute del nuovo slancio che
l’Unione europea deve ritrovare sul
piano politico e su quello economico. Intanto, la Gran Bretagna è alle
prese con i primi dati sulla recessione e le prime votazioni per le candidature per il nuovo premier.
A Strasburgo il messaggio ribadito è che, nel dopo Brexit, non si
può tornare al «business as usual». Il
ministro delle Finanze tedesco,
Wolfgang Schäuble, non ha nascosto critiche in questo senso all’Esecutivo. Ma per tutta risposta all’avvio della Plenaria, al presidente della
Commissione Jean-Claude Juncker,
è arrivato l’appoggio delle principali
famiglie politiche dell’Europarlamento. Manfred Weber, presidente
del gruppo Partito popolare europeo, Ppe, sottolinea che «Juncker ha
fatto molte riforme in vari settori»,
per poi ribadire «il pieno appoggio». Gianni Pittella, presidente del
gruppo dei socialisti e democratici,
S&D, sottolinea che «tempi straordinari richiedono reazioni straordinarie», ma spiega che «non è giusto
cercare il capro espiatorio nel presidente della Commissione». Piuttosto, Pittella chiede che si parli dei
«veti e dell’irresponsabilità di alcuni
Stati che nell’ambito del Consiglio,
molto spesso, lavorano per disfare la
tela che faticosamente Commissione
e Parlamento preparano».
Nel dibattito interviene, sulla
stampa, l’ex presidente della Banca
centrale europea (Bce), Jean-Claude
Trichet, che riconosce il prevalere di
una «sensazione di tristezza», ma
nega «che l’uscita del Regno Unito
possa disgregare il progetto storico
dell’Unione europea». Trichet aggiunge poi anche una precisa valutazione economica: «L’impatto sulla
crescita economica dei 27 non sarà
importante: la percentuale di crescita
mancata nel 2017 sarà tra lo 0,2 e lo
0,3 per cento».
A Londra la City discute però su
altre stime, che parlano, per il
Per formare l’Esecutivo dopo il voto del 26 giugno
Rajoy avvia
consultazioni informali
Il presidente del Governo uscente spagnolo (Ap)
MADRID, 5. Il presidente del Governo uscente spagnolo, Mariano
Rajoy, vincitore delle politiche del
26 giugno ma senza maggioranza,
ha avviato oggi le consultazioni informali con un primo incontro con
i leader del partito Coalición canaria. Rajoy tenta di formare il nuovo
«accompagnare il processo di avvicinamento all’Unione europea, anche attraverso il rafforzamento degli
scambi e della mobilità giovanile tra
Balcani e Ue». Hollande allude così
alla prevista creazione di un Ufficio
regionale di cooperazione giovanile.
Al vertice, nel pomeriggio all’Eliseo, si parlerà pure dell’attuale contesto di crisi dei rifugiati e di lotta
al terrorismo.
All’incontro partecipano anche
l’Alta Rappresentante per la Politica
estera e di sicurezza comune
dell’Ue, Federica Mogherini, e i
rappresentanti delle grandi istituzioni finanziarie, come la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Berd) e la Banca europea degli
investimenti, (Bei).
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Il direttore della Fao Da Silva,
dal canto suo, ha poi auspicato che
«la maggior parte della domanda
futura dei beni agricoli primari possa essere soddisfatta attraverso i
guadagni in termini di produttività
e non con l’espansione delle aree
coltivate».
In Ungheria referendum
sui ricollocamenti
Balcani più vicini all’Unione
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menti e non ci sono le condizioni
naturali. Queste regioni — ha spiegato Gurrìa — «sono costrette a importare di più e non soltanto per
un miglioramento delle condizioni
di vita, ma anche perché ci sono
più abitanti, perché la popolazione
continua a crescere, come ad esempio nell’Africa subsahariana».
Il rapporto mostra che nella regione subsahariana il tasso di denutrizione dovrebbe diminuire tra il
23 e il 19 per cento, ma, a causa
della rapida crescita demografica, la
popolazione continuerà a soffrire la
fame. Ciò significa che senza un
cambiamento importante, non si
riuscirà a raggiungere l’eliminazione
della fame entro il 2030, come concordato dalle Nazioni Unite e da
tutta la comunità internazionale. In
tal senso servono politiche efficaci
che possano riequilibrare la distribuzione e la produzione.
Un altro grosso problema che pesa sull'agricoltura mondiale è quello
della speculazione finanziaria. Questo fenomeno «è presente, quando
non c’è informazione» ha spiegato
Gurrìa. «Ci sono, infatti, agenti
economici, finanziari — banche e
così via — che sanno più di altri, e
che fanno il mercato. Ma quando
abbiamo più informazioni, la speculazione è minore». Naturalmente
— ha aggiunto il direttore dell’O cse
— «se c’è un ciclone, un uragano,
un problema di inondazione, in
una regione molto importante dal
punto di vista della produzione, abbiamo sempre una reazione dei
prezzi». Quello che è importante,
però, «è che le riserve alimentari
sono oggi oltre il cinquanta per
cento di quanto non fossero prima
della crisi. E questo è un elemento
di forte stabilità».
Resta blindato per i migranti il confine meridionale
Cooperazione su infrastrutture e giovani
PARIGI, 5. La Ue si impegna a mettere a disposizione 150 milioni di
euro a favore del potenziamento
delle infrastrutture, della rete dei
trasporti e di progetti energetici nei
Balcani occidentali, ma chiede riforme in linea con gli standard europei. È quanto conferma il commissario Ue all’allargamento, Johannes
Hahn, al Forum economico a Parigi, poco prima dell’avvio del vertice
tra sei Paesi balcanici e sei Stati
membri dell’Unione europea proprio nella capitale francese.
Il vertice sui Balcani è diventato
un appuntamento ormai annuale,
dopo le precedenti edizioni, a Berlino nel 2014 e a Vienna nel 2015.
Nelle parole del presidente francese,
François Hollande, l’obiettivo è
perché non si è dimesso da parlamentare europeo. In questo clima, i
deputati conservatori britannici hanno iniziato a votare per scegliere il
nuovo leader Tory, dopo le dimissioni di David Cameron. Dopo la prima votazione martedì a eliminazione, ce ne sarà una seconda giovedì.
Quando resteranno due candidati,
voteranno per posta tutti i militanti
del partito.
ROMA, 5. Vanno promosse politiche
efficaci per permettere la nascita di
una nuova agricoltura più sostenibile, che possa accelerare la lotta
contro la fame nel mondo. Questo
il messaggio contenuto nel rapporto
congiunto Ocse-Fao 2016-2025, presentato ieri a Roma dal direttore
generale dell’Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico, Ángel Gurría, e dal direttore
dell’Organizzazione dell’Onu per
l’alimentazione e l’agricoltura, José
Graziano da Silva.
Il rapporto prevede un'inversione
di rotta per i prezzi dei principali
prodotti, che, dopo un lungo periodo di salita, resteranno nell’insieme
bassi per il prossimo decennio. Tuttavia, dicono gli esperti, la situazione è ancora altamente incerta, dunque tutte le previsioni vanno fatte
con molta cautela. In ogni caso il
calo dei prezzi non basterà a sconfiggere la fame nel mondo — ha
sottolineato Da Silva — se non vi
saranno forti politiche di sostegno
per ottimizzare le produzioni agricole e soprattutto per migliorare la
distribuzione delle risorse tra Paesi
e popolazioni. Un ruolo chiave
avrà quindi il commercio globale,
in uno scenario di economia ancora
in ristagno, con una crescita prevista dell’1,8 per cento rispetto al 4,3
dello scorso decennio.
Resta fortemente critica la situazione dell’Africa Subsahariana, dove da qui al 2015, si concentrerà un
terzo della popolazione mondiale
sottoalimentata, anche se il numero
totale scenderà da 788 milioni a 650
milioni. In effetti, il consumo di cibo sta aumentando soprattutto in
quelle regioni che non hanno la capacità di produrre nel proprio Paese perché non ci sono gli investi-
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
governo, dopo mesi di impasse politica.
Il leader popolare ha conquistato 137 seggi su 350 alle legislative,
davanti ai socialisti del Partido socialista obrero español, che ne hanno conquistati 85; Podemos, 71 e
Ciudadanos 32. Rajoy ha annunciato di volere incontrare tutti i
partiti rappresentati nel Congresso
dei deputati prima della costituzione del Parlamento il 19 luglio. Il 20
o il 21 inizieranno le consultazioni
formali di re Filippo VI, che potrebbero portare già il 23 alla designazione del premier incaricato.
Rajoy tenta come prima opzione
di formare una grande coalizione
con socialisti e Ciudadanos. Ma
non esclude altre formule e neanche di «poter governare in minoranza». Il voto del 26 giugno è stato necessario dopo lo stallo emerso
dal voto di dicembre, che non ha
permesso una maggioranza di governo. Il 9 luglio si riunisce il Consiglio federale del Psoe, che dovrebbe definire la posizione del
partito sui contatti con i popolari.
Intanto, guardando ai dati economici, in Spagna continua a scendere il numero dei disoccupati, che
tocca, a giugno, quota 3,767 milioni, la cifra più bassa dal 2009. Il
trend è innegabile, anche se bisogna ricordare che giugno è un mese tradizionalmente positivo per il
mercato del lavoro spagnolo, che
molto deve al turismo.
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BRUXELLES, 5. L’Ungheria si prepara a un referendum che non mancherà di far discutere tutta l’Europa. Budapest ha indetto per il 2 ottobre la consultazione popolare per
decidere se accettare o meno migranti
giunti
in
altri
Paesi
dell’Unione europea, in base al sistema di quote di ridistribuzione
stabilito da Bruxelles.
Il cosiddetto piano di ricollocamento dei migranti è stato deciso
dall’Unione europea nel settembre
scorso (a maggioranza tra i 28 Stati
membri), per venire incontro a Paesi come Grecia e Italia che sopportano il peso degli sbarchi. In Ungheria il Governo di Viktor Orbán
si è sempre dichiarato contrario.
Ora il presidente ungherese, János
Áder, spiega che i cittadini con il
referendum decideranno, in sostanza, se vogliono che sia il Parlamento ungherese, e non l’Ue, ad autorizzare eventuali ricollocamenti.
A settembre, l’Ungheria e la Slovacchia avevano annunciato ricorso
a Bruxelles, contro il piano che ritengono violi la sovranità nazionale, ma che, di fatto, non è mai stato
realmente applicato. Nel territorio
ungherese, nel 2015, sono entrati
400.000 migranti, prima della costruzione del muro che ha blindato
il confine meridionale.
Da parte sua, il presidente del
Consiglio europeo, Donald Tusk,
nelle stesse ore ricorda che l’Ue ha
avviato nuove politiche di cooperazione con i Paesi terzi per limitare i
flussi nel Mediterraneo dei cosiddetti migranti economici, che «rimangono troppo elevati», «sebbene
non ci sia un aumento significativo
rispetto agli ultimi due anni».
Intanto, nel Canale di Sicilia
proseguono giornalieri i salvataggi
di centinaia di persone. Ma proseguono anche nei vari Paesi gli arresti di scafisti e trafficanti.
Una bambina di fronte alla barriera tra Serbia e Ungheria (Ap)
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Missione
di Obama
in Polonia
e in Spagna
VARSAVIA, 5. Barack Obama comincia questa settimana il tour
europeo che lo porterà prima in
Polonia e poi in Spagna. Il presidente sarà a Varsavia dal 7 al 9
luglio per partecipare al vertice
della Nato, quindi si trasferirà a
Madrid, dove rimarrà fino all’11.
Si tratta del primo viaggio di
un presidente degli Stati Uniti
in Spagna negli ultimi quindici
anni. «La Spagna è il solo grande Paese europeo che Obama
non ha ancora visitato», ha ricordato la Casa Bianca.
Le relazioni fra Stati Uniti e
Spagna sono cambiate molto
dall’ultima visita di un presidente statunitense: la fece George
W. Bush, nel giugno del 2001,
pochi mesi prima che gli attentati alle Torri Gemelle di New
York modificassero radicalmente
gli schemi transatlantici di cooperazione in materia di sicurezza. Nel 2010 Obama incontrò il
presidente del Governo pro tempore Zapatero durante la visita
di questi a Washington e a gennaio del 2014, alla Casa Bianca,
ricevette il successore, il popolare Mariano Rajoy. Negli ultimi
due anni i contatti bilaterali si
sono accelerati, Nel settembre
del 2014, Obama incontrò re Filippo VI all’Assemblea generale
delle Nazioni Unite.
A Bruxelles
un servizio
d’intelligence
della Nato
BRUXELLES, 5. Nel vertice dell’Alleanza Atlantica di venerdì e
sabato prossimi a Varsavia sarà
dato il via libera alla creazione
di una Divisione d’intelligence,
che avrà sede a Bruxelles.
L’obiettivo della nuova struttura
— si legge in una nota del segretario generale, Jens Stoltenberg
— sarà quello di «snellire ulteriormente il flusso di informazioni di intelligence civile e militare, che aiuterà la Nato a prendere le decisioni giuste al momento
giusto per affrontare al meglio le
sfide moderne, comprese le minacce ibride e terroristiche».
Allo stesso tempo, Stoltenberg
ha confermato che durante il
summit firmerà con il presidente
del Consiglio europeo, Donald
Tusk, una dichiarazione comune
per rafforzare la cooperazione e
la sicurezza marittima, quest’ultima intesa a complementare
l’operazione “Sophia”" nel Mediterraneo. La Brexit, ha poi detto
Stoltenberg, «cambia il rapporto
del Regno Unito con l’Unione
europea, ma non la sua posizione nella Nato. E semmai rafforza
la necessità della collaborazione
tra Nato e Ue».
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pagina 3
Il luogo di uno degli attentati suicidi
che hanno colpito Medina (Reuters)
Netanyahu
e il ricordo
di Entebbe
Il Bangladesh
alla ricerca
dei mandanti
TEL AVIV, 5. «È commovente per
me trovarmi dove mio fratello fu
ucciso». Con poche, sentite parole il premier israeliano, Benjamin
Netanyahu, in visita in Uganda,
ha ricordato suo fratello, Yonathan, unico militare ucciso durante la famigerata “operazione Entebbe” nel luglio del 1976. Netanyahu si è recato ieri proprio sul
luogo dell’operazione, lanciata
per liberare gli israeliani ed ebrei
tenuti in ostaggio su un aereo
della Air France dirottato da un
gruppo di terroristi tedeschi e palestinesi. Si trattò di «una missione storica ed eroica» e, in questo
senso, «la campagna contro il terrorismo deve continuare» ha detto Netanyahu, parlando all’aeroporto di Entebbe dove è stato ricevuto dal presidente ugandese,
Yoweri Museveni. Il dirottamento
«toccò un nervo scoperto per il
popolo di Israele. Trentuno anni
dopo la Shoah, un’altra “selezione” da parte di chi voleva ucciderci separò gli ebrei dai non
ebrei» ha spiegato il premier. «I
terroristi rilasciarono le persone di
altra nazionalità e condannarono
gli ebrei». I dirottatori liberarono
circa 140 ostaggi, trattenendo almeno 105 cittadini israeliani ed
ebrei, minacciando di ucciderli se
le loro richieste non fossero state
accolte. Fallite le trattative, il raid
ebbe inizio nel corso del quale
furono tratti in salvo 103 ostaggi.
DACCA, 5. Prosegue senza sosta in
Bangladesh la ricerca dei mandanti della strage al ristorante
Holey Artesan Bakery di Dacca,
dove sabato scorso un commando
terroristico ha barbaramente ucciso venti persone, in prevalenza
stranieri. La polizia bengalese è
convinta che i terroristi abbiano
assassinato gli ostaggi nei primi
20 minuti dalla loro irruzione nel
ristorante. Ieri sono state arrestate
due persone in relazione alla strage: non si sa ancora chi siano, né
dove siano custodite. La polizia
ha detto, però, che entrambe sono in cattive condizioni di salute
(senza specificare se siano ferite o
meno) e ha aggiunto che saranno
interrogate non appena le loro
condizioni lo consentiranno.
Anche due dei clienti del ristorante, rimasti per ore in ostaggio
dei terroristi, e poi liberati nel
raid delle forze speciali bengalesi,
sono ancora in stato di fermo: la
polizia sta verificando le loro dichiarazioni. Uno di loro si chiama Hasnat Karim, che, in alcune
fotografie, è ripreso sul terrazzo
del ristorante in compagnia di
due membri del commando terroristico.
Intanto, è partito stamane da
Dacca l’aereo che riporta in Italia
le salme dei nove italiani uccisi. A
Ciampino, ad accoglierle ci sarà il
presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha interrotto
un viaggio in America latina.
Attentatore suicida si fa esplodere davanti alla moschea di Medina
Arabia Saudita nel mirino
RIAD, 5. L’Arabia Saudita ancora nel mirino dei
terroristi. Dopo l’attacco davanti al consolato statunitense di Gedda, un attentatore suicida si è fatto esplodere ieri sera nei pressi della moschea del
profeta Maometto, a Medina. La potente deflagrazione — hanno reso noto fonti del ministero
dell’Interno di Riad — ha ucciso quattro guardie
della sicurezza. Altri 5 agenti sono rimasti feriti.
L’esplosione è avvenuta in un parcheggio del
complesso che fa da contorno alla moschea, uno
dei luoghi più sacri dell’islam. L’azione — che
non è stata ancora rivendicata — è coincisa con
uno dei momenti di maggiore affollamento del sito, dove erano affluite decine di migliaia di perso-
Il Venezuela
verso
la presidenza
del Mercosur
Messaggio a Obama per l’Indipendence Day
Putin auspica
la ripresa del dialogo
WASHINGTON, 5. Il presidente della
Russia, Vladimir Putin, auspica che
i rapporti diplomatici tra il suo
Paese e gli Stati Uniti possano riprendere la «giusta direzione».
Il leader del Cremlino ha espresso questa speranza in un messaggio
di auguri inviato ieri al presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama,
in occasione dell’Independence
Day del 4 luglio. Gli analisti ricordano che i rapporti diplomatici tra
Nuovi arresti
per corruzione
in Brasile
BRASILIA, 5. Ondata di arresti in
Brasile nell’ambito di una nuova
fase dell’inchiesta Lava Jato, che
ha già portato in carcere decine
di politici, imprenditori, manager pubblici e privati e faccendieri. L’operazione è scattata
all’alba tra San Paolo, Rio de
Janeiro e Brasilia e la polizia federale ha eseguito complessivamente 35 mandati di arresto —
emessi dal pool di magistrati di
Curitiba guidato da Sergio Moro, a capo dell’inchiesta sulla
Tangentopoli brasiliana — con
l’accusa di frodi in appalti, riciclaggio e tangenti per 39 milioni
di reais (circa 10 milioni di euro)
usciti dalle casse del colosso petrolifero statale Petrobras.
In manette sono finiti numerosi imprenditori e affaristi mentre all’ex tesoriere del Partito dei
lavoratori, Paulo Ferreira, il
mandato di arresto è stato notificato nel carcere dove è rinchiuso dal 23 giugno scorso per
un’altra vicenda di tangenti, in
cui venne arrestato anche l’ex
ministro dei Governi di Luiz
Inácio Lula da Silva e di Dilma
Rousseff, Paulo Bernardo. Fonti
della procura hanno rivelato che
una parte delle tangenti è servita
a finanziare anche una scuola di
samba.
ne per le celebrazioni della fine del ramadan. Secondo quanto si apprende, l’attentatore suicida
era in procinto di entrare nella moschea, ma è stato bloccato da una guardia. «Le forze di sicurezza
— ha confermato il generale Mansour Al Turki,
portavoce del ministero degli Interni di Riad —
sono state insospettite da un uomo che si dirigeva
verso la moschea del profeta attraverso il parcheggio per i visitatori. Quando hanno tentato di fermarlo, l’uomo ha azionato la cintura esplosiva che
aveva indosso. Quattro agenti di sicurezza sono
stati uccisi e altri cinque feriti».
Poco dopo altri due attentati con le stesse modalità sono stati perpetrati nelle vicinanze di mo-
Mosca e Washington hanno subito
una battuta di arresto nel 2014,
quando la penisola di Crimea è
stata annessa alla Russia.
Putin, nel suo messaggio, ha ricordato la storia delle relazioni russo-statunitensi, dicendo che un
tempo i due Paesi sono stati in grado di risolvere «i più difficili problemi internazionali a beneficio di
entrambe le nostre Nazioni e di
tutta l’umanità» e ha quindi
espresso l’auspicio che questa esperienza possa aiutare Russia e Stati
Uniti «a tornare a lavorare di nuovo insieme».
Nell’intervento nel suo ultimo
Indipendence day alla Casa Bianca, Obama ha detto che «la libertà
non è qualcosa che accade, ma deve essere difesa ogni singolo giorno». Una libertà che, ha proseguito il presidente, comporta il rispetto reciproco e il riconoscimento
delle difficoltà di fronte a cui si
trovano i concittadini, come la fame, la disoccupazione, la casa.
CARACAS, 5. Il Venezuela, alle
prese con una grave crisi economica e politica, si appresta ad assumere la presidenza di turno del
Mercato comune del Sud America (Mercosur), prevista per il 21
luglio. Tuttavia, proprio in vista
di questo appuntamento, dure
critiche sono arrivate dall’Argentina e dal Brasile, membri principali del blocco regionale. I due Paesi hanno infatti criticato ieri il
Governo di Nicolás Maduro, accusandolo di «violare i diritti
umani dei suoi concittadini».
Il presidente argentino, Mauricio Macri, in una intervista alla
stampa spagnola, ha detto che il
Governo di Maduro «ha violato
tutti i diritti umani, portando il
suo popolo alla fame» e che il referendum abrogativo del mandato
presidenziale deve essere convocato quanto prima. Da parte sua,
Caracas ha contestato tutte le accuse così come la richiesta del referendum abrogativo.
schee sciite sempre a Gedda, sulla costa occidentale, e a Qatif, capoluogo della regione a maggioranza sciita nell’est del Paese. Già nel maggio del
2015 un’azione suicida sempre presso una moschea sciita a Qatif provocò oltre venti morti.
L’attacco venne rivendicato dai miliziani fondamentalisti del cosiddetto Stato islamico.
In un’intervista all’emittente Al Arabiya, il generale Al Turki ha precisato che il terrorista che si
è fatto esplodere vicino al consolato statunitense
di Gedda, due giorni fa, «era uno straniero residente in Arabia Saudita». Il portavoce non ha
precisato la nazionalità dell’attentatore.
Mentre aumenta il rischio dell’escalation jihadista
L’Onu rafforza il sostegno alla pace libica
TRIPOLI, 5. «Una nuova fase per
l’applicazione dell’accordo politico
interlibico vedrà la luce dopo la festa musulmana del Fitr», che segna
la fine del mese sacro del ramadan.
È questo l’annuncio compiuto ieri
dall’inviato dell’Onu per la Libia,
Martin Kobler, che ha lanciato un
nuovo appello «al cessate il fuoco a
Bengasi e a ricorrere al dialogo per
instaurare la pace». Kobler ha poi
sottolineato la necessità di creare un
unico esercito in Libia e ha promesso di «fornire assistenza medica alle
truppe dell’operazione» delle forze
leali al Governo di Al Sarraj che attualmente sono impegnate nella lotta contro il cosiddetto Stato islamico
(Is) a Sirte.
L’appello di Kobler arriva in una
fase delicatissima per la Libia, nella
quale il rischio di un’escalation della
presenza jihadista nel Paese si fa
sempre più concreto. Secondo un recente rapporto dell’intelligence statunitense, sono oltre un migliaio i
miliziani arrivati in Libia da vari
Paesi occidentali e arabi nei primi
tre mesi del 2016. La Libia si è trasformata negli ultimi mesi in «una
meta privilegiata per i jihadisti provenienti da tutto il mondo». Ed è
per questo — dicono le fonti — che
l’Algeria «ha imposto misure di sicurezza rafforzate lungo i suoi confini
terrestri con la Libia, trasferendo
centinaia di soldati nella zona frontaliera sud-orientale».
E le ultime notizie confermano
questa analisi. Unità dell’esercito tunisino hanno intercettato ieri nella
zona militare di Mokassem, nei pressi di Ben Guerdane (al confine tra
Tunisia e Libia), dieci automezzi libici carichi di armi. Lo ha dichiarato
il portavoce del ministero della Difesa, Belhassen Oueslati, precisando
che un’auto libica del convoglio ha
risposto al fuoco dei militari che sono comunque riusciti a far desistere i
contrabbandieri dal loro intento e a
tornare in Libia.
Nel frattempo, il ministero dell’Interno di Tunisi ha fatto sapere
che sono settecento i tunisini tornati
in patria dalla Siria, dalla Libia e
dall’Iraq. Ma il loro numero reale è
probabilmente più elevato considerando il fatto che alcuni sono potuti
rientrare illegalmente in Tunisia at-
La sonda della Nasa è entrata nell’orbita del pianeta più grande del sistema solare
Juno conquista Giove
WASHINGTON, 5. «Welcome to Jupiter!» è il grido che si è levato questa
mattina, assieme all’applauso, nel
quartier generale del Jet Propulsion
Laboratory della Nasa, in California.
Sono scattati tutti quanti in piedi
nel momento in cui è arrivata la
conferma da oltre 500 milioni di chilometri: la sonda Juno è entrata
nell’orbita di Giove. Si trattava — dicono gli esperti — della fase più delicata di tutta la missione. Non erano
ammessi sbagli: se il motore non si
fosse acceso per rallentare la corsa di
Juno (oltre 200.000 chilometri
all’ora) o se si fosse acceso per un
tempo non sufficiente, la sonda sarebbe sfuggita alla pur immensa attrazione gravitazionale di Giove,
avrebbe rimbalzato e cominciato una
lunga odissea attraverso il Sistema
solare senza possibilità di tornare indietro. Ma così non è stato.
L’immagine rielaborata elettronicamente dalla Nasa mostra la sonda Juno nell’orbita di Giove (Epa)
traverso il confine libico, hanno fatto sapere funzionari dell’intelligence
tunisina. Molti sarebbero in stato di
libertà poiché a loro carico non è
stato possibile ascrivere alcun reato
da parte delle autorità; altri invece si
trovano in carcere, in reparti speciali,
a seguire appositi programmi di “deradicalizzazione”.
Progetto
contro
la desertificazione
ROMA, 5. La desertificazione colpisce ormai quasi il quaranta per
cento del nostro pianeta, territorio nel quale vive un terzo della
popolazione mondiale. In questo
allarmante contesto una soluzione
possibile per rendere disponibile
acqua all’agricoltura nelle zone
aride è il recupero delle rare ma
violenti piogge delle zone desertiche attraverso la ricarica artificiale
dei serbatoi naturali del sottosuolo. Si tratta di una tecnica stata
sviluppata per le regioni del Maghreb grazie al progetto WadisMar (Water Harvesting and Agricultural Techniques in Dry Lands: an Integrated and Sustainable
Model in the Maghreb Regions),
presentato di recente a Cagliari in
un convegno. Finanziato dall’Unione europea, negli ultimi
quattro anni e mezzo vi hanno lavorato diversi gruppi di ricerca
italiani, spagnoli e africani. Il
progetto, si legge in un comunicato, si basa sul principio di «sottrarre al deserto e all’evaporazione i milioni di metri cubi di acqua piovana che ogni anno, nel
giro di due o tre settimane, alimenta in maniera tumultuosa,
violenta e repentina corsi d’acqua
periodici ed effimeri, tipici delle
zone aride». La soluzione è stata
suggerita da Giorgio Ghiglieri,
professore di idrogeologia dell’Università di Cagliari e coordinatore del progetto, che ha proposto la ricarica artificiale degli
acquiferi, cioè dei serbatoi d’acqua naturali.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 6 luglio 2016
Bartolomeo Nogara
con il personale dei Musei vaticani
(28 aprile 1948)
Un’inedita testimonianza sul piano nazista per sequestrare Pio
XII
Quella notte del 1944
E il sostituto si precipitò dal direttore dei Musei vaticani
di ANTONIO NO GARA
ella Roma “città aperta” del
1943 e 1944 il linguaggio corrente annoverava, con molta
frequenza, le parole allontanarsi, eclissarsi, imbucarsi,
nascondersi, scappare, scomparire, con riferimento alle persone, e celare, mascherare, mimetizzare, occultare, rispetto alle cose; parole tutte in contrapposizione ad arresti, deportazioni, razzie, retate, requisizioni, sequestri, termini rivelatori dell’allora travagliata situazione.
Pur con l’afflusso di profughi in cerca
di assistenza e rifugio, la sovrappopolata
Urbe appariva quasi deserta. Pressoché totalmente aboliti passeggi, ricevimenti, intrattenimenti in genere; le “sortite”, talvolta ai limiti dell’avventura, erano destinate
alla ricerca dello stretto necessario da re-
N
Ricordo d’inverno
Tra le carte di Antonio Nogara (1918-2014)
— unico figlio di Bartolomeo, che fu direttore
dei Musei vaticani dal 1920 fino alla morte
nel 1954, e di Maria Albani, insegnante e
traduttrice — il cugino Bernardino Osio ha
ritrovato uno scritto inedito datato 11 marzo
2013. Il testo, che pubblichiamo per intero
con lievi ritocchi formali, aggiunge
un’importante testimonianza di prima mano
sul progettato sequestro di Pio XII da parte
dei nazisti durante il terribile inverno
dell’occupazione di Roma.
perire il più possibile vicino, percorrendo
preferibilmente vicoli, stradine, piazzette
ove contiguità di negozi, portoni e svincoli offrivano maggiori possibilità di occultarsi o vie di fuga.
A sera tutti a casa, intorno a gracchianti
radio, di limitate e disturbate ricezioni, col
volume al minimo, in cerca di informazioni, o impegnati, con familiari e condomini, in prolungate partite a briscola, scopa
e giochi simili, ma sempre con le orecchie
tese ad avvertire il pericolo incombente
nel rumore sospetto del passo cadenzato
di una ronda, un secco comando militare,
il rumore di un veicolo, uno sparo…
Gli assembramenti indispensabili per
ragioni vitali, lesti a dissolversi al primo
segnale di allarme, si formavano a ridosso
delle mense pubbliche, delle parrocchie
elargitrici di razioni provviste dal Vicariato
e dal Circolo di San Pietro, che grazie alla
generosità della Società Generale Immobiliare e ai suoi camion protetti dalle bandiere vaticane — alcuni vennero anche mitragliati con vittime fra gli autisti — venivano reperite nell’Italia centrale (Umbria
e Toscana).
Nell’attesa dei turni, l’anonimato e l’occasionalità degli incontri favorivano l’intreccio di banali, guardinghe conversazioni di circostanza nelle quali la comune
forzata sopportazione trovava momenti di
sfogo con interiezioni nelle quali l’iperbole sarcastica mascherava spesso la protesta.
Tra tante riportatemi mi colpì allora quella di un tale che, raccontando di aver assistito a sistematiche retate e sparizioni di
parenti e conoscenti, azzardò, in tono sornione, «ci manca solo che qui si portino
via anche il Papa!». L’espressione, al limite dell’immaginabile, avrebbe trovato il
voluto effetto pure con riferimento al Cupolone o al Colosseo, ma con l’allusione
al Pontefice raggiungeva la massima efficacia, come una maledizione tra dolore,
umiliazione, sgomento, risvegliando nel
subcosciente, credente o non credente,
l’angosciosa domanda: ma che ne sarebbe
di Roma senza il Papa, centro della cristianità?
L’incalzare degli avvenimenti non mi
distolse dal ricordo di quella battuta, scaturita ingenuamente come effusione in un
momento di stizza, ma non tanto inverosimile né del tutto infondata. A distanza di
poche settimane la sorte me ne avrebbe
inaspettatamente data personale prova.
Nel 1921 in considerazione dei molteplici incarichi affidati, oltre alla direzione generale dei Musei, il Pontefice Benedetto
XV concesse a mio padre Bartolomeo, privilegio ambito ed eccezionale per un laico
sposato con prole, l’abitazione nei Sacri
Palazzi apostolici che, con i Musei, la Biblioteca, l’Archivio e una limitata parte
degli attuali giardini, completavano territorialmente il Vaticano, prima del concordato e del trattato del Laterano del 1929.
Pur con le migliori disposizioni da parte
degli uffici competenti, la ristrettezza degli spazi rendeva difficile il reperimento
dei locali idonei a uso abitativo familiare
e, dopo vari mesi di ricerche, l’assegnazione cadde su un gruppo di sale dismesse
dalla Segreteria dei Brevi, affacciate con
due ampie vetrate sul centro del braccio
centrale della Terza loggia, con un retro di
camere e corridoi prospicienti il cortile del
Triangolo.
L’accesso
era
a
fianco
dell’ascensore, allora ad acqua, che serviva
anche le altre logge del cortile di San Damaso.
Quando la Segreteria di Stato era chiusa, la deserta Terza loggia diveniva un
ideale ambulacro con vista su Roma, da
percorrere da un capo all’altro col bello e
col brutto tempo. I miei genitori ne approfittavano la sera dopo pranzo; spesso li
raggiungevo e più volte li trovavo mentre
conversavano con monsignor Giovanni
Battista Montini che incontravano mentre
usciva, abbondantemente fuori orario, dalla Segreteria di Stato per ritornare alla sua
abitazione situata sul retro della Prima
loggia, a poca distanza dall’appartamento
Borgia.
I contatti per motivi di ufficio di mio
padre con monsignor Montini erano pressoché giornalieri e i ripetuti incontri serali,
divenuti abituali negli anni, avevano dato
un’impronta di familiarità anche ai rapporti con mia madre e con me. A parte
l’ora — saranno state le ventitré — non
provai quindi particolare sorpresa, quando
a sera inoltrata in pieno inverno del 1944,
tra fine gennaio e i primi di febbraio,
avendo sentito suonare il campanello
all’ingresso, mi trovai di fronte monsignor
Montini che, entrando velocemente e
chiudendo immediatamente la porta alle
sue spalle, mi disse di «dover» incontrare
urgentemente «il professore».
Antonio Nogara in divisa da aviatore
in una fotografia del 1943
Imbarazzato di trovarmi già in vestaglia
e pantofole, lo pregai di accomodarsi nello studio-biblioteca e corsi da mio padre
che già era a letto sotto un paio di coperte
pesanti, papalina in testa e piumino sui
piedi. Il riscaldamento era stato abolito
per mancanza di carbone e per rispetto ai
sacrifici imposti dalle circostanze ai romani; la stanza, esposta a nord, era particolarmente fredda.
Con i tempi che correvano, sorpreso ma
non contrariato tenuto conto dell’urgenza
manifestata da un personaggio di nota discrezione, mio padre si rivestì rapidamente.
Non ricordo come intrattenni l’illustre
ospite finché, più presto del previsto, comparve mio padre e, dopo un breve conciliabolo riservato fra i due, essi uscirono frettolosamente: mio padre imbacuccato con
in mano il pesante mazzo delle chiavi del
Museo e della Biblioteca, monsignor Montini con una torcia elettrica che aveva depositato su una cassapanca all’ingresso,
torcia del tipo di quelle in dotazione dei
pompieri per le ronde notturne.
Preoccupato per la salute di mio padre
più che per i motivi dell’escursione che
aveva per evidente oggetto i musei, attesi
con mia madre il ritorno che avvenne dopo quasi tre ore. Mio padre, che apparve
molto provato e infreddolito, laconicamente ci rassicurò e, rinviando il resoconto a ore migliori, si mise decisamente a
letto con aria preoccupata.
Solo nel pomeriggio seguente, con raccomandazioni di assoluta segretezza, mio
padre ci svelò che l’ambasciatore del Regno Unito sir Francis d’Arcy Osborne e
l’incaricato d’Affari degli Stati Uniti Harold Tittmann avevano congiuntamente
avvertito monsignor Montini di aver avuto
notizia, da parte dei rispettivi servizi militari di informazione, di un avanzato piano
dell’Alto Comando tedesco per la cattura
e deportazione del Santo Padre col pretesto di porlo in sicurezza «sotto l’alta protezione» del Führer. Nel qual caso, ritenuto imminente, le forze alleate sarebbero
immediatamente intervenute per bloccare
l’operazione, anche con sbarchi a nord di
Roma e lancio di paracadutisti. Occorreva
pertanto apprestare subito un rifugio segreto ove rendere irreperibile il Santo Padre per il tempo strettamente necessario,
due o tre giorni, all’intervento militare.
Queste in sintesi la sostanza e la portata
del passo diplomatico anglo-americano,
confidenzialmente esposte da monsignor
Montini a mio padre come drammatico
movente eccezionale dell’escursione notturna, naturalmente da mantenersi segreta.
Montini ne parve convinto per quindi
concludere la galoppata straordinaria e
tornare a casa.
Non vi è dubbio che di galoppata si
fosse trattato per il ritmo di marcia che
monsignor Montini aveva impresso nella
foga della ricerca, retto bene da mio padre
che contava trent’anni di età più di Montini [Bartolomeo Nogara aveva allora quasi 76 anni, Montini 46]. Mio padre ricordava anche come l’illustre compagno di
galoppata, pur nell’angoscia della ricerca,
manifestasse ogni tanto brevi commenti
per le bellezze d’arte suggestive intraviste,
a sprazzi di luce, nella rapida ricerca.
Quanto alla definitiva scelta del rifugio
mio padre aveva la sua personale convinzione sulle improbabilità del caso di ricorrervi, trattandosi di un espediente precario, di sicurezza relativa e di validità temporale molto ridotta. E aveva proposto a
monsignor Montini anche un piano alter-
delle autorità diplomatiche tedesche a Roma. È certo comunque che le apprensioni
per l’incolumità del Pontefice trovarono
fine solo dopo l’abbandono di Roma da
parte dell’esercito tedesco.
La pacifica soluzione della vicenda non
dissipò alcune perplessità che l’accompagnarono e che, trattandone, non possiamo
trascurare. È fuori dubbio che le informazioni portate dai due ambasciatori alleati
fossero di gravità tale, anche rispetto a
quanto già a conoscenza, da indurre monsignor Montini ad attivarsi immediatamente per affrontare subito un’improvvisa
emergenza. È altrettanto impensabile che
monsignor Montini non rendesse immediatamente edotto del passo diplomatico il
cardinale Luigi Maglione, allora segretario
di Stato, senza escludere più estese e alte
consultazioni. L’intervallo di circa quattro
ore, tra il congedo dei due ambasciatori e
la solitaria intrusione-visita all’abitazione
Antonio Nogara con il Pontefice (10 gennaio 2014)
nativo di riserva, e cioè di estendere la ricerca anche alla basilica di San Pietro, con
annessi e connessi, sotterranei compresi,
come sede forse più sicura nella deprecata
ipotesi di sequestro del Santo Padre. Mio padre concluse il resoconto, fissandoci
Erano passate le undici di sera
amorevolmente, con la frase
«Dio ci aiuti», invocazione
quando suonò il campanello
che era anche un invito:
e mi trovai di fronte monsignor Montini
«non chiedetemi altro».
Seguì un lungo silenzio,
che mi disse di «dover» incontrare
mia madre annichilita tra incon urgenza «il professore»
credulità e sgomento, io stupito dell’improvvisa piega
degli avvenimenti che richieCon questo scopo, sempre secondo il reso- devano l’immediata ricerca di soluzioni
conto di mio padre, iniziò quella notte la certamente a elevato rischio personale, anricerca, dalla Galleria lapidaria alla scala che per gli amici che avevamo aiutato a
del Bramante e, da lì, nei locali della vec- nascondersi in Vaticano e che non volevachia Direzione dei musei e annessi, intor- mo abbandonare. Oltre all’umiliante infeno al Nicchione, al cortile Ottagono sino lice sorte del Santo Padre cui ci legavano
al cortile della Pigna, non trascurando affetto e devozione, incombeva l’oppriambienti minori adibiti a depositi, riposti- mente pensiero che una visita delle SS non
gli, spogliatoi, eventualmente da adattare; avrebbe giovato a nessuno, rifugiati ebrei
ma purtroppo la ricerca relativa a questi e non ebrei, con le possibili ritorsioni sui
locali diede esito negativo.
residenti ecclesiastici e laici. In questa spaEscludendo a priori per troppa visibilità smodica quanto vana attesa di confortanti
la Pinacoteca e il fabbricato inerente al sviluppi del fronte di Anzio trascorsero alnuovo ingresso, parzialmente abitato, ed cune settimane agitate, anche per un susescludendo i magazzini dei Marmi struttu- seguirsi di informazioni contrastanti proralmente inabitabili, si imponeva una so- venienti da varie fonti, anche autorevoli.
sta. La ricerca, sino a quel momento deluRicordo quindi come giorno di grande
dente, venne estesa alla Biblioteca che, sollievo quello nel quale mio padre, ritornon presentando soluzioni interne, suggerì nando a casa, dopo una delle pressoché
tuttavia a mio padre, per avervi lavorato quotidiane visite in Segreteria di Stato, ci
oltre dieci anni quale “scrittore” agli inizi confidò che il piano di Hitler era già da
del secolo, l’idea di visitare anche la conti- tempo a conoscenza del Vaticano, che era
gua Torre dei Venti e la visita confermò le stato allertato da riservate indiscrezioni teaspettative.
desche di persone ostili al piano in queIl massiccio ed elegante torrione, in sta- stione. La stessa ambasciata di Germania
to di semiabbandono, si rivelò il conteni- avrebbe evidenziato a Berlino gli inevitatore di un intrico di vani, corridoi, scale e bili riflessi negativi nelle popolazioni catscalette, un minilabirinto, in ubicazione toliche, anche dei vari paesi neutrali. La
favorevole per un tragitto coperto e di temuta folle operazione non sarebbe avvebreve durata da percorrere. Monsignor nuta grazie alle prese di posizione interne
di Bartolomeo Nogara, troverebbe spiegazione in queste previe consultazioni interne nella Segreteria di Stato. L’assicurazione dell’immediato intervento che nel giro
di pochissimi giorni avrebbe liberato il
Pontefice fecero senza dubbio affiorare
motivi di incertezza e scetticismi per il
brevissimo tempo prospettato per l’intervento militare come sulla possibilità di
contrastare gli eventuali incursori tedeschi
che, certamente ben addestrati e preparati
allo scopo, avrebbero agito a colpo sicuro
nel termine di mezz’ora o poco più.
A distanza di qualche tempo, riparlando della escursione notturna con i dubbi
che l’accompagnarono, mio padre manifestò il convincimento che nella circostanza
monsignor Montini, indipendentemente
da personali valutazioni, assolvesse a un
atto dovuto, con lo scrupolo e lo zelo a
lui connaturati. Nella situazione drammatica di quei mesi la denuncia congiunta
degli ambasciatori delle due maggiori potenze alleate non poteva in alcun modo
essere disattesa. Fortunatamente l’esecrabile evento fu scongiurato risparmiando alla
storia pagine più dolorose di quelle già registrate in quei tempi. Ritengo oggi pressoché condivisa da tutti la convinzione
espressa da mio padre che Pio XII, per
l’alto senso di dignità, per il carattere forte
dimostrato in varie circostanze, per l’alto
senso di onore che sempre accompagnò il
suo magistero, mai avrebbe ammesso compromessi barattando la propria incolumità
con soluzioni incompatibili, pur in minima parte, col decoro e il prestigio del
Pontefice e della Chiesa.
La riesumazione di ricordi di quel periodo intensamente vissuto mi risveglia
ancora sopite emozioni come quella delle
ampie vetrate della Terza loggia che tremavano al rombo cadenzato delle cannonate del fronte, ormai vicino ai Castelli romani, annuncio dei tempi nuovi che
avrebbero presto bussato alla porta.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 6 luglio 2016
pagina 5
Pio IX e Vittorio Emanuele II
in un fotomontaggio di Enrico Verzaschi
(1873 circa)
L’origine giansenista della formula rilanciata da Cavour
Libera Chiesa
in libero Stato
Dopo la strage di Dacca
L’immane
equivoco
di ANTONIO ZANARDI LANDI
n questi giorni che seguono
la carneficina di Dacca si
moltiplicano analisi e tentativi di spiegare fenomeni che
saremmo tentati di attribuire
semplicemente a pura e feroce follia,
se non fossero la punta dell’iceberg
di stati d’animo assai diffusi al mondo e chiari indicatori di un futuro
molto difficile tanto per l’occidente,
quanto per la grande parte del mondo abitata dall’umma musulmana,
quella “comunità dei fedeli” la cui
radice etimologica si avvicina e ricorda quella di umm e cioè “madre”.
Il dettaglio letteralmente sconvolgente è costituito dalle fotografie degli attentatori. Appaiono felici, con
le loro armi automatiche imbracciate, per un progetto già chiaramente
delineato nelle loro menti e per la
prospettiva di uccidere e di essere
uccisi. Trasmettono determinazione
e serenità e il loro messaggio è per
questo tanto più pericoloso e potenzialmente contagioso.
Dobbiamo cercare di capire in
profondità quale perversa ideologia,
quale meccanismo psicologico, quale
fuorviante autoidentificazione possa
catturare la mente e tutto l’essere di
giovani usciti da famiglie normali e
da normali scuole e università.
Negli editoriali che leggiamo in
questi giorni, da ultimo quello lucido e informatissimo di Roberto Toscano su «Repubblica» del 3 luglio
scorso, si va facendo strada un concetto, già presente da tempo nel dibattito, ma che sempre richiede di
venir riproposto, sottolineato e messo in posizione centrale: la battaglia
contro il terrorismo fondamentalista
richiede uno sforzo non settoriale e
a tutto campo, soprattutto culturale.
Meno chiaro è chi e come debba avviare quella “grande battaglia culturale” che credo sia la chiave di volta
di ogni azione razionale tesa a consentirci di riportare il dialogo tra noi
e quello che, ci piaccia o non ci
piaccia, è un aspetto della modernità, pur deviata e negativa, nel mondo islamico; aspetto anch’esso figlio
di mille padri, tra cui la comunicazione in rete non è certo l’ultimo.
Il concetto di “battaglia culturale”
è stato proposto da Ernesto Galli
della Loggia in un suo editoriale sul
«Corriere della Sera» del 16 novembre scorso ed è stato d’altra parte
ampiamente utilizzato dal Governo
I
e dal Presidente della Repubblica
che sovente tocca i temi del dialogo
interculturale e, di recente, in un
messaggio inviato in occasione
dell’apertura di un’iniziativa culturale, ha scritto: «È la cultura il terreno
su cui siamo in questi anni chiamati
a combattere la battaglia più impegnativa ed ardua: la battaglia per fugare equivoci che sembrano essere
riusciti a divenire sostanza, per ritrovare le ragioni del dialogo, della tolleranza e dello stare insieme, in Europa e con paesi con cui abbiamo
avuto, e vogliamo avere ancora, rapporti ricchi, articolati e positivi».
Non è il concetto di “battaglia
culturale” il più giusto, il più appro-
di FRANCESCO MARGIOTTA BRO GLIO
a storiografia è tuttora concorde, rifacendosi al Ruffini, a Jemolo e poi a Ettore Passerin —
che però aveva rivalutato
Montalembert — nel ritenere
che il Conte di Cavour avesse mutuato
dal pastore ginevrino Alexandre Vinet, se
non nella lettera, certamente nello spirito,
la famosa formula libera Chiesa in libero
Stato, centrale per definire il profilo dei
rapporti Stato-religione nel Risorgimento
italiano.
È noto che Montalembert accusò il Vinet — e Cavour nel 1863 — di avergli “rubato” la formula e che Cavour e Vinet si
erano frequentati durante i soggiorni a
Ginevra del giovane rampollo dei marchesi di Cavour. Meno nota, anche se
studiata proprio dal Ruffini con riferimento alla madre, l’influenza sul medesimo giovane Cavour delle dottrine gianseniste. È proprio Ruffini, infatti, a mettere
in piena evidenza, richiamando anche il
caso di Enrichetta Blondel Manzoni, il
ruolo dei giansenisti piemontesi nella
conversione al cattolicesimo della madre
di Cavour, la ginevrina Adele de Sellon
moglie del marchese Michele.
L
Vale certo la pena di cercare insieme
le ragioni del disastro
E perché l’accoglienza è resa
così difficile da errori che non vengono
certo da una parte sola
priato per descrivere l’immane compito che hanno di fronte a sé le società europee e il mondo occidentale
per riassorbire la montagna di incomprensione, di disprezzo e di
astio che, senza quasi che ce ne accorgessimo, si è accumulata tra noi e
frange non minori di uno dei “popoli del libro”?
Come fare per dissipare l’immane
equivoco che ci fa essere i nemici
predestinati e i simboli del male nel
mondo? Sembra una sfida ardua, ma
non impossibile. In fondo, nelle società occidentali troviamo ottimi ricercatori, ottimi comunicatori, ottimi
registi, generosissimi operatori di pace. Vale certo la pena di cercare di
capire insieme le ragioni del disastro
e dell’incomprensione, i motivi per
cui l’umma, o parte di essa, tace e
non condanna neppure le stragi più
efferate, quelli per cui l’accoglienza
è resa così difficile da errori che non
vengono certo da una parte sola.
Forse qualcuno sta portando
avanti la sua personale “battaglia
culturale”, forse semplicemente non
vediamo, mentre qualcosa di importante si sta muovendo nelle nostre
società. Dobbiamo allora metterci in
ascolto per scoprire e leggere i segnali di una risposta culturale che
forse sta prendendo inizio.
Si è fatta pressante l’urgenza di
rilanciare il precipuo ruolo del liceo
classico poiché rischia di essere
snaturato da chi intende privarlo della
sua ragion d’essere, ovvero della
traduzione dal latino e dal greco. E al
coro di coloro che, in questi ultimi
tempi, sono scesi in campo a difesa di
un’istituzione che è alla base della
formazione umana e culturale dei
giovani si è aggiunta la «Task force
per il classico», un gruppo di
professori di vari istituti pubblici
italiani, che ha inviato una letteraappello al presidente della Repubblica
italiana, al ministro dell’Istruzione,
dell’università e della ricerca e al
direttore generale per gli Ordinamenti
scolastici e per l’Autonomia scolastica.
«Nostra opinione — si afferma nella
missiva — è che la centralità dello
studio delle lingue e delle culture
classiche in uno o più indirizzi di
studi superiori, coniugata con una
salda preparazione in ambito
scientifico, costituisca un’eccellenza da
preservare che rende un unicum il
nostro Paese nell’intero contesto
mondiale». La traduzione dal greco e
dal latino rappresenta l’attività più
vicina alla ricerca scientifica, cioè alla
comprensione di «ciò che è
Jus
Pubblichiamo ampi stralci di un saggio
apparso nel 2014 sulla «Rivista di Storia e
Letteratura Religiosa» e riedito nell’ultimo
numero di «Jus», pubblicazione
quadrimestrale di Vita e Pensiero curata dalla
facoltà di Giurisprudenza dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore.
Peraltro né il Ruffini nel 1929, né Passerin nel 1953 e nel 1954 potevano sapere
quello che Pietro Stella avrebbe messo in
luce nel 2006.
Nello studio Respublica non in ecclesia
sed ecclesia in respublica est id est in imperio romano (Ottato di Milevi). Da Giannone, a Cavour e al Vaticano II Stella ricorda
appunto che il testo fu opera di sant’O ttato — vescovo africano di Milevi visse
tra il 320 (?) e il 397 (o 392?), citato da
san Gerolamo e sant’Agostino — e compare nei suoi Libri VII, pubblicati a Magonza nel 1549 da Cochlaeus col titolo
De Schismate donatistarum. Opera che,
nella edizione di Parigi del 1631, fu «im-
Task force per il classico
sconosciuto». Per affrontarla in modo
adeguato occorre infatti attuare una
serie di operazioni mentali che sono
tipiche di ogni metodologia razionale.
Senza contare, si rileva nella lettera,
che i linguaggi di un gran numero di
saperi — non solo umanistici e
filosofici, ma anche sociali, tecnici,
artistici e scientifici — sono in gran
parte costruiti su termini di origine
greca e latina. Si mette poi in
evidenza che lo studio delle lingue
antiche deve essere sempre
adeguatamente contestualizzato. È
perciò prioritario rendere di nuovo la
storia una disciplina autonoma, dotata
di specifica valutazione di spazi orari
adeguati (e quindi non confusi, come
ora accade con la geografia) nel
biennio ginnasiale, proprio quando si
approfondiscono le civiltà del mondo
antico. Questo provvedimento —
osservano i firmatari — potrebbe
costituire inoltre un potente strumento
di integrazione per gli studenti
sempre più numerosi che provengono
da aree quali il sud del Mediterraneo,
il Vicino oriente e l’Asia. Quei Paesi e
popoli — si ricorda nella missiva —
hanno visto fiorire splendide civiltà
diverse tra loro, ma tutte in realtà
confluite in un percorso storico
comune che le ha portate a
condividere con l’Europa le vicende
millenarie del mondo antico: come
dimostrano gli splendidi resti
archeologici e monumentali, da
mancabilmente presente nell’arsenale erudito di giurisdizionalisti e giansenisti che
miravano a districare i poteri civili e politici da quelli dell’organizzazione ecclesiastica. In pieno Ottocento Camillo Cavour proclamò la famosa formula: “Libera Chiesa in libero Stato” lasciando facilmente trasparire il dettato di Ottato ed
evocando, di fatto, le battaglie dottrinali
combattute attorno ad essa per secoli dagli schieramenti teologici e politici più
vari. Nel Novecento i processi avanzati di
secolarizzazione mutarono i rapporti tra
religiosità cristiana e società: la citazione
dell’antico padre della Chiesa scomparve,
come si vedrà, dalla griglia erudita anche
del concilio Vaticano II, a riprova, si direbbe, di un cambiamento epocale»
(Stella).
In effetti già nei primi decenni del Seicento la formula di Ottato aveva assunto
una enfasi particolare negli autori che si
occupavano di rapporti tra potere politico e potere spirituale: Stella ricorda Grozio (1614), che la legge come ecclesia regitur a republica, e Pufendorf che però negava che le Chiese, come sosteneva Bellarmino, fossero “società perfette”, mentre più vicine al senso originario delle parole del vescovo di Milevi appaiono le
idee di uno dei “santoni” del giansenismo, Quesnel, il quale nella famosa
Discipline de l’Eglise (1689) cita letteralmente la formula, richiamando anche
Leone Magno, in una chiave gallicanamoderata (Passerin). La medesima formula è citata, nello stesso anno, da Louis
Ellies Dupin che cura anche un’edizione
dell’opera di Ottato. Da Parigi la formula rimbalzò a Napoli e a Torino dove
venne usata nella difesa dei diritti della
“Monarchia sicula”.
A Napoli ne colsero l’efficacia politica
Giuseppe Valletta e Gaetano Argento.
Giannone, invece, attinse a piene mani al
Dupin e fece propria la lettura di Ottato
data dall’Argento, mentre a Firenze l’abate Nicolini in una lettera a Neri Corsini
(1775) — citata proprio da Passerin in La
riforma giansenista della Chiesa (1959) —
riecheggia la formula di Ottato. Ma è
l’oratoriano de la Borde, deciso sostenitore di Quesnel e strenuo refrattario alla
bolla Unigenitus, a scrivere in un’opera
tradotta a Venezia dal Pujati (1775) e inserita da Scipione de Ricci nella Raccolta
di opuscoli pistoiesi del 1784, ad affermare,
diremmo noi proprio in chiave cavouriana: «Come cristiani, noi non abbiam qui
né diritti, né pretensioni: altrove abbiam
la patria, altrove i diritti (...). E in questo
senso ha detto S. Ottato Milevitano, che
la Chiesa è nell’impero, ecclesia in imperio. Notisi, che non la dice dell’impero,
né dipendente dall’impero ma semplicemente ch’è nell’impero: ed ella in fatti vi
è straniera, né gli domanda altro favore
che la libertà del passaggio».
E il Ricci, scrivendo all’abate “giansenistissimo” Augustin Clément il 14 aprile
1791, fa implicitamente appello alla formula milevitana quando specifica: «La
Chiesa è nata nella repubblica, e non ha
voluto il suo fondatore turbare in alcuna
maniera i diritti della società e del principato perché dati ugualmente da Dio».
Palmira a Leptis Magna, da Afrodisia
a Baalbek, da Cesarea a Zeugma. E
nella lettera è contenuta infine la
proposta di aggiungere nell’ambito
della prova scritta di italiano, in
occasione dell’esame di Stato, una
traccia specifica rivolta principalmente
agli studenti del classico, relativa ai
rapporti tra cultura greco-romana e
mondo contemporaneo, nell’ambito
delle varie e complesse espressioni
letterarie, artistiche e filosofiche.
(gabriele nicolò)
Cesare Macari, «Cicerone denuncia Catilina» (188o)
Per Stella «negli anni del riformismo
illuminato il peso sempre maggiore del
potere statale in materia ecclesiastica rende più frequente il richiamo alla libertà
della Chiesa, che pure viene descritta come all’interno dello Stato. Il richiamo alla libertà diventa più esplicito e insistente
quando, in epoca rivoluzionaria, la prigionia di Pio VI e poi quella di Pio VII si
materializzano in simbolo della Chiesa
non più libera e di Cristo in balia dei
suoi crocifissori.
Con ciò si spiega, pertanto, il persistere della formula «la Chiesa nello Stato»
ancora nell’Ottocento. A farne conservare
il ricordo e l’uso contribuiscono negli anni della Restaurazione il permanere
dell’insegnamento giusnaturalista
e di quello giurisdizionalista
nelle versioni rinnovate
del giuseppinismo e
del gallicanesimo.
Non a caso
«negli anni sessanta
dell’O ttocento
vennero ristampate, o
stampate per
la
prima
volta, opere
di esponenti
del giansenismo italiano
del tardo Settecento e del
primo Ottocento» (Stella).
È lo stesso
Ruffini peraltro, a citare uno scritto
Sant’Ottato di Milevi in un disegno
senza data di
di Jacques Callot (XVII secolo)
Carlo Alberto (edito dal
Manno) nel
quale il re di Sardegna accusa proprio i
giansenisti di avere favorito la méfiance e
la désunion tra Chiesa e monarchia sabauda. Quei giansenisti di Torino che, come
si è accennato all’inizio, furono i padri
spirituali della marchesa madre di Cavour al momento della sua conversione.
Tra i componenti del cenacolo giansenistico di Torino due persone in particolare
— secondo Ruffini — ebbero un ruolo de-
Tutto iniziò in età tardoantica
quando il vescovo africano Ottato di Milevi
dettò in un’opera sui donatisti
la frase «respublica non in ecclesia
sed ecclesia in respublica est»
terminante: Giuseppe Boyer, professore
universitario di procedura civile e penale
(!), già di storia ecclesiastica, poi di diritto ecclesiastico e canonico. Abate Carlo
Tardì, cui il giansenizzante Donaudi dedicava un suo Elogio di san Francesco di
Sales, parente dei Cavour: dai marchesi
de Sales discendeva la nonna paterna di
Cavour, Filippina.
Per Ruffini Francesco di Sales era «il
Santo di elezione dei giansenisti» (i francesi direbbero tout se tient ...) il quale
aveva personalmente incontrato a Parigi
nel 1619 la Mère Angelique di Port-Royal, sorella del celeberrimo Antoine Arnauld; Sainte-Beuve del resto parlò di
una intensa fase spirituale di Port-Royal
definendola La période de St. François de
Sales.
Ed è proprio lo stesso Ruffini a segnalare, nello scritto sulla conversione di
Adele de Sellon, che il Degola — saturo
delle memorie e delle dottrine di PortRoyal — immaginò rapporti personali tra
la madre di Cavour e la moglie di Manzoni le cui coscienze erano state entrambe dirette dai ricordati componenti del
piccolo cenacolo giansenista di Torino:
Giuseppe Boyer e Carlo Tardì. E a segnalare anche la devozione del Cavour
per l’antenato Francesco de Sales nel
quale, secondo la Mère Angélique Arnauld, Dieu était vraiment et visiblement
présent, e che essa ritrovò, come ebbe a
testimoniare il Racine, nel suo successivo
direttore di coscienza, l’abate di SaintCyran. Insomma da Ottato di Milevi nel
IV secolo, al conte di Cavour nel XIX la
formula famosa («Libera Chiesa in libero
Stato») dipana la sua lunga strada che è
passata sicuramente da Port-Royal prima
che dalla Ginevra di Vinet e dalla Parigi
di Montalembert.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 6 luglio 2016
Allarme di Caritas Libano
Campi profughi
al collasso
Intervento del cardinale Marx all’incontro del Ccee a Berlino
Vangelo
per il continente europeo
BERLINO, 5. «Non possiamo capire
l’Europa senza la nostra fede, il
Vangelo, e non possiamo comprendere la Chiesa senza la storia della
libertà che abbiamo sperimentato in
questo continente». Parole del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo
di München und Freising e presidente dell’episcopato tedesco, intervenuto a Berlino all’incontro dei segretari generali delle conferenze episcopali d’Europa.
Secondo il porporato, che è anche presidente della Commissione
degli episcopati della Comunità eu-
ropea, questo è il tempo di un «rinnovamento dell’evangelizzazione».
Per questo, ha detto, «è necessario
unire insieme il Vangelo e il nostro
impegno per l’Europa. Il Vangelo è,
infatti, il messaggio centrale per il
continente europeo». Tuttavia, ha
aggiunto, «la via della Chiesa non è
una “riconquista” o un castello che
deve essere difeso. Il cammino della
Chiesa è la missione di incoraggiare
e guidare le persone a una gestione
responsabile del dono della libertà.
Pertanto è necessario avere sempre
in vista la qualità del nostro lavoro.
Lettera dei leader religiosi britannici dopo la Brexit
Unità
non intolleranza
LONDRA, 5. «In questo tempo di incertezza, la gente ha
bisogno di punti di riferimento, ma ciò non è un valido motivo per cedere alla
diffidenza verso l’altro»: è
quanto si legge in una lettera
aperta, pubblicata nei giorni
sabilità personali nelle proprie azioni, invece di evitarle
cercando capri espiatori, e a
contrastare i pregiudizi razziali e comunitari ovunque si
manifestino, assicurando che
il Paese resti più che mai
unito».
Poiché è a causa di questa qualità
che si raggiunge la gente».
Quello di Marx è stato l’intervento centrale dell’appuntamento berlinese promosso dal Consiglio delle
conferenze
episcopali
d’Europa
(Ccee). Quattro giorni di lavori, dal
30 giugno al 3 luglio, all’insegna di
tre parole chiave — integrare, dialogare, generare — suggerite da Papa
Francesco, fondamentali per la vocazione dell’Europa, in occasione
del conferimento del premio «Carlo
Magno». I segretari generali delle
conferenze episcopali d’Europa —
rende noto un comunicato del Ccee
— «hanno discusso di solidarietà
con i migranti e i rifugiati (integrare), con le famiglie (dialogare) e tra
le conferenze episcopali del continente (generare)». Il tutto, «tenendo presente l’esito referendario della
Brexit e gli interrogativi che oggi
animano le discussioni sul futuro
dell’Ue».
Particolare spazio è stato dato al
tema della solidarietà nei confronti
di migranti e rifugiati, attraverso un
confronto sulle numerose esperienze
di accoglienza e integrazione promosse dalla Chiesa, di fronte alle
difficoltà nell’applicare una comune
politica migratoria europea e soprattutto al dilagare di una paura ingiustificata nei confronti dei migranti.
In questa prospettiva, una sessione
dei lavori ha ospitato il ministro
dell’Interno tedesco, Thomas de
Maizière, che si è soffermato sulla
politica migratoria messa in opera
dal proprio Governo.
BEIRUT, 5. «Noi cerchiamo di
restituire giustizia e dignità a
popoli e persone. I centri Caritas fanno il massimo anche se
non ci sono aiuti sufficienti per
tutti ed è solo una goccia nel
mare». È l’ennesimo segnale
d’allarme quello lanciato dal direttore di Caritas Libano, padre
Paul Karam, ormai da anni in
prima fila per il sostegno al flusso continuo di famiglie siriane, e
non solo, che fuggono dalla
guerra. Il Libano — ha dichiarato il sacerdote all’agenzia AsiaNews — paga «a caro prezzo» le
politiche di altri e rischia di perdere quel «mosaico» etnico, religioso e culturale che da decenni
«ne costituisce la specificità».
Tanto più che il Paese dei cedri
«non è un grande territorio» e
non può assumersi «da solo»
l’onere dell’accoglienza, mentre
altre nazioni «consentono l’ingresso a un numero ridotto di
persone».
In oltre quattro anni, il Libano ha ospitato quasi 1,6 milioni
di rifugiati siriani, affrontando
anche tutti gli squilibri demografici, economici, politici, di sicurezza che questo comporta.
Le Nazioni Unite, che conteggiano solo i profughi registrati,
affermano che ve ne sono 1,2
milioni. A questi vanno però aggiunte almeno settecento famiglie di cristiani iracheni provenienti da Baghdad, Mosul, Erbil
e decine di migliaia di palestinesi arrivati dalla Siria. Il tutto a
fronte di una popolazione libanese di appena 4,4 milioni di
abitanti e un Paese sempre più
in difficoltà nella gestione
dell’emergenza e paralizzato sotto il profilo istituzionale perché
da due anni non riesce a eleggere il proprio capo dello Stato.
Nelle parole di padre Karam
si ritrovano gli stessi motivi di
preoccupazione espressi pochi
giorni fa a New York, nel corso
di una visita pastorale, dal cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, per il quale la massa enorme
di profughi siriani che hanno
trovato rifugio in Libano rischia
di stravolgere gli equilibri della
nazione libanese. Secondo il patriarca, una soluzione per la crisi
dei rifugiati in tutto il Vicino
oriente richiede una pace duratura e il progressivo rimpatrio
nelle nazioni d’origine, mentre è
da evitare il loro insediamento
permanente, in condizioni spesso ai limiti della sopportazione,
nelle terre dove hanno trovato
rifugio. Tanto più, ha aggiunto,
che le moltitudini di rifugiati
che trascinano la loro esistenza
in condizioni precarie rappresentano un potenziale bacino di
reclutamento per le organizzazioni terroristiche.
Non bisogna certo generalizzare — avverte il direttore di Caritas Libano — «perché non tutti
i profughi sono criminali, ma
quando mancano cibo, scuola,
lavoro, quando alle persone è
negato il diritto alla vita e si è
rinchiusi nei campi, il rischio di
radicalizzazione è reale».
Iniziativa della Federazione protestante di Francia per il 14 luglio
Accoglienza fraterna
scorsi sul «The Times» di
Londra, sottoscritta dal cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della
Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, e dall’arcivescovo di Canterbury, Justin
Welby, primate della Comunione anglicana, insieme a
Ephraim Mirvis, rabbino capo di Gran Bretagna e del
Commonwealth delle Nazioni, e al maulana musulmano
Syed Ali Raza Rizvi.
Nella lettera, i leader religiosi esprimono ferma condanna dell’escalation di episodi di intolleranza xenofoba
registrata nel Regno Unito
dopo l’esito del referendum
sulla Brexit e invitano tutti i
cittadini all’unità e alla solidarietà nazionale. «Quando
non riusciamo ad avere il
controllo di una situazione
ognuno di noi cede all’istinto
di scaricare sugli altri le colpe per le ingiustizie che ritiene di avere subito. Oggi —
prosegue la lettera — ci appelliamo a tutti i cittadini
del nostro grande Paese a riconoscere le proprie respon-
Nella settimana dal 23 al
30 giugno — riferisce l’Agi —
si sono verificate nel Regno
Unito 331 aggressioni a sfondo xenofobo, in particolare
nei confronti di immigrati
comunitari, contro una media di 63. Episodi condannati con fermezza dal cardinale
Nichols. In un’intervista alla
«Bbc» il presidente della
Conferenza episcopale di
Inghilterra e Galles ha ribadito le sue forti preoccupazioni per questa escalation
razzista, chiamando in causa
le responsabilità dei governi
di questi ultimi anni che — a
detta del porporato — «hanno lasciato sole le Chiese e le
comunità religiose ad affrontare le tensioni sociali legate all’immigrazione. Questa ondata di razzismo e
odio è inaccettabile e non va
tollerata».
Il cardinale ha invitato a
non cedere alla paura e a
confidare in Dio: «Se non
lasciamo spazio alla Provvidenza, la società si chiude in
se stessa e diventa molto più
egocentrica e divisa».
PARIGI, 5. «Liberté, égalité, fraternité. Exilés: l’accueil d’abord!»: è il titolo della campagna a favore dell’accoglienza, promossa dalla Federazione protestante di Francia (Fpf), che
si svolgerà il prossimo 14 luglio, festa
della Repubblica. L’annuncio è stato
dato dal pastore François Clavairoly,
presidente della Fpf nonché della
Conferenza dei responsabili dei culti
in Francia, che ha incontrato nei
giorni scorsi a Roma il pastore Luca
Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in
Italia (Fcei). Durante l’incontro, i
due responsabili religiosi hanno affrontato numerosi temi, fra cui le relazioni ecumeniche, il dialogo tra le
fedi, il cinquecentesimo anniversario
della Riforma, la testimonianza cristiana in una società secolarizzata, il
cambiamento climatico e la “casa comune”, la giustizia sociale, il terrorismo, la crisi securitaria, ma anche le
politiche migratorie, l’accoglienza
dei profughi e i “corridoi umanitari”
verso l’Italia.
La visita di Clavairoly a Roma è
stata anche un’occasione per incontrare alcuni operatori del progetto
della Fcei per i rifugiati e migranti
«Mediterranean Hope», molto apprezzato per il suo approccio olistico
al fenomeno migratorio. Al riguardo,
il pastore Clavairoly ha ricordato che
«la Fpf ha a disposizione delle possibilità di accoglienza che tuttavia, a
oggi, il Governo francese non sta
sfruttando, e ce ne rammarichiamo.
Insieme alla Federazione protestante
di mutuo soccorso e all’Esercito della salvezza — ha aggiunto il presidente — da un anno e mezzo ospitiamo diverse centinaia di rifugiati. Ma
abbiamo ancora potenzialità di accoglienza. Il fatto è che la maggior
parte dei profughi non passa dalla
Francia, non siamo più sulla rotta
dei flussi».
François Clavairoly ha inoltre
spiegato di aver interpellato il Governo francese in merito alla decisione di accogliere solo trentamila pro-
fughi in due anni: «Consideriamo
questi numeri del tutto insufficienti
per un Paese come la Francia. Ecco
perché abbiamo lanciato questa campagna che mira a richiamare le responsabilità di ognuno di noi di
fronte alle tragedie umanitarie dei
nostri tempi».
Al processo vaticano per la divulgazione di documenti riservati
Quattro richieste di condanna
Quattro richieste di condanna e
una di assoluzione sono state formulate dall’accusa durante l’udienza, svoltasi nel pomeriggio del 4
luglio in Vaticano. È entrato così
nella fase finale il processo penale
per la rivelazione di notizie e documenti riguardanti interessi fondamentali dello Stato, che vede imputati per il reato di associazione criminale monsignor Ángel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata
Chaouqui e Nicola Maio.
L’ufficio del promotore di giustizia — composto da Giampiero Milano e Roberto Zannotti — ha chiesto tre anni e un mese di reclusione
per il sacerdote, tre anni e nove
mesi per la donna, ritenuta ispiratrice e responsabile delle condotte
contestate, e un anno e nove mesi
per Maio, in considerazione del limitato ruolo svolto nella vicenda.
Per i giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi, accusati
per il concorso nella divulgazione
di documenti attraverso la pubblicazione, rispettivamente dei libri
Avarizia e Via Crucis, è stato invece
ritenuto di differenziare le posizioni, concludendo con una richiesta
di assoluzione per insufficienza di
prove per Fittipaldi e con una richiesta di condanna a un anno di
reclusione, con sospensione condizionale della pena, per Nuzzi.
Nell’aula del Tribunale erano
presenti il collegio giudicante (Giuseppe Dalla Torre, Piero Antonio
Bonnet, Paolo Papanti-Pelletier e
Venerando Marano), il promotore
di giustizia, tutti gli imputati e gli
avvocati.
Nella mattina del 5 luglio sono
iniziati gli interventi della difesa,
che termineranno nel pomeriggio
del 6 luglio.
Progetti
di Acs in Iraq
e Siria
ROMA, 5. L’Iraq e la Siria sono i
principali beneficiari di Aiuto alla
Chiesa che soffre (Acs) che nel
corso dell’ultimo anno ha potuto
finanziare 6.209 progetti in centoquarantasei Paesi, seicento interventi in più rispetto al 2014. È
quanto rende noto la fondazione
di diritto pontificio sottolineando
come il 2015 sia stato un anno record per le donazioni. «Acs — si
legge in un comunicato — ha raccolto 124,1 milioni di euro, superando del 15 per cento la raccolta
dell’anno precedente. Le aree geografiche prioritarie continuano a
essere l’Africa e il Medio oriente».
Soltanto per quanto riguarda
quest’ultima macroregione, Acs ha
donato oltre 20.500.000 euro. Sono così quasi raddoppiati gli aiuti
di emergenza e la fornitura di
strutture per far fronte soprattutto
alle necessità dei milioni di rifugiati. «Un aumento costante —
viene sottolineato — sin da quando è iniziata ad aggravarsi l’instabilità nella regione. Dal 2011 a oggi
Acs
ha
infatti
donato
47.630.000 euro in tutto il Medio
oriente».
Nel corso del 2015, viene riportato nella nota, «la fondazione ha
continuato a sostenere la pastorale
della Chiesa in tutto il mondo,
per esempio attraverso la costruzione e la ricostruzione di 1.674
tra chiese, cappelle, seminari, monasteri, centri pastorali e altri edifici religiosi. A questo ambito di
intervento è stato devoluto il 36
per cento delle offerte, per un totale di oltre 34 milioni di euro».
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 6 luglio 2016
pagina 7
Videomessaggio del Papa a sostegno dell’iniziativa di Caritas internationalis
In Siria la pace è possibile
Incredibili quantità di denaro vengono spese per le armi mentre il popolo soffre
Un pensiero per le vittime costrette «a sopravvivere sotto le bombe o a trovare
vie di fuga»; un incoraggiamento ai fedeli affinché preghino e si impegnino
in opere concrete; e uno alla comunità internazionale perché sostenga «i colloqui
verso la costruzione di un governo di unità nazionale». Sono contenuti
nel videomessaggio con cui Papa Francesco sostiene la campagna «Siria:
la pace è possibile», lanciata da Caritas internationalis martedì 5 luglio.
Cari fratelli e sorelle,
oggi desidero parlarvi di qualcosa
che rattrista molto il mio cuore: la
guerra in Siria, oramai entrata nel
suo quinto anno. È una situazione
di indicibile sofferenza di cui è vittima il popolo siriano, costretto a sopravvivere sotto le bombe o a trovare vie di fuga verso altri Paesi o zone della Siria meno dilaniate dalla
guerra: lasciare le loro case, tutto...
Penso anche alle comunità cristiane,
a cui va tutto il mio sostegno a causa delle discriminazioni che devono
sopportare.
Ecco, desidero rivolgermi a tutti i
fedeli e a coloro i quali sono impegnati, con Caritas, nella costruzione
di una società più giusta. Mentre il
popolo soffre, incredibili quantità di
denaro vengono spese per fornire le
armi ai combattenti. E alcuni dei
Paesi fornitori di queste armi, sono
anche fra quelli che parlano di pace.
Come si può credere a chi con la
mano destra ti accarezza e con la sinistra ti colpisce?
Incoraggio tutti, adulti e giovani,
a vivere con entusiasmo quest’Anno
della Misericordia per vincere l’indifferenza e proclamare con forza che
la pace in Siria è possibile! La pace
in Siria è possibile!
Per questo, siamo chiamati a incarnare questa Parola di Dio: «Io,
infatti, conosco i progetti che ho fatto al vostro riguardo — dice il Signore — progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno
di speranza» (Geremia 29, 11).
L’invito è di pregare per la pace
in Siria e per il suo popolo in occa-
Una valigia, un pallone
e una casa bombardata
Una valigia, come simbolo di
chi è costretto alla fuga; un pallone pieno di spine, per raccontare un’infanzia a cui è stato negato anche il diritto di giocare;
un palazzo disastrato dai bombardamenti, dove l’unico appello alla speranza sono dei palloncini colorati dipinti fra le
crepe. Sono le tre immagini che
l’artista Tammam Azzam ha
scelto per accompagnare la
campagna di Caritas internationalis «Siria: la pace è possibile»
lanciata martedì 5 luglio con il
sostegno del videomessaggio di
Papa Francesco.
Insieme a un film d’animazione sulla guerra e alle testimonianze di siriani rimasti in
Una delle immagini scelte per la campagna dall’artista siriano Tammam Azzam
D all’associazione Santi Pietro e Paolo
Gesto di solidarietà per i poveri
Un’offerta in denaro messa a disposizione dell’Elemosineria Apostolica
da destinarsi alle priorità caritative
di Papa Francesco. Così l’associazione Santi Pietro e Paolo ha voluto ricordare il quarantacinquesimo anniversario della fondazione. La raccolta è avvenuta durante una serata di
beneficenza svoltasi presso un istituto romano dei fratelli delle Scuole
cristiane.
E per commemorare l’istituzione
del sodalizio da parte di Paolo VI
nel 1971, erede degli ideali di fedeltà
al Papa della Guardia palatina
d’onore, si è pensato anche
all’aspetto spirituale. In prossimità
della solennità dei santi Pietro e
Paolo è stata celebrata la festa patronale: momento culminante la
messa presieduta dal cardinale arciprete Angelo Comastri all’altare della cattedra della basilica vaticana.
All’inizio della liturgia, alla presenza
del presidente Calvino Gasparini,
quaranta nuovi soci, molti dei quali
provenienti dal gruppo allievi, hanno pronunciato la promessa a conferma della vitalità dell’associazione,
che sempre più è capace di attirare
giovani chiamati a testimoniare, nelle molteplici attività loro proposte,
la fedeltà al Successore di Pietro.
All’omelia, il porporato ha ringraziato i soci per il servizio svolto
principalmente nella basilica di San
Pietro. «In questo luogo impregnato di sangue di martirio — ha detto
il cardinale Comastri — la vostra pazienza, le vostre buone parole, la
vostra gentilezza sono messaggi importanti per i pellegrini».
Questa testimonianza di vita cristiana, orientata alla misericordia di
Dio, ancor prima della fedeltà alla
Sede Apostolica, è lo spirito che
deve animare i soci, sicuri — ha
concluso l’arciprete — che Dio è mite, è benevolo, è paziente all’infinito. (eugenio cecchini)
patria e di rifugiati che vivono
nei Paesi confinanti, quelle tre
immagini saranno il promemoria visivo, in tutto il mondo, di
una tragedia umanitaria che si
protrae ormai da oltre cinque
anni. Sette milioni di sfollati interni, quasi cinque milioni di rifugiati costretti ad abbandonare
il Paese, centinaia di migliaia di
persone uccise, tredici milioni e
mezzo bisognosi di assistenza:
di questi, la metà sono bambini.
Sono i numeri agghiaccianti del
conflitto in corso.
Affrontare le conseguenze
umanitarie dei cinque anni di
guerra nel Paese, è attualmente
la più grande operazione di
soccorso intrapresa da Caritas
nel mondo. L’organismo internazionale fornisce cibo, assistenza sanitaria, beni di prima
necessità, istruzione, rifugio,
consulenza psicologica, protezione e sostentamento nel territorio e nelle nazioni che ospitano i rifugiati. Solo l’anno scorso
le varie Caritas nazionali sono
riuscite a portare aiuti a quasi
un milione e mezzo di persone.
«Non sono solo numeri, sono
esseri umani — ha detto il cardinale presidente di Caritas internationalis Luis Antonio G. Tagle che ha incontrato i rifugiati
siriani in Libano e in Grecia —
e dobbiamo dare loro speranza,
dignità e pace. È necessario dare inizio a un movimento mondiale per la pace».
Di fronte al perdurare della
crisi, viene quindi lanciata una
campagna internazionale: in rete tutte le informazioni, i consigli e gli strumenti operativi per
chiunque volesse aderire si trovano su un nuovo sito web
(syria.caritas.org).
Il
primo
obiettivo è quello di vincere la
disinformazione e l’indifferenza
di fronte a tutto quello che accade in Medio oriente: vengono
sollecitati convegni, gruppi di
studio, coinvolgimento di scuole, incontri, dibattiti. Tra i mezzi suggeriti, anche i social, come Facebook e Twitter (hashtag: #peacepossible4syria e account: @iamCaritas). Occorre
che tutti conoscano le sistematiche violazioni dei diritti umani
che vengono commesse in Siria
e cosa alimenta tanta sofferenza
e tanto spargimento di sangue:
«Mentre il popolo soffre —
spiegano gli organizzatori — incredibili quantità di denaro vengono spese per fornire le armi
ai combattenti. E alcuni dei
Paesi fornitori sono anche fra
quelli che parlano di pace».
Perciò la campagna prevede
anche azioni per fare pressione
sui Governi di tutto il mondo
per far «sì che le parti in conflitto si confrontino per trovare
una soluzione pacifica, sostengano i milioni di persone che
subiscono le conseguenze della
guerra e restituiscano ai Siriani,
all’interno e fuori dal Paese, dignità e speranza».
sione di veglie di preghiera, di iniziative di sensibilizzazione nei gruppi, nelle parrocchie e nelle comunità,
per diffondere un messaggio di pace, un messaggio di unità e di speranza.
Alla preghiera, poi, seguano le
opere di pace. Vi invito a rivolgervi
a coloro i quali sono coinvolti nei
negoziati di pace affinché prendano
sul serio questi accordi e si impegnino ad agevolare l’accesso agli aiuti
umanitari.
Tutti devono riconoscere che non
c’è una soluzione militare per la Siria, ma solo una politica. La comunità internazionale deve pertanto sostenere i colloqui di pace verso la
costruzione di un governo di unità
nazionale.
Uniamo le forze, a tutti i livelli,
per far sì che la pace nell’amata Siria
sia possibile.
Questo sì che sarà un grandioso
esempio di misericordia e di amore
vissuto per il bene di tutta la comunità internazionale!
Che il Signore vi benedica e la
Madonna vi custodisca.
Grazie.
La comunità cattolica armena dopo la visita di Francesco
Come piante assetate nel deserto
di RAPHAEL MINASSIAN*
È passata una settimana da quei
giorni memorabili che hanno segnato la presenza di Papa Francesco in Armenia, e anche se il Pontefice è rientrato in Vaticano, nel
Paese caucasico si ha la sensazione
che la sua permanenza continui.
Tutti, sia i cittadini dell’Armenia
sia quelli della diaspora, i giornali,
le televisioni e le radio continuano
a parlare di questa visita storica
nella prima nazione cristiana.
Francesco ha lasciato il segno, con
la sua umiltà, la sua testimonianza
cristiana e la sua condotta esemplare, che hanno fatto breccia nei
cuori degli armeni e che ora sono
diventati argomenti di commento e
approfondimento, e anche oggetto
di comparazione con la realtà locale. È come una pianta assetata nel
deserto che, quando riceve un poco di acqua, sembra fiorita ma non
è ancora sazia.
L’incontro con il Papa ha offerto l’occasione alla popolazione locale di alzare lo sguardo e di guardarsi intorno per poi convincersi
A tali aspirazioni si unisce unanime anche la diaspora armena,
che ha vissuto momento per momento tutta la visita del Pontefice
e che ancora una volta desidera
ringraziarlo per l’amore che ha dimostrato nei confronti di questo
popolo martoriato. Lo vuole ringraziare per i suoi messaggi chiari
e trasparenti, per i suoi inviti alla
pace e soprattutto per la sua testimonianza evangelica.
Gli armeni hanno percepito che
il messaggero arrivato da Roma in
visita al popolo che per primo ha
abbracciato la fede cristiana come
religione di Stato e che per questa
fede ha versato anche il proprio
sangue, aveva il compito di ravvivare quella fede ancestrale, quella
fede salda nella roccia che guarda
oltre la croce e vede la sua fonte di
vita nel Risorto. Il vero senso della
visita era dunque apprezzare e incoraggiare il popolo di Dio in Armenia. Rinsaldarlo nella sua fede.
E a questo richiamo non hanno risposto solo i cattolici ma anche i
fedeli della Chiesa apostolica, che
nel Papa hanno riconosciuto un
La messa celebrata dal Pontefice a Gyumri il 25 giugno
che non è un’utopia aspirare a un
qualche cambiamento; che la Chiesa è fatta per servire, che la vita
sociale deve avere al centro l’essere
umano e la sua dignità. Che il bene comune va custodito e difeso; e
che è imperativo che anche le istituzioni aspirino a loro volta a un
cambiamento di rotta per far sì
che questa piccola nazione, dimenticata a volte dal mondo, possa
sperare sempre di più in un futuro
migliore, di pace e di prosperità,
di giustizia sociale e di fratellanza.
vero pastore universale, il successore di Pietro, che attraverso i suoi
gesti e i suoi messaggi ha fatto
sentire questo popolo come parte
integrante della Chiesa universale,
dello stesso corpo di Cristo.
Le parole del Pontefice sono arrivate a destinazione: hanno trovato un terreno fertile e maturo che
le ha accolte, come la pianta assetata che riceve l’acqua e si sente rinascere. L’Armenia e gli armeni
sentono infatti questa sete, a causa
dell’isolamento
socio-geografico,
dei confini chiusi con i Paesi non
cristiani limitrofi, cui vanno aggiunte le tensioni belliche che
preoccupano e ostacolano la crescita e lo sviluppo.
Possiamo dire che la visita del
Papa in Armenia è stata estremamente positiva, perché ha lasciato
un’eredità da coltivare. A cominciare dal cammino ecumenico. Forse è giunto il momento che il clero, cattolico e apostolico, faccia un
esame di coscienza e cominci a
operare perché la preghiera del Signore «che siano uno» diventi
realtà. Forse, invece della perdita
di tempo nell’autodifesa e nel giustificare le nostre condotte, è ora
di accettare gli sbagli e iniziare un
nuovo percorso spirituale al servizio del popolo armeno, senza calcoli egoistici, senza pretese di potere o posizioni, ma consapevoli
della responsabilità a noi affidata:
aspirare a quel cammino, insieme,
verso la nostra vera meta che è
l’unità della Chiesa di Cristo. Così
come è stato il 25 giugno scorso
con la messa celebrata a Gyumri,
città cuore degli armeni cattolici.
Un momento condiviso da tutta la
comunità cittadina, senza distinzione, in presenza della gerarchia
armeno cattolica con a capo il patriarca Grégoire Pierre XX Ghabroyan e dei nostri fratelli apostolici
con Karekin II. In quella celebrazione si è potuta vedere e vivere
l’unità dei cristiani. Un’immagine
che lascia ben sperare per il futuro.
Il quattordicesimo viaggio internazionale di Papa Francesco, che
ha avuto come meta il Paese biblico d’Armenia, ha già cominciato a
dare i suoi frutti spirituali che si
chiamano modestia, umiltà, fraternità, solidarietà e attenzione verso
i più bisognosi, amore cristiano
che si manifesta anche attraverso
la giustizia sociale e il servizio e il
sacrificio.
«Vengo come pellegrino di Pace
e servitore del Vangelo», aveva
detto Francesco nel suo messaggio
alla nazione prima del viaggio.
Ora che questo è stato realizzato,
l’auspicio è che quel messaggio di
pace prenda corpo e che la testimonianza del servitore del vangelo
sia spunto per un cambiamento radicale e un progresso sociale, che
porti l’Armenia e gli armeni a essere non solo la prima nazione che
ha abbracciato il cristianesimo, ma
anche testimonianza viva di questa
fede in un mondo sempre più segnato da lotte e divisioni. In un
mondo che ha bisogno di pace.
*Arcivescovo, ordinario per gli
armeni cattolici dell’Europa orientale