Il ruolo della traduzione nelle campagne
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Il ruolo della traduzione nelle campagne
SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI (Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003) Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO (Curriculum Interprete e Traduttore) Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle LAUREE UNIVERSITARIE IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA Il ruolo della traduzione nelle campagne pubblicitarie internazionali: un’analisi dell’influenza culturale in pubblicità RELATORI: CORRELATORI: Prof.ssa Adriana Bisirri Prof.ssa Marilyn Scopes Prof.ssa Luciana Banegas Prof.ssa Claudia Piemonte CANDIDATO: Ilaria Capponi ANNO ACCADEMICO 2014/15 “E con il tempo impari che puoi davvero sopportare, che sei forte, e che vali davvero E impari, impari, impari” INDICE INTRODUZIONE ............................................................................................ 1 CAPITOLO I: LA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA ...................... 5 1.1. La pubblicità: definizione e analisi del fenomeno ................................... 5 1.2. Struttura e funzioni del messaggio pubblicitario ................................... 13 1.3. Analisi semiotica del linguaggio pubblicitario ...................................... 20 CAPITOLO II: LA PUBBLICITÀ GLOBALE .......................................... 25 2.1. La pubblicità nell’era globale ................................................................ 25 2.2. L’evoluzione della pubblicità: la comunicazione tra mezzi di comunicazione tradizionali e digitali .................................................... 26 2.3. Strategie di comunicazione aziendale ................................................... 28 2.3.1. La standardizzazione ....................................................................... 29 2.3.2. L’utilizzo delle lingue in pubblicità ................................................ 30 2.3.3. L’ adattamento ................................................................................ 32 2.3.4. La glocalizzazione........................................................................... 35 CAPITOLO III: LA TRDUZIONE PUBBLICITARIA............................. 37 3.1. Tradurre pubblicità: un problema di approccio ..................................... 37 3.2. Il traduttore-adattatore pubblicitario ...................................................... 41 3.3. Il traduttore e il testo ............................................................................... 42 3.4. Competenze del traduttore ..................................................................... 43 CAPITOLO IV: CASE HISTORY ............................................................... 47 CONCLUSIONI ............................................................................................. 69 TABLE OF CONTENTS INTRODUCTION .......................................................................................... CHAPTER I: THE ADVERTISING COMMUNICATION ..................... 7 1.1. The advertising: Definition and analysis of the phenomenon .............. 77 1.2. Structure and functions of the advertisement ........................................ 80 CHAPTER II: GLOBAL ADVERTISING.................................................. 8 2.1. Advertising in the global era.................................................................. 87 2.2. Business communication strategies: Standardization, adaptation, globalization .......................................................................................... 88 2.3. The use of language in advertising ....................................................... 90 CHAPTER III: ADVERTISING TRANSLATION ................................... 3.1. Translating advertising: A problem of approach .................................. 93 3.2. The advertising translator-adapter ........................................................ 94 3.3. Skills and tools of the translator ........................................................... 96 CHAPTER IV: CASE HISTORY ............................................................... 9 CONCLUSION ............................................................................................. 10 ÍNDICE INTRODUCCIÓN ........................................................................................ 111 CAPITULO I: LA COMUNICACIÓN PUBLICITARIA ...................... 113 1.1. La publicidad: definición y análisis del fenómeno .............................. 113 1.2. Estructura y funciones del mensaje publicitario .................................. 115 CAPÍTULO II: PUBLICIDAD GLOBAL ................................................. 123 2.1. La publicidad en la era global: estrategias de las empresas................. 123 2.1.1. La estandarización......................................................................... 125 2.1.2. La adaptación ................................................................................ 126 2.1.3. La glocalización ............................................................................ 127 CAPITÚLO III: LA TRADUCCIÓN PUBLICITARIA .......................... 129 3.1. Traducir publicidad: un problema de enfoque ..................................... 129 CAPITÚLO IV: CASOS PRÁCTICOS ..................................................... 131 CONCLUSIÓN ............................................................................................. 135 BIBLIOGRAFIA .......................................................................................... 139 SITOGRAFIA ............................................................................................... 141 SEZIONE LINGUA I INTRODUZIONE «La pubblicità è il fiore della vita contemporanea; è un’affermazione di ottimismo e di gioia; distrae l’occhio e l’animo. E’ la più calorosa manifestazione della vitalità degli uomini d’oggi, della loro forza, della loro puerilità, della loro inventiva e della loro fantasia, è il più bel risultato della loro volontà di modernizzare il mondo in tutti i suoi aspetti e in tutti i campi […]» (Maximilien, 1959) Comunicare è un bisogno e una priorità crescente nel mondo globalizzato contemporaneo: l’informazione e la sua trasmissione stanno alla base di ogni società, così come della moderna economia. Coerentemente con il percorso di studi affrontato, il presente elaborato costituisce il tassello finale di un’analisi comparativa tra il lavoro di traduzione e un aspetto della comunicazione a livello globale: la pubblicità. Cercherò in queste pagine di trovare un punto di unione tra gli elementi sopracitati e la società odierna in modo tale da mostrare la loro inestricabile connessione e interrelazione. La comunicazione è un sistema complesso e diversi fattori ne determinano il suo successo o il suo fallimento; i manuali di linguistica (Austin, 1974; Chomsky, 1989; Grice, 1975; Jakobson, 1966; Saussure, 1916; Halliday, 1973; Searle, 1973) sono ricchi di teorie e modelli per una comunicazione corretta ed efficace e tutti sono d’accordo nell’affermare che, in qualsiasi atto comunicativo, il contesto è una componente fondamentale per decifrare il significato dei messaggi scambiati. Quando si parla di contesto, nella dimensione più ampia in cui il messaggio può essere inviato e ricostruito, ci si riferisce al contesto sociale, costituito da norme, convenzioni e aspettative comunicative, linguistiche e comportamentali. Fintanto che un messaggio viene trasmesso all’interno di una società che conosce e condivide tali norme, non dovrebbero esserci problemi per una sua corretta ed esaustiva comprensione; ma quando uno stesso messaggio deve essere veicolato al di fuori 1 della società che lo ha generato, tutto si complica poiché ogni società ha costruito le proprie regole e comportamenti sociali. Si è soliti credere che basta tradurre da un codice linguistico ad un altro per far sì che avvenga una comunicazione interculturale, in realtà quello che avviene è semplicemente uno scambio tra codici linguistici, ciò che viene comunemente chiamata traduzione interlinguistica. Questo tipo di traduzione però non basta a garantire una comunicazione efficace e di successo. Rispetto a quanto detto finora, sembra evidente che la maggior parte delle aziende contemporanee si trovi di fronte ad una sfida complessa per adempiere alla sua funzione principale, ossia comunicare uno stesso messaggio e veicolarlo con i mezzi e le modalità proprie di un determinato target e cultura. La comunicazione quindi sarà efficace solo se saprà, da un lato, essere coerente con i messaggi lanciati, dall’altro rispettare e adeguarsi ai bisogni linguistici e culturali della società cui si rivolge. Al giorno d’oggi, questa sfida è stata resa più complicata da una nuova tendenza: le aziende non devono saper comunicare e trasmettere un’informazione, ma devono essere in grado di parlare di sé, veicolare valori più profondi e sottili riguardo la marca e il mondo che le ruota attorno. Apple non si limita a vendere oggetti elettronici ma innovazione (Think Different); Nokia non si promuove come l’azienda che costruisce solo telefonini ma come quella che è in grado di unire le persone (Connecting People); Benetton non vende solo vestiti ma un modo diverso di concepire la convivenza tra i popoli, serena e pacifica (United Colors of Benetton). Si comprende bene che i messaggi pubblicitari che le aziende sono chiamate a creare devono essere estremamente sofisticati e raffinati, nonché coerenti e specifici per ogni cultura. Saranno quindi esaminate le strategie di comunicazione di varie multinazionali e i loro approcci di mercato all’estero, con lo scopo di individuare il ruolo della traduzione nell’ambito delle campagne pubblicitarie internazionali ed approfondire quelli che sono gli aspetti linguistici, traduttivi ed interculturali, dimostrando l’impossibilità di tradurre uno stesso messaggio senza riadattare il testo, tenendo in considerazione gli aspetti culturali e sociali di un determinato Paese. Dunque si presterà particolare attenzione alla lingua attraverso cui la pubblicità si esprime e alle 2 strategie comunicative che soggiacciono alle scelte linguistiche in ambito pubblicitario. Più dettagliatamente, l’elaborato si compone di quattro capitoli di cui i primi tre costituiscono l’impianto teorico per analizzare gli esempi presenti nel capitolo finale. Il primo capitolo è un’introduzione generale sulla comunicazione pubblicitaria col fine di delineare i confini entro i quali il presente lavoro si muove, analizzando gli aspetti sociologici e psicologici del fenomeno pubblicitario, nonché gli aspetti semiotici. Il secondo capitolo, cuore pulsante del lavoro, pone l’attenzione sull’evoluzione della pubblicità nell’era globale, tenendo conto di aspetti linguistici importanti quali: standardizzazione, adattamento e glocalizzazione. Nel terzo capitolo verrà esaminato il mondo della traduzione pubblicitaria, le sue caratteristiche principali, le difficoltà traduttive e le strategie attuate nei diversi paesi, soffermandoci dunque sulla differenza tra mera traduzione e adattamento. Si analizza poi la figura professionale del traduttore-adattatore pubblicitario, sulle competenze linguistico-culturali e gli strumenti che dovrebbe possedere per svolgere adeguatamente il proprio mestiere. L’ultimo capitolo è quello in cui si analizzano i case history per esemplificare l’approccio alla comunicazione pubblicitaria a livello internazionale e le strategie attuate da ogni azienda per soddisfare al meglio le esigenze del mercato. 3 CAPITOLO I LA COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA 1.1. La pubblicità: definizione e analisi del fenomeno «Succede per molti oggetti materiali o immateriali che, se li osserviamo da lontano, ci pare di coglierne la forma e di essere in grado di descriverli e che, invece, se ci apprestiamo per guardarli più in dettaglio, non diventano per questo più comprensibili, ma al contrario i contorni e i particolari non si precisano ma vanno sempre più sfumando, finché non percepiamo null’altro che colori e luci, privi di qualsiasi struttura e di qualsiasi significato. Così è per la pubblicità: attività umana ben nota a chiunque abiti il mondo capitalista (e non solo capitalista […]); un’attività che si esplica con forza pervasiva nella nostra vita quotidiana […]; un fenomeno di cui tutti si sentono così esperti da ritenersi autorizzati a parlarne e a criticarlo, quasi come avviene per il calcio. Sennonché, al momento di provare a darne una definizione, la questione si rivela estremamente più complessa e, per quanto si cerchi, è difficile se non impossibile incontrare una formulazione che sia veramente soddisfacente» (Vecchia, 2003) Il fenomeno pubblicitario è da molto tempo al centro di studi di numerosi settori disciplinari: dalla retorica alla semiotica, dalla storia all’economia, dalla psicologia all’antropologia. Si tratta di un concetto complesso, particolarmente ampio e articolato e proprio per tale motivo risulta arduo delinearne una specifica funzione. Il termine pubblicità deriva dal francese publicité, che proviene, a sua volta, dal latino publicare, il cui significato originario era “rendere di proprietà o di uso pubblico”, “svelare”, “rendere noto”. Anche i termini in lingua straniera, come il francese réclame o l’inglese advertising hanno un’origine latina, rispettivamente 5 reclamare (“reclamare”, “chiamare ad alta voce”) e advertere (“guardare verso”, “volgere lo sguardo”, “fare attenzione”).1 Oggigiorno, la definizione di pubblicità fornitA dal vocabolario della lingua italiana Zingarelli è: “attività aziendale diretta a far conoscere l’esistenza di un bene o di un servizio e a incrementarne l’uso e il consumo”, “qualsiasi forma di annuncio diretto al pubblico per scopi commerciali”.2 Tuttavia, negli ultimi decenni, il termine ha acquisito ruoli e funzioni molto diversi a seconda del target cui la pubblicità era destinata e della funzione che le si assegnava di volta in volta. Ognuno di noi conosce la pubblicità e saprebbe darne, senza alcuna difficoltà, seppure in modo superficiale, una propria definizione, in realtà si tratta di una forma di comunicazione complessa. Molto spesso, infatti, si pensa alla pubblicità come ad un annuncio commerciale ed effettivamente la maggior parte degli investimenti pubblicitari sono destinati proprio a tali scopi, ma, in realtà, essa può avere altri fini. Per prima cosa è possibile distinguere tra pubblicità commerciale, destinata alla commercializzazione di beni e pubblicità non commerciale o sociale, come quella promossa dai governi per toccare temi importanti per tutta la comunità (quali l’abuso di droghe e alcool o come l’attenzione verso l’ambiente). Il concetto di pubblicità, dunque, sembra estremamente semplice eppure risulta piuttosto complesso. Decantata e disprezzata, giustificata ed accusata nel corso degli anni, la pubblicità, lo si voglia o no, è oggi parte integrante della nostra vita. Si parla di un fenomeno composto da molteplici aspetti, modificati, trasformati ed evoluti dal momento della sua nascita fino ad arrivare ai nostri giorni; insieme ai suoi significati sono cresciuti e moltiplicati gli usi che se ne sono fatti, gli studi sui contenuti, le rilevazioni sulla diffusione e, come ovvia conseguenza, si sono diversificate le percezioni che i soggetti hanno di essa. La pubblicità si è evoluta, si è adattata ai bisogni del tempo, si è modellata rispetto al mezzo attraverso cui veniva veicolata, si è fatta portavoce di una cultura, di modi di vivere e di concepire le cose. E’ diventata molto più di una fotografia su un giornale o di un video in televisione. Si è elevata a strumento privilegiato della comunicazione, non solo commerciale e politica ma anche e soprattutto sociale. 1 M. Cortelazzo e P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, 5 vol., Zanichelli, Bologna, 1978. 2 N. Zingarelli, Lo Zingarelli: vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2004. 6 Tra gli anni Sessanta e Settanta il linguaggio della pubblicità è stato al centro di intense ricerche e accese polemiche che hanno infervorato gli animi di linguisti ed esperti in comunicazione di massa. Sono fiorite così, sino a tutta la prima metà del decennio successivo ricerche ed analisi che hanno analizzato le più minute caratteristiche e strutture di fondo del linguaggio pubblicitario. In verità Bruno Migliorini già negli anni Trenta, in alcune note, aveva studiato tale linguaggio (definendolo come una fonte importante di innovazioni linguistiche3) e, del resto, anche oggi l’interesse per la lingua pubblicitaria è ben vivo tra i linguisti (basti pensare al bel volume di Mario Medici La parola pubblicitaria4). Ciò si verifica e si è verificato poiché negli ultimi decenni, il suddetto fenomeno, sta acquisendo un’importanza sempre maggiore, tanto che il consumo di linguaggio pubblicitario da parte dei parlanti è aumentato progressivamente e anche gli individui meno interessati, nell’arco della giornata, vengono ormai colpiti da numerosi messaggi di questo tipo. Le formule coniate dai pubblicitari finiscono, anche se in maniera inavvertita, con lo scivolare nelle produzioni verbali di molti se non di tutti. Pertanto, risulta lecito ripercorrere alcune riflessioni di autorevoli linguisti e studiosi che hanno saputo cogliere aspetti importanti del linguaggio della pubblicità, da questo breve esame avremo dunque una visione d’insieme certamente più adeguata. La caratteristica primaria del linguaggio pubblicitario è, per Tullio De Mauro5, la subalternità. In primo luogo i segni linguistici sono subalterni alle immagini, infatti ogni qualvolta il mezzo di comunicazione lo consente, l’immagine domina sulla parola, talora addirittura marginalizzandola, perché, come l’autore spiega: La pubblicità ha un obiettivo: orientare in modo inequivoco le linee direttive di condotta dei membri di un gruppo. […] Il carattere istituzionalmente polisenso dei segni linguistici fa sì che essi siano inadeguati, da soli, alle esigenze della pubblicità. Per formare un testo pubblicitario atto ad eliminare incertezze e a B. Migliorini, Lingua contemporanea, Sansoni, Firenze 1963, 4 ed., p.1. M. Medici, La parola pubblicitaria, Marsilio, Venezia,1986. 5 T. De Mauro (Torre Annunziata 1932) linguista e filosofo del linguaggio, si è occupato soprattutto di linguistica generale, con attenzione al rapporto tra lingua e società. 3 4 7 prevenire dubbi e discriminazioni, la formula figurativa, semplice e inequivoca, è assai più opportuna.6 È ben comprensibile che, ogni qual volta il mezzo di comunicazione lo consenta, l’immagine domini sulla parola. In secondo luogo, si può parlare di una subalternità del linguaggio pubblicitario, in quanto non è una fonte autonoma di innovazioni linguistiche, bensì riprende e asseconda usi linguistici già affermati. Dunque non è altro che la sedimentazione di tutte le banalità linguistiche più largamente sperimentate in altri e più attivi settori della vita sociale7. Il linguista non nega l’apporto che la lingua della pubblicità può dare alla lingua comune ma sottolinea il fatto che le innovazioni non sono autonome ma piuttosto mediate da strutture e fenomeni già in uso nella comunità linguistica di cui il mezzo pubblicitario si limita solo a diffonderne l’utilizzo. Infine la lingua della pubblicità è subalterna a fenomeni strutturali della società, come ad esempio al processo di industrializzazione del nostro Paese, in quanto è stato quest’ultimo ad unificare linguisticamente gli italiani, creando un mercato di consumatori a cui indirizzare i messaggi. Se in De Mauro la lingua della pubblicità sembra essere sopraffatta da altri elementi, nelle parole di Maria Luisa Altieri Biagi8 essa appare come un’entità senza scrupoli, disposta a qualsiasi cosa pur di raggiungere il proprio obiettivo, ovvero persuadere il potenziale acquirente. Per assolvere alla funzione conativa la lingua della pubblicità si serve di esche linguistiche allettanti. Secondo la linguista: Il pubblicitario non esita a catturare la terminologia prestigiosa della scienza e della tecnica, a riprodurre le manipolazioni tipiche della lingua letteraria, talvolta a sfruttare i moduli della lingua colloquiale con le sue ridondanze, le sue approssimazioni lessicali, la sua sintassi zoppicante.9 6 M. L. Altieri Biagi, Massimo Baldini, Il linguaggio della pubblicità: le fantaparole, Armando Editore, Milano, 1996, p. 52. 7 IVI, p. 35. 8 M.L. Altieri Biagi (Venezia 1930) famosa linguista italiana, studiosa di grammatica e didattica, è inoltre emerita accademica dell’Accademia della Crusca e dell’Accademia delle Scienze di Bologna. 9 IVI, p.36. 8 L’utilizzo di termini tecnici e scientifici è funzionale al conferimento di un aspetto informativo e referenziale a un messaggio la cui funzione è prevalentemente conativa. Quanti consumatori conoscono il significato dei termini bifidus actiregularis, prokeratina, lactifless e ceramide? (Figura 1) E quanti di loro si sono preoccupati di informarsi? Tuttavia i vocaboli ignoti divengono ancora più convincenti se pronunciati con tono autorevole e posato da un uomo in camice che spiega al proprio pubblico le eccezionali proprietà del prodotto reclamizzato che, a garanzia di efficacia, è venduto esclusivamente in farmacia.10 Figura 1: Yogurt Activia con Bifidus Actiregularis della Danone Se l’uso del linguaggio della scienza rassicura il consumatore riguardo la serietà dell’azienda, lo scopo dell’utilizzo in pubblicità di tecniche tipiche del linguaggio letterario, invece, è quello di sfruttarne il prestigio. Pertanto, gli spot possono contenere composizioni in versi volutamente create o riferimenti a opere celebri e facilmente riconoscibili dal pubblico: M’illumino di meno (Figura 2), ad esempio, è la riscrittura del celeberrimo componimento di Giuseppe Ungaretti utilizzato per la campagna radiofonica di sensibilizzazione sul risparmio energetico. 10 G. R. Cardona, La lingua della pubblicità, Longo Editore, Ravenna, 1974, pp. 34-38. 9 Figura 2: Spot per la più grande campagna sul risparmio energetico in Italia Infine la lingua della pubblicità è sensibile alle novità, se ne appropria immediatamente, le ripete, le impone, le diffonde; talvolta provoca, per nausea la loro caduta. Ecco che la pubblicità si appropria del fenomeno e lo esaspera (vestire giovane, comprate sicuro, bevi facile, ecc.). In ogni caso, sia che si presentino con le vesti smesse della lingua usuale, sia che facciano leva sul prestigio verbale posseduto dai termini scientifici, secondo l’autrice, i messaggi pubblicitari sono un esempio di lingua “venduta”.11 In ogni caso, la lingua della pubblicità si vende al migliore acquirente (lingua della scienza, della letteratura, comune) per raggiungere il proprio obiettivo: concretamente il messaggio è venduto dal copywriter al produttore, in realtà dal produttore all’acquirente in quanto esso compra la suggestione associata dal pubblicitario al prodotto. L’attenzione di Mario Medici12 si concentra sulla ludicità creata dalla lingua pubblicitaria. Egli ritiene che in essa si sia manifestata una tendenza d’uso che si potrebbe definire il fantalinguaggio, in quanto forza al massimo le possibilità formali di un’iperproiezione rarefatta della concretezza semantica. Si tratta di composti M. L. Altieri Biagi, OP. CIT., p. 62. M. Medici (Mendrisio 1908-1984) docente storico svizzero italiano, illustre linguista, si è occupato soprattutto del fenomeno pubblicitario. 11 12 10 quali ad esempio: pestotondo, polivetro, puliziotto, boccasana che il pubblicitario crea attraverso la fusione dei termini più disparati. Il consumatore si lascia cullare da questa musica, da questa lingua destrutturata, ancora una volta lo scopo della parola non è di comunicare bensì di catturare. Il linguaggio pubblicitario è dunque oltre che subalterno e venduto anche un fantalinguaggio ed è tale poiché il pubblico gioca con le parole così come i fanciulli giocano con il corpo della madre.13 Possiamo immediatamente renderci conto di tali caratteristiche immediatamente quando ci imbattiamo in parole senza senso (è il caso dell’esclamazione vavavuma lanciata in uno spot della Citroen e subito ripreso da molti giovani). A conclusioni simili era già giunto, nel 1954, Marcel Gulliot, studioso di comunicazione pubblicitaria, secondo il quale le parole delle pubblicità hanno un solo scopo, non quello di se faire comprendre ma piuttosto quello di faire de l’effet. A tal fine il pubblicitario inventa parole macedonia, ruba vocaboli alla scienza, parla mille lingue, imita lo stile dei grandi poeti per stupire, ammaliare, catturare il consumatore. Il modo di operare del copywriter è riassunto da Gulliot nell’espressione lingua patchwork, le parole più amate dal pubblicitario sono quelle che spiazzano il consumatore per mezzo dell’effetto sorpresa. Dai suddetti studi, realizzati da illustri studiosi e linguisti che si sono immersi all’interno del mondo della pubblicità, delineandone ciascuno differenti caratteristiche, si può capire che la pubblicità è lo strumento di comunicazione più persuasivo, in quanto si basa principalmente su linguaggio e immagini; proprio per questo motivo è utilizzata soprattutto nei mercati dei beni di consumo. Questa è la ragione per cui le decisioni riguardanti la comunicazione pubblicitaria sono le più influenzate dalle differenze culturali dei vari paesi. I consumatori rispondono agli stimoli pubblicitari a secondo della propria cultura, del proprio sistema di valori, della propria percezione. Dato che la funzione della pubblicità è quella di comunicare ai consumatori la capacità di un prodotto, di soddisfare un loro bisogno o desiderio, affinché sia efficace le sue caratteristiche 13 A. Biagi, OP. CIT., p.37. 11 devono per forza coincidere con il contesto culturale cui gli stessi consumatori appartengono.14 La cultura incide in primo luogo sull’efficacia dello stile comunicativo utilizzato. Ad esempio, si è rilevato che in paesi come Canada e Svezia, in cui la maggior parte dei consumatori ha un elevato livello di istruzione, la comunicazione adotta prevalentemente uno stile informativo (le pubblicità abbondano di contenuti tecnici). Al contrario, in paesi come la Turchia, in cui gran parte della popolazione possiede un grado di istruzione assai modesto, la persuasione e gli slogan giocano un ruolo centrale. Ancora, in Europa occidentale la pubblicità delle bevande alcoliche è vietata in Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Norvegia e Svizzera; è soggetta a limitazioni di legge in Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo e Spagna; è limitata volontariamente in Germania e Olanda ed è consentita senza limitazioni in Belgio e in Grecia. Inoltre, il contesto culturale influenza anche l’atteggiamento da parte del destinatario della pubblicità nei confronti della stessa. Vi sono zone, come la Francia e i paesi dell’Europa Settentrionale, nei quali esiste una vera e propria publifobia, un rifiuto verso ogni forma di pubblicità;15 questi timori sono dovuti agli effetti negativi che la pubblicità è in grado di esercitare: ad esempio, la stimolazione smodata dei bisogni e dunque l’incoraggiamento al consumismo. Dove tale fobia è diffusa maggiormente, i governi sono soliti sottoporre la comunicazione pubblicitaria a regimi più severi. Proprio la regolamentazione in materia di pubblicità è una delle maggiori influenze che l’ambiente di appartenenza dei destinatari esercita sulla definizione della politica pubblicitaria. Le normative assumono notevoli differenze di Paese in Paese, per quanto riguarda l’utilizzo di linguaggi e immagini, la pubblicità ingannevole e comparativa, i limiti relativi alla frequenza e alla quantità dei messaggi televisivi nonché alle pubblicità di determinati beni e servizi. 14 15 www.hoeplieditore.it/cateora (consultato il 10 luglio 2015). S. Silvestrelli, International Marketing Mix, Esculapio, Bologna, 2008. 12 1.2. Struttura e funzioni del messaggio pubblicitario Definito l’obiettivo dell’azione promozionale, il responsabile della comunicazione deve ideare e sviluppare un messaggio efficace. Il messaggio dovrebbe attirare l’interesse dei destinatari, catturarne l’attenzione, far crescere il desiderio e stimolare l’acquisto. Questa dinamica è conosciuta come il modello “AIDA” (attenzione, interesse, desiderio, acquisto), acronimo che riassume i quattro punti fondamentali ai quali una réclame deve far fronte per essere efficace. L’AIDA, presentato per la prima volta da Elmo Lewis,16 nel 1898, che studiando il processo pubblicitario al livello di comportamento, rappresenta uno dei primi modelli messi a punto per implementare una campagna pubblicitaria e analizza le quattro fasi che il consumatore attraversa e che lo portano a decidere di acquistare un determinato prodotto (Figura 3): • Attenzione: una pubblicità deve innanzitutto catturare l'attenzione del potenziale consumatore. A tal proposito vi sono tre tipi di elementi di richiamo: razionale, emozionale o morale. Il richiamo razionale fa leva sugli interessi personali del pubblico; quello emozionale ha l’intento di suscitare emozioni tali da spingere all’acquisto; quello morale fa appello al senso di correttezza e di giustizia del pubblico e, principalmente, viene utilizzato per promuovere campagne sociali. • Interesse: una volta catturata l’attenzione, bisogna mantenere vivo l’interesse del consumatore, dando un motivo per continuare a leggere e approfondire, ad esempio comunicando benefici e vantaggi reali. 16 E. Lewis (1872-1948) è stato un pubblicitario americano, il quale si soffermò a lungo sull’importanza e la potenza delle campagne pubblicitarie al fine di educare il pubblico. I suoi studi e il modello AIDA, da esso ideato, vengono tutt’ora presi in considerazione dagli esperti in materia. 13 • Desiderio: in questa fase il messaggio dovrebbe innescare un desiderio per il prodotto o servizio pubblicizzato. Il lettore dovrebbe essere coinvolto emotivamente, riconoscere un bisogno e vedere nel prodotto/servizio descritto la soluzione alle sue necessità. • Azione: portare i consumatori ad agire e acquistare. Figura 3: Grafico sul modello AIDA 14 Sebbene il modello AIDA abbia continuato ad essere un punto di riferimento per molti studi realizzati in ambito pubblicitario, esso, oggi, è ritenuto un modello eccessivamente semplice e ingenuo e che risente molto della cultura nella quale è stato formulato. Negli anni quaranta è stata adottata dalle agenzie pubblicitarie una variazione del modello AIDA. Rosser Reeves, 17 della Ted Bates & Company, ha ideato infatti la formula dell’USP (Unique Selling Proposition), una delle migliori proposte al mondo a livello pubblicitario. Secondo tale principio una pubblicità, affinché possa essere efficace, deve puntare su un unico argomento di vendita che sia forte e significativo. Facendo leva su un'unica ragione logica per la quale converrebbe acquistare un prodotto, sarebbe possibile eliminare rischi di dispersione e concentrare lo sforzo persuasivo su una sola proposta di vendita che il destinatario della pubblicità finirebbe per ricordare e fare propria nel tempo. La pubblicità deve quindi cercare un messaggio unico che offra benefici al consumatore, sintetizzato nei seguenti punti:18 • il messaggio deve contenere una promessa facile da ricordare; • il messaggio deve inglobare un concetto unico riguardante le qualità del prodotto e dissuadere il consumatore ad acquistare prodotti simili; • il messaggio deve essere convincente e verosimile. La struttura del messaggio deve essere definita rispetto a tre questioni. La prima riguarda le conclusioni del messaggio, ovvero la scelta tra comunicarle in modo esplicito oppure lasciarle al pubblico. La seconda riguarda la scelta tra presentare il contenuto da un solo punto di vista oppure proporre prospettive diverse. La terza riguarda l’opportunità di presentare gli argomenti più forti all’inizio o alla fine del messaggio. 17 R. Reeves (1919-1984) è stato un pubblicitario statunitense, egli ritiene che ogni messaggio pubblicitario deve presentare un'offerta esclusiva e non realizzabile da altri promotori; l'offerta deve apparire così efficace ed incisiva da attirare nuovi acquirenti al prodotto. Tra i suoi annunci più celebri (nonché tra i più esemplificativi dell'USP) c'è quello delle caramelle M&M's: “Si sciolgono in bocca, non in mano” usato ancora oggi. 18 R. Reeves, Reality in Advertising, Alfred A. Knopf Inc., New York, 1960, trad. It. I miti di Madison Avenue, Lupetti, Milano, 1988, p.33. 15 Il linguaggio pubblicitario molto vario per essere compreso dalla maggior parte dei consumatori. Esiste uno schema ben preciso che le agenzie pubblicitarie devono tenere sempre presente, una struttura costituita da elementi ben definiti che svolgono specifiche funzioni, quali: • l’headline, il titolo dell’annuncio, la frase primaria che apre la pagina pubblicitaria avente l’obiettivo di incuriosire il destinatario; generalmente si tratta di una stringa di testa chiara e sintetica, stimolando il processo di memorizzazione; • il visual, l’immagine necessaria per calamitare l’attenzione del destinatario ed esprimere sinteticamente un concetto complesso nella decodifica del messaggio verbale; • la bodycorp, il testo che chiarisce e rivela il vero significato del titolo e che può avere una funzione informativa delle caratteristiche del prodotto o puntare a temi astratti che suggestionino emotivamente il destinatario; • il packshot, ovvero la rappresentazione grafica del prodotto in vendita; • il logotipo, il marchio dell’azienda produttrice; • il payoff o baseline, la frase conclusiva della pagina pubblicitaria che comunica l’identità del brand. Tali elementi descritti non solo devono essere necessariamente co-presenti all’interno del messaggio stesso, ma a volte si può decidere di valorizzarne maggiormente alcuni a discapito di altri. Ad esempio diversi studi hanno riscontrato che spesso i consumatori tralasciano la lettura della bodycorp, dando quindi maggiormente importanza all’headline. Il messaggio pubblicitario, in quanto atto di comunicazione, presenta tutti e sei gli elementi che il linguista Roman Jakobson19 ha delineato come costitutivi di un atto comunicativo, ovvero: 19 R. Jakobson (1896-1982) linguista e semiologo russo, considerato uno dei principali iniziatori della scuola del formalismo e dello strutturalismo, a lui si deve lo studio della teoria della comunicazione linguistica. La sua teoria si basa sulle sei funzioni comunicative che si associano alla dimensione dei processi comunicativi. 16 • mittente, colui che invia il messaggio; • messaggio, il testo di una comunicazione diretta che i partecipanti si scambiano; • destinatario (o interlocutore), colui che riceve il messaggio; • contesto, l'insieme degli elementi di un testo ma anche l’insieme delle circostanze particolari che fanno da sfondo all’evento comunicativo; • codice, l’insieme di segni condiviso da mittente e destinatario che permette loro di codificare e decodificare i messaggi; • canale, lo strumento che consente al messaggio di passare dal mittente al destinatario. Nel suo celebre studio di linguistica e poetica20 Jakobson associa ad ognuna delle componenti dell’atto comunicativo una specifica funzione, uno schema che può essere molto utile per comprendere i meccanismi del discorso pubblicitario: 1. funzione espressiva, incentrata sul mittente dell’atto di comunicazione e sul suo mondo interiore che egli esterna attraverso il messaggio (Non è senza un motivo che un profumo diventa un giorno un successo mondiale e lo rimane per sempre. Sensibile, giovane, romantico e insieme sensuale); 2. funzione poetica, legata al messaggio e alla sua formulazione durante la quale si presta grande attenzione alla costruzione formale, all’aspetto fonico nella scelta dei vocaboli, all’evocazione di immagini e, più in generale, all’estetica (Alt chi va là? Il buon detersivo Olà); 3. funzione conativa, riferita al destinatario del messaggio nel quale si cerca di scatenare una reazione nel modo di agire o pensare (Non desiderare la Mini d'altri); 4. funzione referenziale, s’incentra sul contesto in cui l’atto comunicativo ha luogo e a cui i partecipanti alla comunicazione fanno riferimento (Il dentifricio Colgate contiene Gardol); 5. funzione metalinguistica, è legata al codice condiviso dagli interlocutori al quale essi fanno esplicito riferimento durante l’atto comunicativo (Il suono del carrillon vi ricorda che la Manetti e Roberts...21); 20 R. Jakobson, Essais de linguistique générale, Paris 1963; trad. It. Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano, 1963. 21 M. L. Altieri Biagi, OP. CIT., p.41. 17 6. funzione fàtica, fa riferimento al canale che veicola il messaggio e al controllo della sua efficienza per mantenere vivo il contatto con l’interlocutore (Figura 4). Figura 4: Illustrazione sulla teoria delle sei funzioni di Roman Jakobson Anche in questo caso è bene precisare che le funzioni non sono mai isolate nell’atto comunicativo, bensì sono co-presenti. Numerosi linguisti ritengono che, in ambito pubblicitario siano la funzione estetica e quella conativa a svolgere il ruolo principale. La prima è utilizzata per creare messaggi d’effetto che catturino l’attenzione del consumatore, sfruttando la forza evocatrice della parola e gli effetti sonori che nascono dalla combinazione di termini. Secondo Francesco Sabatini22 la pubblicità ricalca i moduli espressivi e ritmici della poesia italiana contemporanea da autori come Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo fino alle tecniche del futurismo. 22 F. Sabatini (Pescocostanzo 1931) linguista e filologo italiano, professore dell’Università degli Studi Roma Tre, attualmente Presidente Onorario dell’Accademia della Crusca. 18 La funzione conativa, impiegata per stabilire un contatto diretto con il destinatario, si realizza attraverso il ricorso all'imperativo e al vocativo o per mezzo dell’uso di verbi (come lo slogan della Coca-Cola Bevi Coca-Cola o a quello della Vodafone Passa a Vodafone!), aggettivi possessivi e pronomi personali alla seconda persona singolare e plurale. In particolare si può affermare che quella sia la funzione sottesa a ogni tipo di messaggio pubblicitario il cui scopo primario non è informare, bensì stabilire un contatto con il consumatore per poi persuaderlo ad acquistare il prodotto. Tuttavia, la funzione emotiva della lingua sicuramente una delle pi presenti nell’ambito del linguaggio pubblicitario e riguarda la capacità che ogni emittente ha di esprimere se stesso, le sue emozioni, i suoi sentimenti, la sua identità nel messaggio. La pubblicità infatti, sebbene sia nata a scopi prettamente informativi, con il tempo ha dato maggior spazio alla funzione persuasiva della sua natura, ricorrendo sempre pi spesso a fattori emozionali. Dunque, molto spesso, nelle pubblicità troviamo elementi emozionali, pi che informativi, che inducono a scegliere un determinato prodotto e che mostrano modelli di comportamento da seguire. A tal proposito, non possiamo non ricordare la campagna pubblicitaria della Procter & Gamble (Figura 5) che, nel 2012 in occasione delle Olimpiadi di Londra ha realizzato un emozionante video che mostra come dietro ogni atleta ci sia l'amore e l'incoraggiamento di una madre. Grazie Mamma è il nome dell'iniziativa portata avanti dalla compagnia statunitense sul suo canale YouTube, la quale mette in scena quattro madri che in quattro diverse città del Pianeta (Londra, Rio De Janeiro, Los Angeles, Pechino) accompagnano i propri figli al successo olimpico. Il video ha fatto il giro del web e ha commosso migliaia di persone; lo stupore, la meraviglia e le emozioni suscitate da questo spot pubblicitario sono rimaste a tutti impresse nei cuori. 19 Figura 5: Campagna pubblicitaria della Procter & Gamble per le Olimpiadi di Londra (2012) Si pu quindi concludere sostenendo che non esiste una funzione prevalente nell’ambito del discorso pubblicitario, le funzioni del linguaggio possono quindi essere compresenti e manifestarsi a tutti i livelli. Ogni pubblicità contiene almeno in potenza tutti i fattori della comunicazione e ne comprende anche tutte le funzioni; lo stesso Jakobson afferma: In ogni messaggio possono coesistere e sovrapporsi tutte queste sei funzioni, o comunque molte di esse, anche se generalmente una soltanto diventa predominante nella struttura gerarchica che viene a formarsi e sulla quale si fonda l’unicità di ciascun messaggio.23 1.3. Analisi semiotica del linguaggio pubblicitario Per comprendere i significati espressi dalla comunicazione pubblicitaria, oggi è possibile ricorrere a numerosi strumenti d’analisi. Strumenti che sono rintracciabili nei contributi elaborati dalle diverse discipline che hanno studiato i linguaggi delle principali forme espressive: psicologia, sociologia, antropologia, semiotica. Quest’ultima però, essendo la disciplina che studia tutti i processi di produzione di senso che si svolgono nella società, è quella che ha fornito la maggior quantità di strumenti utilizzabili per capire il meccanismo della pubblicità e smontarne il motore per vedere come funziona. 23 p. 30. V. Codeluppi, La pubblicità. Guida alla lettura dei messaggi, Franco Angeli, Milano, 2002, 20 Tuttavia la semiotica non può analizzare i risultati della pubblicità, non misura le reazioni del suo pubblico, né pretende di possedere una conoscenza della mente del consumatore; la sua vocazione, piuttosto, è quella di un’analisi in profondità del testo, nei suoi diversi aspetti, articolazioni e livelli. Essa insegna a vedere “sotto” la superficie colorata e luccicante della comunicazione, le forme sintattiche e i modelli semantici che sono messi in gioco in maniera più o meno efficace; ci permette di capire che la pubblicità, per ottenere i suoi effetti persuasivi, si appoggia a sistemi di senso già dati, afferma modelli sociali precisi, ha insomma un forte carattere ideologico.24 La pubblicità dal punto di vista semiotico è un oggetto complesso e problematico. Il rapido consumo dei messaggi, la necessità di cercare il nuovo per colpire il pubblico e attrarre l’attenzione, la molteplicità degli oggetti pubblicizzati rendono difficile un’analisi uniforme per tutti i casi. Ogni caratterizzazione semplice della pubblicità, che la definisca nei termini dei meccanismi testuali costanti, si presterebbe facilmente a controesempi. Infatti, affermare che la pubblicità sia costituita da testi che hanno una funzione di persuasione sembrerebbe plausibile, ma è facile mostrare che molti messaggi pubblicitari non manifestano, perlomeno sulla superficie testuale, nessun meccanismo di persuasione (come ad esempio le immagini di abiti e profumi diffuse sui settimanali, che non contengono alcuna forma di comunicazione verbale). Spesso, come si può vedere, nella pubblicità di marca non si tratta di convincere lo spettatore a fare qualcosa, bensì di cambiare il suo punto di vista, di alterare il suo sistema di valori. D’altro canto è evidente che la pubblicità agisce sul piano della comunicazione in maniera ben determinata: un testo pubblicitario, pur anomalo che sia, ha bisogno di farsi riconoscere come tale, se non altro per assegnare un grado sufficiente di legittimità alle proprie trasgressioni linguistiche. L’analisi semiotica dunque non può essere puramente classificatoria, né basarsi sulla presenza di contenuti caratteristici o fondarsi sull’identificazione tecnica o linguistica di un mezzo di comunicazione specifico. 24 U. Volli, La Semiotica della Pubblcità. GLF Editori LaTerza, Roma, 2003, introduzione. 21 Per analizzare il funzionamento del testo pubblicitario è opportuno prestare attenzione a diversi livelli di analisi, quali il segno pubblicitario, l’enunciazione, le strutture narrative e le immagini. La prima funzione di un testo pubblicitario quella segnica, ossia la capacità di rimandare, per mezzo della sua presenza fisica (il significante) a qualcosa d’altro (il significato). In quanto significativi, capaci cio di dire altro e di pi rispetto alla loro semplice presenza, tutti i testi hanno natura segnica. Specialmente nell’ambito delle pubblicità di moda e di profumi, si trovano spesso testi cos poco articolati narrativamente da poter essere trattati come semplici segni. Esso ha comunque una natura articolata, dalla sua definizione si pu intendere che si tratti di qualche cosa che ha a che fare con la marca o il prodotto pubblicizzati; la tigre utilizzata dalla Esso, nota marca di benzina, o ancora il grafismo curvo come un apostrofo, che simbolo da sempre della Nike, uno dei più celebri produttori di abbigliamento sportivo. Frequentemente accade che l’immagine utilizzata raffiguri l’atto del consumo e le sue conseguenze. In questo caso la dimensione dominante della pubblicità non sarà più per noi quella puramente segnica, perché entreranno in gioco modalità più complesse di narrazioni e di coinvolgimento del destinatario. In molti altri casi, il segno si può individuare anche senza un riferimento alla dimensione narrativa; come nel caso della mela multicolore simbolo della Macintosh, alla stella della Mercedes o al cowboy della Marlboro. In questi casi la dimensione segnica ha una sua propria autonomia. Nei segni pubblicitari, vincolati soprattutto dall’efficacia, vi una continua ricerca di buona motivazione,25 una forma che aiuti ad identificare il prodotto o la marca e che soprattutto contribuisca a valorizzarli. Per ragioni di salienza percettiva e di interesse quasi tutti i testi pubblicitari contengono immagini (salvo quelli radiofonici). Si tratta di solito di testi sintetici, che comprendono parti scritte e/o verbali. Come abbiamo visto parlando del segno, l’immagine ha un’importanza fondamentale, poiché spesso non si tratta solamente di illustrare il prodotto, ma anche di renderne visibile il valore. Un testo pubblicitario visivo induce nel lettore, prima ancora che entrino in gioco i contenuti precisi dell’immagine, certe posizioni di senso come allegria, serenità, ritmo. 25 U. Volli, OP. CIT., p. 56. 22 L’enunciazione, invece, coinvolge molti livelli della teoria semiotica: dai suoi aspetti sintattici, semantici e pragmatici, alle sue implicazioni socioculturali. Si tratta dell'atto attraverso il quale si realizza il concreto impiego della lingua in un contesto comunicativo. Essa, pertanto, ha la funzione di analizzare il ruolo del testo pubblicitario all’interno della comunicazione, tenendo conto del modo in cui il rapporto comunicativo viene riflesso, simulato o deformato nei testi. Il testo pubblicitario presenta, nell’analisi semiotica, una natura prevalentemente narrativa. Affermare la natura narrativa del testo pubblicitario vuol dire attribuirgli una struttura analoga a quella dei racconti. Sempre secondo U. Volli, le forme narrative sono notevolmente diversificate e individua tra le pi tipiche: • contratto-sanzione: la marca propone in maniera esplicita un contratto al cliente. Raramente per , propone se stessa come ci che fa venire l’azione. In testi come questo, il prodotto viene offerto come soggetto passivo del contratto, impegnando con ci il cliente nella sua funzione di destinante; • competenza: spesso accade che l’annuncio non serva a stabilire le principali proprietà del prodotto, piuttosto la competenza, in particolare della marca; • sanzione pura: spesso accade che quel che viene esibito nel testo pubblicitario, sia semplicemente la soddisfazione del consumatore, la quale spesso si esprime sotto la forma dell’acquisto. Non si mostra tanto la capacità del prodotto di compiere la propria performance, quanto la soddisfazione del consumatore al momento del consumo del prodotto. Alla luce di tutto ciò, si comprende che l’approccio semiotico consiste nel sottolineare l’autonomia del testo e il carattere simulacre dei soggetti che compaiono nella comunicazione. Forse non sarà la vera arte del nostro tempo; ma certamente la pubblicità è uno dei principali motori dell’economia e un potere ricchissimo che condiziona la vita di tutti i mezzi di comunicazione di massa. Ed è anche il più diffuso e il più capillare canale di comunicazione, quello che impone al mondo, con la forza delle idee e soprattutto dei grandi numeri, immagini, parole, pensieri, gusti, oltre che merci e prodotti. Insomma la pubblicità è uno strumento estetico e ideologico di massa, il serbatoio a cui attingiamo il nostro modo di guardare le cose, di scoprire il bello, di divertirci.26 26 U. Volli, OP. CIT., introduzione. 23 CAPITOLO II PUBBLICITÀ GLOBALE 2.1. La pubblicità nell’era globale Dopo aver introdotto il fenomeno e trattato il tema della comunicazione pubblicitaria da diversi punti di vista, partendo da una definizione generale del tema per poi trattare le funzioni e le peculiarità insite nel messaggio, fino all’analisi del linguaggio pubblicitario nei suoi molteplici aspetti (linguistici, psicologici e sociali), si passa ora alla trattazione del tema centrale del presente elaborato, ovvero l’approccio transnazionale alla pubblicità nell’era globale e il nuovo ruolo del traduttore all’interno di questa attuale realtà. Innanzitutto si contestualizza il fenomeno pubblicitario nella moderna era globalizzata, l’evoluzione che essa ha avuto e in seguito si studierà la comunicazione pubblicitaria in relazione alle strategie di marketing aziendale di cui è parte integrante e infine, alla luce di tutto ciò, ci si impegnerà a individuare le strategie comunicative che l’azienda dovrà necessariamente mettere in atto per poter essere competitiva in ambito internazionale. Con la celebre espressione global village, nel 1964 Marshall McLhuan 27 ha stravolto il modo di intendere il mondo e le relazioni internazionali. Difatti tutto il Novecento è stato caratterizzato dall'internazionalizzazione delle attività produttive e degli scambi commerciali che hanno portato ad un’inarrestabile evoluzione socioeconomica. Grazie alle innovazioni tecnologiche e delle telecomunicazioni si è verificata un’intensificazione delle relazioni ed interconnessioni tra le diverse aree del mondo. Proprio quest’evoluzione ha preso il nome di globalizzazione, termine M. McLhuan (1911-1980) è stato un sociologo canadese, la cui fama è legata alla sua interpretazione innovativa degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all'ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull'immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell'informazione di volta in volta veicolata. Di qui la sua celebre tesi secondo cui "il medium è il messaggio". 27 25 coniato nel 1981 da Theodore Levit indicare un insieme ampio di fenomeni connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo28. La globalizzazione dell’economia, infatti, è solo la tappa iniziale della creazione del global village di McLhuan, un mondo paragonabile ad un villaggio grazie all’affermarsi delle multinazionali e alla diffusione internazionale dei loro prodotti, allo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione, alla creazione di organizzazioni internazionali, all’evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa. Questi cambiamenti hanno portato all’abbattimento delle frontiere fisiche e mentali tra Paesi e alla realizzazione dell’ossimoro di McLhuan: un intero pianeta delle dimensioni di un villaggio in cui domina una sorta di cultura globale in una condivisione di miti, desideri e stili di vita.29 La nuova teoria di McLuhan è stata interpretata e letta come una profezia: un’interessante fonte di guadagno da parte delle multinazionali che hanno captato la possibilità di dar vita a target transnazionali a cui rivolgersi e a cui vendere i propri prodotti. Dopo questa breve e necessaria premessa si può avviare l’analisi del linguaggio della pubblicità in un’epoca globalizzata dominata da grandi aziende il cui obiettivo primario è l’espansione in un numero crescente di mercati attraverso i propri prodotti. 2.2. L’evoluzione della pubblicità: la comunicazione tra mezzi di comunicazione tradizionali e digitali La pubblicità ha saputo adattarsi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione, mostrandosi sempre aperta all’avvento delle nuove tecnologie che ha saputo sfruttare a proprio vantaggio. I messaggi pubblicitari, infatti, sono presenti su qualsiasi tipo di mezzo di comunicazione, dalla carta stampata a Internet, ma invadono sempre più anche la sfera privata attraverso la posta elettronica e i social network. La scelta del mezzo da utilizzare per la diffusione del proprio messaggio è di particolare importanza per l’azienda in quanto a seconda di quello impiegato il messaggio dovrà 28 29 www.treccani.it/enciclopedia (consultato il 10 luglio 2015). IBIDEM. 26 possedere talune peculiarità. È celebre e valido anche per i new media, l’assioma di McLuhan il medium è il messaggio30, che conferma il rapporto di interdipendenza tra mezzo e caratteristiche stilistiche del messaggio. Si passano ora in rassegna i principali veicoli di comunicazione utilizzati per la diffusione dei messaggi pubblicitari descrivendo sinteticamente i vantaggi e gli svantaggi che ognuno di essi presenta. L’excursus inizia dalla stampa in quanto è proprio sui quotidiani che il fenomeno pubblicitario moderno ha fatto la sua prima apparizione. Quest’ultima è, infatti, il mezzo che consente di raggiungere un considerevole numero di potenziali acquirenti a un prezzo relativamente contenuto per il committente, attraverso un messaggio che coniuga il codice verbale e quello visivo e che può essere letto e riletto dal destinatario, al contrario di quanto succede con i messaggi trasmessi via radio o televisione. Altro metodo oggetto di analisi è la radio, considerato come il primo mezzo di comunicazione di massa per la sua capacità di penetrazione anche di fasce di popolazione dal basso livello di scolarizzazione che all’epoca della nascita del nuovo medium erano tagliate fuori dall’informazione della stampa. La radio, indicata oggigiorno soprattutto per reclamizzare prodotti di largo consumo e per la pubblicità locale, ha introdotto due importantissime novità che sono state ereditate dalla televisione: il jingle e lo slogan. Il jingle è il motivetto, originariamente ispirato a canzoni celebri, che accompagna il messaggio pubblicitario e ne facilita la memorizzazione. Lo slogan è la frase d’effetto del massaggio che ha la capacità di esprimerne in maniera sintetica e originale il contenuto. La televisione ha modificato profondamente il modo di fare pubblicità con l’introduzione di un nuovo format, lo spot, che coniuga diverse modalità espressive: le immagini in movimento, la musica, la lingua scritta e parlata. Si tratta di un messaggio promozionale breve che permette di presentare il prodotto in modo più completo rispetto agli altri media. Ultimo nato tra i mezzi di comunicazione di massa, Internet, è senza dubbio uno dei più pervasivi e rivoluzionari. 30 Q. Fiore- M. McLuhan, Il medium è il messaggio, Feltrinelli, Milano 1981. 27 Le innovazioni che il Web ha introdotto sono così sintetizzate da Santini 31 l’interattività, la personalizzazione, la bidirezionalità dei flussi comunicativi, lo stimolo all’azione immediata e il valore aggiunto per il navigatore sotto forma di intrattenimento, informazione o gioco. Questi aspetti dei new media trasformano il ruolo del consumatore che da ricettore passivo della comunicazione pubblicitaria, si trasforma in attore attivo e dinamico del processo comunicativo, ad esempio attraverso chat e forum per comunicare direttamente con l’azienda. D’altro canto il ricorso esclusivo ai new media impedirebbe all’azienda di raggiungere un vasto pubblico. Fa capo al Web anche il cosiddetto social media marketing: si tratta della comunicazione pubblicitaria che si insinua anche nei social network attraverso inserzioni che appaiono nelle pagine delle svariate communities, nonché della creazione di pagine aziendali su network quali MySpace, Facebook e Twitter a cui il consumatore fa ricorso per un approccio più diretto e informale con l’azienda. In conclusione l’evoluzione tecnologica ha profondamente innovato il modo di fare pubblicità, confermando l’assioma di McLuhan sull’interdipendenza e inscindibilità di medium e messaggio. 2.3. Strategie di comunicazione aziendale In questa nuova era globalizzata, le multinazionali che operano su scala globale hanno dovuto affrontare il problema di come comunicare con consumatori diversi anche per lingua, abitudini comunicative, usi e costumi. L’azienda che opera in ambito internazionale analizza i bisogni comunicativi del target che intende conquistare e persuadere e, in virtù di questi bisogni, predilige le strategie comunicative che ritiene siano maggiormente efficaci per il successo della propria campagna. Generalmente un’azienda che opera su diversi mercati può servirsi di almeno tre tipi di strategie quali: standardizzazione, adattamento e glocalizzazione. Si analizza ora nello specifico in che consiste ciascuna delle tre. 31 P. A. Herbig, Il marketing interculturale, Apogeo Editore, Milano, 2003. 28 2.3.1. La standardizzazione La standardizzazione pubblicitaria, meglio conosciuta con il nome di global advertising o international advertising, ha come caratteristica principale quella di ideare e divulgare lo stesso identico messaggio nei paesi in cui l’azienda è presente attraverso i propri prodotti. Come McLuhan anche Levitt 32 descrive la globalizzazione come una convergenza di tante culture verso un’unica cultura globale, poiché tutti hanno bisogni e desideri simili. Alla luce di tale considerazione, anche Levitt ritiene che le aziende debbano vendere lo stesso identico prodotto in tutto il mondo (marketing globale) servendosi di strategie che si basino su tutti quegli elementi condivisi a livello internazionale trasformando i consumatori in un gruppo omogeneo di individui con gusti e necessità uguali. Pertanto, standardizzare significa offrire un determinato prodotto con i medesimi canali e lo stesso prezzo in tutti i paesi interessati. Ovviamente una campagna globale di successo rappresenta per l’azienda un evidente risparmio in termini di denaro e di tempo, offrendo maggiore consistenza dell’immagine, maggiore controllo sul brand e la possibilità di promuovere i propri prodotti e il proprio know-how 33 tra diversi mercati. D’altra parte, un insuccesso potrebbe invece seriamente danneggiare l’immagine del brand a livello globale, determinando il fallimento del brand stesso e della sua credibilità. La sfida più difficile sta nelle diversità culturali: oltre alle differenze di gusti per le immagini, è da tenere in conto anche l’efficacia del messaggio. Spesso le campagne sono basate su semplicistiche somiglianze tra i consumatori come, ad esempio, tutto ciò che riguarda le emozioni quali la felicità, la rabbia o la paura, ritenute universali. In realtà anche gli aspetti della vita che potrebbero sembrare universali, come le emozioni e i sentimenti, assumono forme diverse all’interno di ogni cultura. Attuare strategie di standardizzazione è davvero molto complesso per un’azienda: in caso di successo si otterranno vantaggi economici e di immagine aziendale che 32 T. Levitt, famoso sociologo americano e direttore della Harvad Businnes Review, il quale ha approfondito le teorie dell’omologazione sul villaggio globale già precedentemente espresse da M. McLuhan. 33 I. Alon, E. D. Jaffe, Global Marketing: Contemporary Theory, Practice, and Cases, McGrawhill, New York, 2012. 29 aumenteranno la competitività, ma d’altro canto un tentativo mal riuscito potrebbe essere deleterio per l’intera campagna e, addirittura, per lo stesso brand. 2.3.2. L’utilizzo delle lingue in pubblicità L’uso delle lingue straniere in pubblicità risulta essere un fenomeno ormai diffuso da molto tempo. La presenza di messaggi pubblicitari multilingui rappresenta una delle maggiori tendenze della pubblicità contemporanea anche a livello trasnazionale: nello schema compositivo del messaggio si alternano, a segmenti testuali redatti nella lingua base, forestierismi e, ancor più di frequente interi sintagmi o frasi in lingua straniera; in tale contesto l’inglese diviene un modello di riferimento e assume un ruolo predominante rispetto alle singole lingue nazionali.34 Molte aziende, indipendentemente dall’origine geografica, scelgono l’inglese come lingua esclusiva delle proprie campagne proprio per promuovere una nuova identità bilingue e cosmopolita di un consumatore inserito nel mercato globale, che si sposta con disinvoltura nel mondo. Negli sterminati territori della globalizzazione, marchi prestigiosi di diffusione internazionale, si rivolgono ai consumatori dei vari contesti geografici, adottando i medesimi slogan. Nokia. Connecting People (Nokia) No Martini, no Party (Martini& Rossi) Don’t touch my Breil (Breil) Pupa. Non conventional Beauty (Pupa) You can. Canon (Canon Inc.) Sony. Make. Believe (Sony) M. R. Capozzi, La comunicazione pubblicitaria. Aspetti linguistici, sociali e culturali, Franco Angeli, Milano, 2008, p.110. 34 30 Secondo molti studiosi, i punti deboli di quest’approccio sono sostanzialmente due: l’inesistenza del target globale sopra descritto e la sopravvalutazione della conoscenza dell’inglese a livello globale. Milioni di persone in tutto il mondo parlano inglese ma i livelli di competenza sono molto variabili e la capacità di comprendere un parlante nativo è generalmente scarsa e può essere frutto di incomprensioni o fraintendimenti. Tuttavia, l’inglese non è l’unica lingua usata, si possono riscontrare espressioni in spagnolo, tedesco e francese. La lingua spagnola è normalmente impiegata per evocare uno stile di vita improntato al divertimento, alla gioia di vivere e alla ludicità. Esempi sono: Seat. Auto emoción (Seat) Desigual. La vida es chula (Desigual) Oppure il celebre spot degli anni Novanta, incentrato sulla conversazione tra due messicani: José: Pedro, ¡esto es Estathé! Pedro: Seguro, ¡es Estathé! (Ferrero) O nella più recente pubblicità dell’acqua Lete, dove un peperoncino con un sombrero messicano canta in spagnolo elogiando l’acqua in questione. In altri casi la lingua spagnola è utilizzata semplicemente per evocare il Paese d’origine del prodotto: No hay nada come el Havana (Havana Club) El ron más bebido en los peores bares de Caracas (Pampero) Decisamente meno presente nelle campagne pubblicitarie è il tedesco, utilizzato principalmente per richiamare il Paese d’origine, famoso soprattutto per la propria industria automobilistica, come per: 31 Volkswagen. Das Auto (Volkswagen AG.) Opel. Wir leben Autos (Adam Opel AG.) Più ricorrente è il francese, cui sono tradizionalmente associati lo charme e la raffinatezza. Il campo della moda e della cosmesi soprattutto sono ambiti ricchi da tempo di francesismi ed espressioni quali parfum, maquillage, couture, ad esempio: J’Adore. Le nouveau parfum de Dior (Dior) Estremamente più rare sono le lingue extraeuropee. Gli esempi di utilizzo di lingue straniere in pubblicità sono numerosissimi e riguardano i più svariati settori merceologici di prodotti e servizi offerti nel mercato globale. In conclusione, si può sostenere che la lingua inglese è ormai onnipresente in ambito pubblicitario e si rivolge al consumatore globale, mentre le altre lingue europee svolgono principalmente una funzione evocatrice del Paese in cui sono parlate e degli stereotipi ad esso associati. 2.3.3. L’ adattamento La strategia opposta alla standardizzazione è l’adattamento. Spesso alcune aziende preferiscono rendere più familiari le stesse attraverso la traduzione dall’ inglese alla lingua del Paese di trasmissione del messaggio in quanto, come si è visto, il significato del messaggio potrebbe sfuggire a un consumatore di diversa lingua madre. La pubblicità però è composta da più che semplici parole. I concetti e le idee trasmessi con la pubblicità sono radicati nella cultura da cui hanno origine, le parole e le frasi creati per una cultura non necessariamente hanno significato per un’altra. Come sostiene anche Simon Anholt35 tradurre un annuncio mantenendolo pari all’originale sarebbe come dipingere di rosso la punta di un iceberg sperando poi che l’intera massa di ghiaccio diventi rossa: l’aspetto linguistico è solo la parte esterna e visibile del messaggio, al quale vanno aggiunti elementi culturali impossibili da trascurare. È necessario tenere conto della funzione principale della S. Anholt, Another one bites the grass: making sense of international advertising, John Wiley & Sons Inc., New York, 2000. 35 32 lingua della pubblicità, adeguando i testi in modo che risultino comprensibili e attraenti per i consumatori. Dunque al fine di evitare clamorosi errori e fraintendimenti è fondamentale tenere conto degli elementi culturali del Paese cui le campagne sono destinate. Secondo i teorici dell’adattamento vi sono due importanti aspetti appartenenti alla sfera culturale di un Paese da prendere in considerazione: la componente socioculturale, riguardante usi e costumi, religione, abitudini sociali e commerciali del Paese destinatario della campagna pubblicitaria e quella politico-legale, che riguarda la legislazione del Paese in materia di comunicazione e, in particolare, di pubblicità36 L’adattatore deve dunque avere ottime competenze interculturali e una conoscenza approfondita della lingua, della cultura e delle norme vigenti nel Paese cui il messaggio è destinato, oltre che di quelle del Paese in cui la campagna è stata ideata. In termini pratici l’adattamento riguarda a livello socioculturale sia competenze di tipo tecnico facilmente acquisibili, come pesi e misure, date, orari, indirizzi, valute, taglie e via discorrendo, sia competenze che richiedono una più approfondita conoscenza culturale, come il simbolismo legato a colori, forme e oggetti di varia natura, stereotipi e tabù radicati nel Paese o ad esso associati. L’aspetto politicolegale è anch’esso da tenere in considerazione poiché si tratta di un ambito molto complesso e in continua evoluzione. Alcuni esempi esemplificativi delle diverse legislazioni sono riportati di seguito: • in Italia, Francia e Regno Unito è vietata la pubblicità di sigarette e tabacco; • in Germania non si pubblicizzano giocattoli con equipaggiamento militare, a causa del loro richiamo alla tragica esperienza della Seconda Guerra mondiale; • in Svezia ed Austria non è permesso mostrare bambini nelle pubblicità; • una serie di tabù riguardanti il corpo e l’abbigliamento sono in vigore nei paesi asiatici. I capelli lunghi, i cappelli da baseball portati rovesciati, i jeans blu vengono considerati simboli della corruzione dei costumi portata dall’Occidente; 36 www.translationdirectory.com/article60, (consultato il 1 luglio 2015). 33 • altri divieti di origine morale e religiosa vigono nei paesi islamici o arabi: le donne devono sempre apparire vestite e col capo coperto, gli uomini non possono essere mostrati a torso nudo, il cibo non può essere toccato con la mano sinistra, ecc.37 Da questi esempi si può comprendere come sia difficile far fronte a normative così diverse fra loro. La fondamentale importanza di tutte queste componenti fa sì che l’adattamento della comunicazione divenga sempre più spesso una necessità più che una possibilità. Un caso emblematico è quello della Kellog Co., la multinazionale ha provato ad inserirsi nel mercato europeo con lo stesso tipo di cereali per tutti i Paesi, ma mentre in Finlandia si prediligevano cereali con un alto apporto di Vitamina D, la Danimarca non voleva affatto aggiunta di vitamine nei cereali temendo per la salute dei connazionali mentre i Paesi Bassi ritenevano inutili le vitamine aggiunte. L’azienda pertanto ha dovuto creare diversi stabilimenti dove produrre cereali che soddisfacessero le diverse esigenze dei consumatori europei. Da questo esempio è possibile individuare le differenze esistenti tra la standardizzazione e l’adattamento. L’azienda che opta per la standardizzazione si concentra sulle analogie esistenti tra consumatori al fine di creare un prodotto che possa soddisfare questo presunto target globale; l’azienda che sceglie la strada dell’adattamento presta maggiore attenzione alle differenze esistenti tra consumatori ritenendo che nell’attenzione al locale risieda il successo di un’azienda. In altre parole la standardizzazione è guidata dai bisogni dell’azienda, ovvero dalla volontà di imporre un brand globale e di ridurre i costi di produzione. Al contrario il motore dell’adattamento è il mercato o meglio i singoli mercati e le peculiarità di ognuno di essi a cui si dedicano studi approfonditi. In conclusione l’adattamento risulta preferibile alla standardizzazione nel caso esistano variazioni in termini di esigenze dei consumatori, condizioni di utilizzo, capacità di acquisto, abitudini culturali. 37 M. Lombardi, Il nuovo manuale di tecniche pubblicitarie. Il senso e il valore della pubblicità, Franco Angeli, Milano, 3° ristampa, 2012, p. 335. 34 2.3.4. La glocalizzazione Alcune multinazionali, tuttavia, sono restie a seguire un’unica linea strategica; esse preferiscono piuttosto associare insieme le due strategie sopra riportate, dando vita alla già citata glocalizzazione. Si tratta di un neologismo dell’epoca digitale, una parola “macedonia” derivata dalla fusione dei termini globale e locale ed indica la con-fusione (nel senso di integrazione reciproca) tra realtà territoriali diverse (e quindi i soggetti e i linguaggi che le esprimono 38 ). Da questo punto di vista la glocalizzazione offre le migliori garanzie, poiché si configura come un approccio integrato che permette alla marca di adattarsi pur mantenendo i benefici di una global brand (Think Global, Act Local39). Ad esempio, lo yogurt Danone Vitasnella è noto come Taillefine in Francia, Finewaist in Inghilterra, Vitalinea in Spagna; il detersivo Mastrolindo in Francia si chiama Monsieur propre e in Germania Meister Propers. In altri casi, a seconda dei mercati di esportazione, si possono avere differenti declinazioni di uno stesso marchio. Un esempio di questo tipo ci viene offerto dal caso Algida: l’azienda, avendo proceduto all’acquisizione di nuovi marchi verso i mercati esteri, ha scelto un approccio multinazionale verso questi ultimi, conservando le denominazioni originali. Pertanto i gelati Algida, pur identificandosi, a livello visivo, con un packaging uniforme, in Francia sono denominati Miko, in Portogallo Olà, Frigo in Spagna, Langnese in Germania. Alla base dei processi di sostituzione del brand name possono talora agire fattori di ordine culturale e linguistico, anche collegati agli stereotipi del Paese di esportazione. Si pensi, ad esempio, al caso dell’automobile Jetta, prodotta dalla Volkswagen. Il nome, in italiano, richiama la mala sorte (jettatura) e ciò sicuramente non rappresenta un elemento a favore del prodotto che lo porta.40 Un altro esempio riguardo questo approccio intermedio è quello del caso McDonald’s, spesso erroneamente proposto come emblema di standardizzazione. In realtà McDonald’s, come molte altre compagnie, si è accorta dell’inefficacia di un A. Abruzzese, Lessico della comunicazione, Meltemi Editore Srl, Roma, 2003, p. 244. Think Global, Act Local: sintesi tra il pensiero globale, che tiene conto delle dinamiche planetarie di interrelazione tra i popoli, le loro culture ed i loro mercati e l'agire locale, che tiene conto delle peculiarità e delle particolarità storiche dell'ambito in cui si vuole operare. 40 M.R. Capozzi, OP. CIT., p. 118. 38 39 35 approccio standardizzato e proprio per questo ha adattato i propri menu ai gusti locali. Alcuni esempi: il menu dei fast food McDonald’s in Brasile comprende una bevanda ai frutti di bosco, mentre in Asia un frullato di frutta; in Giappone è possibile gustare il McChao, simile al riso alla cantonese, mentre nelle Filippine il McSpaghetti e in Australia il tipico pasticcio di carne di montone. Nonostante McDonald’s abbia deciso di operare un adattamento di prodotto, a livello di comunicazione si opta per una strategia standardizzata: chi sceglie un fast-food della catena più famosa del mondo non lo fa semplicemente per il gusto dei suoi hamburger, ma soprattutto perché si tratta di una scelta veloce ed economica. Nel marketing la glocalizzazione consiste dunque nell’utilizzo da parte dell’azienda di un modello globale con i dovuti adattamenti alle varie parti del mondo al fine di venire incontro ai gusti e alle esigenze locali. 36 CAPITOLO III LA TRADUZIONE PUBBLICITARIA 3.1. Tradurre pubblicità: un problema di approccio Qual è oggi il significato di pubblicità internazionale? Siete ad esempio sicuri che l’espressione inglese a cup of coffee sia ovunque la stessa cosa? Per indirizzare un messaggio pubblicitario a consumatori di lingue diverse è necessario adattare il testo in funzione degli usi e costumi e al contesto socioculturale a cui è rivolto. Con la globalizzazione e la necessità di esportare i prodotti di ogni Paese a livello mondiale, ha assunto un’importanza fondamentale la traduzione degli annunci promozionali finalizzata alla localizzazione dei messaggi pubblicitari, in contrasto alla tendenza alla globalizzazione linguistica. Simon Anholt, nel suo già citato libro, sostiene che le agenzie di pubblicità dovrebbero abbandonare la cosiddetta “struttura centralizzata”, dove i messaggi vengono creati nella sede centrale e dove alle sedi degli altri paesi è affidato semplicemente il compito di traduzione e adattamento. Le agenzie dovrebbero oggi essere in grado di avere un approccio locale a livello di ogni singolo mercato, anche se il concetto alla base della campagna viene sviluppato a livello globale. Difatti, il problema generale che si riscontra all’interno della traduzione pubblicitaria risiede nel fatto che ancora oggi, sebbene in misura ridotta, le traduzioni dei vari annunci vengono sottoposte a dipendenti delle stesse agenzie pubblicitarie. Solamente in casi d’urgenza o di campagne piuttosto impegnative, viene richiesto l’intervento di un traduttore professionista. Richard Welts,41 menziona la complessità di tradurre annunci pubblicitari e gli errori più frequenti. Egli ritiene che le cause principali di tali errori dipendono dalla mancanza di competenza del traduttore, che spesso non è un esperto linguista, bensì un impiegato della stessa agenzia pubblicitaria. R. Welts, fondatore di una delle agenzie di comunicazione e traduzione pubblicitaria più importanti negli Stati Uniti. 41 37 Cause di natura economica possono altresì essere le responsabili di una cattiva traduzione, in quanto spesso i pubblicitari tendono a soffermarsi di più sul numero delle parole utilizzate negli annunci direttamente proporzionali al costo della campagna, piuttosto che sul contenuto dei messaggi. Dunque, la causa principale di una scarsa traduzione, dipende in gran parte dall’ignoranza delle imprese che sottovalutano l’importanza di disporre di un’adeguata competenza traduttiva. Tuttavia, negli ultimi anni, si sta diffondendo una maggior consapevolezza nei riguardi di questa disciplina e, sebbene nell’organizzazione delle imprese la traduzione sia ancora piuttosto relegata, ha conquistato una funziona importante all’interno del processo di comunicazione pubblicitaria in ambito internazionale, in quanto la maggior parte dei professionisti del settore ha compreso la necessità di adattare gli annunci alle necessità culturali richieste dal contesto target e alle aspettative del pubblico del mercato d’arrivo.42 La traduzione rappresenta un processo di comunicazione tra culture differenti, è un atto comunicativo che si stabilisce tra un mittente complesso (l’impresa, l’agenzia, il traduttore) e un destinatario eterogeneo e molteplice (i consumatori potenziali di un prodotto, appartenenti a differenti contesti) e si diffonde attraverso un canale. Un messaggio tradotto è sempre il prodotto di un contesto determinato, il contesto d’arrivo43. Nello specifico, la traduzione pubblicitaria, indispensabile nel processo di internazionalizzazione delle imprese, dipende sempre dalle caratteristiche del mercato d’arrivo. Un annuncio pubblicitario persegue uno scopo principale, quello di attirare l’attenzione del pubblico sul prodotto oggetto della promozione e persuaderlo al consumo. Nel tradurre tale annuncio si dovrà necessariamente considerare tale obiettivo e mantenerlo identico anche nel testo meta, per adeguare il più possibile la ricezione del messaggio. È necessario, però, conoscere i criteri di accettabilità di un annuncio da parte del pubblico d’arrivo, per poter creare un testo dalle caratteristiche riconoscibili ed accettabili. Come si è già più volte riscontrato, infatti, le reazioni del pubblico nei confronti dei messaggi pubblicitari non sono le stesse in tutti i mercati, ogni cultura di riferimento ha le proprie caratteristiche e recepisce un messaggio sulla base di valori e idee a sé proprie, che non sono condivise in tutte le società. La funzione 42 43 U. Volli, op. cit. IBIDEM. 38 testuale è assegnata dalla cultura d’arrivo per la quale il traduttore produce il suo testo e, pertanto, anche le strategie impiegate dipendono dalle caratteristiche imposte dal contesto di riferimento. La traduzione degli annunci pubblicitari è soggetta alle idiosincrasie di ciascuna lingua e del pubblico a cui si rivolge, pertanto il traduttore deve tenere conto del contesto socio-culturale del pubblico a cui si destina il prodotto, un pubblico che ovviamente varia da un Paese all’altro. Il ruolo del traduttore è quello di tradurre pensieri ed idee, piuttosto che parole. Sarà pertanto necessario conoscere in anticipo le lingue che verranno utilizzate nella traduzione di tale annuncio. Come si è già osservato, ogni mezzo di comunicazione possiede determinate caratteristiche e la traduzione deve adattarsi alle eventuali restrizioni che queste comportano. Nel caso delle riviste, ad esempio, è necessario rispettare i limiti di formato, in cui lo spazio a disposizione è piuttosto esiguo, o le caratteristiche del layout. Per quanto riguarda la traduzione, ciò si rivela essere spesso un problema, in quanto le lingue non hanno le stesse caratteristiche morfo-sintattiche e alcune si caratterizzano per essere più prolisse di altre. Pertanto, nel momento in cui il traduttore dovrà tradurre un annuncio, dovrà prestare molta attenzione a tale aspetto. In alcuni casi, inoltre, si può verificare che una rivista sia destinata ad un pubblico internazionale, come ad esempio negli aerei. In questo contesto si opterà per una “non traduzione” dei testi pubblicitari, oppure verrà utilizzata la lingua inglese. Nell’ambito del marketing internazionale, la traduzione costituisce un aspetto fondamentale nelle campagne pubblicitarie adottate dalle aziende che, come abbiamo già avuto modo di analizzare, compiono le proprie scelte sulla base di fattori di natura socio-economica. Tradurre una campagna pubblicitaria è un’esigenza che le imprese più competitive prima o poi si trovano ad affrontare. I benefici che derivano dal tradurre una campagna pubblicitaria in diverse lingue, rendendola fruibile anche all’estero, sono numerosi e riguardano la possibilità concreta di aumentare profitti e clientela. Per tale motivo, la traduzione sta acquisendo una posizione di primaria importanza e viene considerata uno strumento di lavoro necessario nell’ambito della 39 comunicazione internazionale, sebbene sia ancora vista semplicemente quale un trasferimento di elementi linguistici da una lingua ad un’altra. D’altro canto, però, nonostante la traduzione occupi un ruolo fondamentale nelle campagne pubblicitarie, la sua funzione sta subendo delle battute d’arresto a causa della crescente egemonia dell’immagine utilizzata negli annunci e della predominanza dell’inglese a livello globale. Un altro ostacolo comune nella realtà pubblicitaria con cui la traduzione deve confrontarsi è quello della scarsa conoscenza di tale disciplina e della sua particolare rilevanza in ambito linguistico, elemento fondamentale nella progettazione di una campagna pubblicitaria. Ancora troppo spesso, all’interno del mondo del marketing e delle agenzie di pubblicità, il ruolo della traduzione è estremamente sottovalutato. Ad esempio, gli specialisti di marketing tendono a differenziare il ruolo della traduzione da quello dell’adattamento. Nella loro concezione, la traduzione si limita solamente ad una trasposizione linguistica del testo scritto, mentre l’adattamento coincide con la “traduzione del senso”. Purtroppo, questo riflette il luogo comune diffuso ed erroneo che persiste nei confronti di questa disciplina, ancora troppo poco conosciuta e rispettata. In realtà traduzione e adattamento sono due concetti che si fondono tra loro. La traduzione fedele non esiste, afferma Anholt, i testi pubblicitari non devono essere tradotti: devono essere scritti. La pubblicità non è fatta di parole, ma di cultura. Tuttavia, al contrario della letteratura, la pubblicità ha prima di tutto un aspetto funzionale: nasce da una preciso obiettivo commerciale, che è quello di comunicare i valori del marchio e di vendere i prodotti. Preoccuparsi di rimanere fedeli al testo originale è un errore di comunicazione: lo scopo è quello di mantenere la funzione, non di riprodurre la forma. Le barriere interculturali possono sussistere anche in presenza di espressioni che sembrano estremamente facili da tradurre. Ad esempio, pur trovando un equivalente in tutte le lingue, la frase a cup of coffee, non significa esattamente la stessa cosa in tutti i paesi. In Gran Bretagna, indica un tazzone da un quarto di litro riempito con acqua calda, caffè istantaneo e zucchero. La traduzione italiana “una tazza di caff ” è tutt’altra cosa: si riferisce a una tazzina riempita, in quantità più ridotta, di caffè espresso e con un gusto totalmente diverso. Va inoltre rilevato che 40 una tazza di caffè sono parole usate raramente nel comune linguaggio italiano, dove abitualmente si dice un caffè. In questo capitolo si analizza il ruolo della figura professionale del traduttore pubblicitario partendo dalla relazione che si instaura con il testo da tradurre, per passare poi in rassegna le competenze che deve possedere e potenziare per meglio svolgere il proprio mestiere, per finire con un breve accenno agli strumenti indispensabili per svolgere il proprio lavoro. 3.2. Il traduttore-adattatore pubblicitario La globalizzazione non solo ha portato le aziende a riscrivere completamente il loro approccio alla comunicazione, bensì ha riscritto anche il ruolo del traduttoreadattatore, figura decisamente importante in questo contesto. È innanzitutto necessario sottolineare che i termini adattatore e traduttore sono in questo caso dei sinonimi, partendo dalla tesi secondo cui la mera traduzione del messaggio sia una pratica controproducente in ambito pubblicitario. Il traduttore professionista che si occupa di adattare una campagna per un nuovo mercato nazionale, si servirà delle proprie capacità traduttive, ma soprattutto delle proprie abilità linguistiche e delle conoscenze relative agli aspetti culturali e sociali per le quali il messaggio va “culturalmente” tradotto. Compito del traduttore è quello di immergersi nell’altra cultura e di capire la visione del mondo dell’altro popolo. Per poter rendere il testo tradotto in modo adeguato, il traduttore deve prima comprendere il messaggio originario, altrimenti i destinatari del testo tradotto avrebbero difficoltà interpretative. Questo talvolta prevede l’aggiunta di parti esplicative per colmare e sanare le divergenze tra culture di partenza e di arrivo, evitando una mera traduzione letterale che può risultare insufficiente alla comprensione del messaggio. Un buon traduttore deve saper adattare il testo al lettore e scoprire le regole per mantenere il significato dell’originale ottenendo lo stesso effetto. 41 Secondo Eugene Nida44 è il significato che deve essere chiaro, mentre parole e suoni sono semplici etichette. Molti altri studiosi, però, ritengono che il traduttore debba comprendere non solo l’ovvio contenuto del messaggio, ma anche le sottili sfumature di significato, i valori emotivi importanti delle parole e le caratteristiche stilistiche che determinano il sapore e la sensazione del messaggio. 3.3. Il traduttore e il testo Se redigere un testo pubblicitario, significa scrivere un messaggio destinato a persuadere un determinato pubblico al fine d’indurlo al comportamento voluto, allora tradurre questo stesso testo vuol dire riprodurne il medesimo meccanismo in un’altra lingua, in modo da ottenere effetti analoghi sul target del Paese cui è destinata la traduzione, utilizzando gli stessi mezzi dell’originale o adottandone di nuovi qualora la prima via sia impraticabile. Il professionista deve rielaborare il materiale di cui dispone per produrre una combinazione originale. Rispetto al copywriter, il traduttore ha in più il vincolo di un testo già confezionato, composto da elementi predefiniti dei quali alcuni immodificabili e altri da adattare nella lingua di arrivo. Tra il traduttore e il testo da tradurre si crea così un rapporto basato, secondo Andrew Chesterman,45 su una serie di norme derivanti da alti principi morali che non dovrebbero mai essere traditi. Si tratta di principi, noti come universali traduttivi, quali: chiarezza, verità, comprensione e fiducia, universalmente validi in ambito traduttivo e di somma importanza. Di conseguenza, queste norme sono valide anche per i traduttori che si occupano di comunicazione pubblicitaria, sebbene sia opportuno notare come esse debbano essere reinterpretate a seconda dello specifico ambito traduttivo; la lealtà che il traduttore letterario e specializzato dimostra nei confronti del source text è diversa da quella che l’adattatore pubblicitario è tenuto a dimostrare. E. Nida (1914- 2011) è stato un linguista e traduttore statunitense, ha sviluppato la teoria delle equivalenze dinamiche nella traduzione della Bibbia, è considerato uno dei fondatori della moderna Scienza della Traduzione. 45 A. Chesterman (London 1946) professore di Comunicazione Multilingue presso l’Università di Helsinki fino al 2010, membro di Executive Board of the European Society for Translation Studies dal 1998 al 2004 e membro di Scientific Advisory Board of the Center of Translation Studies dal 2007 al 2010. 44 42 Il traduttore letterario deve mantenersi il più fedele possibile allo stile dell’autore del testo originale in quanto è proprio lo stile che costituisce l’identità unica e irripetibile dell’opera e di chi l’ha scritta; il traduttore specializzato, deve innanzitutto essere fedele alle informazioni contenute, veicolandole con la maggiore accuratezza e chiarezza possibili; il traduttore pubblicitario, invece, deve mantenersi fedele innanzitutto alla funzione del testo, anche a costo di una totale riscrittura dello stesso. Dunque la qualità traduttiva in ambito pubblicitario va letta in termini di fedeltà alla specifica funzione del messaggio che il committente persegue e sulla quale informa dettagliatamente il traduttore che dovrà affrontare tale lavoro. 3.4. Competenze del traduttore La competenza traduttiva, ossia generalmente tutto quello che il traduttore ha bisogno di sapere e/o apprendere per svolgere la sua professione è un concetto fondamentale della traduzione che è diventato uno specifico oggetto di studio a partire dagli anni Novanta.46 Si tratta di tutte quelle abilità utili per lo svolgimento ottimale di tale professione che, per essere svolta adeguatamente, necessita l’acquisizione di competenze specifiche e relative all’ambito in cui opera. Le competenze traduttive, rilevanti per tutti i profili professionali della traduzione sono: la competenza comunicativa in almeno due lingue/culture, la competenza produttiva, la competenza disciplinare, la competenza teorica e metodologica e infine la competenza professionale. Ira Torresi sostiene che, oltre alle ovvie competenze linguistico-culturali, l’adattatore dovrebbe essere in grado di individuare quelle strategie traduttive che permettano di mantenere le funzioni del source text anche nel target text; la capacità di utilizzare uno stile evocativo ed emozionale, proprio della lingua della pubblicità; dovrebbe possedere capacità creative, in quanto il linguaggio pubblicitario si contraddistingue per la deviazione della norma rispetto alla lingua comune, 46 F. Scarpa, La traduzione specializzata. Un approccio didattico professionale, Hoepli, Milano, 2008, 2° edizione, pp. 249-254. 43 conoscere le norme che esistono in ambito pubblicitario e che ne regolano la comunicazione a livello internazionale e nei singoli mercati nazionali; infine un’ altra dote importante è quella della flessibilità che il traduttore pubblicitario deve possedere nei rapporti con l’agenzia, il committente e tutti gli altri soggetti coinvolti nel processo della traduzione.47 Uno degli strumenti più importanti alla base di una buona campagna pubblicitaria è senza dubbio il brief: un documento prodotto dal committente in cui sono descritte le caratteristiche che la stessa campagna pubblicitaria deve possedere. Un brief dettagliato generalmente contiene: lo scopo della campagna; il target a cui la campagna pubblicitaria è destinata ed è generalmente descritto in termini di età, area geografica, posizione sociale, abitudini di consumo; il canale di distribuzione attraverso il quale il prodotto è commercializzato; il prodotto o servizio a cui la campagna è dedicata; l’azienda committente di cui si descrivono le caratteristiche anche in termini di immagine e di percezione del brand da parte del target di riferimento; i mezzi di comunicazione attraverso i quali la campagna pubblicitaria è diffusa per raggiungere il pubblico. Tutte queste informazioni contenute nel brief sono di vitale importanza al fine di creare un messaggio che soddisfi le aspettative del committente e raggiunga l’obiettivo che questi si è prefissato. È vero che il traduttore ha il compito di adattare una campagna già creata, ma nei casi in cui si presentino difficoltà di adattamento il brief si rivela una fonte preziosissima da cui acquisire informazioni. Si pensi ad esempio a quanto possiamo rilevare dall’analisi della target audience: se il target privilegiato è composto da bambini si potrà ricorrere al baby talk mentre nel caso ci si rivolga a un pubblico di donne si potranno utilizzare tutte quelle forme grammaticali e lessicali generalmente associate al sesso femminile. Altrettanto importante è la possibilità di conoscere il mezzo attraverso il quale il messaggio sarà diffuso: se la radio permette di sfruttare la forza evocatrice della parola, la cartellonistica stradale impone concisione e frasi d’effetto, mentre il Web permette di sfruttare l’interattività per un approccio più diretto con il consumatore. È evidente come, più di ogni altro, il brief è uno strumento di grande importanza che consente al traduttore pubblicitario di individuare tempestivamente 47 I. Torresi, Translating promotional and advertising texts, St. Jerome Publishing, Manchester, 2010, p. 75. 44 gli elementi fondamentali che la campagna non può non contenere. A tal fine, inoltre, tutti i traduttori professionisti ormai lavorano in un ambiente digitale che prevede un qualche tipo di piattaforma informatica per rispondere alle esigenze di un mercato che impone di tradurre grandi quantità di testi in molteplici formati, il più velocemente e al minor costo possibile e di produrre al tempo stesso traduzioni di alta qualità. In un mercato dove bisogna sempre essere pronti ad adattarsi a nuove richieste e ad imparare a padroneggiare i nuovi strumenti che vengono creati per soddisfarle, le nuove tecnologie sono ormai diventate strumenti indispensabili al traduttore e sono destinate a diventarlo sempre di più negli anni a venire. 48 Poi attraverso gli strumenti linguistici ed extralinguistici a sua disposizione e soprattutto per mezzo della propria competenza traduttiva, sarà in grado di produrre un testo che si adegui alle necessità del committente e del pubblico a cui la campagna è indirizzata. 48 F. Scarpa, OP. CIT., pp. 298-300. 45 CAPITOLO IV CASE HISTORY Dopo aver esposto e compreso teoricamente le diverse strategie di approccio alla comunicazione propagandistica ed aver esaminato il mondo della traduzione pubblicitaria, le sue principali caratteristiche e le difficoltà traduttive, analizziamo ora le strategie attuate dai diversi brand, con alcuni esempi concreti, esemplificando così quanto detto finora. Nella prima parte sono forniti esempi di campagne pubblicitarie internazionali che prediligono gli strumenti della standardizzazione e casi in cui invece una mera traduzione è stata alla base di clamorosi fraintendimenti. Nella seconda parte, invece, sono analizzati esempi di messaggi pubblicitari che sono stati adattati alle necessità comunicative dei consumatori locali. Infine si propongono esempi di campagne pubblicitarie che hanno saputo operare una commistione tra le due strategie sopracitate. CAMPAGNE PRODUCT-ORIENTED RAYBAN Il primo esempio di pubblicità standardizzata è quello dello storico brand americano RayBan, leader globale nel mercato degli occhiali di alta gamma e di gran lunga il marchio di occhiali più venduto al mondo. Riportiamo in analisi l’ultima campagna di comunicazione Never Hide, realizzata per la collezione primavera-estate 2011 (Figure 6-7-8), nata da una collaborazione tra l’azienda Luxottica Group 49 e i suoi consumatori, grazie Luxottica Group, proprietaria del marchio RayBan è un'azienda italiana che produce e commercializza occhiali. È la più grande produttrice mondiale di lenti e montature. Luxottica risulta anche la prima azienda italiana nel campo della moda per fatturato e ottava nella classifica dei brand in Italia. 49 47 all’attivazione di una piattaforma web sulla quale caricare le proprie foto e video. Cosicché il ruolo del consumatore evolve da semplice osservatore a protagonista della campagna pubblicitaria. I volti di ragazzi in tutto il mondo sono stati incorniciati da un frame bianco con la scritta Never Hide, il cui concetto richiama un messaggio chiaro: avere il coraggio di essere se stessi, di esprimere con genuinità il proprio pensiero e la propria personalità. Figura 6: Inghilterra. Campagna pubblicitaria Never Hide 2011 48 Figura 7: Spagna. Campagna pubblicitaria Never Hide 2011 Figura 8: Italia. Campagna pubblicitaria Never Hide 2011 49 Si può chiaramente osservare che il linguaggio utilizzato per rivolgersi al target è immediato ed emozionale, il claim è l’unico elemento verbale presente nella campagna a conferma della tesi di Tullio De Mauro, secondo il quale nel messaggio pubblicitario la dimensione linguistica è sempre più subalterna a quella figurativa. La voglia di mantenere un brand dall’immagine globale ha portato la RayBan a diffondere un messaggio a livello internazionale, senza operare però alcun tipo di adattamento nei mercati in cui è stata diffusa, dunque rappresenta un perfetto esempio di pubblicità product-oriented. . LEVI’S Anche la seconda campagna scelta presenta un’unica strategia globalizzata, si parla di una delle più note aziende americane di abbigliamento Levi Strauss & Co. (Figura 9). Ancora oggi, nonostante i suoi numerosi concorrenti, rappresenta un marchio di eccellenza grazie alla qualità dei prodotti, alla capacità di anticipare le tendenze e ad una comunicazione aziendale sempre efficace. La foto qui riportata fa parte di una campagna a stampa globale, la quale si serve di un visual decisamente efficace ed immediato: un giovane a torso nudo che indossa un paio di jeans Levi’s. Nella sua strategia di standardizzazione, la Levi’s fa uso unicamente di elementi paralinguistici, mirati a mettere in risalto le qualità dei suoi jeans associati ad un’immagine di virilità tutta americana. 50 Attraverso la creazione di questi spot consistenti unicamente di musica e immagini, senza alcun tipo di riferimento linguistico l’azienda, non solo è riuscita a superare il problema del plurilinguismo in Europa ma ha inoltre diffuso un prodotto che per la sua stessa natura viene percepito pressoché allo stesso modo in quasi tutti i mercati. 50 P. A. Herbig, OP. CIT., p.62. 50 Figura 9: Campagna pubblicitaria Levi Strauss & Co 1984 Tale processo permette all’azienda di mantenere un’immagine coerente a livello mondiale, a conferma del fatto che le aziende di lunga storia preferiscono sempre più una comunicazione pubblicitaria product- oriented. MAX MARA Ci offre un ulteriore esempio di comunicazione pubblicitaria standardizzata la campagna pubblicitaria dell’azienda italiana Max Mara (Figura 10), uno dei principali marchi internazionali del lusso. La campagna oggetto d’analisi è quella diffusa per la collezione autunno-inverno 2014/2015. Max Mara, come altri famosi brand internazionali (Tiffany, Gucci, Chanel, Moschino, ecc.) predilige campagne a stampa in cui l’immagine e il brand name hanno un ruolo di primo piano relegando in un angolo il claim che molto spesso è addirittura assente, assorbito dalla forza evocatrice e comunicativa dell’immagine. Nella campagna il claim recita: Timeless is now, anche in questo caso la lingua scelta è l’inglese per una campagna di diffusione internazionale indirizzata ad un target elitario. Anche il visual risulta importante nella determinazione del 51 destinatario del messaggio: la modella, nonché celebre attrice Amy Adams rappresenta una bellezza semplice e raffinata che, allo stesso tempo rispecchi le caratteristiche fisiche di ogni potenziale consumatore a cui la campagna si rivolge. Figura 10: campagna pubblicitaria Max Mara 2014/15 Max Mara è uno dei brand che Herbig cita per esemplificare la categoria dettaglianti elitari globali nel suo tentativo di identificare le categorie merceologiche che meglio si adattano alla comunicazione standardizzata. 52 ILLY Vi sono poi quei messaggi pubblicitari che, nonostante il ricorso alla standardizzazione, traducono alcuni degli elementi verbali che compongono il messaggio stesso. Si è visto come sia una scelta azzeccata per assicurarsi una corretta comprensione del contenuto che si vuole veicolare, in quanto la comprensione della lingua inglese è spesso sopravvalutata. Prendiamo il caso del marchio Illy (Figure 11, 12), famoso a livello internazionale per la produzione di caffè di alta qualità, anch’essa rappresenta un esempio di strategia product oriented, in cui si pone l’attenzione sul prodotto da commercializzare, tanto che la comunicazione rimane invariata, sebbene sia rivolto a mercati appartenenti a diverse realtà nazionali. Come possiamo notare nelle immagini sotto riportate, il sito web della suddetta campagna si presenta in tutte le sue traduzioni con la stessa struttura, le stesse promozioni e le medesime immagini pubblicitarie. In questo caso, dunque, le traduzioni rappresentano una semplice trasposizione linguistica dei contenuti del sito, senza alcun ricorso ad adattamenti di tipo culturale o sociale. Benché presente in numerosi mercati diversi tra loro, il messaggio è pressoché identico dal punto di vista linguistico e grafico. Sicuramente la campagna è stata originariamente creata in lingua inglese, subendo poi dei minimi adattamenti linguistici prima di essere esportata nei paesi non anglofoni per assicurare la corretta comprensione del messaggio. 53 Figura 11: Versione francese del sito internet Illy Figura 12: Versione spagnola del sito internet Illy 54 In realtà, nella storia della comunicazione pubblicitaria, si possono rintracciare numerosi esempi che dimostrano come la traduzione, alle volte, sia stata alla base di clamorosi fraintendimenti. Ci si riferisce, ovviamente, ai casi in cui la traduzione della campagna è stata affidata a professionisti poco competenti che, ricorrendo a una traduzione letterale di claim e payoff hanno concorso al fallimento di campagne milionarie. Di seguito si propongono tre esempi che sono entrati nella storia per la notorietà delle aziende e per il negativo ritorno di immagine che la campagna pubblicitaria ha procurato. EXPO Il primo di cui si parla è un errore che ha fatto il giro del web, scatenando l’indignazione di numerosi insegnanti di lingua, traduttori, interpreti, nonché di tutti coloro che conoscono un minimo la lingua inglese. Difatti non c’ bisogno di essere madrelingua per riconoscere il madornale errore di traduzione, firmato Expo 2015 a Milano (Figura 13). Sui totem situati alle uscite della metropolitana che invitano ad acquistare il biglietto d'ingresso per l'Esposizione, accanto al messaggio in italiano "Acquistate il vostro biglietto" campeggia un imbarazzante But your ticket (tradotto: ma il tuo ticket) al posto del corretto Buy your ticket. Un errore che per un evento "universale" non è sembrato essere esattamente di buon auspicio. Le ironie in rete, dove lo scatto è diventato virale, hanno portato fortunatamente alla correzione del manifesto, mentre Expo precisa di non essere responsabile della sua realizzazione. I totem, infatti, sono stati allestiti dalla fiera dell'edilizia Made in Expo, che rientra nel "circuito" di eventi legati all'esposizione.51 51 http://www.liberoquotidiano.it, (consultato il 5 luglio 2015). 55 Figura 13: Expo 2015, il totem della Fiera bocciato in inglese PARKER Quando la nota azienda statunitense, Parker Pen (Figura 14), famosa produttrice di penne, ha deciso di pubblicizzare un nuovo tipo di penna a sfera in Messico, si è imbattuta in un clamoroso errore di traduzione dello slogan pubblicitario. La campagna in esame, nonché la più famosa, è quella il cui claim recita: It won't leak in your pocket and embarrass you (in italiano Non gocciolerà nella tua tasca e causerà imbarazzo). 56 Figura 14: Parker Pen, mancata verifica di compatibilità della traduzione. Il claim tradotto in spagnolo recita: No te embarazará chorreándose en tu bolsillo. Il verbo inglese to embarass (“mettere in imbarazzo”), è erroneamente tradotto con lo spagnolo embarazar (“mettere incinta”). Inutile dire che il risultato della campagna è stato disastroso e che Parker è stata costretta a ritirare in tutta fretta tutte le apparizioni della pubblicità su quotidiani, settimanali e manifesti.52 BRANIFF AIRLINES La campagna della compagnia aerea americana Braniff Airlines (Figura 15) ci offre l’ultimo esempio, anch’esso molto celebre come i due precedenti. Nel 1987 la compagnia lancia una massiccia campagna pubblicitaria su tv, radio e quotidiani locali illustrando le comodità dei propri aerei che avevano sedili in cuoio; lo slogan recita: Fly in leather (tradotto Vola nel cuoio) molto apprezzato dal pubblico. Quando la stessa è stata proposta nella versione in lingua spagnola, la traduzione è stata Vuela en cuero (Viaggia nudo) in quanto en cuero significa piuttosto senza vestiti, nudo. Viaggia nudo non è sembrato uno slogan molto efficace ai passeggeri di madrelingua spagnola, tanto che la compagnia ha dovuto sospendere in tutta fretta la campagna. www.traduzione-localizzazione.com/servizi-webmarketing/cattive-traduzioni, (consultato il 5 luglio 2015). 52 57 Figura 16: American Airlines, mancata verifica di compatibilità e adattamento In tutti e tre gli esempi analizzati, a causa della mancata verifica di compatibilità della traduzione sul mercato di destinazione, la campagna pubblicitaria è risultata inefficace e addirittura controproducente.53 MARKED-ORIENTED Si passa ora all’analisi di esempi pratici della strategia dell’adattamento che, come si è visto, consiste nell’adeguare la comunicazione pubblicitaria alle necessità comunicative e ai vincoli culturali di un certo pubblico nazionale. Attraverso questi esempi si avrà modo di osservare la messa in atto della strategia dell’adattamento in ambito pubblicitario e, più nello specifico, di come questi marchi hanno affrontato la scelta di comunicare con il mercato internazionale e con quello italiano. www.traduzione-localizzazione.com/servizi-webmarketing/cattive-traduzioni, (consultato il 5 luglio 2015). 53 58 SCHICK È un marchio di rasoi di sicurezza, la cui azienda è stata fondata nel 1926. Sebbene sia secondo nelle vendite a livello globale rispetto a Gillette, Schick è il marchio di rasoi più venduto in Giappone. Proprio da qui ricaviamo un perfetto esempio di strategia di adattamento. In Giappone, infatti, la Gillette ha una quota di mercato del 10% (nel mondo è del 65-70%) mentre la Schick ha una quota del 62%. Quest’ultima mette in risalto le proprie strategie di marketing “alla giapponese” (adattamento) mentre la Gillette pone l’accento sulle proprie radici americane (standardizzazione), utilizzando le stesse confezioni che utilizza negli Stati Uniti e inoltre, lo stesso spot pubblicitario. La Schick, dal canto suo, in dieci anni non ha mai utilizzato uno straniero nei propri messaggi propagandistici: lo spot delle lamette Tracer mostra un giovane attore giapponese che si rade e poi porta il proprio cane a spasso in spiaggia. Il prodotto inoltre è stato battezzato FX, che secondo la Schick è più facile da pronunciare per i giapponesi.54 PHILADELFIA Il secondo esempio di campagna adattata in analisi è quello dell’azienda alimentare americana Kraft Foods Inc., la seconda più grande al mondo dopo la Nestlé. In particolare ci si sofferma al 2011, anno in cui è stato lanciato un nuovo prodotto, nato dall’incontro del famoso formaggio spalmabile Philadelphia, marca propria della Kraft Foods, con il cioccolato Milka, altro storico marchio della multinazionale statunitense (Figura 16). Il prodotto è stato presentato come unione di Philadelphia e Milka in Italia, Germania, Spagna e altri mercati europei, mentre nel Regno Unito si è utilizzata un’altra marca di cioccolato: Cadbury, poiché nel mercato britannico, quest’ultima gode di maggior popolarità. 54 P. A. Herbig, OP. CIT., p. 34. 59 Analizziamo dunque le campagne diffuse in Italia e nel Regno Unito, delineandone le caratteristiche di strategia marked-oriented. Il titolo della campagna lancio per il Regno Unito è Choccy Philly? Don’t be Silly, uno slogan che sembra banale ma offre invece diversi spunti di riflessione. Si tratta innanzitutto di un linguaggio informale: choccy è un termine colloquiale che si utilizza al posto di chocolate, mentre Philly è il diminutivo di Philadelphia. Il messaggio è diretto e vuole scatenare un senso di stupore nei confronti del nuovo prodotto nato dallo strano accostamento di cioccolato Cadbury e Philadelphia, che viene definito come silly, cioè sciocco, senza senso. L’umorismo, lo stile diretto e verbale sono tutti elementi riconducibili alla cultura anglosassone. Figura 16: Pubblicità Philadelphia con Cadbury, Regno Unito, 2011 60 Vediamo come la stessa campagna si presenti differentemente in Italia. Il titolo in questo caso è Esiste davvero? un’espressione meno creativa e piuttosto semplice rispetto a quella realizzata per il mercato britannico, come si può vedere dall’esempio. Il claim che recita Philadelphia con Milka. Esiste davvero? si basa sullo stesso concetto di stupore e incredulità mostrato nella versione britannica. Nello spot televisivo si vede uno yeti avvicinarsi a una casa dove dei bambini stanno facendo merenda con il nuovo Philadelphia con Milka, sono così impegnati a gustare la loro fetta di pane da non interessarsi minimamente alla creatura alle loro spalle (Figura 17). L’utilizzo della famiglia e di persone comuni, non famose, riflettono il collettivismo delle cultura italiana. Figura 18: Pubblicità Philadelphia con Milka, Italia Dunque, se l’effetto di stupore è un punto di comunanza tra le due campagne, un punto di divergenza rilevante è il target cui la campagna si riferisce. Per il mercato britannico non è evidente un target specifico: non ci sono immagini di persone nella pubblicità a stampa, il linguaggio è informale ma non marcato. Al 61 contrario la campagna pubblicitaria italiana è immediatamente associata a un target giovanissimo, di bambini. L’adattamento culturale è inoltre ben riconoscibile nell’adattamento di prodotto, strettamente legato alla cultura nazionale: nel mercato italiano è commercializzata Philadelphia con Milka, in quello britannico Philadelphia con Cadbury. THINK GLOBAL, ACT LOCAL Finora sono stati analizzati numerosi esempi di campagne pubblicitarie che esemplificano le strategie della standardizzazione e dell’adattamento. Ora si propone un’analisi della comunicazione pubblicitaria di alcuni marchi che, oltre alle celebri campagne in lingua inglese hanno saputo adattare il loro format a livello locale. BARILLA Barilla (Figura 18), nata nel 1877, rappresenta uno dei principali leader mondiali nella produzione della pasta infatti, essa oggi è presente in oltre 125 paesi. Per diventare internazionale l’azienda ha compreso che era necessario adottare un approccio più strategico, cambiare il modo in cui affrontare i mercati, comprendere quale fosse la modalità adeguata per entrarvi e inoltre capire quanto adattare i prodotti ai gusti locali. Una strategia multinazionale richiede difatti risposte differenziate alle pressioni di adattamento locale. Tuttavia, in tutti i mercati in cui è presente, l’azienda offre lo stesso prodotto. Barilla ha infatti preferito esportare la cultura della pasta authentic italian, implementando, nei paesi in cui è presente, una strategia di valorizzazione della gastronomia italiana. Grazie alle efficaci politiche promozionali, la pasta Barilla è riuscita ad affermarsi come prodotto di qualità e “genuinamente italiano”. La Francia è il Paese europeo in cui il marchio gode della maggiore notorietà e dell’immagine più elevata sia in termini di qualità percepita, sia di posizionamento di 62 prezzo; in Giappone, Paese caratterizzato da un’elevatissima attenzione alla qualità, Barilla è leader nel segmento della ristorazione. Il posizionamento è invece controverso per quanto riguarda gli Stati Uniti: da un lato compete nei supermercati con la fascia bassa della pasta americana, dall’altro sta conquistando una fetta sempre maggiore nella fascia premium del mercato. Significative sono inoltre la leadership a Hong Kong ed il secondo posto sul mercato australiano; affermata la propria presenza anche in Brasile, nella penisola iberica, in Olanda e in Belgio, i mercati con le più importanti prospettive di crescita per l’azienda sono ora l’India e la Cina. Per la realizzazione degli spot, Barilla si affida ad agenzie pubblicitarie locali, con le quali lavora fianco a fianco. Questo approccio consente da una parte l’adattamento delle pubblicità alle specificità locali, dall’altro il mantenimento di un marchio e di un’immagine coerenti a livello sovranazionale. Le pubblicità mandate in onda risultano dunque differenti di paese in paese, pur avendo degli elementi in comune. Emblematico di questo approccio glocal è il confronto tra gli spot che spianarono la strada alla conquista dei mercati europei da parte di Barilla, nella prima metà degli anni Novanta. La strategia è stata quella di scegliere registi e testimonial d’eccezione, in grado di condurre la marca nel “paradiso affettivo” dei consumatori.55 Nonostante le vicende messe in scena siano completamente differenti, l’origine italiana viene costantemente richiamata sia con gli slogan (anch’essi scelti a livello locale), sia con elementi secondari. M. Lombardi, Il dolce tuono. Marca e pubblicità nel terzo millennio, Franco Angeli, Milano, 2000, parte prima. 55 63 Figura 18: Appeal italiano, pasta Barilla FERRERO Il processo di internazionalizzazione intrapreso dall’azienda Ferrero, attiva nel settore dolciario, ha avuto inizio nel 1956, con una politica di marketing volta, in un primo tempo, all’espansione verso i mercati europei e particolarmente verso i paesi della regione centro-settentrionale del continente, dove il clima freddo favoriva il consumo di cioccolata. La filosofia di Ferrero prevede una segmentazione del marchio: in base al settore produttivo (praline, merendine, creme spalmabili, ecc.), vengono attuate iniziative di comunicazione autonome commisurate alle esigenze dei singoli mercati e dei loro consumatori. Un caso esemplare è rappresentato dalla Supercrema che, in quanto prodotto di punta del gruppo Ferrero, doveva assumere le caratteristiche di un brand che parlasse una lingua universale. A tal fine, nel 1964, è stato creato il nome Nutella su una base inglese nut (“nocciola”), completata dal suffisso diminutivo italiano –ella, che conferisce al termine una coloritura affettiva.56 È interessante, a questo punto, passare in rassegna le tecniche di glocalizzazione adottate sui mercati esteri per promuovere il marchio Nutella Il marchionimo Nutella dà origine a una serie di derivati: nel 1999 si inaugura al Motor Show di Bologna la prima Nutelleria; nel 2003, nasce sul web una comunità virtuale di nutellari (www.mynutella.it). 56 64 divenuto, al pari della pizza e degli spaghetti, uno degli alimenti più rappresentativi dell’italianità nel mondo. L’analisi comparativa di alcune campagne pubblicitarie diffuse dai siti internazionali Ferrero (Ferrero Francia, Ferrero Germania, Ferrero Australia) rivela una sensibile variazione nelle modalità di campagna pubblicitaria, a seconda del posizionamento del prodotto nell’ambito degli specifici paesi di esportazione. Nel contesto italiano si pone l’accento più che sul suo apporto nutritivo, sui suoi valori emozionali per insaldare il legame tra il consumatore e il “mondo Nutella”. Il claim ideato nel 1984 dal creativo Fulvio Nardi Che mondo sarebbe senza Nutella, sintetizza efficacemente questa strategia comunicativa (Figura 19). Al contrario, sui mercati stranieri, la campagna pubblicitaria di Nutella, assume un tono più informativo e la funzione referenziale prevale su quella emotiva. In Germania, ad esempio, si tende a sottolineare il valore nutritivo del prodotto che viene presentato come un alimento indispensabile per affrontare una giornata operosa. Non a caso, nel sito www.nutella.it sono ritratti campioni della nazionale di calcio che, prima degli allenamenti, fanno una ricca colazione a base di Nutella. Anche nella campagna pubblicitaria francese si tende a mettere in evidenza, come benefit principale del prodotto, il suo valore nutritivo: appare emblematico il titolo della campagna televisiva Une vie d’energie.57 57 M. R. Capozzi, OP. CIT., pp. 126-128. 65 Figura 19: Campagna pubblicitaria Nutella (Ferrero) MARS INC. Un ulteriore e recente esempio di strategia glocale è quella commissionata per lo snack Mars della Incorporated e Masterfoods Corporation, marchio alimentare che opera a livello globale esportando verso i mercati di oltre cento paesi in cinque continenti. La campagna è stata diffusa a Napoli nei giorni precedenti la festa dell’Epifania nel 2004/2005 (Figure 21-22). Gli elementi di glocalizzazione sono rappresentati innanzitutto dal mezzo scelto, il manifesto, la cui fondamentale prerogativa è quella di essere capillarmente presente e facilmente fruibile a livello locale. A ciò si aggiunge la scelta dell’occasione comunicativa: la “Befana”, una festa tradizionale italiana, amata nell’Italia meridionale e a Napoli in special modo. Per catturare immediatamente l’attenzione e mantenere una forte relazione emotiva tra il marchio e il pubblico, il testo del messaggio è formulato in dialetto napoletano, conseguendo così un “effettosorpresa”, visto che il pubblico è abituato a vedere Mars come un prodotto del “mercato globale”, reclamizzato in inglese o, al limite, in italiano. I temi del messaggio si adeguano alle scelte del codice facendosi giocose e confidenziali; i testi 66 sono costruiti come rielaborazioni scherzose, di proverbi e modi di dire che appartengono alla saggezza popolare napoletana Figura 20: Campagna pubblicitaria glocalizzata Mars 2004/2005 Figura 21: Campagna pubblicitaria glocalizzata Mars 2004/2005 67 Attraverso modalità comunicative appropriate, dunque, con una campagna di questo tipo, un marchio straniero e internazionale si presenta ad una comunità locale come elemento nuovo che non intende deridere, né usurpare il ruolo della tradizione, ma che al contrario, si propone come arricchimento e prosecuzione di essa.58 58 M. R. Capozzi, OP. CIT., p. 122. 68 CONCLUSIONI «Le aziende sono come le persone: diverse per carattere, attitudini, fortuna, stile. Ciascuna esprime se stessa attraverso le cose che produce: è un discorso fatto di merci. Ma ciascuna esprime se stessa anche scegliendo uno specifico modo di discorrere. Questo modo, anzi, modi di discorrere sono in parte pubblicità. » (Testa, 2000) Il presente elaborato è stato un percorso nell’affascinante e complesso mondo della pubblicità del quale si sono analizzati numerosi aspetti interessanti e degni di approfondimento: dalla creatività e persuasività del suo linguaggio, alla sua evoluzione storico-sociale, all’influenza culturale con la quale deve necessariamente scontrarsi sino alla sua fondamentale importanza in questa nuova era globalizzata. La pubblicità risulta quindi il mezzo più efficace per coinvolgere un pubblico sempre più ampio e internazionale. A tal proposito, risulta evidente che per penetrare in maniera efficace un mercato straniero, la decisione di tradurre/adattare o meno un messaggio pubblicitario diventa strategico da un punto di vista di marketing. Se per molti decenni quello delle campagne pubblicitarie internazionali è stato un settore trascurato dai linguisti, oggi è invece oggetto di sempre maggiore interesse. La traduzione sta acquisendo una posizione primaria nell’ambito delle strategie di marketing internazionale e viene quindi considerato uno strumento di lavoro necessario per una vincente comunicazione tra diverse culture. Di fatto, non considerare il contesto socio-culturale può creare spiacevoli malintesi, scarsa comprensibilità e, perfino, un fallimento della commercializzazione all’estero. Consapevoli di tali possibili problematiche, il ricorso alla localizzazione, rispetto alla standardizzazione (seppur sia sempre acclamata) sta progressivamente guadagnando terreno. 69 Il traduttore in questo ambito è, pertanto, una figura professionale che non deve essere sottovalutata. La sua importanza è rilevante giacché da lui dipende la riuscita della campagna. Egli deve essere in grado di emozionare il pubblico trovando soluzioni che funzionino nella lingua di arrivo e non tradurre alla lettera il messaggio originale: la traduzione fedele non esiste, i testi pubblicitari non devono essere tradotti, devono essere scritti. La pubblicità non è fatta di parole ma di cultura. 70 SEZIONE LINGUA II 71 INTRODUCTION «Advertisement is the flower of contemporary life; it is an assertion of optimism and cheerfulness; it entertains the eye and the spirit. It is the most cordial manifestation of the vitality of today's men, of their power, puerility, gift of invention and imagination; it is the most beautiful success of their will to modernize the world in all its aspects and fields […] » (Maximilien 1959) Communication has become an increasing priority and necessity in the contemporary globalized world: information and its transmission are at the base of all societies, as well as today’s modern economy. Consistently with the course of my studies, the present work is the final step of a comparative analysis between translation and an aspect of global communication: advertising. In these pages, I will try to find a point of union between the elements mentioned above and today’s society, in order to show their inextricable connection and interrelationship. Communication is a complex system and it has several factors determining its success or failure; language manuals (Austin, 1974; Chomsky, 1989; Grice, 1975; Jakobson, 1966; Saussure, 1916; Halliday, 1973; Searle, 1973) are full of theories and models for proper effective communication. They declare that, in any communicative act, the context, made of rules and specific conventions, is a critical component in deciphering the meaning of exchanged messages. As long as a message is transmitted in a society that knows and agrees with these rules, there should be no problems for a correct and comprehensive understanding. However, when that same message has to be conveyed in a different society, everything becomes complicated because each nation has built its own rules and social manners. It is customary to believe that simply translating from one language to another is sufficient to understand intercultural communication; in reality, what happens is simply an exchange between linguistic codes, what is commonly called inter- 73 linguistic translation. This type of translation is not enough to ensure effective communication and success. In fact, companies that communicate with consumers from different cultures should not only be able to transmit information, but they should also be able to talk about themselves, convey more profound and subtle values about their brand and the world which revolves around them. Apple does not just sell electronic items, but true innovations (Think Different); Nokia does not just promote itself as a telephone company, but as one that can unite people (Connecting People); Benetton does not sell only clothes, but a different way of conceiving coexistence among people (United Colors of Benetton). It is well understood that the advertisements that are required to create the company have to be extremely sophisticated and refined, as well as consistent and specific to each culture. The aim of this dissertation is to study and to delve into the communication strategies of various multinationals and their approach to markets abroad, identifying the role of translation as part of their international advertising campaigns and demonstrating the impossibility of translating the same message into other languages without taking into account the country, the culture and the consumer society. In more detail, this dissertation consists of four chapters of which the first three constitute the theoretical system to analyse the examples discussed in the final one. Chapter one is a general introduction with the aim of underlining the boundaries within which this study moves and analysing the definition, structure and sociological aspects of this phenomenon. Chapter two is the core of the work, it describes the evolution of advertising in the global era, taking into account the important strategies adopted by international companies that are: standardization, adaptation and localization. Chapter three explores the world of advertising translation, its main features, the translation difficulties and the strategies adopted in different countries, focusing on the difference between mere translation and adaptation. It analyses the profession of advertising translators-adapters and the linguistic and cultural skills and tools that they should have to properly perform their job. 74 Finally, the last chapter delineates case histories in order to exemplify the approach to advertising at international level and the strategies adopted by each company to better meet the needs of the market. 75 CHAPTER I COMMUNICATION IN ADVERTISING 1.1. Advertising: definition and analysis of the phenomenon "Advertising in our world now exceeds art and fashion not only for its development and its number of channels and the media, but also for its rapid expansion. […] advertising has become more mobile, more capricious and more able to follow the subtle nuances of the collective mood, continuously influenced by waves of a constant and seemingly unstoppable change. If an artistic movement can last a few years and a fashion season lasts for one season only, the life of a commercial, a campaign of billboards or newspaper ads is measured in weeks, if not days. These are very intense weeks in which the same message is hammered thousands of times on television broadcasts, stands all over the walls of the cities, can be heard on the radio and fills the pages of newspapers. It can’t be missed. (Ugo Volli, 2003)59 The advertising phenomenon has long been at the center of studies of numerous disciplines: from rhetoric to semiotics, history, economics, psychology and anthropology. It is a complex concept and for that reason, it is difficult to establish a specific function. The term “advertise” is the verb form of the English word “advertising”. It has its origin in a classical Latin word “advertere”, made of “ad” and “vertere” where ad means “to or toward”, and vertere means, “to turn”. Thus, the word together means “to turn (one's attention) to or towards (something)”. The English word “advertise” is also linked to the Old French word “advertir”, which means “to (take) notice (of something).”60 59 60 N.d.T. www.etymonline.com. 77 Today, the Encyclopaedia Britannica defines advertising as “The techniques and practices used to bring products, services, opinions, or causes to public notice for persuading the public to respond in a certain way toward what is advertised”.61 However, in recent decades, the term has acquired very different roles, depending on the target to which the advertising is addressed and what function it is assigned. Very often, we think of advertising as a commercial announcement and actually most of the advertising investments are intended precisely for such purposes but, in reality, it could have other purposes. Firstly, it is possible to distinguish between commercial advertising, used to generate revenue, and non-commercial or social advertising, promoted by governments to touch on important issues (such as drug abuse and alcohol) and educate consumers. Therefore, the concept of advertising seems very simple but it is rather complex. Praised and scorned, justified and accused over the years, advertising, like it or not, is now an integral part of our lives. We can find it on television, on the radio, in newspapers, on the web, at the cinema, on buses and on billboards in the streets. Every day in our world, we are inundated with advertising messages. It may not be the true art of our time, but certainly advertising is one of the main engines of the economy and has a great power that affects all means of mass communication. […] Advertising is therefore the tank from which we draw our way of looking at things, to discover beauty, to have fun"62. Advertising has evolved, it has adapted to the needs of our time, it has been modeled with respect to the means by which it has been conveyed, it has been at the forefront of a culture, of ways of living and of conceiving things. It has become so much more than a photograph in a newspaper or a video on television. It has been elevated to a privileged instrument of communication, not only commercial but also political and social. Thanks to several studies by distinguished scholars and linguists, it is possible to understand that advertising has become the most persuasive of all communication 61 62 www.britannica.com. U. Volli, La semiotica della pubblicità, GLF Editori La Terza, Roma, 2003, introduction. N.d.T. 78 tools. It is based mainly on language and images; for this reason, it is used mainly in the markets for consumer goods. This is why decisions about advertising have become influenced mainly by cultural differences in various countries. Consumers respond to advertising stimuli according to their own culture, their own value system and their own perception. Given that the function of advertising is to communicate the ability of a product to the consumer and to satisfy their need or desire, to be effective its features must necessarily coincide with the cultural context to which the consumers themselves belong. Culture primarily affects the effectiveness of the style of communication used. For instance, it was noted that in countries such as Canada and Sweden, in which the majority of consumers have a high level of education, communication mainly adopts an information style (advertisements abound with technical content). In contrast, in countries like Turkey, where much of the population has a very low level of education, persuasion and slogans play a central role. Furthermore, in Western Europe, alcohol advertising has been banned in Austria, Denmark, Finland, France, Norway and Switzerland; it is subject to legal restrictions in Ireland, Italy, Luxembourg, Portugal and Spain; it is voluntarily limited in Germany and Holland and is allowed without restrictions in Belgium and Greece. In addition, the cultural context influences purchasers’ attitudes to advertising. There are areas, such as France and the countries of Northern Europe, where there is a real "publiphobia", a rejection of all forms of advertising; this fear is due to the negative effects that publicity has been able to exercise, for example, excessive stimulation of needs and therefore the encouragement of consumerism. Where this phobia is more widespread, governments attempt to subject advertising to the strictest regimes. This regulation of advertising is one of the major influences that the environment to which customers belong exercises over the definition of political advertising. The regulations assume significant differences from country to country, as regards the use of language and images, misleading and comparative advertising, the limits on the frequency and quantity of television messages and the advertising of certain goods and services. 79 1.2. Structure and functions of the advertisement Once the objectives of the promotion have been defined, the communications manager must create and develop an effective message. The message should attract the interest of consumers, capture their attention and stimulate their desire to purchase. This dynamic model is known as the "AIDA" (Attention, Interest, Desire, Action) acronym that is considered the basis of advertising messages (Figure 1). The AIDA concept, created by Elmo Lewis 63 in 1898 while studying the advertising process at behavioral level, is one of the first models designed to implement an advertising campaign by analyzing the four stages consumers go through which could persuade them to buy a particular product: • Attention: Attracting the consumer's attention • Interest: Raising the consumer’s interest by focusing on and demonstrating the benefits and advantages of the product (instead of showing its features, as in traditional advertising) •Desire: Convincing the customer that they want the product or the service and that this will meet their needs • Action: Making consumers take action and buy the product. E. St. Elmo Lewis (1872-1948) was a successful advertising pioneer and founder of the AIDA model. He wrote and spoke prolifically about the opportunities of advertising to inform the public. Lewis was a well-known phenomenon in the advertising world and he was posthumously inducted in the Advertising Hall of Fame in 1951. 63 80 Figure 1: AIDA model graphic The AIDA model continued to be a point of reference and inspired many tests carried out to control the effectiveness of ads. Today, Lewis’s model is considered too simple and rather naive, especially when it comes to the last point, action, because nowadays an advertisement may evoke desire or convince the consumer that the product is a valid and desirable solution, thus stimulating the propensity to buy, but it certainly will lead to a direct purchase. In 1940, a variation of the AIDA model was adopted by advertising agencies. Rosser Reeves64 of Ted Bates & Company created the USP formula (Unique Selling Proposition), one of the best suggestions in the world of advertising. This formula uses the concept of the power of conviction and persuasion of the ad, based on the sale argument used. It tries to identify a unique feature of the product and connects it to the minds of customers through the brand name. The USP formula is based on the national idea of the human personality, which is induced to search for a concrete benefit when purchasing products. Advertising must therefore look for a unique message that offers benefits to the consumer and R. Reeves (1910-1984) was an American advertising executive and pioneer of television advertising. Ads were focused around what he called the USP, the one reason the product needed to be bought or was better than its competitors. These often took the form of slogans; Reeves oversaw the introduction of dozens of slogans, some which still exist to this day, such as M&M's "Melts in your mouth, not in your hand." 64 81 base it on concrete features. The three peculiarities of this unique message, for those who follow this model, are: • It has to contain a promise that is easy to remember. • The message has to incorporate a unique concept regarding the quality of the product or a topic according to which they should not use other similar products. • The message has to be based on a convincing and believable reason. This formula is still used today, not only in advertising, but in political ads as well. The advertising language is characterized by an abundance of variations because it is, or should be, understood by most buyers. There is a definite pattern that advertising agencies should always keep in mind, a structure consisting of welldefined elements that perform specific functions, such as: • The headline, the title of the ad. An advertising headline is designed to be the first copy the potential customer reads. Bold, large font size and various colors are some of the methods used to make the headline stand out from copy.65 • The visual that is the main image/picture, which consists of a setting, props and person.66 • The body, the advertising message, which is often divided into various sections under subheads. • The packshot, namely the image of the product itself. • The logo, which is the name of the firm/manufacturer. • The payoff, which is the conclusive sentence that communicates the brand's identity. Clearly, each component has a different function. For example, the visual and the headline are meant to draw readers’ attention, giving them something unexpected, interesting and pleasing. The body-copy explains and develops what is 65 www.advertising.about.com. The setting can be either interior or exterior, and in both instances, it can be familiar and real, nostalgic and/or imaginary, fantastic or exotic. Within the setting, the props can be functional (when the object is part of the scene); functional and metaphorical (when the object is part of the scene but also has other meanings); or metaphorical (when the object simply creates a particular association and suggests further meanings). 66 82 presented in the headline and the visual, in an attempt to be credible and convincing. The packshot, the logo and the payoff all “put a signature” to the advert and solicit a response on the part of the potential buyer.67 However, they are all important and they have to be co-present in every message. The advertisement, as an act of communication, presents all six elements that the linguist Roman Jakobson68 has outlined as factors necessary for communication to occur, namely: • Sender: the one who sends the message. • Message: the information that you want to communicate. • Receiver: the one who receives the message. • Context: the situation in which the message is delivered. • Code: a system of signals shared by the sender and receiver that allows them to encode and decode messages; • Channel: the instrument that allows the message to move from sender to receiver. Verbal channels include face-to-face meetings and telephone and videoconferencing; while written channels include letters, emails, memos and reports. Jakobson associated a specific function to each of the components of the communicative act, a pattern that can be very useful for understanding the mechanisms of advertising discourse (Figure 2). His best-known theory - that of the six communicative functions associated with the dimension of the communication processes - puts forward the division of the functions of language in: • The referential function (attention is focused on the context- The Earth is round). • The expressive function (attention is focused on the issuer- Yuck!) M. Canepari, An Introduction to Discourse Analysis and Translation Studies, EDUCatt, Milano, p. 215. 68 R. Jakobson (1896-1982) a Russian linguist and semiologist, considered one of the main initiators of the school of formalism and structuralism. He was the first to study and elaborate the theory of linguistic communication. 67 83 • The phatic function (to establish, maintain or break contact with another person- Hello?). • The conative function (the focus is on the destination- Come here). • The poetic function (affects the structure of the communicative act- Smurf). • The metalingual function (used by the language to reflect on language itselfWhat do you mean by “krill”?). Advertising can be analyzed by applying this classification to ads because it covers all the functions of language, which are more or less frequently used. Each advertisement potentially contains at least all communication factors and it includes all its functions, as Jakobson declared. Obviously all six functions can coexist in a single message; in the greater part of everyday language (as well as in aesthetic messages) they are constantly interrelating and overlapping, although one of the functions usually predominates, thereby characterizing the message69. Figure 2: graphic of Roman Jakobson’s theory 69 U. Eco, A Theory of Semiotics, Indiana University Press, USA, 1976, p. 262. 84 The expressive function of language is certainly one of the most common in the language of publicity; it applies to the ability that all issuers have to express themselves, their emotions, their feelings and their identity in the message. In fact, even though advertising was born with purely informative functions, over time it began giving more space to the persuasive function of its nature, increasingly resorting to emotional factors. Therefore, it is not rare to find emotional elements in ads, rather than informative ones, that persuade us to choose a specific product and show us role models to follow. In this regard, we should not forget the hype that surrounded Procter & Gamble (Figure 3) in 2012 during the London Olympics, which created an exciting video showing how behind every athlete there is love and an encouraging mother. Thank you Mom was the name of the initiative carried out by the US company on its YouTube channel, which showed four mothers in four different cities of the planet (London, Rio de Janeiro, Los Angeles, Beijing) accompanying their children to Olympic success. The video was viewed many times online and touched thousands of people; the amazement, wonder and emotions evoked by this commercial were all imprinted in our hearts. Figure 3: Hype of Procter & Gamble 2012 85 We can therefore conclude by arguing that there is no prevalent function in advertising message, even though it is clear that the only function always present is the conative one that persuades the consumer to purchase or use a product or a service. There is no purely phatic communication, or purely referential or poetic communication. In order to effectively achieve one of these purposes, the other ones must also be pursued. The functions of language can then be present simultaneously and manifest themselves at all levels of communication. 86 CHAPTER II GLOBAL ADVERTISING 2.1. Advertising in the global era «Today, after more than a century of electric technology, we have extended our central nervous system itself in a global embrace, abolishing both space and time as far as our planet is concerned. » (Marshall McLuhan, 1964) After introducing the phenomenon, this dissertation will now move on to the central theme of the study, namely the transnational approach to advertising in the global era and the role of the translator in this new reality. Firstly, it will contextualize the advertising phenomenon in this modern era of globalization, and then identify the communication strategies that a company has necessarily to put in place, in order to be competitive in the international market. With the famous and revolutionary expression “global village”, in 1964 Marshall McLuhan70 fundamentally changed how everyone has thought about media, technology and communications ever since; he radically changed the way of understanding the world and international relations. In fact, the twentieth century was characterized by the internationalization of productive activities and trade, which led to an inexorable socio-economic evolution. This evolution is known as globalization, a term coined in 1981 by Theodore Levitt71 to denote a situation in M. McLuhan (1911-1980) was the first person to popularize the concept of a “global village” and to consider its social effects. His insights were revolutionary at the time. McLuhan chose the insightful phrase "global village" to highlight his observation that an electronic nervous system (the media) was rapidly integrating the Planet, events in one part of the world could be experienced from other parts in real-time, which is what human experience was like when we lived in small villages. McLuhan's second best known insight is summarized in the expression "the medium is the message", which means that the qualities of a medium have as much effect as the information it transmits. 70 T. Levitt (1925-2006), a former professor at the Harvard Business School credited with coining the term "globalization" and with championing the undervalued role of marketing in defining what businesses should make and sell. 71 87 which available goods and services, or social and cultural influences, gradually become similar in all parts of the world72. Globalization has brought down physical and mental borders between countries and led to the creation of McLuhan’s oxymoron: a planet the size of a village, which is considered the home of all nations and people living interdependently73. McLuhan’s new theory was interpreted and read as a prophecy by multinationals. They considered it as a great opportunity to go international and sell their products abroad. 2.2. Business communication strategies: standardization, adaptation, globalization In this new era of globalization, multinationals operating on a global scale have faced the problem of how to communicate with consumers in different languages, habits, customs and traditions. Usually a company that operates at more than one of these levels may use three different types of strategies that are standardization, adaptation and globalization. The standardization of international advertising strategies is defined as utilizing the same, or common, advertising messages on an international basis, since the worldwide marketplace has become increasingly homogeneous. To standardize means to offer the same product all over the world through the same distribution channels, at the same price, using the same promotional methods. The rationale behind this position is that purchasers in different countries or areas share the same, or very similar, wants and needs; therefore, they can be persuaded by universal advertising appeals. Such an international advertising strategy may result in saving substantial time and media and production costs, because a multinational company only needs to develop a common advertising campaign across world markets. On the other hand, a failure might seriously damage the image of the brand globally. Often, companies prefer to make their brands more familiar by using an alternative strategy to standardization i.e. adaptation. This international advertising 72 73 dictionary.cambridge.org. dictionary.reference.com. 88 strategy suggests that each market has to be considered, for the most part, as a distinctly separate unit and adaptations must be made accordingly due to differences in culture, economic status, legal conditions, and foreign market media. 74 An adaptation strategy is particularly important for companies that export their products because it ensures that the product meets local cultural and regulatory requirements. As claimed by Simon Anholt75, translating advertising copy is like painting the tip of an iceberg and hoping the whole thing will turn red: what makes copy work is not the words themselves, but subtle combination of those words, and most of all the echoes and repercussion of those words within the mind of the reader. The linguistic aspect is only the outward and visible message to which cultural elements that are impossible to overlook must be added in order to avoid errors and sensational misunderstandings. Of course, there is more to the matter than just culture and style: advertising is intimately linked to social fabric, laws, advertising conventions, buying habits, the mentality of a people and, above all, the constantly evolving political-legal system: • Italy, France and the United Kingdom have banned the advertising of cigarettes and tobacco. • In Germany, military toys are not advertised because they recall the tragic experience of World War II. • In Sweden and Austria, children cannot be used in advertising. • There is a series of taboos regarding the body and clothing in Asian countries: long hair, baseball caps worn backwards and blue jeans are considered a symbol of corruption. Women must always be completely covered, including their heads, while men must not show their “bare-chests” and food must not be touched by the left hand. The fundamental importance of all these components ensures that the adaption practice becomes a necessity rather than a possibility and/or option. E. E. Pratt, Building export sales-advertising in modern international commerce, Allyn and Bacon, New York, 1956, p.172. 75 S. Anholt is the founder and Chairman of World Writers Ltd., an advertising consultancy that provides international creative and strategic services to other advertising agencies as well as directly to clients such as DuPont, Time-Warner, Sara Lee, Sony Corporation and IBM. 74 89 The company that opts for standardization focuses on the similarities between consumers while those who choose the path of adaptation pay more attention to the differences between customers. However, some multinationals prefer to associate the two above-mentioned strategies, which gives rise to glocalization. This is the practice of conducting business according to both local and global considerations (Think Global, Act Local). For example, the Italian yoghurt Danone (Vitasnella) is known as Taillefine in France, Finewaist in England, and Vitalinea in Spain. Another example is that of McDonalds, one of the biggest fast food chains in the world. Like many other famous companies, it became aware of the ineffectiveness of a standardized approach and, for this reason, it has adapted its menus to local tastes. 2.3. The use of language in advertising The use of foreign languages in advertising has been a widespread phenomenon for a long time now. The presence of multilingual advertising is one of the major trends of contemporary advertising; in this context, English becomes a reference model and it takes a leading role with respect to the individual national languages. Many companies choose English as the exclusive language of their campaigns, just to promote a new bilingual and cosmopolitan identity. In globalized areas, prestigious international brands, which are aimed at consumers of different geographical contexts, use the same slogan. Nokia. Connecting People (Nokia) No Martini, no Party (Martini& Rossi) Don’t touch my Breil (Breil) Pupa. Non conventional Beauty (Pupa) You can. Canon (Canon Inc.) Sony. Make. Believe (Sony) 90 The weakest point of this approach is the overestimation of the world’s level of knowledge of the English language. Millions of people all over the world speak English but their real level of competence is very variable and their level of understanding is generally poor, which can result in misunderstandings and misinterpretations. However, English is not the only language used; we can to find expressions in Spanish, German and French. The Spanish language is normally used to evoke a lifestyle of fun and the joy of life, examples are: Seat. Auto emoción (Seat) Desigual. La vida es chula (Desigual) José: Pedro, ¡esto es Estathé! Pedro: Seguro, ¡es Estathé! (Ferrero) No hay nada come el Havana (Havana Club) El ron más bebido en los peores bares de Caracas (Pampero) Less present in advertising campaigns is German, used mainly as a reminder of the country of origin and in particular the German automobile industry, like: Volkswagen. Das Auto (Volkswagen AG.) Opel. Wir leben Autos (Adam Opel AG.) The most common is French, which is traditionally associated with charm and sophistication. The fields of fashion and cosmetics are especially rich in French style and phrases such as parfum, maquillage, couture: J’Adore. Le nouveau parfum de Dior (Dior) 91 Non-European languages are extremely rare. In conclusion, it can be argued that the English language is now everywhere in advertising and will appeal to buyers worldwide, while the other European languages have functions that evoke the country in which they are spoken and the stereotypes associated with it. 92 CHAPTER III ADVERTISING TRANSLATION 3.1. Translating advertisements: a problem of approach. What is the meaning of international publicity today? Are you sure that the expression “a cup of coffee” has the same meaning everywhere? To address an advertising message to consumers of different languages, it is necessary to adapt the text according to the customs and the socio-cultural context at which it is aimed, especially in countries where the local culture is still an influential element. With globalization and the need to export a company's product into another location, it has become essential for promotional ads to be translated with the aim of localizing advertising messages, and on occasions, rewriting them. In fact, the general problem is that, even today, translations of various ads are submitted to the employees of those agencies who are academic linguists and know nothing about the art of persuasion or the science of marketing. Only in urgent cases has it prompted the intervention of a professional translator. However, in recent years, translation has gained a prominent importance as a process of communication between different cultures. It is something you do when a valuable text needs to be made comprehensible for speakers of another language. It is a process that aims above all at respecting the sanctity of that original text, so poets translate poetry and novelists translate novels, but when translating, their first duty is to preserve the integrity of the original author’s words as much as possible. But advertising, unlike literature, is a primarily functional form as it has a definite commercial purpose, which is to communicate brand values and sell products. So attempting to preserve the text that was used to achieve this function in one culture 93 defeats the point of the exercise: the point is to re-enact the functions, not to reproduce the form76. The benefits arising from translating an advertising campaign in various languages are numerous and include the real possibility of increasing profits and customers, so it is a demand that more competitive companies, sooner or later, have to face. Simon Anholt says that a faithful translation does not exist and that the advertising copy can never and should never be translated: advertising copy can only be written77. Take even the most basic of concepts: a cup of coffee. Surely you might think this can be simply translated from one language to another. A dictionary will confirm that this expression can be directly translated into its precise equivalent in any language of the planet, for example “una tazza di caff ” in Italian. What could be simpler? Nothing, except that it is not the same thing at all: “a cup of coffee”, if you are British, means a half-pint mug filled with equal quantities of lukewarm dishwater, instant coffee granules and sugar. “Una tazza di caff ” is a different thing altogether: a tiny cup with a couple of spoonfuls of espresso. It is something that Italians seldom say in normal speech and a more natural translation would be “un caff ” in other words, “a coffee”. This depends on the culture, words are just the way to say them, and fixing the language without fixing the culture is a very dangerous game to play - it is merely scratching the surface of a deep mystery.78 This chapter analyses the role and the skills of the professional advertising translator. 3.2. The advertising translator-adapter Globalization has not only led companies to completely rewrite their approach to communication, but it has also re-written the role of the translator-adapter, a very S. Anholt, Another one bites the grass. Making sense of international advertising, John Wiley & Sons, New York, 2000, p. 10 77 S. Anholt, OP.CIT, p. 8. 78 S. Anholt, OP.CIT, p. 7. 76 94 important figure in this context. Firstly, it is necessary to point out that the terms “adapter” and “translator” are, in this case, synonyms starting from the assumption that just a simple translation of the message is self-defeating in advertising. If we understand translation in the above-mentioned broad sense, no translator can really make it in the professional world by relying on verbal transfer skills alone. In each specialized field, a number of abilities, that are not necessarily linguistic in nature, are required or, at the very least, are extremely useful. No professional translator, therefore, is just a translator and the skills that one acquires in translation courses are seldom sufficient for survival when working in a highly diversified, constantly evolving market. Promotional translation is a broad category and it is impossible to list here all the non-linguistic abilities it requires. According to Ira Torresi,79some of these skills are very general and apply to all translation types, such as a familiarity with specific terminology and concepts concerning the field to which the object of promotion belongs. Agility is the ability to recognize different embedded functions and purposes in the source text, and approach them appropriately without losing sight of the overall function of the text, its coherence and cohesion. Persuasiveness is the mastery of an emotional or evocative style that helps to lure the addressee into the desired course of action. When talking about Creativity, even translation agencies specializing in the localization of advertising campaigns maintain that to ensure this quality advertising should not be translated by professional translators but by copywriters and/or creative people who are proficient in foreign languages (or who, in any case, get to revise/recreate the translations, whether at the agency or client company). A fourth quality which is perhaps less vital for freelance translators, but crucial for agencies and the company’s staff, is the knowledge of relevant laws and restrictions about advertising and publicly distributed material in the countries where the translated text will be circulated. I. Torresi teaches translation and interpreting from English into Italian at the University of Forlì. She is a researcher at the University of Bologna. She is the author and editor of several publications on advertising translation. 79 95 Finally, perhaps even more important for promotional texts than in other fields of translation, is the ability to be flexible in the relationships one has with agencies, editors and the end client. 3.3. Skills and tools of the translator After having examined some of the skills that are useful for promotional translators, we can move on to looking at some of the practical tools that can be particularly handy for them. The first and perhaps most important of these tools is the brief, which includes the following detailed information about: the purpose the intended readership/audience the channel of distribution for which the target text is intended the values and brand corporate image that should come out in the target text the product/service/institution/behaviour that is being promoted the producer/provider/promoting organization when possible, the authors of the source text if they are the end clients, and if not, the position of the end clients regarding the text. The brief is of vital importance to our target text to ensure it keeps its promotional function. At verbal level, it gives us information, which allows us to make decisions about lexis, register, and personal and social deixis too (e.g. feminine/masculine, singular/plural, degrees of social distance and respect)80. Other fundamental tools, which sometimes contain much of the information conveyed, are the visual and any other non-verbal elements that accompany the I. Torresi, Translating promotional and advertising texts, St. Jerome Publishing, Manchester, 2010, p. 10. 80 96 verbal text. Apart from pictures and photographs, which give translators significant input about the target group, the nature of a product, and the image attached to it, there are other elements, such as the typography and layout or the navigation structure of a website, which offer opportunities and pose restraints in the transcreation process. Another tool that can, and sometimes must, be used in promotional translation, but never with other types of translation, is the possibility of providing multiple versions. This is a tool and not just a waste of time and effort, for two very practical reasons: first, it is the client, not the translator, who takes responsibility for the final choice, and second, a translation with multiple versions is quite obviously better paid than a single version (assuming that the offer has been cleared with the client). It is important that all versions are valid in their own right, i.e., they comply with the brief and are freestanding, complete, and accurate. 97 CHAPTER IV CASE HISTORY After examining the world of advertising translation, its main characteristics and difficulties, now we shall analyze the strategies actually used by different brands, with a few concrete examples of product-oriented, marked-oriented and glocalized campaigns, and a series of examples taken from ads and commercials with serious translation mistakes. PRODUCT-ORIENTED LEVI’S Levi Strauss & Co. is one of the most important American clothing companies, even today, despite its many competitors. It is the brand par excellence, thanks to the quality of its products. The photo chosen (Figure 4) belongs to a global press campaign, which uses a very effective and immediate visual: a young shirtless man wearing a pair of Levi's jeans. In its strategy of standardization, Levi's uses only paralinguistic elements in order to highlight the quality of the jeans associated with an image of American manhood. Through the creation of these commercials, which consist only of music and images without any kind of linguistic reference, the agency not only overcomes the problem of multilingualism in Europe, but it also publicizes a product, which is perceived in almost all markets in the same way. This process permits the company to maintain the same image worldwide, thus confirming the fact that companies with a long history increasingly prefer brandoriented advertising. 99 Figure 4: Levi’s advertising campaign 1984 EXPO The first error we will talk about is found on the website. It is not necessary to be mother tongue to recognize the obvious mistake made recently at the Milan Expo. At the underground exits there is a notice, which invites you to buy the Expo entrance tickets, first in Italian then translated in English. Embarrassingly, the translation “buy your ticket” was.0 translated into “but your ticket”. After many people saw this notice on the web sites, it has now been changed (Figure 5). 100 Figure 5: Expo totem 2015 PARKER When an important American company, Parker Pen (Figure 6), marketed a new type of ballpoint pen in Mexico, the company searched for a literal translation of the slogan “It will not leak in your pocket and embarrass you”. It decided that the Spanish translation would have been “No te embarazera chorreandose en tu bolsillo”, which in Spanish means: “It won’t leak in your pocket and make you pregnant.” In Spanish, the verb “embarazar” means, “to make pregnant”. In these cases, there is a clear lack of verification of the translation’s compatibility to a geolinguistic market that is different from the original one. 101 Figure 6: English Parker Pen slogan MARKET-ORIENTED TUSCANY The example of an adapted campaign is that of Estee Lauder’s Tuscany perfume (Figures 7-8). Observing the pictures, we can note that the iconography has the same graphical elements in both the European and the Arab versions. The perfume bottle is at the bottom of the page, to the right; the woman protagonist of the ad is at the center of the picture and she moves while speaking; the background actors are gathered on the right side of the picture. However, the background image was adapted to the social and cultural environment of the destination country. The replacement of a typical Mediterranean street scene with a typical Italian family scene is particularly significant. The purpose of this change is to adapt the semiotic elements of the original iconography to the imagination of the consumers, particularly to Arabs, to whom the ad is targeted; this is why in the Arabic version of the advertisement, there are scenes of everyday life in cafes or on terraces that are very common in their society. 102 Figure 7: Italian version of the Tuscany campaign Figure 8: Arab version of the Tuscany campaign 103 THINK GLOBAL, ACT LOCAL We have heard a lot about globalism against localism over the years. In order to succeed globally, even the biggest multinationals must think locally. Here is the case of McDonald’s. MCDONALD’S McDonald's is one of the oldest chains of quick service restaurants in the world. This worldwide fast food chain is not only a symbol of globalization, as explained before; actually, McDonald’s is “thinking globally and acting locally”. It has progressed from national (United States of America) to multinational (opening restaurants in 121 different countries), and thus has become a global business that has established itself all over the world, working with local cultures and needs. McDonald’s adapts its products and advertising to the wants, values and traditions of the country where its restaurants are opened. The way it advertises its products differs from one country to another and this is obviously because of the differences in culture, ideals, customs, religions, and needs of local consumers. From McDonald's point of view, the Big Mac is a standard product that is sold around the world; it fits with Levitt's concept of a standardized product in a global market. In contrast, the customers’ judgments of what McDonald’s means to them can vary significantly. In other words, even as a symbol of global standardization, McDonald’s can be read differently by different people in different contexts.81 McDonald’s strategy is to listen more to local consumers and then act on it. The company strives to do this around the world. Some of its local favorites around the world include the McItaly burger in Italy, Maharaja Mac in India, the McLobster in Canada, and the Ebi Filit-O in Japan (Figure 9). 81 Tony Ma, Professional Marketing and Advertising Essays and Assignments, Tony Ma, 2014. 104 Figure 9: McDonald’s international menu items 105 CONCLUSION «Advertising is one of the most fundamental ways to sort out information. And that’s the gift of advertising - to connect with people in a human way - to make the kind of emotional connections that are at the core of story telling » (Eric Schmidt) This dissertation is a journey through the fascinating and complex world of advertising through the analysis of aspects not only interesting but worthy of indepth study, from the creativity and persuasiveness of its language to its evolution and historical, social and cultural influence and its fundamental importance in this new era of globalization. Advertising is, therefore, the most effective means of engaging an increasingly wider and more international audience. In this regard, it is apparent that to penetrate a foreign market effectively, the decision to translate/adapt an advertising message becomes strategic from a marketing point of view. Although the field of international advertising campaigns has been neglected for many decades, today it is the subject of growing interest. Translation is acquiring a leading position in the international marketing strategies area and is therefore considered as a necessary working tool for successful communication between different cultures. In fact, not taking the socio-cultural context into consideration can create unpleasant misunderstandings, poor comprehension and even marketing failure abroad. An awareness of these potential problems means that the use of localization as opposed to standardization is gradually gaining ground. Translators in this field are, consequently, professionals who should not be underestimated. Their importance is significant because the campaign’s success depends on them. They should be able to move and persuade consumers by finding solutions that work in the target language and not translate the original message literally. In advertising there is no such thing as a faithful translation, the copy cannot and should not be simply translated; it can only be re-written. Advertising is not made of words, but of culture. 107 SEZIONE LINGUA III 109 INTRODUCCIÓN «Hacer anuncios ya no significa hacer publicidad» (Un lector) Comunicar es una necesidad y una creciente prioridad en el mundo globalizado contemporáneo: la información y su transformación están a la base de cada sociedad así como de la economía moderna. Este trabajo representa el objeto final de un análisis de comparación entre la traducción y un aspecto de la comunicación a nivel global: la publicidad. Mi objetivo es buscar un punto de unión entre los elementos antedichos y nuestra sociedad y, al mismo tiempo, mostrar su inextricable conexión e interrelación. La comunicación es un sistema complejo y diversos factores determinan su éxito o su fallecimiento, los manuales de lingüística (Austin, 1974; Chomsky, 1989; Grice, 1975; Jakobson, 1966; Saussure, 1916; Halliday, 1973; Searle, 1973) están llenos de teoría y modelos para una comunicación correcta y eficaz y todos están de acuerdo en decir que, en cualquier acto comunicativo, el contexto es una componente fundamental para descifrar el significado de los mensajes. Si hablamos de contexto, nos referimos al contexto social, hecho de normas, convenciones y expectativas comunicativas, lingüísticas y conductuales. Si un mensaje se transmite en una sociedad que conoce y comparte estas normas, no existen problemas para su correcta y exhaustiva comprensión, pero cuando el mismo mensaje tiene que ser vehiculado fuera de la sociedad que lo ha generado, todo se complica, porque cada sociedad ha construido sus propias reglas y comportamientos sociales. Generalmente se cree que es suficiente traducir de un código lingüístico a otro para que se realice una comunicación intercultural, en realidad lo que se verifica es solamente un cambio entre códigos lingüísticos. Por lo tanto, es evidente que la mayoría de las empresas contemporáneas tienen que enfrentarse con dos desafíos: por un lado cumplir su función principal, o sea comunicar el mismo mensaje, por el otro relacionarlo con los medios y las modalidades propias de un determinado target y cultura. Por lo tanto, la comunicación será eficaz sólo si será coherente con los 111 mensajes lanzados y respetará las necesidades lingüísticas y culturales de la sociedad a la que se refiere. Hoy en día, este desafío se ha vuelto más complicado porque las empresas no sólo tienen que comunicar y transmitir una información, sino también tienen que hablar de sí mismas y transmitir valores más profundos. Apple no vende únicamente artículos electrónicos, sino verdaderas innovaciones (Think Different); Nokia no se promueve como la compañía que fabrica los teléfonos móviles, sino como una que es capaz de unir a la gente (Connecting People); Benetton no vende simple ropa, sino una forma diferente de concebir la convivencia entre los pueblos (United Colors of Benetton). De consecuencia, está claro que los mensajes publicitarios que las compañías crean, tienen que ser extremamente sofisticados y refinados, así como coherentes con los parámetros propios de cada cultura. Este elaborado examinará las estrategias de comunicación de diversas multinacionales y sus enfoques en mercados extranjeros, con el objetivo de identificar el papel de la traducción como parte de las campañas publicitarias internacionales, demostrando la imposibilidad de traducir el mismo mensaje sin adaptar el texto según los aspectos culturales y sociales de un determinado país. La tesis se divide en cuatro capítulos; los tres primeros constituyen la parte teórica que será útil para analizar los ejemplos descritos en el último. El capítulo uno está dedicado a establecer los presupuestos teóricos y operativos en los que se sustenta el trabajo de investigación. Describe la definición, la estructura y los aspectos sociológicos del fenómeno. El capítulo dos constituye el núcleo central de la investigación, con una particular atención a la evolución de la publicidad en la nueva era global y a las estrategias de las empresas internacionales. El capítulo tres analiza el mundo de la traducción publicitaria, sus características y dificultades y también la figura profesional del traductor-adaptador publicitario. Finalmente, el capítulo cuatro se compone de algunos ejemplos explicativos de algunas campañas publicitarias con graves errores de traducción cometidos por haber saltado la fase de adaptación del texto. 112 CAPÍTULO I LA COMUNICACIÓN PUBLICITARIA 1.1 La publicidad: definición y análisis del fenómeno “La publicidad en nuestro mundo ya supera el arte y la moda no sólo por su difusión y riqueza de medios y canales, sino que también por su velocidad. […] la publicidad ahora se ha vuelto mucho más móvil, más caprichosa o más capaz de seguir los sutiles matices del estado de ánimo colectivo, sin embargo, cubierto por olas de cambio constante y aparentemente imparable. Si un movimiento artístico dura pocos años y una temporada de la moda vive una temporada solamente, la vida de un anuncio, de una campaña de fijaciones publicitarias o de anuncios en los periódicos ahora se mide en semanas, incluso en días. Son semanas muy intensas en las que se martilla el mismo mensaje miles de veces en la televisión, se encuentra en todas las paredes, se escucha por la radio y llena las páginas de los periódicos. No se puede evitar.”82 (Ugo Volli, 2003) Desde hace mucho tiempo, el fenómeno de la publicidad interesa un gran número de disciplinas: de la retórica a la semiótica, la historia, economía, psicología y antropología. Según la Real Academia de la Lengua Española, la publicidad es la divulgación de noticias o anuncios de carácter comercial para atraer futuros clientes. Es un medio importante que con el paso de los años, se ha consolidado a través de la creación de nuevos productos y la invención y rápida difusión de la imprenta para darlos a conocer. Esta herramienta se ha ido consolidando entre las primeras prioridades para empresas que aporten recursos o servicios en el mercado global, ya 82 U. Volli, La semiotica della pubblicità, GLF Editori La Terza, Roma, 2003, introducción. N.d.T. 113 que afloran siempre nuevos conocimientos y tácticas en el sector de la comunicación y ciencias sociales83. Cada uno de nosotros conoce la publicidad y sabría dar, aunque sea con superficialidad, una definición. Nos resulta un fenómeno tan cotidiano que raramente reflexionamos sobre ella. De hecho, muchas veces se piensa en la publicidad como un simple anuncio comercial, sin embargo, ésta puede tener también otras finalidades. Por ejemplo, podemos distinguir entre publicidad comercial, destinada a la comercialización de productos o servicios y social, que toca temas importantes para la sociedad y apunta al bienestar colectivo. Se trata de un concepto que parece extremamente simple, pero en realidad es más complejo de lo que se suele imaginar y por eso está siempre en el centro de los debates de numerosos lingüistas y expertos de comunicación. Decantada y despreciada, acusada y justificada en el curso del tiempo, la publicidad, actualmente, está tan presente en nuestras vidas que forma parte de nosotros mismos, ejerce una gran influencia sobre nosotros no solamente modificando nuestros hábitos de consumo sino en nuestra manera de concebir y ver la realidad. Puede ser que no sea el verdadero arte de nuestro tiempo, pero sin duda la publicidad es uno de los principales motores de la riqueza y del poder que afecta la vida de todos, los medios de comunicación de masas. Es también el más común y el más difundido medio de comunicación. […] la publicidad es una herramienta de masas estética e ideológica, el tanque en el que nos sacamos nuestra forma de ver las cosas, de descubrir la belleza, de divertirse84. La publicidad ha ido evolucionando, se ha adaptado a las necesidades de cada época y ha estado a la vanguardia de cada cultura. Se ha convertido en mucho más que una fotografía en un periódico o un vídeo en la televisión, se ha transformado en un medio privilegiado de comunicación, no sólo comercial y político sino, sobre todo, social. Gracias a numerosos estudios, realizados por distinguidos académicos y lingüistas, 83 84 que han analizado profundamente y descrito sus principales http://www.rae.es/recursos/diccionarios/drae (Agosto 2015). U. Volli, La semiotica della pubblicità, GLF Editori La Terza, Roma, 2003, introducción. N.d.T. 114 características, se puede entender que la publicidad es el medio de comunicación más persuasivo y por lo tanto, se utiliza principalmente en el mercado de los bienes de consumo. Esta es la razón por la cual las decisiones acerca de la publicidad son las más influenciadas por las diferencias culturales de los varios países. Los consumidores responden a los estímulos publicitarios de acuerdo con su cultura y su sistema de valores. Como consecuencia, un anuncio o campaña funciona si coincide con el contexto cultural de los consumidores. La cultura incide principalmente en la eficacia del estilo comunicativo usado. Por ejemplo, en países como Canadá y Suecia, donde la mayoría de los consumidores/clientes tiene un alto nivel de educación, la comunicación adopta principalmente un estilo informativo (la publicidad está llena de contenidos técnicos). En Europa occidental la publicidad de bebidas alcohólicas está prohibida en Austria, Dinamarca, Finlandia, Francia, Noruega y Suiza, tiene restricciones en Irlanda, Italia, Luxemburgo, Portugal y España, está limitada voluntariamente en Alemania y Holanda y está consentida en Bélgica y Grecia. Además, el contexto cultural influye también en el comportamiento y en la actitud de los destinatarios con respecto a la publicidad. En zonas como Francia y los países de Europa septentrional, existe una forma de “publifobia”, un rechazo hacia cada forma de anuncio, debido a los efectos negativos de este fenómeno, como el excesivo estímulo al consumismo. Donde ésta fobia está difundida, los gobiernos suelen someter la publicidad a regímenes más estrictos. Las normativas tienen diferencias significativas de un país a otro, en cuanto al uso del lenguaje, las imágenes, los límites en la frecuencia y la calidad de los mensajes televisivos, así como la publicidad de determinados bienes y servicios. 1.2. Estructura y funciones del mensaje publicitario Definido el objetivo de la promoción, el responsable de la comunicación debe desarrollar un mensaje eficiente, que llame la atención de los destinatarios y anime a la compra. Este proceso de creación se puede resumir en el acrónimo AIDA, que se compone de las siglas de los siguientes conceptos en inglés: Atención (Attention), Interés (Interest), Deseo (Desire) y Acción (Action). 115 El modelo AIDA, ideado por Elmo Lewis85 en 1898, estudiando el proceso de publicidad a nivel del comportamiento, describe los efectos que produce de manera secuencial un mensaje publicitario y analiza las cuatro etapas por las que pasa el consumidor medio y que lo lleva a decidirse a comprar un producto en particular (Figura 1): • ATENCIÓN: atraer la atención del consumidor; • INTERÉS: aumentar el interés del consumidor, demostrando los beneficios y las ventajas del producto (en lugar de mostrar sus características, como en la publicidad tradicional); • DESEO: convencer a los clientes que quieren el producto o servicio y que eso responde a sus necesidades; • ACCIÓN: convencer a los consumidores para que actúen y compren. Figura 1: Gráfico del modelo AIDA Aunque el modelo AIDA ha sido un punto de referencia para muchos estudios, en la actualidad, se considera demasiado simple e ingenuo. De hecho, en 1940 fue adoptada por las agencias de publicidad una variación del modelo AIDA. Rosser E. St. Elmo Lewis (1872-1948) fue un importante publicitario estadounidense, fijó su atención en la importancia de las campañas publicitarias al fin de educar al público. Fue el inventor del modelo Aida, que los expertos del campo, todavía toman en consideración. 85 116 Reeves86 de Ted Bates & Company, idea la formula USP (Unique Selling Proposition – Propuesta Única de Venta), una de las mejores propuestas en el mundo de la publicidad. Esta fórmula utiliza el concepto del poder de convicción y persuasión del anuncio publicitario basado en el argumento utilizado. Trata identificar una característica única en el producto y la relaciona con la mente de los consumidores con el nombre de la marca. La publicidad, por tanto, debe encontrar un mensaje único que ofrezca beneficios a los consumidores, basado en características concretas. Las peculiaridades de este mensaje único, para los que siguen este modelo, son tres: • Debe contener una promesa clara y fácil de recordar; • La oferta debe incorporar un concepto único (que no haya competencia); • El mensaje debe basarse en una razón convincente y creíble. El mensaje lingüístico en los anuncios es un texto breve, conciso e innovador; ya que su finalidad práctica exige que sea fácil de comprender y de recordar. Lo innovador se da en el uso de un lenguaje heterogéneo con un amplio margen de libertad. Se combinan registros variados, del formal al coloquial. Existe una estructura precisa que las agencias publicitarias deben siempre considerar, una estructura hecha de elementos bien definidos con funciones específicas, como: El titular- llamado también encabezado, entrada o lead- tiene la función de estimular la atención por medio de caracteres o palabras de distintos tamaños y formas; La imagen, es una ilustración situada en la mente del consumidor por medio de palabras o gráficos que tiene la función de contextualizar o crear el entorno del mensaje; R. Reeves (1919-1984) fue un publicitario estadounidense, fundó la agencia Ted Bates en 1940. Periodista y redactor, fue él quien elaboró la “filosofía” de Bates: la proposición única de ventas, conocida como USP. Esta idea no es otra cosa que aplicar la razón a la publicidad para conseguir que venda. Algunas de las campañas de publicidad de Reeves son las de los chocolates M&M’s, M&M se disuelve en tu boca, no en tus manos, que expone claramente la promesa del producto, beneficio que ninguna otra compañía de chocolates anunciaba, lo que les daba una clara ventaja competitiva. 86 117 El texto, desarrollado en forma descriptiva, expositiva, narrativa, o bien, una combinación de todas las anteriores- es el conjunto de oraciones aseveraciones que forman el hilo conductor del mensaje y está provisto de entrada, cuerpo y cierre; El eslogan, lema o leyenda- sintetiza en una oración completa la idea principal del anuncio; El logotipo- o simplemente logo- es la versión grafica estable del nombre de marca; La frase de cierre, enunciado lingüístico final. Frase de asiento del discurso donde se sintetiza la identidad atribuida a la marca.87 El lenguaje publicitario, como acto comunicativo, presenta también todos los seis elementos que el lingüista Roman Jakobson, 88 ha delineado como factores constitutivos que lo configuran o estructuran como tal, o sea: El emisor, corresponde al que emite el mensaje; El receptor, recibe el mensaje, es el destinatario; El mensaje, es la experiencia que se recibe y transmite con la comunicación. Pero para que el mensaje llegue del emisor al receptor se necesita además de: El código lingüístico, que consiste en "un conjunto organizado de unidades y reglas de combinación propias de cada lengua natural"; El canal, que permite establecer y mantener la comunicación entre emisor y receptor.89 R. A. Figueroa Bermúde, Cómo hacer publicidad: un enfoque teórico-práctico, Pearson Educación, México, 1999, p.98. 88 R. Jakobson (1896-1982), fue un lingüista, fonólogo, y teórico literario ruso. Su obra toca simultáneamente las disciplinas de la antropología, la patología del lenguaje, la estilística, el folclore y la teoría de la información. Fue el primero que elaboró la teoría lingüística de la información, una síntesis tan operativa que ha sido muy utilizada en el curso de la historia. 89 http://aprendelenguaje.blogspot.it/2007/03/las-funciones-del-lenguaje-segn-roman.html. (Agosto 2015). 87 118 Jakobson plantea el modelo de la teoría de la comunicación. Este modelo permite establecer seis funciones esenciales del lenguaje inherentes a todo proceso de comunicación lingüística y relacionada directamente con los seis factores mencionados en el modelo anterior (Figura 2): Función emotiva: centrada en el emisor. Esta función le 1. permite al emisor la exteriorización de sus actitudes, de sus sentimientos y estados de ánimo, así como la de sus deseos, voluntades y el grado de interés o de apasionamiento con que realiza una determinada comunicación. 2. Función conativa: centrada en el receptor o destinatario. Es la función de mandato y pregunta. El emisor intenta influir en la conducta del receptor. 3. Función referencial: centrada en el contenido o “contexto” entendiendo este último “en sentido de referente y no de situación”. Es decir, cualquier cosa exterior al propio acto comunicativo. Es la función del lenguaje más evidente a primera vista. 4. Función metalingüística: centrada en el propio código de la lengua. Se utiliza para hablar del propio lenguaje, aclara el mensaje y se manifiesta en declaraciones y definiciones. 5. Función fática: centrada en el canal y trata de todos aquellos recursos que pretenden mantener la interacción. La finalidad de esta función no es principalmente informar, sino facilitar el contacto social para poder transmitir y optimizar posteriormente mensajes de mayor contenido. 6. Función poética: centrada en el mensaje. Se pone en manifiesto cuando la construcción lingüística elegida intenta producir un efecto especial en el destinatario. Sus recursos son variados, por ejemplo, las figuras estilísticas y los juegos de palabras. Esta función se encuentra especialmente, aunque no exclusivamente, en los textos literarios. 119 Figura 2: Modelo de comunicación de Roma Jakobson El mensaje publicitario puede ser analizado mediante la aplicación de esta clasificación a la publicidad, puesto que, con mayor o menor frecuencia, cubre todas las funciones del lenguaje. Cada anuncio contiene, por lo menos potencialmente, todos los factores de la comunicación, y también incluye todas las funciones como declara el mismo Jakobson: en un solo mensaje pueden coexistir todas estas funciones, y de hecho, en el lenguaje cotidiano, se producen continuas interrelaciones y superposiciones, aun en el caso de que predomine alguna de las funciones.90 Por consiguiente, se puede concluir afirmando que no hay una función principal en el discurso publicitario. No hay comunicación puramente fática o puramente referencial, poética, etcétera. Para conseguir con eficacia uno de estos U. Eco, La estructura ausente introducción a la semiótica, Penguin Random House Grupo Editorial, España, 2011, p.23. 90 120 fines, deben llevarse a cabo, en cierta medida, también los otros. Las funciones de la lengua pueden entonces estar simultáneamente presentes y manifestarse a todos los niveles. 121 CAPÍTULO II PUBLICIDAD GLOBAL 2.1. La publicidad en la era global: estrategias de las empresas « El futuro está en las marcas mundiales pero con mucho más sabor local. Porque el público va a exigir productos más locales. Lo mismo va a suceder con la publicidad. Las grandes multinacionales van a acabar teniendo una sola imagen de marca en todo el mundo, pero con guiños que faciliten la integración local. » (Miguel Duro, 2001) Después de haber presentado el fenómeno de la publicidad, pasamos ahora al tema central del presente estudio, o sea, el enfoque trasnacional de la publicidad en la era global y el nuevo papel del traductor en esta realidad. Hoy en día, hacer publicidad implica relacionarse. No consiste sólo en comunicar los beneficios o utilidades de un producto, sino establecer lazos emocionales con el público target. El concepto de globalización, 91 introducido por Theodor Levitt, 92 ha revolucionado la manera de entender las relaciones internacionales y los negocios. En 1983 con el artículo La globalización de los mercados, Levitt hizo popular este concepto, que definía como el conjunto de factores económicos, tecnológicos y sociales que permitían que las empresas multinacionales pudieran vender sus productos casi sin diferencias en diversos países. Desde entonces el fenómeno se ha La globalización es un concepto que pretende definir la realidad de nuestro planeta como un todo conectado, que se va pareciendo más a una sola sociedad, más allá de fronteras nacionales, diferencias étnicas y religiosas, ideologías políticas y condiciones socio-económicas o culturales. Ésta consiste en la ampliación de la dependencia económica, cultural y política de los países del mundo, la cual es originada por el aumento de la actividad internacional, el comercio mundial de bienes y servicios, el flujo de capitales, así como el avance de los medios de transporte, y el uso de las nuevas tecnolgías de información y comunicación. 92 T. Levitt (1925-2006) fue economista americano y profesor de la prestigiosa escuela de negocios Harvard Business School. Fue también editor de la revista económica Harvard Business Review donde publicó sus célebres artículos. Fue el primer teórico economista en acuñar el término globalización desde un punto de vista económico. 91 123 extendido progresivamente. Las empresas extienden sus brazos a mercados internacionales por las expectativas de crecimiento y expansión, pero también por una necesidad intrínseca de supervivencia. Muchas se ven obligadas a comercializar sus productos en un mercado cada vez más global. La existencia de competencia y demanda a ese nivel las lleva a enfocar sus estrategias de comercialización desde una visión internacional, porque los mercados extranjeros pueden representar una gran fuente de productos de bajo coste, tecnología y capital. Las marcas y los productos necesariamente tuvieron que empezar a comunicar con otros países y mercados con todas las dificultades que ello supone, principalmente a nivel lingüístico y cultural por no hablar de cuestiones socioeconómicas y de patrones de consumo. Al hablar de globalización e internacionalización, el concepto de mensaje publicitario denominado como un todo, cambia. Esto se debe a que productos universales o que se exportan a un gran número de países, cambian de manera que se adaptan a una cultura y a unos índices propios del país, es en este aspecto donde cobra vital importancia la traducción. Los profesionales dentro del ámbito de la publicidad se encuentran con el dilema de cómo poder exportar sus productos en un ámbito y cultura diferente y satisfacer, de igual manera, a los consumidores. La publicidad no deja de ser una estrategia de mercadotecnia, lo que pretende es vender y hacer negocio, por este motivo la traducción en muchos casos se convierte en una verdadera arma de doble filo. Los profesionales, tanto publicitarios como traductores, se encuentran con una serie de cuestiones que deben solventar como: ¿Se debe hacer una homogeneización internacional? O, por el contrario ¿La mejor técnica es adaptar el lenguaje publicitario a su cultura meta? Generalmente una multinacional puede elegir entre tres diferentes estrategias: estandarización, adaptación o globalización. Ahora tratamos de presentar, teóricamente, el estado de la cuestión, para poder comprobar si existe una clara preferencia por una estrategia u otra. 124 2.1.1. La estandarización La estandarización, o publicidad internacional, consiste en no cambiar la campaña publicitaria creada para un producto en ninguno de los ámbitos de actuación, indistintamente del país de llegada. Samuel Watson Dunn define la publicidad estandarizada como aquella que al menos mantiene una de las partes básicas de una campaña internacional, estrategia, ejecución y lenguaje.93 El objetivo principal de una campaña global es ofrecer una imagen idéntica a los consumidores de los distintos países al imponer en todos ellos un posicionamiento idéntico del producto. Es lo que ha entendido McCann Erikson al hacer de Martini un producto único que se puede beber “donde estés y a la hora que estés”.94 La aplicación de una estrategia de estandarización a la publicidad se encuentra favorecida por unas indiscutibles ventajas. Una de las mayores es seguramente la mejor rentabilidad de las inversiones en publicidad vinculadas al desarrollo, creación y producción de los medios publicitarios. Una estrategia centralizada y globalizada permite evitar la repetición de las tareas idénticas, necesarias para la ejecución de una campaña; en este mismo sentido, otra ventaja se refiere a la posibilidad de reducir el número de colaboradores agregados al servicio de la mercadotecnia y publicidad. Además de las ventajas meramente financieras señalamos que un mensaje homogéneo evita la confusión en el consumidor. Sin embargo, aunque estas ventajas en costes y psicológicas son innegables, no podemos olvidar que existen una serie de límites importantes a la implantación de un enfoque de estandarización en la publicidad. En primer lugar hemos de recordar que cada país tiene su propia idiosincrasia. Así, la publicidad en Inglaterra se supone basada en el humor, en Francia en su carácter sexy, en Alemania en la seriedad y en las ventajas del producto. En este sentido, la principal crítica que se le hace estriba en que la búsqueda de un mínimo S.W. Dunn, Effect of Nacional Identity on Multinacional Promotional Strategy in Europe, Journal of Marketing, 1996, p. 52. 93 94 R. Garcìa Cruz, Marketing Internacional, Esic Editorial, 4- ed., 2002, p. 305. 125 en común denominador puede dar lugar a mensajes mediocres de persuasión. Es decir, la búsqueda de un mensaje universal, erosiona la creatividad del mensaje. La influencia de la cultura local todavía está muy enraizada en numerosos países y una internacionalización puede conllevar numerosos riesgos. Debido a esto, la localización está ganando terreno de manera progresiva. 2.1.2. La adaptación En los últimos años la globalización de mercados ha convencido a los publicistas de la necesidad de considerar las diferencias culturales y lingüísticas entre ellos como un obstáculo para comunicar sus mensajes de forma eficaz. Por esta razón, muchas multinacionales prefieren seguir la estrategia de la adaptación. La adaptación o localización, involucra el tomar un producto y hacerlo apropiado para el país al que va dirigido. Los conceptos y las ideas transmitidas tienen sus raíces en la cultura de la que proceden, las frases creadas por una cultura no necesariamente tienen un significado igual para otra. Como declama Simon Anholt, fundador de la agencia de publicidad internacional Cave Anholt Johnson, traducir un anuncio y mantenerlo igual al original, sería como pintar de rojo la punta de un iceberg, con la esperanza de que toda la masa de hielo enrojezca: el aspecto lingüístico es sólo la parte externa y visible, a la que hay que añadir elementos culturales fundamentales.95 Es aquí donde entra en juego el traductor/adaptador que debe tener en cuenta una serie de componentes, con el fin de evitar errores y malentendidos flagrantes: Componente socio-cultural: tiene en cuenta las características principales de la sociedad meta, ya sean, las religiosas, las costumbres o las normas éticas; Componente jurídico-político: aquí se incluye el grado de apertura del país al exterior, posibles restricciones impuestas al campo de la publicidad, etc. 95 S. Anholt, Another one bites the grass: making sense of international advertising, John Wiley & Sons Inc., New York, 2000. N.d.T. 126 Así bien, el traductor aparte de traducir debe ser un mediador cultural, y debe saber apreciar las características de la sociedad meta. El hecho de que el traductor no cumpla alguno de estos factores, supondrá el fracaso de la campaña publicitaria. Por ello, a la hora de traspasar un mismo mensaje de una comunidad a otra, según el canal del que se trate, se traducirá de diferentes maneras, y se puede llegar a omitir o agregar palabras al texto, traducirlo literalmente a la lengua de llegada o simplemente cambiar completamente el texto o el eslogan y adecuarlo al estilo propio del país meta.96 2.1.3. La glocalización Sin embargo, numerosas multinacionales prefieren asociar las dos estrategias antes mencionadas, dando lugar a la famosa glocalización. De hecho, este término proviene de la fusión de las palabras: globalización y localización. Esta estrategia empresarial busca adaptar estándares globales a condiciones locales (Pensar globalmente y actuar localmente). Buen ejemplo de ello es la trasnacional McDonald’s, quien a pesar de caracterizarse por su uniformidad a nivel mundial, ha tenido que hacer pequeñas concesiones en su modelo, adaptando sus menús a los gustos locales. Por ejemplo, en ofrecer vino en sus restaurantes en Francia o cerveza en los españoles. Incluso Coca-Cola Co., siendo una empresa globalizada que ha sabido penetrar y entrar en todo mercado mundial posible, no tuvo la acogida esperada en el mercado peruano, lo que obligó a Coca-Cola a comprar acciones de Inka Cola, bebida predominante en Perú para así entrar de manera camuflada en el mercado peruano con una imagen local. 96 http://myslide.es/documents/la-traduccion-publicitaria.html. (Agosto 2015). 127 CAPÍTULO III LA TRADUCCIÓN PUBLICITARIA 3.1. Traducir publicidad: un problema de enfoque ¿Cuál es, hoy en día, el significado de publicidad internacional? ¿Están seguros, por ejemplo, de que la expresión a cup of coffee es igual en todo el mundo? Para dirigir un mensaje publicitario a consumidores de diferentes idiomas, es necesario adaptar el texto de acuerdo con las costumbres y el contexto socio-cultural del país destinatario. De hecho, el problema general es que, aún hoy, las traducciones de varios anuncios son sometidas a los empleados de las mismas agencias; lingüistas y académicos que no saben nada sobre el arte de la persuasión o la ciencia de la comercialización. Sólo en caso de urgencia, se requiere la intervención de un traductor profesional. Según Richard Welts97 las principales causas de los errores que se encuentran en los anuncios publicitarios, dependen propio de la falta de competencia del traductor. Sin embargo, en los últimos años, gracias a la globalización, la traducción está ganando importancia en el proceso de la comunicación internacional, ya que la mayoría de los profesionales se ha dado cuenta de la necesidad de adaptar los anuncios a las necesidades culturales, sociales y legales de los diversos destinatarios.98 Según Simon Anholt, lo que hace eficaz un mensaje comercial no son las palabras en sí, sino la combinación de estas palabras, que la traducción no siempre puede transmitir. Un texto publicitario no tiene sólo palabras también se basa en los aspectos culturales, lo importante es entender mejor el sentido para transmitirlo de una cultura a otra ya que los consumidores dependen fuertemente de los valores R. Welts es el fundador de una de las agencias de comunicación y la traducción publicitaria importante en los EE.UU. 98 U. Volli, La semiotica della pubblicità, GLF Editori La Terza, Roma, 2003, introducción. N.d.T. 97 129 culturales.99 Por lo tanto el traductor-adaptador tendrá que traducir ideas y funciones más que palabras. A diferencia de la literatura, la publicidad tiene un objetivo comercial específico, por tanto, preocuparse por ser fiel al texto original es un error de comunicación: el objetivo es mantener la función, no reproducir la forma. Se pueden encontrar obstáculos interculturales también cuando hay expresiones fáciles de traducir. Si tomamos, por ejemplo, las palabras inglesas a cup of coffee (una pequeña taza de café), cualquier diccionario nos confirma que vamos a encontrar el equivalente de dichas palabras en todos los idiomas. Sin embargo a cup of coffee no tiene el mismo sentido en todos los países. En Gran Bretaña se refiere a un tazón lleno de un cuarto de litro de agua caliente, café instantáneo y azúcar. De hecho, la traducción italiana “una tazza di caff ” es otra cosa: indica una taza pequeña, con una cantidad más reducida, de caffè espresso, con sabor diferente al que toman los británicos. Es importante observar también que normalmente no se suele decir una tazza di caffè en Italia, sino sólo un caffè. Por tanto, hay que escribir el texto publicitario en un idioma extranjero para crear en el público el mismo impacto del mensaje publicitario del idioma original. Estamos hablando, entonces, de un proceso creativo que crea un texto casi nuevo, donde es necesario garantizar los objetivos y la eficacia del mensaje en cada mercado. https://tradurrelimpossibileilmessaggiopubblicitario.wordpress.com/2012/06/27/la-traduccionpublicitaria-2/. (Agosto 2015). 99 130 CAPÍTULO IV CASOS PRÁCTICOS Una mala traducción, o una no traducción de un eslogan o lema publicitario puede arruinar toda una campaña de publicidad. Algunas empresas han abusado al recurrir a cierto lema que un día tuvieron un cierto éxito en un país en concreto. La traducción literal de una frase no es una idea demasiado acertada, debería buscarse una expresión equivalente que represente un mensaje similar al original, en el idioma del mercado al que va dirigido el producto. Después de haber analizado teóricamente el mundo de la traducción publicitaria, sus principales características y sus dificultades, analizaremos ahora algunos de los ejemplos más clamorosos de malas traducciones en las campañas publicitarias. AMERICA AIRLINES Para anunciar la utilización del cuero en sus asientos de primera clase, la America Airlines, tradujo en México su eslogan inglés Fly in leather literalmente convirtiéndolo en Vuela en cuero, peligrosamente próximo a “vuela desnudo” en español (Figura 3). No fue un lema muy eficaz para los pasajeros españoles, por lo que la empresa tuvo que suspender toda la campaña rápidamente. 131 Figura 3: Eslogan publicitario America Airlines en México PARKER PEN Cuando la compañía de bolígrafos Parker Pen (Figura 4) promocionó su nuevo tipo de bolígrafo en México, hizo un clamoroso error de traducción. De hecho, la sociedad tradujo el lema inglés “It won’t leak in your pocket and embarass you” con “No goteará en tu bolsillo ni te embarazará” en vez de “No goteará en tu bolsillo ni te avergonzará”. La compañía pensó que la palabra embarazar (del inglés embarrass) era equivalente a avergonzar. El resultado de la campaña fue desastroso y Parker Pen se vio obligado a retirar todas las publicaciones en las revistas y la transmisión de los comerciales en estaciones de televisión mexicanas. 132 Figura 4: Anuncio publicitario Parker Pen en México DAIRY ASSOCIATION El gran éxito de la campaña publicitaria con el lema inglés “Got Milk?” de la Dairy Association (Asociación de Productos Lácteos de los Estados Unidos) llevó a la empresa a presentarla en México también. Sin embargo, al poco tiempo del lanzamiento la asociación de lecheros de los E.E.U.U., informó que la traducción del anuncio en español ¿Tienes leche? (Figura 5) hacía referencia al período de amamantamiento de una madre. 133 Figura 5: Campaña publicitaria Diary Association en México En los tres ejemplos analizados, debido a una falta de verificación de traducción y compatibilidad del eslogan, la campaña publicitaria resultó ineficaz y hasta contraproducente.100 100 www.traduzione-localizzazione.com/servizi-webmarketing/cattive-traduzioni, N.d.T. 134 CONCLUSIÓN « […] la publicidad no solo tiene una grande fuerza económica, sino que también tiene una profunda influencia en la cultura, los valores y la calidad de vida.» (Leo Bogart, 1990) Gracias al presente análisis hemos entendido cuáles son los principales aspectos de la publicidad, sus características, su evolución social, la creatividad y fuerza persuasiva de su mensaje, así como su influencia cultural y su fundamental importancia en esta nueva era globalizada. La publicidad constituye el medio de comunicación más eficaz para llegar a un público cada vez más internacional. Por lo tanto, es evidente que, para penetrar de manera eficaz en un mercado extranjero, la decisión de traducir-adaptar un anuncio publicitario es estratégico desde un punto de vista de la mercadotecnia. Si, por muchos años, el ámbito de las campañas publicitarias ha sido un área descuidada por los lingüistas, hoy se ha convertido en objeto de gran interés. La traducción está adquiriendo una posición de liderazgo y por lo tanto se considera una herramienta de trabajo necesaria para una óptima comunicación entre diferentes culturas. Por lo tanto, el traductor es una figura que no debe ser subestimada. Su importancia es significativa, porque de él depende el éxito de la campaña. Tiene que ser capaz de mover a los consumidores, buscando soluciones que funcionen en el idioma de destino y evitando traducir literalmente el mensaje original: la traducción fiel no existe, los textos publicitarios no deben ser traducidos, sino escritos. La publicidad no está hecha de palabras, sino de cultura. 135 Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno sempre sostenuta e aiutata nella stesura della mia tesi con suggerimenti, critiche ed osservazioni. Infine, un ultimo ringraziamento va a me stessa, perché se sono arrivata a questo punto, in fondo è anche un po’ merito mio. 137 BIBLIOGRAFIA Abbruzzese A., Lessico della comunicazione, Maltemi Editore, Milano, 2003 Alon I., Jaffe E. D., Global marketing: Contemporary Theory, Practice and Cases, McGrawhill, New York, 2012 Altieri Biagi M. L., Baldini M., Il linguaggio della pubblicità: le fantaparole, Armando Editore, Milano, 1996 Anholt S., Another one bites the grass: making sense of international advertising, (luogo?), John Wiley e Sons Inc., Hoboken New Jersey, 2002 Arcangeli M., Lingua e società nell’era globale, Meltemi, Roma, 2005 Canepari M., An Introduction to Discourse Analysis and Translation Studies, EDUCatt, Milano Capozzi M. R., La comunicazione pubblicitaria. 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