L`ominazione
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L`ominazione
L’ominazione Franco Viviani Lezioni anno accademico 2008/2009 Facoltà di Psicologia, Università di Padova Il testo base da cui sono stati tratti molti capitoli è: Storia evolutiva della socializzazione umana. UNIPRESS, Padova, 2003. Per consultare le note a pié pagina, cliccarci sopra. L’ominazione Alcuni dati geologici. Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Di quando incominciò la Storia; Delle ipotesi sull’estinzione dei dinosauri; Di scienziati “catastrofisti” e “possibilisti”; Degli adattamenti subiti dai Mammiferi primitivi; Le tracce più antiche suggeriscono che gli inizi dei Primati vadano ricercate nel tardo Cretaceo/primo Paleocene. M. a. fa 0 Era Periodo Quaternario Epoca Pleistocene Eventi Evoluzione uomo Terziario Pliocene Miocene Oligocene Eocene Paleocene Radiazione dei Mammiferi Cenozoico 50 Cretaceo 100 Mesozoico Ultimi dinosauri Primi Primati Prime Angiosperme 150 Giurassico 200 Triassico 250 Permiano 300 Carbonifero 350 Paleozoico Devoniano 400 450 Siluriano Ordoviciano 500 550 600 Cambriano 700 Precambriano Ediacarano Dinosauri Primi Uccelli Primi Mammiferi Terapsidi dominanti Principale estinzione marina Pelicosauri dominanti Primi Rettili Alberi con squame Primi Anfibi Diversificazione dei Pesci con mandibola Prime piante terrestri vascolari Diversificazione esplosiva della famiglia dei Metazoi Primi Pesci Primi Cordati Primi elementi scheletrici Primi Metazoi con corpo molle Prime tracce di animali (Celomati) Tab. - I principali eventi avvenuti negli ultimi 700 m.a. negli organismi pluricellulari, dati basati sui fossili. Il Cretaceo - lo ricordo per i distratti e gli assenti nei corsi di biologia - fa parte dell'Era Mesozoica (225-65 m.a. fa: milioni di anni fa) ed è ben nota come l'era dei Rettili. Essi sono i veri "divi" dell'evoluzione: ho contato ben 30 supposizioni sulla loro scomparsa. Alcune erano indubbiamente molto ben congegnate; altre risultavano, diciamo, fantasiose (ad esempio: sviluppo di fattori psicotici portanti al suicidio; "bancarotta" dello ione Ca++ o altri elementi essenziali per la formazione delle loro ossa; fino alla carenza di spazio nell'Arca di Noè - ! -). La verità è che essi dominarono la Terra per circa 150 m.a. e poi scomparvero. Recenti ritrovamenti ossei (datati 60 m.a. fa) invalidano in parte le ipotesi emesse all'inizio degli anni '80. Secondo una di queste, un asteroide, caduto circa 66 m.a. fa, avrebbe aperto sulla Terra un cratere di circa 180 Km., la cui polvere, immessa nella stratosfera, avrebbe bloccato la luce solare per alcuni anni, portando all'estinzione i grandi Rettili, le Ammoniti, molti 1 Foraminiferi e avrebbe favorito il rimpiazzo delle Angiosperme (le piante con i fiori) al posto delle 2 Gimnosperme . Le recenti assunzioni si basavano sul fatto che materiale meteorico, quale l'iridio (molto raro sulla Terra), fu trovato in depositi del Cretaceo/Terziario in Italia, Danimarca, Nuova Zelanda e altrove. In realtà, per i paleontologi esperti in queste ere geologiche, non vi sarebbe stata un‟estinzione globale e subitanea, ma il processo sarebbe avvenuto più gradualmente a causa di regressioni marine copiose le quali, mettendo a nudo le piattaforme continentali (il luogo ove si addensa la maggior parte delle specie marine) avrebbe impoverito o interrotto talune importanti catene alimentari. Quale ne sia stata la causa, conviene riferire la diatriba in atto tra gli scienziati evoluzionisti, che un qualche riverbero potrebbe averlo anche ai nostri fini. Esistono, come in ogni branca del fare e del sapere umano, individui portati al catastrofismo e altri, più ottimisti, che propongono soluzioni più fauste. Vige anche tra gli studiosi questa divisione fondamentale, esistono, infatti, scienziati che vedono le estinzioni come poderosi motori evolutivi e altri, per i quali le estinzioni interrompono il processo evolutivo. Ciò perché esse bloccano le conquiste ottenute per adattamenti che hanno richiesto anche milioni d‟anni per instaurarsi. È chiaro che la diatriba non è prontamente risolvibile e che essa ha molte implicazioni più per il futuro. È calcolato, per esempio, che il dimezzamento della diversità biologica nella foresta amazzonica (dovuto a deforestazione dissennata), oscilli tra 0.5%÷1% annuo. Non sembra molto importante se tale dimezzamento avverrà nel 2075 o nel 2025, in realtà! Il nodo è la previsione degli scenari futuri, esercizio oltremodo azzardato, anche perché gli orizzonti supposti possono riflettere spesso proiezioni (in senso psicologico) e paure di chi li fa. Tornando al Mesozoico, i Mammiferi primitivi si "allenarono" alla vita sulla Terra e perfezionarono le loro caratteristiche (prime fra tutte le capacità di mantenere costante, al contrario dei Rettili, la loro temperatura corporea). I nostri lontanissimi antenati erano piccoli e con tutta probabilità arboricola: niente di nobiliare, in realtà, nel nostro pedigree. 1 Ammoniti. Dal dio egizio Ammone, raffigurato con corna di ariete. Si tratta di conchiglie spiralate, di molluschi cefalopodi orami estinti, che ebbero una grande diffusione nell‟era mesozoica. Foraminiferi. Protozoi con scheletro concamerato e di calcite, con dimensioni che variano dai micrometri ai centimetri. 2 Gimnosperme. Dal gr. “dal seme nudo”. Tutte le piante con semi nudi (es.: pinoli), alle quali appartengono le coniferopsidi e le cicadopsidi. Più antiche della Angiosperme, le piante coi fiori. È nell'era successiva, la Cenozoica (da 65 m.a. fa ad oggi), che i Mammiferi radiarono3 e divennero dominanti rispetto ai Rettili. Ciò grazie ad alcune innovazioni di grossa portata adattativa: l‟omeotermia4, il perfezionamento della masticazione, l'aumento dell'efficienza riproduttiva e nuove vie comportamentali. L'omeotermia permette il movimento anche a basse temperature, assicura perciò la possibilità di procacciamento del cibo anche di notte ed è alla base della conquista d‟ambienti più freddi. Richiede però la presenza di peli oppure pellicce e necessita delle ghiandole sudoripare. Contrariamente ai Rettili, poi, i Mammiferi sono eterodonti5: i denti non sono più solo una trappola per le prede, ma servono per trattenere, tagliare, spaccare, masticare. Essi permettono la diversificazione del cibo: fattore importantissimo in un animale che richiede maggiore energia per la sopravvivenza, dovendo mantenere il corpo a temperatura costante. I Rettili sono in genere ovipari, mentre i Mammiferi vivipari6. Ciò permette loro di assicurare la sopravvivenza ad una maggior numero di discendenti, in quanto le uova e prole inetta abbandonate in balia degli eventi (come accade spesso tra i Rettili), sono facile preda. Nei Mammiferi s‟instaura uno stretto rapporto tra madre e figli grazie all'allattamento, e ciò è foriero d‟ulteriore evoluzione, in quanto permette di apprendere i comportamenti tramite imitazione. I cuccioli dei Mammiferi giocano7, e attraverso questo particolare pattern8, essi apprendono le regole fondamentali che assicurano la sopravvivenza e la possibilità di riprodursi. Il quadro, allora, comincia a precisarsi. I primitivi Mammiferi, piccoli in un mondo di giganti, ma meglio attrezzati a sopravvivere ai cambiamenti ambientali, radiarono nei due periodi del Cenozoico, il Terziario e il Quaternario. L'era dei Mammiferi - l'ultima parte del Cenozoico - si configura come un periodo della storia terrestre caratterizzato da variazioni climatiche notevoli, tendenti talvolta al freddo intenso. Queste variazioni si sono accentuate durante il Quaternario, da taluni definito come l'età dell'uomo. Il Pleistocene (o era dei ghiacci), costituisce molta parte del Quaternario: esso arriva fino a circa 10.000 anni fa. È un periodo molto importante per la ricostruzione della nostra storia, essendo la sola epoca geologica in cui si ritrovano vestigia dell'attività umana. I depositi pleistocenici, quindi, arricchiscono le nostre conoscenze sull'ambiente preistorico e sulla datazione delle culture umane. Il trapasso Terziario/Quaternario è posto verso 1.6 milioni d‟anni fa e ciò coincide con un‟inversione della polarità terrestre9. Apparentemente tale inversione tornò alla polarità attuale circa 730.000 anni fa. Da allora si sono succeduti almeno otto cicli glaciali. Il Pleistocene è suddiviso in Basso, Medio, Alto, sulla base d‟informazioni di natura paleomagnetica, climatica e fossile. Il Basso P., che includeva anche fauna pliocenica, divenne gradualmente fresco. Con l'inversione di polarità Matuyama/Brunhes (730.000 anni fa), 3 Nel senso di radiazione adattativa. È il fenomeno che porta allo sviluppo di una varietà di forme adatte a tipi di ambiente diversi da un singolo antenato comune. Più propriamente, è lo sviluppo di una varietà di forme da un singolo antenato comune, adatte ai vari tipi di ambiente, come animali camminatori, volatori, arrampicatori, nuotatori, ecc. 4 Omeotermia. Dal gr. “uguale” e “caldo”. Capacità dei Vertebrati superiori (Uccelli e Mammiferi) di mantenere una temperatura corporea costante. Contrapposta a eterotermia. Dato che queste due distinzioni si sono rivelate inadeguate (in quanto vi sono Mammiferi capaci di variare la temperatura durante l‟ibernazione e Invertebrati delle profondità marine che non sperimentano mai cambiamenti di temperatura), si preferisce oggigiorno distinguere tra animali endotermi ed ectotermi, a seconda della loro capacità di regolare o meno la loro temperatura corporea mediante processi metabolici interni (endo-) o modalità comportamentali (come lo spostamenti in luoghi caldi o freddi), tipiche degli ectotermi. 5 Eterodonte. Dal gr. “altro, diverso” e “dente”, indica un animale che ha un numero limitato di denti, distinti tra loro (suddivisi, nei Mammiferi e. in incisivi, canini, premolari e molari). Gli omodonti, invece (es: i cetacei), hanno denti quasi uguali. 6 Oviparo. Dal lat. tardo “uovo” e “deporre”. Animale che depone uova all‟interno delle quali si sviluppa l‟embrione. Nell‟ovoviviparo le uova non vengono deposte ma permangono negli ovidotti dove si sviluppano e si schiudono, cosicché i neonati vengono partoriti come negli animali vivipari. 7 La teoria del gioco, in etologia, è lo studio quantitativo degli effetti della competizione fra individui, nella quale il guadagno che ognuno di essi trae dalle differenti azioni è dipendente dalle tattiche usate dai rivali della stessa specie o dello stesso gruppo. (Def. di Alcock). 8 Pattern: modello. 9 Inversione della polarità terrestre. Il campo magnetico terrestre passa alternativamente da normale (vale a dire com‟è adesso) a inverso, (vale a dire che la direzione della magnetizzazione è esattamente opposta a quella odierna). Negli ultimi 76 m.a. è stato possibile ricostruire una successione di 171 inversioni magnetiche, per cui ogni periodo normale o inverso ha una durata media di circa 500.000 anni. Il paleomagnetismo, cioè lo studio del campo magnetico terrestre nel tempo, permette di sapere, per le varie rocce, qual era il campo magnetico esistente nel periodo in cui si sono formate. si ebbero le glaciazioni menzionate più su, le due maggiori delle quali sono denominate, in Europa, Elster e Saale. L'alto Pleistocene cominciò con il periodo interglaciale Eemiano (vien posto circa a 128.000 anni fa): le temperature medie terrestri si rinfrescarono rapidamente 118.000 anni fa e l'ultimo picco glaciale fu raggiunto circa 18.000 anni fa. L'Olocene, o periodo post-glaciale, ebbe inizio circa 10.000 anni fa, ma la temperatura si accrebbe ai livelli attuali circa 7.000 anni fa. I notevoli cambiamenti d‟ambiente che si sono succeduti nel tempo, hanno fatto arguire che l'evoluzione è senz‟altro "limata" e diretta dai cambiamenti climatici, i quali possono avere diversa origine: extraterrestre, geografica globale e locale. Non tutti gli studiosi dell'evoluzionismo, tuttavia, concordano. Per alcuni di loro, solo la competizione intraspecifica è il motore dell'evoluzione. In ogni caso l'ambiente è considerato centrale, dalla maggior parte degli evoluzionisti, nel determinare i cambiamenti evolutivi. Sia come sia, i geologi hanno spesso puntualizzato il fatto che, in alcuni periodi di storia della Terra si sono avute estinzioni di massa e, per altri, ciò ricorre ad intervalli regolari (circa 27 m.a.; l'ultima sarebbe occorsa circa 13 m.a. fa). Esistono in ogni caso notevoli controversie, in materia. Si formulano ipotesi come quella, ad esempio, di periodici passaggi di corpi celesti, come le comete e gli asteroidi. Questi corpi celesti, nell'impatto con la Terra, aumenterebbero la quantità di pulviscolo atmosferico presente, diminuendo l'irraggiamento solare e provocando un raffreddamento globale. Quale sia la causa delle estinzioni di massa, il suo effetto si rivela casuale, nel decidere della sopravvivenza delle specie. Le quali, peraltro, mostrano in seguito una rapida radiazione adattativa. Ai nostri scopi, è doveroso ricordare che l'estinzione avvenuta nel Cretaceo tra i Placentati10, ha lasciato sulla Terra solo alcune specie di Mammiferi e che i Primati successivi provenivano solo da queste poche. La deriva dei continenti ha un altro effetto importante in quanto, unendo o separando i continenti, offre maggiori o minori possibilità competitive tra le specie. Domande A quale periodo risalgono i nostri antenati più lontani? I dinosauri si sono estinti rapidamente? Qual è la differenza tra scienziati “catastrofisti” e “possibilisti”? In quali periodi del Cenozoico è avvenuta la radiazione dei Mammiferi? Cosa succede, in genere, dopo un periodo d‟estinzioni di massa? I Primati Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) e) Di scimmie e grandi scimmie (i Primati); Dell’albero genealogico delle scimmie (e nostro); Dell’utilità dello studio dei Primati ai fini della Storia; Di ciò che diversifica l’uomo dagli altri Primati; Delle strategie riproduttive dei Primati, probabilmente uno dei “motori” della Storia. Tra i Mammiferi viventi, i Primati rappresentano solo uno dei 18 ordini noti e, in genere, essi risultano perfettamente adattati a vivere sugli alberi, possedendo mani prensili e piedi atti all'arrampicata. Essi hanno una visione eccellente e hanno perduto in parte il senso dell'olfatto. In quanto arboricoli, essi risultano genericamente onnivori perché si cibano di un cocktail di frutta, foglie, insetti e piccoli animali. Da un punto di vista evolutivo è possibile osservare, per i Primati, un particolare trend evolutivo che, in un modo o nell'altro, appartiene a tutti loro e che li diversifica dagli altri Mammiferi, ed esso è indubbiamente legato all'adattamento alla vita arboricola. La 10 Placentato. Dal lat. placenta, “focaccia”, a sua volta dal gr. “che ha forma schiacciata”. Vertebrato dotato di placenta, organo preposto agli scambi metabolici tra madre e feto e alla produzione di numerosi ormoni. Tutti i Mammiferi, eccettuati i Monotremi (come il famoso ornitorinco), ne sono dotati e ciò assicura loro uno scambio più efficiente tra madre e feto. nicchia ecologica11 scelta dagli antenati dei Primati, fu l'albero. Probabilmente perché erano in competizione con i più prolifici Roditori, i quali avevano invaso buona parte delle nicchie ecologiche disponibili. Da qui deriverebbe il particolare corpo dei Primati e la possibilità di sviluppare peculiari forme di socializzazione. Sempre da questo fatto, probabilmente, sarebbe scaturita la possibilità di sviluppare una particolare tipologia encefalica, la quale ha portato all'uomo. Non tutti concordano con questa visione, naturalmente, ma la maggioranza degli antropologi l'accetta. Tradizionalmente, i Primati viventi sono classificati per omologia12, come rappresentato in varie figure e schemi a tutti noti. Esse rispecchiano praticamente tutti i gradi di evoluzione che i Primati hanno subito nel corso di circa 70 milioni di anni. Si passa, infatti, da animali Placentati piccoli e viventi sugli alberi a forme che con qualche difficoltà accettiamo - di primo acchito - tra i Primati. I primi portano alla disperazione i tassonomisti13, ma offrono pur tuttavia un modello vivente strutturale dei Primati più antichi. Tra queste ultime forme (Proscimmie), distinguiamo i Lemuri (che vivono solo nell'isola di Madagascar, e come tali sono dei fossili viventi14); i Lorisi, i quali furono capaci di adattarsi alle aree continentali grazie all'acquisizione di abitudini notturne e, infine, i Tarsi, confinati in alcune isole del Sud-est asiatico, i quali, anche loro, hanno fatto scervellare i biologi che volevano classificarli con cognizione di causa. 11 Nicchia ecologica. Prob. der. di nicchiare, dal lat. “stare nel nido, fare l’uovo” e ecologico; indica un posto o una posizione occupata oppure un tipo di attività sostenuta da un organismo in riferimento ad altri organismi. 12 Omologia. Dal gr. “concorde, consenziente, corrispondente”. In zoologia e in botanica gli organi omologhi sono quelli che, pur presenti in specie differenti, hanno in comune l‟origine e lo sviluppo embrionale, anche se sono diversi per forma e funzione (es.: l‟ala di un uccello e l‟arto pinniforme di un cetaceo). Contrapposto ad analogia (dal lat., a sua volta del gr. “relazione di somiglianza, uguaglianza di rapporti, proporzione matematica”), la quale si riferisce a organi e strutture che hanno la stessa funzione ma diversa origine embrionale (es.: le ali degli Uccelli e quelle degli Insetti). 13 Tassonomia. Dal gr. ordine, disposizione, nelle scienze naturali è sinonimo di sistematica, indica lo studio teorico della classificazione dei viventi, attraverso la definizione esatta dei principî, delle procedure e delle norme che la regolano. Basata inizialmente sulla morfologia dei viventi, si avvale oggi degli apporti della biochimica, della fisiologia e della sierologia. 14 Fossile vivente. Sintagma coniato da Darwin che è, in realtà, uno tra i più utilizzati ossimori scientifici. Un fossile non può, ovviamente, vivere. L‟idea è, in ogni caso, indubbiamente efficace. Per i distratti alle lezioni di lettere, un ossimoro, dal gr. acuto e stupido, è una figura retorica consistente nell‟accostamento di parole che esprimono concetti contrari. Tutte queste forme si diversificano in ogni modo dai Primati di "grado" più elevato, perché questi ultimi risultano provvisti di: corpi e cervelli più voluminosi, crani più arrotondati, visione stereoscopica15 conclamata, due soli incisivi in ambedue le mascelle, sistemi sociali più complessi, che comprendono cure parentali più elaborate e prolungate nel tempo. Finora sono state classificate circa 185 specie di Primati e circa il 70% appartiene alle cosiddette scimmie. La lingua inglese distingue tra scimmie (monkeys) e grandi scimmie (apes), quelle che noi chiamiamo, invece, Primati antropomorfi. Le scimmie sono suddivise in scimmie del Nuovo Mondo (Ceboidea16) e scimmie del Vecchio Mondo (Cercopitecoidea17). Le due superfamiglie sono state divise da eventi geologici lontani e tra loro le differenze evolutive sono pertanto alquanto spiccate. La più evidente riguarda la morfologia nasale: si parla di scimmie platirrine (a naso schiacciato, diciamo così) e di scimmie catarrine (con le narici rivolte verso il basso, a questa tipologia 15 Visione stereoscopica. Dal gr. “”fermo, solido” e “vedere, osservare”. Visione acquisita dai Mammiferi arboricoli e dai predatori che permette di sovrapporre il campo visivo di ciascun occhio grazie al fatto che i globi oculari sono disposti su uno stesso piano frontale. Essenziale per la valutazione delle distanze. 16 Cebo. Dal lat. scient., a sua volta dal gr. “scimmia”. Cebidi. Famiglia di scimmie platirrine prevalentemente arboricole, del Nuovo Mondo, con varie sottofamiglie, di medie dimensioni, palma lunga senza membrane interdigitali, pianta lunga con tallone stretto e unghie piatte, coda, partoriscono un solo piccolo. 17 Cercopiteco. Dal gr. “coda” e “scimmia”. Genere di scimmie cercopitecidi (famiglia di scimmie catarrine con tasche interne alle guance, che riunisce i generi: macaco, cinopiteco, cercocebo, cercopiteco, eritrocebo, teropiteco, mandrillo). I c. fanno parte di un genere di scimmie con arti snelli e coda lunga e vivono in gruppi, se ne conoscono circa dieci specie. apparteniamo anche noi). In realtà anche la formula dentaria è differente. Le prime hanno tre premolari, le seconde, due. L'altra caratteristica riguarda la coda, che è prensile nelle platirrine. Le scimmie del Nuovo Mondo vivono nelle zone forestali dell'America Latina tropicale e subtropicale; quelle del Vecchio Mondo (le catarrine) coprono vari habitat e sono diffuse in Africa ed Eurasia. Le catarrine presentano tutte le stesse formule dentarie (2-1-2- 3), il che significa che sono provviste di due incisivi, un canino, due premolari e tre molari. Le scimmie del Vecchio Mondo manifestano vari comportamenti locomotori, i quali includono: il quadrupedalismo arboricolo (mangabeys) e terrestre (babbuini e macachi), l'arrampicamento verticale e acrobatico (colobi). Il dimorfismo sessuale18 è spesso accentuato e le femmine presentano il periodo estrale, vale a dire un periodo d‟intensa ricettività sessuale indotto ormonalmente. Gli Ominoidi includono: i gibboni, i siamanghi, l'orango, il gorilla, lo scimpanzé e l'uomo. Come già detto, la tassonomia dei Primati si basa sulle omologie dei loro tratti morfologici. Altre notizie interessanti, però, possono provenire dall'analisi del cariotipo (numero, forma e bande dei cromosomi) e dall'analisi biochimica delle proteine (che sono un prodotto diretto del DNA). È stata sviluppata, ormai da alcuni decenni, una tecnica sofisticata, chiamata ibridizzazione del DNA19, la quale ha permesso ulteriori acquisizioni. Con questa metodica (che separa le due catene del DNA in due specie differenti e poi tenta di ricombinarle in una nuova molecola), è possibile stimare se due specie possiedono segmenti simili di DNA e, in caso affermativo, in quale grado. Le tecniche biochimiche mostrano la stretta vicinanza tra l'uomo e lo scimpanzé (qualcuno propone di ridenominarlo Homo troglodytes), questo perché, secondo le tecniche di ibridizzazione del DNA, lo scimpanzé appare essere più vicino all'uomo di quanto non appaiano vicine due specie di gibboni, le quali risultano tra loro più distanti! Di là del gioco delle differenze morfologiche e biochimiche, vi sono tratti che ancora demarcano nettamente l'uomo dagli altri Primati, questi sono i tratti culturali. In un arco di tempo molto breve (30/40.000 anni - un attimo, geologicamente parlando), "in barba" alle somiglianze con lo scimpanzé (DNA = circa 98%), l'uomo ha cambiato sia la parte abiotica20 sia quella biotica della Terra. Cos'è, allora che fa l'uomo umano? Un insieme di caratteristiche, che possono essere riassunte come segue: Tratti-base che caratterizzano l’Homo sapiens - Bipedalismo. - Gli uomini vivono in gruppi sociali bisessuali permanenti spesso vincolati alle femmine. - Gli esseri umani hanno un gran cervello in rapporto al loro peso corporeo e sono capaci d’apprendimento complesso. - Gli esseri umani sono altamente avanzati nell’uso del linguaggio simbolico, Ciò è avvenuto in parte in seguito a riorganizzazione neurologica. - In seguito ai cambiamenti neurologi e al bipedalismo, la risposta culturale è diventata centrale nella strategia adattativa degli ominidi. - Gli esseri umani ottengono il cibo grazie alla cooperazione dei due sessi (divisione del lavoro) e il cibo è diviso. - Le femmine hanno un ciclo mestruale e sono sessualmente ricettive tutto l’anno. N.B.: alcuni di questi tratti possono essere riconosciuti anche in altri Primati. Solo l’uomo li ha tutti. Sono state anche formulate alcune costanti biopsicologiche, che riporto: 18 Dimorfismo sessuale. In una data specie vi sono differenze riscontrabili fra individui di sesso maschile e di sesso femminile 19 Ibridizzazione del DNA. Metodo sviluppato negli anni ‟60, permette di stimare se due specie hanno segmenti simili di DNA e, se così, in quale grado. La doppia catena del DNA di un umano e quella di uno scimpanzé, per esempio, vengono separati in una singola catena col calore (86°C). Poi, mediante enzimi un singolo omologo di DNA viene suddiviso in frammenti di circa 500 nucleotidi. Quando la soluzione in cui sono inseriti i frammenti di due catene singole di DNA umano e di scimpanzé viene raffreddata, si formano legami idrogeno tra le due catene e si forma una doppia elica con dei “buchi” dove le basi non sono complementari. È possibile stimare la complementarietà tra due catene di DNA osservando la temperatura alla quale due catene di DNA ibrido si separano. 20 Abiotico. Dal gr., comp. di a privativo, quindi “senza vita”. In ecologia, zona non popolata da organismi viventi. Costanti biopsicologiche - L’uomo ha bisogno di mangiare e in genere opterà per diete che offrono una quantità maggiore anziché minore di proteine e calorie e altri principi nutritivi. - L’uomo non può essere totalmente inattivo, ma quando è posto dinanzi ad un determinato compito preferisce portarlo a termine con il minore dispendio possibile di energia. - L’uomo è fortemente sessuato e in genere ricava un piacere tonificante dal rapporto sessuale. L’uomo ha bisogni di amore e di affetto per potersi sentire sicuro e felice e, a parità di altre condizioni, agirà in modo tale da accrescere l’amore e l’affetto che riceve dagli altri. Riferirci alla biologia dei Primati non è tuttavia sufficiente per capire meglio noi stessi, in quanto il repertorio comportamentale dell'uomo lo demarca nettamente dagli altri animali. Qualche notizia utile, però, c‟è offerta dal comportamento e dall'ecologia degli altri Primati. Attualmente gli studiosi della storia dell'uomo seguono tre direttrici d‟indagine, con la speranza che ne scaturisca un modello valido per capire l'uomo alle sue origini. Innanzi tutto si cercano di identificare le specie che, in qualche modo, siano in grado di sottostare ai modelli che ci siamo costruiti per i nostri antenati, in quanto essi ci possono fornire notizie utili. La seconda direttrice (la 21 cosiddetta comparazione filogenetica ) ricerca le caratteristiche possedute dai Primati africani, allo scopo di trovare eventuali tratti comportamentali che accomunassero un ipotetico antenato comune alle scimmie antropo22 morfe e all'uomo. La terza (denominata ecologia comportamentale ), ricerca nei tratti corporei, nei comportamenti e nelle strutture sociali, spiegazioni utili. La prima direttrice, quella, diciamo, storica, ha ricercato tra le specie viventi il modello per eccellenza. Senza troppo successo, in verità. Nel tempo, l'attenzione si è soffermata sui babbuini della savana, sullo scimpanzé e, più recentemente sullo scimpanzé pigmeo (o bonobo) il quale, per tutta una serie di caratteristiche, sembra il Primate che offre più possibilità esplicative. Il Pan paniscus, infatti, assomiglia molto all'Australopitecus afarensis, (la famosa Lucy, per intenderci – se ne riparlerà più avanti) e ha soppiantato in molti studi comparativi lo scimpanzé comune. Come sempre, però, come fidarci dei comportamenti di un Primate molto prossimo a noi, il quale potrebbe aver evoluto delle strutture sociali proprie e magari ben differenti da quelle dell'umanità ai suoi albori? La seconda direttrice, esamina i tratti comportamentali dei Primati africani. In uno studio famoso condotto da Wrangham (1987), per citare un esempio, l'attenzione fu posta su 14 tratti comportamentali (quali, ad es.: struttura di gruppo; relazioni tra i sessi; esogamia23 femminile; alleanze maschili e così via), analizzati su quattro specie. L'idea che permeava la ricerca era la seguente. Se un comportamento fosse stato ritrovato nelle quattro specie, era possibile predire che esso (forse) sarebbe potuto appartenere anche ad un antenato comune. Ma l'antenato comune alle scimmie antropomorfe e all'uomo di Wrangham era ben diverso da ciò che Lovejoy (1982) suggeriva per il probabilmente monogamo e anche poco ostile afarensis. Era infatti, come da risultanze un essere che viveva in gruppi dominati dai maschi, in una rete sociale chiusa e ostile; con le femmine esogame, senza alleanze tra loro e con i maschi aventi relazioni sessuali con più di una femmina. Le inferenze possibili usando quest‟approccio si rivelano piuttosto misere, in realtà. Più promettente (e più moderno) si rivela il terzo approccio, il quale tenta la ricostruzione delle organizzazioni sociali a partire dai dati ecologici. In effetti, l'osservazione delle organizzazioni sociali degli altri Primati offre spunti interessanti. Apparentemente i Primati analizzati vivono in ambienti forestali e hanno una base filogenetica simile, anche se hanno sviluppato differenze comportamentali a volte sostanziali. Le diverse pressioni ecologiche possono probabilmente spiegare molto, ma perché taluni praticano la poliginia24 21 Filogenia. Una rappresentazione schematica che mostra le relazioni antenato/discendente, di solito in un telaio cronologico. Si veda il paragrafo: filogenesi, anche per l‟origine del termine. 22 Ecologia comportamentale. Lo studio del valore adattativo delle caratteristiche comportamentali che aiutano l‟individuo a superare, nell‟ambiente dove vive, gli ostacoli che si frappongono al suo successo riproduttivo. 23 Esogamìa (dal gr: sposare e fuori). In etnologia la consuetudine o anche l‟obbligo di cercare la compagna fuori del proprio gruppo sociale. In biologia la riproduzione sessuale che avviene per incrocio tra individui non imparentati tra loro. 24 Poliginìa. (dal gr. più e dal lat. gynaeceum, a sua volta dal greco “donna”). In etnologia l‟unione matrimoniale plurima di un uomo con più donne, contrapposta a poliandria. In etologia la tendenza da parte dei maschi di una specie ad accoppiarsi con più femmine nel corso della stessa stagione riproduttiva. unimaschile (orango), altri quella plurimaschile (scimpanzé), altri la monogamia 25 (gibboni)? Perché esiste il dimorfismo sessuale più o meno accentuato? (Vale a dire che gli oranghi e i gorilla hanno un corpo doppio rispetto alle loro congeneri; gli scimpanzé sopravanzano del 25-30% le loro femmine, i gibboni e le loro femmine non differiscono in grandezza corporea). Quali meccanismi scattano, all‟interno dei gruppi, per arrivare a queste cospicue differenze ? In verità, risulta molto difficile rispondere a queste domande. Tra i Mammiferi, le strategie e le dinamiche individuali e di gruppo differiscono anche molto, specialmente qualora si analizzino gli animali che vivono in gruppo. Condividere la vita con altri conspecifici è fonte di frustrazione, ma si rivela molto utile, soprattutto in quei casi in cui l'ambiente sia duro; com'è ben noto, l'unione fa la forza. Ciò vale sia per i Mammiferi cacciatori, sia per quelli che possono essere predati. Non solo, ma anche la ricerca del cibo ne è agevolata. In realtà sembra vi sia un fattore determinante, alla base di tutto: la strategia riproduttiva. Essa non solo differisce da specie a specie, ma si differenzia anche all'interno della stessa specie. I due sessi divergono, se si tiene conto del successo riproduttivo26 differenziale. Per un Primate maschio, infatti, il successo riproduttivo si verifica solo se esso si riproduce molto (se si accoppia al tempo e a momento giusto con le femmine mature). Per una Primate femmina, invece, risulta più importante l'accesso al cibo, perché portare a termine una gravidanza e allattare un cucciolo richiede molta energia. Non è poi così importante chi rende pregna una femmina. È importante che possa crescere un alto numero di figli. Ne discende che Wrangham ha riproposto la questione ecologica in questi termini: è la pressione selettiva sul comportamento femminile che determina, in ultima analisi, l'effetto delle variabili ecologiche sul sistema sociale. Messa la questione in altri termini, chi determina il sistema sociale all‟interno di un ambiente è il comportamento delle femmine, indipendentemente dall‟ambiente stesso. È stata una bella "picconata" non c'è che dire, ai modelli che assegnavano ai maschi e alle loro strategie per il procacciamento del cibo un ruolo fondamentale nel determinare l'organizzazione sociale. Di certo poco sappiamo ancora sulle interazioni complesse esistenti tra le specie e il loro ambiente. L'orango, tanto per fare un esempio, non necessita della cooperazione con altri maschi perché l'ambiente non lo richiede; mentre lo scimpanzé ne ha un bisogno quasi assoluto. I biologi trovano poi strane relazioni e tentano di spiegarle in termini evolutivi. Per fare un ulteriore esempio, un alto grado di dimorfismo sessuale è associato alle situazioni di gruppo che rivelano poliginia: si pensa comunemente che la lotta tra maschi per il possesso sessuale delle femmine richieda un corpo forte, il che può essere. In realtà, potrebbe anche essere che la selezione operi in un altro senso. Le femmine avrebbero un corpo piccolo perché una minor mole corporea favorisce uno sviluppo precoce. Ne consegue che possono accoppiarsi prima e quindi - torniamo ancora al successo riproduttivo - dare alla luce un maggior numero di figli. Molto occorrerebbe aggiungere ma, in realtà, ogni ambiente è coercitivo nei confronti di una specie. La struttura sociale che essa sviluppa sarà un compromesso tra il suo bagaglio filogenetico (tipo e grandezza corporea, ad esempio) e il contesto ecologico. Per l'approccio ecologico-comportamentale, lo scimpanzé offre sempre un modello il quale, anche se non arriva certamente a connetterlo con la radiazione che ha portato all'afarensis e ai suoi prossimi predecessori recentemente scoperti, apporta però conoscenze non da poco su comportamenti quali, ad esempio, la manipolazione degli oggetti, la ridistribuzione del cibo, la caccia e la divisione del lavoro tra i sessi. La probabile organizzazione sociale dei nostri primitivi antenati africani, insomma, era quella di un gruppo sessuale misto, con i maschi legati assieme da una rete di relazioni di parentela e le femmine in associazione stabile fra loro. Lo scopo principale, in savana, era quello di difendersi dai predatori. Molto, in ogni caso, resta da sapere. E la Storia ne sarà avvantaggiata. Il discorso sui Primati, in ogni caso sarà ripreso. Domande Qual è la nicchia ecologica degli antenati dei Primati ? Quante sono le specie dei Primati ? Che differenze ci sono tra scimmie catarrine e platirrine ? 25 Monogamìa. (Dal gr. “uno” e “sposare”. La tendenza a mantenere un unico partner nel corso della vita. Trovata nel 3% dei Mammiferi, sembra essere una strategia riproduttiva più sociale che biologica. Insel et al. (1997) suggeriscono che vi sia un gene per i recettori dell‟ossitocina che la possa determinare. 26 Successo riproduttivo. In etologia, il numero dei figli che sopravvivono generati da un individuo Chi sono gli ominoidi ? Cos‟è che fa l‟uomo “umano” ? Quali sono le tre direttrici di ricerca utilizzate dagli studiosi della Storia per trovare un modello valido per capire l‟uomo alle sue origini ? Cos‟è l‟ecologia comportamentale ? I precursori degli ominidi Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) e) Della moltitudine di fossili ritrovati e di come sia arduo classificarli; Del fatto che, nonostante i ritrovamenti fossili, noi siamo costretti a raccontarci una storia degli inizi ancora piuttosto “mitica”. Di come, in competizione con i Roditori, i nostri primi antenati Insettivori si siano adattati alla vita arboricola; Degli adattamenti che i nostri antenati hanno dovuto subire; Delle difficoltà che sorgono quando, in un determinato periodo, i fossili ritrovati sono classificati senza un criterio preciso. Per forza di cose, i nomi di molti Primati fossili sono degli scioglilingua, perciò occorre sforzare la nostra memoria per tenerli a mente. Hanno, comunque, una loro bizzarra bellezza, a ben vedere. Ognuno di loro è il frutto d‟annose ricerche (ma anche del caso e della fortuna) e il nome che è stato loro assegnato rispecchia, in qualche modo, la mentalità del/degli scopritori. I paleantropologi sono degli strani personaggi: si accaniscono nella ricerca perché, in fondo in fondo, sanno che, qualora essa sia coronata da successo, i loro nomi saranno consegnati alla storia. Non si accontentano, insomma, della mediocrità. Alcuni di loro sono, oltretutto, molto proni al deleterio fenomeno della scienza-spettacolo e, da bravi comunicatori, rinunciano pochissimo al sensazionalismo. Soffrono poi di un'altra mania (peraltro molto comprensibile, visto lo sforzo cui si sottopongono quando lavorano sul campo): il loro ritrovamento non sarà magari l'anello mancante, ma comunque ci si avvicina senz'altro. Per cui esso va collocato nell'album di famiglia in buona posizione. Ciò ha provocato, fino a non molti anni fa, una ridondanza d‟antenati difficilmente collocabili in un percorso degno di un albero genealogico. Quando ero studente, i personaggi della Storia mi ricordavano "I miserabili" (per il modo in cui erano presentati), "la Fiera delle Vanità" e il "Circolo Pickwick" (per i nomi, il loro numero e la pochezza di pregnanza individuale dei personaggi marginali rispetto alla storia). Grazie al cielo, oggi il campo è stato ripulito; i personaggi rimangono, ma appartengono a grandi cicli, facilmente individuabili e in cui (quasi) tutti i personaggi trovano sistemazione. Di questo parleremo più avanti. I resti più antichi ci hanno lasciato resti di denti e mandibole e risultano perciò molto misteriosi. Oltretutto è possibile pensare che i fossili ritrovati siano solo una piccola parte dei Mammiferi "protoproscimmieschi" viventi all'epoca, per cui le inferenze possibili sono molteplici (e quindi poco probanti). Il Purgatorius, per esempio, ha lasciato pochi denti che mostrano la tendenza verso la forma cuspidata nei molari, la sua lontananza nel tempo, in ogni caso, ci permette così tante illazioni da doverlo lasciare nelle nebbie del possibile. TREND EVOLUTIVO DEI PRIMATI APPARATO LOCOMOTORE - Pentadattilia Unghie invece di artigli Mani e piedi flessibili Tendenza alla stazione eretta Mantenimento della clavicola DENTATURA E DIETA - Pattern dentale generalizzato Mancanza di dieta specializzata ENCEFALO E ORGANI DI SENSO - Riduzione del muso Enfatizzazione della vista - Aumento della complessità cerebrale Nutrizione fetale efficiente COMPORTAMENTO - Altamente flessibile Dipendenza dall’apprendimento Presenza stabile di maschi nei gruppi I Primati paleocenici (65-53 m.a. fa) avevano dimensioni che variavano tra quelle dello scoiattolo e quelle del gatto. Il ritrovamento fossile che meglio li rappresenta è il Plesiadapis, trovato sia in Nord America sia in Europa. Esso assomigliava all‟odierno aye-aye del Madagascar, perché la sua dentatura frontale, larga e protendente, era molto specializzata (contrariamente a quella dei Primati moderni). I paleocenici mostrano tendenze primatesche definite, vale a dire dipendenza dalla visione, polsi e anche flessibili. Mancano però di separazione ossea tra le orbite e la parte che racchiude il cervello (arcata post-orbitale); erano, quindi, forme più primitive che qualsiasi primate vivente. Ai fini della Storia, è possibile forse inquadrarli in un contesto plausibile, tenendo conto però che questo assume più una configurazione alquanto romanzesca (ciò vale fino all'Eocene). A loro lo slogan "piccolo è bello" si addice proprio. Vivevano, infatti, in un mondo popolato da giganti (i grandi Rettili) e, se da un punto di vista dimensionale apparivano sfavoriti, essi avevano però delle opportunità maggiori. La loro "marcia in più" era costituita dall'omeotermia, la quale assicurava loro la possibilità di movimento in luoghi e orari nei quali i Rettili non li potevano facilmente raggiungere. Miniaturizzati com'erano, passavano probabilmente inosservati. Con il loro musetto appuntito e baffuto e i loro occhi puntuti, scorrazzavano nel sottobosco, cibandosi d‟insetti e d‟ogni cosa edibile. Il loro sistema circolatorio offriva loro la possibilità di muoversi in una gamma estesa di temperature, vale a dire nelle ore più assolate e durante la notte. I Rettili, invece, mal tollerano le alte temperature (quelle attorno a mezzogiorno) e durante la notte il loro metabolismo è rallentato. Qualcuno asserisce addirittura che i piccoli Mammiferi siano stati una concausa nella scomparsa dei Dinosauri: in effetti, orde notturne di affamati Mammiferi potevano scoprire facilmente i nidi contenenti le uova dei Rettili e banchettare indisturbati. E il bottino non era da poco! La Terra manifestava grandi segnali di cambiamento. La distribuzione e il destino delle forme viventi all'epoca era indubbiamente legato a questi cambiamenti. È ben noto che la distribuzione delle terre emerse non è sempre stata quella attuale. L'Europa, per esempio rimase unita con l'America settentrionale fino al medio Eocene e, con il tardo Eocene (circa 40 m.anni fa), se ne disgiunse e si congiunse con l'Asia. Ecco perché si ritrovano i Plesiadapis sia in America sia in Europa. L'Asia, invece, non offre resti di Primati fino al tardo Eocene. Ecco perché, oltretutto, si ritrovano in seguito le scimmie del Nuovo e del Vecchio Mondo nettamente divise. I cambiamenti geologici, assieme a quelli climatici, funsero da potente "scure" evolutiva. I Rettili, incapaci di adattarsi ai climi che divennero meno uniformi e caldi, si estinsero e lasciarono ai Mammiferi nuove aree, nelle quali i Mammiferi stessi dovettero competere tra loro. Ai fini della Storia, si pensa che la competizione maggiore avvenisse tra i nostri antenati e i precursori dei Roditori. Questi ultimi avevano un indubbio vantaggio, erano estremamente prolifici. Per questo motivo furono capaci di invadere nicchie ecologiche nuove e la competizione avveniva tra il terreno e un ambiente che poi, presumibilmente, i nostri antenati scelsero un po‟ per ripiego e, probabilmente obtorto collo: l'albero27. Ciò perché, all'epoca della radiazione dei Mammiferi, le temperature si accrebbero e aumentarono le foreste, che avevano caratteristiche tropicali e subtropicali. L'albero richiese adattamenti nuovi, rimaneggiamenti globali del corpo e dello schema che lo sottende; l'albero, a ben vedere, richiede acrobazie. 27 Obtorto collo. Espressione latina presente in Plauto (ma anche in Cicerone: obtorta gula). Significa controvoglia, perché costretto, malvolentieri. Esso richiede un cervello a metà strada tra quello, grande, degli animali terrestri e quello miniaturizzato degli Uccelli. L'encefalo degli animali che vivono in un habitat che combina caratteristiche terrestri e aeree insieme, deve essere leggero, ma non compatto come quello degli animali volatori. Un cervello compatto, per quanto sia dotato di circuiti mirabili è, in genere, poco flessibile: tende a dar luogo a comportamenti schematici. Il cervello terricolo invece, può contenere centri regolatori del sistema nervoso che occupano spazio, ma che si rendono indispensabili, in quanto gli stati d‟agguato o di difesa richiedono riflessi pronti e, nello stesso tempo, la capacità di rinviare i movimenti riflessi. I centri inibitori, negli animali terrestri possono proliferare, dato che non è necessario economizzare in volume cerebrale. L'altra caratteristica che si rese necessario acquisire rapidamente, fu la saldezza nella presa, associata all'agilità di movimento, il chè richiese la perdita degli artigli, l'allungamento delle dita e lo sviluppo di un dito (il pollice), che fosse in grado di opporsi alle altre, per favorire una presa anulare. Con l'aumento della motilità, fu necessario migliorare la vista, la quale divenne stereoscopica, dato che gli occhi si spostarono su di un piano anteriore. Ciò aumentò la precisione negli spostamenti di ramo in ramo. L'encefalo fu rimaneggiato, per dar maggiore spazio alla vista, al movimento e alla sensazione. La corteccia cerebrale fu ingrandita, per organizzare sempre meglio la cospicua mole d‟informazioni che arrivava dagli organi di senso, il più importante dei quali divenne senz'altro la vista: la parte posteriore del cervello si ingrandì; così come si modificarono le vie nervose al servizio del movimento e della sensazione. Naturalmente tutti questi cambiamenti si verificarono in un lasso di tempo molto lungo e bisogna giungere fino ai resti eocenici (53-37 m.a. fa), per trovare dei fossili di Primati simili agli odierni lemuri, gli Adapidi. Essi mancano d‟artigli, possiedono l'arcata post-orbitale e gli occhi posti anteriormente. Un altro rappresentante notturno è il Necrolemur; in realtà più simile ad un tarsio che ad un lemure. Altri rappresentanti, gli Omomidi, assomigliano ancor più ai moderni tarsi, mentre altri ancora, d‟incerta classificazione (anche loro Omomidi ?), mostrano dentature simili a quelle degli antropoidi del Vecchio Mondo. Con l'Oligocene (37-25 m.a. fa), si ebbe un probabile declino delle proscimmie eoceniche. Oppure, molto probabilmente, gli intensi cambiamenti geologici che interessarono la Terra in quel periodo, non hanno permesso ai resti fossili di arrivare fino a noi: i ritrovamenti oligocenici sono per lo più tutti concentrati in una località egiziana, El Fayum. Attualmente essa è una zona estremamente arida ma, all'epoca, essa si trovava sulla costa del Mediterraneo di allora. I resti egiziani hanno sollevato enormi dispute per la loro frammentarietà; il loro maggiore studioso, tuttavia, ha riconosciuto sei antropoidi e una proscimmia tra loro. I loro rappresentanti più famosi sono l'Apidium, il Propliopitecus e l'Aegyptopitecus, probabili catarrine primitive. Essi pongono un problema cruciale ai paleontologi, vale a dire quello dei caratteri primitivi e derivati. È infatti cruciale poter valutare se un carattere riscontrato in fossili (e non), sia da considerarsi derivato (un carattere trovato solo in una particolare linea evolutiva e pertanto indicatore di un qualcosa evolutosi dopo la divergenza) oppure primitivo (ereditato cioè, da un antenato prima della divergenza). Potrà apparire strano, ma si pensa attualmente che l'arrangiamento delle cuspidi dei denti degli ominoidi sia il più primitivo, mentre quello delle scimmie del Vecchio Mondo sembra tendere verso il derivato. Senza entrare nel merito di questa complessa questione, ciò che interessa ai fini della Storia è il fatto che si assiste ad una diversificazione notevole dei resti fossili e che le specie precedenti si erano pertanto adattate completamente alla vita arboricola, forse entrando anche in competizione tra loro. Il corpo si ingrandì, anche se non di molto e l'olfatto perse parte della sua importanza. Il muso si accorciò e le fibre tattili si portarono dai baffi alla mano. La mano divenne manipolativa e gli oggetti assunsero un nuovo significato: molto di ciò che circondava questi animali poteva ora essere esaminato. Il mondo era "oggettivato". Comparve la visione a colori. Nello stesso tempo, il cervello si rimaneggiò, con la creazione di mappe tattili e d‟aree corticali atte ad includere strutture destinate alla coordinazione veloce dei movimenti muscolari dei vari distretti destinati alla locomozione. Il Miocene (25÷5m.a. fa) è l'epoca degli ominoidi. I ritrovamenti abbondano in tutto il Vecchio Mondo ma, nel primo Miocene, essi sono presenti solo in Africa, tra Kenia e Uganda. I paleoantropologi sono propensi perciò a credere che la culla dell'umanità sia l'Africa e ciò per una ragione molto semplice. Se i resti oligocenici sono egiziani e i primi miocenici africano-orientali, è presumibile supporre che l'origine degli ominoidi sia africana28. Da questo continente sarebbero poi radiati con successo verso le altre parti del Vecchio Mondo. Il materiale fossile miocenico è vario e abbondante e ha lasciato (e lascia tuttora) molto perplessi gli studiosi. Agli inizi degli anni '60, per esempio, si contavano più di 20 generi e di 100 specie. La confusione era alle stelle, tanto che si rese necessario trovare due forme fondamentali alle quali ricondurre tutti i ritrovamenti. Si parlò di due generi-base: quelli simili ai pongidi e quelli simili agli ominidi. In seguito, però, sia dalle collezioni museali sia dalle ricerche sul campo, i paleoantropologi furono sommersi da una nuova ondata di fossili, i quali, oltre a ricreare confusione, mostrano però che durante il Miocene la varietà era elevata. Le ricerche paleo-ecologiche in Africa rivelarono che questo continente era ricoperto di foreste e mancava delle enormi estensioni di savana attuali (ciò fino a circa 15 m.anni fa). Non solo, ma la placca africana non era collegata all'Eurasia. Lo scontro-incontro avvenne circa 16 m.a. fa e, favorendo le migrazioni attraverso la penisola arabica, rivoluzionò completamente la distribuzione della fauna miocenica nel Vecchio Mondo. Successivamente a questo periodo, il clima africano divenne più secco, le zone forestali si restrinsero e il paesaggio si aperse in savane e boscaglie. 28 Ciò perché i fossili più antichi sono stati ritrovati colà, anche se nuove datazioni e ritrovamenti cinesi e indonesiani potrebbero far pensare, per esempio, che l‟Homo fosse presente in Asia verso i 2 m.a. fa. Anche i dati dell‟antropologia molecolare vanno nella direzione africana. È sempre possibile, in ogni caso, che i reperti si siano conservati molto bene in Africa e non in Asia, per quel che ne sappiamo. Tutti questi vigorosi e rapidi cambiamenti hanno lasciato resti che possono essere ricondotti, in ogni caso e per semplificare, a due tipologie fondamentali: esemplari adattati al biotopo29 forestale (tipologia eminentemente africana, ma nel tardo periodo, anche europea), e resti di specie adattati a zone più aperte (tipologia essenzialmente eurasiatica). Questi reperti riflettono, ragionevolmente, la storia delle catarrine e mostrano i trend evolutivi tipici di gruppi animali che sono sottoposti a radiazione adattativa. Essi presentano corpi e cervelli di dimensioni maggiori e risultano spesso un mosaico di caratteristiche appartenenti sia alle future scimmie, sia alle future antropomorfe. Esse mettono in guardia contro le interpretazioni dei dati fossili basate su un limitato numero di resti scheletrici: il Proconsul, per esempio, mostra caratteri scimmieschi per le ossa del polso e della mano, ma antropomorfi per le ossa del piede e della gamba. Gli ominoidi miocenici sfidano i tassonomisti, per il loro numero. Seguirò, per il momento il suggerimento di Ciochon (1983), il quale distingue due morfologie fondamentali: quella driopita e quella ramapita30. Non hanno nessun valore tassonomico, ma ai fini didattici si prestano molto bene. Le forme driopite sono state denominate dental apes perché mostrano un arrangiamento delle cuspidi dei bassi molari definito Y5, un tratto riscontrato anche negli ominoidi moderni. I ramapiti (il cui rappresentante più noto e più studiato è il Sivapitecus), possono essere genericamente descritti come più definitamente ominoidi nella locomozione, sebbene non manifestino tratti che li possano nettamente accomunare alle specie moderne. Apparentemente il Sivapiteco è probabilmente un antenato dell'orango. Le tipologie mioceniche, considerate fino ad un paio di decenni fa essenziali ai fini della Storia, hanno perduto parte della loro importanza quando, dal versante biochimico, l'origine degli ominidi non fu più 29 Biotopo. Composto di bio- e –topo, dal gr. “che vive” e “luogo”, è il complesso ecologico in cui vive una determinata specie animale o vegetale. 30 Driopita. Da Dryopithecus, dal gr. “quercia” e “scimmia”. Genere scoperto nell‟800 a Saint-Gudens, a sud di Tolosa in una formazione argillosa datata alla fine del Miocene medio (13 m.a. fa). Aveva un areale (in biogeografia: area di distribuzione) che si estendeva dalla Spagna all‟Ungheria. La sua dentatura ricorda quella delle grandi scimmie africane. Il termine designa forme eterogenee. Ramapita. Da Ramapithecus, da “Rama” (eroe dell‟epopea indiana, protagonista del Ramayana; una delle incarnazioni di Visnu), e “scimmia”. Fossile vecchio di 15 m.a. fa, di cui si conoscevano frammenti di mascelle. Rappresentanti in Asia e in Africa. Presentava piccoli canini e un alto ramo della mandibola. I ramapitecidi presentano una somiglianza con gli oranghi, ma non con gli scimpanzé. È per questo motivo che i ramapiteci eurasiatici sono stati esclusi dalla genealogia umana. Il Ramayana è il famoso poema epico scritto dal poeta Valmiki. Composto di circa 24.000 distici, descrive la lunga e pericolosa lotta di Rama contro gli asura, sorta di Titani indiani. Questo mito proviene dalla tradizione che vuole in lotta perenne gli Dei e i Giganti. posta a 15 m.a. fa, come si pensava. Il problema allora, della provenienza degli ominidi sussiste. Sfortunatamente, vi è carenza di fossili per il periodo 10÷5 m.a. fa, ciò fa pensare ad alcuni che il bipedismo non sia un “portato” della savana, ma che possa anche essersi evoluto in foresta. In effetti, in foresta i resti animali non fossilizzano, ma sono dilavati, per cui di loro non resta traccia. Vale a dire che si può anche supporre che la mancanza di fossili in questo periodo sia dovuta al fatto che vi siano state oscillazioni climatiche in Africa anche prima dell‟arrivo del bipedismo. Per quanto ne sappiamo, infatti, l„acquisizione della stazione eretta avrebbe potuto anche affermarsi dapprima in un ambiente arido, per realizzarsi successivamente con una certa compiutezza in uno umido (foresta) e poi modificarsi, nel senso a noi noto, in un ambiente di savana. Ritorneremo sull‟argomento (non è una minaccia…). Domande Quali sono stati i principali cambiamenti corporei che i Primati più antichi (o, meglio, i precursori dei Primati) hanno dovuto subire per adattarsi alla vita arboricola ? Quali sono stati i Mammiferi coi quali dovettero competere ? Quando cominciamo a trovare fossili di Primati simili alle attuali proscimmie ? Cosa comportò la modificazione della mano ? Perché si pensa che l‟Africa sia stata la culla dell‟umanità ? Che differenze ci sono tra forme driopite e ramapite ? Gli ominidi Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Di cosa siano gli ominidi; Di quando fecero la loro comparsa; Di cosa succede quando le donne si mettono a studiare in campi dominati dai maschi; Dei pro e dei contro dell’andatura bipede e delle cause che hanno permesso s’instaurasse. Le sette fasi “classiche” dell‟ominazione ovvero il complesso di quei processi evolutivi (tra i più importanti: l‟acquisizione di un‟andatura esclusivamente bipede, lo sviluppo dell‟encefalo, la formazione del linguaggio articolato e la capacità di trasmissione culturale) che, a partire da una forma primitiva di primate ominide, ha condotto all‟attuale specie umana, sono le seguenti: 1) Preominidi, 2) Australopiteci, 3) Homo habilis, 4) Homo erectus, 5) Homo sapiens arcaico, 6) Uomo di Neanderthal, 7) Homo sapiens sapiens. Questa suddivisione è attualmente messa in discussione, ma teniamola per buona, per il momento, a scopo didattico. 31 Cos'è un ominide , allora ? Da quanto espresso finora, sembrerebbe che l'unica certezza fossile utile ad una definizione sia di tipo dentario. I denti e le mandibole, proprio perché si conservano meglio di altre ossa, offrono prove concrete. Ma, chiaramente, dette prove sono insufficienti. Noi e i nostri antenati lontani differiamo non solo per i denti e le mandibole. Altre caratteristiche, quali l'andatura bipede, il maggior sviluppo encefalico e la costruzione di utensili si rivelano più utili. Ma sembra soprattutto l‟ultima caratteristica quella più importante: l'ominide è il Primate che fabbrica gli utensili (humans as toolmakers, vogliono gli anglosassoni). Abbiamo visto che il corpo degli ominoidi si era ingrandito e che è possibile riconoscere due tipologie, in diretta connessione con due habitat diversi, uno forestale e uno di boscaglia e/o savana. L'aumento della mole corporea richiedeva maggiori quantità di cibo, ma favoriva anche la scoperta di nuovi spazi (e, last but 31 Ominide. Dal lat. classico homo –minis, il termine indica una famiglia di Mammiferi che comprende anche l‟attuale specie umana (Homo sapiens sapiens) e altre specie estinte, note attraverso i resti fossili, tutte caratterizzate da uno scheletro più o meno adattato alla posizione eretta e alla locomozione bipede, da differenziazione degli arti, da elevata capacità cranica e dalla riduzione dei denti incisivi e canini. not least, rendeva le aggressioni da parte dei carnivori meno facili). Il fatto che in Africa le foreste si fossero ritirate e avessero lasciato il posto a spazi più aperti, non è di poco conto. È probabile che le zone marginali tra foresta e savana aperta siano diventate il luogo dove l'evoluzione ha lavorato32. L'evoluzione infatti, compie il suo iter meglio in ambienti di interfaccia. Se un ambiente è troppo "molle" (e la foresta lo è), esso funge da stabilizzatore, nel senso che, qualora una specie si sia adattata ad un ambiente, continua a riprodurre le medesime modalità fintantoché l'ambiente non muta. Se un ambiente è troppo "duro", esso schiaccia ogni iniziativa. Gli ambienti intermedi, invece, assicurano sia la possibilità di rifugiarsi nel già noto, sia la possibilità di intraprendere nuove escalation ambientali, per prove ed errori. L'aumento delle dimensioni fisiche e l'impatto dei cambiamenti ambientali riplasmò, ancora una volta, il cervello. La corteccia cerebrale (grosso modo il crocevia tra i meccanismi di stimolo e quelli di risposta), dovette rimaneggiarsi, incorporando nuove ramificazioni che contenevano soprattutto nuovi centri inibitori i quali sottostanno all‟arte di rinviare l'azione a momenti più propizi. La corteccia divenne corrugata e la vita divenne meno automatica perché dipendeva sempre più dall‟apprendimento. Poiché d'ora in avanti ci troviamo di fronte ad esseri sempre più complessi, è necessario parlare di evoluzione bio-culturale. Ciò implica che i meri dati fossili risultano manchevoli (in quanto ad informazione), per cui è necessario l'apporto di discipline anche lontane tra loro, che portino cioè, conoscenze d‟altra natura; ne consegue che la strategia di indagine paleoantropologica diviene multidisciplinare. L'inizio della differenziazione degli ominidi avvenne quasi sicuramente verso la fine del Miocene. In questo lasso di tempo l'adattamento alla nuova nicchia ecologica (il suolo) si compì; ma purtroppo, per tutto l'arco temporale 10÷5 m.a. fa, le informazioni paleontologiche scarseggiano. I reperti fossili ricominciano ad essere cospicui solo verso i 4 m.a. fa, ed essi sono tutti africani. Sono stati ritrovati nell'est Africa e nell'Africa del sud. Il "buco" paleontologico ci lascia una miriade di dubbi sull'origine della stazione eretta e sulla concatenazione di cause che ha portato all'evoluzione culturale. Il problema, tradotto in parole semplici, è quello dell'uovo e la gallina. Ora, qualsiasi biologo sa che la metafora è illogica (...prima l'uovo), ma ciò che ha arrovellato per decenni i paleontologi riguarda un fatto, apparentemente paradossale: la costruzione di strumenti litici sembra essersi originata, per certuni, circa 2.5 m.anni fa, in concomitanza con un significativo aumento del volume encefalico. I resti dei primi ominidi - quelli etiopi e tanzaniani - mostrano invece un buon adattamento al bipedalismo e sono stati datati 3.5 circa milioni di anni fa. Attualmente si pensa che la linea evolutiva che ha portato agli ominidi possa essere collocata all'incirca verso i 6/6.5 m.a. fa, per cui esiste un gap tutto da colmare. È anche possibile che i predecessori dei fossili noti, fossero ominidi a tutti gli effetti, a parte la deambulazione. Chiedo scusa al lettore per l'eccesso di semplificazione, ma come dicevo più su, il quadro è piuttosto pasticciato (elementare per la pochezza dei "segni"; indecifrabile per mancanza di riferimenti plausibili, insomma, una tavola di Pollock). Il nodo da risolvere allora è questo: la stazione eretta è il frutto della liberazione delle mani (che non venivano più utilizzati per la locomozione, ma che servivano per utilizzare strumenti), oppure è stata l'acquisizione della stazione eretta a "liberare" le mani ? Analizziamo dapprima i pregi e i difetti della stazione eretta, un modo di deambulare unico tra i Mammiferi (alcune antropomorfe sono in grado di percorrere tratti anche lunghi, sugli arti inferiori, ma solo in caso di necessità). Innanzitutto il bipedalismo non è indispensabile per vivere sul terreno, e il babbuino ne è un esempio lampante. Anzi, un bipede è facilmente abbattibile, è più visibile e meno agile quando fugge; oltretutto, in questo frangente, non può mettere in atto nessun tipo di “finta”, quale, ad esempio, lo scarto improvviso. La deambulazione bipede permette però la ricognizione costante del terreno (e ciò è utilissimo in savana, in quanto le erbe sono alte) e consente di intraprendere nuove strategie di difesa. Se inseguito, il bipede può "aumentare" le sue dimensioni corporee, brandendo rami e frasche, in modo tale da scoraggiare il suo predatore. Un po‟ come fa un gatto quando viene inseguito da un cane: assume pose terrifiche. Come extrema 32 In realtà, si tratta di un semplificazione, la realtà climatica e quindi ambientale africana è alquanto più complessa. L‟Africa è l‟unico continente “speculare”, nel senso che, essendo esattamente tagliato in due dall‟equatore, offre, a sud e a nord di questo, ambienti simili tra loro: si passa dalla foresta pluviale equatoriale che degrada verso zone in cui prevale la boscaglia (bush), la quale scema verso la savana. La vegetazione arborea diviene sempre meno fitta a partire dall‟equatore fino alla savana, sia a nord sia a sud, per poi arrivare ai deserti. Oltre a questi, sia nella parte mediterranea, sia in quella sudafricana capense, il clima diventa mediterraneo. L‟Africa dell‟est, oltretutto, per l‟azione monsonica dell‟Oceano Indiano e in seguito all‟apertura della Rift Valley, è climaticamente diversa dalla sua controparte occidentale. Nelle stesse savane si distinguono ambienti molto secchi e ambienti più umidi: di conseguenza gli adattamenti dei viventi che vi abitano sono differenti. ratio33 rizza il pelo, sfodera gli artigli e l‟inseguitore si trova improvvisamente di fronte una preda cattivissima - di dimensioni maggiori rispetto all'atteso. Può rimanerne sorpreso (e, in tal caso l'inseguito può - forse – “battersela”); oppure può scoraggiarsi e rinunciare all‟attacco. Poter brandire un bastone può diventare anche un buon mezzo di difesa. Non solo, ma la stazione eretta può demotivare anche quei predatori, come i felini, che hanno bisogno di un buon piano di appoggio sul quale balzare per atterrare la preda, vale a dire il dorso. Il bipede non lo offre e quindi non si rende prontamente appetibile a questo tipo di carnivoro. Al di là dei pregi o dei difetti, il movente storico della stazione eretta è stato sempre quello dell'utensile. Tuttavia, la lavorazione della pietra è documentata molto tempo dopo la conquista del bipedismo, forse anche più di un milione d‟anni dopo. Si suppone attualmente che vi fossero due possibili forme di verticalità: una terrestre “a tutto tondo” e una in cui vi era ancora la capacità di arrampicarsi sugli alberi. Come poi ciò abbia portato alla caratteristica andatura bipede è fonte di notevoli speculazioni. Fino a non molto tempo fa, come si è detto, la nostra storia di famiglia voleva antenati "mitici". Potevano anche essere scimmieschi, ma erano esseri che, ad un certo punto, avevano imparato a cacciare. La caccia richiedeva strategie e strumenti, da cui la necessità di liberare le mani per farvi fronte. Negli anni '70, sulla scia del femminismo, il "mito" fu rimaneggiato. La teoria del maschio cacciatore e procacciatore di cibo, maschiocentrica com'era, risultò indigesta alla maggioranza delle antropologhe e fu - in parte - sostituita dall'idea che, in realtà, fosse stata la parte femminile ad aver dato il maggiore impulso alla stazione eretta. In maniera molto semplice: la caccia poteva provvedere solo una quota (e neanche la maggiore), del cibo dell'ominide. L'aliquota maggiore era provvista dalla raccolta itinerante di frutta, radici, semi, bacche e tuberi. Alla quale erano deputate le nostre lontane antenate. Questa attività richiedeva il percorso di tratti anche lunghi con le braccia cariche di vettovaglie e prole. Di conseguenza, l'acquisizione della stazione eretta stabile avrebbe avuto il suo maggiore impulso grazie alla parte femminile. Come spesso accade, dietro il successo di un uomo – in questo caso un ominide - cherchez la femme. Negli anni '80 fece capolino un'altra ipotesi, tutt'altro che eroica per noi, nella sua cruda enunciazione, in altre parole quella dell'ominide opportunista. L'ominide avrebbe semplicemente approfittato dell‟attività degli altri animali carnivori, trasportando le carcasse degli animali uccisi dai predatori, nei luoghi dove occasionalmente pernottava o si soffermava per periodi più o meno lunghi. I siti plio/pleistocenici di Olduvai (Tanzania) sembra indichino proprio questa prosaica tendenza. Questo breve excursus storico, illustra chiaramente un fatto che può apparire inquietante: ciò che noi pensiamo riguardo al nostro passato (e non solo) è un "portato" delle idee del nostro presente. Chiedo scusa per questa epistemologia spiccia34, ma francamente, chi si occupa di didattica si ritrova questo problema ad ogni piè sospinto. E l'unico consiglio che può dare è il seguente: occorre essere critici, con la testa ben adesa al presente (e quindi è necessario conoscerlo bene) e con occhi e orecchi ben aperti alle tendenze in atto. Solo così la Storia potrebbe essere rimaneggiata, perché no ? anche da chi legge. Tornando al bipedalismo e ai dati fossili, ciò che appare chiaro è una tendenza, quella a ritrovare le novità che "creano" l'ominide (stazione eretta, riduzione dei denti anteriori e aumento di quelli ai lati, aumento dell'encefalo, istituzione dei prodromi della cultura materiale) ad intervalli separati nel tempo. Ciò fa pensare che l'evoluzione sia avvenuta a mosaico. È possibile pensare che, una volta che l'ominide acquisì alcuni dei vantaggi più su esposti (percezione più accurata degli oggetti, loro estrazione dallo sfondo e loro concretizzazione - oggettivizzazione -), si sia instaurato un dinamismo nuovo tra l'uso degli oggetti come utensili e la stazione eretta. Ciò ha apportato mutamenti selettivi sulla morfologia corporea, e ha sempre più perfezionato l'andatura bipede. Si tratta di inferenze, chiaramente. In effetti, il fenomeno del feed-back35 (un processo in cui i cambiamenti in una componente delle variabili implicate in un sistema, determina cambiamenti nelle altre componenti di quel sistema, i quali, a loro volta, rinforzano i cambiamenti avvenuti nella componente di partenza), è ben noto, diciamo così, in natura. Esso può essere positivo oppure negativo. Quest'ultimo è un meccanismo conservatore, nel senso che in genere mantiene la stabilità di un sistema; il primo è invece l‟apportatore dei cambiamenti adattativi. 33 Extrema ratio. Espressione latina: ultima soluzione, estremo rimedio. Si veda anche, più avanti, l‟altra variante, simile, “ultima ratio” per la sua origine. 34 Epistemologia (dall‟ingl. epistemology, a sua volta dal gr. conoscenza scientifica): in questo caso deve intendersi come l‟analisi critica intorno alla struttura e ai metodi delle scienze. 35 Più avanti verrà data una spiegazione più esaustiva. In questo caso s‟intenda un processo in cui i cambiamenti in una componente delle variabili implicate in un sistema, determina cambiamenti nelle altre componenti di quel sistema, i quali, a loro volta, rinforzano i cambiamenti avvenuti nella componente di partenza. Gli anatomisti, dal canto loro, sono piuttosto divisi sulle modalità con le quali siamo arrivati al bipedismo completo. Alcuni pensano che gli ominidi siano passati attraverso una fase intermedia di knuckle walking (camminata sulle nocche, come quella dello scimpanzé); altri propendono invece verso l'ipotesi che non siano passati attraverso questa fase. In effetti, le ossa del polso e della mano dei resti dell'Australopithecus afarensis non evidenziano questo adattamento. Com'è ben noto, la specie ominide conosciuta più conosciuta al grande pubblico (l‟A. afarensis), è etiope ed è stata datata tra i 3.5 e i 2.9 m.a. fa. È la famosa Lucy. (Parlerò più avanti delle scoperte più recenti). I fossili che compongono il suo corpo, rappresentano circa il 40% dello scheletro e solo un altro fossile di Homo erectus (genere successivo), scoperto recentemente, mostra un così abbondante numero di ossa. Bisognerà arrivare fino a circa 100.000 anni fa per ritrovare scheletri così ben conservati. Alcuni ritrovamenti più vecchi, simili ma non identici, sono stati ritrovati in Africa orientale, e hanno datazioni che si aggirano dai 5.5 m.a. ai 3-4 m.a. fa. L'altro reperto coevo di risonanza mondiale è quello di Laetoli (pr. Liètoli), in Tanzania, datato oltre 3.5 m.a. fa. Esso consiste di orme fossili di due - forse tre - individui, incluse in tufo vulcanico. Esse mostrano chiaramente la piena andatura bipede dei camminatori, i quali, a quanto è dato sapere, marciavano a passo breve e si muovevano come se andassero "a zonzo". Su queste due reperti di importanza capitale, gli addetti ai lavori si sono scatenati, com'è ben facile capire. L‟A. afarensis ha una capacità cranica oscillante tra i 380 e i 450 cc. Il cranio è basso, lungo e simile a quello di un'antropomorfa. Ancora, la cresta nucale (alla quale erano attaccati muscoli potenti per bilanciare la testa), la presenza di una piccola parte facciale superiore e di una grande e protrusa parte facciale superiore, la avvicinano alle antropomorfe; ma la parte craniale basilare e la sua dentatura, la rendono prossima agli ominidi. L'analisi dello scheletro post-craniale mostra caratteristiche di adattamento arboricolo, ciò ha fatto pensare che, nonostante questo essere fosse capace di deambulazione bipede al suolo, poteva passare parte del suo tempo sugli alberi. Non tutti concordano ovviamente: come al solito, le spiegazioni tecniche si rivelerebbero noiose. Altri reperti di A. afarensis mostrano, per riassumere, che la sua morfologia e, di converso il suo comportamento, dovevano essere intermedi tra quelli delle scimmie antropomorfe e degli umani. Questi ritrovamenti in ogni caso, proprio perché combinano un cranio piccolo con la deambulazione bipede, sono da considerarsi come una specie separata dai reperti di Australopitecus più tardivi, anche se essi appaiono, per la loro dentatura, un buon modello di antenato degli Australopiteci e dell'Homo. Domande Cosa vuol dire ominide ? Che differenze generali vi sono tra ambiente di foresta e ambiente di savana ? Cosa significa evoluzione bioculturale ? Quali sono i pregi e i difetti della stazione eretta ? Qual è stata, nel corso del tempo, l‟evoluzione del “mito della caccia” ? Quali sono le caratteristiche tipiche dell‟Australopithecus afarensis ? Gli ominidi e il problema della “glasnost” Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Di come sia difficile il lavoro dei cercatori di fossili umani; Di come sia quasi impossibile poter studiare i fossili appena scoperti per i non scopritori; Quali siano le tappe teoriche per l’interpretazione dei fossili; Come sia possibile incorrere in errori se non vi è un lavoro “di squadra”. Prendiamo confidenza coi nomi. Di scimmie parleremo più avanti. Cominciamo intanto a conoscere, per cenni, gli attori più importanti della Storia Australopiteci. Si pensa siano stati i primi a conseguire la stazione eretta e vissero in Africa a partire da 6 m.a. fa fino a 1 m. a. fa. Caratterizzati da una grande variabilità (anche all’interno di una stessa specie), fanno parte della famiglia degli ominoidei (come scimpanzé, gorilla e uomo). Si contano 7 specie di A., tutti africani. Sono africane dell’est (dall’Etiopia al Malawi), le specie: A. anamensis, afarensis (nota come Lucy), boisei e aethiopicus. Sudafricane sono invece le specie A. robustus e africanus. Del Ciad è l’A. bahrelghazali (detto anche Abele), scoperto fuori dalla Rift Valley (per aver rovinato il quadro avrebbero dovuto battezzarlo Caino…). Tre di questi rappresentanti hanno una particolare morfologia del cranio (robustus, boisei e aethiopicus), per cui vengono anche detti parantropi o australopiteci robusti. Gli antenati degli A. non sono noti, mancano fossili per un periodo che va da 11 a 5 m.a. fa (periodo, guarda caso essenziale ai fini della comprensione dell’acquisizione della stazione eretta), per cui i loro predecessori possibili sono il Kenyapithecus (15-10 m.a. fa) e il Proconsul, che visse 25-15 m.a. fa). Alcuni di loro, da brave primedonne, si contendono la palma dell’antichità: afarensis (4.1-3 m.a. fa), anamensis (4.2-3.5 m.a. fa) e bahrelghazali (4-3.5 m.a. fa). L’Ardipithecus ramidus, scoperto in Etiopia nel 1992, sembra più affine alle Paninae (divisione secondaria alla quale appartengono le scimmie antropomorfe) che alle Homininae (come l’uomo e le australopitecine), ad ogni modo, il suo caso è al momento sub judice. I più robusti parantropi (o A. robusti) compaiono più tardi (da circa 2.6 m.a. fa), ne fanno parte l’A. aethiopicus, il robustus e scompaiono all’incirca 1.4 m.a. fa, con il boisei. La capacità cranica delle A. varia da 400 cc. nell’afarensis, fino a 550 nel boisei. Nella prima forma la statura era di circa 1.1 m., mentre era di 1.5 m. nei robusti. La loro loro fronte era sfuggente; la faccia massiccia e prognata; lo scheletro atto alla deambulazione bipede; la mano fa pensare che fosse possibile per loro la presa di precisione. Le forme più antiche non possedevano un’industria litica, solo i più tardi, per esempio il boisei, sono stati rintracciati in ambiti dove vi erano utensili (dubbi permangono sul fatto che utilizzassero strumenti litici, anche se è possibile che usufruissero di pietre e rami). Preanthropus. Letteralmente: essere anteriore all’uomo, di cui si faticano a leggere le linee di parentela tra A. e umani. Homo habilis. Vecchio di circa 1.8 (forse 2) m. a., è un rappresentante estremamente controverso, sorta di “contenitore fossile”, in quanto tutti i reperti che non sembrava assomigliassero agli australopitecini venivano classificati all'interno di questa specie, per cui alla fin fine, esso dovrebbe mostrare una variabilità troppo elevata. I dati che lo riguardano sono comunque i seguenti: capacità cranica media di 760 cc.; morfologia dentaria più gracile di quella delle A.; cranio più arrotondato, zigomi meno prominenti e faccia più piatta di quella delle A. Detto habilis perché scoperto sullo stesso livello in cui erano stati trovati un boisei e degli utensili scheggiati, per cui la palma dell’abilità spettò a lui, più evoluto fisicamente e, si pensò, anche intellettualmente. La revisione operata sui fossili di questo H., ha fatto proporre una nuova specie: l’H. rudolfensis, più vecchio di H. habilis di circa mezzo m.a. Molti autori sono scettici riguardo a questa specie. Homo erectus. Si ammette che sia vissuto a partire da 1.7 m.a fa in Africa, dotato di capacità cranica superiore alle forme precedenti (circa 1000 cc.), con cranio basso e pareti craniche spesse; il cranio è lungo e piuttosto appiattito superiormente, con una carenatura mediana. La fronte è sfuggente, la faccia aggettata in avanti, manca il mento. La statura è più elevata di quella dell’habilis (150÷170 cm.). Presente dall'Africa orientale fino al Sudafrica e, con le sue forme più tarde anche in Marocco e in Algeria e in Europa. Ritrovamenti anche in Asia: Georgia, Cina (detti Sinantropi) e Indonesia (Pithecanthropus). Vedremo più avanti le sue caratteristiche salienti. Homo ergaster. Secondo alcuni a., questa specie avrebbe coabitato con l’erectus. Si tratta, in ogni caso di una forma che non si diversifica nettamente dall’erectus e che ha pochi rappresentanti al suo interno, per cui potrebbe trattarsi di una variante dell’H. erectus. Homo heidelbergensis Si tratta di una specie estinta del genere Homo considerata a lungo come l’antenato diretto dell’uomo di Neanderthal. I resti migliori datano 600-400.000 a. fa e mostrano un’industria litica considerevolmente vicina a quella acheuleana dell’H. erectus. Possedeva probabilmente il linguaggio e, essendo alto e muscoloso, cacciava grandi mammiferi. Homo floresiensis (?) Recentemente scoperto nell’isola di Flores (Indonesia), vissuto isolato fino a 13.000 anni fa, aveva una statura nana e il cervello non più grande di un pompelmo, ma buone capacità tecniche. Per i suoi scopritori assomigliava notevolmente all’erectus, per cui ipotizzarono si trattasse di una specie distinta, derivata – per riduzione delle proprie dimensioni corporee - da questo. Piccolo di statura, differisce dal sapiens per: assenza di mento, faccia relativamente proiettata verso l’avanti, prominenza frontale e appiattimento della scatola cranica. Se di nuova specie dei tratta, è sub judice. H. sapiens neanderthalensis. Specie vivente unicamente in Europa (e nelle zone asiatiche limitrofe), all’inizio dell’ultima glaciazione (Würm 80÷40.000 a. fa; estinta circa 30.000 a. fa), dotata di crani di capacità elevata, ma lunghi, bassi, con fronte sfuggente, toro sovraorbitario imponente, occipite a forma di chignon. Il corpo era medio-basso, con torace ampio, arto superiore breve rispetto all’inferiore, scheletro robusto con forti inserzioni muscolari. L’insieme fa pensare ad un adattamento al clima freddo. H. sapiens sapiens. L’uomo anatomicamente moderno compare circa 40.000 a. fa: aumenta il lobo frontale encefalico, la fronte si fa verticale, il cranio si gracilizza, compare il mento e i denti riducono le loro dimensioni. Ne riparleremo. Visto che ci siamo, prendiamo anche confidenza coi suffissi Suffissi utilizzati dai tassonomisti Suffisso Esempio Cercopitecoidea ..oidea = superfamiglia Cercopitecidae ..idae = famiglia Colobinae ..inae = sottofamiglia Australopithecus ..us (più comune) = genere Fu necessaria l‟implosione del comunismo reale e il sacrificio politico di chi ha fortemente contribuito ad attuarla (Gorbaciov) perché il termine russo glasnost (trasparenza) si affermasse a livello mondiale. Glasnost è ciò che taluni paleontologi richiedono, ossia una maggiore accessibilità ai fossili per poterli studiare e confrontare. Novembre 1998. Un gruppo giapponese sterrò i resti fossili mandibolari di Bahinia pondaungensis, un antico primate. Quindici giorni dopo, un gruppo francese, visitando lo stesso sito, raccolse i rimanenti resti di mandibola, e il primate fu riconosciuto (e rapidamente “pubblicato”) come nuova specie. Il gruppo francese, ovviamente, non sapeva nulla di ciò che aveva raccolto quello giapponese (che, peraltro, deve ancora dare alle stampe i suoi dati, forse perché preso alla sprovvista dalla publicatio praecox dei colleghi oppure perché, siamo umani, via, per ripicca). Fatti simili non mancano nel teatrino paleontologico. Attualmente vi sono tre ominidi molto antichi, più vecchi di 4 m.a., che hanno sconvolto il panorama sull‟origine del nostro lignaggio. L‟Ardipithecus ramidus36, il Sahelanthropus tchadensis37 e l‟Orrorin tugenensis38 non sono noti in dettaglio, ma solo perché è stato fatto un annuncio iniziale. Fossero noti del tutto, sarebbe più semplice compararli tra loro e con altri e ricavare perciò ipotesi più plausibili sulle nostre origini. Il primo tra i reperti (datato 4.4 m.a.), è stato dapprima riconosciuto come Australopithecus ramidus; dal 1995 invece, è diventato nuova specie. Sembra il cosiddetto anello di congiunzione tra le scimmie antropomorfe africane e l‟Australopiteco. Alcuni caratteri lo fanno accostare alle grandi scimmie africane (arti superiori robusti, smalto dentario poco spesso). Il suo foramen magnum (il luogo dove il midollo spinale fuoriesce dal cranio e che nell‟uomo è orizzontale al suolo), lo fa assomigliare agli ominidi più tardi, ciò fa pensare che esso appartenesse ad una fase prossima a quella della separazione delle due linee evolutive ominidi/scimpanzé. Il Sahelanthropus tchadensis è stato ritrovato ben 2000 Km. più ad ovest di qualsiasi altra australopitecina, dimostrando che l‟uomo non è nato nella Rift Valley, perciò le teorizzazioni precedenti sull‟origine dell‟umanità sono andate in frantumi. E‟ chiaro che il reperto è troppo recente, per cui necessita di ulteriori approfondimenti “a tutto spettro”. I suoi denti sono molto robusti (facendo propendere per la sua somiglianza con alcune australopitecine), mentre altri aspetti della dentatura si modificano da quelli delle specie note. Ha il cranio grande come quello dello scimpanzé, incisivi larghi, e orbite distanti tra loro come quelle di un gorilla. La forma e la grandezza dei suoi canini e la parte bassa della faccia tuttavia, lo fanno assomigliare a quella di un antenato di rappresentanti più tardi, nel senso che la sua faccia non è protesa in avanti come quella delle grandi scimmie viventi. Dato che il reperto è stato scoperto solo recentemente, come si è detto, esso è fonte di controversie39. Un‟altra specie cruciale, l‟Australopithecus anamensis40 è stata descritta in dettaglio solo nel dicembre 2001, tredici anni dopo che i primi fossili di questo rappresentante del nostro passato sono stati scoperti. I suoi resti sono composti da varie ossa, tra le quali spiccano le mandibole (i cui tratti la fanno assomigliare a quella di uno scimpanzé, anche se i denti sono più evoluti), tibie (con estremità superiore allargata, che ha la funzione 36 Vecchio di oltre 4.4 m.a., scoperto in Etiopia dal Middle Awash Research Team. Il più vecchio ominide scoperto finora (ma non tutti gli scienziati concordano), ritrovato dopo una decina d‟anni di scavi in Ciad da Michel Brunet (Università di Poitiers, Francia), assieme ad un team ciadiano. Questo cranio è importante per due motivi: è un cranio pressocché completo di un primate che visse tra i 6 e i 7 m.a. fa (gli antenati più vicini a noi sono circa 3 m.a. più giovani); è stato trovato sulle rive del lago Ciad, ben lontano dall‟est Africa (dove fino ad ora i principali fossili erano stati trovati). E‟ stato soprannominato “Toumaï” (dalla locale lingua Goran, che significa “speranza di vita”) e mostrerebbe soprattutto un fatto (se gli scienziati riusciranno a mettersi d‟accordo e ad includerlo tra i nostri antenati): che gli ominidi più antichi erano distribuiti molto più ampiamente di quanto finora previsto. Fonte: Autori vari. (2002) Breakthrough of the Year. Science 298:2297-2303. 38 Scoperto in Kenia da Brigitte Senut e Martin Pickford. 39 Secondo alcuni, infatti, assomiglia ad un ominide per i tratti facciali (dato che non presenta lo scheletro post-craniale che potrebbe dare indicazioni sul fatto che possedesse la stazione eretta o meno), esso potrebbe essere un antenato del gorilla o di una grande scimmia estinta. La sua analisi sta incominciando. 40 Vecchio di 4 m.a., il suo nome deriva da anam, parola locale per lago (dati i numerosi specchi lacustri odierni e fossili dell‟area), descritto recentemente in una monografia da Alan Walker e Meave Leakey. 37 di assorbire le sollecitazioni dell‟andatura bipede) e omeri, che non mostrano l‟incavo profondo che hanno gli scimpanzé nella parte inferiore, per questo non avrebbe camminato sulle nocche. La ritrosia a mostrare i fossili appena scoperti non è solo una questione d‟invidia accademica. Innanzi tutto, come si è detto, il lavoro di un “cercatore di fossili” professionista è estenuante (occorre trovare i fondi necessari, avere buone doti diplomatiche, creare un team di specialisti con il quale passare mesi o anni in posti sperduti e pericolosi, e altre amenità), quindi si può comprendere il desiderio di rivendicare la paternità di un ritrovamento; poi vi sono implicazioni, diciamo così, politiche. Il fatto che il più vecchio ominide sia per esempio ritrovato in Etiopia anziché in Kenia, getta l‟Etiopia sotto i riflettori, perché i mass media ne parlano. Ciò scatena sciovinismi e nazionalismi (basti pensare al ritrovamento dell‟uomo di Similaum al confine tra Austria e Italia e ricordarsi delle lotte per deciderne l‟appartenenza, alla faccia del fatto che tutta quella zona va sotto il nome di Tirol). Si assiste talvolta a dei gentlemen’s agreements41 che qualcuno definisce, poco elegantemente, “mercato delle vacche”. Senut (Museo di Storia Naturale di Parigi) e Pickford (Collegio di Francia) permettono ai colleghi di vedere ma non di studiare l‟O. tugenensis. Brunet (Università di Poitiers) concesse ai colleghi White e Pickford di studiare i resti da lui trovati prima che ne fossero pubblicati i dati, ma in cambio pretese di studiare alcuni reperti di A. ramidus42. Più recentemente, Jacob, decano della paleoantropologia indonesiana, ha ordinato il trasferimento dei fossili dell‟isola di Flores – per scopi di studio e salvaguardia – a Giava, con grandi lai da parte di molti ricercatori. Essendo nota la sua propensione a non dividere con altri le sue scoperte, alcuni temono che le ossa trasferite non saranno mai più studiate. Ne consegue che le attese per conoscere i dettagli dei ritrovamenti fossili sono lunghi e che i paleontologi umani meno intraprendenti (gli armchair paleoanthropologists43) o quelli meno fortunati, fremono perché i tempi si riducano e sia fissato un limite ragionevole perché anche ad altri studiosi sia possibile verificare le loro ipotesi. Ora, spesso accade che le descrizioni originali siano addirittura sbagliate; ma questo è logico, perché occorre un gruppo internazionale d‟esperti e un lungo dibattito, prima che tutte le implicazioni che nascono da un ritrovamento siano accertate. Le tappe logiche dell‟interpretazione di un resto fossile dovrebbero essere più o meno le seguenti: A) selezione di un sito e sua ricognizione. B) Scavo nel sito, recupero dei fossili. C) Assegnazione di codici numerici ai fossili, per una rapida identificazione. D) Studio dettagliato dei reperti. E) Comparazione con altri fossili, possibilmente in ordine cronologico. F) Comparazione delle variazioni osservate con i tipi di variazione osservata nelle specie di Primati noti. G) Battesimo, ovvero assegnazione tassonomica al materiale fossile. Non sempre queste fasi vengono seguite tutte. Vi è poi la paura dei paleoantropologi di confrontarsi con i colleghi, la quale spesso fa sì che molti paleontologi tengano i reperti ad impolverarsi nel limbo dei loro ossari fossili44. Occorrerebbe creare un database45 simile a quello della GenBank, dove i genetisti depositano i dati delle sequenze geniche non appena essi sono stati pubblicati. Le tecnologie non mancano. Manca forse la voglia di glasnost, appunto. Sia come sia, a parte i resti nominati più su, il primo sito che ha focalizzato l‟attenzione sull‟Africa dell‟est come miniera potenziale “d‟oro fossile” è stata la gola di Olduvai in Tanzania. Situata nella piana di Serengeti, la gola è una riproduzione in miniatura del Gran Canyon. Dopo che per milioni d‟anni si sono accumulati sedimenti (vulcanici, lacustri, fluviali), circa 70.000 anni fa cominciò ad aprirsi una faglia, per cui i fiumi scavarono dei varchi che tagliarono gli strati accumulatisi, formando una gola di circa un centinaio di metri, circondata oggigiorno da savana con boscaglia e alberi d‟acacia. Si pensa che, da un punto di vista climatico, il sito sia simile a quello di circa due milioni d‟anni fa. La creazione di una faglia ha esposto i letti geologici che normalmente sono nascosti. L‟attività vulcanica ha causato un rapido processo di sedimentazione (preservando le ossa e i manufatti) e permesso le datazioni radiometriche. Dopo che Mary 41 Gentlemen’s agreement: “accordo fra gentiluomini”. In politica internazionale, accordo tra due paesi fondato sulla buona fede reciproca. Anche: accordo informale. 42 Gibbons A. (2002) Glasnost for Hominids: Seeking Access to Fossils. Science 297:1464-1468. 43 Traducibile in italiano come “paleontologi da tavolino”. 44 Occorre anche aggiungere che potrebbe esistere la paura che vengano scoperte manipolazioni più o meno inconsce e di dati relativi ad un reperto: è accaduto per ben due volte con il cranio KNM-ET-1470, di notevole importanza “strategica”. 45 Database, ma anche data base. Dall‟ingl., composto di “dato” e “base”. Base di dati. Archivio di dati correlati, organizzati in modo da essere facilmente, rapidamente e selettivamente rintracciabili uno per uno o per gruppi determinati, mediante un apposito programma di gestione e di ricerca al computer nella cui memoria risiede. Leakey scoprì “Zinj”, un australopiteco robusto nel 1959, numerosi altri siti dell‟est Africa sono stati in seguito esplorati. Le tracce d‟ominide (o simil-ominide) più antiche sono prima denti e poi mandibole datate 11-10 m.a. (Ngorora). Seguono Lukeino (7-4.5 m.a.), il Lago Baringo e quello Turkana (Kenia). Il sito forse più famoso è quello di Laetoli, situato ad un cinquantina di chilometri a sud di Olduvai. La datazione46 provvisoria col K/Ar ha dato un‟età di 3.77-3.59 m.a. Oltre a 24 campioni d‟ominide, il sito è famoso per le impronte di due (forse tre) individui. Per la prima volta abbiamo una certezza sulla locomozione: gli studi mostrano che questi antenati erano completamente bipedi, vale a dire che la loro andatura era molto simile a quella moderna. Alcuni autori, tuttavia, non sono completamente d‟accordo, in quanto le comparazioni eseguite con l‟uomo attuale (lunghezza e cadenza dei passi, velocità dell‟andatura), mostrerebbe che gli ominidi di Laetoli si muovevano con un‟andatura prossima alla passeggiata (they moved in a “strolling fashion47”) con falcata breve. In Etiopia del nord est, nel triangolo dell‟Afar s‟intersecano il Mar Rosso, la Rift Valley e il Golfo di Aden. In un‟area di 42 km2 chiamata Hadar, i paleoantropologi hanno trovato letti geologici ben preservati di un centinaio di metri. Qui sono stati ritrovati reperti che hanno per lungo tempo impegnato gli studiosi nelle datazioni, in un caso, però, il reperto più famoso (lo scheletro di Lucy) è sicuramente datato intorno ai 3 m.a. Come si è detto, Lucy (tecnicamente AL 288-1 - AL sta per Afar Locality), presentando circa il 40% dello scheletro, è sicuramente uno dei più completi reperti mai ritrovati (ne vedremo alcuni dettagli più avanti48). 46 Datazione. Dal lat. mediev. data, part. pass. di dare, per indicare quando e dove una lettera era stata, appunto, consegnata. Vari sono i metodi che premettono di sapere quanti anni abbia una roccia o un frammento di roccia. Ne cito alcuni. La stratigrafia, (dall‟ingl. stratigraphy, composto di strato e grafia), è lo studio degli strati geologici e permette di conoscere i diversi depositi in cui si trovano dei fossili e, nel contempo, dà notizie sulla forma di deposizione, la sua sequenza e la sua età. La geologia utilizza oggi metodi molto più sofisticati. La dendrocronologia (dal gr. “albero”, “tempo” e “discorso su”), studia i reperti antichi in legno di una regione, osservando se i loro anelli di accrescimento si allacciano alla serie di qualche albero vivente. Il metodo delle varve (così sono denominati in Scandinavia i depositi di argilla lasciati in genere dai torrentelli che fluiscono dai ghiacciai), studia la successione di straterelli chiari (estivi) e scuri (invernali): semplicemente si contano. Come il precedente, tale sistema non è valido su scala geologica. Conoscendo i ritmi del decadimento radioattivo di un elemento, misurandone la radioattività odierna, si può risalire molto indietro nel tempo. Il carbonio 14 (un isotopo del C che si forma negli strati alti dell‟atmosfera e che, sotto forma di CO 2 entra, anche se in quantità minima, negli organismi viventi), tende a trasformarsi in carbonio 12, per esempio. La sua quantità resta costante fintantoché un organismo vive, ma alla sua morte si dimezza in circa 5700 anni, dopo altri 5600 si riduce ad un quarto, e così via. Per cui se un organismo fossilizza, è possibile datarlo. Dopo 35-40.000 anni, per il fatto che il tempo di dimezzamento del 14C è breve, i valori divengono via via meno precisi. Gli altri decadimenti radioattivi usati comunemente e che permettono di risalire a milioni di anni, sono il decadimento da rubidio a stronzio, quello da uranio a torio, e quello potassio/argo, il quale è influenzato dalla temperatura, per cui i risultati, fino a non molto tempo fa, erano spesso incerti. La biocronologia (dal gr. “vita”, “tempo” e “discorso su”), studia i resti di piante e di animali ritrovati assieme al reperto fossile allo scopo di stabilirne la datazione. La palinologia (dal gr. “spargere” e –logia), in questo ambito, studia i pollini fossili e non. Lo studio dei coproliti (dal gr. “sterco” e “pietra”) invece, è fatto sugli escrementi fossili, di solito grigio scuro e neri, composti da carbonati e fosfati, che si trovano in caverne ossifere e terreni sedimentari. 47 To stroll. Passeggiare, ma anche girovagare, andare a zonzo, camminare lentamente. 48 Non ho controllato i dettagli, ma secondo P. Schmid e M. Häusler, la nostra bisavola Lucy sarebbe, in realtà, un Lucio. Com‟è ben noto, nessuno è perfetto, meno che mai i miti. La citazione è indubbiamente datata, ma quanto mai calzante. La valle scavata dal fiume Omo (in Etiopia del sud, proprio a nord del lago Turkana) è altrettanto importante, con reperti culturali datati 2 m.a. (oltre ai soliti denti – 200 – mandibole e frammenti di teschio, e persino un‟ulna completa). Ad est (ma anche ad ovest) del lago Turkana, molti reperti di rilievo sono stati portati alla luce in seguito. Per dovere di completezza, occorre ricordare che nel primo quarto del secolo scorso si pensava che l‟origine dell‟uomo fosse da ricercare in Asia, dato che forme fossili di un uomo primitivo erano state ritrovate in Indonesia nel 1890. Anche l‟Europa si contendeva la palma di centro dell‟evoluzione degli ominidi, visti i numerosi ritrovamenti di Homo sapiens (compresi i Neanderthaliani) trovati costì. Pochi insomma, credevano alle preveggenze di Darwin, secondo il quale bisognava cercare in Africa49 le nostre origini. Per cui, quando Raymond Dart scoprì grazie ad un suo studente nel 1924 il cosiddetto “bambino di Taung”, battezzato Australopithecus africanus, l‟impressione fu enorme, perché l‟Asia e l‟Europa perdevano, in qualche modo, un primato. Il Sud Africa si dimostrò una fonte notevole di reperti (coi siti di Sterkfontein, Swartkrans, Makapansgat, cito i più famosi, studiati anche ai nostri giorni), ma ci volle tempo perché le australopitecine fossero riconosciute come ominidi primitivi. Con la loro accettazione fu chiaro che si rese necessario anche riconoscere che il cervello umano ebbe la sua espansione più grande dopo che vi furono cambiamenti nella dentizione e nella locomozione. Si affermò l‟idea che un sistema funzionale si evolve in modo proprio e che l‟evoluzione umana è a mosaico. 49 C. Darwin (1871), in “The Descent of Man”: …è probabile che l’Africa sia stata inizialmente popolata da grandi scimmie estinte prossime ai gorilla e agli scimpanzé e queste due specie sono ora i parenti più prossimi all’uomo. Per cui è in qualche modo probabile che i nostri più lontani progenitori siano vissuti in Africa… Domande Quali sono le scoperte più vecchie di 4 m.a. fa che hanno cambiato il nostro lignaggio ? Per quali motivi è difficile accedere alle nuove scoperte paleoantropologiche ? Quali sono le tappe logiche dell‟interpretazione di un resto fossile ? Quali sono le tracce più antiche di ominidi (o di simil-ominidi) ? Quali sono i luoghi africani che hanno offerto la maggior mole di reperti fossili di ominoidi e di ominidi ? Filogenesi Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Di cosa significhi “fare una filogenesi”; Di cosa significhi fare un albero genealogico con rami o fronde mancanti; Di come chiunque possa essere tentato di costruire un albero genealogico; Dei marchingegni utilizzati per non perdersi tra rami e fronde (genealogiche). 50 Gli alberi evolutivi (le rappresentazioni delle filogenesi ) cui tutti siamo abituati e ai quali diamo in genere occhiate distratte, possono essere costruiti solo quando una specie è stata riconosciuta come tale. Vi sono periodi ricchi di fossili, altri con notevoli “buchi”. (La ricchezza non dà la felicità, figuriamoci la miseria). Sia come sia, i paleontologi sono sempre tentati all‟arborizzazione evolutiva scatenando talvolta notevoli controversie tra loro, quando farebbero meglio ad indagare su aspetti poco noti come il comportamento o le strategie di sussistenza. Siccome una nuova scoperta può sempre essere dietro l‟angolo, può accadere che i fossili esistenti rappresentino delle specie che in realtà non sono quelle già riconosciute formalmente. Ora, se noi presumiamo ragionevolmente che una specie di primate abbia una longevità media di 1 m.a., dovrebbero essere esistite almeno 6000 specie di Primati. Ne conosciamo 180 circa, il che rappresenta solo il 3% delle specie possibili. È come se un numismatico del futuro, senza documenti cartacei di riferimento, volesse ricostruire la storia dell‟euro partendo da un paio di monete da due euro: una finlandese e un‟italiana (ramo di quercia e Dante nella faccia non comune), più qualche altra moneta da un euro irlandese, spagnola o tedesca, e da alcune altre, precedenti l‟avvento della moneta unica europea. Immaginiamo i pasticci di cui sarebbe capace. Vi è da aggiungere che negli ultimi 35 m.a. si stima siano vissute 84 specie d‟ominoidi, di cui solo la metà è nota dai fossili. Negli ultimi 8 m.a. circa si pensa siano esistite 16 specie d‟ominide, di cui solo una decina o poco più sono state riconosciute. Quando costruiamo un albero evolutivo, allora, costruiamo alberi con metà delle loro fronde mancanti. Durante la prima metà del secolo scorso veniva assegnato il nome di una nuova specie ad ogni nuovo fossile scoperto, fintantoché, per non perdersi in quel 51 cimitero fossile, non si adottò la tecnica del lumping , ovvero si spiegarono le differenze anatomiche tra gli ominidi fossili non più in termini di variazioni tra le specie, ma di variazioni all‟interno di una stessa specie. La tecnica ebbe l‟effetto di ridurre ad una falange di specie quelle note e questo marchingegno, nella sua forma estrema, voleva che una specie di ominide esistesse solo una volta, facendo l‟albero di famiglia una successione di rami (specie) attraverso il tempo, in cui una seguiva l‟altra. L‟ipotesi della singola specie non è più considerata valida, ma tuttora esiste la tendenza ad interpretare le differenze tra i resti trovati come variazioni intra-specifiche piuttosto che extra-specifiche. Non esiste, in realtà, nessuna guida pratica che ci permetta di riconoscere come intra- o extra-specifiche le variazioni anatomiche tra due fossili capaci di segnalare l‟esistenza di due specie separate. Per la filogenesi degli ominidi, la varietà di proposte è alta. Per tagliar corto, vi è stata un‟estesa – ma non universale – accettazione fino a poco tempo fa, del fatto che l‟Australopithecus anamensis fosse il predecessore dell‟afarensis, il quale, a sua volta, sarebbe stato il capostipite dal quale gli altri ominidi sono poi derivati. A questo punto, come spesso, vi è divergenza d‟opinioni: secondo alcuni l‟afarensis avrebbe dato origine all‟A. africanus e poi al genere Homo; secondo altri, avrebbe dato i natali all‟A. africanus e, da questo, si sarebbero originati gli altri australopiteci e l‟uomo. Attualmente, con i nuovi ritrovamenti, il quadro è più complicato; tra i paleoantropologi, soprattutto statunitensi, vige l‟idea che l‟Ardipithecus ramidus sia l‟antenato di tutte le linee ominidi. La visualizzazione che segue illustra tre ipotesi proposte. 50 Filogenesi. Dal gr. “caro a, che ha amore per” e “nascita”. Indica l‟evoluzione e la storia dell‟evoluzione dei gruppi sistematici dalle origini ai giorni nostri. 51 To lump: raggruppare, ma anche aggrumare. Ipotesi Senut I nuovi ritrovamenti hanno complicato il quadro, e altri ancora arriveranno. La verità è che c‟è una sola filogenesi (quella che accadde veramente) e che gli sforzi ai quali si sottomettono gli studiosi riflettono solo una cosa: la complessità dell‟evoluzione. A partire dal 1975, il metodo cosiddetto cladistico52 ha rivoluzionato la filogenesi degli ominidi. Il metodo si concentra solo sulle caratteristiche che riflettono la parentela genetica tra le specie53. Si vedano gli esempi sottostanti. 52 Cladistico. Dal gr. “ramo”, è un metodo che presenta sotto forma di albero (cladogramma) le relazioni di parentela tra gruppi. Diversamente dagli alberi genealogici classici, in cui ogni predecessore di una o più specie è situato su un ramo, nel cladogramma non vi sono antenati e tutte le specie sotto confronto sono poste all‟estremità di rami. 53 La fenetica (dal gr. “apparire”) e la tassonomia evoluzionistica, sono due altri approcci utilizzati per definire le relazioni tra organismi. La prima misura tutti gli aspetti riguardanti le somiglianze tra organismi (e quindi magnifica le somiglianze nell‟adattamento), la seconda è una via di mezzo tra la fenetica e la cladistica. Domande Quante sono le specie di Primati che potrebbero essere esistite nel tempo ? Perché? Cosa significa costruire un albero genealogico ? Cos‟è la tecnica del lumping ? Cosa significa variazione intra-specifica e cosa comporta ai fini della filogenesi ? L’antropologia molecolare Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) Di cosa sia un orologio molecolare Di come gli studiosi delle molecole e quelli dei fossili si siano dapprima sfidati e poi siano giunti a far pace. Di quali siano gli altri metodi utilizzati in biologia molecolare per far luce sul nostro passato remoto Un modo per ricostruire la filogenesi è anche quello molecolare. Si parte dall‟idea che la storia evolutiva di ogni specie vivente sia inscritta nei suoi geni. Teoricamente allora, è possibile ricostruire ogni albero genealogico se si ha accesso all‟informazione genetica, per eseguire comparazioni tra le specie prossime. Un albero possiede sempre una forma, la quale nel caso di quello genealogico indica la vicinanza o la lontananza tra le specie. Poi ha dei rami, più o meno lunghi. Questi indicano il tempo, ovvero la lunghezza del tempo intercorsa tra le divergenze. Il cosiddetto orologio molecolare riguarda questo aspetto. Si è visto che le differenze anatomiche e morfologiche sono state per anni il primo movens della ricostruzione filogenetica e, anche se è stato fonte di diatribe appassionate (ma anche rancorose), è servito bene allo scopo. L‟antropologia molecolare si è affermata, a partire dagli anni sessanta del secolo passato, come la branca che permette di valutare meglio la lunghezza dei rami e la forma complessiva dell‟albero geneaologico di una specie. La sua apparizione ha creato ulteriori discussioni e controversie, ma orami si tratta di una disciplina conclamata e la sua utilità è indiscussa. Essa parte dall‟assunto 54 che, qualora un lignaggio si sia suddiviso in due taxa , le mutazioni genetiche dovrebbero accumularsi in maniera indipendente nei due taxa, per cui quanto più a lungo esse sono stati separati, più differenti i loro geni saranno diventati. Ora, non tutti i geni accumulano mutazioni allo stesso tasso, ma ciascun gene lo fa, anche se gli spostamenti delle lancette hanno tassi differenti. Ora, il dibattito serrato riguarda il fatto che, qualora le mutazioni genetiche abbiano un tasso costante, l‟orologio molecolare è affidabile. Se invece varia all‟interno e tra i lignaggi, allora non lo è più. Il problema è stato solo accennato (è alquanto complesso), ma alcuni risultati hanno rivoluzionato le nostre idee. Sono poi stati affrontati studi che hanno messo insieme l‟analisi morfologica e quella molecolare; altri che hanno addirittura adottato tecniche miste quali la già menzionata ibridizzazione del DNA, la 55 comparazione immunologica, l‟elettroforesi delle proteine , ottenendo risultati molto brillanti. Cito, per esempio, il fatto che la divergenza ominidi/grandi scimmie africane sia stata datata 5 m.a fa anziché 15; che gli scimpanzé sono più prossimi a noi che ai gorilla; che tra gli scimpanzé esistono differenze più ampie di quelli esistenti tra le varietà umane. Occorre chiarire che il DNA degli uomini moderni è la registrazione di antiche migrazioni, l‟apparenza continua di nuove mutazioni, la selezione svolta dai cambiamenti climatici e dalle epidemie, e incroci tra popolazioni determinati da fattori culturali. Le recenti acquisizioni hanno permesso di ricostruire le origini africane, le migrazioni fuori da questo continente, i movimenti che si sono succeduti in Eurasia e in Oceania, il 54 Taxa. Plurale di taxon, dal gr. “ordine”. In biologia il termine indica una categoria sistematica non meglio definita (specie, genere, famiglia e così via), che significa entità, o gruppo. 55 Elettroforesi. Dal lat. scient. electricus, a sua volta dal lat., derivato dal gr. “ambra”, sostanza che ha la capacità, se sfregata, di attrarre corpi leggeri; e dal gr. “trasporto”. Fenomeno fisico che comporta lo spostamento unidirezionale di particelle colloidali (micelle) sotto l‟azione di un campo elettrico tra due elettrodi, sfruttato per separare la fase dispersa di un sistema colloidale, come per esempio quello riguardante la composizione proteica del plasma. 56 popolamento delle Americhe . In realtà, anche in questo ambito occorre chiarire che non è il caso di lasciarsi andare ai trionfalismi, perché molto spesso gli errori metodologici vi sono, e sono talvolta clamorosi. Purtroppo i paleoantropologi sono abilissimi nell‟arte del compromesso. Ricordo un convegno a Torino, avvenuto quando ancora i primi orologi molecolari faticavano ad imporsi sulla scena, ma sembravano il non plus ultra57 della “sofisticatezza”. I dati riguardanti la separazione scimpanzé/ominidi provenienti dai fossili indicavano un‟età di 7 m.a., mentre quelli molecolari di quattro. Ebbene, si optò per un dato compromissorio: 5 m.a. all‟incirca. Ciò, da un punto di vista scientifico è inaccettabile. O hanno ragione i “molecolari”, per cui i dati paleontologici sono in qualche modo “falsificati” (o così incerti da non permettere predizioni), o viceversa. Ricordo che l‟accadimento m‟infastidì molto, non è possibile fare una “media aritmetica” tra 7 corna di cervo e 4 vasetti di caviale. Sarebbe stato forse più serio mettersi “in cucina”, lavorare assieme e cercare di elaborare un “piatto comune” (che nessuna fantasia gastronomica, anche sfrenata - dati gli ingredienti - può rapidamente condurre a qualcosa di edibile)58. In seguito, in ogni caso, il raccordo è avvenuto. Sia come sia, la stessa origine dell‟Homo sapiens sapiens è stata spostata da 35-45.000 a. fa ad oltre 100.000 a. fa, grazie agli studi sul DNA. mitocondriale, ovvero quello contenuto negli organelli cellulari che fungono da “accumulatori di energia” (sotto forma di ATP) per le cellule. Il DNA mitocondriale è un orologio molecolare dal ticchettio rapido. A dispetto di quello nucleare, che eredita metà della catena dal padre e metà dalla madre, il DNA mitocondriale, contenuto nella cellula uovo, passa solo attraverso le femmine (perché quando lo spermio fertilizza un uovo, lascia i suoi mitocondri fuori da esso). È necessario riferire che sono stati compiuti importanti ed estesi studi sul cromosoma Y che si sono rivelati anche più attendibili di quelli sul DNA mitocondriale. Il cromosoma Y determina il sesso maschile e le sue mutazioni “neutrali” (quelle che non determinano conseguenze letali), vanno a far parte dell‟eredità paterna. Essi rappresentano una traccia sicura delle nostre ascendenze. I dati sulle variazioni genetiche del cr. Y mostrano che i viventi di oggi (H. sapiens sapiens) hanno avuto origine da una piccola popolazione africana (orientale) la quale, da 10.000 a 50.000 a. fa, ha dapprima invaso l‟Africa e si è poi espansa in Asia, divisa in due grandi gruppi. Uno di questi ha migrato lungo la costa sud, raggiungendo poi la Nuova Guinea, l‟Australia e l‟est Asia. Un altro si è diretto verso l‟Asia centrale, raggiungendo ad ovest l‟Europa e ad est la Cina e la Siberia. Un piccolo gruppo, inseguendo probabilmente renne, ha oltrepassato lo stretto di Bering, raggiungendo l‟America. Il popolamento del globo si è concluso 20†15.000 a. fa. (Sintesi da un‟intervista a Luca Cavalli Sforza, apparsa su “La Repubblica” del 19-12-2002). 56 Con l‟aumento delle tecnologie genomiche l‟analisi del genotipo ha incorporato nuovi marcatori: i gruppi sanguigni, il polimorfismo delle proteine, gli aplotipi del cromosoma Y, marcatori altamente variabili dei microsatelliti nucleari; oltre, beninteso al DNA mitocondriale. Aplotipo (dal gr. “semplice” e “tipo”) significa, appunto, tipo semplice. 57 Non plus ultra. “Non più oltre”. Secondo la tradizione, questa iscrizione era posta sulle colonne d‟Ercole; Carlo V ne trasse il motto per una delle sue imprese. 58 Qui ho corso un po‟ troppo. Bisogna intanto dire: a) che la biologia molecolare applicata alla paleontologia non è un sistema di datazione assoluto, b) che il metodo va sempre calibrato su eventi paleontologici noti. Ne discende che, se fossero accertate specie di ominidi più vecchie di quelle attualmente note, gli “orologi molecolari” dovrebbero essere ritarati su queste. Ciò che m‟infastidì al convegno fu il fatto che gli scienziati si fossero messi d‟accordo subito e non dopo lunghi e laboriosi approfondimenti. Grazie agli studi sul DNA mitocondriale e sul cromosoma Y, gli scenari sull‟origine dell‟uomo moderno sono stati cambiati. Permangono, in ogni caso, dubbi sui dati e il trattamenti al quale sono stati sottoposti i dati forniti. Gli studi messi in opera con il DNA fossile, sono un po‟ più attendibili e hanno, per esempio, permesso di confrontare gli acidi nuclei dei neanderthaliani con quelli degli uomini moderni di diversi continenti; le conclusioni che sono state tratte riguardano il fatto che il neanderthaliano (vedi oltre) si è probabilmente estinto senza dare particolari contributi genetici all‟uomo moderno (è da considerarsi addirittura specie a sé stante ?). Domande Su quali presupposti teorici si basa l‟antropologia molecolare ? Quali tecniche usa ? Quali rimaneggiamenti ha comportato questa branca disciplinare nel contesto paleoantropologico ? Parte II – I presupposti neurobiologici e la loro evoluzione Premessa La parte che segue merita un paio di premesse. Innanzitutto tratta argomenti piuttosto complessi e, anche se tenterò di renderli piani, temo che tali rimarranno per due ragioni. Intanto non vi è un consenso generalizzato su termini come coscienza, Sé, identità e altri costrutti che userò; poi, il periodo che stiamo vivendo (che alcuni definiscono postmoderno59, ma anche post-postmoderno), è caratterizzato da incertezza e pervaso da un dubbio radicale, quello, cioè, che insiste sul fatto che ciò che il corpo è prende la forma di ipotesi sempre pronte ad essere riviste e che, pertanto, possono essere ad un certo punto, abbandonate. Seconda premessa: di solito i testi che trattano di evoluzione dell‟uomo, si affacciano appena ai grandi temi quali la costruzione della mente, della coscienza e del Sé60; introducono il discorso sul linguaggio spiegando per lo più la sua evoluzione anatomo-fisiologica; trattano a malapena grandi temi sociologici come la relazione individuale/sociale per esempio, perché l‟evoluzione è quasi sempre vista come “fenomeno di massa”, che coinvolge “grandi numeri” e nel quale gli apporti che possono dare i cambiamenti che avvengono nei singoli individui sono interpretati come gocce d‟acqua che si diluiscono nel grande mare del divenire61. Senza la pretesa di mettere in discussione la costruzione evolutiva classica (che rimane centrale, nel nostro discorso), ritengo invece che si perda qualcosa non considerando il singolo individuo nel contesto sociale (e l‟apporto che dà) per il semplice fatto noi siamo fatti di corpo e un corpo è il primo simbolo del Sé e il primo determinante del Sé, anche sociale (ed è anche, fra l‟altro, ciò che di più pregnante resta a livello fossile: negli strati geologici rimangono resti di singoli individui che noi consideriamo prototipi. Nei letti geologici rimane però solo il simulacro62 di ciò che era un individuo). Per farla breve, parto dal presupposto che la Storia sia fatta di singoli individui (quest‟affermazione è lapalissiana63), i quali però, singolarmente, con le loro emozioni, contribuiscono al divenire di una specie (e questa, forse, è la novità per chi non conosca i 59 Postmoderno. Dall‟ingl. postmodern, comp. di “post- ” e “moderno”. A partire dagli anni ‟60, si affermò, in architettura, letteratura, nei movimenti culturali e nelle arti, una tendenza caratterizzata dal rifiuto dell‟ideale di progresso e dalla negazione del nuovo e dell‟inedito, con proposte che miravano a superare le istanze razionalistiche del movimento moderno, il quale, in architettura, fu una corrente del secolo passato che promuoveva l‟architettura e la produzione industriale a fattori di progresso sociale (es.: A. Aalto, Le Corbusier, W. Gropius, F.L. Wright). I postmoderni, allora, sono, in termini generali, i seguaci di movimenti artistici, filosofici e culturali che hanno assunto questa posizione critica. Moderno. Dal lat. “or ora, recentemente”, ciò che è proprio del nostro tempo e che ne ha gli aspetti, in relazione al progresso e alla rapida evoluzione che caratterizza la nostra epoca. Tutti si ricordano che a scuola il periodo moderno andava, pur con limiti variabili, tra la fine del medioevo e il congresso di Vienna del 1815; mentre una letteratura moderna può essere riferita sia al secolo XIX e/o XX, ma può anche tendenze contemporanee. 60 Sé. Dal lat., forma forte della declinazione del pronome riflessivo di terza persona; indica, in parole semplici, la rappresentazione mentale che ciascun individuo ha di se stesso; oppure, messa la questione in altri termini, il sé rappresenta la nostra “propria” conoscenza di noi stessi. È quindi un costrutto mentale che assomma percezioni estero- e propriocettive ed è fortemente connesso con la storia (esperienza) individuale di confronto col prossimo. Esso si configura come: a) un concetto, ovvero un indistinto insieme di sé contesto-specifici, forse uniti da un sé prototipico oppure da un teoria che ci spiega come mai noi siamo una persona in un determinato ambito e un‟altra in altre situazioni. b) Una storia, ovvero un racconto o una serie di racconti che ci siamo costruiti e abbiamo provato su di noi in relazione agli altri, che risponde ai quesiti “basici”: “Chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando e ha tutto questo un senso ?”. c) Un‟immagine, ovvero una rappresentazione basata su percetti sulle relazioni spaziali e i dettagli visuali delle nostre facce, corpi e gesti. d) Una rete associativa, vale a dire un affastellamento di proposizioni sui nostri tratti astratti, esperienze specifiche, pensieri e azioni, in cui l‟autoconoscenza semantica è rappresentata indipendentemente da quella episodica. Già William James (1890) asseriva: Il fatto conscio universale è il seguente: “Io penso e io provo sensazioni” e non “le sensazioni e i pensieri esistono”. 61 Divenire. Dal lat. “venir giù”. I dizionari filosofici di solito offrono due accezioni: a) contrapposto all‟essere in quanto immutabile, vale a dire la serie dei mutamenti; b) il mutamento considerato in quanto tale, cioè in quanto passaggio da uno stato all‟altro. E‟ contrapposto agli stati statici che servono da punti di riferimento nel divenire, nel senso a). 62 Simulacro. Dal lat. “figura, statua”. Parvenza, rappresentazione esteriore non corrispondente alla realtà, che riproduce parzialmente qualcosa. Mi ha sempre colpito la dottrina epicurea dei simulacra, descritta da Lucrezio (I° sec. a.C.) nel De Rerum Natura, (libro IV), secondo il quale dalle cose si staccherebbero dei sottili veli atomici i quali, identici alle cose, venendo a contatto con i sensi, darebbero luogo sia alla percezione, sia ai sogni. 63 Lapalissiano. Dal nome del capitano francese Jacques de Chabannes, signore di La Palice, al quale i suoi soldati cantarono, dopo la sua morte, la seguente strofetta alquanto naïve (ingenua), ma pungente, per evocarne la “vitalità” come combattente: “Un quart d’heure avant sa mort/ Il était encore en vie” (un quarto d‟ora prima di morire/era ancora in vita). Inequivocabilmente evidente. dibattiti interni alla psicologia evoluzionistica). Vale a dire che mi sono convinto , dopo aver insegnato per anni l‟antropologia fisica e dopo aver assunto altri insegnamenti legati alle neuroscienze e alla psicologia evoluzionistica, che alla base dell‟evoluzione sociale ci siano le emozioni del singolo individuo e che la sommatoria dei comportamenti messi in atto dai singoli di una specie - sulla base delle loro emozioni determini i cambiamenti che fanno l‟evoluzione (sui quali esiste un corpus teorico sterminato, in continuo rimaneggiamento, nella bibliografia specialistica). Per troppo tempo si è visto il corpo come sostanzialmente invariante in tempi brevi, ma dobbiamo tenere bene in mente che i nostri corpi contengono cervelli che li controllano (venendone a loro volta controllati) e che i nostri cervelli sono plasmati dall‟ambiente e dall‟interazione con i conspecifici. Il singolo corpo non è solo un‟identità fisica che è posseduta dall‟ambiente e dal sociale, ma un sistema d’azione. La sua immersione pratica nella vita di tutti i giorni, ovvero nelle interazioni con l‟ambiente e gli altri, produce un progetto del Sé individuale che deve sostenere un coerente senso di auto-identità64 nel contesto in cui un corpo è inserito. Ora, noi siamo più o meno consci del fatto che il concetto di individuo come soggetto “centrale” è un assunto moderno e occidentale, diciamo post-illuminista65, e possiamo solo congetturare su come fossero le diverse “identità personali” dei nostri antenati, i quali vivevano in ambiti sociali incommensurabilmente meno ampi dei nostri. Fare però una storia evolutiva della socializzazione umana senza tener conto del singolo inserito nel contesto è, a mio avviso un‟operazione monca perché la moderna psicologia evoluzionistica propone diversi significati di adattamento66, i quali, pur ripresi dalla biologia, sono più centrati sull‟individuo. Vediamoli. 1) L‟adattamento può essere visto come tratto adattativo. Un tratto a. è una particolare caratteristica del fenotipo, comune a quella dei conspecifici ed ereditaria che permette, grazie ad una sua particolare funzione, di vivere e riprodursi in un determinato contesto ambientale. E‟ concesso, in questa concezione, un certo grado di varabilità individuale. 2) Lo stato di adattamento (o idoneità) di una specie è quello che posseggono gli individui che ne fanno parte e che hanno tratti adattativi atti a vivere e riprodursi. Ovviamente i singoli individui di una specie possono possedere diversi livelli di idoneità all‟ambiente, in conseguenza dell‟insieme di tratti adattativi che hanno. 3) Il processo di adattamento, invece, è una modalità con la quale i singoli o le specie fanno fronte ai cambiamenti ambientali, con lo scopo di ristabilire, mantenere o migliorare la loro idoneità. A livello di popolazione il processo di adattamento si identifica con quello di evoluzione per selezione naturale; a livello di singolo individuo il processo riguarda tutta quella serie di tratti adattativi che un organismo può mettere in atto per far fronte alle variazioni ambientali e che possono includere processi fisiologici, psicologici e comportamentali. 4) Adattabilità, ovvero la capacità di restare adattato. Più che di una capacità si tratta di una potenzialità, sia individuale, sia di popolazioni all‟interno di una specie, ad affrontare – entro certi limiti - una serie di cambiamenti ambientali. Quando, per esempio, si dice che la nostra specializzazione è il nostro cervello, s‟intende dire che la sua capienza e la sua enorme plasticità67 64 Nel senso di “sentirsi a casa” nel proprio corpo rispetto a ciò che noi ci narriamo sul nostro corpo. La concezione “illuminista” individualistica, sociologicamente parlando, era quella che voleva un individuo come una persona pienamente centrata, dotata di ragione, coscienza e azione. Questo individuo aveva un “centro” che emergeva fin dalla nascita e poi restava sostanzialmente lo stesso attraverso tutta la vita della persona. Dopo G.H. Mead e C.H. Cooley, si è affacciato il concetto di Sé sociologico, il quale vuole che il “nocciolo” di un individuo non sia autonomo e auto-sufficiente, ma sia formato in relazione con altre figure significative (significant others). L‟identità individuale, quindi, nasce dall‟interazione tra il Sé e la società. Il singolo continua ad avere un “nocciolo duro” di ciò che pensa essere il suo “Sé reale”, ma questo si forma e si modifica in un dialogo incessante coi mondi culturali esterni ad esso e le identità che questi offrono. 66 Adattamento. Dal lat. “adattare”, indica, in biologia, le modificazioni alle quali sono sottoposti gli organismi al variare delle condizioni ambientali. Si parla di a. fenotipico in cui vi sono cambiamenti fisiologici o morfologici che non vengono trasmessi ai discendenti e di a. genotipico, che riguarda intere popolazioni ed è associato a cambiamenti genetici che, per selezione naturale, diventano patrimonio della specie e possono produrre speciazione. In psicologia, l‟a. è essenzialmente la relazione che un individuo stabilisce con l‟ambiente in cui è inserito, al fine di ottenere la soddisfazione dei suoi bisogni psico-fisici. 67 Plasticità. Dal lat., a sua volta dal gr. “modellare”. Vale per moltissimi aspetti biologici; in neurofisiologia, in particolare, essa è la capacità del SN ad adattarsi alle mutevoli condizioni interne ed esterne, la quale consente, tra l‟altro, di ripristinare una funzione perduta per la soppressione del relativo centro per mezzo dell‟attività sostitutiva di altri centri; ciò vale per la corteccia cerebrale e i centri sottocorticali. Coinvolge memoria, apprendimento, condizionamento, abitudine. Il dogma secondo il quale noi abbiamo un corredo di neuroni alla nascita che deve durare tutta la vita (perché i neuroni non si possono rimpiazzare), è stato sfatato. Il termine neurogenesi, coniato recentemente, indica la comparsa di nuovi neuroni nel cervello in alcune regioni, fenomeno che si manifesta in tutta la vita. Solo che, al momento, i ricercatori non sono affatto sicuri che i nuovi arrivati contribuiscano ai comportamenti sottesi da quelle regioni cerebrali, che includono il canto, l‟odorato e l‟apprendimento. 65 consentono possibilità di adattabilità superiori rispetto a quelle di altri animali che posseggono specializzazioni diverse (per esempio proboscidi o artigli), ma non così plastiche. Come si vede, il concetto di adattamento passa da costrutti che sono biologici ad altri, che sfumano verso lo psicologico. Come si può notare, l‟individuo fa sempre capolino, la stessa biologia lo considera importante. A questo punto, una volta collocato il singolo in una posizione meno marginale, è il caso di riferire una sorta di dicotomia che ho sempre notato in psicologia sociale, vale a dire il fatto vi erano due distinti punti di vista sull‟individuo in rapporto alla cultura. Il primo voleva che il Sé derivasse dai processi sociali e dalle differenti relazioni nelle quali un individuo era implicato, agendovi maniera empirica e facendo esperienza; il secondo punto di vista enfatizzava l‟apporto del singolo, nel senso che i processi sociali derivavano dai Sé personali, per cui tanti singoli – tante entità separate – producevano il processo e l‟ordine sociale68. La prima concezione ben si attaglia alle culture tradizionali e, più propriamente, a quelle non occidentali (l‟individuo che si “annacqua” nel sociale, il lettore pensi alla vita in Cina, per esempio); l‟altra concezione appartiene invece al mondo occidentale. Le scienze cognitive hanno, per certi versi, radicalizzato la cesura tra le due concezioni in quanto: a) studiano il singolo individuo che, per loro, può essere “decontestualizzato”, b) ritengono le società non più come un insieme informe di singoli individui, c) il singolo è visto come un elaboratore d‟informazione e ne consegue che, d) gli oggetti sociali non sono oggetti inanimati, privi di pregnanza, ma potenti elaboratori ed economizzatori di “fatti” cognitivi. Come può, tutto questo, non “fare” evoluzione ? Io sposo, chiaramente la seconda concezione e, in quest‟ottica, pongo l‟accento sul singolo. Per una ragione peraltro semplicissima: i nostri lontani antenati vivevano in bande, in gruppi ristretti, per cui l‟apporto del singolo era essenziale. Accennerò nella parte che segue a concetti (costrutti) quali mente, coscienza, Sé, intelligenza, in riferimeno alla loro genesi. Parlerò del concetto di memoria allargato che si sta affermando e indicherò lo stress come “fattore adattativo”, perché non è possibile, a mio avviso, soffermarsi sull‟evoluzione sociale dei primordi senza tentare una sintesi di ciò che le scienze cognitive offrono in questo periodo storico. Alla fine di questa parte tenterò una sintesi del mio pensiero. Forse la Storia ne sarà agevolata. La costruzione della mente Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Della capacità cranica degli ominidi; Di alcune caratteristiche culturali e del loro peso nel determinare i cambiamenti del cervello; Di quanto sia elusivo il concetto di mente; Di come essa potrebbe essersi sviluppata, a detta di studiosi di diverse tendenze e competenze. A questo punto, l‟inizio di una Storia più “umana”, viene posto, come abbiamo visto, sui 5 m.a., quando le foreste dell‟Africa dell‟est si assottigliarono e molti dei loro abitanti dovettero cercarsi nuovi habitat, per cui quelli che vennero attratti fuori dalla foresta o si adattarono al nuovo ambiente o si estinsero. Tra i 4 e i 3 m.a. abbiamo gli Australopiteci, con una capacità cranica media di 450 cc. Iniziarono a camminare eretti e questo probabilmente permise loro di stabilire nuove relazioni tra conspecifici, basate sulla cooperazione sia per il cibo sia per l‟allevamento dei figli. Questo accadde di certo per i successivi, gli Homo habilis, che prosperarono tra 2.3 e 1.3 m.a. Vivevano in maniera ancor più cooperativa, aumentarono i loro cervelli (600-750 cc.) e cambiarono in 69 meglio i loro utensili . Il tema dominante dei primi ominidi sembra essere la spartizione del cibo e degli utensili e la vita in comune. Ciò portò alla costruzione dei primi “insediamenti mobili” e alla caccia in comune. Il cervello “esplose”. Secondo Haldane, la trasformazione encefalica degli ominidi è quella più rapida subita da un organo finora nota in un organismo complesso. Da 75.000 a 125.000 generazioni (un periodo che va da 1 a 1.25 m.a) si ebbe un cambiamento evolutivo mai riscontrato prima. La versione successiva dell‟uomo primordiale, l‟Homo 68 E‟ l‟irrisolta questione dell‟aspetto storico-sociale. E‟ l‟essere sociale che determina la coscienza (come voleva K. Marx) ? Oppure è la coscienza a determinare l‟essere sociale ? 69 Tobias e collaboratori denominarono questa specie Homo habilis nel 1964, partendo dal fatto che il suo ritrovamento avvenne in prossimità di alcuni strumenti olduvani antichi. Molti tuttora non concordano con questa denominazione. È ritenuto comunque da molti l‟autore degli utensili litici della gola di Olduvai (otteneva schegge taglienti percuotendo ciottoli l‟uno contro l‟altro). erectus, aumentò ancor di più la socializzazione. Alto all‟incirca 1.5 metri e con uno scheletro simile a quello odierno dallo collo in giù, aveva però una testa ancora piuttosto scimmiesca. La sua capacità cranica oscillava tra 775 e 1225 cc (la media di tutti i crani è 1008 cc.). La sua fronte tondeggiante era diversa da quella del suo predecessore, per cui se lo vedessimo di giorno in una stazione della metropolitana in jeans e maglietta, forse non lo noteremmo (di notte probabilmente sì…). Migrò nel vecchio continente (lo troviamo dalla Spagna all‟Indonesia), lavorò la selce in maniera avanzata oltre alle pelli, denotando una cultura “alta”. Visse anche tra ghiacci e disgeli e costruì ripari. Insomma, fece tutto ciò che prepara alla vita attuale: viveva in gruppi, era capace di sopravvivere in nuovi ambienti, era in grado di adattare questi nuovi mondi ai suoi bisogni. Quando scoprì l‟uso del fuoco il suo mondo si allargò (il fuoco allunga il dì, permette scambi interpersonali maggiori, offre la possibilità di cucinare il cibo, per cui diminuisce la masticazione quindi la 70 muscolatura masticatoria ai lati del cranio, favorendone l‟allargamento; il fuoco allontana poi i predatori ) e, probabilmente, introdusse il linguaggio. L‟H. erectus prosperò per un milione di anni e cominciò ad evolversi verso l‟Homo sapiens tra 500.000 e 300.000 anni fa. Quando i primi sapiens (H. sapiens neanderthalensis) fecero la loro apparizione in Europa, gli erectus apparentemente scomparvero. I neanderthaliani furono dapprima messi un po‟ a latere della linea evolutiva umana, in realtà essi probabilmente emersero come una delle altre sottospecie di H. sapiens. Con crani capaci (anche oltre i 1500 cc.), vivevano in società organizzate, praticavano cerimonie e riti funebri. Dato che prosperarono in un‟era glaciale, si adattarono al freddo e costruirono migliori rifugi, abiti e utensili rispetto ai loro predecessori. Per il fatto che crearono organizzazioni sociali abbastanza avanzate, la guerra e la violenza divennero elementi normali delle loro vite (non diversamente da noi). I successivi sapiens, moderni (il più noto è l'uomo di Cro-Magnon71 - 70 L‟H. erectus cominciò ad usare il fuoco più di un milione di anni fa, secondo molti autori, ma non tutti sono d‟accordo. Secondo altri non c‟è chiara evidenza dell‟uso controllato del fuoco fino a 200.000 a. fa, con l‟H. sapiens. Il problema, in questo frangente, è dato dal fatto che i focolari ritrovati sono spesso in cattivo stato di conservazione e che non è per niente facile provare due dati: la datazione del ritrovamento e se che quel supposto focolare fosse intenzionale e non invece dovuto ad un fuoco naturale. 71 Cro-Magnon. Località della Francia sud-occidentale dove sono stati scoperti individui di alta statura, cranio dolicomorfo (allungato in senso antero-posteriore), faccia bassa e naso simile al nostro, viventi nel pleistocene superiore, a cui vengono attribuite le civiltà aurignaziana e magdaleniana (vedi oltre). H. sapiens sapiens), presentano differenze craniche strategiche rispetto ai neanderthaliani. I loro crani, della stessa capacità dei loro predecessori, si elevarono. I loro palati, allargati, diedero loro maggiori abilità linguistiche, aumentando l‟efficienza della cooperazione tra loro. Si pensa che, per l‟evoluzione della mente, l‟arte e il linguaggio, questi tratti siano fondamentali perché permettono astrazione72, simbolismo73 e inventiva. Bene. Ricapitoliamo i “primordi”. 60 m.a. fa nell‟Eocene, nelle proscimmie il cervello si accrebbe gradualmente, probabilmente per le necessità legate alla vita arboricola (movimento e visione). Alla fine dell‟Eocene, l‟encefalo si allargò del 65%. In seguito il cervello aumentò e nelle scimmie e nelle grandi scimmie dell‟Oligocene e del Miocene (all‟incirca tra 35 e 5 m.a.), i cervelli continuarono a svilupparsi, per permettere una maggiore destrezza e una migliore visione. 72 Astrazione. Dal lat. tardo “via da” e “trarre”. Processo mentale mediante il quale una cosa viene isolata dalle altre con cui si trova in rapporto, per considerarla come specifico oggetto d‟indagine. 73 Simbolismo. Dal gr. “simbolo”,, ovvero segno di riconoscimento, formato dalle due metà di un oggetto spezzato che si riaccostano, in questo contesto va inteso come capacità di collegamento. Più avanti nelle note a piè pagina sarà offerta una definizione più dettagliata e articolata di simbolo. Chimpanzee, Gorilla Sts 5, Stw 53, OH 24, ER 1813 D2700, Java Man, Peking Man, ER 1470 ER 3733, WT 15000, Petralona, Rhodesian Man, modern human I nostri antenati vivevano in gruppi e ciò richiede intelligenza sociale. Essa è caratterizzata in parte da una buona memoria delle interazioni sociali, perché la creazione di associazioni parentali e d‟interazioni cooperative è essenziale. La vita di tutti i giorni può rapidamente cambiare la natura di queste interazioni, per cui il cervello dev‟essere molto flessibile per tenere a mente tutti gli aggiornamenti possibili. S‟imparò a diventare elusivi, in 74 qualche modo s‟imparò a fingere. Mendacem memorem esse oportere . Occorre intelligenza per fingere. Sull‟intelligenza atta a far fronte alle forze ostili dell‟ambiente naturale, s‟instaurò anche quella necessaria per far fronte alle sfide sociali. Ciò perché, a poco a poco, il principale “avversario” dell‟uomo divenne l‟uomo stesso. La selezione naturale operò sull‟abilità dei nostri predecessori a mascherare, a sopportare, ad ingannare75, a mettere in atto tutte quelle “finzioni” atte a non intaccare o dissolvere il tessuto sociale. Una paleantropologia della finzione, è ancora tutta da scrivere (se mai lo sarà, anche perché i comportamenti non fossilizzano…)76. In ogni caso, tutte le manipolazioni necessarie per mantenere integro il corpus sociale dei primi gruppi umani non fecero altro che aggiungere carburante al fuoco dell‟evoluzione umana. A parte la corteccia, l‟anatomia generale del nostro cervello è più o meno la stessa di quella degli altri Primati. La corteccia si è evoluta per sostenere l‟apprendimento e la pianificazione. A questo punto occorre chiarire che una volta estesa la teoria di Darwin all‟evoluzione del cervello umano (e quindi della mente) si sono levati molti scudi e non solo dal versante religioso, per cui l‟approccio evoluzionistico alle scienze sociali e cognitive è proceduto con una lentezza esasperante. D‟altro canto, se il corpo umano è stato plasmato dalle pressioni ambientali, perché non può esserlo la mente ? La mente umana deve avere la sua storia evolutiva. Ma, allora, sono state selezionate anche le proprietà intrinseche della mente stessa ? A questa domanda paleoantropologi, neuroscienziati, antropologi culturali, psicologi, archeologi e filosofi hanno tentato di dare una risposta. Senza grande successo, in realtà, anche se è possibile affermare che molto si sta muovendo. Dopo che Chomsky, nel 1959, operò una rivoluzione in psicologia 77 78 attaccando Skinner , le prove sulla modularità di molte funzioni e capacità mentali si sono accumulate. In pratica, si pensava che la cognizione fosse sottesa da una miriade di sistemi innati, canalizzati e specifici, le cui operazioni sono altamente indipendenti o inaccessibili al resto della mente. In seguito il concetto di modularità si è 74 Quintiliano: Il bugiardo deve avere memoria. Ma anche: Omnis homo mendax, tutti gli uomini sono bugiardi. (Salmo). L‟intelligenza necessaria per ingannare deve avere radici molto profonde. Shirley Strum ha riportato il caso di una femmina di babbuino che s‟avvicinò ad un maschio che aveva appena ucciso una giovane antilope. Si mise ad spulciarlo e, quando questo, deliziato, abbassò la guardia, gli soffiò la preda. Whiten e Byrne osservarono un babbuino giovane che s‟avvicinò ad una femmina. Questa aveva appena raccolto uno stelo tuberoso (una leccornia per i babbuini), l‟osservò per un po‟ e poi lanciò un segnale di soccorso, nonostante la situazione non lo richiedesse. Sua madre accorse prontamente e scacciò la femmina ingiustamente accusata. Il giovane babbuino si mangiò il tubero. 76 Se comunicare significa essenzialmente cercare di entrare nelle menti degli altri per cercare di modificare i loro stati mentali, fingere significa comprenderli senza far vedere che si sono capiti. Un‟archeologia della finzione potrebbe essere fatta sui Primati, ma non è chiaro, al momento, se questi possano riconoscere o meno l‟esistenza di stati mentali negli altri. E‟ però probabile, lo scimpanzé Sarah potrebbe esserne la dimostrazione (anche se una rondine non fa primavera). Per chi l‟ha istruita, Sarah possiede i rudimenti di questo riconoscimento. A Sarah venne mostrata una videocassetta in cui vi erano umani di fronte ad un problema. Dopo che l‟ebbe vista, le vennero mostrate alcune foto che mostravano le soluzioni alle varie questioni. Ogni volta Sarah fu in grado di trovare la soluzione giusta per i diversi problemi. I suoi istruttori arguirono che Sarah era capace non solo di comprendere i problemi, ma anche di volerli risolvere allo scopo di aiutare gli umani. Incuriosisce comunque il fatto che a Sarah alcuni istruttori piacevano, mentre per altri provava antipatia. In alcune sessioni scelse le soluzioni corrette per gli istruttori a lei simpatici, quelle sbagliate per gli altri. Come altri scimpanzé lei amava scherzare. Ma ciò non dimostra comunque che i primati comunichino con l‟intenzione d‟influenzare le opinioni e le convinzioni altrui come facciamo noi. 77 Skinner era un comportamentista di ferro, per cui l‟esistenza della mente per lui era relegata nel limbo delle categorie poco scientifiche. Si veda la nota: comportamentismo. 78 Modularità. Da modulo, dal lat. “misura”. Relativo ad un modulo, che è l‟unità elementare costitutiva di un insieme, detto appunto modulare, fatto dalla replica (lineare, superficiale o spaziale) di quell‟unità secondo determinate regole di simmetria e scansione. In etologia, i moduli sono l‟insieme delle azioni che un animale compie in modo stereotipato o seguendo una precisa sequenza, che si ripete ogni qualvolta si presenta lo stimolo che richiede lo svolgimento di una determinata funzione. In informatica, un modulo è un dispositivo fisico o circuitale o elemento di programma che costituisce un‟unità di sistema modulare. 75 79 liberalizzato . Attualmente, un movimento noto come psicologia evolutiva postula che la mente contenga un intero set di adattamenti modulari. È il modello a coltellino svizzero della cognizione (in contrasto con quello che vuole la mente come una sorta di computer pluriuso). Come accadde per le varie “lame” del coltellino svizzero, che furono forgiate sulla base delle esigenze dei militari elvetici, così le diverse modularità sarebbero state selezionate in punti diversi della nostra evoluzione e mantenute o per inerzia o attraverso una selezione che le ha 80 stabilizzate. In contrasto col determinismo ambientale dei sociobiologi , gli psicologi evolutivi pensano che i meccanismi evolutivi generino i nostri desideri e le nostre credenze; ciò che noi facciamo alla luce di questi dipende dalla nostra ragione, dal sociale e dalle preferenze personali. Il problema è complesso, anche perché l‟apporto di altri studiosi, come gli archeologi (molti dei quali provenienti dalle scienze sociali e, pertanto, fieramente convinti che le relazioni socio-culturali siano il motore principale dell‟emergenza e dell‟evoluzione della mente), fa spazio non solo al substrato neurale che è possibile inferire dalla struttura endocranica81 dei nostri antenati, ma anche alle sequenze tecnologiche e geometriche osservabili nei manufatti primitivi. Accade anche che gli archeologi si “allarghino” anche rispetto al comportamento simbolico, il quale è centrale per il pensiero umano e per il linguaggio. Secondo gli archeologi, le moderne capacità cognitive sono da ascrivere all‟alto Paleolitico (circa 35.000 anni fa), periodo in cui fece la sua comparsa l‟arte rappresentativa e decorativa, vale a dire quando i primi riti funebri si manifestarono e la tecnologia litica si diversificò. Alcuni tra loro pensano addirittura che il linguaggio “completo” sia un retaggio di questo periodo, anche se i paleoantropologi pongono l‟origine del linguaggio più indietro nel tempo. In realtà, la cosiddetta “esplosione culturale” dell‟alto Paleolitico sembra più una particolarità dell‟Europa, in quanto, in altre parti del mondo, essa è avvenuta quasi in 82 contemporanea, ma molto più gradualmente. Gli stessi antropologi culturali sono divisi, rispetto al problema. Innamorati come sono della quasi infinità varietà dei sistemi relativi alle credenze, i comportamenti e le pratiche sociali, questi studiosi sono molto propensi, per deformazione professionale, a riportare la mente sotto l‟egida socio-linguistica. Vi sono quelli che, pur abbracciando spiegazioni darwiniste sulle culture umane, cercano di spiegare le diversità culturali in modo analogo a quello della selezione naturale in biologia. La trasmissione culturale è stata, per loro, sottoposta a mantenimento selettivo di ciò che serviva. Si badi bene che, diversamente dai sociobiologi, questi studiosi non legano direttamente i comportamenti alla base genetica. Vi sono altri antropologi culturali che hanno un differente approccio: lasciano perdere le implicazioni evolutive e tentano di scoprire se vi siano o meno degli “universali” cognitivi che sottostanno alle diversità culturali e sociali. Un lavoro non da poco. Mancavano all‟appello i filosofi. Per forza di cose il loro approccio è generale e questi pensatori cercano per lo più di fornire appropriate spiegazioni sui contenuti intenzionali (significati). Le deformazioni professionali alle quali sono tenacemente abbarbicati, sono: l‟analisi concettuale, l‟argomentazione a priori e i 79 Chomsky e Fodor erano inclini a pensare che l‟apparenza dei moduli fosse solo un mero sottoprodotto dell‟espansione della neocorteccia. 80 La sociobiologia. Da socio- e biologia, è una disciplina sorta nella seconda metà del secolo XX e ha per oggetto lo studio delle basi biologiche del comportamento e dell‟organizzazione sociali di tutti i tipi di organismi viventi, uomo incluso. Per la s. ogni comportamento è in relazione alla sopravvivenza dell‟individuo o del suo intero gruppo sociale. L‟evoluzione della specie procede per evoluzione naturale di quelle che manifestano maggiore idoneità complessiva a riprodursi; tale idoneità ha le sue basi nel patrimonio genetico individuale ma sarebbe influenzata, specie nell‟uomo, dall‟esperienza individuale e dall‟adattamento all‟ambiente. Per alcuni s. vi sarebbe una corrispondenza precisa tra geni e comportamento. In ogni caso, l‟idea è quella di correggere la concezione della natura umana secondo la quale essa sarebbe una ”tabula rasa” sulla quale la storia, la società e la cultura “scrivono”. Questa concezione si era affermata in sociologia, ma anche in antropologia culturale, come reazione al positivismo naturalistico ottocentesco. Per inciso, per i Romani la tabula rasa era la tavoletta cerata usata per la scrittura quando veniva erasa d‟ogni segno per renderla disponibile per scrivervi di nuovo. Il filosofo inglese John Locke (1632-1704), empirista, indicava con questa espressione il paragone tra la mente e un foglio di carta intonsa (da cui si sarebbero originate tutte le idee attraverso i sensi esterni e interni), riprendendo con ciò l‟immagine di Aristotele (384-322 a.C.) in cui egli paragonava l‟intelletto in potenza rispetto agli intelligibili, prima d‟intenderli in atto. 81 Endocranio (Dal gr. “dentro” e “cranio”), indica, in questo contesto, lo studio delle impronte lasciate dalla vascolarizzazione encefalica sulla superficie interna della teca cranica. 82 Antropologia. Dal gr. “uomo” e –logia. Nel suo senso più ampio è lo studio dell‟uomo dalle origini ai nostri giorni. Essa si concretizza come una teoria, una concezione, un programma di ricerche sull‟uomo, sia come singolo, sia come appartenente a comunità o situazioni. Si diversifica sia per gli orizzonti conoscitivi sia per i metodi d‟indagine. Esiste intanto la grande distizione tra a. fisica e a. culturale, la quale, per certi versi ricalca la dicotomia esistente tra scienze “dure” e scienze “sociali”. La prima (che comprende anche quella paleoantropica), studia le caratteristiche morfologiche, fisiologiche e attitudinali della specie umana nel corso dell‟evoluzione fino al presente; la seconda volge la sua attenzione all‟indagine e all‟interpretazione di attività espressive e creative, di istituzioni e credenze dei popoli “primitivi” e odierni. Esistono anche una a. filosofica (che è concepita soprattutto in rapporto all‟autocoscienza e all‟analisi introspettiva della soggettività umana); e altre (a. descrittiva, storica, comparativa, sociale, psicologica e così via), le quali hanno per oggetto d‟indagine la documentazione e la sociologia oppure la psicologia di costumi e forme di vita. grandi temi (“Ogni evento deve avere una causa?”, “Cosa diversifica la materia dalla mente?” e via ponzando). Sono indispensabili in questo tipo di ricerca per la loro abilità nel “fare distinguo” e per il fatto che sanno districarsi tra le diverse implicazioni delle teorie proposte o perché svelano i punti deboli o le assunzioni implicite delle stesse teorie. Come si vede, non vi è ancora una teoria unificante (se mai ci sarà). La mente come proprietà 83 “emergente” del corpo ? È la mente che crea il linguaggio, come vuole Pinker ? E cos‟è la coscienza, allora ? Domande Ricapitola le tappe dell‟ominazione ? Cosa comportò la vita di gruppo ? Come sono state rimaneggiate le funzioni e le capacità mentali con la socializzazione ? Quali sono le ipotesi degli archeologi riguardo allo sviluppo delle moderne capacità cognitive ? E quelle degli antropologi culturali ? I sociobiologi, come vedono la faccenda ? Mente e coscienza. Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) Di come i neuroscienziati trattino questi argomenti (a differenza dei filosofi); Di quali siano le posizioni sulla mente; Della storia “in pillole” delle diverse posizioni su mente e mentale. 84 C. Sherrington : “È come se la Via Lattea si lanciasse in una danza cosmica. Ed ecco, il cervello diviene un telaio incantato dove milioni di sfavillanti navette tessono un disegno che si dissolve, un disegno sempre fornito di significato ma che non rimane mai lo stesso; un’armonia fugace di variazioni sul tema”. 85 Nel linguaggio comune si usa spesso la metonimia “è una bella mente”, la quale evidentemente mi manca perché, ben conscio d‟impegolarmi in un discorso estremamente complesso, scivoloso e ricchissimo di sfumature, 86 lo faccio lo stesso e inizio affermando riduttivamente che la mente è un sistema per elaborare il mondo . Tralasciando le varie credenze che si sono succedute nell‟antichità, il filosofo che trasportò il pensiero medievale nel mondo moderno fu Cartesio87, il quale postulò che la conoscenza umana non dipendesse da un‟anima separata 83 Per Steven Pinker (1994) la mente crea il linguaggio. Da un punto di vista evolutivo noi avremmo dapprima elaborato un “mentalese” (il linguaggio del pensiero, al di fuori dei vincoli degli organi atti alla fonazione). Quest‟idea s‟approssima a quella di Chomsky (1957), secondo la quale tutti gli uomini hanno una grammatica innata, per cui, da un punto di vista evolutivo, prima sarebbero venuti dei preadattamenti cerebrali, poi lo psichismo (da intendersi come attività psichica scarsamente differenziata, qual è quella presente negli animali o quella che si svolge in conseguenza di fenomeni regressivi in alcuni malati di mente). Il testo di Chomsky (Syntactic Structures, Mouton, l‟Aia, 1957) stabilì una prospettiva che ha dominato la linguistica per circa 45 anni. La linguistica generativa, che Chomsky inaugurò, fece la sua ascesa a partire dagli anni ‟60 e continua ad essere il telaio dominante, anche se le scienze cognitive stanno aprendo un varco tra le varie discipline linguistiche e si ha la necessità di ricomporre la frammentazione tra psico e neurolinguisti, modelli computazionali, tipi fonologici e così via. 84 Charles Sherrington (1857-1957), inglese, condusse una vasta indagine sui cosiddetti animali spinali (animali il cui midollo spinale è stato disconnesso dal cervello). Egli dimostrò che la dimensioni di un riflesso (unità di base del movimento che S. definì come risposte semplici, altamente stereotipate e non apprese, a stimoli esterni), è direttamente connessa con l‟intensità dello stimolo. Altri suoi studi fondamentali riguardano i fusi muscolari e gli organi tendinei del Golgi, importanti recettori per il movimento. 85 Metonimia. Dal lat. tardo, a sua volta dal gr. “scambio di nome”. Procedimento linguistico espressivo che consiste nel trasferimento di una parola ad un‟altra (es.: “bevo un bicchiere”). 86 Un qualsiasi dizionario filosofico offre almeno una ventina di diverse definizione di mondo. Buon divertimento. 87 Cartesio (Nome latinizzato di René Descartes, filosofo e matematico francese – 1596-1650), iniziatore del razionalismo moderno, questo pensatore liberò la filosofia dalla dipendenza medievale dall‟autorità. Fondò un metodo filosofico e scientifico sul modello di quello matematico, dotato dello stesso rigore formale. Per C., il famoso “penso dunque sono” è il principio supremo del sapere, cioè la certezza del proprio pensiero e della propria esistenza. In base ad esso giunge a giustificare l‟essere del mondo e di Dio. C. divise nettamente tra pensiero (sostanza pensante) e materia (sostanza estesa), creando il famoso dualismo cartesiano di cui parlerò più avanti. Il Razionalismo (dal lat. “fissare, stabilire”), in termini dal corpo, ma dal cervello e dal sistema nervoso (localizzando la mente, un insieme di abilità che regolano l‟ “automa” corpo, nella ghiandola pineale, l‟epifisi88). Dopo di lui fu possibile suddividere il corpo, studiarlo e curarlo meglio. Si fecero strada termini nuovi, come mente, mentale e coscienza. “Penso, dunque sono”, allora. Quando io penso “io esisto”, questo, per Cartesio, è qualcosa di non fisico. Chiaramente, all‟odierno stadio di sviluppo scientifico, ciò non ci soddisfa più perché: a) le funzioni psicologiche, compreso il “cogito”, sono attività del cervello fisico; b) vi sono attività cognitive come “sapere quale è il mio posto in una gerarchia” che possono 89 non essere consce; c) nessuna esperienza introspettiva del Sé giace fuori dal corpo (come volle il filosofo Hume 90 91 già nel Settecento). Come si è già detto, purtroppo misticismo , funzionalismo 92 sempre all‟opera. Un‟analogia di moda vuole che i processi psichici e il software e resistenza al nuovo sono di un computer siano prossimi. 93 Il cervello è l‟hardware sul quale il software cognitivo ha l‟avventura di viaggiare. Non importa capire l‟hardware, dato che esso è ritenuto un semplice “attuatore” del software. Si provi ad interrogare un qualsiasi neuroscienziato e si vedrà. L‟analogia è intuitivamente debole (un software manipola simboli, un encefalo vi annette significato) ma radicata. Per cui, per costoro, termini come mente e coscienza giacciono nel limbo delle cose che resteranno per sempre “fuori dalla scienza”, un po‟ come accadde a suo tempo con il cosmo, la natura del fuoco, la materia. generali, è un atteggiamento che riconosce come fondamento della conoscenza, del giudizio e dell‟operare pratico, la ragione e la razionalità. Nella filosofia moderna, il termine designa quegli indirizzi che fanno derivare le idee non dall‟esperienza, ma da alcuni principî a priori, cioè connaturali alla ragione. I sistemi filosofici di Cartesio, Malebranche, Spinoza e Leibniz sono accomunati dal principio che la ragione, mediante l‟analisi delle sue idee, ha il potere di conoscere la realtà della sua essenza. 88 Epifisi. Dal gr. “sopra, in, di più” e “crescere” – “crescere sopra”. Ghiandola a funzione neuroendocrina, molto attiva nei primi anni di vita, localizzata sulla superficie dorsale del mesencefalo, tra le eminenze quadrigemine anteriori, di forma conica e unita all‟encefalo da un peduncolo. Innervata dal sistema nervoso ortosimpatico, dal ganglio cervicale superiore, in risposta all‟attività delle cellule di questo ganglio secerne l‟ormone melatonina, secreto quasi esclusivamente di notte. Negli animali che si riproducono stagionalmente esso controlla se gli animali si trovano nella condizione d‟accoppiarsi, mentre nell‟uomo esso è implicato nei ritmi sonno/veglia. 89 David Hume (1711-1776), filosofo scozzese, autore del “Trattato sulla natura umana”, portando l‟empirismo alle estreme conseguenze, sostenne che alla base di ogni conoscenza vi sono le impressioni e le idee, che differiscono solo per intensità e vivacità; la conoscenza si esplica ponendo in relazione idee oppure impressioni, cose di fatto. La matematica, per esempio, si fonda sul principio di non-contraddizione; un altro modo di conoscenza, quella empirica, ha come fondamento il principio di causalità. L‟approccio di H. ai problemi etici, religiosi, politici ed estetici è fondato sulla nozione di sentimento, per cui la religione nasce dalle paure e dalla speranza dell‟uomo; l‟estetica dal gusto individuale; alla base dei valori politici sta il sentimento generale dell‟interesse comune. Empirismo. Da empirico, a sua volta dal gr. “esperienza”. In filosofia è un atteggiamento generale del pensiero che pone nell‟esperienza l‟unica fonte valida di conoscenza e, negando l‟assolutezza di qualsiasi asserzione, riconosce che ogni verità può e deve essere messa alla prova, controllata ed eventualmente abbandonata. L‟E. si oppone quindi sia all‟innatismo sia al razionalismo, nonché ad ogni forma di metafisica che postuli entità sovrasensibili. E. antichi: epicurei e stoici; tra i moderni, oltre a Hume, Bacone e Locke. Nel linguaggio comune, empirica è qualsiasi asserzione priva di validi fondamenti scientifici. Innatismo. Dal lat. “nascere dentro”. E‟ una dottrina gnoseologica secondo la quale i principî conoscitivi sono presenti nella mente dell‟uomo fin dalla nascita e non derivano dall‟esperienza, ma la precedono e ne costituiscono il fondamento. Sorta con Platone (428-348 a.C.) nel tentativo di dar ragione di concetti fondamentali quali il bene, l‟utile e, in genere, quelli matematici. In biologia, ciò che è presente fin dalla nascita e determinato geneticamente. 90 Misticismo. Da mistico, voce mediterranea di or. incerta. Indica, in antropologia, ogni interpretazione della realtà che trascenda i fatti sensibili e li metta in rapporto con forze soprannaturali. 91 Funzionalismo. Der. di funzionale, su modello del fr.“fonctionnel”, indica, in sociologia e in antropologia culturale un indirizzo (per lo più anglosassone) per il quale la cultura è un insieme organico, costituito da funzioni svolte da entità istituzionali o materiali che possono, tuttavia, essere sostituite da altre (la funzione è il dato costante e la struttura quello variabile). In psicologia, un indirizzo che attribuisce alle manifestazioni della vita mentale il carattere di funzioni nel generale problema dell‟adattamento dell‟individuo all‟ambiente. 92 Software. S. ingl. composto di soft “morbido, soffice” e ware “merce”. In informatica indica l‟insime dei programmi impiegati su un sistema di elaborazione dati: il s. di sistema è quello relativo al sistema operativo di un elaboratore, il s. di base è l‟insieme dei programmi di utilità generale; mentre il s. applicativo è quello relativo ai programmi che servono ad un determinata funzione (es.: scrivere). Hardware. S. ingl. composto dal già citato ware e da hard “duro, rigido”. Si tratta dei componenti di base, immodificabili, di un apparecchio o sistema, come i componenti circuitali fissi, gli alimentarori, e così via. 93 Cognitivo. Dal lat. cognitus, “che concerne il conoscere”. I processi cognitivi in psicologia sono quelli implicati nella conoscenza (percezioni, immaginazione, memoria, le forme di ragionamento), intesi funzionalmente come guida al comportamento. Chiedo venia per la digressione, ma se uno studente mi chiede come gli scienziati vedano o definiscano la mente, di solito taglio corto nei termini che seguono94. Il problema centrale è il rapporto corpo/mente e, in questo ambito esistono posizione diverse95. Intanto si deve citare il dualismo cartesiano, secondo il quale esiste interazione tra spirito e materia, le quali interagirebbero tra loro in modi tutti da specificare, queste modalità, in ogni caso, non seguirebbero le leggi naturali classiche96. Per altri autori il mentale è un epifenomeno97, qualcosa collegato al fisico, ma di minor forza. Si manifesta, ma non produce azioni. Per altri ancora, definibili idealisti98, ciò che conta è il pensiero e solo il pensiero, vale a dire che esiste la “sostanza pensante”. Per i seguaci della teoria del parallelismo psicofisico esisterebbero due sostanze che non interagiscono fra loro in modo causale, ma variano in modo simmetrico. Per molti scienziati, tuttavia, tutto ciò che è deve cadere sotto il manto della fisica (fisicalismo), per cui anche le entità mentali sono riconducibili ad entità materiali. Ebbene, se questa operazione si rivela impossibile, allora ciò significa che le entità mentali semplicemente non esistono. Si parla di posizioni riduzioniste e (ma anche o) eliminativiste. Il problema fondamentale, per sintetizzare, riguarda la relazione mondo mentale/realtà fisica. Si tratta di assegnare al mentale una sua autonomia, senza per questo cadere nel dualismo cartesiano (netta separazione tra fisico e mentale) e nell‟eliminativismo. Si parla perciò di “sopravvenienza” (supervenience), vale a dire che le facoltà mentali “sopravvengono” a caratteristiche fisiche. Si parte cioè dal presupposto che la mente sia una caratteristica “superiore” fissata dal fisico (il livello “inferiore”) e che il livello superiore sia dotato di una sua autonomia non riconducibile a quello inferiore. La mente, allora, sarebbe una proprietà che sopravviene al fisico, ma non riducibile ad esso. Il problema, come si vede, è complesso e le odierne ricerche di filosofia della mente studiano alcuni grandi temi, tra i quali l‟intenzionalità99. Si rimanda, pour en savoir en plus, a testi specializzati100. 94 In effetti, sintetizzare concetti e idee non mi è mai piaciuto, si “bignamizza” il sapere e si corre sempre il rischio di tralasciare concetti anche importanti. D‟altro canto, gli studenti chiedono, non sono un filosofo (purtroppo) e bisogna rispondere, anche se dalla prospettiva sguincia dell‟antropologia, scienza che, con la sociologia, può cadere spesso nella “tuttologia”. I modelli ai quali m‟ispiro per “bignamizzare” senza banalizzare (e senza peraltro giungere mai ai loro ineguagliabili livelli), sono: i compianti Isaac Asimov (tutta l‟opera divulgativa) ed Ernst Gombrich (delizioso il suo volumetto “Breve storia del Mondo” - Salani ed., 1997); il vivente Tahar Ben Joullion (L’Islam expliquè aux enfants, Gallimard, 2001). Ma anche, perché no ? Anche la Storia della filosofia occidentale di Bertrand Russell, di cui credo esista (non ho indagato, chiedo venia), solo un‟edizione del Paleolitico superiore (1966) a cura di Longanesi. 95 Secondo von Neumann …”ogni scienza è una neuroscienza in quanto studia il cervello del ricercatore, in una regressione senza fine simile all’effetto che si ha (osservandosi) nel doppio specchio del barbiere”. 96 In relatà ho semplificato la questione ai minimi termini. Un buon testo per entrare in questa logica per gradi è quello del Nobel J.C. Eccles: Evolution of the brain: Creation of the Self. Routledge, Londra e New York, 1989. 97 Epifenomeno. Composto di epi- “sopra” e fenomeno. L‟epifenomenismo è una teoria psicologica per la quale la coscienza sarebbe la manifestazione di fenomeni fisiologici e nervosi, cioè una semplice manifestazione collaterale di accadementi fisici dell‟organismo. 98 Idealismo. Der. di ideale, a sua volta dal gr. idea, “aspetto, forma apparenza”. In filosofia, ogni concezione che tenda a risolvere la realtà nell‟idea, intesa o come contenuto soggettivo di coscienza (i. soggettivo), o come suprema forma di categoria razionale della realtà (i. oggettivo o assoluto). 99 Intenzionalità. Dal lat. “tendere, rivolgere”. Il termine, ripreso dalla filosofia scolastica e precisato da E. Husserl, filosofo tedesco (1859-1938), fondatore della scuola fenomenologica, indica una caratteristica della coscienza che tende a qualcosa come a uno specifico oggetto. Per il filosofo tedesco F. Brentano (1838-1917), maestro di Husserl, l‟intenzionalità è la caratteristica che separa i fenomeni mentali da quelli fisici e solo i primi hanno un “contenuto” come oggetto proprio. Per il suo allievo, invece, tutti i fenomeni mentali sono intenzionali. La psicosemantica è la disciplina che ai giorni nostri eredita i problemi sulla tradizionale discussione sull‟intenzionalità. Il problema dell‟intenzionalità è essenziale ai fini della Storia. Se infatti, gli animali (privi di linguaggio) mostrano di possedere stati intenzionali, il dualismo cartesiano va definitivamente in soffitta in quanto una volta la “sostanza mentale” serviva a demarcare l‟uomo dai bruti; adesso invece, con il riconoscimento degli stati mentali degli animali abbiamo incluso i bruti all‟interno dell‟umanità. Occorre, come sempre, trovare dei modelli teorici generali sul problema. Fenomenologia. Dal gr. “mostrarsi, apparire” e “discorso su”. Nell‟accezione filosofica, ricognizione ordinata dei fenomeni, descrizione del modo in cui si presenta e manifesta una realtà. Un indirizzo della filosofia contemporanea è quello della f. trascendentale, avviato da Husserl, secondo il quale i concetti logico-matematici sono costruzioni ideali, afferrabili direttamente e intuitivamente, e la coscienza è essenzialmente intenzionalità, cioè un tendere e un operare che può essere reso manifesto e descritto nella sua purezza soltanto se “si mette tra parentesi” il mondo e si sospende ogni giudizio riguardo alla sua esistenza. 100 Testi consigliati: W. Betchel - Filosofia della Mente, Il Mulino, Bologna, 1992. M. Di Francesco – Introduzione alla filosofia della mente. Nuova Italia Scientifica, Bologna, 1996. J. Kim – Supervenience and Mind. Cambridge University Press, Cambridge, 1993. Dopo centinaia di secoli di ponderazione e di indagini, dopo aver focalizzato la natura della coscienza come problema mente-corpo, la mente (e l‟altra metafora101 che fa il paio con essa, la coscienza102), in realtà, restano lemmi103 che permangono tuttora nel limbo del linguaggio figurato. Quando poi questi introcosmi 104 si siano instaurati, resta tuttora un mistero. Ora, questi pensieri sono anche sublimi (per cui provo sempre rimorsi a parlarne in termini così riduttivi) e mi dispiace di lasciare l‟impressione che la mente sia tuttora la scatola nera dell‟aereo impazzito che ci porta a fare voli pindarici105. Ma tant‟è. Cerco ora di riportare alcune tra le più importanti credenze riguardo alla coscienza. Italo Calvino era convinto che la Terra fosse uno dei luoghi in cui l‟universo crea autoconsapevolezza, ma qui siamo nel letterario. Nel Diciannovesimo e nel Ventesimo secolo molti scienziati erano convinti che la coscienza non stesse nella materia di per sé, ma che essa fosse una proprietà fondamentale di tutti gli organismi viventi, da quelli unicellulari in su. Leggere però coscienza nel comportamento di un protozoo che sfugge ad un ambiente chimico avverso, proviene più da noi, da come ci identifichiamo con l‟unicellulare, che dall‟osservazione. Se i biologi hanno parlato di coscienza come proprietà del protoplasma, i fisici sono andati più in là, proponendo che la coscienza sia una proprietà della materia. Secondo questa soluzione, la successione di stati soggettivi che avvertiamo durante l‟introspezione, ha una continuità che si allarga via via all‟indietro, attraverso tutta la nostra evoluzione filogenetica e oltre, all‟interno di una proprietà fondamentale della materia. È una teoria difficile da digerire e, in realtà, essa non tenta di spiegare cosa accade quando ci dedichiamo all‟introspezione, ma piuttosto come noi interagiamo con l‟ambiente che ci circonda. Un‟altra soluzione ha più a che fare con l‟apprendimento. La coscienza non sorse, allora, con la materia o all‟inizio della vita, ma in un dato periodo dell‟evoluzione, con la comparsa della memoria associativa. L‟apprendimento, la coscienza e l‟esperienza sono stati a lungo mescolati insieme, almeno fino alla prima metà del Novecento dagli psicologi, ma attualmente si pensa che l‟origine dell‟apprendimento e quello della coscienza siano separati. Per cui questa soluzione non ha molto seguito. Alfred Russel Wallace, che con Darwin scoprì la teoria della selezione naturale, non è altrettanto famoso rispetto al padre dell‟evoluzione, perché era convinto che vi fossero state forze metafisiche che hanno diretto forzatamente l‟evoluzione in tre momenti differenti: all‟origine della vita, all‟inizio della consapevolezza e all‟inizio di quella che lui chiamava cultura civilizzata. Per lui la coscienza era un‟imposizione metafisica, arrivata chissà da dove, come il monolito di “2001 Odissea nello Spazio”. Il problema, per noi, non sta nelle imposizioni metafisiche, ma nello tentare di spiegare la coscienza in termini di scienze naturali. 101 Metafora. Dal lat., a sua volta dal gr. “trasferimento”. È un processo linguistico espressivo, basato sulla similitudine sottintesa. Un vocabolo o una locuzione sono usati per esprimere un concetto diverso da quello che esprimono normalmente. Per estensione, è ogni tipo di linguaggio figurato (e quindi sinonimo di traslato). 102 Coscienza. Dal lat. “essere consapevole”. In termini generici consapevolezza che il soggetto ha di se stesso e del mondo esterno con il quale è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori. È intesa anche come consapevolezza del valore morale del proprio operato, con analisi delle proprie azioni per distinguere il bene e il male compiuto. In psicologia, la conoscenza dei proprî atti attraverso la riflessione e l‟analisi degli stati psichici. Il discorso, in ogni caso, dovrebbe essere articolato maggiormente. Secondo Harré, Lamb e Mecacci (The Enciclopedic Dictionary of Psychology, 1986), le definizioni di coscienza sono le seguenti: a) lo stato di vigilanza di un organismo capace d‟azione, contrapposto allo stato di incoscienza; b) la proprità di un animale di avere consapevolezza o coscienza degli oggetti dell‟ambiente; c) lo stato di consapevolezza dei propri pensieri, percezioni, emozioni o coscienza di sé; d) la capacità degli esseri umani di possedere una vita mentale organizzata in cui ogni esperienza individuale viene percepita come dotata di una sua peculiare qualità; e) l‟insieme organizzato di stati di coscienza che struttura e coordina i pensieri e le azioni, in contrapposizione all‟inconscio. Per Csikszentmihalyi (1988), i sottoinsiemi funzionali della coscienza sarebbero attenzione, consapevolezza e memoria. L‟azione di questi permetterebbe il formarsi dei contenuti della coscienza, che costituirebbero l‟esperienza soggettiva. Quest‟ultima, a sua volta, nasce dalla somma di tutte le informazioni che entrano dall‟esterno e che provengono dall‟interno in un determinato momento. Per cui i processi attentivi si focalizzarebbero sulle interrelazioni dei dati presenti nell‟insieme d‟informazione cognitiva, motivazionale ed emozionale in grado di produrre cambiamenti di uno stato soggettivo. 103 Lemma. Dal lat. “premessa, assunto”. In questo caso, voce o articolo di un dizionario o enciclopedia. 104 Introcosmo. Mi si perdoni il neologismo, composto da intro- (dal lat. “dentro”) e cosmo. Intro-, il primo elemento di parole composte, indica per lo più movimento verso l‟interno, talora con riferimento alla vita psichica, come per esempio introiezione (dal lat. “dentro” e “gettare”). In psicanalisi indica il processo attraverso il quale aspetti, qualità e relazioni del mondo esterno si trasferiscono nella vita psichica del soggetto. 105 Pindarico. Da Pindaro (518-438 a.C.), poeta lirico greco la cui opera era caratterizzata da una eccelsa fusione del motivo mitico con l‟intonazione morale e religiosa. Il termine volo pindarico indica un passaggio rapido, senza apparente connessione logica, da un argomento all‟altro o una digressione dall‟argomento principale. In contrapposizione alle speculazioni di natura metafisica, vi sono state anche quelle materialiste106. Huxley: “Noi siamo automi coscienti”. La vita cominciò la sua evoluzione, apparvero gli animali, i sistemi nervosi diventarono via via più complessi e, ad un certo punto, apparve la coscienza. Secondo questa teoria, la coscienza non influenza i meccanismi interni del corpo. L‟esempio è quello dell‟ombra. L‟ombra segue il passante in un giorno soleggiato, ma non influenza il suo itinerario, già fissato in precedenza. La coscienza, per i materialisti, non sarebbe altro che l‟ombra impotente dell‟azione. Il fischio di un treno non modifica il suo motore, né dove andrà. William James107: “Ma perché allora la coscienza è più intensa quando l‟azione è più esitante ?”. Altri parlarono di evoluzione emergente. Un precursore della materia (non specificato), la generò. I composti chimici più complessi si originarono da quelli semplici e le proprietà distintive degli organismi viventi si organizzarono dall‟unione di quei composti. La coscienza emerse dagli organismi viventi. Ciò perché nuove unioni, di solito, danno luogo a nuove proprietà emergenti. Cosicché la coscienza emerse ad un certo punto come qualcosa di sostanzialmente nuovo. La teoria, chiaramente, non spiega quando e in che specie ciò avvenne. Il comportamentismo fu un movimento che occupò un posto centrale in psicologia dal 1920 al 1960 e risolse il problema mente alla radice: si rifiutò di parlarne. Occorre aggiungere, a sua discolpa, che dopo la prima guerra mondiale lo sviluppo della fisica e della tecnologia richiedevano nuove filosofie. La psicologia usò questo movimento per distinguersi dalla filosofia (e ci riuscì), anche se fu necessario passar sopra “a bulldozer” a tutti gli orpelli idealisti precedenti (pragmaticamente108, venne detto, come solo gli americani san fare). La rivolta contro il mentale e la coscienza, in ogni caso, non significò che i comportamentisti pensassero in cuor loro, di non essere consci. Semplicemente si rifiutavano di parlarne, per cui, passata la sbornia comportamentista, il problema rimase e occorreva esaminarlo ancora. Si disse, perciò, ancor più pragmaticamente: abbiamo un uomo e se è veramente cosciente, la coscienza dev‟essere in lui, nel suo cervello e ora abbiamo le tecniche per farlo. Nel tempo si parlò di formazione reticolare109 come possibile sede della coscienza, ora non si è più tanto certi, in quanto, con le nuove tecniche di neuroimmagine a disposizione, dopo aver visto il cervello mentre “lavora” (mentre si parla, si suona il pianoforte, si fa di conto), è possibile guardare dentro questa “scatola nera” e scoprire le sedi delle funzioni “alte”. Il pericolo è che si scopra la sede che ci crea il bisogno di sapere quale sia la sede della coscienza. Scherzi a parte, occorre innanzitutto chiarire che un‟ipotesi naturalistica fondata su meccanismi semplicistici mal si attaglia alla vita mentale. Inoltre le strutture cerebrali non sono rigide, ma estremamente plastiche; ne consegue che i rapporti esistenti tra una data struttura e una data funzione variano nel tempo. Per esempio, nei violinisti aumenta la mappa cerebrale motoria della mano destra e i tassisti hanno aree spaziali più o meno accentuate a seconda dei mesi trascorsi alla guida. Ancor più plastici sembrano essere i circuiti cerebrali implicati in funzioni più complesse e sfumate, come la memoria e l‟apprendimento. Nel cervello l‟informazione viene continuamente rimaneggiata, “aggiornata”; i processi mentali sono complesse attività d‟analisi di informazioni, per cui diviene fuorviante pensare che una funzione sia esclusivamente localizzata in una particolare struttura. La coscienza dev‟essere ampiamente distribuita attraverso le varie strutture cerebrali, coordinata solo quando occorre e articolata in gerarchie allentate e sinuose, non diversamente da quanto accade per l‟autoconsapevolezza110. Vi sono neuroscienziati che parlano di due tipi di coscienza: 106 Materialismo. Dall‟ingl. materialism, der. dal lat. tardo materialis, attraverso il fr. matérialisme. Fin dalla fine del secolo XVII il termine designava quelle teorie filosofiche che, negando l‟esistenza di sostanze spirituali, interpretavano gli eventi del mondo attenendosi alla materia come unico principio esplicativo, rinunciando quindi alla spiritualità e all‟immortalità dell‟anima, all‟intervento provvidenzialistico divino e quindi a ogni finalismo. Finalismo. Der. di finale, dal lat. tardo “fine”. Concezione filosofica secondo la quale la natura e il mondo sarebbero organizzati in vista di una o più finalità (che ne sarebbero quindi il principio esplicativo). In biologia, il f. biologico vede i processi vitali orientati a scopi funzionali, per cui non sarebbero spiegabili con il determinismo meccanicistico, una concezione che attribuisce validità generale alla causalità meccanica (sviluppatasi con le formulazioni matematiche della meccanica classica). 107 William James, il più celebrato fra gli psicologi americani (1842-1910), scrisse nel 1890 “I Principi della Psicologia”, che demarcò per sempre la psicologia americana da quella tedesca. È considerato un funzionalista, ovvero un assertore (tra l‟altro), del fatto che i processi mentali sono direttamente forniti dallo stesso organismo che esprime i processi biologici. 108 Pragmatismo. Dall‟ingl. pragmatism, a sua volta dal gr. “cosa, fatto”. In questo contesto è da intendersi come un atteggiamento che privilegia i risultati concreti e i risultati pratici, più che i principî e gli ideali. 109 Formazione reticolare. Ampia regione del tronco cerebrale, che va dal midollo allungato al talamo, che risulta implicata nello stato di attivazione. 110 Damasio ipotizza che che alla base della coscienza vi sia la distinzione tra sé/non sé (ne riparleremo più avanti a proposito del sé). Questa distinzione, inizialmente supposta essere alla base della coerenza, permetterebbe ad un cervello di quella primaria (potrebbe essere quella del mio cane), che sembra capace di costruire una scena mentale ma è dotata di abilità semantiche111 o simboliche molto limitate e non di un vero e proprio linguaggio. Su questa base s‟instaurerebbe la coscienza superiore, che sarebbe accompagnata da un senso del sé e dall‟abilità di costruire scenari passati e futuri nello stato di veglia. Essa richiede un minimo di capacità semantica112 e, nelle sue forme più evolute, quella linguistica. A questo punto sorge il problema: Dove cercare le strutture e i meccanismi della coscienza primaria, che è possibile attribuire non solo ai cani, ma a moltissimi altri animali? Ogni animale, infatti, è capace di categorizzare i segnali dall‟ambiente utili per la sua configurazione corporea (fenotipo). Ricordiamoci che un ambiente ha dei limiti fisici e non contiene le categorie di un particolare animale. Nei Vertebrati superiori sono state localizzate un gran numero di mappe, che potrebbero fornire la base (sensoriale) per organizzare i segnali. Poi la coscienza primaria richiede lo sviluppo di concetti, ovvero la capacità di combinare le categorizzazioni percettive e sensoriali di una scena o un oggetto. Qui sono coinvolte diverse aree e regioni. Vi sono poi processi ulteriori della coscienza primaria che hanno a che fare con la memoria e le “valutazioni”. La memoria è la capacità di ri-categorizzare (ripetere o coartare) un certo atto mentale o fisico. Ora, i neuroscienziati conoscono buona parte dei circuiti e delle regioni cerebrali che sottostanno alla dinamica dell‟apprendimento e della memoria, solo che non sono del tutto d‟accordo sui modelli che starebbero alla base della coscienza primaria. Si suppone che, con la comparsa delle aree corticali secondarie, avvenuta nel periodo di transizione tra Rettili/Uccelli/Mammiferi, un nuovo cervello si sia organizzato e che le strutture cerebrali maggiormente implicate nell‟emergere della coscienza siano alcuni nuclei talamici, modulati da quelli reticolari in connessione con la corteccia cerebrale; il nucleo intralaminare del talamo e i grandi sistemi di fibre cortico-corticali che connettono aree diverse tra loro113. In seguito, la comparsa di strutture cerebrali più sofisticate, capaci di “contenere” le capacità semantiche e connetterle a livelli superiori, avrebbe fornito le basi perché la coscienza superiore fiorisse, una volta che le capacità linguistiche si fossero instaurate. Secondo questo modello, la comparsa di capacità semantiche potrebbe essere avvenuta anche molto presto, tra i precursori degli ominidi. La comparsa delle abilità linguistiche avrebbe poi costituito nuove connessioni tra la memoria sensomotoria connessa con il linguaggio e il resto del cervello. In ogni caso, fintantoché le neuroscienze non saranno in grado di scoprire i principi di base che governano l‟integrazione dell‟informazione ai vari livelli dell‟organizzazione cerebrale sulla base di successioni cronologiche, il problema della mente, del mentale e della coscienza resterà un nodo gordiano 114 difficilmente scioglibile. Figuriamoci la sua storia evolutiva. Domande Perché l‟idea cartesiana di mente non ci soddisfa più ? Quali sono le posizioni riguardo alla mente ? Come vedono la coscienza i biologi e i fisici ? Quali sono le differenze tra le speculazioni sulla coscienza di natura metafisica e di natura materialista ? Cos‟è il comportamentismo ? Si pensa che nel cervello la coscienza sia localizzata oppure distribuita ? Che differenza c‟è tra coscienza primaria e coscienza superiore ? distinguere tra le rappresentazioni del proprio mondo interno da quelle del mondo fuori dal proprio e di costruire un modello meta-rappresentazionale delle relazioni esistenti tra le entità interne ed esterne. Qualsiasi cervello in grado di farlo avrebbe, allora, un qualche grado di coscienza. 111 La semantica (dal fr. sémantique, a sua volta dal tardo lat. semanticus e dal gr. “significativo”), studia in linguistica il significato degli enunciati di una lingua come rapporto tra significante e significato di ciascun elemento e come relazioni reciproche tra i vari significati di una determinata fase cronologica e i cambiamenti intervenuti nel tempo. 112 Capacità semantica. In questo contesto, la funzione dei segni dal punto di vista del rapporto che hanno con gli oggetti cui possono essere applicati. 113 Si consiglia di consultare un testo di neuroanatomia per saperne di più. Si tratta di strutture e connessioni che permettono le attività cognitive superiori. 114 Nodo gordiano. Alessandro Magno, nel 334 a.C., troncò con un colpo di spada (ottenendo così il dominio dell‟Asia), il nodo che stringeva il giogo al timone del carro consacrato da Gordio, re di Frigia, a Zeus. Il linguaggio Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) Dell’apparato della fonazione nelle scimmie e nell’uomo; Degli indizi sull’origine del linguaggio provenienti da altre fonti; Degli studi sull’acquisizione del linguaggio nei bambini. Quando uno scienziato valuta il linguaggio, costui va incontro ad un notevole “conflitto d‟interessi”, in quanto il linguaggio umano esiste sia come raccolta di simboli combinati variamente insieme (ed è quindi un “oggetto” del mondo esterno), sia come “fatto” incorporato nel cervello stesso. Vale a dire che per rappresentare il linguaggio, un cervello usa gli stessi meccanismi che usa per elaborare qualsiasi altro oggetto del mondo esterno, solo che il 115 linguaggio l‟ha “dentro di lui”. La conflittualità è palese e, da questa schiavitù, un encefalo di scienziato potrà liberarsi solo quando diventeranno note le modalità con le quali il cervello rappresenta le cose esterne. E ciò in barba al fatto che i suoi colleghi scienziati l‟abbiano “eletto” studioso del linguaggio. I neuroscienziati sanno che i concetti sono archiviati nel cervello come registrazioni “fissate” e che, una volta sbloccate, esse ricreano le sensazioni e la cascata di azioni collegate con quel concetto. Un osso evoca rappresentazioni riguardanti la forma, il colore, la materia di cui è fatto; il suo posto anatomico in un corpo e anche il percorso che dovrebbe essere intrapreso per ricollocarlo in uno scheletro mancante. Tutte queste rappresentazioni si formano in luoghi cerebrali distinti, ma esse vengono ricostruite in modo simultaneo. Se un individuo deve esprimere un‟idea, usa tre sistemi neurali diversi. Un sistema elabora i concetti, uno dà forma alle parole, un terzo traduce il concetto in parole. Nel caso del linguaggio, la parola scaturisce dal concetto incorporato nel cervello. Come sarà stato incorporato ? Sarà proprio “il linguaggio” o non sarà, per caso, qualcos‟altro ? Chissà. Con queste limitazioni sottilmente 116 “tautologiche” in mente, procediamo. Strettamente connesso con il problema mente e coscienza, di cui si è parlato più su, vi è quello del linguaggio. Anche qui vi è molta frustrazione tra gli antropologi: il linguaggio non lascia tracce, almeno fino a quando non si torna indietro fino al 8000 a.C. circa in cui si trovano le primissime forme di scrittura, ma chiaramente, i nostri antenati hanno incominciato a parlare molto prima. I resti fossili mostrano segni endocranici e qualche indizio relativo alle strutture della fonazione del collo. L‟area del Broca, associata al linguaggio e più precisamente nella produzione del suoni, situata a sinistra del cranio, lascia tracce endocraniche visibili nei moderni umani, nell‟erectus ma non nelle australopitecine. Sorprendentemente ma non troppo, il tratto vocale dell‟uomo è poi unico nel mondo animale Una particolare disposizione della laringe nell‟uomo fa sì che l‟aria passi attraverso la bocca quando parliamo. Nelle grandi scimmie e in altri Mammiferi, invece, l‟aria passa per le narici, e così il suono che ne risulta è nasale. Le modalità di base della laringe dei Mammiferi sono essenzialmente due. In un primo caso la posizione della laringe è molto elevata, cosicché l‟animale può ingoiare e respirare “in simultanea”. Nel secondo caso - il nostro - la laringe è più bassa e il passaggio dell‟aria deve essere bloccato temporaneamente durante la deglutizione. La laringe, in questo caso, è più espansa e ciò permette a questa di modificarsi di più e di emettere suoni diversificati. Laitman scoprì che la posizione della laringe si riflette anche nella parte bassa del cranio, il cranio basale. Più esso è piatto, più riflette il primo caso; se è arcuato, riflette il secondo. Le australopitecine avevano un basicranio piuttosto piatto, per cui la produzione delle vocali di base di tutte le lingue note era loro probabilmente impedita. L‟H. habilis non offre reperti utili per capire come producesse i suoni, mentre il pattern mostrato dall‟H. erectus è prossimo a quello di un bimbo di otto anni. Solo con le forme arcaiche di H. sapiens (all‟incirca 300.000 anni fa), troviamo modalità laringee moderne. Alcuni antropologi, basandosi su antiche mandibole e teschi, sono invece certi che noi abbiamo avuto una gola scimmiesca fino a 500.000 115 Ho un esempio sottomano di conflitto d‟interessi. Non ho mai verificato la fonte (perché giornalistica), ma sembra che, quando venne chiesto al Primo Ministro thailandese (proprietario di una notevole fetta dei mass media nel sud-est asiatico), quali soluzioni avesse trovato rispetto al fatto di dover decidere le sorti dei mass media locali (essendo contemporaneamente proprietario di mass media), costui abbia affermato – ça va sans dire - che il problema era stato risolto alla radice nel momento stesso in cui gli elettori l‟avevano democraticamente eletto. 116 Tautologia. Dal gr. “lo stesso” e -logia. Nel linguaggio corrente, un ragionamento o un termine che ripeta, in sostanza, quanto già detto con un‟altra espressione o un altro termine. Se mi chiamassi Franco Libero la tautologia sarebbe evidente, perché Franco è un nome ormai desueto (ma di cui sono fiero), che significa “libero”, anzi, più propriamente, “uomo libero del popolo dei Franchi”. a. fa. Ora, tutti gli animali producono rumori e i Mammiferi contraggono muscoli che comprimono la cassa toracica. L‟aria passa dai polmoni fino alla laringe e poi raggiunge le corde vocali, le quali sono costrette a vibrare. Le grandi scimmie producono un grande numero di suoni, che hanno effetti diversi a seconda del contesto. Se un cucciolo è minacciato da un coetaneo o da un adulto, la variazione sonora è palese e produce negli adulti effetti diversi. Addirittura, se la minaccia proviene da un serpente o da un leopardo, il segnale d‟allarme è significativamente diverso, e vale come avvertimento per il gruppo. Verrebbe da pensare, a questo punto, che il linguaggio si sia via via affermato dapprima con la produzione di svariati suoni e segnali e che poi si sia strutturato in parole. Non tutti sono d‟accordo, perché la sintassi (l‟uso strutturato delle parole) è troppo diversa dalle vocalizzazioni dei nostri cugini. La ricerca comparativa sull‟evoluzione del linguaggio (molto complessa e con dati talvolta contraddittori provenienti da fonti svariate) porta a compiere, per il momento, alcune considerazioni. Può essere che un tratto che si ritrova negli animali non si sia evoluto specificatamente per il linguaggio umano, anche se esso poteva essere importante per le facoltà linguistiche e giocare un ruolo determinante nell‟elaborazione del linguaggio. Potrebbe anche darsi che il tratto si sia evoluto indipendentemente nell‟uomo e negli altri animali, anche se questa ipotesi è debole. Ciò che emerge chiaramente, a questo punto, è la differenza tra i problemi del linguaggio come sistema di comunicazione e i problemi, diciamo così, computazionali che sottostanno al linguaggio (es.: tra la computazione117 astratta e il sistema senso-motorio e le interfacce concettuale-intenzionale). In parole povere, è possibile che le capacità computazionali si siano evolute per altre ragioni rispetto a quelle legate alla comunicazione ma che, essendosi rivelate utili per la comunicazione, esse siano poi state rimaneggiate per le restrizioni imposte dal modo di funzionare del nostro encefalo. Il dibattito sulle origini del linguaggio è accesissimo e le posizioni sono spesso divergenti; vi è però un consenso emergente secondo il quale, date le diversità esistenti tra noi e gli animali, ci sarebbe stato un rimodellamento sostanziale del nostro “sistema linguistico” a partire da circa 6 m.a. fa. Il problema è sapere cosa sia stato ereditato senza cambiamenti, cosa sia stato modificato di poco e cosa ci sia di qualitativamente nuovo. L‟altra sfida è relativa alla determinazione di quali siano state le pressioni evolutive che portarono ai 117 Computazionale. Dall‟ingl. computational, a sua volta dal lat. “contare”. La linguistica quantitativa, per gli americani, è detta computazionale, per cui il termine indica i rapporti della linguistica con l‟informatica. In questo caso il termine indica i procedimenti che utilizzano i computer e i risultati ottenuti grazie a questi; nonché le analogie con il funzionamento degli elaboratori elettronici. cambiamenti e quali siano state le limitazioni che hanno canalizzato il sistema durante questo processo evolutivo. Chomsky e collaboratori hanno ideato due concetti relativi alla facoltà del linguaggio, uno ampio e uno ristretto. Il primo sistema, allargato, include il sistema “senso-motorio” e quello “concettualeintenzionale”. La natura precisa di questi sistemi è tuttora da definire, fervono infatti discussioni se essi siano presenti o meno in altri Vertebrati, oppure se essi siano solo un adattamento alle esigenze del linguaggio. Il secondo è un sistema computazionale (sintassi ristretta), che genera rappresentazioni interne e le mappa all‟interno sia dell‟interfaccia senso-motoria attraverso il sistema fonologico, sia all‟interno di un‟altra interfaccia, quella concettuale-intenzionale, attraverso il sistema semantico formale118. Alla base di questo sistema vi sarebbe la ricorsività, ovvero la proprietà di essere ricorrente119. In parole più semplici, questo sistema, partendo da un numero finito di elementi, dà come risultato una potenzialmente infinita serie di espressioni discrete, come accade per i numeri naturali. L‟idea di partenza dà per scontato che l‟unico animale in grado di fronteggiare rapidamente ogni linguaggio umano senza istruzioni esplicite sia l‟uomo, per cui se la maggior parte del sistema allargato è in comune con altre specie, quello ristretto è tipicamente umano. Tre ipotesi, allora, si fronteggiano, in questo ambito. La prima vuole che il sistema allargato sia strettamente omologo alla comunicazione animale, per cui esso avrebbe le stesse componenti funzionali che sottostanno alla comunicazione nelle altre specie. Esso includerebbe anche quello ristretto. La seconda postula che il sistema allargato sia un adattamento derivato e unicamente umano e che, pertanto, sia stato selezionato e si sia perfezionato solo nella storia evolutiva recente. La terza vuole che solo il sistema ristretto sia umano. Tutte e tre le ipotesi sono, in qualche modo, plausibili e sostenute da dati e, per un approfondimento, si rimanda ad uno splendido articolo di Hauser, Chomsky e Fitch, apparso recentemente su Science (2002). Secondo altri antropologi ulteriori indizi provengono dai manufatti litici. Mano a mano che aumentava la complessità dei manufatti, aumentavano anche, secondo costoro, la capacità di verbalizzazione. La questione è controversa, in ogni caso, anche perché i cambiamenti dei prodotti dell‟attività umana di allora potrebbero riflettere solo cambi sociali. In secondo luogo, i cambiamenti tecnologici dei nostri antenati mostrano due fasi distinte. Una prima, lentissima, che va all‟incirca da 2.5 m.a. fa fino a 200.000 a. fa, seguita da un‟altra fase, in accelerazione costante. La relazione esistente tra queste due fasi e i cambiamenti cognitivi è ancora tutta da verificare. Altri valutano allora le produzioni simboliche della mente, ma non si va più in là di 300.000 a. fa. In effetti, il primo artefatto astratto è stato trovato a Pech de l‟Aze (Francia), si tratta di incisioni curvilinee. A questo punto, il mistero permane. Di fatto, la maggior parte dei cambiamenti in volume del cervello ebbe luogo ben prima che fossero prodotte patenti espressioni culturali. Vi sono poi altri grossi problemi, sul tappeto. I meccanismi biologici-chiave necessari per la produzione del linguaggio sono: a) il tratto vocale sopralaringeo, di cui si è detto, ma anche tutti i meccanismi neurali atti a: b) governare le manovre articolatorie complesse che sottostanno al parlare: c) la decodifica degli indizi acustici utili ad una corretta informazione linguistica. Da quel che si sa, si suppone che l‟abilità linguistica umana coinvolga un certo numero di componenti biologiche geneticamente indipendenti, di cui alcune sono specie-specifiche. Non vi è quindi nessuna ragione valida per pensare che le abilità cognitive e quelle linguistiche siano completamente indipendenti. Per quanto ne sappiamo (anche se è un‟ipotesi debole), le esigenze di comunicazione dei nostri lontanissimi antenati avrebbero poi potuto anche essere espresse per gesti: il linguaggio gestuale dei sordomuti ha una sua sintassi, una grammatica e una notevole flessibilità, pari a quella del linguaggio parlato120. Anzi, gli studi sul linguaggio dei segni, ha mostrato che la segmentazione e 118 Semantico. Si vedano le note precedenti. Sintassi. Dal gr. “associazione, organizzazione”. La linguistica è suddivisa in fonologia, morfologia, lessicologia e sintassi. Quest‟ultima studia i fonemi, i morfemi e i vocaboli non presi per sé stessi, ma calati nel contesto di una frase. Studia i procedimenti mediante i quali un parlante pone in mutuo rapporto gli elementi lessicali per la formazione di un‟espressione compiuta, frase o periodo che essa sia. 119 La teoria della ricorsività, in matematica, si propone lo studio, nell‟ambito dei numeri naturali, di tutti i procedimenti effettivi o finitisti. Nella teoria delle ricorsività, le funzioni ricorsive primitive sono quelle che si possono ottenere dalle funzioni iniziali mediante un numero finito di applicazioni delle regole di sostituzione e di induzione. In informatica, gli algoritmi ricorsivi sono quelli formulati con un esplicito riferimento a se stessi. Finitista. Dall‟ingl. finitist, in matematica e in logica è un procedimento o una dimostrazione che si realizza con un numero finito di operazioni o di deduzioni, e quindi in un intervallo finito di tempo. Es.: la decomposizione di un numero in fattori primi, i procedimenti elementari per eseguire le quattro operazioni. 120 L‟ipotesi non è del tutto peregrina: in savana è opportuno starsene zitti. Vi sono troppe orecchie fini e indiscrete pronte a captare segnali, anche impercettibili. Il cucciolo di scimpanzé manda “borborigmi” per pochi mesi e poi li perde. Tacet al fine, per non attrarre predatori. (Per inciso, l‟espressione si scrive in uno spartito quando una voce non deve più intervenire nell‟esecuzione). la sequenziazione sono presenti e vitali in tutti i linguaggi. E, soprattutto, che sono innate e non trasmesse culturalmente. Di fatto, in ogni caso, gli studi compiuti su soggetti con malformazioni del tratto sopralaringeo, inducono a pensare che la ristrutturazione del tratto vocale sia stata diretta dalla sua funzione fonetica. Ricordo che, anni fa, Piero Angela paragonò il linguaggio alla proboscide degli elefanti. Mi sfuggono i dettagli, ma il discorso non è difficile da ricostruire. Da un punto di vista evolutivo la proboscide è una protuberanza che solo pochissimi Mammiferi possiedono o hanno posseduto. Si è evoluta per la sua utilità e flessibilità e perché serviva a più scopi; per questo motivo è stata mantenuta e affinata. In modo analogo il linguaggio, questa “protuberanza” della mente, è stato mantenuto e affinato proprio per la sua indiscutibile utilità. Di certo, il linguaggio verbale ha un notevole potere di simbolizzazione. Simbolizzare significa passare da un “fare” fisico ad uno ideale, è l‟astrazione. Noi siamo ben fieri di disporre del linguaggio, ma è anche il linguaggio che dispone di noi, perché delimita ciò di cui possiamo far esperienza nel mondo. Infatti, solo nel linguaggio le cose possono apparire e, fra l‟altro, solo nel modo in cui il linguaggio le lascia apparire. La lingua è uno strumento importante per la comunicazione, perché ci permette di vedere il mondo con un sistema simbolico che diviene forza socializzante. Gli studi sui bambini hanno mostrato le strategie che stanno alla base dell‟acquisizione del linguaggio. I bimbi “mappano” gli aspetti critici del linguaggio ambientale un anno prima d‟essere in grado di parlare. Recenti ricerche mostrano che i lattanti cominciano ad acquisire il loro linguaggio nativo fin dai tre mesi d‟età121. L‟esposizione all‟ambiente fa sì che loro siano in grado di far proprie le proprietà statistiche e astratte del linguaggio. Si tratta di acquisizioni che hanno portato a reinterpretare i periodi critici per l‟acquisizione del linguaggio e ha stimolato studiosi di differenti discipline ad indagare a fondo. Gli antropologi culturali hanno scoperto l‟universalità del linguaggio adulto quando esso si rivolge ai bimbi piccoli. C‟è un parentese, ovvero uno speciale stile adulto-verso-bambino che si ritrova in tutte le culture, e ciò ha provocato un rimaneggiamento delle idee che si avevano sul ruolo degli adulti nell‟apprendimento del linguaggio. I neuroscienziati, utilizzando le tecniche di brain imaging, hanno incominciato a rivelare gli aspetti temporali e strutturali dell‟elaborazione del linguaggio, rivoluzionando i periodi critici necessari per l‟apprendimento. I computer scientists, con le loro reti neurali, dopo aver modellato gli aspetti computazionali dell‟acquisizione del linguaggio nei bimbi, hanno ottenuto notevoli successi utilizzando reti neurali ispirate dalla biologia. I bambini, durante l‟apprendimento del linguaggio captano dapprima le regolarità degli ingressi linguistici. Poi sfruttano le proprietà statistiche degli ingressi e ciò li rende capaci di cogliere e usare le proprietà probabilistiche dei segnali in ingresso. L‟esperienza del linguaggio dà poi come effetto una “mappatura” che provoca l‟alterazione della loro percezione. Dopo sei mesi d‟ascolto, si provoca nel bimbo un cosiddetto “perceptual magnete effect”, vale a dire che la fonetica della lingua parlata a loro crea dei prototipi che fungono da magneti per altri stimoli della stessa categoria (per esempio, l‟usignolo serve da prototipo per la categoria uccelli, ma non lo struzzo). Questi aspetti non valgono solo per il linguaggio e gli studi futuri dovranno chiarire ciò che determina questi vincoli anche in eventi non linguistici. Gli studi sugli animali mostrano che, dopo intenso allenamento, una qualche struttura per le categorie linguistiche emerge, ma le scimmie non mostrano il perceptual magnet effect. Secondo alcuni antropologi, il linguaggio si sarebbe affermato per la costruzione d‟immagini mentali (…we need language more to tell stories than to direct actions…122 - H. Jarison, comunicazione personale, 1987). Vi è poi da dirimere la questione se che la costruzione della coscienza e del linguaggio vadano di pari passo, con le relazioni soprattutto temporali tra i due elementi, tutte da verficare. Per finire, nessuna area delle scienze biologiche ha causato più controversie dell‟origine del linguaggio. Adhuc sub iudice lis est123. In filosofia della mente è in corso un dibattito accesissimo sui contenuti di pensiero e le rappresentazioni mentali in relazione alla mente, al linguaggio e alla realtà. Anche se i primi due elementi del dibattito sono ormai acquisiti, le discussioni restano accese perché le scienze cognitive da un lato e quelle legate allo sviluppo dell‟intelligenza artificiale dall‟altro, hanno fatto emergere l‟idea che le scienze che si occupano di mente e di linguaggio non possano evitare il problema dell‟architettura interna dei processi cognitivi 121 Dehaene-Lambertz G., Dehaene S., Hertz-Pannier L. (2002) Functional Neuroimaging of Speech Perception in Infants. Science 298:2013-2015. 122 …necessitiamo del linguaggio più per raccontare storie che per dirigere le azioni… 123 Orazio: La questione è ancora sottoposta al giudice. umani124. In ogni caso, l‟evoluzione delle abilità linguistiche e cognitive stanno all‟interno della gamma delle spiegazioni della teoria sintetica dell‟evoluzione di Darwin. Interessante, a questo punto, è l‟approccio integrato utilizzato da Luca Cavalli Sforza e collaboratori. Secondo questo autore vi è una corrispondenza tra l‟albero genealogico delle popolazioni umane e quello delle lingue parlate. Ne riparleremo più avanti. Domande Qual è il principale problema che sorge quando si studia il linguaggio ? Cosa differenzia il nostro apparato della fonazione da quello degli altri Primati più evoluti ? Quando si pensa che il nostro “sistema linguistico” si sia rimodellato ? Secondo Chomsky vi sono due concetti relativi alla facoltà del linguaggio nell‟uomo. Quali sono ? Quale importanza assumono i manufatti litici nel farci comprendere le origini del linguaggio ? Quali sono i meccanismi biologici-chiave per la produzione del linguaggio ? Quali sono le attuali conoscenze riguardo all‟apprendimento del linguaggio ? Aggressività, competizione e cooperazione Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) e) f) g) h) Dell’importanza degli studi sull’aggressività; Di come un neurobiologo affronti il problema; Di come l’affrontino, invece, un etologo e un primatologo; Del concetto di riconciliazione e di come si sia affermato, in contrapposizione a quello di aggressività; Di cosa mostrino gli studi sui bambini; Di come il problema aggressività venga affrontato dagli scienziati sociali; Di come le due principali scuole psicanalitiche trattino il problema; Di come lo affrontino, invece, alcuni sociologi. Prima di tutto è il caso di fare una premessa. Non ho potuto riferire la gran mole di studi sull‟argomento e ho, purtroppo, dovuto restringere il campo. Procediamo. Da quando Lorenz125 parlò di aggressività nel 1967, la leggenda metropolitana - secondo la quale noi ci siamo evoluti grazie anche alla violenza (a base maschile) persiste e permea i dibattiti tra i fautori del first strike (i falchi), che danno per scontato, per esempio, che le guerre siano ineludibili, e le colombe, che mirano al pacifismo globale, in quanto asseriscono che l‟educazione può modificare queste istanze profonde. Da allora il quadro scientifico sui Primati è abbastanza mutato ma, si sa, le leggende metropolitane sono difficili da abbattere. Il nocciolo – non risolvibile – è il seguente: “quanto” sono profondamente iscritte nel nostro bagaglio bio-culturale le tendenze violente? Se la traccia è profonda, allora l‟educazione può poco (per cui occorre trovare nuove modalità per aggirare l‟ostacolo); se, invece, il solco è leggero allora l‟educazione può far molto per cambiare le istanze violente dell‟uomo. Sempre a proposito di leggende metropolitane, si sente spesso affermare che l‟uomo è l‟unico animale che uccide i suoi simili, il che non corrisponde a verità. Per esempio, è pur vero che per oltre vent‟anni i primi studi sul campo hanno fatto sedimentare l‟idea che le grandi scimmie vivessero un‟esistenza basata sul “vivere e lascia vivere”. In realtà, da non molto tempo si è scoperto che i gorilla maschi praticano l‟infanticidio126 e che gli scimpanzé “killer” esistono pure loro. Poi, episodi “guerreschi” sono stati riportati 124 Jerry Fodor è stato il caposcuola della teoria rappresentazionale della mente, secondo la quale la mente umana puà essere intesa come un sistema di manipolazione formale di simboli (le rappresentazioni). Combinando idee antiche riconducibili a Hobbes e Hume (e cioè che pensare sia calcolare e che la mente sia un sistema di rappresentazione), egli introduce un concetto moderno, la natura simbolica e computazionale dei processi cognitivi, vale a dire che tali processi hanno un carattere “linguistico”. 125 Konrad Lorenz (1903-1989), uno dei fondatori dell‟etologia, ricevette il permio Nobel per la fisiologia e la medicina insieme a Niko Tinbergen e Karl von Frisch nel 1973. 126 Il fenomeno viene spiegato in questi termini. I Mammiferi maschi, come ad es. i leoni, che praticano l‟infanticidio, lo fanno dopo aver sopraffatto gli altri rivali maschi e aver assunto il ruolo dominante, per cui uccidono i figli di questi, i quali potrebbero essere, in futuro, potenziali rivali a loro volta (lo fanno anche per rendere nuovamente ricettive le femmine). Ciò, per certi versi, fa venire in mente la strage degli innocenti narrata nel Nuovo Testamento. tra gli scimpanzé e il cannibalismo, anche se raro, si manifesta anche tra questi nostri supposti cugini “pacifisti”. Ora, se è triste osservare che le antropomorfe sono molto più prossime a noi di ciò che pensavamo, queste evidenze fanno pensare che le basi biologiche della violenza siano profonde. Se poi la competizione violenta sia stato o meno il “motore” della nostra evoluzione, questo è chiaramente non provabile, anche perché la cooperazione appare come l‟altra faccia della medaglia. Se si chiedono ad un neurobiologo lumi sulla violenza sulla base delle sue conoscenze, non avrà dubbi: comincerà affermando che le emozioni sono regolate da un circuito cerebrale complesso costituito dalla corteccia orbitale frontale, l‟amigdala, la corteccia del cingolo anteriore e altre regioni interconnesse. Poi vi dirà che il contributo biologico e ambientale alla strutturazione di questo circuito è vario, ma che qualsiasi malfunzionamento della rete che regola le emozioni provoca l‟aggressione impulsiva (che è diversa da quella premeditata). Proseguirà dicendo che, dato che la corteccia prefrontale è fortemente influenzata dal neurotrasmettitore serotonina, gli individui violenti sarebbero quelli che hanno perturbazioni di questo neurotrasmettitore 127. Questa visione riduttiva e individualizzata dell‟aggressione non ci dice gran che, in realtà. Se si chiedono lumi ad un etologo, esso ci sommergerà di dati che, apparentemente, mostrano come la possibilità d‟infliggere violenza ai conspecifici sia legata alla sopravvivenza dei rappresentanti del regno animale. In realtà, studi recenti indicano che i fattori che determinano, in molti animali, l‟esito di un incontro casuale con un conspecifico (pace o lotta), sono legati alla personalità, al rango, l‟esperienza e ai livelli d‟ansia. Alcuni pensano addirittura che la violenza inflitta ad un conspecifico sia una condizione patologica, legata al fatto che i segnali provenienti dall‟altro manchino o siano male interpretati. Questo quadro “generalista e buonista” non ci aiuta poi molto. Vi sono altri etologi che osservano un fatto: se i nostri antenati avessero lottato fra loro per risorse disponibili in quantità limitate con lo stesso accanimento che hanno mostrato in tempi storici, ebbene, si sarebbero creati i presupposti per dar luogo ad una pressione selettiva che avrebbe fortemente inciso sulle loro caratteristiche intellettive. L‟uomo, anche ai nostri giorni, crea strumenti che hanno una incredibile potenzialità omicida. Secondo Alexander, per esempio, il potenziale di ostilità presente tra i gruppi umani sarebbe il “motore” evolutivo dell‟intelligenza sociale umana, perché è convinto che una banda del passato capace di uccidere o allontanare i rivali, avrebbe creato i presupposti di quella che va sotto il nome di selezione rapidissima128. Per questo autore, le abilità tecnologiche che sono state escogitate per la creazione di armi avrebbero messo in moto un meccanismo selettivo che avrebbe favorito i componenti più intelligenti (e dotati di alto grado di socialità) di bande rivali, per cui individui particolarmente dotati avrebbero instaurato un meccanismo competitivo con le loro attività aggressive, tale da influenzare la fitness129 delle alternative utilizzate dagli altri membri della popolazione. Gruppi che fossero stati in grado di prendersi con la forza le risorse dei gruppi vicini, avrebbero scatenato un meccanismo per il quale anche gli altri gruppi, che non fossero stati completamente sopraffatti, sarebbero stati costretti a compiere scorrerie. Ad un certo punto, anche se tutti i gruppi avrebbero tratto giovamento della cessazione delle ostilità, nessuno era più in grado di fermare un sistema evoluzionisticamente stabile. I limiti al combattimento sarebbero potuti derivare solo da cambiamenti dovuti ad avanzamenti tecnologici o sociali130. 127 La storia della serotonina è, come sempre, molto più complessa di quanto non appaia nelle poche righe del testo. Molti studi hanno mostrato che in molti animali e nell‟uomo gli individui aggressivi hanno nella media bassi livelli di un metabolita della serotonina, il che indica che nel liquido cerebrospinale vi sono bassi livelli di questo neurotrasmettitore. Vi sono almeno 14 recettori per la serotonina nel cervello, il che complica il quadro. Se la serotonina è coinvolta nell‟aggressività, il suo ruolo non è nitido. Per quanto riguarda la corteccia prefrontale, la materia grigia dei soggetti violenti è minore, così come il metabolismo del glucosio, il che suggerisce che quest‟area non lavori in maniera adeguata nei violenti. 128 Selezione rapidissima. Un forma di selezione sessuale che si manifesta quando le preferenze di accoppiamento femminili per determinati attributi maschili determinano un feedback positivo che favorisce i maschi che possiedono questi attributi e le femmine che li preferiscono. 129 Fitness. Dall‟ingl. “essere adatto, idoneo”, indica, in etologia, una misura dei contributi genetici di un individuo alla generazione successiva e a quelle ulteriori, sovente vista come il numero dei figli che sopravvivono provenienti da uno stesso individuo. 130 Molti lustri fa, ormai, mentre indagavo sulle cerimonie funebri degli Igorot di Sagada (Luzon, Filippine), chiesi alla mia informatrice (Valentina Reyes) quando e per quali ragioni gli aggressivi cacciatori di teste locali avessero smesso la loro truce attività. “Grazie al cielo abbiamo avuto l‟invasione giapponese durante la seconda guerra mondiale” mi disse “e, lo ricordo bene, quando il graduato che s‟insediò qui s‟accorse che esistevano ancora, ne fece uccidere un paio e poi li espose nella pubblica piazza: con ciò finirono le scorribande di questi relitti del passato”. Mi raccontò che tutti i clan locali erano molto aggressivi e che la raccolta di teste tagliate era un tratto culturale che continuava a sopravvivere anche quando l‟acculturazione in senso occidentale era già un fatto praticamente compiuto con l‟arrivo dei missionari battisti. Da quanto intuii, prima dell‟arrivo dei missionari, la pratica aveva lo scopo di diminuire la pressione demografica che derivava dal fatto I primatologi, invece, sono più propensi a sbarazzare il campo dall‟idea che l‟aggressione sia un istinto antisociale, in quanto essi lo considerano un mezzo di competizione e negoziazione. Dato che nei Primati sociali la sopravvivenza dipende dalla mutua assistenza, l‟evoluzione avrebbe agito coartando l‟espressione dell‟aggressività allo scopo di mantenere buone relazioni tra conspecifici. Secondo i primatologi, l‟evoluzione avrebbe anche prodotto strategie atte a neutralizzare gli effetti distruttivi dell‟aggressività, per esempio tramite riconciliazioni. Dopo aver studiato per anni i conflitti tra i Primati, attualmente molti primatologi osservano anche cosa succede quando i conflitti non si attuano perché, quando esiste un conflitto d‟interessi tra due opponenti, l‟aggressione può certamente manifestarsi, ma più spesso s‟instaurano anche situazioni che inducono tolleranza o, addirittura, l‟opposizione al confronto. Nella letteratura specialistica, oltre un centinaio di articoli (che trattano 27 specie di Primati), riguardano un nuovo concetto che si è fatto recentemente strada, quello di riconciliazione. Secondo questa idea, gli individui cercano di diminuire il danno sociale causato dall‟aggressione, per cui la violenza si scatenerebbe solo come ultima ratio131. Chiaramente, si tratta di un capovolgimento delle ottiche classiche, da Lorenz in giù. Questo rivolgimento ci fa comprendere che – forse – più che basarci sulla competizione, per capire come l‟umanità si sia evoluta, dovevamo volgerci anche alle basi bioevolutive della cooperazione. Ma si sa, la cooperazione non lascia tracce sanguinolente sul terreno. E poi, ammettiamolo, via, tra i figli di Abramo, Caino e Abele, il primogenito è molto più intrigante. Gli studi sui bambini, ovvero la violenza degli innocenti. Qualsiasi adulto sano di mente è perfettamente conscio del fatto che i nostri pargoli non si uccidono tra loro solo perché non hanno accesso alle armi da fuoco. La violenza è naturale tra i bambini, ma le ricerche mostrano che dall‟età di due anni essi imparano ad esprimersi e dirimere le loro contese in modi non violenti. Si calcola che esista un 2% di maschietti affetti da violenza cronica (le bambine sarebbero meno) ma, nella maggioranza dei casi, un bambino violento non diviene un adulto violento. In genere, però, gli adulti molto violenti hanno avuto problemi comportamentali nella prima infanzia e non mostrano danni cerebrali evidenti. Gli studi sui bambini adottati e quelli sui gemelli monozigoti hanno mostrato che i geni influenzano molti tratti associati al comportamento violento cronico. Questi tratti sono: l‟impulsività, il temperamento di opposizione, la vendicatività, la resistenza al controllo, il deliberato disturbo del prossimo. Gli studi mostrano che, per una buona metà, questi tratti sono ascrivibili ai geni. Da un altro versante, gli scienziati sociali focalizzano la loro attenzione su altri aspetti, come le differenze di genere (maschile e femminile) e le oscillazioni che le società mostrano, in bilico come sono tra cooperazione e competizione. Nei primi testi di psicologia differenziale, si guardava soprattutto alle abilità verbali, spaziali e numeriche. I maschi superavano le femmine in quelle spaziali e numeriche, mentre invece nelle abilità verbali eccellevano le femmine. Successivamente, si valutarono altre abilità con risultati spesso contrastanti; attualmente si sono accumulati tantissimi dati, ma le premesse che permeano questi studi possono essere ricondotte, in definitiva, a due posizioni (anche pregiudiziali). C‟è chi vuol ricondurre le differenze tra i sessi a basi strettamente biologiche (accentuando le diversità riscontrate), e chi invece le vuole ricondurre ad eventi storico-culturali (dando per scontate solo poche differenze). Siamo al solito problema dell‟area del rettangolo e di chi ha contribuito di più a determinarla, la base o l‟altezza? Se, come si voleva una cinquantina d‟anni fa, “i maschietti costruiscono torri, le bambine recinti”132, partendo da un‟opposizione che originava dalla psicanalisi (la quale si basava sulle differenze morfologiche dei genitali dei due sessi), è pur vero che le modalità con cui i due sessi si pongono di fronte al mondo è diversa. Tralasciando le pur interessanti differenze riscontrate dalla psicologia differenziale, ciò che importa ai nostri fini sono le differenze emerse nei due aspetti competizione e cooperazione. Le meta-analisi133 che quei gruppi dovevano competere in un territorio montagnoso con risorse limitate, per cui supposi che tale pratica fosse un mezzo di contenimento della popolazione. Ai cacciatori di teste, infatti, andava bene chiunque, come preda, lo ricordava bene Valentina: “Quando da piccola lavoravo in risaia, se qualcuno avvertiva che i cacciatori di teste stavano arrivando, fuggivamo terrorizzati in tutte le direzioni come forsennati, perché loro avevano bisogno di teste, non importa di chi fossero”. 131 Calderón de la Barca: “ultima razón de Reyes”, “ultima ragione dei re”, furono definite le artiglierie belliche da questo commediografo del „600. Federico di Prussia fece scolpire la seguente frase ispirata da Calderón sui cannoni prussiani: “ultima ratio regis”, per cui l‟espressione latina viene ripetuta col significato di “estremo rimedio”. 132 Erikson E.H. (1950) Childhood and Society. Penguin Books, Harmondsworth. 133 Meta-analisi. Tecnica di revisione della letteratura esistente su di un determinato argomento che contiene una metodologia definitiva e una quantificazione dei diversi studi ad uno standard metrico che permette l‟uso di tecniche statistiche come mezzo di analisi. Per saperne di più, si veda: Hunter J.E., Schmidt F.L. (1990). Methods of meta-analysis: compiute sulle ricerche della psicologia di genere hanno sbarazzato ormai il campo da una gran mole di differenze di genere date per scontate, ma prive di fondamenti scientifici; la sola dimensione in cui le differenze emergono è l‟aggressione. Nella maggior parte delle culture, a partire da due/tre anni di età, i maschi sono più aggressivi delle femmine. Ciò non solo da un punto di vista fisico, ma anche verbale. Su questa base si innescherebbero poi anche una serie elevata di sfumature desumibili più da indici non verbali che verbali. Le femmine cercano di più i rapporti empatici con il prossimo e ciò per una serie di ragioni che sono solo ipotesi. O lo fanno perché sono socialmente più deboli, oppure perché il loro orientamento socioemotivo le porta a ciò, o anche perché mascherano, sorridendo e avvicinando di più il prossimo, il disagio sociale. Se esista una base biologica non è, ovviamente, accertabile quale sia (qualcuno diceva: “i geni sono importanti, ma non sono il destino”); di certo il modo in cui vengono trattati i due sessi dagli adulti appare interessante. In uno studio, detto dei “baby X”, bambini di circa un anno d‟età venivano vestiti con abiti unisex e a loro veniva assegnato un nome maschile o femminile a caso, che poteva anche non corrispondere al loro sesso. Ebbene, gli adulti li trattavano in maniera diversa se pensavano d‟avere a che fare con maschietti o femminucce. Molte ricerche, soprattutto sorte dalla psicologia dello sport, mostrano che tra maschi e femmine vi è un modo diverso di cooperare e di competere. Con questo non si vuol dire che un sesso manchi di certe caratteristiche o le abbia in misura minore rispetto all‟altro: sia i maschi sia le femmine hanno lo stesso repertorio gestuale, comportamentale e motivazionale. Ciò che cambia sono le combinazioni che, in maniera più o meno conscia, i due sessi scelgono, e ciò dipende da determinate modalità biologiche e culturali, che hanno senza dubbio le loro basi nel nostro passato “profondo”. Da un altro versante ancora, quello psicanalitico, è ben noto che il disaccordo tra Freud e Jung nasceva dalla centralità che Freud assegnava al sesso e alle modalità con le quali l‟inconscio si affacciava durante l‟evoluzione. Per Jung, le caratteristiche essenziali della psiche erano già presenti alla nascita; per Freud ogni individuo acquisiva il suo patrimonio mentale durante lo sviluppo. Jung coniò il termine archetipo134 per indicare gli attributi tipici dell‟uomo già presenti alla nascita. Essi riguardano tutti gli uomini, indipendentemente dalla provenienza sociale, storica e razziale e generano pensieri, sentimenti e idee che sono sempre simili. In realtà, l‟ipotesi degli archetipi è accettabile da un punto di vista biologico, perché gli archetipi avrebbero potuto evolversi sulla base della selezione naturale, come molte altre caratteristiche umane. Jung asseriva che l‟archetipo …”non è un’idea ereditata, ma una modalità ereditaria di funzionamento”. Ciò da un punto di vista biologico non fa una grinza. Ai fini dell‟aggressività l‟archetipo del Nemico è essenziale e si manifesta fin dal primo anno di vita, nel quale il bambino mostra circospezione all‟avvicinarsi di estranei. In seguito, l‟indottrinamento culturale (che ci indica quali siano i gruppi ostili alla nostra tribù o alla nostra nazione; ma anche concetti come il Male, Satana e così via) e la repressione famigliare (che ci indica quali comportamenti non siano accettabili), fanno sorgere un insieme di idee associate tra loro da una carica emozionale comune. E l‟archetipo del Nemico si rafforza. A causa della repressione famigliare, di ciò che è giudicato inaccettabile dall‟ambiente famigliare in cui un individuo cresce, molti aspetti della personalità vengono repressi o lasciati allo stato embrionale nell‟inconscio. Jung li chiamò “complesso dell‟Ombra”, e raramente viene allo scoperto, perché segregato da ciò che Freud chiamava “Super-io”135 e Jung, invece, “complesso morale”. Come meccanismo di difesa dell‟Io neghiamo Correcting errors and bias in research findings. Sage, Newbury Park. Non mi sono mai cimentato in uno sforzo del genere perché occorre raccogliere tutta (ma proprio tutta) la letteratura esistente su di uno specifico argomento: una fatica improba ! 134 Archetipo. Dal lat., a sua volta dal gr. “essere a capo” e “modello”. Nel pensiero di C.G. Jung (1875-1961), psichiatra e psicologo svizzero, un‟immagine primordiale contenuta nell‟inconscio collettivo, la quale riunisce le esperienze della specie umana e della vita animale che la precedette, costituendo gli elementi simbolici delle favole, delle leggende e dei sogni. Inconscio collettivo. Sempre per Jung, lo strato o livello della psiche dove sono contenute le tracce delle esperienze primordiali dell‟umanità, che tornano a manifestarsi attraverso immagini ricorrenti (gli archetipi, appunto) dei miti, nelle creazioni artistiche e nei sogni. 135 Super-Io. Dal ted. Űber-Ich. Il concetto, formulato da Sigmund Freud (medico austriaco fondatore della psicanalisi e delle sue dottrine, 1856-1939), indica l‟istanza psichica che regola il comportamento e presiede alla coscienza morale. Secondo il suo coniatore, questa istanza sorge nel bambino attraverso identificazioni successive e stabili con aspetti dei genitori e degli educatori, ed è quindi depositaria di valori tramandati di generazione in generazione; essa ha il ruolo di giudice e censore dell‟Es, e da essa derivano inibizioni inconsce e bisogno inconscio di punirsi. Es. Dal ted. “ciò, esso”, indica, per la psicanalisi freudiana, la forza impersonale che “ci vive”, vale a dire “vive noi”. Il termine, mutuato dall‟opera dello psicologo G. Groddeck (1866-1934), che a sua volta l‟aveva ripreso da Nietzsche, nella tripartizione Es-Io-Super-Io, designa gli aspetti inconsci (istinti e pulsioni) della personalità, con l‟avvertenza che se tutto l‟Es è inconscio, non tutto l‟inconscio è Es, risultando infatti inconsci anche taluni aspetti dell‟Io. Sono tipiche dell‟Es l‟assenza di strutturazione e di organizzazione e l‟obbedienza esclusiva al principio del piacere. Lo stesso concetto è espresso dagli anglosassoni con il pronome latino id e dai francesi con le ça. Per finire, e sovvertendo la tripartizione Es-Io-Super-Io, l‟Io (dal lat. volg. ĕo, class. l‟esistenza del complesso dell‟Ombra, proiettando l‟Ombra sugli altri, perché il complesso si accompagna a sentimenti di colpa, oltre che dalla paura di essere rifiutati qualora esso venisse allo scoperto. Far uscire l‟Ombra è doloroso, per cui neghiamo la nostra “cattiveria” proiettandola sugli altri. Alla base di tutte le forme di pregiudizio verso gli altri vi è questo meccanismo inconscio di salvaguardia dell‟Io. Alla luce di queste ipotesi, l‟aggressività (e il suo contenimento), e la stessa cooperazione provengono dall‟interno e si strutturano sviluppando il complesso morale individuale, che nascerebbe più dalla paura di essere abbandonati dalla madre piuttosto che dalla paura di essere castrati dal padre per aver espresso desideri incestuosi verso la madre (come voleva Freud)136. Le ipotesi psicanalitiche, qui rapidamente (e forse malamente) tratteggiate, vanno nella direzione dell‟innatismo dell‟aggressività, vale a dire che aggressività e cooperazione sono due facce opposte di una capacità innata, dotata di valore adattativo. Non dobbiamo dimenticare che durante il nostro adattamento evolutivo un nemico era sempre presente, da qualche parte. Ciò che fa riflettere, invece, è la “contorsione” dei meccanismi di difesa dell‟Io presenti in noi e che debbono essersi sviluppati molto indietro nel tempo, agli albori della socializzazione. La sociologia ricerca invece i contesti socio-mentali dell‟aggressività, vale a dire come operi la mente nel contesto sociale e, di riflesso, quale sia il modello mentale che opera nel contesto sociale. Si parte dal presupposto che l‟origine dei nostri comportamenti sia sepolta negli strati più profondi del nostro essere e che, conoscendoli, sia possibile migliorare i meccanismi di cooperazione anziché quelli di competizione. La distinzione che viene operata da alcuni sociologi, per quanto artificiosa, mostra che le nostre tendenze innate creano due sistemi sociali differenti: quello agonico e quello edonico137. Il primo è un sistema rigido, gerarchizzato, in cui gli individui sono in costante tensione e tendono all‟autodifesa. La stretta struttura gerarchica impone la cosiddetta strutturazione dell’attenzione tra gli individui, in quanto ogni soggetto riceve attenzione in base al suo rango e ciascun individuo dirige la sua attenzione al prossimo su questa base. Già Freud, per inciso, aveva sottolineato nel suo libro “Il disagio della civiltà”, il fatto che molti individui, posti in uno stato di sottomissione psicologica, provino stress, il che ben si attaglia alla modalità agonica. Il secondo sistema è più aperto, cooperante e solidale, basato su rapporti flessibili e di sostegno reciproco. In questo sistema il livello di attenzione non è più il canale principale attraverso il quale si mantengono i legami sociali, per cui l‟attenzione può essere ridiretta verso altre attività. Chiunque abbia attraversato prima della caduta del Muro di Berlino, via terra, le frontiere tra le due Germanie, ha ben chiare le differenze tra modalità agonica ed edonica (ma anche, per certi versi, chi passi la frontiera tra Stati Uniti e Canada). Recenti scoperte hanno dimostrato che il semplice fatto di vivere in due contesti diversi, in cui predomini o l‟una o l‟altra delle due modalità, indirizza la formazione della personalità; agisce sulle capacità cognitive; ma, soprattutto, le ricerche mostrano che le due modalità convivono nella nostra mente e determinano il modo in cui ci poniamo in relazione con il prossimo. Non è difficile trovare ai giorni nostri esempi nelle organizzazioni sociali classiche. Sono stati identificati quattro tipi principali di cultura delle organizzazioni. La prima, quella del potere, è tipica dei monarchi assoluti, oppure di alcune compagnie che della finanza hanno una concezione piratesca. Chi conta in questi contesti sono le figure-chiave, dalle quali dipende il potere dei sottoposti. Il Capo è quello che dirige l‟organizzazione ed è essenziale che i subordinati la conoscano e vi si adeguino. Si tratta di una concezione chiaramente agonica. La seconda, quella del ruolo, è quella classica della burocrazia, nella quale è più importante il ruolo rispetto all‟individuo. Una serie di regole e procedure delimitano, fino a sostituirlo, il potere personale. Anche se apparentemente non è agonica, le gerarchie contano e tutti debbono conoscere e rispettare le regole. Ciò che conta non è più il capo, ma l‟organizzazione, nella quale l‟individuo si deve “annacquare”, perché se dimostra troppa iniziativa personale viene penalizzato. La cultura dell‟obiettivo è quella delle imprese, al quale i dirigenti aspirano o dicono di aspirare. Dato che i mutamenti economici e politici sono rapidi, per fronteggiare i cambiamenti si ĕgo), è l‟istanza organizzata dell‟apparato psichico che, nella tripartizione già espressa, assume principalmente il ruolo di mediatore tra le richieste dell‟Es, le regole del Super-Io e le esigenze della realtà. Per cui esso è l‟elemento di integrazione e di organizzazione dell‟individuo capace anche di attuare meccanismi difensivi quando le sue funzionalità sono minacciate. 136 In psicanalisi l‟angoscia di castrazione oppure il complesso di castrazione indica il timore che ha un bambino di perdere l‟organo genitale (in genere per attività sessuali o anche solo per impulsi sessuali). Il complesso si manifesta quando il bambino scopre le differenze anatomiche tra i due sessi. I due sessi interpretano la mancanza del pene nelle femmine come un‟amputazione, per cui le femmine possono sviluppare la cosiddetta “invidia del pene”. Tale complesso, se non superato in maniera adeguata, può permanere negli adulti nevrotici. 137 Agonico. Meglio sarebbe agonistico, dal lat. tardo, a sua volta dal gr. “lottatore”. Chi prende parte ad un agóne, ovvero chi lotta, compete. Edonico. Dal fr. hédonique, a sua volta dal gr. “piacere”. Che ha relazione con il piacere; in psicopedagogia il bisogno, tipico del bambino, di provare emozioni gradevoli, e va soddisfatto con giochi, passatempi, letture, rappresentazioni piacevoli. creano gruppi competenti nell‟eseguire determinati compiti e nel portarli a termine, il che può durare per periodi più o meno lunghi. Si tratta di una modalità flessibile, in cui gli individui sono meno soggetti all‟osservanza di regole, e ai diktat di un capo. Si configura come una modalità edonica, in quanto lo spazio offerto agli individui innovativi è ampio. L‟ultima modalità, ancora edonica, è quella della cultura della persona, non facilmente riscontrabile nelle strutture organizzate, perché vuole che l‟individuo persegua i propri interessi e sviluppi le proprie capacità e l‟organizzazione lo assista verso il raggiungimento dei suoi fini, fornendogli supporto, come fa la famiglia moderna o come fanno le cooperative 138. A questo punto, occorreva cercare tra le popolazioni non ancora “globalizzate” degli indizi che dessero ragione dell‟aggressività e delle modalità per contenerla. Gli indizi non mancano, specialmente tra le popolazioni di cacciatori-raccoglitori (taluni preferiscono chiamarle raccoglitori-cacciatori per la preminenza quantitativa della raccolta sulla caccia), di cui ho già fatto cenno a proposito dell‟apporto della parte femminile nella dieta di queste popolazioni. Menzionerò brevemente fra un po‟ i gruppi di cacciatoriraccoglitori, anche se il processo di deculturazione139 che hanno subito è stato così veloce da impedire che i gruppi esigui attualmente viventi essi possano fornirci indizi probanti. Di fatto, i documenti storici mostrano che culture guerriere si sono evolute in maniera indipendente in zone lontanissime tra loro, come quelle tropicali del Sud America, del Borneo e della Nuova Guinea. L‟ambiente sembra essere determinante, perché la difesa di risorse di un certo valore, come le derrate alimentari o quelle ricavabili da un territorio di caccia, concorrono a determinare se l‟uso della forza (per offesa o per difesa) diventi necessario. Un esempio è quello delle tribù indiane degli Shoshoni e dei Paiuti (che vivevano tra Nevada, Oregon e Utah). I primi vivevano in praterie steppose e secche, per cui le piante che servivano per il loro sostentamento erano disperse in un vasto territorio. Le tribù si frazionavano d‟estate in piccole bande che non combattevano con altri gruppi famigliari. I secondi ricavavano invece il loro sostentamento da piante che proliferavano lungo i corsi d‟acqua, per cui costruivano villaggi che difendevano strenuamente da eventuali incursioni dei vicini. A questo punto, allora, ci si può chiedere: è solo l‟ambiente che determina se un gruppo opterà per soluzioni aggressive o collaborative ? Il fatto è che non sono mai stati effettuati dei test forti per verificare se le ipotesi, più o meno deboli (come quello dell‟approccio costi/benefici) possano essere verificate. Per cui, come al solito, vi è molto lavoro da compiere. Ha regione D. Hume (“…sono le emozioni che dirigono le scelte morali”), oppure I. Kant (“…è la ragione la forza che dirige”)? Psicologi, filosofi, neurobiologi ed esperti di diritto stanno attivamente cercando di scoprire, da differenti versanti (ma con il metodo scientifico), se si possano avere indizi su aspetti che hanno vessato i filosofi per secoli. L’area di notevole interesse è quella del gioco indefesso tra emozione e ragione nel prendere decisioni morali. Ora, siccome molti condividono l’idea che gli individui si affidino a reazioni “di pancia” per distinguere tra “giusto” e “sbagliato” e che impiegano la ragione per cercare di giustificare le loro intuizioni dopo che un fatto è accaduto (in un museo siamo affascinati da un quadro, ma fatichiamo a capire perché). Ciò farebbe propendere per una sorprendente automaticità dei nostri giudizi, come se il cervello fosse predisposto, ovvero avesse degli istinti morali già pre-confezionati. Per cui alcuni antropologi e psicologi stanno cercando di capire se non esistano dei principi morali universali, mentre altri stanno cercando come il senso 138 Un populista o un demagogo moderno potrebbe, giocando abilmente su queste quattro culture, crearsi un incredibile spazio politico. Basterebbe creare un‟organizzazione in cui egli è il capo indiscusso per ricchezza, carisma o ambedue; smantellare la burocrazia esistente e crearne una in cui esista l‟insicurezza della competizione per il potere; avere uno spazio mediatico sufficientemente ampio per far intuire che i cambiamenti operati (o ai quali mira), vanno nella direzione (vera o fasulla, non importa), della cultura dell‟obiettivo e della persona. Gli esempi non mancano. 139 Deculturazione. Il processo che porta alla perdita di una cultura. Acculturazione. Il processo per cui viene alterata una cultura oppure vengono acquisiti elementi nuovi, nel corso di continui contatti diretti con un‟altra cultura. Il termine viene usato di solito per indicare ai mutamenti culturali che si attuano in una comunità primitiva dipendente, in seguito all‟influenza esercitata da una civiltà molto sviluppata e potente. Inculturazione. Il processo di apprendimento, conscio o inconscio, mediante il quale gli esseri umani si adattano alla loro cultura e al sistema sociale che li attornia. morale differisca nelle diverse culture. Per cui usano questionari on-line e tecniche di neuroimmagine. Il cervello “morale” sembra esserci un collegamento tra molte regioni: per esempio, danni alla giunzione temporo-parietale destra (coinvolta nel comprendere le intenzioni), e alla corteccia pre-frontale ventro-mediale (che processa le emozioni), possono alterare il giudizio morale. Chi non utilizza le tecniche d’indagine di neuroimmagine, invece, somministra “problemi morali” e cerca parallelismi con l’idea di Chomsky della grammatica universale (l’innata capacità umana per il linguaggio e il fatto che tutte le lingue condividano principi comuni). I ricercatori cercano, cioè, nella direzione della morale universale, con risultati anche illuminanti. Hauser, per esempio, ha scoperto che il giudizio morale su alcuni aspetti importanti (es.: ferire intenzionalmente o meno il prossimo), mostrino tra le diverse popolazioni similarità che vanno oltre le costruzioni morali delle religioni di provenienza dei soggetti analizzati. Naturalmente, le sfaccettature della moralità sono molteplici, per cui non è assolutamente chiaro, al momento, se ciò che è considerato moralmente inaccettabile abbia o meno meccanismi psicologici e neurobiologici propri. Molti studiosi nel campo, peraltro, sono concordi nell’affermare (speculare) che, probabilmente, la moralità è un’elaborazione del comportamento dei primi primati e che questo aspetto si è in parte evoluto perché ha aiutato a promuovere la coesione nei primi gruppi ominidi, offrendo loro un vantaggio nei confronti di altri gruppi coi quali erano in competizione. Il problema, asserisce Hauser, è questo: come fa il nostro cervello a sapere ciò che è morale da quello che è solamente sociale ? Domande Qual è il nodo cruciale da risolvere collegato agli studi sull‟aggressività? Cosa afferma, a proposito di a., un neurobiologo? E un etologo? E un primatologo? Cosa significa il concetto emergente di riconciliazione? È collegato con quello di cooperazione? Cosa significa “differenze di genere”? Quali sono? Qual è la visione generale dell‟a. da parte delle due principali scuole psicanalitiche? Quali sono, secondo alcuni sociologi, i due diversi sistemi sociali creati dalle nostre tendenze innate ? Altri modelli animali Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) Di come lo studio dei carnivori sociali possa fornirci alcune indicazioni (non modelli) sul modo in cui avrebbero potuto organizzarsi socialmente i nostri antenati più lontani; Di leoni e lupi; Di delfini, lontani da noi, ma ritenuti estremamente intelligenti. I nostri cugini scimmieschi più prossimi sono per lo più vegetariani e vivono in spesso in foresta. I nostri antenati erano invece abitanti di savana e probabilmente cacciavano o si dedicavano alla predazione opportunistica o al rovistamento di carogne. Per questo motivo, alcuni studiosi si sono volti ad osservare come altri abitanti della savana (come i leoni) oppure altri carnivori (come i lupi), si organizzino socialmente. Tra i leoni, al pari degli scimpanzé, un sistema gerarchico ben chiaro non esiste, anche se non mancano i ranghi e la dominanza, quest‟ultima si manifesta anche tra le femmine. Quando si muovono in savana è una femmina che capeggia il branco e buona parte della caccia è un compito femminile, anche se, una volta abbattuta la preda, i maschi accorrono e mangiano a volontà prima di permettere alle femmine di avvicinarsi. Questo è uno dei pochi segni di dominanza maschile. Le madri non hanno la stessa relazione di notevole attaccamento nei confronti della prole, per cui il tasso di mortalità dei loro figli raggiunge anche il 60%. La cooperazione per la caccia è elevata e ciò permette loro di cacciare prede che, per il singolo, sarebbero difficili. Il leone non è un buon modello, anche perché, essendo un felino, esso è una “macchina da guerra”, abbastanza differente dai nostri antenati. Pur vivendo in gruppo come i primi ominidi, ha evoluto strategie diverse. I lupi mostrano aspetti più prossimi a quelli sviluppati dai primi ominidi, nel senso che essi mantengono la grandezza del gruppo in relazione alle risorse ambientali e cacciano cooperando. Il cibo viene spartito ed esistono rituali che controllano l‟aggressività. I cuccioli vengono allevati dalle madri, ma tutti i membri del branco mostrano interesse per loro. Un branco di lupi si forma qualora una coppia lasci il suo gruppo parentale per dar luogo ad una cucciolata, anche se, occasionalmente, molte famiglie si combinano insieme. Sono territorialisti e, a seconda della scarsità o abbondanza di cibo, i gruppi possono scindersi o riunirsi. Un altro modello, studiato in concomitanza con gli scimpanzé, è quello dei cani selvatici africani. Non sono territorialisti e hanno relazioni molto strette in gruppi di 9-10 individui. Sono così organizzati che le loro cacce hanno una probabilità di successo dell‟89%, di gran lunga superiore a quella dei loro cugini lupi e dei leoni. Ciò per alcuni è da ascrivere al fatto che le relazioni tra loro sono strette e “amicali” e che la prole è estremamente curata (ad esempio, se un cucciolo accompagna gli adulti in una caccia, esso ha la precedenza completa nell‟uccisione della preda e può poi monopolizzare la carcassa). Lo studio di questi carnivori sociali è istruttivo per il fatto che vivono in nicchie ecologiche prossime a quelle dei primi ominidi, per cui è probabile che le forze selettive che hanno plasmato i nostri antenati e queste specie siano simili. Vale a dire che possiamo congetturare su aspetti come la divisione del lavoro, la cura della prole, i “campi base” e la spartizione del cibo. Vi sono poi modelli che esulano dai Mammiferi terrestri, come i delfini. Essi non ci danno inputs sugli aspetti materiali e sociali del nostro mondo agli albori, ma offrono spunti per la comprensione delle ACS. Per esempio, sulle capacità linguistiche dei bonobi non tutti sono d‟accordo, in quanto questo è un terreno estremamente scivoloso. I cuccioli di bonobo sembrano conoscere alcune semplici regole grammaticali e altre regole connesse coi simboli che sottendono la produzione del linguaggio. Per sostenere le funzioni di una conversazione, per esempio quelle riguardanti richieste, essi si comportano in maniera molto simile all‟uomo, in quanto imitano come facciamo noi, per cui mostrano molte somiglianze con le modalità con le quali i bambini apprendono il linguaggio. Chiaramente vi sono ricerche in corso molto sofisticate per comprendere quello che i bonobi sono veramente in grado di fare, ma un cosa è certa: se uno scimpanzé comune e un bonobo vengono cresciuti assieme, il bonobo è quello che impara il linguaggio più rapidamente. E gli altri animali? I delfini sono noti per essere tremendamente svegli, specialmente il Tursiops truncatus, che dimostra di avere un linguaggio, d‟essere sessualmente promiscuo come molti altri Mammiferi e di usare il sesso per rinforzare le relazioni sociali. Proprio come i bonobi, i delfini mostrano di possedere un grande cervello, con una corteccia ampia e convoluta, certamente la più ampia tra i Mammiferi non umani e di gran lunga più vasta di quella degli scimpanzé. Alcuni biologi sono convinti che la sua grandezza sia dovuta alle necessità dell‟eco-localizzazione, ovvero l‟abilità di localizzare gli oggetti per mezzo dei suoni, come fanno i pipistrelli nell‟aria. I delfini infatti hanno un sonar estremamente sofisticato localizzato nella loro bocca, che può produrre non solo gli ultrasuoni, ma può riprodurre anche suoni umani, risate comprese. Altri scienziati invece sono convinti che la loro vasta corteccia sia in relazione alle esigenze della socializzazione, la quale è elevata, come quella dei Primati sociali. I delfini cooperano, fanno alleanze e formano gerarchie. Quando cacciano un solo delfino si “fionda” sul cibo e gli altri attendono il loro turno. Chi e cosa decide i turni? Nessuno lo sa, ma questo comportamento richiede comunicazione, come per esempio accade quando le delfine difendono la loro prole mantenendola al centro del circolo che esse formano. Qualcuno ha anche classificato i loro suoni, che sono: sbuffi, belati, stridi, schiocchi, cigolii, battiti, versi d‟anatra, schiamazzi, raschiamenti, squittìi, gridi rauchi, urli, fischi. Alcuni di questo suoni sono senza dubbio utili per localizzare gli oggetti in acqua, ma gli altri? I fischi sono i suoni più usati e risulta enigmatico il fatto che, in una percentuale tra il 50 e il 90%, vi sia ripetizione delle loro vocalizzazioni, chiamate “la firma”, nel senso che ogni individuo ha i suoi propri fischi, che usa senza ritegno. Per quale motivo, nessuno lo sa, è come se io me ne andassi in giro ripetendo sempre e in continuazione il mio nome. I problemi dello studio dei delfini sono diversi da quelli incontrati coi Primati, per la semplice ragione che risulta estremamente difficile osservarli nei mari. Cosicché nessuno è convinto dei risultati ottenuti studiandoli in cattività. Per esempio, la scoperta dei loro fischi di firma è stata compiuta con delfini d‟acquario, ma questo comportamento potrebbe essere ragionevolmente dovuto al fatto che un delfino, ripetendo in continuazione i suoi suoni individuali, cerca di mantenere intatta la sua individualità, dato che si trova in un ambiente ristretto, non naturale e in presenza di un altro animale, l‟uomo, che lo costringe a compiere strani movimenti ed esercizi innaturali. Nei mari, grazie all‟uso di speciali calcolatori capaci di captare suoni al di fuori dello spettro uditivo umano, si è scoperto che i fischi sono prodotti ad alta velocità e che sono estremamente complessi, vale a dire che essi non sono solo variazioni sui fischi “di firma”. Così pare plausibile che questi animali usino un linguaggio capace di ricombinare i suoni formando parole e messaggi. Come l‟uomo?. Al momento, in ogni caso, non si hanno certezze. Esperimenti recenti hanno mostrato che i delfini comunicano gli uni con gli altri scambiandosi informazioni e cooperando tra loro quando sia necessario eseguire un nuovo compito. Lavorando poi con l‟uomo, possono associare le parole a ciò che si riferiscono, per esempio la parola palla significa tutte le palle possibili, per i delfini. È stato visto che essi possono generalizzare e capire frasi. Proprio per il loro ampio e circonvoluto cervello e per le supposte “capacità linguistiche” possedute da questi deliziosi cetacei, per un po‟ di tempo è circolata anche l‟idea – e per fortuna non ha fatto in tempo a diventare leggenda metropolitana - che l‟uomo discendesse da una fantomatica “aquatic ape”. Domande Perché lo studio di gruppi di leoni ( e di carnivori in genere) non offre un buon modello? Quali sono le caratteristiche che accomunano i lupi agli ominidi? E quelle che li demarcano? Come mai alcuni autori hanno addirittura ipotizzato che i nostri più lontani antenati derivassero da una fantomatica “aquatic ape”? I cacciatori-raccoglitori Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Di cosa s’intenda per cacciatore-raccoglitore; Del perché possano offrire un modello utile; Di come vivevano i !Kung-San, un modello ritenuto valido per decenni; Dei problemi che scaturiscono quando si osservano i cacciatori-raccoglitori. Il termine indica popolazioni che cacciano selvaggina e raccolgono piante selvatiche. Questa modalità sembra essere la strategia fondamentale degli inizi. Ciò perché il genere Homo ha avuto 2 m.a. per evolversi, per cui, 140 calcolando che noi non siamo più né rovistatori di carogne, né cacciatori-raccoglitori (d‟ora in poi: c-r) solo da circa 10.000 anni, il 99.5% della storia del nostro genere ha avuto questa strategia come base per il procacciamento del cibo. Attualmente i pochi c-r sono distribuiti nelle regioni più disgraziate del pianeta: deserti, foreste pluviali e zone artiche o subartiche, sospintivi mano a mano dalle popolazioni che vivevano d‟agricoltura e d‟allevamento. In genere, i c-r vivono in bande nomadiche o seminomadiche composte da nuclei famigliari non 141 molto vincolati tra loro e senza strutture come clan e lignaggi . Non vi sono capi politici, religiosi o economici e 140 Come già detto accennato in un precedente paragrafo, è doveroso ricordare che le antropologhe, dopo che le osservazioni sul campo hanno dimostrato che, in queste popolazioni, la quota parte maggiore di nutrienti era fornita dalla parte femminile mediante raccolta, hanno proposto d‟invertire i termini: raccoglitori/cacciatori. Non ho assunto questa dicitura semplicemente perché è invalso l‟uso di c-r. Auguro alle colleghe di aver maggior forza in futuro e di essere capaci di ribaltare i termini: da un punto di vista quantitativo hanno ragione. 141 Clan. Dall‟ingl. clan, adattato dal gaelico clann, che significa “discendenza, famiglia, tribù”. In etnologia il termine indica un gruppo sociale intermedio tra famiglia, in senso ampio, e la tribù, il cui carattere fondamentale è dato dall‟esogamia. Si può appartenere ad un clan per discendenza materna o paterna e i rappresentanti di un clan si ritengono discendenti di una persona alla quale attribuiscono un carattere mitico, per cui utilizzano regole comportamentali simili a quelle in uso tra i consanguinei. Lignaggio. Dal fr. lignage, a sua volta dal lat. linea, nel senso di linea di discendenza. In etnologia indica un gruppo esogamico d‟individui legati da un rapporto di discendenza unilineare (matri- o patrilineare) da una antenata o neanche gruppi che abbiano queste fisionomie all‟interno delle bande di c-r, in quanto l‟istituzione che detiene questi ruoli è la famiglia. Le bande, a seconda della disponibilità delle risorse, si allargano o si contraggono, un po‟ come succede tra i babbuini. Le risorse sono condivise in un piano di parità tra famiglie e i membri di una banda possono allearsi tra loro per difendere le risorse se incrociano “stranieri”. La divisione del lavoro richiede, ma non tassativamente, che i maschi caccino e le donne raccolgano. È ormai possibile affermare che le popolazioni di questo tipo, a parte qualche rara avis142, negli ultimi trent‟anni non vivono quasi più come volevano le descrizioni degli antropologi e degli etnologi compiute solo 50 anni fa. Se si sfoglia un qualsiasi libro d‟etnologia, l‟autore mette subito “le mani avanti”, con una frase che è il refrain di tutti questi testi: “userò il presente etnografico”. Vale a dire che afferma la violazione dell‟uso normale dei tempi, con il costante uso del presente. In genere gli etnologi usano il passato per popolazioni la cui cultura non è stata descritta con metodo etnologico, ma è stata desunta sulla base degli archivi storici e archeologici. La popolazione più interessante ai nostri fini è quella !Kung143 San, perché vive all‟interno e intorno all‟immenso deserto del Kalahari, tra Namibia e Botswana. Metto però “le mani avanti” anch‟io. Negli anni ‟60, un progetto dell‟Università di Harvard, denominato “!Kung San Project”, studiò in profondità la vita socioeconomica di queste genti. Nonostante vivessero in un ambiente marginale, per gli autori della successiva ricerca i !Kung, lavorando poche ore al giorno, erano in grado di vivere di semplice caccia e raccolta e la loro vita sociale era caratterizzata da armonia ed egualitarismo. Per ragioni legate probabilmente al prestigio di Harvard e al fatto che la ricerca era stata condotta in modo mirabile, il “!Kung San Project” divenne il modello di riferimento della vita dei c-r, sia nel mondo odierno, sia nella preistoria, nonostante vi fossero prove evidenti che ciò non corrispondeva a verità. Il modello dominò fino agli anni ‟80, quando ci si rese conto della grande variabilità all‟interno dei gruppi di c-r. Ancora, ci si rese conto che molte caratteristiche fino allora considerate tipiche degli agricoltori (stanzialità, sepolture elaborate, ineguaglianze sociali, innovazione tecnologica, scambi tra popolazioni, specializzazioni), potevano anche essere riscontrate tra i c-r. Riporto quindi questo modello più per motivi “storici”, a mo‟ d‟esempio, piuttosto che di opportunità ai fini della Storia. L‟origine dei !Kung San non è nota, di certo erano gli abitanti originari dell‟Africa meridionale, assieme agli Ottentotti, lontanamente imparentati con loro. Prima dell‟arrivo degli Europei, grandi migrazioni di popolazioni di lingua bantu, che si spinsero gradualmente verso le parti migliori del territorio sudafricano, li cacciarono ai margini delle loro terre. Dopo l‟arrivo degli Europei nel 1652, ulteriori usurpazioni avvennero, come peraltro dappertutto nel mondo. I San sono piccoli (i maschi non arrivano a 1,60 m. e le donne a 1,50m.) e hanno una costituzione esile. Sono glabri e coi capelli molto ricci. Alla nascita hanno un colorito rosa pallido, che diventa bronzeo nell‟adulto; la loro faccia è larga e appiattita, spesso con la piega dell‟occhio di tipo mongoloide, detta epicantica144. La loro lingua appartiene alla famiglia Khoisanica (che in realtà, secondo alcuni linguisti, comprende più famiglie). Vivevano (non oso utilizzare il presente etnografico dopo aver visto una serie di documentari che confrontavano la vita dei !Kung San di solo pochi decenni fa con quella attuale), in gruppi nomadici, con armi, utensili e vestiario ridotti ai minimi termini. Costruivano delle capanne fatte di erbe ma, a meno che non piovesse, preferivano restare all‟aperto. I maschi cacciavano in piccoli gruppi, senza pianificazione, mediante un arco piuttosto piccolo e avvelenavano la antenato comune di cui si conserva il ricordo. Tribù. Dal lat. tribus, in senso antropologico il termine non ha una precisa connotazione, in quanto lo si fa coincidere con i due di cui sopra, oppure alle famiglie allargate. L‟etnologia dei primordi dava a questo termine un significati dispregiativo (es: una tribù di barbari). Dominio. Dall‟ingl. “chiefdom”, “dominio del capo”. L‟elemento integrante di questa società è il capo. La leadership centralizzata è il sistema nervoso centrale di una società di questo tipo. È un livello più alto rispetto ai precedenti. Stato primitivo. È il livello più complicato, che racchiude, per gli etnologi, due tipi radicalmente distinti di società. Vi sono quelli nati da dominî (es.: Zulu e Ashanti), per cui la loro trasformazione militare fu una conseguenza diretta delle guerre e degli sconvolgimenti operati dalla colonizzazione europea. Ve ne sono altri, come gli Inca, che all‟arrivo dei colonizzatori avevano già edificato la loro civiltà, le cui istituzioni furono distrutte e sostituite con altre, nuove. 142 Giovenale: “Rara avis in terris, nigroque simillima cygno”, ovvero: “uccello raro sulla Terra, quasi come un cigno nero”. 143 Il segno diacritico “!” indica uno schiocco che è parte del sistema fonetico San. Il suono viene prodotto mettendo la lingua sull‟angolo che si trova appena dietro i denti superiori e il resto della bocca, per poi toglierla bruscamente. Provare per credere. Un tempo gli antropologi denominavano gli abitanti c-r del Kalahari come Boscimani, ora si preferisce chiamarli San. Il gruppo !Kung (San) ne fa parte. Diacritico. Dal gr. “atto a distinguere”, si tratta di segni grafici che, sovrapposti, sottoposti, anteposti o posposti ai segni grafici ordinari, conferiscono loro un significato speciale. 144 Epicanto. Dal gr. “sopra, in, di più” e da “angolo dell’occhio”. Piega cutanea palpebrale che scende ad arco dalla regione orbitale della palpebra superiore, ricopre l‟angolo interno dell‟occhio e finisce nella pelle della palpebra inferiore. punta con una sostanza ricavata dalle larve di un coleottero. Costruivano anche trappole ingegnose. Le femmine, in gruppi di tre/cinque, si recavano due o tre giorni la settimana a raccogliere piante. Conoscevano circa un centinaio di specie commestibili (radici, bulbi, meloni, noci e frutti vari). Le femmine fornivano dal 60 all‟80% della quantità totale di cibo consumata. L‟organizzazione sociale dei !Kung San comprendeva distinti livelli. Al primo vi era la famiglia, diciamo nucleare, composta da marito, moglie (talvolta anche più d‟una) e figli. Alcune famiglie strettamente imparentate potevano spostarsi insieme, formando così una banda, che poteva contenere circa 25 individui. All‟interno della banda vi erano regole che evitavano l‟incesto. Tra le bande potevano avvenire matrimoni, per cui si creava un terzo livello d‟organizzazione, con un individui che si riconoscevano come parenti o affini. I matrimoni erano a residenza matrilocale145, almeno per i primi anni. Una volta nati i figli, la coppia poteva accamparsi a proprio piacimento. Vi era predominio maschile, che però si manifestava più come protezione che come autorità. Nonostante le donne contribuissero per la maggior parte delle risorse alimentari, i bravi cacciatori erano molto apprezzati e il ruolo di predominanza maschile probabilmente derivava da questo fatto. La posizione di “capo” derivava più dalla saggezza e dall‟abilità, in quanto i !Kung San evitavano la violenza e consideravano qualcuno come spostato se manifestava un temperamento impulsivo. La cura dei figli era assidua e i bambini erano trattati con grandissimo affetto, per cui in un ambito ristretto e con regole semplici e coerenti con l‟ambiente (duro), raramente i bimbi si comportavano in modo tale da ottenere punizioni. Vi erano cerimonie d‟iniziazione, così come gli “uomini della medicina” i quali, entrando in trance (senza l‟uso di droghe), imponevano le mani sul malato. Se un individuo moriva, significava semplicemente che i parenti morti avevano reclamato l‟anima del malato; perché il morire era considerato una sorta di tiro alla fune tra i parenti vivi e quelli morti. Era consolante, per i vivi, pensare che le anime dei morti avessero desiderato così tanto quella defunto, da ottenerla. A questo punto, non ci sono modelli certi di comportamento (animali o umani) che possano farci ricostruire la Storia, quella degli inizi. Gli antropologi selezionano da fonti diverse taluni aspetti a scapito di altri, cercando di arrivare a conclusioni che possano servire a qualcosa. Viene utilizzato il criterio di utilità. Di sicuro, i primi ominidi avevano acquisito la socialità. Domande Cosa significa cacciatori-raccoglitori? Perché il loro studio è utile? Come vivevano i !Kung-san? Perché lo studio di questa popolazione ha smesso di avere la rilevanza che ha avuto fino agli anni ‟80? L’oggettività in paleantropologia Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Del ruolo dei pregiudizi nella ricerca; Di come sia faticoso il processo che porta all’ “oggettività” Di come il modo in cui si vede il mondo influisca sul modo in cui si “guardano” le cose del mondo; Del perché sia utile usare il sistema diacronico. Sospendiamo per un paragrafo la Storia e riposiamoci, riflettendo su altre aspetti (connessi però con la Storia). Che le nostre manie e i nostri pregiudizi inficino i progetti di ricerca non lo può negare nessuno. Fare ricerca, in fondo, non significa altro che cercare di capire come stanno le cose rispetto a come potrebbero essere, come si è già detto. Per arrivare a ciò, noi mettiamo in atto tutta una serie di procedure di problem solving. È indubbio, però, che il periodo storico nel quale viviamo influenza queste procedure. Un esempio classico è quello dei primi ritrovamenti paleontologici. Nei secoli scorsi, le ossa dei Rettili erano così grandi e mai viste, che si parlava di loro come artefatti, resti d‟animali mitici, creazioni inorganiche, resti dell‟arca di Noè, azioni delle stelle, scherzi. 145 Matrilocale. Dal lat. mater –tris, “madre” e locus, “luogo”. Gli sposi si stabiliscono nel luogo di residenza della madre o la coppia è ospitata dai genitori di questa. È noto che quando qualcosa esce dall‟orizzonte conosciuto e dall‟abitudine, fatichiamo non poco ad accettarne l‟esistenza. Se un pigmeo viene portato in savana e gli viene mostrato un elefante in lontananza, dirà che quello è un animale poco interessante da cacciare, perché troppo piccolo. In effetti, il pigmeo, adattato a raccogliere e cacciare il suo cibo in foresta, ha un campo visivo abituato a considerare gli oggetti a pochi metri di distanza, per cui l‟elefante lontano gli sembrerà piccolo. Si riporta che gli indigeni isolani d‟America, alla comparsa della caravelle di Colombo, non le abbiano semplicemente “viste”, perché una piroga così grande non era, per loro, plausibile. Si rifiutavano di considerarle “possibili”, e quindi non le “vedevano”146. Un esempio classico, nelle scienze, è quello degli isteroliti, ovvero le pietre che assomigliavano ad una vulva femminile. Già Plinio147 nella sua Historia naturalis aveva parlato di pietre che assomigliavano da una parte a genitali femminili e dall‟altra a quelli maschili (anche se, in questo caso, le somiglianze erano piuttosto vaghe). Durante tutto il XVI e il XVII secolo ci si chiese come mai delle pietre assomigliassero ad una vulva. Era un lusus naturae148? Oppure questa morfologia del regno minerale poteva creare corrispondenze utili anche per quello animale? Fu necessario arrivare a metà Ottocento perché la maggioranza degli scienziati le considerassero un calco di conchiglie fossili di brachiopodi149, per cui lo stesso nome cadde in disuso e non se ne parlò più. Ma per oltre duecento anni fior di scienziati ci “ponzarono” sopra, adducendo teorie anche molto, diciamo, fantasiose (come sempre capita con le cose legate al sesso). La reinterpretazione degli isteroliti, - da replica inorganica dei genitali umani a calchi dei brachiopodi - non avvenne sulla base delle innumerevoli osservazioni già possibili nei secoli precedenti il diciannovesimo, ma da una serie di cambiamenti del modo in cui si vedeva il mondo, il che permise di mettere una barriera tra ciò che è organico da ciò che è inorganico. Per cui, in qualche modo, i fossili in genere divennero “estranei” al mondo inorganico e non più classificati alla stessa stregua di altri ritrovamenti minerali come geodi, cristalli, stalattiti e concrezioni. Non sto a dilungarmi sul dibattito, tuttora in atto, sull‟oggettività della scienza, anche perché vi sono stati autori – come Kuhn e Polanyi – che sono addirittura arrivati a posizioni estreme, quali quella secondo la quale l‟oggettività della scienza è un mito. Secondo questi autori (anche se con sfumature diverse), a partire dalla formulazione di un‟ipotesi e poi, via via alla scelta di come utilizzare i risultati, il coinvolgimento dell‟autore gioca un ruolo essenziale, tanto da pervadere tutta la conduzione di un esperimento. Ne consegue che i risultati ottenuti sono l‟espressione del punto di vista di un ricercatore. Sia come sia, qualsiasi ricercatore che sfogli un libri di paleontologia sa che deve sempre “fare la tara” su quel che legge. Non solo, ma sa bene che il tempo è ciò che di più altera una scienza, per cui adotta un sistema diacronico150. Più va indietro nel tempo, più i testi sono imprecisi. Faccio un esempio, l‟evoluzione delle ipotesi sulla natura delle attività di sussistenza dei primi ominidi. Vi sono libri bellissimi sulle ipotesi legate alla caccia, considerata l‟attività principale negli anni sessanta del secolo scorso. Si partiva dal presupposto che le società ominidi avessero un‟attività socioeconomica complessa, sulla falsariga di quelle dei cacciatori-raccoglitori, considerato il modello-base. Negli anni settanta si fece strada l‟ipotesi della condivisione del cibo, focalizzata sulla raccolta/caccia, per cui la prospettiva divenne quella di società con una socioeconomia più semplice rispetto alla precedente e il modello non era più quello dei cacciatori-raccoglitori, ma un modello più “basico”, semplice. Negli anni ottanta il quadro si modificò ancora, grazie anche alla tafonomia151, di cui si è detto: l‟ipotesi dell‟ominide “scavenger”152, che frugava tra i resti di animali uccisi da altri predatori si fece strada, cambiando la prospettiva, ancora una volta. La nostra sussistenza dei primordi non differiva granché da quella di altri 146 Spunto ulteriore di riflessione: chissà, allora, quante cose noi non riusciamo a “vedere”. Gombrich: Il semplice fatto di guardare modifica la realtà. Si badi bene che il grande storico dell‟arte ha usato guardare e non vedere. E tra le due modalità che sottile relazione c‟è ? Catone: Inter os et offam multa intervenire posse. (Tra bocca e boccone molte cose possono succedere). 147 Gaio, detto Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), comasco, autore dell‟enciclopedia delle conoscenze scientifiche più famosa dell‟antichità e zio dell‟altro famoso Plinio, di nome vero Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane (61-133 d.C.). Anche quest‟ultimo non scherzava, perché scrisse i dieci laterizi dell‟Epistolario, in uno dei quali, fra l‟altro, descrisse l‟eruzione del Vesuvio in cui morì lo zio. Tout se tient. 148 Scherzo della natura? 149 Brachiopodi. Dal lat. “braccio” e dal gr. “piede”. Animali marini, fossili e viventi, che vivono attaccati agli scogli o infossati nella sabbia, con conchiglia bivalve. 150 Diacronico. Dal gr. “attraverso” e “tempo”, coniato in contrapposizione a sincronia dal glottologo svizzero F. de Saussure. 151 Tafonomia. Dal gr. sepoltura, e nomia, indica lo studio dei processi di trasformazione della materia organica in seguito a morte degli organismi, inclusi quelli che conducono alla formazione dei fossili. 152 To scavenge: letteralmente, frugare tra i rifiuti. animali della savana. La scienza procede per approssimazioni che via via portano a perfezionare sempre più ipotesi e teorie, potando i rami secchi e curando i germogli. Mi torna sempre in mente, in questi casi, uno splendido saggio filosofico il quale, solo dal titolo, rende l‟idea: “Dal mondo del pressappoco all‟universo della precisione153”. Tale è il procedere di qualsiasi scienza e della tecnologia, anche se il testo in questione riguarda per lo più la seconda. Domande Perché è difficile essere “oggettivi” nelle scienze (che dovrebbero essere, invece, il “luogo eletto” dell‟oggettività? Perché alcuni autori sono addirittura convinti che non esista l‟oggettività nella scienza? Fai un paio di esempi di come si siano evolute nel tempo le ipotesi paleantropologiche Ritorno al futuro Nel presente paragrafo si discute: a) b) Di come fosse “affollata” la savana africana due milioni di anni fa; Di come fossero diverse le due forme di australopitecine Tutti gli antropologi sono stati affascinati dalla serie cinematografica "Ritorno al futuro" perché tutti loro avrebbero voluto possedere la facoltà di tornare indietro nel tempo (in effetti, si può presumere che essa piacerebbe a chiunque si cimenti con un libro di storia). Ammettendo – per assurdo - che ciò fosse possibile, se noi ci recassimo ora in Africa dell‟est e avessimo datato la macchina del tempo 1.8 m.a. fa, troveremmo diverse 154 specie di ominidi coesistenti nel medesimo habitat di savana . 153 A. Koyré: Du monde de l’ “à-peu-près” à l’univers de la précision. In: Ėtudes d‟histoire de la pensé philosophique. Colin ed., Parigi, 1961. 154 Si tratta del Paranthropus boisei (con mascelle possenti, grandi molari, cranio massiccio); dell‟H. rudolfensis (caratterizzato da cervello relativamente grande, più grande dell‟H. habilis, ma di proporzioni corporee sconosciute); dell‟H. habilis (così denominato perché ritenuto l‟autore degli utensili scoperti nella gola di Olduvai 1.8 m. a. fa); e dell‟H. ergaster (detto anche l‟erectus africano), con cranio alto, arrotondato e uno scheletro simile a quello degli umani moderni. Tutti vivevano in prossimità del lago Turkana, anche se non si sa bene come interagissero tra loro. Grosso modo, le potremmo classificare in due tipologie, ovvero i personaggi a cervello relativamente grande e quelli a cervello relativamente piccolo. I primi apparterrebbero al genere Homo, i secondi all'Australopiteco. Ricapitoliamo ancora concetti noti e procediamo con ordine. Innanzitutto dobbiamo imparare a distinguere le australopitecine dalle altre forme conviventi in savana, quelle simili agli attuali babbuini, cosa peraltro facile, in quanto le australopitecine camminano. Con un'andatura del tutto particolare, che non possiede la nostra fluidità, ma pur sempre bipede. Poi, per distinguerle tra loro, qualcosa balza subito all'occhio: esiste una forma gracile e una robusta. Qualche problema sorge perché il dimorfismo sessuale è piuttosto spinto (grosso modo un maschio è più alto del 30% e più pesante del 45% della femmina) ma, fortunatamente, si tratta di animali sociali e i gruppi, non mischiandosi tra loro, sono facilmente riconoscibili. La forma gracile e quella robusta, in realtà, differiscono soprattutto per la statura (leggermente più grande nella seconda) e la faccia. Le forme robuste mostrano la classica facies adattata alla masticazione, con denti macinatori, mandibole possenti e muscoli masticatori così possenti da far sembrare il loro capo molto grosso. Chiedo venia se questa descrizione sintetica assume i toni di una descrizione romanzata, ma cerco di spiegare come mai ho collocato il viaggio nel tempo a due milioni di anni (perché non prima, come mai non poi?) e perché ho messo assieme le due australopitecine. Si può pensare che due m.a. fa, vivessero in Africa molte specie di ominidi. Solo una specie appartenente al genere Homo è nota: l'Homo habilis. Altre tipologie di Homo, ammesso che siano esistite, si sono estinte. Per tutte le altre forme esiste un contenzioso annoso che ingorga le pubblicazioni da decenni. A scopo didattico si semplificano le cose, parlando di due tipologie australopitecine fondamentali, ovvero quella gracile e quella robusta. In realtà, esiste anche un'altra specie nota, il boisei. Il problema fondamentale con gli australopiteci, riguarda il fatto che essi avevano invaso l'Africa dal Mar Rosso fino al Sud Africa e che sono vissuti in un arco di tempo, stimato, di circa 5 milioni di anni. Data l'estensione temporale e spaziale, essi hanno avuto tutto il tempo di diversificarsi tra loro e di mostrarci delle morfologie anche apparentemente distanti! Le differenze tra le forme gracili e robuste sono state per anni fonte di discussioni, soprattutto per quanto concerne il loro apparato masticatore. Fino a non molto tempo fa si pensava che le specie robuste fossero eminentemente vegetariane, mentre quelle gracili onnivore con tendenze carnivore. Per cui si pensava che la prima forma avesse ancora “un dialogo” con la foresta e l‟altra con la savana. Ma l'analisi tafonomica eseguita sulle micro-erosioni della superficie dentaria nelle due specie al microscopio scanner ha mostrato che ambedue le A. erano, per lo più, vegetariane. Le differenze riscontrate tra le due A. riguardano probabilmente la diversità di habitat, che era più secco per le forme robuste, per cui richeideva una maggiore masticazione e, quindi, un apparato masticatorio adeguato. Il modo con il quale gli A. camminavano è stato spesso fonte di accese discussioni. Il femore, per esempio, presenta una testa più piccola e un collo più lungo. In base a questo aspetto, si pensava che la deambulazione bipede dell'A. fosse ancora da perfezionare; la visione recente, invece, vuole che l'A. avesse un altro stile deambulatorio, per alcuni anche più efficiente del nostro. Manca, in ogni caso, un set completo delle ossa del piede e, pertanto, non è possibile affermare con certezza se hanno ragione i tradizionalisti oppure i modernisti. L'osservazione delle ossa della mano, poi, mostra che le A. più recenti differiscono da quelle più primitiva, in quanto le falangi sono meno curve, il pollice più mobile e più lungo e le falangette più ampie. Ciò fa pensare che esse abbiano posseduto buone abilità manipolative. Per finire, il quadro offertoci dalle A. è il seguente: I resti che ci provengono dall'Africa orientale e meridionale (più di 500 individui), mostrano forme chiaramente ominidi e bipedi. A partire da circa 4 m. a. fa distinguiamo le forme più primitive. Successive a queste e coprenti un arco di tempo variabile - da circa 2.5 m.a. fa fino a 1 m. a. fa - si riscontrano forme robuste sia in Africa orientale (A. boisei), che australe (A. robustus). Forme più gracili sono state riscontrate in Sud Africa, si stima che anche loro siano databili a partire da circa 2.5 m.a. fa. Esse convivevano, a partire da circa 2 m. a. fa, con una forma, ritrovata sia in Africa orientale, sia in quella meridionale, che fa specie a sé, in quanto più cerebralizzata e con dentatura più minuta, l'Homo habilis. Di questo rappresentante sono già state date notizie generali. Date le controversie che suscita, non ritengo di doverne parlare approfonditamente. L’evoluzione dell’andatura bipede e le possibili ripercussioni sull’encefalo. Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Di come siano complesse le sequenze dell’andatura bipede; Di quali siano stati i cambiamenti più evidenti che hanno coinvolto lo scheletro degli ominidi in seguito all’acquisizione della stazione eretta. Di alcuni cambiamenti anatomici e fisiologici seguiti all’acquisizione della stazione eretta. Della “radiator theory” Riassumo in questo paragrafo un mirabile articolo di Lovejoy (1982). Un mammifero terricolo deve, per spostarsi, applicare un forza nella direzione opposta a quella moto sul terreno. Può farlo se estende le articolazioni degli arti, vale a dire quelle a metà strada tra il suo baricentro e il suolo. Ne consegue che il terreno “reagisce”, spingendo il corpo nella direzione che si determina tra il suolo e l‟arto. Nell‟animale pronogrado (quadrupede), il baricentro si situa molto in avanti, per cui la “reazione” del suolo dà luogo ad una componente orizzontale molto forte. La notevole flessione delle giunture del ginocchio e dell‟anca provoca un movimento di estensione altrettanto forte e duraturo. Nel bipede, invece, la perpendicolare centro di gravità/piano di stazione cade sui piedi. Se un bipede estende le articolazioni degli arti lavorando di caviglia, il suolo “reagirà” facendolo alzare sulla punta dei piedi. Se vuole spingere il tronco in avanti, dovrà posizionare il suo baricentro più avanti rispetto a una delle due gambe. Una gamba sta dietro, (chiamiamola “D o quella che insegue”), e deve provocare una reazione da parte del suolo. L‟altra deve spostarsi in avanti (A) perché il tronco non cada. La gamba D provoca nel suolo una reazione debole perché è limitata nella sua possibilità di estensione (l‟articolazione del ginocchio e dell‟anca, contrariamente a quanto avviene nei pronogradi, sono quasi del tutto estese) e perché la reazione è diretta in senso verticale e non orizzontale. Il busto eretto necessitava di essere stabilizzato, per cui il grande gluteo si trasformò, diventando il muscolo più grande nell‟uomo (e, per inciso, dando origine al sedere, tratto squisitamente umano, caricato in seguito di valenze erotiche). Esso collega il dorso con il femore ed è stato ritenuto, fino a non molto tempo fa, il principale motore della reazione suolo/gamba D. In realtà, si è scoperto che il suo contributo rispetto alla reazione del suolo è piccolo, in quanto quando l‟uomo marcia o corre, l‟articolazione dell‟anca è quasi del tutto estesa. La gran mole del gluteo massimo è dovuta al fatto che esso impedisce al tronco di cadere in avanti ogni qualvolta il piede va a contatto col terreno. Le ossa coxali (ileo, ischio e pube) si sono modificate, creando una sorta di bacile che accoglie i visceri, sormontato dalle ali iliache. Gli stessi ilei si sono accorciati, il che ha diminuito le dimensioni del tronco, spostato il baricentro vicino alle articolazioni dell‟anca, diminuito il braccio di leva del tronco e permesso al grande gluteo di non affaticarsi in maniera rapida. L‟allargamento del bacino ha aumentato la distanza tra le articolazioni dell‟anca e ha svantaggiato gli abduttori. Essi devono bilanciare il peso del tronco e quindi, più ampia è la distanza tra le articolazioni dell‟anca – più dista dal baricentro – più elevata è la forza che questi muscoli devono esercitare, affaticandosi presto. I loro punti d‟inserzione si allontanarono dall‟articolazione dell‟anca. Lo schema di leve fu reso più vantaggioso anche grazie all‟aumentata lunghezza del collo del femore. I glutei anteriori (che nello scimpanzé servono per la deambulazione), sono diventati, nell‟uomo, gli stabilizzatori del bacino. I muscoli posteriori della coscia non servono più ad estendere l‟arto, ma a controllarlo. Questi muscoli decelerano l‟arto quando, grazie all‟azione dell‟ileopsoas, esso si contrae per far avanzare la gamba. Alla spinta mediante la reazione sul terreno sono deputati invece due gruppi di muscoli, i quadricipiti (metà anteriore della coscia) e i flessori plantari. I primi si contraggono e permettono l‟estensione dell‟articolazione della gamba caricata (che senza di questi si piegherebbe). In contemporanea, i flessori plantari si contraggono per permettere la rotazione del piede attorno alla caviglia. Naturalmente la modificata anatomia del bacino ha favorito l‟andatura bipede, ma altri cambiamenti anatomici si sono affermati. Per fare alcuni esempi, l‟angolo tra il femore e la tibia è divenuto abbastanza piccolo, per questo il femore si è allungato per compensare l‟angolazione maggiore che esso aveva con il bacino allargato. Il ginocchio, allora è diventato completamente esteso e ciò gli ha permesso di sopportare sollecitazioni maggiori. La caviglia si è rafforzata per sopportare il peso corporeo. Il piede ha assunto una morfologia ad arco edilizio per reggere anch‟esso un peso notevole. Il piede ha perso la sua funzione prensile per diventare una leva di propulsione. L‟alluce ha perso l‟opponibilità, si è fatto parallelo alle altre dita. Le braccia e le dita si sono accorciate. Gli adattamenti anatomo-funzionali hanno coinvolto, oltre al bacino, anche il torace, che divenne appiattito, le scapole si sono portate medialmente e in basso, la colonna vertebrale ha assunto le curvature (partendo dalla cervicale a convessità anteriore, la dorsale con concavità anteriore, e le altre, lombare a sacrale, a convessità e concavità alternate), per dar luogo alle compensazioni necessarie per equilibrare il corpo. Lo stesso cervello ha subito un rimaneggiamento. Il cambio d‟andatura e la dieta mutata, hanno, per esempio, contribuito alla riduzione dei muscoli masticatori. Il cranio ha, quindi, potuto allargarsi in senso perlaterale155. Per finire, l‟allargamento della parte superiore del bacino e il restrigimento di quella inferiore, hanno provocato un altro cambiamento encefalico, dovuto alla diminuzione del canale del parto. Le gravidanze si fecero più difficoltose per due fenomeni antitetici tra loro. Dal un lato l‟apertura sottopubica si era ristretta, dall‟altro l‟encefalo si era accresciuto, anche per la mole di circuiti che la conquista di nuovi ambienti richiedeva, basati sull‟apprendimento. Si è giunti così, poco per volta, ad un compromesso. Il cervello non si sviluppava più quasi del tutto nell‟utero materno, ma completava il suo sviluppo all‟esterno. Ciò ha comportato un allungamento dell‟infanzia (con la prole che rimaneva inetta a lungo), anche dovuto al fatto che la mole delle cose da apprendere per inserirsi “normativamente” nell‟ambiente, era sempre più elevata. Per quanto riguarda l‟encefalo e le ripercussioni che l‟andatura bipede ha avuto su di esso, è il caso di riferire la cosiddetta radiator theory, secondo la quale l‟ingrandimento del cervello umano non sarebbe altro che il frutto di bipedismo e stazione eretta156. Procediamo pertanto per gradi. Un cervello grande come quello umano può, certamente, servire per i processi cognitivi “alti” di cui siamo tanto fieri (le ACS di cui si è parlato). Potrebbe, in ogni caso, anche essere diventato così grande per altre ragioni. Ha incominciato ad ingrandirsi a dismisura (rispetto a quello d‟altri Mammiferi), all‟incirca un paio di milioni d‟anni fa. Alcuni studiosi hanno incominciato a demolire l‟idea che il nostro cervello si sia ingrandito per pensare, sotto la spinta della fabbricazione degli utensili. L‟ominide che si andava affermando trovò in savana una nicchia ecologica particolare, quella della “fuga ad inseguimento”157. Bramble e Lieberman hanno recentemente introdotto, con buone “pezze d‟appoggio”, l‟idea che la corsa per lunghe distanze possa aver plasmato non solo il nostro corpo, ma anche il cervello, che avrebbe potuto rimaneggiarsi – nel senso di aumentare di volume – in conseguenza del fatto che il corpo si fosse adattato alla corsa di endurance. L‟idea di base è questa: per gli ominidi antichi, che erano sostanzialmente “rovistatori di carogne”, era opportuno raggiungere le carcasse prima degli altri mammiferi che si cibavano in maniera analoga, come le iene e gli avvoltoi. Chi prima arrivava, prima alloggiava nel suo stomaco proteine e grassi. Se arrivava dopo, doveva utilizzare strumenti per rompere le ossa ed estrarne il midollo. Probabilmente le due modalità si sono intrecciate a vicenda. Chiaramente, correre e spostarsi sotto il sole cocente della savana, rendeva necessario il rimaneggiamento dei circuiti di raffreddamento del cervello. Occorre ricordare che l‟acquisizione della stazione eretta privò i nostri antenati della pelliccia assicurando una migliore dispersione del calore e che, per ridurre lo stress termico, abbiamo il corpo disseminato di ghiandole sudoripare. La perdita della pelliccia da sola – qualcuno ha fatto i conti – basterebbe a raffreddare il cervello, se però non vi fosse eccessivo movimento. Qualche altro fisiologo ha scoperto che il nostro cervello ha un sistema di raffreddamento supplementare, che non si riscontra nelle altre scimmie. Sotto l‟azione dello stress termico (durante una corsa veloce, per esempio), il flusso sanguigno inverte il suo corso e va nelle vene “emissarie”, perciò al cervello affluisce sangue fresco. Secondo altri autori vi è associazione tra ingrandimento del cervello e la sua termoregolazione. Si potrebbe parlare di serendipicità (serendipity), per l‟acquisizione del pensiero, vale a dire che si è trovata una cosa mentre se ne cercava un‟altra. Il cervello si sarebbe ingrandito per favorire il suo raffreddamento durante la corsa e, su questa base, si sarebbero poi successivamente instaurate le sue facoltà “alte”, quali il pensiero. Con buona pace di chi apprezza i filosofi e disprezza i corridori. Domande Cosa succede quando un bipede si muove rispetto al suolo? Come si modificarono le ossa e i principali muscoli atti a sostenere l‟andatura bipede? Come si modificò il bacino? E il torace? Come si sono modificati gli arti inferiori? 155 Successivamente a questo periodo, con la scoperta del fuoco e il raggiungimento di un maggior grado di socializzazione, è stato possibile cucinare il cibo, dando probabilmente un impulso ulteriore all‟accoglimento di “materia cerebrale” intracranica. 156 Altre teorie sono state emesse nel tempo, ovviamente. Martin propose che fosse l‟alto tasso metabolico delle madri ciò che creava un alto potenziale per la grandezza cranica; per Pagel e Harvey la causa principale era la lunga gestazione. In ambedue i casi, era necessario un contesto ambientale stabile, con cibo ad alta energia e con scarsa pressione predatoria. 157 Da intendersi come fuga dai predatori e inseguimento di piccoli predatori in caso di necessità. La riduzione dell‟apertura sottopubica e l‟accrescimento del cervello fetale sono antitetici, per il parto. A quale compromesso si è giunti per permettere i parti? Cos‟è la “radiator theory”? Cosa tenta di spiegare? La Storia continua (e si fa sempre più “umana”) Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) e) f) g) h) i) Dei punti fondamentali dell’ominazione (che vengono ricapitolati); Di chi sia stato l’Homo erectus; Della storia “in pillole” dei ritrovamenti di erectus; Dell’industria acheuleana; Della comparsa dell’H. sapiens; Di neanderthaliani; Di H. sapiens sapiens; Della scomparsa dei neanderthaliani; Delle ipotesi sulla comparsa dell’H. sapiens sapiens Allora. Per non pasticciare ulteriormente il quadro, bisogna pur dire che fino a non molto tempo fa si aveva dell‟evoluzione umana una visione sintetica alquanto semplice, ma troppo facile per durare nel tempo. Ricapitoliamo. La culla dell‟umanità è l‟Africa e solo dopo un bel po‟ di tempo i primi rappresentanti dell‟H. erectus lasciarono quel continente. Oltre un milione di a. fa alcuni rappresentanti erano giunti in Asia orientale. Tutti i tipi che vennero dopo discendevano da questa specie, denominata genericamente come H. sapiens. Se qualcuno differiva troppo da noi, ci si limitava a chiamarlo H. sapiens arcaico. Sul fatto della nostra origine africana tutti concordano (anche se ogni tanto immagino il falò di libri che seguirebbe all‟improbabile ritrovamento, che so? di un‟australopitecina in Cina, per dirne una), ma attualmente, dopo la scoperta di ominidi capaci di locomozione bipede a partire da 4.2 a 158 3.9 m. di a. fa (e, forse, anche più indietro), il quadro si è fatto più complicato. Ciò perché questi nostri lontani progenitori, a cui è stata affibbiata da alcuni la denominazione di scimpanzé bipedi, hanno perdurato per circa due m.a., il che significa che il loro adattamento ebbe successo. Vi è poi il fatto che non si sa con precisione quanto gli strumenti litici cambiassero la loro vita. Infatti i primi strumenti litici sono datati circa 2.5 m.a., anche se è a partire da 2 m.a. che troviamo l‟associazione fossile di ominide/strumento litico. Ora, secondo una già menzionata tradizione paleoantropologica ormai invalsa, si tende a minimizzare il numero di specie ritrovate e di tracciare una discendenza che possa procedere in modo lineare. 158 Con l‟Australopithecus anamensis e, addirittura, con l‟Ardipithecus ramidus, si potrebbe far arretrare questa datazione a 4.4 m.a. fa. Per cui, sotto il nome di H. erectus sono state inserite specie africane, asiatiche ed europee. L‟appellativo di erectus venne dato ad una calotta cranica e ad un femore trovati circa un secolo fa a Giava. Poi si rinvennero altri fossili in Cina, datati mezzo m.a. fa, di nuovo altri rappresentanti in Indonesia e poi, finalmente in Africa. Questi reperti si rivelarono però molto più vecchi. I fossili più antichi scoperti in Europa non vanno oltre i sette/ottocento centomila anni fa. Tutti sono stati inclusi nella medesima specie, per cui il termine erectus indica forme con cervello di modeste dimensioni (tra 900 e 1200 cc.), contenuto in una scatola cranica bassa e allungata, dotata di arcate sopraccigliari evidenti e creste ben delineate nella parte posteriore. Date le differenze riscontrate tra gli esemplari asiatici e quelli africani, alcuni classificano questi ultimi come rappresentanti dell‟Homo ergaster, in quanto pensano d‟avere a che fare con una specie a sé. Le cose si sono complicate con l‟introduzione di nuove metodiche di datazione, le quali hanno fatto schizzare schizzare la vecchiaia dei reperti di Giava a 1.8-1.6 m.a. fa. La comparazione degli strumenti litici più vecchi associati ai primi H. ergaster (1.9 m.a. fa), mostrano che questi non differiscono di molto rispetto a quelli più antichi (2.5 m.a. fa). Si tratta di nuclei di basalto da cui venivano staccate schegge molto affilate che potevano fungere da strumenti da taglio. Solo a partire da 1.4 m.a fa si 159 cominciano a ritrovare gli strumenti tipici dell‟H. erectus, i cosiddetti strumenti dell‟industria acheuleana : si tratta di strumenti a forma di mandorla, lavorati su entrambi i lati, durati fino a 100.000 a. fa. In Asia orientale mancano i bifacciali, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le migrazioni dall‟Africa siano incominciate prima dell‟invenzione dei bifacciali. Il problema se le specie africane e quelle asiatiche siano tutte appartenenti all‟H. erectus permane, così come contraddittori rimangono i ritrovamenti dei primi europei. Sembra che l‟Europa sia stata colonizzata al massimo 800.000 a. fa, come si è detto, rimanendo quindi marginale, nel Vecchio Continente. Per quanto riguarda il passaggio dall‟H. erectus a quello sapiens, un lungo dibattito è intercorso tra i fautori del modello della “singola origine” e quello della “contiguità regionale”. Il primo vuole che tutte le popolazioni umane attuali derivino da una singola popolazione ancestrale, che viveva in una area geografica ristretta fra i 150 e i 100.000 a. fa. L‟altro modello richiede che l‟ergaster e l‟erectus non siano altro che varianti ancestrali del sapiens e che, dopo i 2 m. a. fa, abbiano colonizzato il Vecchio Mondo, adattandosi alle varie condizioni ambientali, ma mantenendo la possibilità d‟incrociarsi tra loro. Per cui la varietà di popolazioni attualmente presenti non sarebbe altro che un “portato” di un processo estremamente lungo. Nel 1856, nel giacimento di Feldhofer, vicino a Düsseldorf, entrò in scena il primo di un fortunata serie di attori preistorici: quello che poi divenne l‟uomo di Neanderthal. Nel 1868 un secondo attore iniziò a calcare le scene, l‟uomo di Cro-Magnon, grazie al fatto che si stava costruendo la linea ferroviaria che portava a Les Eyzies, in Francia. Le due tipologie, così diverse tra loro (arcaica la prima e moderna la seconda), sollevarono diversi interrogativi ma, in realtà, l‟Europa, pur avendo fornito i primi ritrovamenti di antenati 159 Acheuleano. Dalla località francese di Saint-Acheul, vicino ad Amiens (ma resti umani di questa cultura sono stati irtrovati in Inghilterra, in Algeria e in Marocco), è un cultura del Paleolitico inferiore diffusa in Europa, Africa ed Asia sudoccidentale, caratterizzata amigdale di forma abbastanza regolare e da industria su scheggia. fossili, rimase a lungo tagliata fuori dalle prime vicende degli ominidi, per una ragione semplicissima: il suo clima temperato e freddo. In Europa l‟alternanza di periodi caldi e freddi160, dava effetti più drastici rispetto alle zone a clima tropicale o subtropicale. I periodi caldi permettevano le migrazioni, mentre i periodi glaciali decimavano e isolavano le popolazioni, le quali, probabilmente, subirono cambiamenti che le fecero diventare neanderthaliane. I neanderthaliani sono il gruppo umano fossile più conosciuto, dopo i sapiens moderni. Tozzi, non molto alti, con una massa corporea più ampia della maggioranza dei gruppi umani attuali, avevano proporzioni corporee che li fanno assomigliare agli odierni Eschimesi. La loro fronte era sfuggente, la faccia larga, con potenti arcate sovraorbitarie, le orbite erano di grandi dimensioni, il naso prominente e le arcate zigomatiche sfuggenti ai lati. Il mento era assente. Il volume cranico non differiva rispetto a quello attuale, mentre alcuni dettagli anatomici permettono di distinguere i neanderthaliani da qualsiasi altra linea evolutiva, in quanto i dettagli delle ossa temporali e occipitali sono specifici. Il loro corpo mostrava il loro adattamento ai climi freddi e, in effetti, i reperti di questi uomini sono stati riscontrati in livelli sedimentari che si riferiscono alla penultima glaciazione, avvenuta tra 80 e 40.000 a. fa. Nel periodo interglaciale che la precedette sono stati ritrovati altri neanderthaliani, detti arcaici, per cui possiamo pensare che essi siano stati presente in Europa a partire da 127.000 a. fa. Quando i nostri antenati europei siano arrivati in Europa è motivo di controversie. Si può affermare vi sono due scuole di pensiero: la prima, quella della “cronologia lunga” vuole che questa propaggine del continente eurasiatico sia stata popolata oltre il limite Pleistocene inferiore/medio (7-800.000 a. fa, pochissimi sono i siti europei che vanno oltre questa data) e che la mancanza di siti del Pleistocene inferiore sia dovuta al fatto che le popolazioni erano poche e che i reperti si sono deteriorati. I fautori della “cronologia corta” sono convinti invece che l‟Europa sia stata colonizzata in tempi più prossimi, diciamo non più di 500.000 a. fa. In realtà, in prossimità 160 Com‟è ben noto, la storia della Terra è punteggiata da estinzioni di massa, dovute a fluttuazioni climatiche (la più famosa avvenne nel Permiano - 220 m.a. fa - in cui il 95% delle specie perirono). Le cause sembrano astronomiche, ma quale ne sia la causa, gli effetti delle estinzioni sono devastanti. La tettonica a placche gioca poi un ruolo determinante nell‟isolare le specie. I cambiamenti nei livelli marini, susseguenti alle fasi alterne periodi glaciali/interglaciali, sono stati importanti nel determinare le migrazioni e il popolamento della Terra. Osservando i cambiamenti climatici occorsi nella Terra negli ultimi 15 m.a., si notano tre avanzamenti delle calotte antartiche, accaduti circa 5 m.a. fa, 2.4 m.a. fa e 0.9 m.a. fa (all‟epoca della più grande glaciazione pleistocenica). Non sembra che vi sia coincidenza tra espansione delle calotte polari e la diversificazione degli ominidi. Tra 8 e 5 m.a. fa gli ominoidi si estinsero però in Eurasia, in coincidenza con l‟avanzamento della calotta antartica. All‟incirca 2.4 m.a. fa, in ogni caso, comparve il bonobo e, per alcuni, si originarono le australopitecine robuste e, forse, il genere Homo. Le australopitecine robuste si estinsero 1 m.a. fa, che è un periodo prossimo a 0.9 m.a. dell‟Europa (Algeria, Vicino Oriente, Georgia), vi sono siti che hanno incontestabilmente fornito antenati molto antichi, da 1.4 a 1.8 m.a. fa. Probabilmente l‟Europa è stata colonizzata a partire dal meridione per ondate successive, anche se la sua penetrazione si è rivelata difficile, perché l‟ambiente di foresta temperata (o di steppa fredda) era ben diverso da quello di savana. Gli studi sulle glaciazioni mostrano poi un‟Europa abitabile solo dalla Spagna al Belgio, con periodi glaciali lunghi e periodi interglaciali in cui si avevano raffreddamenti brevi, in termini geologici, ma dalle conseguenze catastrofiche. Gli studi sulle popolazioni più recenti mostrano, per esempio, che quando si ebbe il massimo glaciale dell‟ultima glaciazione (18.000 a. fa), le ripercussioni furono tremende: tra Europa orientale e occidentale, a causa dell‟isolamento, si diversificò la fauna, mentre tra le popolazioni di sapiens viventi allora, emergono differenze culturali e tecniche di notevole ampiezza. Non vi era, insomma, possibilità di scambio, in quel periodo “siberiano”. Ciò può essere accaduto anche tra le prime popolazioni che cercarono di colonizzare l‟Europa. In effetti, verso la fine del Pleistocene medio, epoca in cui compaiono i tratti caratteristici dei neanderthaliani, le fluttuazioni climatiche si accrebbero. Le fluttuazioni climatiche potrebbero anche dar ragione della scomparsa dei neanderthaliani. In effetti, a partire da 30.000 a. fa non troviamo più reperti di questi sapiens. Circa 40.000 a. fa, durante un periodo interglaciale, fece la sua comparsa in Europa l‟uomo di Cro-Magnon e i due gruppi coesistettero per un periodo di circa 10.000 anni. Alla vigilia di un nuovo periodo d‟intensificazione della glaciazione la competizione tra i due gruppi si accrebbe e probabilmente i nuovi arrivati, meglio attrezzati tecnicamente e più organizzati socialmente, li soppiantarono, con modalità – supposte - che mi hanno colpito per la loro fantasiosità. Alcuni hanno postulato l‟occupazione di caverne e territori da parte dei nuovi venuti a scapito degli altri; qualcuno, addirittura, è arrivato a parlare di veri e propri “genocidi” perpetrati dagli ultimi arrivati nei confronti dei primi; certuni hanno parlato di acculturazione degli ultimi neanderthaliani ad opera degli invasori; qualcuno ha proposto che fossero state le neanderthaliane a preferire i nuovi maschi, più prestanti e più dotati intellettualmente. Ancora una volta, cherchez la femme? Gli studi di genetica sono spesso contrastanti con quelli paleontologici e rendono le origini dell‟uomo moderno ancora piuttosto misteriose. Gli studi dei biologi molecolari sul DNA fossile dei neanderthaliani, mostra che la sua distanza con i moderni è elevata, tanto da farlo diventare specie a sé stante. Vi sono poi tre ipotesi, tentativi di spiegazione su come sia potuto accadere che la specie sapiens si sia imposta dappertutto, fin dal suo apparire (tra i 150 e 100.000 a. fa). Vi è l‟ipotesi “arca di Noè161”, secondo la quale l‟H. sapiens sapiens si sarebbe evoluto in Africa e, spostandosi poi in tutto il Vecchio Mondo a partire da 400 a 200.000 a. fa, avrebbe rimpiazzato gli erectus, i sapiens arcaici e i neanderthaliani, senza mai incrociarsi con loro. Vi è poi l‟ipotesi del candelabro, secondo la quale ogni linea di H. sapiens arcaico si sarebbe evoluta nella regione che occupava, per cui quello europeo sarebbe derivato da una linea del Vicino Oriente, rimpiazzando i neanderthaliani. La linea evolutiva umana si sarebbe quindi differenziata a partire da un erectus originario, fuori dall‟Africa. In questo caso le popolazioni di erectus locali e quelle di sapiens arcaico si sarebbero mescolate localmente. Una terza ipotesi (detta dell‟evoluzione reticolata), vuole che il mescolamento sia stato ancora più intenso, nel senso che, pur mantenendosi le linee antiche, gli scambi genetici tra popolazioni avrebbero unificato il patrimonio genetico. È la classica ipotesi in medio stat virtus, per cui scordiamoci l‟ab ovo 162. Purtroppo, una serie di procedimenti non corretti e logiche “rovesciate”, nei quali sono spesso caduti i “molecolari”, non sempre permettono certezze, da un punto di vista genetico. Molto interessante si è rivelato l‟approccio di Cavalli-Sforza e di altri studiosi i quali, dopo aver elaborato una “mappatura” delle popolazioni umane viventi sulla base dei polimorfismi genetici 163 (quali, ad esempio, il sistema Rh), hanno anche notato la corrispondenza con le mappe linguistiche proposte da alcuni linguisti detti macrocomparativisti. Molti linguisti sollevano dubbi su quest‟idea ma, in ogni caso, una (anche) parziale corrispondenza tra trasmissione genetica e trasmissione culturale è quantomeno utile a far luce su alcuni aspetti importanti. Innanzitutto le ricerche di questo tipo hanno portato a concludere che la nostra specie ha un‟origine africana. Poi hanno permesso di individuare le tracce di ondate migratorie e, per finire, hanno permesso di scoprire che, in alcuni casi, una lingua o una famiglia linguistica può essere utile per identificare una popolazione in senso genetico. I linguisti sono scettici sul fatto che vi sia un‟origine preistorica comune a tutte le lingue (monogenesi) e il loro problema è anche, se vogliamo, biologico. Da quest‟ultimo punto di vista non è plausibile pensare che la serie di mutazioni genetiche che hanno portato all‟attuale sistema della fonazione si sia instaurata più volte in popolazioni diverse e in tale direzione vanno anche le ricerche linguistiche di orientamento biologico e la teoria dei principî e dei parametri nata dalle ricerche di Chomsky. Per cui, pensare che la nascita delle prime lingue storiche biologicamente moderne sia avvenuta separatamente – come vogliono i fautori della poligenesi – significherebbe che, una volta che sia stato acquisito il sistema della fonazione e quello delle capacità lessicali e grammaticali, esso non sia stato prontamente messo in essere, ma che si sia attesa la dispersione dei discendenti di questi fortunati possessori i quali, dopo aver formato comunità indipendenti, abbiano originato le prime lingue moderne. Come si vede, anche i linguisti hanno le loro “gatte da pelare”. 161 William Howells è stato indubbiamente molto fantasioso con la sua ipotesi dell‟arca. Non è noto se il povero Noè fosse stato molto contento di annoverare nella sua imbarcazione, per quanto capiente, un animale così invadente. 162 La virtù sta nel mezzo. Ab ovo: fin dagli inizi. 163 Polimorfismo genetico. La presenza, negli individui di una determinata popolazione, di un carattere che varia in quanto determinato da due o più alleli. Il più raro deve mostrare, per convenzione, una frequenza non inferiore all‟1%. Domande Dove sono stati ritrovati i primi reperti di H. erectus? Dove sono stati ritrovati i reperti più antichi di H. erectus? Qual è l‟industria litica tipica dell‟H. erectus? Quali sono i problemi riguardanti il passaggio H. erectus/H. sapiens? Quando compaiono i neanderthaliani? Com‟erano fisicamente? A quale ambiente si sono adattati? Come mai si sono estinti? Come si pensa sia stata popolata l‟Europa? Cosa significano monogenesi e poligenesi? Quali sono le tre ipotesi che tentano di spiegare il successo dell‟H. sapiens sapiens? Piccolo è bello ? Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Dell’Hobbit, ovvero l’Homo floresiensis; Di quale effetto abbia avuto tra gli addetti ai lavori; Delle difficoltà d’interpretazione dei ritrovamenti di questo tipo; Delle principali congetture che ha scatenato. Ebu gogo (“la vecchietta, la nonnetta che mangia di tutto”), era il nome dato dagli abitanti dell‟isola di Flores ad un essere leggendario, di cui si favoleggiava sul vorace appetito e la camminata eretta, ma alquanto sbilenca. Chi si soffermava sulle storie locali, pensava che la fonte d‟ispirazione fossero stati i macachi. Nel 2004, invece, grazie alla scoperta in una grotta delle ossa di un essere non più alto di un metro e della capacità cranica di un pompelmo (prontamente battezzato Hobbit), le cui tracce si perdono 13.000 anni fa, ha sorpreso un po‟ tutti. Innanzitutto perché si è sempre pensato che, dopo la scomparsa del Neanderthal, l‟uomo moderno non fosse più convissuto con nessuno dei suoi predecessori, ma anche perché lo scheletro ritrovato, se confrontato con quello degli uomini attuali di piccola taglia come i pigmei, oppure con quelli dalle caratteristiche patologiche, non assomigliava a loro per niente. I ricercatori conclusero che assomigliava ad un erectus, ma in miniatura E‟ ben noto ai biologi il fatto che, quando un mammifero s‟insedia in una piccola isola, esso tende a diminuire le proprie dimensioni, forse perché il cibo scarseggia (e a Flores vivono pochi predatori). Succede poi che gli animali di piccola taglia, al contrario, tendano ad aumentare le proprie dimensioni corporee, probabilmente perché un corpo più grande è più efficiente da un punta di vista energetico (tra i resti fossili dell‟isola è stato ritrovato un ratto delle dimensioni di un coniglio). In ogni caso, questa era la prima volta che la “regola insulare” era fattivamente applicata per un ominide (anche se in Kenia, più o meno negli stessi anni, era stato dissotterrato un cranio di erectus alquanto minuto). Un cervello così piccolo poneva oltretutto grossi problemi: a partire da 6-7 milioni d‟anni, siamo progressivamente passati da 350 a 1350 cc. Ora, ammesso e non concesso che un grande cervello sia un requisito indispensabile per arrivare a tratti culturali progrediti, il piccolo encefalo dell‟Hobbit contrastava coi dati e le credenze date per certe fino ad alcuni anni fa164. Restano tuttora molti dubbi sui resti dell‟H. floresiensis, ma una cosa lascia stupiti: dato che le ossa di questi ominidi coprono un arco di tempo molto elevato (95.000-13.000), è pensabile che gli Hobbit abbiano coabitato sia con l‟H.erectus (vissuto a Giava fino a 25.000 a.fa), sia con il sapiens che, nell‟area, è già arrivato 40.000 a. fa. Forse i racconti folklorici non hanno tutti i torti: in Malesia si parla dell‟orang pendek, un essere simile all‟uomo, ma molto piccolo, che sarebbe stanziato a Sumatra. Si può pensare che popolazioni nane, avvistate in tempi anche molto antichi, siano vissute a lungo nell‟area. 164 Il grande cervello dei Primati correla con molti indici di complessità sociale: grandezza del gruppo sociale, numero di femmine nel gruppo, lo spulciamento reciproco, la frequenza di coalizioni, le strategie maschili d‟accoppiamento, la frequenza d‟apprendimento sociale. Se la socializzazione ha il compito di ridurre al minimo il rischio predatorio, vivere in un‟isola i cui pochi sono i predatori, può aver ridotto la complessità sociale. Domande Cosa dice la regola insulare? Cosa rimettono in discussione i resti dell‟Hobbit ? Paleolitico Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) e) f) Di cosa significhi Paleolitico; Del fatto che i termini Paleolitico e Neolitico sfumano l’uno nell’altro; Dell’evoluzione della mano Di industria litica; Di culture del Paleolitico superiore Di Homo economicus. La mano Non si può parlare di Paleolitico e di abilità manuali, se non si accenna ad un particolare “strumento corporeo” modellato dall’evoluzione: la mano. Già Dante aveva capito la sua importanza, infatti: “La Scrittura… e piedi e mano Attribuisce a Dio e altro intende”. La mano è essenziale perché l’insieme delle tecniche strumentali peculiari della nostra specie si fonda in realtà sulla prensione. Le azioni di prensione manuale, a ben vedere, non sono appannaggio dell’uomo (molti roditori e carnivori mostrano attitudini a servirsi dell’estremità appiattita dell’arto anteriore), ma talune caratteristiche dell’estremità distale dell’arto superiore umano lo rendono unico. Un esempio: se uno scimpanzé raccoglie un oggetto rotondo e piccolo da un tavolo, esso lo stringe tra il pollice e la seconda falange dell’indice; se tale azione viene fatta da un bimbo di diciotto mesi, egli stringerà l’oggetto tra l’estremità del pollice e quella dell’indice, il che si traduce in un movimento più fine. Le caratteristiche peculiari della mano umana sono: la forma generale, i rapporti palmo-dita, il rapporto di grandezza tra il pollice e le altre dita, la mobilità della dita sul palmo, l’opponibiltà del pollice. Occorre aggiungere, a questo punto, che la mano, in origine, si associa ad azioni congiunte della faccia. Per capire questo, basta osservare come un corvo laceri la carne: fissata la carne con una zampa, esso strappa col becco lunghi brandelli di carne. Tra i Primati si è avuta un’inversione dei rapporti mano-faccia per cui, diventando più attiva la prima nell’ambiente, la seconda si è ridotta. La mano, pur rimanendo al servizio della regione orale, ha in seguito raggiunto caratteristiche funzionali diverse. Nelle due figure sottostanti vengono illustrate le caratteristiche salienti dell’evoluzione della mano. 165 Nei libri di testo si parla di Paleolitico o età antica della pietra e di Neolitico, che all‟inizio fu inteso come lo stadio della levigatura della pietra e dell‟invenzione della terracotta. In realtà, i due termini sfumano l‟uno nell‟altro perché nostri antenati, a tutti gli effetti paleolitici, levigavano la pietra 20.000 a. fa in Australia e fabbricavano utensili di terracotta in Cecoslovacchia 25.000 a. fa. L‟uso degli utensili ebbe un grandissimo impatto nel percorso che ha portato all‟uomo perché permetteva l‟accesso a tipi di cibo altrimenti non disponibili. Si sa molto sui manufatti litici, mentre scorze, cortecce, pelli, tendini e attrezzi di legno, in genere non fossilizzano e vengono perduti. Tutti conosciamo l‟importanza delle frecce in legno per gli indiani dei film western, ma siamo tutti coscienti che questi strumenti non si conservano. Per cui mancano elementi per la ricostruzione delle tecnologie possedute dai nostri antenati. Ricapitoliamo i tempi noti. I primi strumenti, etiopici, 166 sono datati circa 2.5 m.a. In termini archeologici sono descritti come esempi dell‟industria olduvana . Si tratta 167 di rudimentali raschiatoi, di sassi appuntiti (choppers e chopping tools) e di schegge, ciascuno dei quali è il prodotto di pochi colpi ben assestati con una pietra che serviva da martello. A partire da 1.5 m.a. fa circa, emerge la cultura acheuleana, un‟industria che rappresenta un modesto avanzamento rispetto a quella precedente: si tratta di strumenti lavorati sui due lati a forma di goccia, dette impropriamente ascie a mano o bifacciali o amigdale. Queste novità non rimpiazzarono le precedenti, ma le accompagnarono per un arco di tempo lungo mezzo milione di anni. Circa 150.000 a. fa, in Africa e in Europa, s‟incominciò a rimpiazzare l‟industria acheuleana con quella 168 musteriana , i prodotti dell‟H. sapiens neanderthalensis. Si tratta di una gamma di strumenti più raffinati i quali, assieme ad ossa, corna e avorio, divennero importanti materiali grezzi per costruire strumenti via via sempre più eleganti e funzionali. La cultura musteriana continuò fino a 40- 35.000 a. fa. L‟intero periodo in cui durò questa cultura viene detto Alto Paleolitico. Dato che i neanderthaliani occupavano un vasto territorio che andava dall‟Europa occidentale all‟Asia centrale, vi erano differenti tribù di questi antenati, che esprimevano la loro identità mediante manufatti stilisticamente differenti (oppure, molto più prosaicamente, utilizzavano strumenti differenti in situazioni diverse). Per il momento abbiamo parlato dell‟Europa. E l‟Africa? Anche l‟Africa ha avuto la sua evoluzione (così come gli altri continenti), solo che gli equivalenti del Paleolitico superiore e di quello medio vengono colà chiamati Età della pietra tarda (o posteriore) e media. In Africa, circa 200.000 a. fa, sorse una nuova cultura litica, che permetteva di ricavare molte schegge a partire da un singolo colpo. Questa metodica consentiva di aumentare la superficie tagliente e fu il preludio degli sviluppi futuri nella tecnologia degli strumenti litici. Un esempio. Da una libbra (circa mezzo chilo) di selce, le tecniche primordiali ricavavano da 5 a 20 cm di superficie tagliente. Quelle musteriane, partendo dalla stessa quantità di selce, 10 metri di superficie tagliente, mentre i moderni sapiens ne ricavavano anche 12 m. 165 Termine coniato da John Lubbock nel 1865, sorto in tandem con quello di Neolitico. Olduvana. Dalla gola di Olduvai in Tanzania (in ingl. Oldoway), è l‟importantissima industria del Paleolitico inf. dell‟Africa. 167 Dall‟ingl. “to chop”, tagliare, spaccare, mozzare. To chop off: recidere, staccare; to chop down: abbattere, tagliare (alberi); to chop up: sminuzzare, fare a pezzetti. 168 Musteriano. Dal fr. moustérien, a sua volta dalla località di Le Moustier, in Dordogna. La civiltà musteriana, del Paleolitico medio, iniziatasi nell‟ultimo periodo interglaciale e protrattasi anche durante all‟ultima glaciazione (Würm), diffusa in Europa, in parte dell‟Asia e dell‟Africa, presenta un‟industria litica con manufatti (raschiatoi e punte) dai margini ritoccati. I rappresentanti di questa cultura sono identificati per lo più coi neanderthaliani, in grado di seppellire i loro morti e con pratiche che fanno pensare a forme di culto. 166 Il fatto certo è che la ricerca in Europa sui manufatti litici ha avuto un notevole sviluppo, mentre ciò non è accaduto con la stessa intensità negli altri continenti. I dati europei, specialmente quelli del Paleolitico Superiore, hanno fornito la base per conferire l‟etichetta di vere e proprie culture che rappresentavano specifici periodi del Paleolitico Superiore. Le due principali culture del Paleolitico superiore, quella aurignaziana169 e perigordiana170, sono convissute da 35.000 a 20.000 a. fa, ognuna con i suoi stili. Alla cultura perigordiana subentrò quella solutreana171, i cui rappresentanti inventarono le crune e i rasoi a foglia di lauro, fra i vari manufatti. A loro subentrarono i maddaleniani172, i più grandi “artisti” dell‟era glaciale europea. Alla fine della glaciazione, a partire da 10.000 a. fa, la cultura maddaleniana fu rimpiazzata dalle nuove attività che si andavano profilando: quelle relative alla Rivoluzione Agricola. L‟uomo, da nomade o seminomade qual era, divenne a poco a poco stanziale: iniziò una nuova archeologia173. Homo economicus ? Visto che stiamo parlando di socializzazione e di manufatti, prodotti dell’uomo che hanno una valenza non solo culturale174, ma anche economica, è il caso di aprire una finestra su questo aspetto perché, come voleva F. Boas: “La vita culturale è sempre condizionata economicamente e l’economia è sempre condizionata culturalmente”175. In effetti l’antropologia culturale ha spesso dimenticato di spiegare, in maniera attendibile, il rapporto che lega la base economica con le altre componenti di un sistema sociale. Per cui mi ha molto colpito un volume, di natura per lo più speculativa, scritto recentemente da un economista, il quale offre la sua prospettiva. Haim Ofek, in sintesi, dopo aver spaziato tra simbiosi, teoria dei giochi e antropologia, conclude che i commerci abbiano assunto una posizione chiave a partire dall’età della pietra, diciamo di mezzo. Per l’autore, commerciare è diverso dallo scambiare o spartire il cibo, richiede che si operi una distinzione tra le derrate, che queste abbiano un prezzo e che vi sia un preciso riconoscimento del loro valore. Per esempio, chi era capace di fabbricare utensili litici 169 Aurignaziano. Dal fr. aurignacien, a sua volta da un centro della Francia meridionale (Alta Garonna), chiamato Aurignac. È una cultura del Paleolitico superiore, caratterizzata da un‟industria litica di notevole specializzazione (grattatoi, bulini, lame sinuose) e da manifestazioni artistiche costituite da bassorilievi e incisioni. 170 Perigordiano. Dal fr. périgordien, da una regione storica della Francia sud-occidentale (Périgord), è un‟industria databile ca. 33.000 anni fa, caratterizzata da una graduale diminuzione di manufatti di tipo musteriano e dalla comparsa di nuove industrie. 171 Solutreano. Dal fr. solutréen, derivato da Solutré, nome di un insediamento localizzato nella regione francese situato nella regione Saône-et-Loire. È un‟industria sviluppatasi durante l‟ultima glaciazione e diffusasi in Francia e in Spagna, ma non in Italia. L‟industria continua quella del musteriano ed è famosa per le sue punte di ritocco sopraffino, dette a foglia di lauro o a foglia di salice. Bellissimi i dipinti e i bassorilievi che rappresentano la fauna locale. 172 Maddaleniano. Anche questo termine deriva dal fr. magdalénien, dal nome del sito La Madeleine in Dordogna. È una delle più importanti culture europee, che si manifestò a partire dalla metà dell‟ultima glaciazione (in Francia, nella penisola iberica e in alcune parti della Germania). L‟industria litica, ricca, era affiancata anche da quella su osso (aghi, arponi, punte di freccia). Notevole la produzione artistica. Si estinse bruscamente poco dopo il suo periodo di massimo splendore. 173 Visto che abbiamo nominato gli strumenti litici, è il caso di aggiungere qualche considerazione di ordine, diciamo così, psicologico. Innanzitutto gli strumenti litici sono dei manufatti prodotti dall‟uomo e, in quanto tali, dei memi. Sono enti che trasportano e replicano informazione. Essi si trovano perciò in quella terra di nessuno che sta tra il vivente e il non vivente. In quanto “cose” tendono al disordine, in quanto prodotti dell‟uomo essi accolgono le tendenze di chi li ha forgiati, tendono cioè, all‟ordine. Questa loro ambivalenza li rende fortemente rilevanti e fonti d‟innumerevoli speculazioni per tutte quelle scienze, come la psicologia, che s‟interessano delle relazioni tra mondo interno, comportamento e mondo inanimato. 174 Ritengo sempre valida, tra le tante, questa definizione di cultura, coniata da T. Tentori: “Disposizione che si costituisce negli individui in quanto membri di una società storicamente determinata e determinantesi. Essa designa cioè quel patrimonio sociale dei gruppi che comprende conoscenze, credenze, fantasie, ideologie, simboli, norme, valori, nonché le disposizioni all‟azione che da tutti questi derivano e che si concretizzano in schemi e tecniche di attività tipici di ogni società”. (In: Tentori T. Antropologia culturale, Studium, Roma, 1971, pag. 239). Cultura deriva per influenza dal ted. “Kultur”, a sua volta dal lat. “coltivare”. In termini generali, indica l‟insieme dei valori, i simboli, le concezioni, ma anche le attività materiali che caratterizzano la vita di un gruppo sociale. 175 F. Boas (1938) The mind of primitive man. The McMillan Co. New York, pag. 66. permetteva al suo gruppo l’accaparramento di altre risorse, aumentando così il numero di individui che potevano vivere in una determinata area. I commerci primitivi hanno permesso, secondo l’autore, di conoscere altre genti, favorendo contatti e riducendo la speciazione. Egli interpreta, per esempio, la grande quantità di strumenti litici trovati in alcuni siti nell’alto Paleolitico, come stoccaggio di manufatti pronti per essere utilizzati quando i prezzi sarebbero saliti. L’autore pensa che il fuoco sia stato il primo bene economico ad essere messo in commercio. Nel senso che egli immagina vi siano stati degli specialisti capaci di provocarlo, per cui costoro venivano così ricompensati. Il commercio (più tardo) di animali addomesticati ha permesso alle coltivazioni di estendersi in aree geograficamente più lontane, perché gli animali offrivano proteine non ricavabili dai soli vegetali. L’idea centrale dell’autore, tuttavia, è la seguente: avere intrapreso il “mercato”, con la conseguente competitività, portò all’aumento delle capacità craniche. Un’altra speculazione riguarda il denaro. Inventato per i commerci, esso divenne, per Ofek, “il primo simbolo”. In effetti nessuno sa quando i primi simboli siano stati creati, anche se le visioni odierne presumono vi sia un sistema coerente interno che è connesso in maniera più o meno debole - con il mondo pre-simbolico o non simbolico. Il volume è interessante soprattutto per un fatto: come va studiata la socializzazione degli albori ? Ofek Haim (2001) Second Nature. Economic Origins of Human Evolution. Cambridge University Press, Cambridge. A questo punto, occorre aggiungere che nel Paleolitico vi sono state due grandi espansioni di grande importanza. Tra 1.7 e 1 milione di a. fa, l‟erectus si diffuse, come abbiamo visto, nelle aree temperate dell‟Asia e dell‟Europa. In seguito, un H. sapiens anatomicamente moderno (sapiens sapiens) iniziò una sua espansione in tempi più recenti, come già detto. Ora, da un punto di vista biologico, una migrazione da sola non implica un processo di crescita di una popolazione. I movimenti di individui si attuano perché di solito un‟innovazione tecnologica o biologica favorisce l‟aumento di una popolazione in un determinato luogo e, in seguito a questo aumento, il carico demografico eccede le possibilità di un territorio, per cui una parte di una popolazione è costretta a cercare nuovi territori. Si parla quindi di espansioni demiche. Innovazioni come l‟uso del fuoco e, in tempi più prossimi, quella della navigazione (si presume che zattere e imbarcazioni fossero in uso già 60-55.000 a. fa), hanno senza dubbio favorito l‟esplorazione di nuovi territori, per cui l‟Australia e la Nuova Guinea furono raggiunte in queste date176. Le Americhe offrono un quadro più complicato, in quanto vi sono tre mappe geniche distinte, appartenenti a tre gruppi genici: gli Eschimesi del nord, il gruppo etnico Na-Dene, contiguo e a sud di quello eschimese, e quello degli Indiani americani. Vi sarebbero state tre successive espansioni demiche dall‟Asia nordorientale attraverso lo stretto di Bering. Le Americhe non furono raggiunte prima di 20.-12.000 a. fa (dando luogo alla famiglia amerindia, ovvero la famiglia che occupava le Americhe al tempo dell‟arrivo di Colombo); l‟ultima migrazione, avvenuta 4-5000 a. fa, portò le lingue antenate dell‟eschimese prima in Alaska e poi in tutto il nord America fino alla Groenlandia. Domande Cosa significano i termini Paleolitico e Neolitico? Perché sfumano l‟uno nell‟altro? Come si è evoluta la mano negli ominidi ? Cosa significa industria litica? Quali sono state le successioni temporali delle diverse industrie litiche? 176 Da un punto di vista linguistico, la terra d‟origine delle lingue austronesiane viene identificata con l‟Asia sud-orientale, per cui in fasi successive l‟enorme Oceano Pacifico fu popolato in questi termini: Formosa (4000 a.C.), Filippine (3000 a.C.), Timor (2500 a.C), Sumatra e le Marianne (1200 a.c), Polinesia centrale (200 a.C), Hawaii e isola di Pasqua (3-400d.C.), Nuova Zelanda (800 d.C.). Quali sono le due principali culture del Paleolitico superiore? Cosa comportò la fine dell‟ultima glaciazione? Ha senso parlare di Homo economicus ? Arte per l’arte? Nel presente paragrafo si discute: e) f) g) h) i) Di arte e di artisti primitivi; Di quale possa essere il/i significato/i dell’arte dei primordi; Delle difficoltà d’interpretazione dei ritrovamenti “artistici” del passato; Delle principali congetture escogitate nel tempo per inquadrare l’arte parietale; Dei tentativi di comprenderci qualcosa studiando i Primati non umani “pittori” Gombrich iniziava la sua storia dell‟arte mettendo provocatoriamente subito in chiaro che “…non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna e oggi comprano i colori e disegnano gli affissi pubblicitari per le 177 stazioni delle metropolitane…” e via di questo passo. L‟altro grande storico, Hauser, dice che …”i disegni dei bimbi e l‟arte dei selvaggi (sic) sono frutto della ragione, non dei sensi; mostrano quel che il bambino e il selvaggio sanno, non quel che vedono realmente…. …mentre è caratteristica del naturalismo paleolitico la capacità di rendere l‟impressione visiva in forma così immediata, pura, libera, esente da aggiunte o limitazioni intellettuali, che rimane un esempio unico fino al moderno impressionismo”178,179. Perché riporto queste due citazioni? Per il semplice motivo che generazioni di studiosi, da diversi versanti, hanno tentato di ipotizzare come l‟arte si sia strutturata nelle differenti caverne dove è stata ritrovata. Svariate sono state le domande che gli 180 studiosi si sono posti, ma la preminente era una: cosa significano l‟arte parietale e le pitture rupestri ? Vi è un fatto incontestabile. Quando noi osserviamo una colomba del Beato Angelico con il ramoscello d‟ulivo nel becco, comprendiamo subito il messaggio, ovvero che la colomba è l‟uccello della pace, perché abbiamo tutti i riferimenti storici per poter comprendere il significato di quel simbolo. Fanno parte integrante della nostra tradizione simbolica e permeano l‟iconografia del presente. Ma quando vediamo uccelli, pesci, piante, dipinte in varie combinazioni in una grotta preistorica, cosa mai vorranno dire? Sono scene prese dal vero o rappresentano, che so, una stagione dell‟anno? Il fatto è che non lo sappiamo, né, verosimilmente, lo sapremo mai. Le pitture parietali scoperte per prime riguardavano le grotte del nord-ovest francese e quelle del nord della Spagna; solo da pochi decenni sono state trovate altre forme d‟arte in grotte dislocate in varie parti del mondo. Per questo motivo le principali congetture sono state operate su opere la cui età coincideva con quella dell‟arrivo in Europa dei primi umani moderni, la quale per un periodo oscillante tra 75 e 10.000 a. fa, fu sotto la morsa glaciale del Würm, l‟ultimo periodo freddo181. Il punto più alto dell‟arte preistorica è fissato, per molti studiosi, all‟incirca 18.000 a. 177 E.H. Gombrich – The Story of Art. Phaidon Press, Londra, 1966, pag. 1. Tradotta per i tipi della Einaudi, Torino, col titolo: La storia dell’arte raccontata da E.H. Gombrich. Molte edizioni, nel tempo, a partire dal 1973. Espressamente dedicata ai non specialisti. 178 Impressionismo. Dal fr. impressionisme (a sua volta dal lat. “imprimere”), è una corrente artistica che rinnovò la pittura del secolo XIX e che ha tra i suoi rappresentanti Renoir, Manet, Monet, Pissarro, Cézanne, Degas, ecc. Questi pittori, in nome di un naturalismo diretto, si affidano all‟immediata espressione del vero, rifiutando, per esempio, la pittura nel chiuso di uno studio e pretendono d‟usare una maniera rapida e sciolta di fermare nel quadro l‟istante dell‟impressione. L‟espressionismo, invece (der. dal lat. “esprimere”), sorse in Germania all‟inizio del XX secolo, in contrapposizione all‟I. e al naturalismo conformista dell‟epoca guglielmina e fu influenzato dall‟arte di Munch, Gaugin, van Gogh e da quella dei fauves. Gli espressionisti rappresentavano liberamente, fuori da vincoli e canoni, il mondo interiore dell‟artista, per mezzo di immagini deformate e colori esasperati. Si risolse in varie correnti. Tra i suoi rappresentanti: Kandinskij, Klee, Kokoschka, Dix e Grosz, per citare i più famosi. E‟ necessario citare anche il fauvismo, dal fr. “fulvo” che sta per “bestia dal pelo fulvo”; fu un movimento pittorico francese dei primi anni del XX secolo, che aveva l‟intento di ritrovare nell‟arte l‟impeto e la schiettezza dei primitivi, tramite la pittura a due dimensioni, un incisivo uso del colore e una notevole violenza espressiva. 179 A. Hauser – Sozialgeschichte der Kunst und Literatur. Beck, Monaco, 1955. Varie edizioni italiane a cura dell‟Einaudi, col titolo: Storia sociale dell’arte. 180 La distinzione, come vedremo, nasce dal fatto che le pitture rupestri sono successive all‟ultima glaciazione. 181 Il lettore vuol visitare un sito stupendo e solo recentemente immesso in NET ? Navighi su www.culture.fr/culture/arcnat/chauvet/en - Otto anni fa, Jean Marie Chauvet, speleologo, trovò nel sud della Francia, nella regione dell‟Ardéche, una grotta (ora denominata Chauvet-Pont-d‟Arc), contenente centinaia di disegni e incisioni raffiguranti rinoceronti lanosi, mammouth e leoni. Tale sito è stato datato 31.000 anni, per cui è 15.000 anni più vecchio del famosissimo fa, proprio il periodo in cui detta glaciazione raggiunse il suo apice. Le fluttuazioni climatiche durante un‟era glaciale erano notevoli e talvolta, piuttosto rapide: per esempio, un‟area del sud francese mostra, nell‟arco di pochi secoli, il passaggio da un ambiente popolato di querce, ad uno stepposo. Gli artisti dell‟epoca vivevano quindi in un ambiente notevolmente mutevole, in cui altrettanto mutevoli erano le migrazioni degli animali che abitavano i luoghi dove questi artisti vivevano. Costoro hanno lasciato anche altre opere, oltre a quelle pittoriche e di incisione-scultura (quelle cosiddette mobiliari), ma i manufatti in legno e di altro materiale non fossilizzabile sono spariti, mentre sono rimaste le opere in pietra (le quali, in ogni caso, sono giunte a noi in numero molto minore delle pitture e delle incisioni). Probabilmente molte grotte contenevano pitture anche all‟esterno, ma gli agenti atmosferici non ne hanno permesso la conservazione. Sono state identificate alcune caratteristiche di base nelle pitture parietali (europee). I grandi Mammiferi (bisonti, cervi, cavalli, mammouth, stambecchi), sono rari. Uccelli e piante sono altrettanto rari, così come lo è la figura umana, di solito rappresentata molto schematicamente (anche se non manca una galleria di 200 piccoli “ritratti” umani di circa 20.000 a. fa). Il singolo animale è spesso rappresentato nei dettagli, latitano scene naturali d‟insieme. Le figure intagliate o scolpite in pendagli, archi da freccia e bastoni, sono più dettagliate e forniscono rappresentazioni più ampie della natura, mentre la maggior parte delle rappresentazioni umane sono, ancora una volta, molto schematiche. Con la fine dell‟era glaciale, termina anche l‟arte cosiddetta naturalistica, perché si fanno più evidenti le rappresentazioni geometriche e, apparentemente, pochi dei nostri antenati d‟allora si recavano nelle profondità delle grotte a pitturare o incidere le loro pareti. L‟arte post-glaciale viene detta “rupestre” e si differenzia per stile e tematiche da quella paleolitica. Le domande che si sono poste gli studiosi, ovviamente sono molteplici. Un fatto è inequivocabile: queste opere sono state fatte per essere “usate”, ma allora, quale era e com‟era strutturato un contesto sociale che richiedeva la fabbricazione e l‟uso di queste immagini? Ancora: queste rappresentazioni erano il prodotto di una mente primitiva o quello di una mente ai primordi (in cui, cioè, la coscienza si stava ancora formando)? Accertata, in ogni caso, l‟impossibilità di rispondere a questi e altri quesiti, cosa significava l‟arte dei nostri antenati? A questa domanda molti studiosi hanno cercato di offrire delle risposte, anzi si può dire che il quadro ricalca, per certi versi, ciò che è accaduto per la caccia come motore evolutivo, travolta dalle scoperte tafonomiche. Occorre innanzitutto mettere in chiaro che, non appena si scoprirono le prime pitture parietali, così verosimili ed esteticamente valide, si pensò ad artefatti moderni. Quando fu finalmente accettata la nozione di arte parietale, agli inizi del „900, si parlò di arte per l’arte, qualcosa che era, diciamo così, “fine a sé stesso”, il prodotto di società non strutturate. Il primo studio sistematico, compiuto da Henri Breuil (siamo negli anni Quaranta), fece concludere all‟autore che quell‟arte aveva funzioni propiziatorie e che s‟intravedeva in queste opere un certo grado di strutturazione delle società d‟allora. Negli anni Sessanta, gli studi di Leroi-Gourhan e di Laming-Emperaire, portarono gli autori a concludere che quel tipo d‟arte rifletteva la società che la produceva e che quelle opere riverberavano il dualismo maschile/femminile tipico di quelle società. Il fatto che le donne fossero rappresentate al centro e i maschi in periferia, stava ad indicare società altamente strutturate e, pertanto, le raffigurazioni erano da intendersi come allegorie sociali. Negli anni ‟80, Vialou e Delport conclusero, da osservazioni indipendenti, che non vi è quell‟uniformità di struttura intravista dagli studiosi degli anni ‟60, ma che ciascuna caverna deve essere vista come un‟espressione separata. Attualmente, presso molti studiosi, è tornata in auge l‟idea dell‟arte per l‟arte. Anzi, qualcuno si chiedeva se, per caso, etichettando queste opere umane come “arte” noi non ci fossimo preclusi altri filoni di ricerca182. Degli indizi sulla genesi della nostra produzione artistica possono esserci forniti dai nostri cugini scimmieschi, come spesso accade. Non molti ne sono a conoscenza, ma i primi studi sugli scimpanzé pittori furono svolti a Mosca tra il 1913 e il 1916. Molti altri ne seguirono. I più interessanti riguardavano ciò che era capace di fare un cucciolo di scimpanzé rispetto ad uno umano. Famosa divenne una coppia di psicologi Lascaux. L‟emozionante giro virtuale copre 500 m. di grotta e dà dettagli sugli artisti aurignaziani, che sapevano utilizzare l‟ombreggiatura e la prospettiva. Questa grotta ha fatto vacillare i preconcetti sulla produttività e l‟abilità degli artisti dell‟epoca. Il sito Internet suggerito è ricco di links (con la grotta di Lascaux, per esempio). 182 Di cosa si potrebbe trattare ? Conta di animali ? Fissazione dei flussi migratori degli animali ? Scuole primitive dove i bimbi, al sicuro di una grotta, venivano acculturati ? Qui la fantasia galoppa, di supposizioni se ne possono fare a decine. Se le rappresentazioni appartenessero al capitolo “arte”, in ogni caso, la mia (povera) opinione è la seguente: le raffigurazioni sono il prodotto di una profonda empatia con la natura da parte di alcuni soggetti versati nelle tecniche di rappresentazione, i quali riescono ad esprimere la visione della natura del gruppo di cui fanno parte (il che richiede anche una profonda comunione col gruppo stesso). Dopo aver indagato sulle pitture rupestri della grotta di Sunpangbita a Sulawesi (Indonesia) ed aver visto all‟opera pittori aborigeni australiani moderni e tessitrici guatemalteche di parlata Cakchiquel (e perché no ? anche i docenti e gli allievi più dotati dell‟Istituto d‟arte “P. Selvatico” dove insegno), mi sono convinto che la teoria della Einfülung (immedesimazione), dello storico tedesco R. Vischer (1847-1933) sia quella più probabile, in un campo estremamente viscido come questo, per spiegare il “motore” di ogni creazione artistica. Einfülung. Dal ted. “immedesimarsi”, tradotto con empatia o simpatia simbolica. Teoria estetica secondo la quale l‟arte consiste essenzialmente nell‟immedesimarsi del sentimento con le forme naturali, per una profonda consonanza o simpatia tra soggetto e oggetto. (i Kellogg), che allevò il loro bimbo assieme ad un cucciolo coetaneo di scimpanzé, riportando poi le differenze e le somiglianze esistenti tra loro. Naturalmente, da bravi psicologi, utilizzarono tutta una serie di test. Ad un certo punto si accorsero che lo scimpanzé era capace di scarabocchiare se qualcuno gli mostrava come fare e che, dopo un certo periodo di tempo, egli procedeva in modo spedito per conto proprio, mentre il bimbo si limitava ad imitare. Altri studi mostrano che gli “atti creativi” degli scimpanzé sono molto semplici perché mostrano un controllo minimo sulla composizione e la calligrafia. Gli scarabocchi mostrano anche variazioni estetiche minime. Come spesso accade, il nostro giudizio è sospeso. Non siamo capaci di capire se gli scimpanzé “artisti” stessero imitandoci o se stessero cercando di comunicare con noi usando i loro artefatti183. In ogni caso, alcuni dei loro disegni si rivelano puro Impressionismo. La ricerca prosegue, allo scopo di scoprire i principi che regolano l‟abilità pittorica184. Alla fine della prima decade del presente secolo, tuttavia, molti studiosi cercano di comprendere di comprendere le radici simboliche dell‟arte. Non fosse altro perché l‟arte è l‟espressione estetica delle abilità cognitive nella costruzione di simboli i quali, comunicando significati. Quali che siano: le parole dei nostri linguaggi, i suoni che scaturiscono da strumenti per convogliare emozioni, o le raffigurazioni “artistiche”. Ora sia gli uomini moderni, sia il linguaggio simbolico, sembrano essere originari dell‟Africa e le recenti scoperte di manufatti vecchi di 100.000 anni o più, intrigano gli studiosi: mostrano essi espressione simbolica ? E poi: ammesso che si riesca ad arrivare a comprendere qualcosa dell‟evoluzione del simbolismo (che deve aver avuto una rapidità estrema, secondo alcuni), qual è il suo apporto all‟evoluzione umana ? Molti sospettano che i simboli siano stati una sorta di collante sociale, per aiutare i primi gruppi umani a sopravvivere e riprodursi. Nel 1999 è stata scoperta in Marocco, la Venere di Tan-Tan, vicina a manufatti la cui vecchiaia è stimata attorno a 300.000-500.000 a. fa. Forse l‟Homo heidelbergensis aveva un cranio sufficientemente ampio per poter dar forma a questa figurina di quarzite dotata di arti rudimentali (molti archeologi sono tuttavia scettici: potrebbe trattarsi di una coincidenza). Un altro ritrovamento sulle alture del Golan, datato 250.000 a. fa, assomiglia ad una donna, mentre per altri si tratta di un pinguino (?) o di un fallo. Ora, in Eurasia, a partire da 30.000 a. fa sono state ritrovate centinaia di ossa e pietre intagliate a “donna” (si parla di Veneri) e tutte mostrano un motivo comune. Moltissimi studiosi concordano sul fatto che esse non sono solo un‟espressione simbolica, ma vera e propria “arte”. E allora gli studiosi si rivolgono all‟industria litica: dar luogo a strumenti in pietra sofisticati utili per la sopravvivenza, richiede d‟imporre forme basate su un piano mentale. Forse il significati simbolico di queste creazioni è quello di mostrare prestigio e d‟attrarre membri dell‟altro sesso. In ogni caso, l‟idea che la creazione di utensili sofisticati e che il pensiero simbolico richiedano abilità cognitive simili, è stata testata con le tecniche di brain imaging oggigiorno disponibili. Mentre tre archeologi, abili nel rifare strumenti pre- e tardo Acheuleani erano all‟opera, le loro aree corticali furono studiate con la tomografia ad emissione di positroni e le aree cerebrali interessate erano quelle motorie e visive. Interessante fu un fatto: solo la manifattura degli strumenti tardo Acheuleani “accese” anche i circuiti cerebrali legati al linguaggio. Altri ritrovamenti, come quello zambiano di Twin Rivers (260.000 a. fa), mostrano l‟uso di ocra e altri coloranti, che potevano non solo essere usati per dipingere il corpo, ma anche gli strumenti. In ogni caso, la domanda di fondo rimane sempre lì: perché ? Qual è il vantaggio selettivo ? Per alcuni scienziati la forma più sofisticata di comunicazione simbolica è solo il linguaggio, capace d‟organizzare caccia e raccolta di cibo, scambiare cibo, insegnare a fabbricare strumenti e ad educare la prole, scambiare esperienze passate. Esso permetteva non solo lo scambio d‟informazioni concrete, ma anche quello astratto, con possibilità di far piani per il futuro e cooperare in maniera più adeguata quando si trattava d‟esplorare nuovi ambienti e far fronte a climi mutevoli. Le forme non linguistiche di comportamento simbolico (anche la musica, quindi), potevano essere il cemento per tenere insieme questi legami che il linguaggio creava, esprimendo significati che non potevano essere espressi con le parole. La forza emozionale dell‟arte, se vogliamo, sta qui. Domande A cosa è dovuta la distinzione arte parietale/arte rupestre/arte mobiliare? Dove sono state scoperte le prime forme d‟arte parietale? Quali sono le caratteristiche di base dell‟arte parietale? 183 Di Kanzi, un bonobo, sono stati vendute le opere in pochi giorni, per qualche migliaio di dollari. Niente a che vedere con la performance di Congo, uno scimpanzé, le cui opere hanno raggiunto quotazioni record di 25.000 $. 184 Per saperne di più, visitare il sito no profit: www.koko.org. Cosa si pensava rispetto all‟arte primitiva agli inizi del „900? Come si modificò, in seguito, il pensiero degli studiosi? Cosa ci dicono i Primati non umani pittori rispetto all‟abilità pittorica dei primordi? Come s‟inserisce il linguaggio in questo contesto? La rivoluzione neolitica Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) Degli inizi dell’agricoltura e dell’allevamento; Della gradualità con la quale la rivoluzione neolitica si è affermata; Dell’instaurarsi delle prime organizzazioni sociali “evolute” A partire da 12.000 a. fa i nostri progenitori, abili cacciatori-raccoglitori in varie forme, iniziarono l‟addomesticamento di piante e di animali e ciò si verificò in maniera indipendente in varie parti del mondo. I primi esempi si hanno nella cosiddetta Mezzaluna Fertile (attuali Siria, Irak, Iran, Turchia e paesi limitrofi), in cui s‟iniziò la coltivazione di grano, orzo, farro, lenticchie, piselli. Gli animali addomesticati laggiù erano le capre, le pecore e le vacche. In Cina, a partire da 7000 a. fa, troviamo il riso, il miglio, la soia, il taro e le patate dolci, assieme al maiale. In America centro-meridionale, a partire da 5000 a. fa, s‟incontrano il mais, le zucche, il cotone e, tra gli animali, i camelidi come il lama e il porcellino d‟india. Di sicuro il primo animale ad essere addomesticato fu il cane185, vi sono prove mesolitiche a partire da 14.000 a. fa in Europa settentrionale, e di circa 12.000 a. fa in Israele. Poi vi fu la capra, mentre pecore, maiali bovini e asini erano di certo allevati con continuità in Egitto a partire da 3000 a. fa. Le renne sembrano l‟ultimo animale addomesticato, in quanto le sole fonti che ne parlino sono cinesi, del VI secolo d. C. È possibile che l‟allevamento si sia instaurato in seguito ad una particolare forma di caccia, riscontrata tra gli indiani delle praterie, i Bantù e usata nelle Cina antica. Gli animali selvatici venivano intrappolati in recinti, per dilazionare la loro macellazione. È pertanto probabile che le femmine gravide abbiano partorito cuccioli e che si sia sfruttato il fenomeno dell‟imprinting186, innescando un nuovo rapporto animale-uomo. La rivoluzione neolitica fu dapprima vista come un cambiamento rapido e drammatico. Per ragioni che si supponevano legate ai cambiamenti climatici (oppure a pressioni dovute ad aumento delle popolazioni suddivise in bande), piccole popolazioni iniziarono ad intensificare la produzione del loro cibo, piantando vegetali e addomesticando animali. Per cui la sedentarietà e l‟aumento della complessità sociale venivano spiegati come conseguenza dell‟introduzione dell‟agricoltura. Le nuove acquisizioni mostrano invece che, in molti casi, popolazioni diverse divennero stanziali prima dell‟introduzione dell‟agricoltura, per cui essa viene attualmente vista come un processo graduale che, per ondate successive, si è affermato in varie parti del mondo. Alla sua origine vi sarebbero fattori sociali collegati con la complessità economica e sociale dei gruppi umani primitivi. Il problema riguardante i motivi che hanno spinto popolazioni per 90.000 anni circa a vivere di caccia e raccolta e che poi, nell‟arco di pochi millenni, abbiano mutato vita, è, com‟è facile arguire, fonte di notevoli dibattiti. 185 Dati sul DNA mitocondriale suggeriscono una comune origine sud-est asiatica (circa 15.000 a. fa), dal lupo. Imprinting. S. ingl., propriamente “impressione, stampa”. In etologia, quella forma di apprendimento precoce, irreversibile e durevole, vista in alcune specie animali, per il quale un individuo riconosce e segue i propri genitori o loro surrogati, che possono anche essere individui di altra specie o oggetti che siano in movimento e cadano sotto il suo campo di osservazione. Famose sono “le oche di Lorenz”. In italiano si traduce talvolta con conio o impressione. 186 La complessità culturale, in ogni caso, non nasce da un singolo fattore e molte e differenti possono essere state le parti che hanno dato luogo ad un insieme. Gli etnologi parlano di complessità strutturale, la quale, risolta in parole semplici, significa che una complessità sociale maggiore vuole più parti nell‟insieme, più specializzazione o differenziazione di queste parti, e una più salda integrazione di queste parti nell‟ambito del tutto. Si parla, per procedere per gradi via via più complessi, di vari livelli: quello di banda, quello di tribù, quello di dominio e di stato primitivo (si veda la nota a piè pagina clan, per avere definizioni corrette dei diversi livelli). Con la diffusione dell‟agricoltura, iniziò anche l‟espansione demografica. Si calcola che nell‟8000 a.C. vivessero circa 8 milioni di uomini. Essi divennero, nell‟anno 1, circa 300.000.000, con un tasso d‟incremento annuo di 360 per milione (0,36 per mille)187. In ogni caso, le prime civiltà sorsero, in periodi diversi, in luoghi nei quali vi era abbondanza d‟acqua. Tra il Tigri e l‟Eufrate (Mesopotamia), in Egitto,lungo il corso del Nilo; nella valle dell‟Indo e del Gange, nelle distese di löss188 tra il fiume Azzurro e quello Giallo in Cina; nelle vicinanze del Lago Teotihuacan in Messico. Chi seppe organizzare le acque e il lavoro degli altri iniziò quel percorso di potere che perdura anche ai nostri giorni. Domande 187 Dall‟anno 1 al 1750 la popolazione aumentò di 500-800 milioni (tasso=0.56 per mille). Dal 1750 al 1800 il tasso aumentò al 4.4 per mille. Nel 1850 vi erano al mondo 1.3 miliardi di persone e, verso il 1900, 1.7 miliardi, con tassi d‟incremento rispettivi del 5.2 e 5.4 per mille. Nel 1950 la popolazione era di 3.9 miliardi di persone (tasso: 7.9 per mille). Nel 2000 le stime presumono un tasso del 19 per mille. 188 Löss. Dal ted. “rado, poroso”. Roccia sedimentaria di color giallo chiaro, porosa e tenera, trasportata dal vento e accumulatasi nelle regioni predesertiche del Fiume Giallo. Dove si trovano i primi esempi di addomesticamento di piante e di animali? La cosiddetta rivoluzione neolitica fu un cambiamento rapido o graduale? Qual era la conditio sine qua non per l‟insorgenza delle prime civiltà? La scrittura Nel presente paragrafo si discute: a) b) c) d) Del fatto che le prime forme di scrittura vanno inserite nel contesto generale della comunicazione; Di cretulae e bullae; Di “ragionieri” e di “burocrati”; Dell’alfabeto. Considero la categoria degli insegnanti molto conservatrice. Nel senso che molti di loro, appiattiti come sono da un sistema burocratico costantemente in balìa delle fole dei politici e dall‟impossibilità di avanzamenti di carriera, sono poco stimolati a rinnovarsi. Tale atteggiamento è dovuto a stanchezza, mancanza di incentivi e di riconoscimento sociale. Per cui molti di loro continuano imperterriti ad offrire ai loro pupilli nozioni che hanno letto alcuni decenni prima, cambiandole, di tanto in tanto, con “schegge”, talvolta impazzite, ricavate dalla stampa e dai giornaletti divulgativi i quali, si sa, devono rendere appetibile anche ai profani ciò che scrivono, per cui non sottilizzano troppo. In genere persiste in molti insegnanti l‟idea che esista un confine tra storia e preistoria e che la netta linea di demarcazione tra le due sia data dall‟avvento della scrittura. Si tratta di una vera e propria leggenda metropolitana, perché ormai lo studio archeologico delle società si fa con una moltitudine di mezzi (non bastano 189 più i soli documenti scritti, i quali, per inciso, possono essere solo agiografici e quindi sostanzialmente bugiardi), e perché le diverse civiltà hanno storie, diciamo spazio-temporali, molto diverse tra loro. Occorre tenere presente che la scrittura non sostituisce visivamente la parola, la sua storia può essere ricavata anche dall‟analisi dei segni che spaziano dalle pitture parietali alle incisioni dei primi contabili. Cercare il legame tra “informazioni per registrare segni” e linguaggio non ha più molto senso, occorre elaborare teorie globali della comunicazione. È in quest‟ottica, quella dei sistemi dei segni, che occorre inserire il discorso riguardante i sistemi di scrittura. Allora. Le prime informazioni registrate atte a conservare informazioni risalgono al Paleolitico superiore. Tali segni sono vecchi di almeno 35.000 in Europa e, probabilmente, 60.000 anni in Africa, e necessitano di un linguaggio verbale, il solo modo noto per potersi esprimere in un gruppo e per poter tramandare questi segni di generazione in generazione. Non solo, ma proprio perché il linguaggio è “incorporato” nel cervello, come abbiamo visto, esso è il solo strumento comunicativo che permette la creazione di codici grafici simbolici e la loro successiva trasmissione. Naturalmente, non appena si sono scoperti frammenti ossei recanti incisioni, la fantasia degli archeologi si è scatenata. Si trattava di “conta degli animali uccisi”? Di metodi per ricordare i canti? (tipo: adesso vi racconto la barzelletta n. 6, e tutti giù a ridere?); o, ancora non si sarebbe potuto trattare di modalità di conteggio del numero dei partecipanti ad un evento? Cosa significassero veramente non è noto, probabilmente si trattava semplicemente di un modo per annotare qualcosa, in maniera da non dimenticarlo. Nessuno può dire, al momento, se una collana di conchiglie paleolitica non avesse solo la funzione di addobbo, ma fosse anche un sistema di notazione, come, per esempio, un odierno rosario. In realtà gli studi etnografici mostrano che le modalità per registrare, conservare e recuperare una qualsiasi informazione sono svariate. I cosiddetti “sistemi di memoria artificiale” sono stati studiati a fondo, e non si tratta, com‟è chiaro, di semplici “nodi al fazzoletto”. Buona parte dei sistemi di memoria artificiale paleolitici sono andati perduti, ma si studia attivamente per cercarli e comprenderli. Nel Neolitico s‟incontrano le cretulae, sorta di sigilli con un verso e un recto, che servivano non solo allo scopo di garantire contro le ruberie, ma anche come elementi per i conteggi e, se conservate, come ricevute d‟archivio. Siamo alla ragioneria vera e propria, in quanto in una delle due facce vi era l‟impronta di un sigillo, nell‟altra quella dell‟oggetto sigillato. L‟analisi delle cretulae dei primi magazzini cretesi e del Vicino Oriente ha mostrato la loro antichità (fino al VII millennio). Non stupiamoci più di tanto: anche ai giorni nostri si usano ancora i piombi e la ceralacca. Si sa, la ragioneria va di pari passo con la burocrazia, per cui il loro uso, in seguito all‟aumento degli scambi di merci tra i vari popoli, fu anche amministrativo. Il 189 Agiografia. Dal lat. tardo, a sua volta dal gr. tardo “santo” e “grafo”. Inizialmente letteratura relativa ai Santi, poi, per estensione, il termine indica, più o meno polemicamente, un atteggiamento sentimentale che tende a svolgere narrativamente motivi leggendari intorno ad una personalità della politica o della religione. Es.: milioni di italiani hanno ricevuto, in occasione delle elezioni politiche di qualche tempo fa, un ritratto agiografico del loro futuro premier. passaggio contabile/scrittore non fu, secondo gli studiosi, meccanico. Si suppone che ignoti inventori ne abbiano, per gradi, dapprima posto le basi, e poi perfezionato il codice visivo. Il contadino di un piccolo villaggio siriano, 10.000 a. fa, fece un inventario dei suoi beni per mezzo di gettoni d‟argilla. Un cono significava una certa misura di grano, una sfera una misura più grande e un cilindro un animale. Questi gettoni rimasero in auge per circa 5.000 anni e poi vennero punzonati, per registrare con maggior precisione. In seguito vennero inventati nuovi gettoni, di forma diversa. A Uruk, città sumerica, s‟inventarono, 5.500 a. fa, le bullae, palle d‟argilla cave dove i gettoni potevano essere conservati e che portavano sulla superficie i sigilli che indicavano quali gettoni fossero contenuti al loro interno. In seguito, s‟iniziò a imprimere sulla superficie dei sigilli che indicavano il numero di questi gettoni. Il passo successivo fu quello in cui s‟incominciò ad incidere le forme dei gettoni su una tavoletta d‟argilla, facendo, in questo modo, a meno dei gettoni. Alla fine, uno sconosciuto inventore, nel 3.100 a.C. circa, incominciò ad usare uno stilo appuntito per incidere sull‟argilla i segni, invece di imprimerli sulla creta con uno stampo. Qualcuno semplificò ulteriormente la faccenda usando “1” (cono) per una quantità piccola di grano e “10” (sfera), per una più grande. Nel 3.000 a.C., un altro inventore trovò il sistema per registrare il nome degli individui a cui erano associati i beni registrati. Un uomo dalla grande bocca era indicato con “lu” (figura stilizzata d‟uomo) e “ka” quello di bocca stilizzata. Il signor Luka era rappresentato con due simboli: i suoni erano stati associati alla lingua e la scrittura “prese il volo” e s‟allontanò dal mondo concreto dei beni. Il passo successivo fu quello di incidere con un bulino i metalli usati nelle pratiche funerarie (ci si staccò dalla ragioneria). Un altro avanzamento si ebbe con l‟incisione del nome degli individui morti su piccole statue, nelle quali vennero aggiunte preghiere; in seguito (2.000 a.C.) la scrittura fu usata per una numerosa serie di testi religiosi, legali, storici, letterari Questo capitò in occidente. In Cina, la tradizione vuole che le prime forme di scrittura (ideogrammi) fossero state inventate da un ministro dell‟Imperatore Giallo (2697-2598 a.C.), il quale, osservando le impronte lasciate al suolo dagli uccelli e dagli animali, concepì un sistema di scrittura basato sui segni della natura. I reperti archeologici certi sono stati datati solo un millennio circa più tardi. La scrittura cinese non è, quindi, una traccia della lingua orale, anche se ha poi avuto un‟evoluzione prossima a quella del cuneiforme della Mesopotamia e del geroglifico egizio. I segni dei Maya non costituivano, invece, le lettere di un alfabeto, ma un sillabario, un elenco di sillabe. Sono oggi noti circa 800 segni i quali, singolarmente, hanno l‟aspetto di un quadrato o di un ovale. Possono essere riuniti a formare un blocco di glifi. I segni sono figurativi e rappresentano talvolta animali, persone, parti del corpo, oggetti della vita quotidiana. Si tratta di una scrittura, in ogni caso, legata all‟aristocrazia, preoccupata del mantenimento dello status quo. Per arrivare ad una scrittura “alla portata di tutti”, occorre attendere la nascita dell‟alfabeto190, ovvero all‟associazione segno/suono e non segno/oggetto. Questo sistema, che può adattarsi ad ogni lingua e dialetto, può essere stato inventato all‟incirca nel 1.700 a.C., nel Sinai. L‟alfabeto fu un‟invenzione di notevole successo: le scritture principali dell‟Occidente e del Medio Oriente si svilupperanno da questo. Con quest‟ultimo fatto, la Storia viene anche trascritta. Parafrasando due proverbi latini: Verba movent? Scripta manent !191 E la Storia continua… Domande Quando iniziamo a trovare segni che conservano informazioni? Cosa potevano significare? Cosa sono le cretulae e le bullae? Quale fu il passo successivo alla creazione di “segni contabili”? Dove può essere stato inventato il primo alfabeto? 190 Alfabeto. Dal lat. tardo, a sua volta dal tardo gr., è una composizione dei nomi delle due prime lettere dell‟alfabeto, appunto, greco. È un complesso di segni, in cui ciascuno indica un suono consonantico o vocale. I primi a. contenevano ideogrammi (segni che rappresentano oggetti del mondo reale – pittogrammi) o idee astratte (logogrammi), nonché segni sillabici. Le scritture logo-sillabiche, derivanti da quelle pittografiche, si estesero progressivamente in tutto il Vicino e Medio Oriente. 191 Verba movent, exempla trahunt: “le parole incitano, gli esempî trascinano” e il ben noto: “Verba volant, scripta manent”. Note bibliografiche Buona parte delle definizioni trovate sovente nelle note a piè pagina sono state desunte dal Vocabolario della Lingua Italiana dell’Istituto Enciclopedico Italiano (Treccani), 1994, Roma, “saccheggiato” senza risparmio. Altre Fonti: Steen E.B., Dictionary of Biology. Barnes & Noble, Londra, 1971; Dizionario Enciclopedico “Medicina e Biologia” (CD-Rom) Le Scienze-Zanichelli, Bologna, 1977. Aiello L.C.. (2001) Our newest older ancestor ? Nature 410:526-527. Aiello L.C, Dean M.C. (1990) An Introduction to Human Evolution Anatomy. Academic Press, Londra. Alcock J. (1992) Etologia. Un approccio evolutivo. Zanichelli, Bologna. Alexander R.D. (1987) The Biology of Moral Systems. Aldine de Gruyter, New York. Bainbridge W.S., Roco M.C. (2006) Progress in Convergence. Technologies for Human Wellbeing. Annals of the New York Academy of Science Vol. 1093. NYAS, New York. Balter M. (2009) On the Origin of Art and Symbolism. Science 323:709-711. 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Specie notturne Testa arrotondata, occhi grandi ma non frontalizzati, presa a tenaglia, arti posteriori allungati Onnivoro con tendenza insettivora Coppia monogamica Habitat Fisico Forestale (sud-est asiatico) Corpo piccolo, occhi larghi e frontalizzati, Fisico Tarsi Regime dietetico Vita sociale articolazione della caviglia allungata, opponibilità del pollice Onnivoro Coppia monogamica Scimmie Platirrine (del Nuovo Mondo) Forestale e variabile Habitat Variabile, da piccolissimo (marmoset) a 9 Fisico Kg, narici rivolte verso il basso, setto nasale osseo (sottile). Tre premolari. Coda spesso prensile. Pollice non opponibile Basicamente quadrupedi, ma talune specie Locomozione sono capaci di deambulazione a salti con tutti gli arti Onnivoro con tendenza insettivora Regime dietetico Variabile: specie solitarie e specie che Vita sociale formano gruppi ristretti Classificazione Ceboidea Superfamiglia Callitricidi (marmoset e tamarini) Famiglia Cebidae (scimmie urlatrici, scimmie ragno, scimmie cappuccine, ecc.) Scimmie catarrine (del Vecchio Mondo, a parte Hominoidea) Habitat Fisico Differenziato (arboricolo e terrestre), ampio Variabile in grandezza, narici verso il basso, riduzione della formula dentaria. Buona destrezza manuale, pollice opponibile. Possono sedersi sulle callosità ischiatiche. Nelle specie caudate la coda non è prensile, serve per comunicare e per l’equilibrio Variabile. Include: quadrupedalismo Locomozione arboricolo e terrestre, brachiazione Onnivoro e foglivoro Regime dietetico Classificazione Superfamiglia Famiglia Sottofamiglie Cercopitecoidea Cercopitecidae Cercopitecine (macachi e babbuini) Colobine (langur, colobo) Superfamiglia: Hominoidea (Ilobatidi) Ilobatidi Habitat Fisico Forestale, sud-est asiatico, diurni Corpo pesante (5kg – gibbone, fino a 14 Kg. –siamango). Corpo adattato alla brachiazione, dita permanentemente curve, potente muscolatura del cingolo scapolare Brachiazione, bipedalismo occasionale Locomozione Prevalentemente frugivoro Regime dietetico Vita sociale Piccoli gruppi famigliari monogami Superfamiglia: Hominoidea (Pongidi) Generi: Pongo (orangio), Gorilla e Pan (scimpanzé) Habitat Fisico Locomozione Regime dietetico Vita sociale Orango Foreste del Borneo e Sumatra Notevole dimorfismo sessuale (♂ 70 Kg., ♀ 35). Corpo adattato alla locomozione sugli alberi Adattamento quadrumanuale (uso dei quattro arti per la presa e per sospendersi) Onnivoro Animali solitari Gorilla Habitat Fisico Locomozione Regime dietetico Vita sociale Forestale Africa centrale e zona dei laghi orientale Notevole dimorfismo sessuale (♂ 180/200 Kg. ♀ 90 Kg.). Torace largo e appiattito, colonna vertebrale corta e stabile, clavicole lunghe, cingolo scapolare flessibile e potente. Articolazione del polso modificata, per sostenere il peso del corpo Postura quadrupedica al suolo (knuckle walking= andatura sulle nocche) Vegetariano Organizzazione complessa ma poco gerarchizzata Scimpanzé Habitat Fisico Locomozione Regime dietetico Vita sociale Africa equatoriale (dall’Atlantico al Lago Tanganika) Due tipologie: Sc. comune e pigmeo. Strutturalmente simili al gorilla, cervello molto sviluppato. Sul terreno, semiquadrupedica Onnivoro, frutta preminente Organizzazione complessa Esempi di organizzazioni sociali Habitat Struttura sociale di base Territorialism o Dimor fismo sessual e Gibboni e siamanghi Foreste Coppia monogamica con prole Si Non accentuato Oranghi Foreste Madre con prole: Maschi solitari. Poliginia unimaschil e Si Gorilla Scimpanz é Foreste Vario Gruppi da Comunità 2 a 20 (15-80 individui. soggetti)Ba Poliginia silare unimaschil femmina e con prole. Poliginia multimaschile Esistente Esistente Accentuato Accentuato Presente