giotto: realismo e sentimento

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giotto: realismo e sentimento
UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ
Fondata dal Lions Club di Cinisello Balsamo
patrocinata dal Comune di Cinisello Balsamo
ANNO ACCADEMICO 2015-2016
Conferenza:
GIOTTO:
REALISMO E SENTIMENTO
3 dicembre 2015
Centro culturale IL PERTINI
Docente: Pinuccia Roberto Indovina
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Giotto:
Realismo e Sentimento
Il panorama politico in Italia, alla fine del 200, vede una netta ripartizione tra il centro-nord e la
parte sud della penisola.
Nell’’Italia meridionale, al fiorire della splendida civiltà Normanna e alla parentesi esaltante del
regno di Federico II, seguiranno anni di lotte intestine per la successione al regno delle due Sicilie.
Dopo “la guerra del Vespro”, con la pace di Caltabellotta del 1303 la Sicilia diventerà appannaggio
degli Aragonesi e la parte continentale del regno resterà agli Angioini.
Nell’Italia centrale si è consolidato lo stato della Chiesa, una sorta di monarchia teocratica dove sia
il potere spirituale che quello temporale sono in mano del Papa, sempre in lotta con l’imperatore e
i nobili feudatari dei territori a lui sottomessi.
Nell’area settentrionale, sin dal secolo XII si è affermata una fitta rete di città politicamente
indipendenti, i Comuni, che si reggono con ordinamenti autonomi, eleggono i propri magistrati,
battono moneta, riscuotono le imposte, amministrano la giustizia e hanno persino una propria
milizia per la difesa.
All’interno del comune si sviluppa ben presto una vivace vita civile, che vede la partecipazione
attiva di tutti i cittadini, e una prospera vita economica fondata sugli scambi.
Nel 200 insieme con i mercanti compaiono le figure dei banchieri pronti a elargire prestiti a privati
e, quindi, uno stuolo di artigiani, piccoli commercianti che vivacizzano la città con botteghe di ogni
tipo. La popolazione delle città ben presto aumenta notevolmente e col lavoro anche le condizioni
di vita migliorano. Negli ultimi decenni del 200 e i primi del trecento l’Italia settentrionale vive uno
dei periodi più gloriosi della sua storia, non solo dal punto di vista politico, ma anche e soprattutto
dal punto di vista artistico e culturale.
In questo periodo nasce e vive Dante, l’innovatore e fondatore della lingua italiana e questo è
anche il periodo in cui vive Giotto considerato dai critici il creatore del linguaggio pittorico
moderno.
La pittura di Giotto, pur essendo straordinariamente attuale si muove nell’aria medioevale così
densa di valori religiosi, esattamente come la poesia di Dante, dove Dio e l’uomo mantengono
sempre un rapporto incessante mai avulso dalla realtà ma concreto, empirico aderente alla
caducità dell’essere umano. Come Dante, nell’esercizio della lingua volgare fa tesoro delle correnti
letterarie sorte qui e là in tutto il territorio nazionale, così Giotto assorbe, nella sua pittura, gli
stimoli degli artisti che lo hanno preceduto e crea un linguaggio totalmente innovativo che
costituirà la base per il trionfo del nostro Rinascimento.
In che cosa consista “la rivoluzione” del linguaggio pittorico di Giotto lo sintetizza il pittore e critico
d’arte Cennino Cennini, che, attorno al 1390 nel suo “Libro dell’Arte”, scrive:
Rimutò l’arte del dipingere di greco in latino e ridusse al moderno
Dove per greco si intende l’arte bizantina, per latino il morbido stile dell’arte classica e infine per
moderno la maestria con cui Giotto riesce a trasformare l’illustrazione pittorica in narrazione
realistica di avvenimenti.
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In effetti la pittura del 200, al di là delle differenze dovute a caratteristiche territoriali, ha come
iconografia di riferimento quella dell’arte bizantina che, nata dopo la caduta dell’impero Romano
nel IV sec d.C. manterrà la sua influenza fino alla conquista di Bisanzio(1453).
In Italia, l’arte bizantina, ha il suo primo fulgore sotto l’impero di Giustiniano I (482-565), con gli
splendidi mosaici delle chiese di Ravenna. Dopo un periodo di decadenza nel secolo VII a causa
dell’avvento dei sovrani iconoclasti, dal IX sec in poi è tutto un fiorire di espressioni artistiche in
stile bizantino.
In Sicilia, con la conquista normanna, l’arte bizantina, sorta come espressione pittorica sacra e
popolare per chiese e cattedrali, diventa anche arte di corte negli straordinari e fantasmagorici
mosaici della Cappella Palatina e del Palazzo dei Normanni. La tecnica privilegiata dall’arte
bizantina è il mosaico, più adatto, con lo splendore dell’oro e la luce prodotta dal luccichio delle
scaglie di vetro o pietre dure, a creare un’atmosfera irreale e trascendente adatta ad esprimere
sacralità e regalità.
Nello stesso periodo anche Venezia, sede privilegiata dei rapporti tra oriente e occidente,
utilizzerà maestranze bizantine per arricchire di mosaici la Basilica di San Marco la cui decorazione
sarà completata solo alla fine del XIII sec. Il lungo intervallo di tempo impiegato per completare
l’opera rende l’iconografia meno aderente ai modelli tradizionali. Le figure, meno statiche e piatte
assumono sostanza volumetrica e, nella decorazione, appaiono squarci di paesaggio dalle tinte
chiare e luminose.
In Toscana e nei territori interni della penisola l’iconografia bizantina si ritrova in dipinti su tavola
di carattere devozionale specialmente in Crocifissi, simbolo per eccellenza della religiosità
popolare.
Nel 1550, Giorgio Vasari, pittore e Architetto aretino, pubblica un trattato “Le Vite dé più
eccellenti Pittori, Scultori e Architettori” che subito riscuote grande successo tanto che sarà data
alle stampe un’altra edizione più ampliata e curata nel 1568.
E’ la prima opera organica sulla storia dell’arte nonché fonte, spesso unica, della produzione e
delle notizie biografiche degli artisti del il Medioevo e del Rinascimento, a partire da Cimabue fino
ai manieristi. Vasari indica in Cimabue l’iniziatore della pittura moderna.
“fu Cimabue quasi prima ragione della rinnovazione della pittura”
In effetti Cimabue rivoluziona dal basso le regole della pittura bizantina dotando le pitture di una
nuova spazialità e trasformando le figure ieratiche e stilizzate in figure plastiche dotate di umanità
e pathos.
Giotto, secondo il Vasari, nasce nel 1267 a Colle Vespignano, da Bondone un commerciante
terriero. Giovanissimo frequenta la bottega di Cimabue mostrando da subito straordinarie doti
pittoriche.
Probabilmente Giotto segue il suo maestro a Roma nel 1282 dove viene a contatto con le
innovazioni pittoriche della scuola romana di Jacopo Torriti e Pietro Cavallini autore il primo dei
notevoli mosaici di S. Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore, il secondo delle preziose
decorazione musive di Santa Maria in Trastevere e soprattutto degli affreschi del monastero di
Santa Cecilia in Trastevere ricchi di figure morbide e colorate dalla profonda espressività dove
vanno ricercate le radici della pittura di Giotto. Tra l’altro sappiamo, per certo, che Torriti e
Cavallini sono attivi nel cantiere di Assisi per gli affreschi della Basilica Superiore
contemporaneamente a Cimabue e Giotto e questo incontro tra la corrente Romana e quella
toscana porterà ad un reciproco scambio di esperienze, molto importante in questa fase della
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pittura italiana. Tali contatti serviranno soprattutto da stimolo per abbandonare definitivamente i
canoni espressivi della tradizione bizantina a favore di un linguaggio più occidentale e moderno
adatto ad esprimere i contenuti della cultura contemporanea.
Verso gli anni 90 Giotto sposa Ciuta (Ricevuta di Lapo del Pelo) nobildonna fiorentina dalla quale
avrà 8 figli 4 maschi e 4 femmine.
Il percorso stilistico di Giotto passa attraverso alcuni dipinti su tavola di carattere devozionale realizzati
negli ultimi decenni del duecento che lasciano già intuire la portata della svolta rivoluzionaria operata dalla
sua pittura nella storia dell’arte italiana. Quasi certamente risale a questa prima fase della sua
formazione una delle opere più significative di Giotto il Crocifisso di Santa Maria Novella. E’ un
bellissimo dipinto a tempera su tavola che segna le distanze dalla cultura pittorica precedente.
Giotto assimila la lezione spaziale di Cimabue ma dà vita alla ricerca di una rappresentazione più
realistica e umanizzata dei personaggi.
In Giotto il sacro diventa umano: Cristo assume le dimensioni e l’aspetto dell’uomo torturato e da questo
trae una spiritualità più intensa e profonda. La morte accentua la pesantezza delle forme che precipitano
verso il basso prive di ogni energia vitale; Il volto drammaticamente espressivo mostra gli occhi socchiusi e
le lacrime. La figura acquista volume ed emerge con drammatica potenza grazie al sapiente uso del
chiaroscuro di stile classico. Per la prima volta sono rispettate le proporzioni del corpo umano, enfatizzate
nell’arte bizantina, e, attraverso un intuitivo senso della prospettiva, Giotto rende più naturale la posizione
dei piedi e delle mani. Dolorosamente espressive anche le figure della Vergine e di S. Giovanni alle
estremità della Croce.
Dello stesso periodo Madonna col Bambino un frammento di una maestà di notevole dimensioni che
presumibilmente si trovava in un oratorio di fronte alla Pieve di san Lorenzo.
Si tratta di un’opera raffinata dove il volto della Madonna, con le labbra tumide e gli occhi allungati, già ben
delineato ed espressivo, è possente e dolce al tempo stesso. Affettuosa e familiare l’intuizione della carezza
da parte del Bambino. Pronunziato il senso del volume, dal morbido panneggio del vestito.
Secondo i critici questo dipinto precede di poco, Madonna in trono proveniente dalla chiesa fiorentina di
San Giorgio alla Costa.
E’ una di quelle opere danneggiate gravemente dall’attentato mafioso di via dei Georgofili del 1993 e
attentamente restaurata dall’opificio delle pietre dure di Firenze.
L’opera ha perduto la sua iconografia originaria perché mutilata, in tutti i suoi attributi, nel 700 per
adattarla ad una cornice barocca. Mancano i braccioli del trono, che spinti in avanti avrebbero dato più
tridimensionalità alla composizione, e inoltre uno scalino e un piede della vergine.
Purtuttavia il dipinto contiene tutte le caratteristiche delle opere giovanili di Giotto: plasticità delle figure e
straordinaria raffinatezza cromatica. La madonna siede in un trono cuspidato, coperto da una coperta di
prezioso broccato, e un vivace cuscino rosa. L’atteggiamento della vergine ha perduto la rigidità delle
Madonne bizantine per un nuovo naturalismo reso più evidente dalla posizione declinata del collo e da uno
sguardo espressivo, quasi melanconico. Ad accentuare l’umanità della figura le due ciocche di capelli che
fuoriescono dalla cuffia rossa.
Dal 1290 al 1292 Giotto lavora per certo alla decorazione della basilica superiore di Assisi che, da questo
momento, diventerà teatro della più intensa vicenda artistica dell’epoca.
La Basilica iniziata da Gregorio IX nel 1228 fu inaugurata nel 1253 da Innocenzo IV. All’esterno la struttura
gotica iniziale fu arricchita man mano con linee più maestose del Romanico Lombardo. All’interno invece
prevale lo stile gotico con slanciati archi rampanti a sesto acuto. La navata è divisa in quattro campate col
transetto e l’abside con volta a crociera. L’attribuzione a Giotto di alcune delle storie bibliche e di quasi tutti
gli episodi della vita di San Francesco è frutto di osservazioni stilistiche più che di documentazioni certe.
Giotto qui inizia a formulare un suo personale linguaggio che man mano maturerà nel tempo, ma cui
rimarrà sempre coerentemente fedele. La rappresentazione degli eventi sacri con Giotto da evocativa
diventa narrativa, i personaggi non sono ieratiche figure celestiali, ma esseri umani che colloquiano tra loro
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e con i devoti non solo con gli sguardi ma anche con i gesti. Il mondo da lui rappresentato è quello moderno
e le architetture e gli spazi facilmente individuabili nella città del tempo.
Le storie di S. Francesco riempiono la fascia centrale della navata e sono iscritte in finte architetture al di
sotto di una cornice fuoriuscente. Tra le colonne vi sono ventotto quadroni ciascuno di 230x270 dipinti ad
affresco che narrano la vita del Santo e alcuni miracoli avvenuti dopo la sua morte. La lettura delle scene
inizia dall’altare, scorre lungo la navata, a destra, occupa la controfacciata per poi ritornare all’altare lungo
la parete sinistra della navata. La loro costruzione prospettica tiene conto della posizione dell’osservatore
stabilendo una connessione tra lo spazio dipinto e quello reale.
La narrazione degli avvenimenti è spontanea e sintetica: Giotto focalizza l’attenzione su quello che vuole
raccontare e lo rende comprensibile attraverso i gesti maestosi e gli sguardi dei personaggi tutti di
un’umanità profonda.
Le figure sono plastiche e si muovono in modo naturale in spazi reali prospetticamente costruiti. I
personaggi non sono mai uguali l’uno all’altro, hanno tutti una fisionomia particolare e caratteristiche ben
individuate d’intensa carica espressiva. (Conferma della regola –La predica di S. Francesco).
D’altra parte la mancanza di una tradizione iconografica lascia, libero l’artista di trovare soluzioni innovative
di forte impatto emotivo, mentre la vicinanza cronologica dei fatti narrati gli permette di ambientare la
scena in spazi reali ancora esistenti (Omaggio di un uomo semplice - La rinuncia dei beni terreni - La
scacciata dei diavoli da Arezzo).
Il paesaggio in Giotto è quasi tridimensionale: le montagne acquistano solidità e volume attraverso
chiaroscuri contrastanti e cambi di colore. Gli alberi bizantineggianti nei primi riquadri acquistano man
mano consistenza e diventano forme solide e concrete. Le figure valorizzano lo spazio e lo spazio, a sua
volta, è valorizzato dai personaggi che si muovano con spontaneità al suo interno. (Miracolo della fontePredica agli uccelli).
Sono ascrivibili a questo periodo dei dipinti su tavola tra cui un polittico proveniente dall’altare maggiore
della Badia Fiorentina, una delle chiese più importanti di Firenze, attribuito a Giotto da Lorenzo Ghiberti e
da Vasari.
Il polittico, dopo una lunga storia di vicissitudini di ogni genere, è stato riportato allo stato originario con
una lunga e minuziosa opera di restauro.
Il polittico rappresenta una delle opere chiave del pittore e fu certamente eseguito mentre lavorava alla
basilica di Assisi e comunque prima del suo viaggio a Padova. E ’composto da cinque scomparti polilobati
con cuspide triangolare, raffiguranti, nella parte centrale la Madonna con Bambino e ai lati S Nicola di Bari
S. Giovanni Evangelista, S. Pietro e San Benedetto identificabili dai nomi scritti sotto. Nelle cuspidi Cristo
Benedicente al centro e busti di Angeli verosimilmente eseguiti dai suoi collaboratori. Nel polittico, le figure
leggermente scartate per acquistare profondità, emergono possenti con un plasticismo saldo ed espressivo
dal fondo oro degli scomparti il cui spazio è quasi interamente occupato dalle loro masse. Un possente
chiaroscuro sottolinea i panneggi ed esalta le figure, mentre gli sguardi intensi e la ricchezza di particolari di
effetto sottolineano la loro umanità. Dal punto di vista stilistico in quest’opera Giotto continua la ricerca di
profondità e spazialità che, iniziata negli affreschi di Assisi, avrà il suo compimento totale negli affreschi di
Padova. Alla fine dei lavori della Basilica di Assisi è lui la figura emergente e la sua fama supera quella del
maestro. Ne fa fede lo stesso Dante che fa proferire a Oderisi da Gubbio nel XI canto del Purgatorio la
famosa terzina
Credette Cimabue nella pittura
Tener lo campo e ora ha Giotto il Grido
Si che la fama di colui è scura
Agli inizi del 1300 Giotto, è di nuovo a Roma, dove gli è affidato l’incarico di affrescare la loggia di S.
Giovanni in Laterano. Doveva essere un’opera molto vasta di cui però rimane solo un frammento
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raffigurante Bonifacio VIII nell’atto di indire il Giubileo e benedire la folla. Di un altro lavoro musivo a lui
attribuito, nella loggia di S. Pietro rimane soltanto parte della famosa Navicella perché il mosaico è stato
spostato e adattato in altra sede.
Nel 1301 va forse a Rimini per eseguire degli affreschi ora perduti, nella chiesa di San Francesco (ora
Tempio malatestiano): Rimane come testimonianza della sua visita, la bellissima Croce di Rimini, un
elegante composizione su fondo oro dai colori fusi che rivela una più matura consapevolezza pittorica
rispetto al Crocefisso di Santa Maria Novella.
Dal 1302 al 1305 Giotto è a Padova a servizio di Enrico Scrovegni, ricco banchiere padovano che gli
commissiona la decorazione di una cappella privata dedicata alla Madonna della Carità costruita per
espiare I peccati del padre Reginaldo collocato da Dante nell’inferno tra gli usurai.
La cappella è un piccolo edificio con un'unica navata lunga 30 metri, alta 13 e larga più di 8 con volta a
botte e una piccola abside con volta a crociera.
Al centro dell’arco trionfale che separa la navata dal presbiterio si staglia maestosa la figura di Dio Padre in
Trono dipinta a tempera su tavola. E’ un’opera molto originale perché rappresenta l’antefatto celeste di
quello che sarà un fatto terreno, cioè l’Annunciazione rappresentata nell’affresco dell’aria sottostante.
Dio, dall’alto del suo trono, tra un movimentato turbinio degli angeli indica a Gabriele, con un cenno degli
occhi, che è giunto il momento di portare l’Annuncio a Maria. Dal punto di vista pittorico la figura di Dio è
imponente e occupa l’intero spazio del trono, non un simbolo ma una presenza concreta. Attorno a lui gli
angeli si muovono con scioltezza in uno spazio astratto reso però profondo dalla disposizione delle figure.
Dalla parte opposta, sulla controfacciata uno spettacolare affresco del giudizio universale dominato dalla
figura di Cristo Giudice. A destra di Gesù in basso nell’affresco è raffigurato Enrico Scrovegni nell’atto di
donare la cappella alla Vergine. La volta, tempestata di stelle dorate e medaglioni con le immagini dei
profeti di Cristo e della Madonna, è di un’intensa tonalità di blu che continuando, come sfondo, lungo le
pareti conferisce unità all’intero Impianto iconografico.
Le pareti sono interamente affrescate con le storie di Gioacchino, della Vergine e di Cristo. La sequenza
narrativa degli affreschi si sviluppa su tre registri sovrapposti entro cornici dipinte, mentre inferiormente
corre uno zoccolo con riquadri di finto marmo alternati a figure allegoriche dei vizi e delle virtù realizzate in
monocromo.
La Cappella degli Scrovegni segna una netta evoluzione nella tecnica pittorica di Giotto che con estrema
sicurezza e bravura dispiega lungo le anguste pareti quadri ricchi di grande suggestione e umanità.
Incontro di Gioacchino e Anna alla porta d’oro: Giotto documenta in modo straordinariamente innovativo
il tenerissimo incontro tra i genitori di Maria dopo l’annuncio del concepimento; i due si abbracciano e si
baciano, dopo il lungo distacco, con amore e trasporto quasi a diventare un’unica persona. I loro sguardi
s’incontrano con dolcezza e Anna avvicina con determinata gioia il viso del marito al suo con entrambe le
mani. Le figure delle donne sono solidamente costruite, le vesti chiare danno luminosità alla scena. Le
proporzioni delle costruzioni risentono ancora dei canoni compositivi medioevali ma si armonizzano bene
con le pose maestose delle figure.
Nascita della Madonna: la scena si svolge in un’ambientazione di tipo classico illustrata con discreta abilità
prospettica specie nello scorcio della terrazza e delle finestre. Qui la narrazione prosegue nel vano
anteriore del quadro con il lavaggio della piccola Maria da parte delle ancelle.
Lo sposalizio della Vergine: Giuseppe reca il suo bastone fiorito e davanti al sacerdote offre l’anello a Maria
dolcemente compunta nel suo gesto di futura madre. La scena è centrata sulle figure dei due sposi mentre
gli altri personaggi creano con le architetture una specie di quinta teatrale.
Nascita di Gesù: quello di Maria è uno dei profili più dolci della storia dell’arte. Stupendo e drammatico
l’incrocio degli sguardi tra la madre e il bambino: dolcemente triste quello della madre, maturo e
consapevole quello del Bambino, entrambi coscienti dei tragici avvenimenti che serberà loro la storia. I
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personaggi hanno una consistenza reale che s’intuisce sotto le tuniche e i mantelli e anche le architetture
non hanno niente di fantastico ma sono chiare e reali e interagiscono con le figure.
La fuga in Egitto: qui la scena si sviluppa in orizzontale e rende il leggero andare su e giù per il pendio delle
due coppie di personaggi. Il paesaggio interagisce con la narrazione: l’aridità e l’aspetto lunare del
paesaggio rendono la drammaticità del momento e la montagna con la sua forma piramidale sembra voglia
proteggere la fuga della Sacra Famiglia. La pittura è costruita in modo armonico e ricca di particolari molto
raffinati.
Nozze di Cana: vivace e realistico questo scorcio di vita che si svolge in una stanza da pranzo con le mura
ricoperte da stoffe rigate e un fregio di legno traforato sorretto da mensole. La scena è ricca di particolari
raffinati come i tre ricami delle tovaglie, i trafori, le decorazioni degli abiti delle donne.
I colori chiari danno luminosità alla scena e accrescono la forma volumetrica delle figure e delle giare di
stampo classico. L’oste massiccio dallo sguardo ottuso è uno dei volti più caratterizzati dalla maestria di
Giotto.
Il tradimento di Giuda: è la scena più affollata della Cappella costruita attorno alle due teste di Giuda e
Cristo. Terribile e particolarmente intenso lo sguardo di Cristo in un concentrato di dolore e accusa.
Crocifissione: Cristo pendente dalla croce domina la scena mentre Il gruppo delle pie donne e della
Madonna china, sul punto di venir meno, aggiunge densità drammatica. A essa si contrappone la
raffigurazione insolita della veste di Cristo, inerme e desolata con quella macchia nera al centro che diventa
il simbolo della sua divina umanità e pone l’accento sulla tragicità dell’assenza.
Compianto sul corpo di Cristo è forse il più celebre dei riquadri della Cappella e conferma attraverso
tantissimi elementi come l’arte di Giotto si sia plasticamente definita in modo incomparabile. Il paesaggio
interagisce con i personaggi; la montagna, arida e desolata degrada lentamente guidando l’occhio
dell’osservatore verso il punto focale della scena: lo sguardo disperato della Madonna sul Cristo ormai privo
di vita. Anche l’albero partecipa, con i suoi rami spogli proiettati verso il cielo alla tragicità della scena. I
personaggi, fortemente caratterizzati, partecipano al dramma umano. Non solo attraverso l’espressione del
viso ma anche col linguaggio disperato dei gesti. Straordinaria anche l’intensità espressiva dei volti degli
angeli, profondamente umani nella manifestazione del loro dolore. Lo schema narrativo si sviluppa su sei
piani paralleli schiacciati dalla figura della donna di schiena. Innovativa la resa pittorica della figura di
Giovanni il cui gesto disperato si erge di taglio rispetto al piano compositivo, contribuisce a dare alla scena
grande profondità spaziale.
La rappresentazione, sebbene drammatica, è luminosa grazie all’uso di colori chiari e al chiaroscuro reso
non con l’aggiunta di tonalità più scure ma attraverso note di colori complementari accostate tra loro.
Noli me tangere ha un particolare straordinario nel gruppo dei soldati dormienti accanto al corpo di Cristo:
è una raffigurazione plastica particolarmente intensa che rivedremo solo più tardi in Piero della Francesca.
Dopo Padova, Giotto, fa una nuova sosta ad Assisi, dove affresca con aiuti la cappella della Maddalena
nella Basilica inferiore forse a contatto con Simone Martini che sappiamo presente nella stessa chiesa.
Intorno al 1312 è documentata la sua iscrizione all’ “Arte dei medici e degli speziali” a Firenze e qui esegue
per la Basilica di Ognissanti la Maestà ritenuta unanimemente uno dei massimi capisaldi della storia
dell’arte.
La vergine siede, possente e maestosa, su un lieve ed elegante trono cuspidato circondata da 14 figure di
angeli e santi e domina la scena. Le ginocchia lievemente divaricate che sporgono in avanti e la lieve
torsione del busto, che tende la veste sul seno ampio e robusto, danno tridimensionalità e plasticità alla
figura. In questa tavola l’umanizzazione del trascendente, cioè il modo di avvicinare il divino all’umano,
raggiunge uno dei momenti più alti.
Ormai Giotto è ricco e famoso, ha raggiunto una posizione di primo piano a Firenze e ha scuole e seguaci in
tutte le corti più prestigiose della penisola: da Firenze si sposta a Napoli, Bologna, Milano e la novità della
sua arte influenza le scuole locali spargendosi come una grande ondata rinnovatrice.
Databile al 1320 è il Polittico Stefaneschi un’importante opera fatta realizzare dal potentissimo cardinale
Caetani Stefaneschi per l’altare maggiore dell’antica Chiesa di S. Pietro a Roma. Il Polittico è dipinto su
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entrambe i lati della tavola affinché potesse essere ammirato oltre che dai fedeli anche dai Canonici che
officiavano nel presbiterio.
Il “recto” rappresenta, nella parte centrale, S. Pietro in trono tra il Cardinale donatore, in abiti sontuosi, e il
Papa Celestino V entrambi accompagnati dai loro santi protettori. Nel “verso”, perfettamente
corrispondente con la figura di San Pietro, Cristo in Trono, circondato da angeli e ancora il donatore, in
veste di canonico, inginocchiato ai suoi piedi.
Nelle due tavole laterali è raffigurato il martirio di S. Pietro e la decapitazione di San Paolo.
Con questo dipinto il linguaggio giottesco raggiunge una maturità più completa.
Le figure possenti di Cristo e dei Santi occupano lo spazio collocandosi in tutta la loro possente e composta
plasticità.
La narrazione, che si snoda con scene di grande verismo, è arricchita da una folla di personaggi di una
straordinaria umanità che si lasciano andare in gesti di dolore, commozione, sorpresa, meraviglia.
La novità del dipinto consiste in una maggiore eleganza, un maggiore preziosismo cromatico e una cura
particolare per dettagli decorativi forse in considerazione al posto in cui doveva essere collocato e al
prestigioso rango del colto committente.
Tra il 1315 e il 1325 Giotto è a Firenze per affrescare nella Chiesa di Santa Croce due cappelle per i Peruzzi e
i Bardi ricche famiglie di banchieri fiorentini. Di questo periodo il Polittico Baroncelli custodito nella stessa
Chiesa in una cappella che sarà affrescata più tardi da Taddeo Gaddi.
Il polittico è stato inserito in una cornice di tipo quattrocentesco perdendo la parte cuspidale del pannello
centrale trovata da Federico Zeri in un museo americano.
Sebbene il polittico porti sulla cornice l’iscrizione “opus Magistri Jocti” si ritiene che l’artista si sia avvalso
per l’esecuzione della collaborazione di aiuti
Il polittico celebra l’Incoronazione di Maria tra un tripudio di Angeli e Santi. I pannelli centrali sono eseguiti
con grande perizia ed eleganza, mentre nei laterali la folla degli angeli dipinti l’uno sull’altro non rispettano
alcuna profondità spaziale.
L’originalità dell’opera consiste nel fatto che tutte le figure dei pannelli laterali confluiscono con lo sguardo
al centro conferendo così unità al dipinto. Nella predella, dipinti in esagoni, Cristo al centro e ai lati figure di
Santi.
Le pareti della Cappella Peruzzi, con le storie di S. Giovanni Battista e S. Giovanni Evangelista, nel 700
vennero imbiancate per essere poi restaurate verso la metà dell’800. I dipinti, anche perché eseguiti a
tempera su intonaco asciutto, sono scoloriti e gravemente danneggiati. Pur tuttavia il cattivo stato di
conservazione non impedisce di ammirare la raffinata morbidezza degli abiti, ricchi di pieghe debordanti,
che danno maestosità alle figure la cui solidità volumetrica è resa attraverso un sapiente uso dei toni
chiaroscurali. Le architetture, considerato lo spazio angusto della cappella, sono dilatate in prospettiva e si
fondono in maniera armonica con i personaggi in un ambiente realistico che dà un’idea concreta della
Firenze del 300.
I dipinti della Cappella Bardi costituiscono, per i critici, il punto supremo della pittura Giottesca. Il tema è
quello degli affreschi di Assisi, ma qui le figure, hanno una plasticità maggiore e si muovono con più
scioltezza nei diversi piani spaziali della rappresentazione. La composizione delle scene è più essenziale e
semplice, i colori sono tenui e anche la pennellata è più rapida e sottile.
C’è una straordinaria attenzione per i sentimenti umani che Giotto riesce a rappresentare anche con gesti
incredibilmente realistici. (La rinuncia dei beni).
La Morte di S. Francesco è considerato il testamento pittorico dell’artista per la resa del dolore e delle
emozioni attraverso la profonda espressività dei suoi personaggi. I fraticelli si affollano attorno a un S.
Francesco, stranamente imberbe, con gesti naturali e affettuosi che manifestano la sincerità dei loro
sentimenti. I volti hanno tutti un’aria tenera e struggente sconosciuta alla pittura precedente.
Il Polittico di Bologna proveniente dalla chiesa Bolognese di S. Maria degli Angeli porta in basso la scritta
“opus magistri Jocti de Florentia” ed è databile intorno al 1328, mentre Giotto si trovava a Firenze
impegnato negli affreschi delle cappelle.
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Anche qui come tutte le opere tarde di Giotto, si ritiene che dell’artista sia il disegno e la progettazione
dell’opera mentre l’esecuzione è ascrivibile ai suoi collaboratori. L’opera fu smembrata e poi rimessa
insieme nel 1889 con cornice cuspidata di stile barocco. Attribuibile a Giotto il pannello centrale con una
splendida madonna in trono collocata nello spazio con grande intuizione prospettica.
Intimo e affettuoso il rapporto tra la madre e il bambino, dolcissimo il volto della vergine anche se le sue
fattezze piuttosto padanizzate fanno pensare ad una specifica richiesta della committenza.
Le figure dei Santi sono piatte e realizzate in modo poco accurato.
Si nota in questo pannello l’angelo di profilo: splendida l’intuizione ma piuttosto grossolana la realizzazione
Confermata da documenti il suo soggiorno a Napoli dal 1328 al 1333, presso la corte di Roberto D’Angiò
dove le fonti attestano la sua attività artistica nelle sale di Castel dell’Ovo e in alcune Chiese della città.
Datato 1328 è il Polittico di Bologna firmato in basso.
Dal 34 al 36 lavora pure a Milano a un affresco, ora perduto, presso il palazzo di Azzone Visconti.
E’ di questo periodo la realizzazione di uno dei più raffinati dipinti su tavola attribuiti a Giotto. Per anni S.
Stefano è stato considerato parte di un polittico con Madonna e Santi. Attenti studi hanno portato a
considerarla un’opera autonoma eseguita su committenza di qualche prestigiosa corte della Penisola.
Infatti, è un dipinto raffinato sia nello stile sia nella preziosità delle stoffe, lontano, certo, dalla semplicità
dei dipinti devozionali di committenza ecclesiastica. Anche in questa tavola è evidente l’influenza
dell’elegante pittura di Simone Martini. S Stefano è ritratto in una veste preziosa e tiene in mano il vangelo
avvolto con un drappo rosso illuminato da disegni in oro. Per la ricchezza dei particolari, la raffinatezza degli
abiti e dei panneggi e la sapiente resa pittorica, questo dipinto è annoverato tra i capolavori di tutta la
produzione pittorica del 300.
Nel 1334 il consiglio cittadino richiama Giotto a Firenze per soprintendere ai lavori di Santa Reparata,
l’attuale Duomo di Santa Maria del Fiore e alla costruzione delle mura cittadine. In questi anni Giotto
getterà le fondamenta per la costruzione del Famoso campanile, però ne seguirà i lavori solo fino
all’esecuzione del registro inferiore perché la morte sopravverrà qualche anno più tardi l’8 gennaio del
1337.
Le cronache del tempo ci tramandano che alle esequie pubbliche dell’illustre cittadino partecipò l’intera
popolazione di Firenze.
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