Approcci alternativi per la regolazione e la tutela dei nomi geografici

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Approcci alternativi per la regolazione e la tutela dei nomi geografici
Approcci alternativi per la regolazione e la tutela dei nomi geografici: reputazioni collettive e
interesse pubblico
da http://www.agriregionieuropa.it
Giovanni Belletti, Andrea Marescotti
Visioni a confronto nel dibattito WTO
L’attuale dibattito in sede WTO circa intensità e modalità di protezione internazionale delle
indicazioni geografiche (ovvero i nomi geografici utilizzati per la designazione di prodotti
alimentari le cui caratteristiche qualitative o la cui reputazione siano riferibili ad un determinato
territorio) appare oggi ad un punto di stallo. E’ in particolare sulla necessità di rafforzamento e di
estensione della protezione a prodotti diversi dal vino che si registra una forte contrapposizione tra
Unione Europea e Stati Uniti, intorno ai quali si sono andate formando aggregazioni di numerosi
Paesi (Addor e Grazioli, 2002). Grazie alla stipula in ambito WTO dell’Accordo Trips sugli aspetti
dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, firmato a Marrakesh nel 1994, è in
realtà già stata raggiunta la convergenza sul fatto che le indicazioni geografiche (IG) vadano
considerate e tutelate come dei veri e propri diritti di proprietà intellettuale (sia pure sui generis,
ovvero aventi caratteri particolari e specifici), e non soltanto come strumenti per la tutela della
buona fede dei consumatori e della trasparenza dei mercati.
L’inserimento delle IG nell’accordo Trips obbliga tutti i Paesi sottoscrittori a mettere a punto
all’interno del proprio ordinamento giuridico strumenti per la loro tutela. Tale obbligo viene però
implementato nei vari Paesi in maniera molto differenziata e con strumenti giuridici molto diversi,
il che ha determinato contenziosi a livello di WTO che hanno portato tra l’altro alla revisione della
regolamentazione comunitaria (Marette, Clemens e Babcock, 2008). Le differenze di
implementazione sono altresì suscettibili di generare effetti disomogenei all’interno dei sistemi di
produzione dei prodotti protetti e di generare possibili distorsioni sui mercati. Il modello
comunitario delle DOP e delle IGP, introdotto con il Reg.CEE 2081/1992 e oggi normato dal
Reg.CE 510/2006, rappresenta una delle opzioni tra le più “garantiste” per i produttori di prodotti di
origine (sovente denominati prodotti tipici in Italia, produits de terroir in Francia) in quanto assicura
loro una forma speciale di tutela; ma lo stesso regolamento è implementato e concretamente
applicato in maniera molto diversificata all’interno dell’Unione Europea (Barjolle e ThévenodMottet, 2003).
Le differenti posizioni nel dibattito a livello internazionale e nelle applicazioni intracomunitarie
riflettono non solo interessi economici contrastanti ma, prima ancora, differenze culturali e
conseguenti differenze di visione politica che hanno le proprie radici nella storia agricola, nella
cultura alimentare e nella visione strategica circa il modello di agricoltura da perseguire dei vari
Paesi. A tale proposito, riferendosi ad alcune delle variabili discusse, Thévenod-Mottet (2006) ha
identificato l’esistenza di un continuum di situazioni tra sistemi definiti come “permissivi”, ovvero
dove la IG rappresenta poco più che una indicazione di provenienza, e sistemi di tipo “prescrittivo”,
dove invece si rileva la definizione e il controllo del legame tra prodotto e territorio e dove il ruolo
dello Stato tende ad essere presente e via via più pervasivo (Tabella 1).
Tabella 1 - Tipologie di sistemi per il riconoscimento e la protezione delle IG
Fonte: Thévenod-Mottet (2006)
Approcci alternativi per la regolazione e la tutela
Gli approcci potenzialmente utilizzabili per la regolazione e la tutela dell’impiego dei nomi delle IG
possono quindi essere distinti in base a varie caratteristiche (Barjolle e Thévenod-Mottet, 2003;
Josling, 2006; Thévenod-Mottet, 2006). Tra queste assumono una particolare importanza numerosi
aspetti propri della fase di riconoscimento e attribuzione del diritto:
•
la natura del soggetto cui può essere attribuito il diritto all’uso del nome: soggetto
individuale privato (singola impresa) oppure soggetto collettivo privato, al quale può essere
domandata una rappresentatività della collettività dei produttori del territorio geografico;
•
il presupposto del riconoscimento del diritto all’impiego del nome, che può essere basato
sulla semplice connessione fisica del prodotto con il luogo geografico (in sostanza, la
provenienza del prodotto), sulla specificità qualitativa del prodotto stesso, oppure arrivare a
richiedere la dimostrazione di un legame tra la qualità del prodotto (uno o più attributi) e la
provenienza dal particolare territorio, oppure l’esistenza di una tradizione o di un legame
con la storia del luogo;
•
il tipo di strumento giuridico utilizzato, che può andare dall’impiego del marchio privato
individuale al marchio collettivo o al marchio di certificazione, fino a strumenti di tipo
specifico o sui generis (quali le DOP o le IGP nell’Unione Europea);
•
il livello di protezione: si va dalla sola tutela contro gli usi ingannevoli o illeciti del nome
geografico, fino all’identificazione preventiva degli aventi diritto all’impiego della IG;
•
il processo di registrazione, che può prevedere la semplice richiesta da parte del soggetto
interessato oppure prevedere un ruolo attivo di controllo della pubblica autorità, con
necessità di dimostrazione documentata da parte del richiedente e controllo di merito
dell’autorità pubblica;
•
la pubblicità della richiesta di registrazione, che può essere prevista o meno, e la
conseguente definizione e specificazione del diritto dei terzi interessati ad opporsi alla
richiesta di registrazione della IG, e le modalità per farlo;
•
la modalità di verifica della eventuale genericità del nome geografico, che rappresenta uno
dei principali motivi ostativi alla registrazione di una IG in quanto determina la perdita di
significato dell’associazione tra nome e prodotto.
Altri aspetti sono relativi alle fasi successive alla registrazione della IG, tra cui in primo luogo la
tipologia di meccanismo di applicazione della tutela e di sanzione (enforcement), che va da sistemi
basati sull’iniziativa privata di fronte alla giustizia ordinaria fino alla previsione di un meccanismo
di iniziativa pubblica, il quale può essere eventualmente basato su procedure ad hoc e
strumentazione specifica. In secondo luogo, il diritto all’impiego della IG successivo alla
registrazione può essere limitato al soggetto che ha avanzato la richiesta, come nel caso del marchio
privato (ferma restando la possibilità di cederlo in uso a terzi), oppure può riguardare la collettività
dei richiedenti (marchio collettivo), eventualmente sulla base del rispetto di alcune regole
controllate dal concessionario (sul tipo del certification mark statunitense), fino ad arrivare a un
diritto riconosciuto a tutti coloro che operano nel luogo geografico e rispettano, se stabilite,
eventuali regole di produzione (come per la DOP e l’IGP nell’Unione Europea).
Ulteriori aspetti riguardano la posizione dei consumatori, e in particolare il livello di garanzia ad
essi riconosciuto, che può andare dall’assenza di ogni forma di garanzia (semplice promessa da
parte dell’azienda utilizzatrice dell’indicazione) fino alla previsione di un controllo obbligatorio
svolto da un soggetto di terza parte in base a un meccanismo di certificazione. Il quadro regolatorio
può poi prevedere o meno la presenza di una autorità specificamente dedicata alla registrazione e
alla successiva gestione delle IG, autorità che può essere identificata nell’ambito del ministero
dell’agricoltura (o del commercio, o dell’industria), oppure negli uffici genericamente addetti alla
tutela della proprietà intellettuale.
In alcuni sistemi è poi prevista la presenza di un marchio comune applicabile a tutti i prodotti con
IG, che consenta al consumatore di identificare con immediatezza l’appartenenza del prodotto allo
schema di protezione e tutela.
Le variabili sopra elencate sono in parte tra loro collegate, e in base ai caratteri che esse assumono è
possibile identificare differenti tipologie di contesto istituzionale riferite alla regolazione e alla
tutela delle IG.
All’origine di queste differenze vi è il fatto che le IG rappresentano dei diritti di proprietà
intellettuale dotati di forti peculiarità. Queste sono collegabili non solo alla natura collettiva delle
IG ma anche alla valenza di interesse generale degli effetti da esse generabili, e sono tali da
giustificare l’impiego di strumenti di tutela altrettanto particolari e un intervento più diretto e
consistente da parte dello Stato, il che si riflette anche sulle posizioni assunte dai singoli Paesi nello
scenario delle negoziazioni internazionali.
Le indicazioni geografiche come diritti di proprietà collettivi
In alcuni Paesi è a tutt’oggi consentita la registrazione dei nomi geografici come marchi individuali
d’impresa, il che significa consentire l’esclusione di ogni altro soggetto – anche la collettività dei
produttori operanti nell’area geografica che dà il nome al prodotto – dall’impiego di quel nome
geografico e dunque l’appropriazione individuale di una risorsa (la reputazione legata al nome
geografico) il cui valore non dipende dall’apporto di un singolo soggetto.
Secondo la logica del trademark l’origine geografica rappresenta uno dei possibili strumenti di
differenziazione del prodotto che l’impresa può utilizzare, alla stessa stregua di un qualsiasi
marchio, con la sola preclusione che l’impiego del nome geografico non inganni la buona fede del
consumatore, e senza che dall’impiego del nome geografico consegua alcuna specificità qualitativa
del prodotto o del suo processo produttivo. Anche nei marchi cosiddetti “di certificazione” il
contenuto delle regole che gli utilizzatori devono rispettare per poter utilizzare il nome geografico è
lasciato alla piena discrezionalità del soggetto proponente (Josling, 2006). In ogni caso lo strumento
del trademark, nelle sue varie tipologie (individuale, collettivo, di certificazione, ecc.) rimane uno
strumento generale, non specificamente elaborato per la protezione dei nomi geografici; dunque
anche le procedure per l’ottenimento e i meccanismi di applicazione non presentano specificità
legate alla particolarità del bene – il prodotto di origine – cui la IG si applica.
La logica del trademark non è coerente con una visione più “mediterranea” che vede il prodotto di
origine quale risultato dell’interazione tra un ambiente fisico di produzione e una comunità di
persone che si realizza nel corso del tempo. Grazie all’allineamento e alla costanza nel tempo delle
pratiche produttive (che può comportare la rinuncia, forzosa o deliberata, dell’adozione di pratiche
produttive più moderne e standardizzate, a vantaggio del mantenimento del radicamento del
prodotto alle risorse specifiche del territorio) e alla lealtà nelle pratiche commerciali, il prodotto di
origine assume una propria identità e costruisce una reputazione, la quale rappresenta una risorsa
immateriale collettiva che in moltissimi casi trova un supporto comunicativo nel nome geografico
del prodotto (Belletti, 2000). Le singole imprese a loro volta possono sfruttare la reputazione
utilizzando la IG al fine di migliorare la valorizzazione del prodotto, ma senza avere il diritto di
inficiare la qualità della risorsa collettiva.
Da questa visione discendono importanti conseguenze: la IG non solo non può essere registrata da
una singola impresa (se non in casi assolutamente eccezionali) né da un gruppo chiuso di imprese,
ma è anche necessario che il suo uso sia regolato da norme comuni e codificate, e che siano state
riconosciute come valide dalla collettività delle imprese del territorio di riferimento in modo da
mantenere nel tempo l’identità del prodotto protetto e il valore della reputazione della IG (Thiedig e
Sylvander, 2000). Ciò giustifica anche la necessità di forme di controllo di terza parte o di
autocontrollo collettivo da parte dei produttori. In sostanza, la IG non è solo strumento di tutela
nell’uso del nome, ma svolge anche una fondamentale funzione di regolazione delle pratiche
produttive, la cui definizione diviene espressione della autodeterminazione della collettività dei
produttori.
Infine, lo Stato è legittimato ad assumere un ruolo di garanzia nel dirimere le controversie che
possono insorgere nel processo di riconoscimento della IG e nelle successive fasi di gestione,
bilanciando gli interessi contrapposti in funzione di un criterio che dovrebbe essere ispirato alla
tradizione e al riconoscimento del diritto di coloro che hanno nel tempo mantenuto il prodotto di
origine.
Indicazioni geografiche e interesse pubblico
Nella visione “mediterranea” (che in realtà è molto trasversale ed è presente anche in numerosi
Paesi del nord Europa e anche in numerosi Paesi del Sud del mondo), la regolazione e tutela delle
IG (e dei prodotti da esse indicati) consente non solo il soddisfacimento di un interesse collettivo
ma anche il perseguimento di un interesse pubblico (Sylvander, Isla e Wallet, 2007).
In questa visione il ruolo dello Stato nella tutela delle IG va al di là del semplice riconoscimento e
tutela del diritto di alcuni individui o di una comunità di soggetti ad utilizzare un nome geografico,
ispirato dunque dalla esigenza di prevenzione delle frodi, riduzione dell’asimmetria informativa e
corretto funzionamento del mercato. Lo Stato può invece vedere le IG come uno strumento che
consenta di perseguire, sia pure in modo indiretto, alcuni obiettivi socialmente desiderabili che per
loro natura i prodotti di origine e i loro sistemi produttivi sono suscettibili di esprimere ma non
sempre sono in grado di conseguire autonomamente (Belletti e Marescotti, 2008).
L’intervento pubblico nel processo di riconoscimento delle IG può essere giustificato dal fatto che
le caratteristiche dei sistemi produttivi dei prodotti di origine, legati alla piccola dimensione e alla
numerosità degli attori coinvolti, impediscono l’attivazione autonoma di una dinamica collettiva; in
questo caso lo Stato svolge una funzione di supplenza all’iniziativa privata volta ad evitare un tipo
di fallimento molto frequente nella gestione dei beni collettivi (Ostrom, 1990).
Molto spesso ai prodotti di origine vengono anche riconosciute valenze generali che vanno al di là
dell’interesse delle imprese coinvolte nel processo produttivo considerate come entità singole, e
riguardano il sistema produttivo nel suo complesso, l’intero territorio di origine e addirittura la più
generale organizzazione delle relazioni tra produzione e consumo alimentare. Gli effetti attesi da
una “valorizzazione virtuosa” del prodotto tipico riguardano la tutela del reddito e dell’occupazione,
lo sviluppo delle aree marginali di cui spesso questi prodotti sono espressione, il mantenimento di
sistemi tradizionali di coltivazione o trasformazione suscettibili di esercitare effetti positivi in
termini ambientali, paesaggistici o sociali, la preservazione di varietà o razze a rischio di erosione,
la tutela della diversità alimentare, e numerose altre (Belletti e Marescotti, 2006).
Sulla base di questi presupposti, il nome geografico non può essere oggetto di appropriazione
individuale secondo una logica di trademark, e anzi la sua tutela diviene un obiettivo da perseguire
mediante l’azione pubblica nell’interesse generale. Per questo motivo le scelte in merito al prodotto
tipico e alla definizione delle regole che sovrintendono all’utilizzo del nome geografico non
possono divenire esclusivo appannaggio di un gruppo di imprese, ma richiedono il coinvolgimento
dei soggetti portatori di interessi generali fino ad arrivare all’operatore pubblico.
Quest’ultimo, oltre che dettare regole procedurali volte a garantire il rispetto di alcuni principi nella
definizione dei diritti sulle indicazioni geografiche e a rimuovere e sanzionare i comportamenti
scorretti, è legittimato – in special modo nelle sue articolazioni territoriali (Regioni, Province,
Comuni) – a farsi parte in causa del processo di definizione delle regole della IG per tutelarne la
sostenibilità dal punto di vista economico ma anche ambientale e sociale, ed eventualmente ad
attivare politiche proattive di sostegno all’avvio del funzionamento della IG, sia pure nel rispetto
del delicato equilibrio con l’iniziativa privata. Da tale visione consegue evidentemente anche la
necessità di tutelare nel modo più forte possibile le IG anche sul piano internazionale.
Note
(1) Il presente lavoro è stato realizzato nell’ambito del Programma di Ricerca di Interesse Nazionale
(PRIN 2006) svolto dall’Unità Operativa di Firenze (responsabile Scientifico Alessandro Pacciani)
dal titolo “L'internazionalizzazione delle imprese agro-alimentari: analisi delle strategie e ruolo
delle denominazioni geografiche” (coordinatore scientifico nazionale Francesco Adornato).
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