Solo per i Tuoi Occhi… L`Oggettivazione Sessuale in un - In-Mind

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Solo per i Tuoi Occhi… L`Oggettivazione Sessuale in un - In-Mind
Solo per i Tuoi Occhi…
L’Oggettivazione Sessuale in un’Ottica
Psicosociale
In-Mind Italia
1, 19–25
http://it.in-mind.org
ISSN 2240-2454
Maria Giuseppina Pacilli
Università degli Studi di Perugia
Keywords
Oggettivazione sessuale, sessualizzazione; auto-oggettivazione, stereotipi di genere
“(La donna) diventa un oggetto; si sperimenta come oggetto,
scopre con meraviglia questo nuovo aspetto del suo essere:
ha la sensazione di sdoppiarsi;
invece di coincidere esattamente con se stessa,
comincia a esistere fuori di sé”.
(Simone de Beauvoir, 1949, p. 327)
È raro guardare la televisione o sfogliare una rivista
senza imbattersi nell’immagine di una donna, in pose
ammiccanti, dalle labbra ipertrofiche, gli zigomi pronunciati e il seno voluminoso in un corpo esile. Nei media
occidentali i corpi femminili sono sempre più chirurgicamente uguali fra loro, esibiti come oggetti sessuali, in
poche parole, oggettivati.
Che cos’è l’oggettivazione? Oggettivare una persona vuol dire considerare la stessa alla stregua di un
oggetto, un mero strumento per il raggiungimento di
un fine personale, e conduce in sostanza alla negazione
della sua dignità umana. È per questa ragione, infatti,
che l’oggettivazione può essere considerata una forma di
deumanizzazione. Essa può investire diverse minoranze e categorie sociali, così come diverse possono essere
le dimensioni dell’identità che possono essere reificate.
Quando queste dimensioni corrispondono al corpo e il
valore di una persona è stabilito soprattutto sulla base
del suo aspetto fisico si parla di oggettivazione sessuale
o sessualizzazione (Fredrikson & Roberts, 1997). L’oggettivazione sessuale comporta una frammentazione
simbolica del corpo, che è separato dal resto della persona e considerato come mero strumento per il piacere
sessuale altrui. Benché questo fenomeno di recente inizi
a riguardare anche gli uomini (Martins, Tiggemann, &
Kirkbride, 2007), esso investe in misura assai maggiore
le donne. Per questa ragione, qui si rivolgerà l’attenzione
soprattutto all’oggettivazione femminile, condizione in
cui si considera una donna non nella complessa unitarietà della sua persona ma sulla base del modo in cui il suo
corpo appare agli altri.
Fig. 1. Giordano Pariti, Scarecrow #37, 2004.
Stampa Fotografica. Courtesy: l’artista.
Le pratiche culturali
dell’oggettivazione sessuale
Nelle società occidentali, i mezzi di comunicazione costituiscono senza dubbio i principali attori del processo
di manipolazione simbolica del corpo femminile. La sessualizzazione delle donne, dalla televisione, alle riviste
fino a internet, è così pervasiva da apparire ormai una
Corrispondenza:
Maria Giuseppina Pacilli
Dipartimento Istituzioni e Società, Università degli Studi di Perugia
Via Elce di sotto, 06123, Perugia, Italia
E-mail: [email protected]
Pacilli
20
consuetudine ai nostri occhi.
La tv italiana, ad esempio, propone abitualmente
Fig. 3 Henry de Toulouse Lautrec, Young woman
at the attracting of the stocking, 1894.
Fig. 2. Egon Schiele, Donna in piedi
vestita di rosso, 1913.
un’immagine surreale del mondo femminile. All’invisibilità di donne che studiano, lavorano, fanno politica si contrappone l’ingombrante presenza di vallette il
cui ruolo è di esibire il proprio corpo indossando abiti
succinti su cui le telecamere indugiano (Censis, 2006,
Rapporto Women and Media in Europe). Se si considera
Internet, la sessualizzazione delle donne diventa ancora
più estrema. Tra il 1998 e il 2004, solo per fare un esempio, il numero di pagine web a contenuto pornografico è
aumentato del 1.800 % (Paul, 2005). Ancora, frequentissimo è l’uso spregiudicato di immagini di donne svestite
o di bambine travestite da donne sensuali per reclamizzare un prodotto, in TV o nei giornali.
Come esito di tutto ciò, il messaggio che le donne
siano oggetti sessuali a uso e consumo del desiderio maschile giunge in tutta la sua forza e pericolosità alle donne (e agli uomini) delle età più diverse.
Se da un lato i media sono i grandi protagonisti della diffusione di modelli irrealistici di bellezza, dall’altro troviamo le persone comuni che se ne appropriano,
contribuendo, in modo più o meno attivo, a rafforzarli e
sostenerli. In studi sperimentali ad esempio, è emerso
che quando ci concentriamo solo sul modo in cui una
donna appare, tendiamo a percepire quella donna come
meno umana in termini di calore e moralità (Heflick,
Goldenberg, Cooper, & Puvia, 2011; Loughnan, Haslam,
Murnane, Vaes, Reynolds & Suitner, 2010).
Quando lo sguardo oggettivante
diventa il proprio: L’autooggettivazione
Cosa significa per una donna vivere in un contesto sociale che troppo spesso considera il corpo come un oggetto anziché una parte integrante della persona? La teoria dell’oggettivazione di Fredrickson & Roberts (1997)
e le ricerche condotte in quest’ambito forniscono delle
interessanti risposte a questa domanda. La forma elettiva tramite cui l’oggettivazione si esprime ed esercita è
lo sguardo - di un uomo, una telecamera, una macchina
fotografica - che considera l’altro come un oggetto. Lo
sguardo oggettivante però non è sempre o solo quello
altrui: può infatti essere interiorizzato da chi lo subisce.
Siamo allora in presenza dell’auto-oggettivazione, una
condizione psicologica in cui si assume una prospettiva
esterna a sé - in una sorta di sdoppiamento della propria
persona - come modo principale attraverso cui percepirsi
(Calogero, 2011; de Beauvoir, 1949).
Talvolta l’auto-oggettivazione si confonde con una
cura meticolosa dell’aspetto esteriore, una sorta di generica “civetteria”, vanità o narcisismo. In realtà questa
condizione non corrisponde a una (benefica) considerazione del fisico inteso come parte integrante di sé né
equivale tout court a un’insoddisfazione per il proprio
corpo. Possiamo percepire il nostro corpo principalmente attraverso due modi: come un oggetto composto da
elementi singoli ‘‘body-as-object’’ oppure come un processo dinamico‘‘body-as-process’’ le cui funzioni sono
più importanti del suo aspetto (Franzoi, 1995). In una
condizione di auto-oggettivazione, poiché il corpo è l’elemento privilegiato in grado di rappresentare e descrivere la propria persona, alle domande relative a sé e al
Oggettivazione e auto-oggettivazione sessuale
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di ipervigilanza sul corpo a cui si accompagna un senso
di vergogna nei confronti dello stesso. Un dato su cui
riflettere è relativo, ad esempio, all’età in cui si comincia
a sorvegliare il proprio aspetto e si innestano le prime
preoccupazioni per la sua s/piacevolezza. Studi più o
meno recenti condotti in Europa e in Australia (AmbrosiRandic, 2000; Dohnt & Tiggemann, 2006), indicano che
Fig. 4. Giordano Pariti Scarecrow # 51, 2004.
Stampa Fotografica. Courtesy: l’artista.
proprio corpo quali “Come mi sento? Come sto? Cosa
provo?” si sostituisce un’unica, assillante domanda ovvero “Come appaio agli altri?”.
L’auto-oggettivazione può essere sia una caratteristica individuale (che quindi può variare da persona a
persona) sia una risposta a delle condizioni presenti
nell’ambiente. Le ricerche in quest’ambito distinguono infatti un’auto-oggettivazione di tratto (stabile nel
tempo) da un’auto-oggettivazione di stato (temporanea)
(Miner-Rubino, Twenge, & Fredrickson, 2002). Con la
prima si fa riferimento alla tendenza stabile - ovvero che
non necessita di elementi presenti nel contesto per essere
attivata - a preoccuparsi per il proprio aspetto fisico e a
osservarsi di continuo con gli occhi altrui; la seconda
invece si innesca a partire da specifiche situazioni come
guardare certi tipi di immagini o ricevere commenti negativi/ apprezzamenti sul proprio aspetto fisico. Più una
donna interiorizza il messaggio culturale deumanizzante
dell’oggettivazione e più è probabile che l’auto-oggettivazione diventi un’esperienza stabile nel tempo.
Le conseguenze psicologiche
dell’auto-oggettivazione sessuale
L’interiorizzazione dei modelli irrealistici e artificiali
di bellezza femminile si associa nelle donne a disturbi
dell’immagine corporea, a una generale insoddisfazione
per il proprio corpo e a un aumento dei disordini alimentari (si vedano le metanalisi di Grabe, Ward & Hyde,
2008; Groesz, Levine, & Murnen, 2002; Want, 2009).
Ma cosa contraddistingue l’esperienza psicologica
dell’auto-oggettivazione? Sicuramente uno stato ansioso
Fig. 5. Giordano Pariti Scarecrow # 42, 2004.
Stampa Fotografica. Courtesy: l’artista.
essa decresce progressivamente e può essere individuata,
per le bambine, intorno ai sei anni. Più di dieci anni di ricerche (per una rassegna vedasi, Moradi & Huang, 2008)
indicano dunque che il guardarsi con gli occhi altrui ha
un impatto negativo sul benessere psicologico.
Percepirsi in funzione unicamente del proprio aspetto fisico influenza non “solo” il benessere ma anche le
abilità cognitive di una persona. L’incessante attenzione
e controllo rivolte al proprio corpo richiedono infatti un
investimento di energie che saranno sottratte ad altre attività. Ciò si evince chiaramente dalle ricerche che hanno
adottato il paradigma di ricerca del cosiddetto “costume
da bagno”. Ai partecipanti, sia uomini sia donne, si chiede di indossare -da soli, in un camerino con uno specchio
a figura intera- un costume da bagno o una maglia, a seconda delle condizioni sperimentali, e di completare poi
un test di abilità cognitive. È interessante notare come
il risultato del test subisca delle variazioni, a seconda
dell’abbigliamento indossato, solo per le ragazze (Fredrickson, Roberts, Noll, Quinn, & Twenge, 1998; Quinn,
Kallen, Twenge, & Fredrikson, 2006): queste peggiorano
infatti la propria performance quando indossano un costume da bagno. La condizione di auto-oggettivazione
innescata da uno stimolo contestuale, indossare un costume da bagno davanti a uno specchio, dirotta l’attenzione sull’adeguatezza del proprio corpo e riduce quindi
le energie mentali necessarie a completare il test.
L’auto-oggettivazione si associa anche a una maggiore disponibilità ad avvalersi della medicina estetica. Col
tempo questa è diventata un mezzo socialmente accetta-
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bile e sempre più diffuso di perfezionamento del proprio
aspetto fisico. In realtà, più che di miglioramento fisico
spesso si tratta di rimuovere chirurgicamente la discrepanza percepita fra le caratteristiche del proprio corpo e
quelle dei modelli dominanti di bellezza. Le motivazioni
di questa scelta possono essere sia di carattere intrapsichico sia di carattere psicosociale. Anche se non è così
facile distinguerle poiché fortemente interconnesse, nel
primo caso la spinta è di intervenire sul corpo per un
profondo senso di inadeguatezza verso se stessi: ciò che
si ricerca non è tanto la bellezza quanto un sé desiderabile (Lemma, 2010). Nel secondo caso l’impulso proviene
dalle pressioni sociali – diverse per uomini e donne – a
uniformarsi a dei modelli normativi di riferimento (Swami, Chamorro-Premuzic, Bridges, & Furnham, 2009).
Negli Usa, ad esempio, sul totale degli interventi estetici
più o meno invasivi, il 9% è compiuto dagli uomini contro ben il 91% di quelli compiuti dalle donne (American
Society of Plastic Surgeon, 2009). In una ricerca italiana
(Pacilli & Mucchi-Faina, 2010) si è riscontrato che nelle
ragazze - e non nei ragazzi - all’aumentare delle ore trascorse a guardare la TV aumenta di pari passo l’interesse
per gli interventi di chirurgia estetica mentre diminuisce
l’importanza assegnata al raggiungere il successo personale tramite le proprie competenze.
Dal livello individuale al livello sociale:
Quali costi?
I costi da pagare per l’auto-oggettivazione vanno ben oltre l’ambito individuale. È importante allora domandarsi cosa accade quando l’oggettivazione cessa di essere
solo un’esperienza privata che si esprime nel particolare
delle relazioni interpersonali e diventa un fenomeno che
investe le relazioni sociali più in generale. Tempo fa su
internet circolava l’immagine scherzosa di un’auto “per
donne”. La rendeva tale la possibilità di guardarsi in uno
specchietto retrovisore tanto grande da coprire completamente il parabrezza. Mi sembra un’efficace metafora
delle conseguenze sociali dell’auto-oggettivazione: uno
specchietto enorme in un’auto può certo permettere
di guardarsi meglio ma copre del tutto la visuale della
persona che guida e, impedendo di vedere la strada davanti a sé, rende impossibile il movimento. Considerate
complessivamente, le ricerche sulle pratiche culturali di
sessualizzazione indicano, infatti, come esse agiscano
in modo da limitare drasticamente i ruoli sociali delle
donne, riducendone l’autonomia di pensiero e la libertà
di movimento nella società (American Psychological Association [APA], 2007).
L’oggettivazione si può leggere quindi, in un’ottica
più ampia, anche come un processo tramite cui si esprime ed esercita l’oppressione psicologica su un gruppo
da parte di un altro gruppo di status/potere più elevato
(Gruenfeld, Inesi, Magee, & Galinski, 2008). Ciò non è
Pacilli
Fig. 6. Giordano Pariti, Scarecrow # 26, 2004.
Stampa Fotografica. Courtesy: l’artista.
nuovo: il controllo sociale del corpo femminile è una delle strategie principali impiegata lungo i secoli per preservare lo sbilanciamento di potere fra i sessi (de Beauvoir,
1949). In questo senso il processo di auto-oggettivazione
può essere considerato come un’altra modalità attraverso
cui i gruppi di minoranze o membri svantaggiati contribuiscono attivamente a mantenere la loro condizione
di inferiorità. Pertanto, in una sistema sociale in cui la
piacevolezza fisica femminile è considerata un valore e
una norma, essere oggetto di sessualizzazione da parte
degli uomini, può paradossalmente provocare nelle donne emozioni positive nel momento in cui si conformano
a quelle norme, proprio per i vantaggi che ne possono
seguire.
Qual è l’altra faccia della medaglia? Le donne che
valutano la propria persona solo sulla base del proprio
aspetto fisico percepiscono se stesse e sono percepite
dagli altri come meno competenti (Gapinski, Brownell,
& LaFrance, 2003; Heflick & Goldenberg, 2009), presentano atteggiamenti sessisti di tipo benevolente (Liss,
Erchull, & Ramsey, 2011), oggettivano maggiormente
anche le altre donne e sono più ostili nei loro confronti
(Strelan & Hargreaves, 2005).
Come contrastare l’oggettivazione
sessuale e l’auto-oggettivazione delle
donne?
L’oggettivazione ostacola il pieno sviluppo delle don-
Oggettivazione e auto-oggettivazione sessuale
ne. Essa, come osservano Calogero, Tantleff-Dunn e
Thompson (2011), rientra a pieno titolo nella definizione
di pratica culturale dannosa per le donne fornita dalle
Nazioni unite (1995) poiché:
a) è pericolosa per la salute. Numerose ricerche mostrano che l’auto-oggettivazione costituisce una minaccia per il benessere delle donne (APA, 2007; Moradi &
Huang, 2008);
b) si pratica a beneficio degli uomini. L’investimento
eccessivo di energie delle donne nella cura del proprio
aspetto, a svantaggio di altre attività più importanti, ha
dei vantaggi economici e sociali per gli uomini (De Beauvoir, 1949; Fredrikson & Roberts, 1997);
c) si origina da differenze di potere fra uomini e donne. Lo squilibrio socio-economico che favorisce gli uomini rispetto alle donne sostiene e rafforza in un circolo
vizioso l’oggettivazione sessuale femminile (Pratto &
Walker, 2004);
d) genera stereotipi che ostacolano le pari opportunità
fra uomini e donne. Percepirsi come un oggetto sessuale
rinforza gli stereotipi di genere sulle competenze delle
donne e sul loro ruolo nella società (Calogero & Jost,
2011);
e) è legittimata e giustificata dalla tradizione. L’oggettivazione sessuale può essere intesa come la manifestazione di una più ampia ideologia sessista che legittima le
disuguaglianze di genere (Calogero & Jost, 2011).
Contrastare questo fenomeno è, dunque, un obbligo
per una società civile degna di questo nome. Le strategie
da adottare sono molte e vanno dal livello individuale
a quello interpersonale e sociale. Sarebbe importante,
per questo, realizzare interventi fin dalle scuole primarie
che, in un’ottica di prevenzione del disagio e promozione
della salute, inseriscano l’esperienza dell’oggettivazione
sessuale in un contesto di significato diverso da quello in
cui è presente di solito. Interessante ad esempio il lavoro
di Yolanda Dominguez, un’artista spagnola che nel lavoro “Poses” (http://www.yolandadominguez.com/Poses/
index.html) chiede a donne reali di interpretare al parco,
in fila in banca o al mercato, i modelli femminili proposti
dai media svelando così, oltre la patina di glamour che li
avvolge, quanto essi possano essere ridicoli o grotteschi
nel contesto della vita quotidiana.
Da un punto di vista psicosociale, ricollocare semanticamente questa esperienza vuol dire: a) fornire gli strumenti per riconoscere e dare il giusto nome agli episodi
di oggettivazione sessuale – ad esempio, complimenti
sulla forma fisica, inviti a perdere peso o a cambiare il
proprio aspetto, etc., b) far conoscere le conseguenze negative della sessualizzazione sul benessere individuale
e sociale, c) promuovere una visione rispettosa di sé in
cui il valore personale non dipende dalla valutazione del
proprio aspetto esteriore, d) riflettere su come l’oggettivazione contribuisca a rafforzare gli stereotipi di genere
che ostacolano il pieno raggiungimento di un’uguaglian-
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za fra i sessi nella società (Tylka & Augustus-Horvath,
2011).
Accanto a questi ambiti, è fondamentale continuare
ad agire a un livello sistemico ampio. È auspicabile per
questo una regolamentazione più efficace dei mezzi di
comunicazione che garantisca il rispetto della dignità
personale delle donne e degli uomini. Decorare giornali, programmi televisivi, siti internet con il corpo delle
donne è una prassi talmente diffusa da apparire ai più
quasi come inevitabile e dunque immodificabile. In questo senso impegnarsi per un sistema di comunicazione
diverso assume i caratteri di una vera e propria sfida culturale da non mancare: promuovere le pari opportunità
di genere in contesti a così larga diffusione può aiutare,
infatti, a pensare che un mondo più equo di rapporti fra
donne e uomini è possibile.
Glossario
Deumanizzazione. La deumanizzazione corrisponde a
quella condizione in cui a una persona o a un gruppo è
negata la condizione di umanità completamente o parzialmente. La deumanizzazione può manifestarsi attraverso molte forme come l’esclusione morale (Opotow,
1990) o la delegittimazione (Bar-Tal, 1990). Per lavori in
italiano vedasi la rassegna di Albarello & Rubini (2008)
e il testo di Volpato (2011).
Meta-analisi. “Procedura che sintetizza con tecniche
quantitative i risultati di diversi studi su uno stesso argomento. Si distingue dalle analisi primarie (che analizzano
i dati direttamente raccolti in relazione a una certa ipotesi di ricerca) e da quelle secondarie che ri-analizzano
i dati originali in diversa prospettiva o con diverse tecniche […] L’obiettivo è comprendere meglio l’andamento
di un certo fenomeno, empiricamente valutabile, su cui
esiste letteratura discordante” (Di Nuovo, 1995, p.9)
Sessismo (ambivalente). La teoria del sessismo ambivalente (Glick & Fiske, 1996, 2001) distingue un sessismo
ostile da un sessismo benevolente. Mentre il primo è più
facile da smascherare perché corrisponde a un’idea negativa vecchio stampo delle donne, il secondo appare come
un insieme di atteggiamenti positivi. Nel sessismo benevolente le donne sono considerate come esseri preziosi
ma fragili, bisognose della protezione e della cura degli
uomini. Questa forma di sessismo può essere sostenuta
dalle donne stesse, che sceglieranno in tal caso di conformarsi con più probabilità a ruoli di genere tradizionali
e subordinati.
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25
Maria Giuseppina Pacilli è ricercatore
di psicologia sociale (SSD M-PSI 05),
presso la Facoltà di Scienze Politiche,
Università degli Studi di Perugia, docente di Psicologia sociale (Corso di
laurea Triennale in Servizio Sociale) e
di Psicologia sociale dei gruppi (Corso
di laurea Magistrale in Sociologia e Politiche Sociali).