Primo report 2007 povertà e politiche sociali
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Primo report 2007 povertà e politiche sociali
Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 1 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 2 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 Laboratorio / 15 14:23 Pagina 3 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 4 I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore via Sardegna 50, 00187 Roma, telefono 06 42 81 84 17, fax 06 42 74 79 31 Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 5 Povertà e politiche sociali in Emilia-Romagna Primo dossier regionale sulla povertà I dati dei Centri di ascolto delle Caritas diocesane A cura della Delegazione Regionale Caritas dell’Emilia-Romagna Carocci Faber Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 6 Questa pubblicazione è stata possibile grazie al contributo di Caritas italiana nell’ambito del progetto Rete. 1a edizione, maggio 2007 © copyright 2007 by Carocci editore S.p.A., Roma Editing e impaginazione Fregi e Majuscole, Torino Finito di stampare nel maggio 2007 da Eurolit, Roma ISBN 978-88-7466-520-4 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 7 Indice Presentazione 11 di don Gian Piero Franceschini Prefazione 13 di monsignor Vittorio Nozza Introduzione 15 Parte prima. Il profilo sociale regionale 25 1 1.1. 1.2. Epidemiologia sociale del territorio 27 Alcuni dati demografici e statistici di sfondo 27 I fattori alla base dei mutamenti 28 1.2.1. La distribuzione territoriale e la provenienza 1.3. 1.4. Una disaggregazione territoriale 35 Una previsione per i prossimi decenni 38 1.4.1. Scenario basso 1.4.2. Scenario intermedio 2 2.1. 2.2. 2.3. 2.4. 2.5. 2.6. 2.7. 1.4.3. Scenario alto Alcuni indicatori di disagio sociale 43 Minori in difficoltà 43 Prostituzione e tratta 45 Dipendenze 46 Criminalità e sicurezza 52 La povertà relativa in Italia e in Emilia-Romagna 54 I dati sulla povertà raccolti dai Centri di ascolto diocesani 58 Le storie di vita 69 7 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 8 povertà e politiche sociali in emilia-romagna 3 3.1. Le politiche sociali della Regione Emilia-Romagna 83 Quadro metodologico dell’analisi legislativa: la costruzione dell’Indice del grado di familiarità delle politiche (igf) 83 3.1.1. L’oggetto dell’analisi 3.1.2. Il metodo 3.1.3. L’Indice del grado di familiarità 3.2. Descrizione della legislazione regionale 89 3.2.1. La normativa rivolta alle famiglie 3.2.2. La normativa rivolta ai minori 3.2.3. La normativa rivolta ai soggetti svantaggiati 3.2.4. La normativa rivolta agli anziani 3.2.5. La normativa rivolta ai disabili 3.2.6. La normativa rivolta a più target 3.2.7. La normativa rivolta agli stranieri 3.3. L’Indice del grado di familiarità: la Regione e le norme 95 3.3.1. L’orientamento generale della normativa regionale 3.3.2. L’orientamento particolare delle leggi e delle delibere 3.4. 3.5. L’igf e le rappresentazioni di politica sociofamiliare 97 L’indicatore beneficiari: luci e ombre 99 3.5.1. Buone leggi per molti target 3.5.2. La fatica a “estendere la famiglia” agli altri target 3.6. L’indicatore sussidiarietà: il punto debole 100 3.6.1. Buona sussidiarietà per anziani e minori 3.6.2. Molti problemi di impostazione 3.7. L’indicatore strategie: una discreta integrazione 102 3.7.1. Picchi di ottima integrazione 3.7.2. Lacune e incoerenze 3.8. L’indicatore azioni: misure varie e di prossimità 103 Parte seconda. I Centri di ascolto diocesani 105 4 Centri di ascolto e Osservatori delle povertà 107 4.1. 4.2. Come creare rete nel territorio 107 I Centri di ascolto Caritas della regione Emilia-Romagna 111 4.2.1. Arcidiocesi di Bologna 4.2.2. Diocesi di Carpi 4.2.3. Diocesi di Cesena-Sarsina 4.2.4. Diocesi di Faenza-Modigliana 4.2.5. Diocesi di Ferrara 4.2.6. Diocesi di Fidenza 4.2.7. Diocesi di Forlì-Bertinoro 4.2.8. Diocesi di Imola 4.2.9. Diocesi di Modena-Nonantola 4.2.10. Diocesi di Parma 4.2.11. Diocesi di Piacenza-Bobbio 8 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 9 indice 4.2.12. Diocesi di Ravenna-Cervia 4.2.13. Diocesi di Reggio EmiliaGuastalla 4.2.14. Diocesi di Rimini Note 139 Bibliografia 141 9 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 10 Ringraziamenti La Delegazione Regionale Caritas dell’Emilia-Romagna ringrazia quanti, in vario modo, hanno concorso al risultato finale raccolto in questo volume. Il primo ringraziamento va alla Commissione Regionale Politiche Sociali composta da: Nello Calvi (Caritas di Parma), Gianpietro Cavazza (Centro culturale Francesco Luigi Ferrari), don Gian Piero Franceschini (Caritas di Piacenza-Bobbio), Stefano Gandolfi (Caritas di Fidenza), Anna Pia Guadagni (Caritas di Ravenna), Massimo Magnaschi (Caritas di PiacenzaBobbio) e a coloro che hanno partecipato ai lavori: Livio Guida (Caritas di Rimini), Alberto Pighini (Caritas di Reggio Emilia) e Antonella Fabbri (Caritas di Forlì-Bertinoro). Un grazie particolare alla Commissione dei Centri d’ascolto che insieme ai responsabili, agli operatori dei Centri d’Ascolto delle Caritas e degli Osservatori diocesani hanno operativamente reso possibile il lavoro di raccolta e analisi dei dati. Un’espressione di gratitudine va ai partecipanti ai focus di approfondimento che ci hanno permesso una lettura della realtà sia dal punto di vista socioeconomico che pastorale. Si ringraziano inoltre Giampietro Cavazza e Simona Melli del Centro Culturale Francesco Luigi Ferrari per il commento dei dati e la stesura dei testi. Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 11 Presentazione La società in cui siamo chiamati a vivere è in rapida evoluzione sotto tutti gli aspetti e non è sempre facile accompagnarla, soprattutto per quanto riguarda la prossimità alle persone che vivono in difficoltà. Anche la carità deve cercare di seguire questa evoluzione, deve cercare, ispirandosi alla Parola di Dio, di trovare le risposte adeguate che aiutino il fratello a risollevarsi dalla sua situazione perché diventi artefice del proprio destino. Gesù, il nostro Maestro, si è piegato, nella sua vita terrena, sulle necessità degli uomini che ha incontrato, insegnando ai suoi discepoli di tutti i tempi ad “ascoltare” e a “osservare”. Saper vedere e saper ascoltare sono le prerogative del discepolo che vive la missione e che approfondisce la risposta all’invito di Gesù. Da queste riflessioni si può cogliere il senso del rapporto dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse (opr) che le Caritas diocesane della nostra regione ci offrono. I Centri di ascolto, nell’accogliere le richieste, i bisogni, le necessità dei fratelli non fanno altro che proseguire nel nostro tempo l’ascoltare di Gesù. Gli Osservatori delle povertà, inoltre, ci dicono che accanto alla tradizionale definizione di povertà si è fatta strada la riflessione su esclusione e vulnerabilità sociale, per cui qualunque persona che si trova in situazioni che limitino la sua dignità, di donna o di uomo, o che non possa esprimere le sue potenzialità, dal punto di vista sia materiale sia culturale e spirituale, deve essere oggetto della nostra riflessione e della nostra azione. Questo dossier ci dà l’opportunità di ringraziare il Signore per la possibilità di conoscere meglio le realtà di disagio e di sofferenza presenti nelle nostre comunità e altresì di ringraziare le tante persone che, magari nel silenzio e nella semplice quotidianità, contribuiscono a questa grande e bella opera di ascolto, per essere prossimi e stare accanto a tanti nostri fratelli. don gian piero franceschini Delegato regionale Caritas 11 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 12 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 13 Prefazione La pubblicazione di questo dossier regionale avviene nell’ambito del Progetto rete nazionale, promosso dalla Caritas Italiana nel 2003 e sviluppato nel corso di questi anni. Questo progetto, promuovendo le attenzioni, le funzioni e i “luoghi” essenziali di ogni Caritas diocesana, vuole garantirne l’identità di organismo pastorale in tutti i contesti, a partire da quelli più fragili. Tale azione è quanto primariamente compete a Caritas Italiana, come evidenzia anche l’itinerario compiuto negli anni 2001-2004 che, rispondendo alla domanda Quale Caritas per i prossimi anni?, ha sottolineato: • la necessità di assumere un metodo di lavoro basato sull’ascolto, sull’osservazione e sul discernimento; • l’esigenza di scegliere azioni, tra tutte quelle possibili, capaci di collegare emergenza e quotidianità; • la scelta di costruire e proporre esperienze/percorsi educativi in grado di incidere concretamente nella vita delle persone e delle comunità. Metodo, azioni e percorsi educativi, in estrema sintesi, costituiscono la “spina dorsale” dell’essere Caritas, le coordinate essenziali su cui, alla luce di un’esperienza ormai collaudata, costruire le diverse progettualità. In tale prospettiva assume fondamentale importanza curare quei “luoghi” senza i quali è impensabile esprimere, come organismo, la propria identità e i propri compiti pastorali: • il Centro di ascolto; • l’Osservatorio delle povertà e delle risorse; • il Laboratorio diocesano per la promozione delle Caritas parrocchiali. La promozione di questi tre luoghi pastorali in ogni Caritas diocesana costituisce la finalità principale del Progetto rete nazionale. La raccolta dei dati relativi alle persone che si rivolgono ai Centri di 13 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 14 povertà e politiche sociali in emilia-romagna ascolto, con la cura quantitativa e qualitativa dei dati e delle connessioni con il territorio, va considerata come un’azione necessaria soprattutto per abilitare le Caritas diocesane a un lavoro più sistematico e costante in tali realtà. Inoltre, la promozione di un lavoro comune fra i tre luoghi pastorali propri non fa del Progetto rete nazionale solo un progetto importante, ma il “modo di fare Caritas”, che impegna Caritas Italiana a sostenere lo sviluppo delle Caritas diocesane a partire da un progetto che promuove la crescita armonica di tutte le loro funzioni essenziali e la loro sintonia di fondo. Ascoltare le persone in difficoltà, osservare la realtà nel suo complesso e discernere ciò che è necessario fare rientrano tra le responsabilità di tutta la comunità ecclesiale, che viene sollecitata a un coinvolgimento puntuale e costante verso le situazioni di povertà, vicine e lontane, in termini di attenzione personale ma anche di sensibilizzazione e animazione verso la realtà sociale. La necessità di tale metodo e impegno ci viene ricordata anche da papa Benedetto xvi nella sua recente enciclica (Deus Caritas est, n. 28): «La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente». La realizzazione e la pubblicazione di questo dossier regionale si colloca pienamente in questa direzione, anche come stimolo alle Caritas diocesane per valorizzare e sviluppare questo lavoro nei propri contesti territoriali. monsignor vittorio nozza Direttore Caritas Italiana Troviamo Monsignor, va bene? 14 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 15 Introduzione L’Osservatorio delle povertà e delle risorse come strumento della Chiesa locale In premessa appare necessario precisare che l’Osservatorio non è un assoluto, né un’esperienza fine a se stessa, né una funzione di supplenza, né una bacchetta magica per risolvere i problemi della Chiesa locale rispetto alle povertà. In positivo, esso rappresenta uno strumento a servizio di tutta la pastorale diocesana pensato in questo tempo in cui tutto si evolve e si trasforma rapidamente. In particolare l’Osservatorio è complementare ai Centri di ascolto. Mentre il primo rappresenta uno strumento di lettura e interpretazione della realtà al servizio di tutta la pastorale diocesana per osservare, comunicare e coinvolgere il territorio e la comunità ecclesiale sul tema della povertà e dell’emarginazione sociale, i secondi sono gli strumenti operativi, espressione della comunità cristiana locale, rivolti alle persone come prima risposta alle loro esigenze di orientamento, ascolto e accoglienza. L’Osservatorio, quindi, favorisce una ricomprensione complessiva della pastorale ecclesiale con ricadute, almeno nel medio periodo, sulle linee principali di intervento nonché sulla distribuzione delle risorse, economiche e umane, tra i diversi campi di intervento. È evidente che, pur essendo uno strumento promosso e gestito dalla Caritas, appartiene a tutta la comunità e risulterà tanto più utile quanto più sarà in relazione con la catechesi, la liturgia, la carità e la missione. Già il Concilio Vaticano ii ha proposto di considerare i poveri come “scelta preferenziale”, invitando a ripartire dagli ultimi per essere veramente Chiesa. I poveri, infatti, rappresentano il luogo teologico in cui è possibile realizzare un rapporto per costruire un’identità cristiana matura. Coerentemente a queste linee di indirizzo generale, quindi, l’agire all’interno dei Centri di ascolto, degli Osservatori, delle Caritas parrocchiali 15 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 16 povertà e politiche sociali in emilia-romagna non può prescindere da questa idea di amore preferenziale verso gli ultimi. Risulta ancora attuale il richiamo dei vescovi italiani dell’inizio degli anni ottanta (cei – Consiglio permanente, 1981, p. 16): Il progresso economico e sociale che anche l’Italia ha sviluppato dagli anni del dopoguerra è per tanti versi innegabile. Ma con esso si sono pure affermati elementi regressivi che hanno portato alla perdita di valori senza i quali è impossibile che quel progresso sia vero e proceda ancora per il bene comune. Conosciamo la complessità dei problemi che al riguardo occorre affrontare. Ma, innanzitutto, bisogna decidere di ripartire dagli “ultimi”, che sono il segno drammatico della crisi attuale. Fino a quando non prenderemo atto del dramma di chi ancora chiede il riconoscimento effettivo della propria persona e della propria famiglia, non metteremo le premesse necessarie a un nuovo cambiamento sociale. Gli impegni prioritari sono quelli che riguardano la gente tuttora priva dell’essenziale: la salute, la casa, il lavoro, il salario familiare, l’accesso alla cultura, la partecipazione. Bisogna, inoltre, esaminare seriamente le situazioni degli emarginati, che il nostro sistema di vita ignora e perfino coltiva: dagli anziani agli handicappati, dai tossicodipendenti ai dimessi dalle carceri o dagli ospedali psichiatrici. Perché cresce ancora la folla dei “nuovi poveri”? Perché a una emarginazione clamorosa risponde così poco la società attuale? Le situazioni accennate devono entrare nel quadro dei programmi delle amministrazioni civiche, delle forze politiche e sociali che, garantendo spazio alla libera iniziativa e valorizzando i corpi intermedi, coinvolgono la responsabilità dell’intero paese sulle nuove necessità. Da questo punto di vista si comprende la necessità di mettere in pratica la scelta di amore preferenziale verso i poveri, creando una “personalizzazione delle relazioni” per non cadere nel “linguaggio della generalizzazione” per cui non c’è più un nome, non c’è più un volto ma solo una problematica da risolvere. La priorità del Centro di ascolto non deve essere di carattere quantitativo, bensì qualitativo: l’obiettivo non sarà risolvere tutti i problemi dei poveri ma dare qualità di ascolto a coloro che sono accolti dal Centro di ascolto. Per offrire sempre una maggiore qualità di ascolto ai poveri, la Caritas è chiamata a sensibilizzare la comunità parrocchiale ad aprirsi ai più deboli, accogliendoli, ascoltandoli e dedicando loro attenzione, tempo e risorse. È per questa funzione che le Caritas possono impiegare l’Osservatorio. Tuttavia la comunità parrocchiale/diocesana non deve delegare al Centro di ascolto il compito di occuparsi dei poveri; al contrario, il 16 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 17 introduzione Centro deve funzionare come un’antenna in grado non solo di ricevere le richieste di aiuto dei deboli e degli emarginati ma anche di trasmetterle al territorio, alla parrocchia e alla diocesi. È necessario affrontare le povertà presenti sul nostro territorio adottando una dimensione di sussidiarietà tale che «a tal punto io mi prendo carico della dimensione di cittadinanza di tutti, dell’inclusione sociale, del rapporto di dignità e responsabilità che divento sussidiario rispetto a questo diritto [...] e faccio crescere la domanda di cittadinanza in un’istituzione che si fa carico dei processi di inclusione sociale» (cei – Commissione ecclesiale giustizia e pace, 2006). Riconoscere nel concreto le cause strutturali delle varie forme di povertà obbliga a mettere mano non solo agli stili di vita individuali, ma anche a quelli collettivi, a riconsiderare le priorità della nostra vita, nelle scelte politiche e amministrative, nonché pastorali. È evidente che alcuni fattori, per dimensione e per complessità, travalicano la dimensione locale, tuttavia è innegabile che la loro risoluzione può partire soltanto da iniziative concrete di base. Ciò è tanto più vero se si considera che la carità è la dimensione essenziale della Chiesa in missione, dovunque e comunque la missione si attui: dal territorio di vita e testimonianza quotidiana, fino all’angolo della terra più lontano e all’ambiente di vita più difficile e problematico. Le affermazioni di carattere generale sopra riportate possono aiutare a superare i seguenti passaggi nodali: scarsa consapevolezza dell’importanza dello strumento dell’Osservatorio, titolarità a occuparsi di progetti politici, criteri di intervento nella pastorale locale. Aumentare la consapevolezza dell’importanza dell’Osservatorio Il lavoro più difficile e impegnativo da compiere è quello della sensibilizzazione che aiuti a far entrare la funzione promozionale dell’Osservatorio nel quadro della testimonianza della carità. I “numeri” dell’Osservatorio hanno una propria forza. Se correttamente rilevati, commentati e comunicati possono rappresentare una novità rispetto a una situazione che forse non si conosceva; essi consentono di correlare situazioni individuali o familiari a dinamiche sociali, di scoprire le cause di tante situazioni di povertà, ma anche di sostenere una maggiore consapevolezza e di motivare un intervento. In sostanza è un modo di prendere atto della realtà e di interrogarsi sul suo senso religioso, cioè un modo per discernere nel tempo presente il messaggio di Dio attraverso gli ultimi della fila. 17 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 18 povertà e politiche sociali in emilia-romagna Prima di tutto appare necessario aiutare la comunità cristiana, in particolare gli operatori della pastorale, ad aprirsi alle nuove modalità della carità. Non si deve aver paura di rubare persone alla pastorale ordinaria: è altrettanto importante e spesso più urgente chiamare e abilitare sposi, famiglie, lavoratori, studenti, educatori, intellettuali, sindacalisti, operatori sociali e uomini politici a forme diverse di testimonianza della carità, non ultima quella pubblica, perché si preoccupino dei cosiddetti diritti di cittadinanza – casa, salute, lavoro, istruzione, cultura, partecipazione per una umanizzazione dell’ambiente di vita. Si tratta di aiutare la comunità cristiana a comprendere la dimensione nodale che la vita pubblica riveste agli effetti della risoluzione dei problemi dei poveri (cei – Commissione ecclesiale giustizia e pace, 2006): La lotta per la rimozione delle strutture sociali ingiuste è un impegno che non può essere affidato in modo unico ed esclusivo ai partiti. Anche la comunità civile ha da svolgere una sua funzione politica, facendosi carico dei problemi generali del paese, elaborando progetti per una migliore vita umana a favore di tutti, controllando anche la loro attuazione, denunciando disfunzioni e inerzie, esigendo quegli strumenti democratici messi a disposizione dei cittadini, che la mensa non sia apparecchiata solo per chi ha potere ma per tutti. Dal piano della lotta per i diritti di cittadinanza si sta pericolosamente scivolando sul piano della beneficenza, di una carità delegata a strutture specializzate, evitando così ogni forma di coinvolgimento. Occorre però tenere presente che nessuna carità è in grado di ovviare a una pensione mancata o a un ricovero ospedaliero finanziariamente non coperto. In base ai dati raccolti dall’Osservatorio delle povertà occorre rilevare che permangono numerose situazioni personali e familiari che non godono pienamente dei cosiddetti diritti di cittadinanza. La sicurezza esistenziale, senza la quale non ci sono né libertà né volontà di migliorare la propria posizione, non risulta garantita a tutte le famiglie dalla forma attuale di organizzazione del welfare, dove per welfare si intende l’esito di un particolare equilibrio tra crescita economica, sviluppo del benessere e gestione concertata delle istituzioni. Le quasi 18.000 persone accolte dai Centri di ascolto delle diocesi della regione Emilia-Romagna portano a chiedersi come la comunità locale possa ancora permettersi un così elevato numero di famiglie in situazione di povertà, senza dimenticare che oltretutto tale fenomeno risulta tendenzialmente in crescita. È evidente che si tratta di informazioni che non sono registrate dalle 18 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 19 introduzione statistiche ufficiali, bensì dai Centri di ascolto delle Caritas delle diocesi presenti nella regione. Tali dati, che rilevano il perdurare di certe situazioni e in alcuni casi la loro acutizzazione, impongono di ricercare ciò che correla la povertà al processo di modernizzazione attualmente in corso. Inserire concretamente i poveri nei progetti pastorali della Chiesa L’azione pastorale della Chiesa non si esaurisce all’interno dei propri confini, tanto meno in un campo come quello delle povertà, che inevitabilmente coinvolge aspetti sociali, culturali, etici, economici e politici. Pur stando attenti a evitare sovrapposizioni e invasioni di campi di competenza, le associazioni di volontariato, le cooperative sociali, le Caritas, i Centri di ascolto ecc., tutti soggetti che fanno parte della cosiddetta società civile, sono tenuti a intervenire sull’ente locale affinché curi con maggiore responsabilità gli interessi e lo sviluppo di tutta la comunità (cittadina). Di fronte al dato dei 17.905 poveri, registrato dall’Osservatorio, occorre evitare di fornire una lettura del fenomeno in chiave meramente economica e affrontare invece il dato quantitativo anche da altri punti di vista. Quella dimensione di emarginazione pesante, che rischia di diventare cronica, spesso nasce da una povertà di relazione che caratterizza soprattutto la generazione più giovane. Ma non è la sola povertà ad acquisire il “volto della normalità”: al suo interno si intrecciano profondamente povertà relazionale, povertà quantitativa e povertà di diritti. Tramite i Centri di ascolto è possibile instaurare una relazione empatica con i poveri, in modo da poter leggere, anche a partire dai loro vissuti, le difficoltà che si nascondono dietro a un disagio economico. Con il supporto delle analisi offerte dall’Osservatorio è poi possibile impegnarsi in azioni politiche affinché la povertà non sia messa in un angolo, quasi fosse un problema solo di qualcuno, ma al contrario venga considerata una priorità nell’agenda politica locale e nazionale. Tale azione di carattere generale risulterà tanto più utile quanto maggiore è la credibilità della Chiesa presso i cittadini, credenti e non. La Chiesa locale e l’ente pubblico corrono spesso il rischio di attuare interventi nel campo sociale con logiche meramente assistenzialistiche, distribuendo le risorse a pioggia senza un progetto complessivo, senza l’impegno a operare scelte di prevenzione o di recupero. Si può ritenere che anche questo è uno spazio nel quale la comunità cristiana da sola, o ancor meglio con altri, è chiamata a intervenire non tanto come tutela dei 19 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 20 povertà e politiche sociali in emilia-romagna poveri contro interessi più potenti e agguerriti, quanto piuttosto per generare la convinzione, in coloro che devono decidere, che una buona amministrazione è tale se crea condizioni di giustizia e pace sociale (nell’interesse di tutti). A livello locale il momento in cui si decide la destinazione delle risorse pubbliche è l’approvazione del bilancio comunale. Ma anche la definizione del Piano di zona e il relativo Piano annuale degli interventi sono un momento in cui è possibile far valere i diritti dei più deboli inserendoli tra i destinatari della spesa pubblica e vigilando altresì sulla discrezionalità degli amministratori nel dare corso agli impegni presi. Spesso capita di leggere espressioni quali “provvedono nei limiti delle risorse ordinarie del bilancio”, oppure “provvedono con propri mezzi di bilancio”, “facilitano”, “possono” ecc. Appare evidente che si tratta di formulazioni che lasciano all’amministrazione locale la discrezionalità di dare risposte a diritti unanimemente riconosciuti. L’efficacia di una richiesta di questo tipo può essere aumentata dalla credibilità di chi la propone, soprattutto nei confronti della pubblica opinione. In pratica, se anche la Chiesa locale avesse un proprio bilancio di tipo pastorale che comprendesse anche quello di associazioni, congregazioni religiose, enti vari, fondazioni ecc., se questo bilancio fosse pubblico e riportasse con estrema chiarezza la quota di risorse destinate ai poveri, soprattutto per combattere le cause della loro condizione, essa potrebbe aumentare notevolmente la propria autorevolezza non solo in campo morale ma soprattutto spirituale. In tale prospettiva, però, occorre ricordare che la missione della Chiesa è anche altro rispetto a quella dell’ente pubblico, almeno per evitare che l’opinione pubblica la riduca a semplice fornitrice di servizi sociali. È evidente che il problema del bilancio non riguarda solo l’ente locale o la Chiesa nel suo complesso, ma soprattutto ogni singolo cristiano. Sorge allora spontaneo chiedersi se le famiglie e le singole persone, quando progettano le loro spese principali, tengono conto o meno delle esigenze dei più poveri, ovvero se quando si progetta la propria casa, il proprio appartamento, la propria parrocchia si prevedono spazi o modalità di accoglienza. Si tratta di cose che non si improvvisano ma che hanno bisogno di tempo per affermarsi nella mentalità delle persone e per le quali è importante far crescere forze, operatori e famiglie disponibili a impegnarsi affinché si radichi una cultura della carità che dia ai poveri lo spazio adeguato. Ecco perché il richiamo alla famiglia. Le povertà possono essere fami20 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 21 introduzione liari in quanto non coinvolgono singole persone ma appunto interi nuclei familiari. La famiglia è il luogo in cui si sperimenta una relazione di tipo solidale, per non dire fraterna. La famiglia però non appare al centro delle politiche pubbliche. Il perdurare e il crescere delle povertà rimanda inevitabilmente al tema delle diverse condizioni di vita, cioè dei vincoli e delle opportunità posti dall’ambiente, e parallelamente al tema delle iniziative di redistribuzione delle risorse finalizzate alla correzione di tali iniquità. La contestualizzazione della povertà permette di superare le dicotomie del tipo povertà assoluta/povertà relativa, povertà economica/povertà non economica, povertà individuale/povertà sociale e di inserire la povertà in un ambito più ampio nel quale affiorano di fatto le reali condizioni di disuguaglianza fra le persone e le famiglie. Ciò influenza anche la tipologia degli interventi. Tale logica permette, infatti, di considerare le politiche di lotta alla povertà non tanto come un processo che elimina gli ostacoli, quanto piuttosto come un’azione di mobilitazione di risorse preesistenti. In tal modo si evita un approccio rigidamente deterministico alle problematiche della povertà e, al contrario, si favorisce l’apertura alla multifattorialità e alla processualità degli aspetti critici presenti nella famiglia. Sul fronte delle politiche possibili a livello locale si pone il problema di equità sociale relativo alla redistribuzione delle scarse risorse degli enti locali tra le diverse aree di intervento. Se le risorse sono limitate è inevitabile dover scegliere chi saranno i reali destinatari di queste risorse e in quale misura lo saranno. Le politiche di cittadinanza dipendono in prima istanza da una valutazione di tipo politico che considera attentamente i costi di una spesa pubblica che paradossalmente si ritiene eccessiva, ma che resta insufficiente a intervenire su tutti i fronti. Si richiede all’amministratore pubblico di individuare, nella formulazione del bilancio, un equilibrio tra le diverse politiche, trovando un punto di incontro tra disuguaglianza ed equità sociale, universalità e selettività, stabilità finanziaria e obblighi sociali. Da questo punto di vista l’esperienza maturata negli anni e gli strumenti sempre più sofisticati di programmazione possono aiutare a compiere scelte non certo facili, ma è a livello culturale che occorre fare la scelta giusta (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, 2004): Esiste purtroppo una distanza fra lettera e spirito dei diritti dell’uomo ai quali è tributato spesso un rispetto puramente formale. La dottrina sociale, in considerazione del privilegio accordato dal Vangelo ai poveri, ribadisce a più riprese che i 21 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 22 povertà e politiche sociali in emilia-romagna più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più liberalità i propri beni a servizio degli altri e che una affermazione eccessiva di uguaglianza può dar luogo a un individualismo dove ciascuno rivendica i propri diritti, sottraendosi alla responsabilità del bene comune. Si comprende, pertanto, che l’azione culturale non riguarda solo chi ha responsabilità politiche o amministrative, ma anche l’opinione pubblica, cioè ogni singola persona. A questi (Giovanni Paolo ii, 1988), bisogna ricordare ancora una volta il principio tipico della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti. Il diritto alla proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale principio: su di essa, infatti, grava un’ipoteca sociale, cioè vi si riconosce, come qualità intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio della destinazione universale dei beni. Alcuni criteri di intervento Un ultimo nodo, importante quanto quello delle risorse economiche e della qualità degli interventi, riguarda i criteri di risposta che gli operatori delle associazioni di volontariato e più in generale tutte le strutture di servizio in cui è coinvolta la Chiesa locale devono adottare. Tra questi preme ricordare i seguenti: interventi mirati, ruolo della famiglia, formazione, dialogo. • Interventi mirati. La conoscenza aggiornata delle condizioni di vita dei poveri obbliga a verificare costantemente se gli interventi in atto, sia del pubblico che del privato, sono in linea con le esigenze rilevate e in quale misura incidono sulle cause della povertà. Nella stessa direzione dovrebbero essere adattati i rapporti tra le parrocchie e le associazioni di volontariato e più in generale fra tutti questi e i servizi pubblici in una logica di lavoro di rete. Da una parte si richiede che i Centri di ascolto siano delle strutture specializzate e flessibili, dall’altra che l’ente pubblico intervenga secondo un ordine di priorità e in quei settori dove sono necessari interventi strutturali. • Ruolo della famiglia. Scegliere i servizi più adatti ai poveri spesso può voler dire fornire servizi di sostegno della famiglia. Esiste però anche un altro aspetto: in misura crescente il povero ha una famiglia più o meno numerosa e i suoi problemi si estendono al coniuge e ai figli. Pertanto, ai bisogni di tipo materiale si sommano quelli relazionali, i quali interpella22 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 23 introduzione no la capacità di accoglienza della parrocchia, dei movimenti, dell’oratorio, del catechismo, dei gruppi di animazione, del doposcuola ecc. • Formazione. È molto importante che le persone impegnate nei servizi siano professionalmente aggiornate e umanamente e spiritualmente motivate. In tale prospettiva occorre prevedere un certo numero di ore e una certa quota del bilancio annuale per assicurare agli operatori delle parrocchie, delle associazioni di volontariato ecc. le necessarie opportunità di formazione permanente. • Dialogo. L’integrazione sociale risulta difficile non solo nel confronto con religioni diverse, ma anche all’interno della stessa confessione. Ciò risulta accentuato dalla diversa cultura soprattutto rispetto agli stranieri, i quali desiderano conservare in Italia le abitudini e i riti del paese d’origine. In tale situazione, la comunità cristiana è chiamata a sperimentare la propria fede dialogante, attenta soprattutto a valorizzare l’essenzialità e la radicalità dell’annuncio evangelico che esprime sempre una solidarietà inequivocabile. La cosa più importante è che crescano forze e operatori disponibili e preparati a promuovere una cultura sociale, politica e pastorale che dia ai poveri uno spazio adeguato. La gravità della situazione impone di assumere l’impegno della giustizia a favore di quanti sono ancora privi dell’essenziale in un rapporto dialogico e collaborativo con tutte le persone che vi operano e portando il contributo della visione dell’uomo secondo il Vangelo. Si tratta di una responsabilità che riguarda tutta la comunità ecclesiale locale, soprattutto se si considera la necessità di interventi di tipo strutturale, tanto importanti quanto onerosi e difficili, in grado di incidere non solo sui “sintomi” ma prevalentemente sulle cause che determinano povertà, disagio, emarginazione e disuguaglianza. Ciò presuppone un cambiamento di mentalità che conduca al superamento della vecchia idea di carità legata all’elemosina, ma che sfugga anche alla tentazione (diffusa oggigiorno) di delegare ad altri, eventualmente con un atto di beneficenza generoso, la carità. I risultati riportati nel presente lavoro costituiscono un costante richiamo alla vigilanza e possono essere utilizzati efficacemente negli incontri con le seguenti figure: • parroci, al fine di individuare le fasce deboli presenti nel proprio territorio e i problemi che gli stessi incontrano nella propria attività, incentivando la convergenza di linee e di azioni tra le diverse parrocchie che operano su territori contigui o sulle medesime problematiche; • consigli pastorali e Caritas parrocchiali, per stimolarli all’approfondi23 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 24 povertà e politiche sociali in emilia-romagna mento e alla realizzazione di programmi adeguati alle esigenze, verificando la qualità e la quantità dei servizi forniti; • responsabili delle associazioni educative, per stimolarli a verificare e a ripensare i propri progetti formativi alla luce dell’assunzione di nuove responsabilità rispetto ai nuovi bisogni; • commissioni o uffici catechistici, perché i rilevamenti delle varie forme di povertà trovino nella Parola di Dio e nella catechesi un punto di riferimento e di confronto per una lettura da fare alla luce della fede; • ufficio liturgico, per favorire la crescita di una sensibilità essenziale, concreta e attiva verso gli ultimi anche durante le celebrazioni; • gruppi e associazioni di volontariato cattoliche e non, per far sentire l’appoggio della comunità ecclesiale, per accelerare il processo di collaborazione al fine di realizzare una mappa dei bisogni del territorio e il rapporto con l’ente pubblico valorizzando al meglio il proprio ruolo politico in funzione degli interessi dei più deboli, promuovendo la loro organizzazione affinché diventino essi stessi protagonisti della propria emancipazione; • coppie che frequentano i corsi di preparazione al matrimonio, per una maggiore conoscenza della realtà sociale nella quale vivono, invitandole a tenere “aperta” la propria futura famiglia; • iniziative di formazione permanente per gli operatori nel campo sociale e politico affinché, partendo dalle attese degli ultimi, impegnino la propria fede cristiana nel concreto della propria realtà storica; • scuola di teologia per i laici, integrando le lezioni di teologia con corsi di pastorale della carità; • cosiddette forze sociali (ad es. sindacati, patronati ecc.), affinché rappresentino con maggiore efficacia anche le istanze dei più deboli e rendano pubblici i loro interventi. commissione politiche sociali caritas emilia-romagna commissione centri di ascolto caritas emilia-romagna 24 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 25 Parte prima Il profilo sociale regionale Questo rapporto ha lo scopo di presentare in forma sintetica alcuni aspetti importanti della regione Emilia-Romagna osservando quanto emerge dai dati statistici e demografici diffusi da fonti ufficiali. Questa esposizione ci permetterà di collocare la situazione emiliano-romagnola all’interno del paese e soprattutto ci permetterà di osservare le problematicità che il territorio esprime collegandole a quelle che emergono dai dati dei Centri di ascolto. Il capitolo 1 è dedicato alla presentazione della struttura demografica della regione, con particolare attenzione ai mutamenti che sono avvenuti negli ultimi vent’anni; sono presentati i dati riferiti al tasso di natalità e di mortalità, nonché il saldo migratorio. Ulteriori fenomeni di cui si cercherà di rendere conto sono l’invecchiamento, la femminilizzazione della popolazione e l’immigrazione. Nel capitolo 2 vengono presentati i dati rispetto ad alcuni indicatori di disagio sociale come i minori in difficoltà, il fenomeno della tratta e della prostituzione, le dipendenze e la criminalità: tutti elementi che non possono essere ignorati se si vuole descrivere il fenomeno della povertà nella nostra regione. È in questa parte del rapporto che sono riportati i dati relativi all’utenza dei Centri di ascolto diocesani Caritas. Le elaborazioni proposte sono il frutto del tentativo di uniformare la lettura della povertà in Regione utilizzando i dati raccolti e informatizzati dai singoli Centri di ascolto. Tutti i Centri sono dotati di schede cartacee mediante le quali vengono registrate le informazioni sugli utenti relative ai dati anagrafici, ai bisogni espressi e agli interventi offerti. Non esiste un’uniformità di raccolta e sistematizzazione dei dati fra i diversi Centri di ascolto, anche se con l’introduzione del programma d’inserimento ospo vi è stato un primo tentativo di dotarsi di uno strumento comune. Negli anni sono state presentate versioni sempre più aggiornate di ospo ma non tutti i Centri si sono adeguati a quella più recente, impedendo 25 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 26 parte prima. il profilo sociale regionale così una gestione unitaria dei dati; a ciò va aggiunto che alcune diocesi continuano a utilizzare programmi differenti. Questo rapporto rappresenta di fatto un primo tentativo di standardizzare la metodologia di raccolta dei dati, rendendo palese la necessità di lavorare ancora in questo senso. Le elaborazioni proposte rappresentano il minimo comune denominatore fra tutti i Centri di ascolto; per una lettura più completa è necessario aggiungere gli approfondimenti per ogni Centro di ascolto, che in questa sede non sono presi in considerazione per non rendere vano il lavoro di standardizzazione proposto. Si è reso necessario descrivere la povertà emersa attraverso i Centri sia utilizzando i dati dell’utenza, per quanto riguarda le principali variabili anagrafiche, sia condividendo, insieme a coloro che operano nei Centri di ascolto o che conoscono la realtà regionale, una lettura più dettagliata delle situazioni presenti nei diversi territori. A questo proposito sono stati organizzati tre focus di approfondimento ai quali erano invitati i direttori del Centro di ascolto, alcuni testimoni privilegiati della situazione sociale del territorio che hanno proposto una lettura più socioeconomica e alcuni testimoni che hanno proposto invece una lettura pastorale. Si è ritenuto opportuno completare il quadro inserendo il capitolo 3, in cui si descrivono le politiche familiari messe in campo dalla Regione EmiliaRomagna – con una presentazione e una valutazione delle risposte ai bisogni della collettività – per evidenziare come scegliere i servizi più adatti ai poveri spesso possa voler dire fornire servizi di sostegno alla famiglia. E, infine, il capitolo 4 presenta le attività svolte dai Centri di ascolto diocesani dell’Emilia-Romagna con una descrizione, per ogni diocesi, sia del Centro di ascolto che, ove presente, dell’Osservatorio delle povertà. 26 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 27 1 Epidemiologia sociale del territorio 1.1. Alcuni dati demografici e statistici di sfondo Nell’ultimo ventennio, l’Emilia-Romagna è stata attraversata da rilevanti trasformazioni di carattere demografico che hanno determinato mutamenti significativi nella struttura e nella composizione della popolazione. Come evidenzia la tabella 1.1, nel 1981 i residenti in Emilia-Romagna erano 3.957.513: di questi, 2.039.746 erano femmine e 1.917.767 erano maschi. Tabella 1.1. Residenti in Emilia-Romagna (1981-2003) Maschi Femmine Totale 1981 1987 1991 1996 2001 2003 1.917.767 2.039.746 3.957.513 1.894.953 2.027.435 3.922.388 1.890.192 2.019.320 3.909.512 1.905.908 2.033.422 3.939.330 1.959.579 2.077.516 4.037.095 1.991.527 2.109.797 4.101.324 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ Dal 1981 al 1991 la popolazione ha mostrato un andamento decrescente, diminuendo di circa cinquantamila unità in dieci anni; viceversa, nel decennio successivo ha ricominciato a crescere fino a superare i 4.000.000 di residenti con l’inizio del nuovo millennio, per poi assestarsi a 4.101.324 persone nel 2003: di queste, 2.109.797 sono femmine e 1.991.527 sono maschi. Le trasformazioni demografiche sono state accompagnate anche da mutamenti nelle strutture familiari. All’aumento della popolazione, in particolare, si è accompagnata una forte crescita del numero delle famiglie. 27 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 28 parte prima. il profilo sociale regionale Tabella 1.2. Caratteristiche della popolazione (Emilia-Romagna, 1991-2001) Numero famiglie Numero medio di componenti per famiglia 1991 2001 1.482.065 2,61 1.638.914 2,4 Fonte: Regione Emilia-Romagna (dati da censimento), http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ La tabella 1.2 evidenzia che dal 1991 al 2001, accanto all’aumento della popolazione esaminato in precedenza, è cresciuto il numero delle famiglie – da 1.482.065 a 1.638.914 – ed è inoltre diminuito il numero medio di componenti per famiglia. Da un valore già piuttosto basso di 2,61 componenti per famiglia nel 1991 si passa a un valore di 2,4 componenti nel 2001, a testimonianza del sempre maggiore numero di famiglie composte da una sola persona. 1.2. I fattori alla base dei mutamenti Dopo aver brevemente delineato i mutamenti della popolazione dell’Emilia-Romagna negli ultimi vent’anni, è importante esaminare quali fattori stiano alla base dei mutamenti stessi appena considerati. Il primo fattore rilevante è il tasso di natalità che presenta, nel corso del trentennio 1973-2003, un andamento prima decrescente e poi crescente (cfr. tab. 1.3). Mentre negli anni che vanno dal 1973 al 1988, infatti, è in forte calo – da 12,62 nati per 1.000 abitanti nel 1973, scende fino a 6,71 nati per 1.000 abitanti nel 1988 –, nel periodo che dal 1988 arriva fino agli anni più recenti ricomincia a crescere. Infatti, nel 2003 in Emilia-Romagna si registrano 8,82 bambini nati ogni 1.000 persone, due in più rispetto al 1988. Il tasso di mortalità nei trent’anni considerati presenta, invece, un andamento più regolare, sebbene in lieve aumento: mentre nel 1973 era pari a 10,81 morti per 1.000 abitanti, nel 2003 assume un valore di 11,89. Un’altra variabile che contribuisce a spiegare l’aumento del numero di residenti in Emilia-Romagna è il saldo migratorio che, come evidenzia la tabella 1.3, presenta un andamento analogo al tasso di natalità. Il saldo migratorio, positivo ma in calo dal 1973 al 1983, successivamente inizia a crescere fino a impennarsi e ad assumere valori molto elevati, mai verificatisi in precedenza, negli anni recenti. Infatti, nel 1973 il saldo migratorio 28 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 29 1. epidemiologia sociale del territorio era pari a 4,86 persone ogni 1.000 abitanti e dieci anni dopo era più basso di due punti. A partire da quegli anni ha ricominciato a crescere, dapprima più lentamente (era pari a 5,33 nel 1993), poi in modo più impetuoso, fino a raggiungere il valore estremamente elevato di 15,46 persone per 1.000 abitanti nel 2003. Questi fattori appena esaminati hanno determinato, in modo congiunto, la variazione della popolazione regionale. Come si può notare dalla tabella 1.3, in Emilia-Romagna la popolazione ha subito un calo negli anni ottanta (la variazione percentuale della popolazione, infatti, è negativa), come risultato del calo del tasso di natalità e del basso livello positivo del saldo migratorio. Negli altri decenni, invece, la popolazione della nostra regione è sempre aumentata. Tabella 1.3. Indicatori di movimento della popolazione (Emilia-Romagna, 1973-2003)1 1973 Tasso grezzo di natalità (per 1.000 ab.) 1978 1983 1988 1993 1998 2003 12,62 9,03 7,15 6,71 7,03 7,75 8,82 Tasso grezzo di mortalità (per 1.000 ab.) 10,81 10,62 11,28 10,98 11,30 11,84 11,89 Saldo migratorio (per 1.000 ab.) 4,86 3,28 2,86 3,53 5,33 7,29 15,46 Variazione della popolazione (%) (*) 0,67 0,17 –0,13 –0,07 0,11 0,32 0,69 (*) Il dato si riferisce al 2001. Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ Il calo del tasso di natalità, in presenza di un tasso di mortalità costante, contribuisce ad accelerare il processo di invecchiamento della popolazione. L’invecchiamento può essere evidenziato da diversi indicatori come, ad esempio, l’età media della popolazione. La figura 1.1 mostra l’andamento dell’età media maschile, femminile e totale in Emilia-Romagna nel periodo 1981-2003. Come si può notare, l’età media è cresciuta notevolmente. In particolare, nel periodo considerato crescono di circa cinque anni sia l’età media maschile che quella femminile e, pertanto, l’età media totale. La crescita dell’età media subisce tuttavia un rallentamento nel quinquennio che va dal 1998 al 2003, come evidenza la figura 1.1. Inoltre, si conferma che l’età media delle donne è più elevata di quella degli uomini. L’invecchiamento della popolazione regionale è confermato, oltre che 29 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 30 parte prima. il profilo sociale regionale dalla crescita dell’età media, anche dalle variazioni percentuali, sul totale della popolazione, di alcune fasce di popolazione. Figura 1.1. Età media maschile, femminile e totale (Emilia-Romagna, 19812003) 49 47 45 43 41 39 37 35 1981 1987 1993 1998 2003 Totale 39,79 41,91 43,63 44,58 44,85 Maschi 38,36 40,32 41,89 42,8 43,1 Femmine 41,15 43,41 45,26 46,24 46,51 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ La tabella 1.4, prendendo in considerazione la percentuale di popolazione giovanile (0-14 anni), la percentuale di anziani (65 anni e oltre) e la percentuale di grandi anziani (75 anni e oltre) nel lasso di tempo che va dal 1981 al 2001, permette di svolgere alcune ulteriori considerazioni. Tabella 1.4. Struttura della popolazione (Emilia-Romagna, 1981-2003) (dati in percentuale) Popolazione giovanile Anziani Grandi anziani 1981 1987 1993 1998 2003 16,96 16,26 5,80 13,18 17,83 7,79 10,95 20,49 8,65 11,09 21,82 10,06 12,06 22,48 11,00 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ La percentuale di popolazione giovanile, costantemente in calo dal 1981 al 1993 (dal 16,96% al 10,95), ha poi mostrato una crescita lieve ma graduale. Nel 2003, infatti, la popolazione giovanile rappresenta il 12,06% del totale, 30 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 31 1. epidemiologia sociale del territorio assestandosi al di sopra dei livelli di dieci anni prima. La tabella 1.4, inoltre, conferma che l’aumento della popolazione anziana con più di 65 anni non ha conosciuto soste negli ultimi vent’anni: dal 16,26% del totale nel 1981, la popolazione anziana è passata al 20,49% del totale nel 1993 e al 22,48% del totale nel 2003. Analogo andamento crescente ha mostrato la percentuale di grandi anziani, vale a dire le persone con 75 anni o più, passando dal 5,8% sul totale della popolazione nel 1981 all’8,65% sul totale della popolazione nel 1993, per raggiungere l’11% sul totale della popolazione nel 2003. In altre parole, mentre nel 1981 la percentuale di giovani era pari alla percentuale di ultrasessantaciquenni, nel 2003 invece la percentuale della popolazione giovanile era pressoché pari alla percentuale di ultrasettantacinquenni. Senza voler connotare questa struttura della popolazione in modo allarmistico, si può semplicemente sostenere che questo dato, forse meglio di ogni altro, sintetizza l’invecchiamento della popolazione dell’Emilia-Romagna. Altri indicatori, esaminati nella tabella 1.5, aiutano a comprendere con maggiore precisione le trasformazioni demografiche attualmente in atto. Tabella 1.5. Indici di stato della popolazione (Emilia-Romagna, 1981-2003) Indice di dipendenza senile Indice di vecchiaia Indice di dipendenza totale 1981 1987 1993 1998 2003 24,34 95,84 49,74 25,85 135,32 44,95 29,89 187,06 45,86 32,52 196,78 49,04 34,33 186,35 52,76 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ L’indice di dipendenza senile – che mostra il numero di anziani in età non attiva (65 anni e più) ogni 100 persone in età attiva (nella fascia di età tra 15 e 64 anni) – è in crescita costante e non fa che confermare quanto già visto in precedenza, ovvero che la popolazione dell’Emilia-Romagna, negli ultimi vent’anni, è invecchiata costantemente: da un valore di 24,34 nel 1981, tale indice raggiunge il valore di 34,33 nel 2003. L’indice di vecchiaia – che mostra il numero di persone con un’età maggiore di 65 anni ogni 100 persone nella fascia d’età da 0 a 14 anni – rivela un’altra caratteristica. Sebbene, infatti, il suo valore sia molto elevato, tale indice risulta in calo nel quinquennio 1998-2003: ciò sta a significare che l’aumento delle nascite ha 31 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 32 parte prima. il profilo sociale regionale controbilanciato e superato l’aumento delle persone con più di 65 anni. A questo livello di analisi, purtroppo, non è possibile stabilire quanto abbia inciso l’aumento del tasso di immigrazione, evidenziato in precedenza. In qualche modo sorprendente è anche il valore assunto dall’indice di dipendenza totale – che mostra il numero di persone in età non attiva (nelle fasce di età tra 0 e 14 anni e 65 anni e più) per 100 persone in età attiva (nella fascia di età tra 15 e 64 anni) – che è in crescita sin dal 1987: nel 2003, tale indice si assesta su di un livello più elevato (52,76) rispetto a quello, già rilevante, del 1981 (49,74). Ciò che tuttavia è degno di nota è che nel 1981 l’indice di dipendenza totale aveva un valore alto per motivi molto diversi da quelli del 2003. Nel 1981, infatti, era dovuto soprattutto all’elevata percentuale di popolazione nella fascia di età da 0 a 14 anni; nel 2003, invece, tale indice assumeva un valore alto principalmente a seguito della grande incidenza, sul totale della popolazione, delle persone con più di 65 anni. L’immigrazione è un fenomeno in continuo aumento che si caratterizza per una forte rapidità e mobilità: per questa ragione non è facilmente sintetizzabile in statistiche attendibili. Negli anni novanta l’immigrazione dei cittadini stranieri in Italia è aumentata da 500.000 alla fine degli anni ottanta a circa 1.500.000 al 31 dicembre 2002, cui vanno aggiunti circa 300.000 minori; pertanto gli immigrati corrispondono a circa il 4% della popolazione residente. In Emilia-Romagna l’immigrazione straniera è un fenomeno abbastanza recente, in cui è possibile distinguere tre fasi principali: • negli anni ottanta il fenomeno era piuttosto contenuto, al di sotto delle 30.000 unità, corrispondente all’1% della popolazione residente; la maggior parte degli immigrati proveniva dall’Africa del Nord ed era composta prevalentemente da maschi adulti; • nella prima metà degli anni novanta, a causa degli sconvolgimenti politici dell’Europa orientale, si è registrato un aumento degli immigrati provenienti dalla zona dei Balcani (in particolare dell’Albania); in questa fase, in Emilia-Romagna, gli immigrati contavano circa 50.000 unità, con una percentuale femminile del 40%; • la terza e ultima fase è quella che caratterizza la regione dalla seconda metà degli anni novanta a oggi: ogni anno l’aumento dell’immigrazione è pari al 15%, la percentuale femminile supera il 46% e aumenta la presenza dei bambini nelle scuole. Questo quadro evidenzia chiaramente come il fenomeno dell’immigrazione debba essere considerato una costante della nostra società; esso va a 32 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 33 1. epidemiologia sociale del territorio toccare ogni aspetto della vita entrando a far parte della quotidianità e pertanto della programmazione politica e sociale della Regione. Tale considerazione è avvalorata da quanto si afferma nel Piano sociale e sanitario 2005-2007: «La Regione Emilia-Romagna ha inteso affermare il principio strategico che i sistemi integrati di interventi e servizi sociali e sanitari, a ogni livello di programmazione, devono considerare le politiche rivolte ai cittadini stranieri come programmazione ordinaria e strutturale, abbandonando un approccio occasionale, temporaneo ed emergenziale». 1.2.1. La distribuzione territoriale e la provenienza In Emilia-Romagna si registra un’incidenza media di immigrati sul totale della popolazione pari al 6,37% (31 dicembre 2003) e tre province presentano una percentuale di immigrati superiore alla media regionale: Reggio Emilia (7,7%), Modena (7,1%) e Ravenna (6,6%), mentre le restanti si attestano al di sotto della media (Parma 6,3%; Bologna e Piacenza 6,2%; Forlì-Cesena e Rimini 6,1%; Ferrara 3,7%). La disaggregazione dei dati a livello comunale permette di notare che la presenza di immigrati in percentuale maggiore si registra nei piccoli Comuni di collina o di montagna ed è possibile avanzare in merito una considerazione relativa alle ragioni di questa concentrazione: oltre alla vicinanza al posto di lavoro, sicuramente gioca un ruolo fondamentale il costo relativamente più basso degli affitti e delle case. Secondo le rilevazioni dell’istat (al 1° gennaio 2001) in due dei 341 Comuni dell’Emilia-Romagna non sono presenti immigrati residenti: Caminata e Ottone, entrambi in provincia di Piacenza. Strettamente connessa al tema della concentrazione dell’immigrazione è la rilevazione dell’area geografica di provenienza. La percentuale di immigrati provenienti dai paesi dell’Unione europea e dall’America settentrionale (i cosiddetti “paesi sviluppati”) è del 6%, pari a 12.700 unità. Il restante 94% degli immigrati proviene dai paesi in via di sviluppo e rispetto a questi si possono individuare cinque grandi categorie: • Europa centro-orientale, con il 39% (83.987 unità, determinante l’arrivo di donne assunte come assistenti familiari e colf); • Africa settentrionale, con il 23% di presenze (50.931 unità); • Asia, con il 17% di presenze (36.679 unità); • Africa subsahariana, con il 10% di presenze (21.379 unità); • America Latina, con il 5% di presenze (11.855 unità). 33 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 34 parte prima. il profilo sociale regionale Si nota un netto incremento dei permessi di soggiorno per motivi di lavoro (68,4%) a scapito dei permessi per motivi familiari (25,8%); ciò indica come la politica di regolarizzazione abbia avuto un esito positivo, mentre è ancora forte la presenza di immigrati al seguito di familiari irregolari. In Emilia-Romagna sono presenti 466.505 imprese, di cui 18.068 (il 3,87% del totale) hanno un titolare straniero; di queste ultime, in 15.062 il titolare è di sesso maschile. La distribuzione delle imprese appare piuttosto omogenea tra le province dell’Emilia-Romagna e il settore prevalente è quello delle costruzioni, con il 41,82%, seguito dal commercio, con il 25,14%. Se si rapportano i tassi di disoccupazione con la percentuale dei disoccupati di ciascuna provincia emerge un dato davvero interessante: minore è il tasso di disoccupazione, maggiore è la presenza di immigrati nella provincia. Questo dimostra come la credenza popolare dell’immigrato che ruba il lavoro all’italiano sia solo una mera congettura; in realtà gli immigrati vanno a ricoprire quei ruoli che gli italiani ritengono troppo faticosi o poco remunerativi e che di conseguenza si rifiutano di svolgere. Tabella 1.6. Rapporto fra tasso di disoccupazione e immigrazione Percentuale immigrati soggiornanti Tasso di disoccupazione e-r re mo pr bo fc ra pc rn fe 5,3 6,4 5,9 5,3 5,2 5,1 5,5 5,2 5,1 3,1 3,1 2,6 3,1 3,1 2,3 3,1 4,4 2,5 3,7 3,9 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ In Emilia-Romagna i minori stranieri residenti rappresentano il 14% del totale e sono in continuo aumento; in tal modo il fenomeno dell’immigrazione viene a interessare la scuola nei suoi diversi ordini e gradi: • scuola dell’infanzia: nell’anno scolastico 2003-2004 si sono iscritti 6.790 bambini stranieri pari al 6,99% del totale; • scuola primaria: nell’anno scolastico 2003-2004 si sono iscritti 13.866 alunni stranieri pari al 9,09% del totale degli iscritti (la scuola primaria è il livello scolastico che presenta la percentuale di iscritti maggiore); 34 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 35 1. epidemiologia sociale del territorio • scuola secondaria: nell’anno scolastico 2003-2004 gli alunni stranieri iscritti rappresentavano il 7,87% del totale, ovvero si sono iscritti alla secondaria di primo e secondo grado 14.044 alunni stranieri. Il dato in continua crescita, relativo alle iscrizioni scolastiche, rappresenta un buon indicatore del grado di integrazione sociale raggiunta oltre che di una certa stabilità. L’immigrazione investe anche il versante sanitario. In questo ambito, per quanto concerne l’aspetto prettamente statistico, è stato rilevato, dall’analisi degli aggregati clinici di diagnosi in regime ordinario e in day hospital, che le due voci più importanti che riguardano i ricoveri dei cittadini stranieri sono i parti e le interruzioni volontarie di gravidanza, per un totale di 38.596 ricoveri corrispondente al 4,2% del totale (anno 2003). È interessante notare quanto afferma il Piano sociale e sanitario 2005-2007: Dal punto di vista del sistema integrato dei servizi di welfare, la presenza di un’utenza multiculturale va considerata una sfida verso l’innovazione: un servizio pubblico capace di servire meglio gli stranieri, di capirne i bisogni e individuarne le soluzioni, esprime una disponibilità costante a riflettere su se stesso, a rimettersi in gioco, e ciò va inteso come una caratteristica capace di migliorare anche le risposte verso le esigenze dei cittadini italiani. Si tratta altresì di introdurre e consolidare politiche che adottano nel loro fare un approccio interculturale, ovvero che lavorano sulla ricerca dei punti di contatto come terreno comune di incontro, a partire dagli elementi distintivi culturali ascrivibili ai gruppi etnici e alle singole persone; politiche comunque fondate sui bisogni del singolo, che evitino di reintrodurre, attraverso la variabile culturale, nuovi stereotipi omogeneizzanti nelle letture dei bisogni e nelle risposte dei servizi, politiche che hanno la consapevolezza della frequente natura interrelata dei bisogni, nel senso che è facile che il migrante sia portatore di un bisogno complesso/completo (salute, casa, lavoro, disagio sociale ecc.) a cui occorre rispondere con una medesima progettazione integrata intersettoriale, sulla base dei bisogni e delle aspettative dell’utenza, rafforzando negli operatori le competenze di lettura globale del problema presentato, anche sulla base della qualità di accoglienza percepita dal migrante, e per cogliere gli aspetti esterni al proprio ambito di servizio. 1.3. Una disaggregazione territoriale L’esame della struttura della popolazione e dei mutamenti intervenuti negli ultimi decenni ha permesso, finora, di rilevare che l’invecchiamen35 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 36 parte prima. il profilo sociale regionale to è una caratteristica distintiva dell’Emilia-Romagna. Può essere interessante, a questo livello di analisi, esaminare se la popolazione residente invecchia in modo uniforme in tutta la regione o se, viceversa, si possono evidenziare differenze tra le varie province e tra le diverse zone altimetriche della regione – tra la montagna interna, la collina e la pianura. Per evidenziare queste differenze, si prende in esame l’indice di vecchiaia – che permette di sintetizzare l’andamento della popolazione anziana e l’andamento della popolazione giovanile – e si considera il suo andamento nei quindici anni che vanno dal 1988 al 2003 per le nove province dell’Emilia-Romagna. Dalla figura 1.2 emergono alcuni aspetti interessanti. Attenzione: l’ultima riga in basso è Rimini? Va inserita in legenda? Figura 1.2. Indice di vecchiaia per provincia (Emilia-Romagna, 1988-2003) 270 Piacenza 250 Parma 230 210 Reggio Emilia 190 Modena 170 Bologna 150 Ferrara 130 110 Ravenna 90 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 Forlì-Cesena Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ In primo luogo si può notare che, nei quindici anni considerati, l’indice di vecchiaia cresce senza eccezioni in tutte le province, a causa del maggiore aumento della popolazione con più di 65 anni rispetto alla popolazione nella fascia di età da 0 a 14 anni. Tuttavia alcune province – come Modena, Reggio Emilia, Rimini (tutte e tre con un valore dell’indice di vecchiaia intorno a 150) e Forlì-Cesena in misura minore – nel 2003 risultavano essere più “giovani” rispetto alle altre, il cui valore dell’indice di vecchiaia superava quota 200. Da questo scenario abbastanza omogeneo si distacca decisamente Ferrara – il cui valore dell’indice di vecchiaia, nel 2003, superava 260, come combinazione di un alto numero di anziani ma anche di una più bassa 36 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 37 1. epidemiologia sociale del territorio percentuale di popolazione giovanile rispetto alle altre province. Per quanto riguarda l’andamento dell’indice di vecchiaia nel periodo considerato, si può notare un calo a partire dalla metà degli anni novanta nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna, a partire dal 1998 nella provincia di Piacenza, mentre nelle province di Ferrara, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini il calo è stato registrato solo a partire dagli anni 2000 e 2001. Sembra dunque che l’inversione di tendenza sia iniziata in alcune province e si sia poi gradualmente estesa ad altre. La disaggregazione dell’indice di vecchiaia per zone altimetriche – montagna interna, collina e pianura – permette di evidenziare un altro aspetto dell’invecchiamento della popolazione in Emilia-Romagna. Come mostra la tabella 1.7, l’aumento dell’indice di vecchiaia si è verificato in tutte le zone altimetriche della regione: in montagna, l’indice è passato da un valore di 152 nel 1981 a un valore di 258 nel 2003; in collina è passato da circa 103 a poco più di 190; in pianura, infine, da un valore di circa 89 è salito fino a 180. Nonostante l’aumento dell’indice di vecchiaia sia una caratteristica di tutte le zone altimetriche, si deve però sottolineare che la montagna, con un valore dell’indice di poco inferiore a 260, era nel 2003 (ma anche negli anni precedenti) decisamente la zona più “vecchia” rispetto alle altre. Tabella 1.7. Indice di vecchiaia per zone altimetriche (Emilia-Romagna, 19812003) 1981 Montagna interna Collina Pianura Totale 1987 1993 1998 2003 152,54 193,00 102,82 89,48 95,84 146,19 127,23 135,32 256,34 197,46 178,21 187,06 269,77 203,30 189,35 196,78 258,29 190,94 180,13 186,35 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ L’analisi sull’invecchiamento della popolazione dell’Emilia-Romagna può essere effettuata in modo ancora più dettagliato esaminando il valore dell’indice di vecchiaia a livello comunale. La carta tematica di figura 1.3, che riporta i valori dell’indice di vecchiaia per ciascun Comune dell’EmiliaRomagna nel 2003, conferma quanto già evidenziato sia dalla tabella 1.7 che dalla figura 1.2. 37 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 38 parte prima. il profilo sociale regionale Si nota, infatti, che le zone con un indice di vecchiaia più elevato sono quelle appenniniche e il ferrarese, mentre le zone più “giovani” sono la costa romagnola, specialmente la parte appartenente alle province di Forlì-Cesena e Rimini, e le zone pianeggianti e collinari dell’Emilia centrale, in particolare in corrispondenza degli insediamenti industriali (l’indice, infatti, assume un valore basso nei Comuni in cui sono insediati i distretti industriali) e nei Comuni a nord e a sud di Bologna. Figura 1.3. Indice di vecchiaia per Comune (Emilia-Romagna, 2003) 79,34–133,83 180,16–208,97 133,84–159,84 208,98–296,21 158,85–180,15 296,22–2160,0 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ 1.4. Una previsione per i prossimi decenni Date queste caratteristiche della popolazione dell’Emilia-Romagna e i mutamenti che l’hanno contraddistinta negli ultimi decenni, si possono tracciare i possibili cambiamenti che la caratterizzeranno nei decenni futuri. In altre parole, quale sarà la struttura demografica della nostra regione tra un paio di decenni? Diversi sono gli scenari che si possono prospettare, a seconda delle ipotesi sottostanti le proiezioni demografiche: basso, intermedio e alto. Tutti e tre esaminano le variazioni della popolazione nel periodo 2005-2024 e vengono brevemente descritti di seguito, attraverso l’analisi dell’evoluzione del numero dei residenti e dell’indice di vecchiaia. 38 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 39 1. epidemiologia sociale del territorio 1.4.1 Scenario basso2 Se si effettuano le proiezioni demografiche utilizzando le ipotesi sottostanti lo scenario basso, l’evoluzione della popolazione nel ventennio 20052024 avverrà come evidenziato dalla tabella 1.8. Tabella 1.8. Previsione residenti e indice di vecchiaia (Emilia-Romagna, scenario basso, 2005-2024) Residenti Indice di vecchiaia 2005 2009 2014 2019 2024 4.134.966 183,80 4.247.126 175,70 4.349.726 175,90 4.429.345 185,60 4.500.636 200,90 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ La popolazione regionale aumenterebbe abbastanza rapidamente nel primo decennio – di più di duecentomila unità – per poi rallentare lievemente nel decennio successivo, superando di poco i quattro milioni e mezzo di residenti. L’indice di vecchiaia, in base allo scenario basso, calerebbe nel periodo 2005-2009 poi, nei successivi cinque anni, rimarrebbe costante prima di iniziare una risalita, dapprima impercettibile (da 175,7 a 175,9 dal 2009 al 2014), poi via via più rapida, per arrivare al valore di 200,9 nel 2024. Nell’arco del ventennio, pertanto, la popolazione aumenterebbe di poco meno di 370.000 unità e l’indice di vecchiaia crescerebbe di circa venti punti: in altre parole, rispetto al 2005, nel 2024 l’Emilia-Romagna sarebbe caratterizzata da una maggiore quota di anziani sul totale della popolazione. 1.4.2. Scenario intermedio3 I mutamenti della popolazione dell’Emilia-Romagna nel periodo 20052024, in base alle ipotesi previste dallo scenario intermedio, seguirebbero le traiettorie descritte dalla tabella 1.9 alla pagina seguente. La popolazione regionale aumenterebbe in modo abbastanza cospicuo sia nel primo che nel secondo decennio – di circa 300.000 unità in entrambi – arrivando a contare poco meno di 4.800.000 residenti nel 2024. Sempre in base allo stesso scenario, l’indice di vecchiaia inizierebbe a diminuire fino al 2014 (da un valore iniziale di 183,7 fino a 169,5) per poi 39 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 40 parte prima. il profilo sociale regionale ricominciare a salire, prima lentamente (da 169,5 a 171,8 nel periodo che va dal 2014 al 2019) e poi più rapidamente, arrivando al valore di 177,2 nel 2024. Nell’arco del ventennio, pertanto, la popolazione aumenterebbe di circa 650.000 unità e l’indice di vecchiaia calerebbe di alcuni punti. Tabella 1.9. Previsione residenti e indice di vecchiaia (Emilia-Romagna, scenario intermedio, 2005-2024) Residenti Indice di vecchiaia 2005 2009 2014 2019 2024 4.136.823 183,70 4.273.989 173,70 4.438.022 169,50 4.601.849 171,80 4.773.895 177,20 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ 1.4.3. Scenario alto4 L’ultima proiezione demografica della popolazione dell’Emilia-Romagna utilizza le ipotesi sottostanti lo scenario alto. I mutamenti della popolazione dell’Emilia-Romagna nel periodo 2005-2024, in base alle ipotesi previste da tale scenario, seguirebbero le traiettorie descritte dalla tabella 1.10. Tabella 1.10. Previsione residenti e indice di vecchiaia (Emilia-Romagna, scenario alto, 2005-2024) Residenti Indice di vecchiaia 2005 2009 2014 2019 2024 4.138.941 183,50 4.302.148 171,70 4.528.754 163,50 4.779.174 160,00 5.055.370 159,00 Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/ La popolazione regionale aumenterebbe di circa 400.000 unità nel periodo 2005-2014, per poi crescere in modo ancor più rapido nel decennio successivo, di oltre 500.000 unità, e superare i 5.000.000 di residenti nel 2024. L’indice di vecchiaia calerebbe per tutto il periodo preso in esame, dapprima rapidamente (di più di dieci punti nel solo periodo 2005-2009) 40 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 41 1. epidemiologia sociale del territorio e poi più lentamente, assestandosi intorno a un valore di 160 negli ultimi cinque anni del periodo considerato. In base allo scenario alto, perciò, i residenti in Emilia-Romagna aumenterebbero di circa 1.000.000 e l’indice di vecchiaia calerebbe in modo abbastanza significativo, di circa 25 punti, sottolineando un parziale ringiovanimento della popolazione. 41 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 42 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 43 2 Alcuni indicatori di disagio sociale 2.1. Minori in difficoltà Cresce in Emilia-Romagna il numero dei minori in difficoltà affidati ai servizi sociali secondo quanto sostenuto dal Primo rapporto sull’infanzia e l’adolescenza dell’Osservatorio regionale sull’infanzia. Questo dato si aggiunge al preoccupante tasso di incremento dei nuovi ingressi: il numero di minori presi in carico per la prima volta dai servizi sociali è cresciuto in tutta la regione del 24% circa; inoltre il 40% dei ragazzi ospitati nelle strutture di accoglienza è di origine extracomunitaria. Tabella 2.1. Minori affidati ai servizi sociali in carico al 31 dicembre 2004 Nuovi nel 2004 Dimessi nel 2004 In carico al 31.12.04 10.395 222 4.147 6.556 200 2.424 42.221 1.883 14.711 Minori in carico ai servizi sociali Di cui disabili certificati Di cui stranieri Fonte: Regione Emilia-Romagna. I minori interessati da almeno una disposizione (di tutela, vigilanza o affido al servizio sociale) sono 42.221 al 31 dicembre 2004 di cui 10.395 nuovi e 6.556 dimessi. Il fenomeno dell’abuso sessuale o del maltrattamento dei minori interessa oltre 300 bambini e bambine del territorio regionale; l’abuso sessuale si verifica quando il minore viene strumentalizzato e coinvolto in attività sessuali anche se prive di violenza fisica, allo scopo di procurare piacere all’adulto che realizza tale comportamento verso il minore. 43 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 44 parte prima. il profilo sociale regionale L’abuso sessuale viene solitamente compiuto da persone care al bambino/a (familiari, parenti, educatori, amici di famiglia, religiosi). Spesso si protrae per anni nel più assoluto silenzio, producendo danni gravissimi allo sviluppo del bambino/a. Il maltrattamento comprende quegli atti e quelle carenze che turbano gravemente il bambino danneggiando la sua integrità corporea (maltrattamento fisico), il suo sviluppo affettivo, intellettivo e morale (maltrattamento psicologico). Nel maltrattamento è compresa la grave trascuratezza che si verifica quando i genitori non sono capaci di capire i bisogni materiali e affettivi dei propri figli e non riescono per questo a curarli e proteggerli, pregiudicando la loro salute. Tabella 2.2. Minori affidati ai servizi sociali per abuso sessuale (anno 2004) N. Minori in carico ai servizi sociali per abuso sessuale 455 Di cui disabili certificati 213 Di cui stranieri 55 Fonte: Regione Emilia-Romagna. Tabella 2.3. Minori affidati ai servizi sociali per abuso/maltrattamenti (anno 2004) N. Minori in carico ai servizi sociali per abuso/maltrattamenti 405 Di cui disabili certificati 195 Di cui stranieri Fonte: Regione Emilia-Romagna. 44 55 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 45 2. alcuni indicatori di disagio sociale 2.2. Prostituzione e tratta Tra i vari mercati di sfruttamento delle persone immigrate, quello della prostituzione forzata costituisce senza dubbio il più visibile e il più lucroso per la criminalità. La prostituzione forzata è caratterizzata da una grande dinamicità nei cambiamenti: basti ricordare come le prostitute di provenienza straniera abbiano soppiantato quelle italiane e come una prostituzione di strada stia progressivamente lasciando il posto a una prostituzione più riservata (in appartamento o in albergo). Occorre inoltre rilevare che anche i modelli di sfruttamento delle persone risultano molto diversi a seconda della nazionalità degli sfruttatori. Risulta assai difficile quantificare il numero esatto delle vittime di tratta presenti in Italia; molte delle ragazze costrette a prostituirsi provengono dai paesi africani, asiatici e dall’America Latina. In particolare gli ultimi eventi hanno visto un aumento esponenziale delle ragazze provenienti dall’Est Europa e dalla regione dei Balcani. Secondo i dati di una ricerca svolta in Emilia-Romagna nell’ambito del progetto west (Women East Smuggling Trafficking) gli sfruttatori sono in prevalenza albanesi (circa il 47%) ma cominciano a farsi strada anche gli italiani (23%) e crescono i rumeni. Colpisce il fatto che nelle organizzazioni criminali quasi il 20% sia rappresentato da donne (tra queste prevalgono le ucraine), seppure con ruoli di controllo e di secondo piano. Vittime dello sfruttamento sono prevalentemente donne tra i 17 e i 22 anni, di nazionalità rumena (quasi il 33% del campione) seguite dalle moldave (22%), dalle albanesi e dalle ucraine (15% circa per entrambe le nazionalità). Dal 1996 al 2003 si registra inoltre un progressivo calo delle albanesi (dal 40 al 15%) e un aumento delle rumene e delle moldave (queste ultime dal 4,58 al 19,12%). Sul tema della prostituzione invisibile, infatti, si rileva un calo delle donne su strada a favore di una prostituzione al chiuso, più difficile da vedere e anche da raggiungere da parte degli operatori sociali. L’analisi ha messo in luce un fenomeno complesso: la prostituzione su strada non sta scomparendo tuttavia si rileva una maggiore strategia di “invisibilità”, ossia il tentativo di rendere meno visibile il fenomeno. Dallo studio nell’ambito del progetto west emerge il ricorso a una maggiore mobilità, alla diversificazione degli orari e delle presenze giornaliere e notturne, allo spostamento del consumo al chiuso in seguito ad appuntamento telefonico con il cliente. Mentre un tempo una donna rimaneva in una determinata zona diversi mesi, oggi non è più così. 45 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 46 parte prima. il profilo sociale regionale Aumentano le donne coinvolte nel giro, tra cui le minorenni, e gli stessi progetti migratori sono sempre più spesso temporanei e ripetuti nel tempo. 2.3. Dipendenze Gli utenti tossicodipendenti in carico ai quarantaquattro sert regionali nel 2004 sono stati 11.434, il 9,3% in più rispetto al 2002. La crescita è da imputarsi particolarmente a tre aziende usl: Piacenza (12,1%), Reggio Emilia (23,5%) e Modena (11,3%). Tabella 2.4. Utenti tossicodipendenti in carico suddivisi per azienda usl (anni 2002-2004, valori assoluti e variazioni percentuali) Azienda USL Utenti 2002 Utenti 2003 Utenti 2004 Variazione 2002-2004(%) Piacenza Parma Reggio Emilia Modena Bologna Imola Ferrara Ravenna Forlì Cesena Rimini 551 1.233 979 1.333 2.368 339 888 945 468 430 838 503 1.207 1.081 1.316 2.485 385 995 958 488 436 920 567 1.403 1.279 1.422 2.588 366 1.001 990 476 451 891 2,8 12,1 23,5 6,3 8,5 7,4 11,3 4,5 1,7 4,7 5,9 Regione 10.372 10.774 11.434 9,3 Fonte: sert Emilia-Romagna. La forte crescita dell’utenza va attribuita soprattutto ai nuovi pazienti, 2.388 soggetti, il 18,6% in più rispetto all’anno precedente, mentre l’utenza già in carico, o reingressi, 9.046 soggetti, è aumenta del 4% rispetto al 2003. Per quanto concerne i dati socioanagrafici, si confermano stabili la percentuale di pazienti di sesso maschile (l’82,7% degli utenti 2004) e la quota di utenti giovani con meno di 24 anni (il 14% dell’utenza negli ultimi tre anni). Si registra, invece, un lieve calo degli utenti della fascia 25-34 anni (38,2% nel 2004) e, di conseguenza, un lieve aumento degli utenti con più di 35 anni (47,7%), a ulteriore dimostrazione di come l’utenza dei servizi per le dipendenze stia sempre più invecchiando. 46 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 47 2. alcuni indicatori di disagio sociale Tabella 2.5. Nuovi utenti tossicodipendenti in carico suddivisi per azienda usl (anni 2002-2004, valori assoluti e variazioni percentuali) Azienda usl Utenti 2002 Utenti 2003 Utenti 2004 Variazione 2002-2004(%) 98 223 189 199 424 93 165 129 95 82 247 86 154 205 191 478 111 214 176 105 96 256 119 278 290 306 498 108 187 193 104 82 223 17,6 19,8 34,8 35,0 14,9 13,9 11,8 33,2 8,7 0 -10,8 1.944 2.072 2.388 18,6 Piacenza Parma Reggio Emilia Modena Bologna Imola Ferrara Ravenna Forlì Cesena Rimini Regione Fonte: sert Emilia-Romagna. Tabella 2.6. Utenti tossicodipendenti suddivisi per sesso e azienda usl (anni 2003-2004, valori assoluti) azienda usl 2003 2004 M F Totale M F Totale Piacenza Parma Reggio Emilia Modena Bologna Imola Ferrara Ravenna Forlì Cesena Rimini 415 1.018 906 1.097 1.978 292 844 763 406 359 758 88 189 175 219 507 93 151 195 82 77 162 503 1.207 1.081 1.316 2.485 385 995 958 488 436 920 475 1.207 1.085 1.189 2.053 292 865 793 400 368 724 92 196 194 233 535 74 136 197 76 83 167 567 1.403 1.279 1.422 2.588 366 1.001 990 476 451 891 Regione 8.836 1.938 10.774 9.451 1.983 11.434 Fonte: sert Emilia-Romagna. 47 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 48 parte prima. il profilo sociale regionale Tabella 2.7. Utenti tossicodipendenti suddivisi per fasce d’età (valori assoluti e percentuali) Regione 2002(v.a.) < 15 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 > 40 Totale dati validi 11 151 1.225 1.979 2.583 2.454 1.513 9.916 2003(v.a.) 2004(v.a.) 4 237 1.271 1.928 2.399 2.663 2.282 10.784 13 286 1.308 1.971 2.403 2.643 2.810 11.434 2002(%) 2003(%) 2004(%) 0,1 1,5 12,4 20,0 26,0 24,7 15,3 100,0 0,0 2,2 11,8 17,9 22,2 24,7 21,2 100,0 0,1 2,5 11,4 17,2 21,0 23,1 24,6 100,0 Fonte: sert Emilia-Romagna. Per quanto riguarda i consumi di sostanze, si confermano le tendenze evidenziate negli ultimi cinque anni. Tabella 2.8. Utenti tossicodipendenti suddivisi per sostanza primaria d’abuso (anni 2002-2004, valori assoluti e percentuali) Sostanza primaria 2002(v.a.) 2003(v.a.) 2004(v.a.) 2002(%) 2003(%) 2004(%) Allucinogeni 8 Amfetamine 20 Barbiturici 6 Benzodiazepine 98 Cannaibinoidi 894 Cocaina 960 Crack 7 Eroina 7.910 Metadone 50 Morfina 7 Ecstasy 103 Altri oppiacei 20 Inalanti 4 Alcol 177 Altro/non indicato 108 Totale 10.372 9 19 5 89 968 1.133 26 7.990 114 6 92 19 3 156 155 10.784 7 23 6 77 1.148 1.421 5 8.225 47 6 86 28 10 181 85 11.355 0,08 0,19 0,06 0,94 8,62 9,26 0,07 76,26 0,48 0,07 0,99 0,19 0,04 1,71 1,04 100,00 0,08 0,18 0,05 0,83 8,98 10,51 0,24 74,09 1,06 0,06 0,85 0,18 0,03 1,45 1,44 100,00 0,06 0,20 0,05 0,68 10,11 12,51 0,04 72,44 0,41 0,05 0,76 0,25 0,09 1,59 0,75 100,00 Fonte: sert Emilia-Romagna. 48 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 49 2. alcuni indicatori di disagio sociale Gli utenti eroinomani costituiscono ancora la maggior parte dell’utenza dei sert (72,4%, con un calo progressivo rispetto agli anni precedenti) mentre la cocaina si conferma la seconda sostanza d’assunzione primaria tra gli utenti presi in carico (12,5%). L’aumento degli utenti che assumono primariamente cocaina risulta particolarmente marcato nel confronto con gli anni precedenti. Nel 2002 questi soggetti costituivano il 9,26% dell’utenza complessiva, nel 2003 la stessa percentuale passa al 10,51% e nel 2004 al 12,51%. Tabella 2.9. Utenti tossicodipendenti suddivisi per sostanza secondaria d’abuso (anni 1991-2004, valori assoluti) Sostanze secondarie 2002 2003 2004 Allucinogeni Amfetamine Barbiturici Benzodiazepine Cannaibinoidi Cocaina Crack Eroina Metadone Morfina Ecstasy Altri oppiacei Inalanti Alcol Altro Totale 38 40 9 346 1.544 1.675 5 287 86 17 122 20 1 728 30 42 10 349 1.507 1.349 4 247 81 18 106 23 1 614 4.918 4.381 33 29 6 288 1.640 2.049 3 301 92 13 126 30 1 861 212 5.684 Fonte: sert Emilia-Romagna. Rimane sostanzialmente invariato il numero di decessi dell’utenza tossicodipendente; in particolare si rileva una sostanziale diminuzione dei decessi a causa dell’hiv (19,6% nel 2004 contro un 24,6% dell’anno precedente), mentre duplicano quelli relativi agli incidenti stradali passando da un 7,5% al 15,9%. Dal 1996, anno in cui sono stati istituiti i Centri alcologici, l’utenza alcoldipendente è aumentata a ritmi esponenziali. Nel 2004 sono stati presi in carico 4.696 utenti alcolisti, il 12,45% in più rispetto all’anno precedente, il 199,7% in più rispetto al 1996. 49 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 50 parte prima. il profilo sociale regionale Tabella 2.10. Tossicodipendenti deceduti suddivisi per causa del decesso (anni 2003-2004, valori assoluti e percentuali) Cause di decesso hiv Overdose Suicidio Incidente stradale Cirrosi epatica Omicidio Altro Totale 2003 (v.a.) 2004 (v.a.) 2003 (%) 2004 (%) 33 22 14 10 9 6 40 134 27 25 11 22 16 0 37 138 24,6 16,4 10,4 7,5 6,7 4,5 29,9 100,0 19,6 18,1 8,0 15,9 11,6 0,0 26,8 100,0 Fonte: sert Emilia-Romagna. L’istituzione di questi servizi risponde quindi a una domanda di trattamento molto diffusa, e in crescita, nella popolazione. Tabella 2.11. Utenti alcolisti in carico ai servizi (anni 1996-2004, valori assoluti e variazioni percentuali) Anni v.a. 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 1.567 1.768 2.166 2.432 2.720 3.090 3.580 4.176 4.696 Variazioni per anno (%) 12,83 22,51 12,28 11,84 13,60 15,86 16,65 12,45 Fonte: sert Emilia-Romagna. L’incremento si deve attribuire soprattutto alla quota di nuovi utenti che ogni anno accede ai servizi: 31,2% nel 2002, 28,5% nel 2003 e 28,5% nel 2004. Gli utenti che accedono ai Centri alcologici hanno un’età media molto più elevata rispetto agli utenti tossicodipendenti. I giovani con età inferiore ai 29 anni sono il 6,2% del totale degli utenti presi in carico. La 50 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 51 2. alcuni indicatori di disagio sociale maggior parte dell’utenza si concentra nelle fasce da 30-39 anni (23,2%), 40-49 anni (31,7%) e oltre i 50 anni (39,0%). Gli alcolisti sono di sesso maschile (73,9%) contro un 26,1% di donne. Tabella 2.12. Utenti alcoldipendenti suddivisi per sesso (anni 2001-2004, valori assoluti e rapporti percentuali) Anno Maschi Femmine Totale Rapporto maschi/ femmine 2001 2002 2003 2004 2.330 2.682 3.064 3.472 760 898 1.109 1.224 3.090 3.580 4.173 4.696 3,1 3,0 2,8 2,8 Fonte: sert Emilia-Romagna. Tabella 2.13. Utenti alcoldipendenti suddivisi per classi di età (anni 2002-2004) Età 2002 2003 (*) 2004 < 19 20-29 30-39 40-49 50-59 > 60 Totale casi validi 24 233 884 1.059 812 568 3.580 14 268 993 1.254 972 672 4.173 10 280 1.089 1.487 1.121 709 4.696 (*) Non sono conteggiati 3 utenti di Imola in quanto i loro dati erano incompleti. Fonte: sert Emilia-Romagna. Tabella 2.14. Utenti alcolisti suddivisi per tipo di sostanza alcolica assunta (anni 2002-2004, valori assoluti) Sostanza alcolica assunta 2002 2003 2004 Superalcolici Aperitivi, amari, digestivi Vino Birra Altro Totale 414 103 1.951 512 603 3.583 606 127 2.173 575 692 4.173 594 166 2.342 677 950 4.729 Fonte: sert Emilia-Romagna. 51 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 52 parte prima. il profilo sociale regionale Dei vari tipi di alcolici, il vino è quello più consumato (49,5%), seguito da superalcolici (12,6%), birra (14,3%), aperitivi, amari e digestivi (3,5%) e altri. 2.4. Criminalità e sicurezza Secondo il nono rapporto annuale della Regione Emilia-Romagna, Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna (2004), nel triennio 1996-98 sono aumentati del 30% i furti in appartamento, mentre nel biennio 2001-2002 si è verificato un netto calo del 9,1%. Lo stesso vale per le rapine in genere, che sono aumentate nel triennio precedente al 1999 del Tabella 2.15. Andamento di alcuni reati o gruppi di reati in Emilia-Romagna (trienni 1996-98 e 2001-2002 i triennio ii triennio 1996 1997 1998 Furti in appartamento Numero 15.464 Indice (*) 100,0 17.690 114,4 21.138 130,2 +30,2 Totale furti Numero Indice (*) 101.375 100,0 113.633 112,1 122.799 121,1 +21,1 Rapine in banca Numero 238 Indice (*) 100,0 249 104,6 355 149,2 +49,2 224 100,0 Totale rapine Numero Indice (*) 1.608 100,0 1.747 108,6 2.146 133,5 +33,5 1.974 100,0 175.298 100,0 202.087 115,3 192.923 110,1 Totale reati Numero Indice (*) Differenza indice 1996-98 +10,1 2001 13.836 100,0 2002 2003 Differenza indice 2001-2002 12.578 90,0 - –9,1 115.800 117.207 100,0 101,2 - +1,2 318 142,0 - +42,0 1.985 100,6 - +0,6 180.418 181.495 100,0 100,6 - +0,6 (*) 1996 = 100. Fonte: Servizio promozione e sviluppo delle politiche per la sicurezza e della polizia locale Regione Emilia-Romagna (2004, p. 12). 52 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 53 2. alcuni indicatori di disagio sociale 33%, mentre è probabile che nell’ultimo triennio si confermi una crescita vicino allo zero. L’unico reato che non presenta, in negativo, significative differenze sono le rapine in banca: +49% nel triennio precedente il 1999, +42% per il triennio che precede il 2004. Allo stesso modo è importante valutare la percezione soggettiva rispetto al senso di insicurezza presente sul territorio regionale; questo dato è raccolto attraverso sondaggi più o meno sistematici presso la popolazione residente. La tabella 2.16 evidenzia in particolare due fenomeni: alla domanda “A suo avviso, negli ultimi dodici mesi, la criminalità in Italia è…” coloro che nel triennio 1996-1998 sostenevano che essa fosse aumentata erano, in media, il 75,3%, dato che nel triennio 2001-2003 cala di quasi 19 punti percentuali; scende inoltre la media di chi considera il proprio Comune poco o per niente sicuro. Questi dati testimoniano come «cala la preoccupazione per la criminalità come fatto sociale» (ibid.). Tabella 2.16. Andamento della percezione soggettiva rispetto al senso di insicurezza i triennio 1996 1997 ii triennio 1998 Media 2001 2002 2003 Media 3,4 33,9 50,9 3,1 25,2 57,3 4,1 28,1 56,6 80,0 16,7 79,6 17,0 80,1 17,3 18,2 25,0 81,1 73,0 1.200 1.200 21,2 76,3 1.200 21,4 76,8 A suo avviso, negli ultimi dodici mesi, la criminalità in Italia è…. Diminuita 2,9 Rimasta ai livelli precedenti 13,8 Aumentata 75,6 2,6 18,5 72,2 2,0 14,7 78,0 2,5 15,6 75,3 5,8 25,1 61,7 Per quanto riguarda il pericolo della criminalità secondo Lei, il suo Comune è… Molto e abbastanza sicuro 61,2 Poco e per niente sicuro 38,8 64,0 36,0 67,6 32,4 64,3 35,8 80,7 18,2 Nella zona in cui abita, la criminalità è un problema… Molto e abbastanza grave 11,7 12,9 Poco e per niente grave 88,3 87,1 Numerosità campionaria 1.200 1.200 14,6 85,4 1.200 13,1 86,9 Fonte: Servizio promozione e sviluppo delle politiche per la sicurezza e della polizia locale Regione Emilia-Romagna (2004, p. 12). 53 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 54 parte prima. il profilo sociale regionale Più difficile è interpretare il terzo dato, quello che si riferisce alla percezione di insicurezza nella propria zona di abitazione, ovvero quella dimensione più diretta, quella della propria vita quotidiana. Infatti, in controtendenza con gli altri due indicatori, i cittadini dell’Emilia-Romagna ci segnalano un peggioramento della situazione in questo ultimo triennio rispetto a quello precedente al 1999. C’è infatti un 8% di cittadini in più che segnala il problema della criminalità nella propria zona di residenza come molto e abbastanza grave. (Regione EmiliaRomagna, 2004, p. 13) 2.5. La povertà relativa in Italia e in Emilia-Romagna In base al rapporto istat La povertà relativa in Italia nel 2004 (2005), la stima dell’incidenza della povertà relativa viene effettuata sulla base di una soglia convenzionale che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita “povera” in termini relativi. La soglia convenzionale di povertà relativa per una famiglia di due componenti, che è rappresentata dalla spesa media mensile pro capite, risulta nel 2004 di 919.98 euro. Nello stesso anno le famiglie residenti in Italia che vivono in condizione di povertà relativa sono 2.674.000, pari all’11,7% delle famiglie residenti. Nella tabella 2.17 è possibile vedere come l’incidenza della povertà relativa resti inalterata rispetto agli anni precedenti. Gli aumenti statisticamente significativi riguardano le famiglie residenti nel Mezzogiorno, le famiglie numerose e quelle con figli minori o anziani. Si nota, inoltre, che l’intensità della povertà, che indica la spesa media delle famiglie, è pari al 21,9%: ciò significa che le famiglie povere spendono in media 719 euro al mese. Se si passa a individuare le differenze regionali, si evidenzia come la percentuale di famiglie povere aumenti in maniera esponenziale spostandosi verso Sud: si passa dal 4,7% del Nord al 7,3% del Centro e al 25% del Mezzogiorno. Osservando i dati delle singole regioni, appare subito evidente che l’Emilia-Romagna registra un’incidenza di povertà relativa molto bassa rispetto alle altre regioni, pari al 3,6% (tab. 2.18), con una diminuzione di un punto percentuale rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda le diminuzioni, degna di nota è pure quella che si registra nella provincia autonoma di Bolzano, che passa da 11,1% nel 2003 a 4,6% nel 2004. Rispetto alle caratteristiche delle famiglie povere è necessario considerare alcune variabili significative: il numero di componenti del nucleo familiare, la presenza o meno di anziani e di figli minori e infine la condizione professionale. 54 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 55 2. alcuni indicatori di disagio sociale Tabella 2.17. Indicatori di povertà relativa per ripartizione geografica (anni 2003-2004, migliaia di unità e valori percentuali) Nord 2003 Migliaia di unità Famiglie povere Famiglie residenti Persone povere Persone residenti Centro 2003 2004 584 512 253 10.691 10.993 4.335 1.477 1.271 715 25.580 25.911 10.903 324 4.460 823 11.046 Composizione percentuale Famiglie povere Famiglie residenti Persone povere Persone residenti 2004 Mazzogiorno 2003 2004 Italia 2003 2004 1.564 1.837 2.401 2.674 7.225 7.360 22.251 22.813 4.637 5.494 6.829 7.588 20.482 20.581 56.965 57.538 24,3 48,0 21,6 44,9 19,2 48,2 16,8 45,0 10,5 19,5 10,5 19,1 12,1 19,6 10,8 19,2 65,1 32,5 67,9 36,0 68,7 32,3 72,4 35,8 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 5,5 5,8 4,7 4,9 5,8 6,6 7,3 7,4 21,6 22,6 25,0 26,7 10,8 12,0 11,7 13,2 18,8 17,4 18,0 16,9 22,7 24,0 21,3 21,9 Incidenza della povertà (%) Famiglie Persone Intensita della povertà (%) Famiglie Fonte: istat (2005). Le famiglie con cinque o più componenti presentano ovunque livelli di povertà elevati; si tratta in genere di coppie con figli e di famiglie con membri aggregati tra le quali si osservano le incidenze più elevate: il 22,7% per le coppie con tre o più figli e il 18,5% per le famiglie con membri aggregati. La presenza poi di un elevato numero di figli, in particolare minori, e di anziani oltre i 64 anni di età fa registrare le più alte percentuali di incidenza di povertà relativa, con ovvie differenze tra le diverse regioni ma con valori crescenti da Nord a Sud. Di particolare interesse è anche la variabile che si riferisce alla condizione lavorativa: la percentuale di famiglie povere tra quelle con membri esclusi dal mercato del lavoro è, come immaginabile, decisamente elevata e pari al 28,9% tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione e al 37,4% tra quelle con due o più componenti in cerca di lavoro. 55 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 56 parte prima. il profilo sociale regionale Tabella 2.18. Incidenza di povertà relativa, errore di campionamento e intervallo di confidenza per regione e ripartizione geografica (anni 2003-2004, valori percentuali) 2003 incidenza errore (%) (%) 2004 intervallo incidenza errore intervallo di confidenza (%) (%) di confidenza lim. inf. lim. sup lim. inf. lim. sup Italia 10,8 Piemonte 7,1 Valle d’Aosta 7,7 Lombardia 4,5 Trentino-Alto Adige 8,8 Trento 6,8 Bolzano 11,1 Veneto 4,2 Friuli Venezia Giulia 9,7 Liguria 6,3 Emilia-Romagna 4,7 2,3 9,9 19,2 9,6 12,5 17,3 17,3 13,7 11,0 12,3 14,6 10,3 5,7 4,8 3,7 6,7 4,5 7,3 3,1 7,6 4,8 3,4 11,3 8,5 10,6 5,4 11,0 9,1 14,9 5,3 11,8 7,8 6,0 11,7 6,4 6,0 3,7 7,4 9,9 4,6 4,6 5,3 5,8 3,6 2,3 10,5 10,5 11,8 12,1 15,5 17,1 11,7 16,0 17,5 15,1 11,2 5,1 5,1 2,8 5,6 6,9 3,1 3,5 3,6 3,8 2,5 12,2 7,7 7,7 4,6 9,2 12,9 6,1 5,7 7,0 7,8 4,7 Nord Toscana Umbria Marche Lazio 5,5 4,2 8,7 5,8 6,5 4,7 14,5 16,1 15,0 9,3 5,0 3,0 6,0 4,1 5,3 6,0 5,4 11,4 7,5 7,7 4,7 5,5 9,1 7,7 8,1 5,2 12,7 13,2 16,2 9,6 4,2 4,1 6,7 5,3 6,6 5,2 6,9 11,5 10,1 9,6 Centro Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna 5,8 15,8 23,2 21,2 20,4 25,6 24,2 25,8 13,3 6,5 10,1 9,7 5,8 9,0 8,3 6,0 4,6 10,6 5,1 12,7 18,8 18,8 16,8 21,4 21,3 23,3 10,5 6,5 18,9 27,6 23,6 24,0 29,8 27,1 28,3 16,1 7,3 16,6 22,4 24,9 25,2 28,5 25,0 29,9 15,4 6,5 12,1 10,1 5,5 8,9 7,7 7,9 4,3 9,3 6,4 12,7 18,0 22,2 20,8 24,2 21,1 27,4 12,6 8,2 20,5 26,8 27,6 29,6 32,8 28,9 32,4 18,2 Mezzogiorno 21,6 2,9 20,4 22,8 25,0 2,8 23,6 26,4 Fonte: istat (2005). La condizione è tanto più grave quanto meno forte è la capacità reddituale degli altri componenti: tra le famiglie con almeno una persona in cerca di occupazione l’incidenza è pari al 15,7% quando la persona di riferimento è un lavoratore autonomo, al 18,8% se si tratta di un dipendente, 56 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 57 2. alcuni indicatori di disagio sociale mentre sale al 25% nel caso in cui la persona di riferimento si sia ritirata dal lavoro. In generale, le famiglie di lavoratori autonomi sono meno toccate dal fenomeno della povertà: 7,5% contro il 9,3% rilevato per le famiglie di dipendenti e il 13,1% di quelle in cui sono presenti soggetti ritiratisi dal lavoro. Tabella 2.19. Incidenza di povertà relativa per condizione e posizione professionale della persona di riferimento della famiglia, per ripartizione geografica (anni 2003-2004, valori percentuali) Nord Condizione eposizione professionale Dipendente Autonomo In cerca di occupazione Ritirato dal lavoro Centro Mezziogiorno Italia 2003 2004 2003 2004 2003 2004 2003 2004 3,5 3,6 (*) 7,4 3,5 2,0 (*) 6,2 3,6 3,4 (*) 8,1 4,9 (*) (*) 9,9 17,7 14,6 36,2 24,4 20,5 19,9 38,5 27,8 8,2 6,9 27,9 12,4 9,3 7,5 26,9 13,1 Fonte: istat (2005). In sintesi, il confronto tra il 2003 e il 2004 evidenzia, a livello nazionale, come la diffusione della povertà sia significativamente in crescita tra le famiglie più numerose, tra le coppie di giovani-adulti e tra le coppie con uno o due figli, soprattutto quando uno è minore. Risulta in crescita anche la percentuale di famiglie povere tra quelle in cui il membro di riferimento è un lavoratore dipendente (si passa da 8,2% a 9,3%). Nel Mezzogiorno l’aumento dell’incidenza della povertà risulta generalizzato poiché investe tutte le tipologie familiari a prescindere dall’età e dalla condizione professionale. Al Centro il fenomeno risulta sostanzialmente stabile, con un aumento significativo per quanto riguarda l’incidenza della povertà nelle famiglie di anziani. Il fenomeno al Nord, contrariamente al resto d’Italia, è in diminuzione, specie tra i lavoratori autonomi e tra le famiglie di anziani, soprattutto se in coppia. 57 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 58 parte prima. il profilo sociale regionale Tabella 2.20. Totale utenti nei Centri di ascolto diocesani (valori assoluti) Diocesi 2004 2005 Piacenza Fidenza Reggio Emilia Modena Carpi-Mirandola Parma Bologna Imola Faenza Forlì Cesena Ravenna Ferrara Rimini 1.687 417 1.950 1.910 1.473 378 1.720 238 1.016 1.372 640 601 1.301 2.767 1.488 426 2.025 1.686 1.183 1.294 1.694 1.020 1.147 2.286 613 480 983 4.785 Totale complessivo 17.470 21.110 Note: Il numero di utenti relativo alla diocesi di Piacenza afferisce a un solo Centro di ascolto diocesano. Il numero di utenti relativo alla diocesi di Bologna afferisce al Centro di ascolto immigrati e al Centro di ascolto italiani. Il numero degli utenti della diocesi di Carpi afferisce al Centro di ascolto diocesano di Carpi e a quello di Mirandola. Il numero di utenti del 2004 relativo alla diocesi di Forlì afferisce ai soli nuovi utenti del Centro di ascolto. Il numero degli utenti del 2005 relativo alla Caritas di Rimini si riferisce ai tredici Centri del territorio, mentre per il 2004 i dati si riferiscono al solo Centro di ascolto diocesano. Il numero degli utenti per il Centro di ascolto di Parma non conteggia le tessere per la mensa. 2.6. I dati sulla povertà raccolti dai Centri di ascolto diocesani Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a un processo di costante dilatazione delle situazioni di povertà e di emarginazione come conseguenza del perdurare della grave crisi economica e sociale che ha investito in modo preoccupante l’intera nazione. Sembra tuttavia che i dati riferiti alla povertà non suscitino interesse da parte delle comunità parrocchiali, non tanto per un difetto di comunicazione quanto piuttosto per un difetto di relazione e quindi di confronto: «È raro che in una parrocchia ci si confronti su temi come gli atteggiamenti verso gli immigrati oppure rispetto ai numeri dei poveri perché si ritiene siano temi da delegare alla politica o ai partiti». 58 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 59 2. alcuni indicatori di disagio sociale Nelle parrocchie spesso si ragiona della povertà come se fosse un’esperienza “altra”, mentre sarebbe interessante porsi il problema della vulnerabilità anche delle persone che sono vicine alla realtà parrocchiale. Allo stesso modo, anche la realtà ecclesiale in genere ha difficoltà a percepire il fenomeno, perché l’atteggiamento dominante è quello della delega alla Caritas e ai Centri di ascolto. Al contrario, l’attività degli osservatori deve essere accompagnata dalla capacità e dalla volontà di leggere e interpretare i dati sempre più in un’ottica pastorale. I dati che presenteremo si riferiscono all’utenza transitata nei quattordici Centri di ascolto Caritas diocesani della regione Emilia-Romagna, che non rappresentano l’intero universo delle povertà della regione, ma solo uno spaccato di coloro che, trovandosi in difficoltà, hanno deciso di rivolgersi al Centro di ascolto per chiedere un aiuto. Di conseguenza la forza del dato non consiste tanto nella capacità di spiegare un fenomeno come la povertà nella sua globalità, quanto invece nella possibilità di mettere in evidenza alcune forme di povertà e di conseguenza alcune metodologie per la risoluzione di esse attraverso il contatto diretto con la persona bisognosa (Centro di ascolto delle povertà della Caritas Piacenza-Bobbio, 2005). Il primo dato interessante riguarda il numero di persone che sono transitate nei Centri di ascolto; se nel 2004 gli utenti erano 17.473, nel 2005 questo numero è salito a 19.343. Non essendo possibile un confronto regionale con le annualità precedenti, ci limitiamo a notare come i tre Osservatori diocesani delle povertà e delle risorse presenti in regione (Osservatorio interdiocesano di Modena e Carpi, Osservatorio diocesano di Rimini e Osservatorio diocesano di Piacenza) evidenzino un costante aumento dell’utenza nei Centri di ascolto correlati. A Piacenza si è passati da 1.495 persone seguite nel 2003 a 1.687 nel 2004, con un incremento in valore assoluto pari a 192 unità. Negli ultimi vent’anni le persone che si sono rivolte al Centro di ascolto sono passate da 410 a 1.687, con un incremento del 312%. «Si tratta di una progressione numerica che non conosce soste, cui si è accompagnata nel corso degli anni una progressiva diversificazione dei servizi offerti dalla struttura» (Centro diocesano di Servizio sociale – Caritas diocesana di PiacenzaBobbio, 2005, p. 2). L’Osservatorio interdiocesano di Modena e Carpi rileva un’utenza raddoppiata, passata da 1.822 nel 1995 a 3.383 nel 2004: 59 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 60 parte prima. il profilo sociale regionale I Centri di ascolto di Modena, Carpi e Mirandola nel 2004 hanno registrato nel loro complesso un totale di 3.383 utenti, dei quali 1.942 (57%) sono arrivati per la prima volta nel 2004. È un dato mai raggiunto in precedenza che consolida il preoccupante aumento registrato nel 2002 e recupera pienamente la leggera flessione registrata lo scorso anno. Rispetto allo scorso anno infatti si nota un aumento dell’8,1% e rapportando la media degli ultimi tre anni alla media del triennio 1999-2001 la crescita è del 20% (Osservatorio sulle povertà Caritas di Modena e Carpi, 2005). Un fenomeno che sembra interessare gli utenti dei Centri di ascolto Caritas della regione è la differenza numerica fra i sessi, che rimane elevata per quanto riguarda gli utenti italiani – i maschi sono abbondantemente più rappresentati delle donne – mentre per gli stranieri il rapporto fra uomini e donne si è progressivamente accorciato. Questo dato è confermato anche dal trend generale che interessa la popolazione italiana, ossia quello di una femminilizzazione della povertà, per il crescere della quota femminile sul complesso della popolazione povera che riguarda soprattutto le donne anziane, le quali hanno mediamente una storia lavorativa meno remunerata dell’uomo, e le donne giovani capofamiglia con figli in età prescolare o scolare (madri povere – nubili, divorziate o separate), la cui condizione si aggrava notevolmente se isolate dal loro contesto familiare o se non ricevono da esso un adeguato sostegno, e per le quali è più acuta l’esigenza di rendere compatibile lavoro e cura domestica. Sempre più numerose sono le donne sole o ragazze madri che si rivolgono al Centro; rispetto a ciò si pone anche un interrogativo a livello pastorale, relativo al fatto che se fino a poco tempo fa all’interno della comunità cristiana era presente una rete di donne che agiva in modo solidale, oggi la situazione sembra di assoluto stallo e silenzio. Se una donna intende fare qualcosa per altre donne, capita spesso che non trovi spazio all’interno della Chiesa e che dunque vada in cerca di altre realtà in cui agire. Ritornando ai soli utenti dei Centri di ascolto, «l’incremento delle donne si rivela costante e in sensibile aumento […]. Questa tendenziale femminilizzazione dell’utenza al cda è dovuta a vari aspetti, tra i quali spiccano il cambiamento della provenienza dei flussi migratori e l’aumento della presenza delle famiglie ricongiunte, dove spesso è la donna a presentarsi al Centro per portare le richieste sulle necessità delle famiglie» (Associazione Centro di ascolto e prima accoglienza Buon Pastore, 2004). 60 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 61 2. alcuni indicatori di disagio sociale Se nel 2004 lo scarto fra il numero delle donne e quello dei maschi era di quasi 8 punti percentuali (i maschi erano il 54,3% e le femmine il 45,7%) nel 2005 questo scarto si abbassa a meno di 1 punto percentuale (i maschi erano il 50,9% e le femmine il 49,1%). Figura 2.1. Distribuzione utenti fra i sessi (anno 2005) Rimini Ferrara Ravenna Cesena Forlì Faenza Imola Bologna Parma Carpi-Mirandola Modena Reggio Emilia Fidenza Piacenza 0% 10% 20% 30% 40% 50% Donne 60% 70% 80% 90% 100% Uomini L’utenza femminile è in aumento anche rispetto ai corsi di formazione: molte donne straniere cercano di acquisire competenze per costruirsi una professionalità (fenomeno del “badantato”). Anche le donne italiane ex casalinghe, a fronte di una situazione familiare economicamente difficile, cercano di acquisire competenze da spendere nel mondo del lavoro per contribuire al bilancio familiare. Passando a osservare i dati relativi alla nazionalità, si scopre che per ogni italiano che è passato al Centro di ascolto si sono presentati quattro stranieri (nel solo 2005 la popolazione italiana era di 4.422 unità mentre quella straniera era di 14.901); è quindi evidente che l’utenza è sempre più straniera, anche se occorre rilevare come negli ultimi anni siano in netta crescita gli utenti di nazionalità italiana, spesso emigrati dal Sud. Questo dato è confermato dal numero dei nuovi arrivi, ossia di coloro che si rivolgono al Centro per la prima volta: 61 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 62 parte prima. il profilo sociale regionale Anche nel 2004, il 28% delle persone nuove arrivate al cda è italiano. Sono per lo più residenti, donne non più giovanissime, che spesso chiedono aiuto per la propria famiglia, per i propri malati o anziani. Da notare inoltre che nel 2004 la presenza di italiani in mensa è aumentata del 29% e in accoglienza notturna del 41%, così come sono in aumento tutte le voci che li riguardano […] segnale certo che la povertà riguarda fasce sempre più ampie anche di italiani (Associazione Centro di ascolto e prima accoglienza Buon Pastore, 2004, p. 3). Tabella 2.21. Utenti italiani e stranieri e relativa composizione percentuale (2005) diocesi Piacenza Fidenza Reggio Emilia Modena Carpi-Mirandola Parma Bologna Imola Faenza Forlì Cesena Ravenna Ferrara Rimini Totale complessivo 2005 (v.a.) 2005 (%) Italiana Straniera Italiana Straniera 338 66 244 298 274 338 708 350 162 650 176 218 70 530 1.150 360 1781 1.388 909 956 986 670 985 1.636 437 534 913 2.196 22,7 15,5 12,0 17,7 23,2 26,1 41,8 34,3 14,1 28,4 28,7 29,0 7,1 19,4 77,3 84,5 88,0 82,3 76,8 73,9 58,2 65,7 85,9 71,6 71,3 71,0 92,9 80,6 4.422 14.901 22,9 77,1 Se si considera la variabile nazionalità, si nota una polarizzazione degli stranieri provenienti dai paesi dell’Est Europa con una percentuale del 55%, seguita dagli immigrati provenienti dai paesi africani e in particolare dal Nord Africa. Questi sono i due più importanti gruppi di stranieri presenti in Emilia-Romagna. È tuttavia importante evidenziare le caratterizzazioni diocesane che fotografano una situazione estremamente variegata: nel Nord dell’Emilia-Romagna, nelle province di Piacenza e Fidenza, gli immigrati provenienti dal Sud America sono massicciamente presenti con una percentuale che si attesta per Piacenza al 23% e per Fidenza al 13%. È invece nelle province più a sud (Ferrara, Bologna, Rimi62 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 63 2. alcuni indicatori di disagio sociale ni e Parma) che la percentuale di immigrati dell’Est supera di molto il 50% del totale degli immigrati che si rivolgono ai Centri. Le diocesi di Reggio e Carpi sono caratterizzate invece dalla percentuale più elevata di immigrati asiatici (rispettivamente il 10% e l’8%), mentre il gruppo proveniente dal Centro-Sud Africa è presente con una percentuale importante nelle diocesi di Modena e Imola (rispettivamente 56% per Modena e 55% per Forlì). Tabella 2.22. Composizione percentuale #in tab sembrano valori assoluti?# per diocesi degli utenti stranieri per macroarea di provenienza (2005) Est Europa Africa 43 38 49 37 40 58 59 42 49 51 44 53 90 79 32 44 35 56 49 37 29 55 43 40 47 39 1 15 Piacenza Fidenza Reggio Emilia Modena Carpi-Mirandola Parma Bologna Imola Faenza Forlì Cesena Ravenna Ferrara Rimini Nord Africa Sud America 28 36 24 29 43 18 17 52 34 24 40 18 3 23 Asia Altro 1 3 10 3 8 1 6 1 1 5 1 1 0 2 1 2 3 1 0 0 1 0 5 0 0 1 8 1 23 13 2 2 3 3 5 1 1 3 8 7 1 3 Figura 2.2. Area di provenienza degli utenti stranieri Sud America 5% Africa 33% Asia 4% Asia 3% Est Europa 55% 63 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 64 parte prima. il profilo sociale regionale È interessante notare che, laddove è stato possibile incrociare i dati del sesso con quelli della nazionalità, risulta che nei paesi dell’Est Europa (Georgia, Ucraina e Polonia) si registra una presenza femminile superiore all’80%, mentre nei paesi dell’Africa Centrale (Liberia, Burkina Faso) e dell’area del Maghreb (Tunisia, Algeria) sono gli uomini a essere rappresentati con una percentuale che sfiora il 90%. Fra gli stranieri, merita una riflessione il possesso o meno del permesso di soggiorno, necessario per esistere ufficialmente. Nei dodici Centri di ascolto che nel 2005 hanno raccolto e informatizzato il dato è evidente come la metà delle persone straniere che si rivolgono ai Centri di ascolto siano sprovviste di permesso di soggiorno. A Rimini, ad esempio circa il 70% dell’utenza straniera ne è sprovvista, a Imola la percentuale scende al 66% e a Reggio Emilia la percentuale è del 60%. Questo dato non stupisce visto che il Centro, con i suoi servizi di prima accoglienza, rappresenta per gli stranieri irregolari una delle poche possibilità offerte dal territorio, ragion per cui essi tendono a farvi affidamento con una certa frequenza. Se si osserva il trend storico «e con maggiore finezza la situazione legale di coloro che sono entrati in Italia negli ultimi tre anni vediamo che più ci si allontana dall’anno della regolarizzazione (2002) maggiore è il numero di coloro che non possiedono il permesso di soggiorno» (Centro di ascolto delle povertà della Caritas, 2005, p. 18). Una sfumatura diversa è in grado di essere osservata attraverso il rapporto della diocesi di Forlì (Associazione Centro di ascolto e prima accoglienza buon pastore, 2004) che afferma: Rispetto al 2003 fra gli irregolari si notano di più le donne, ben 250 ossia il 65%, più o meno lo stesso numero del 2003, mentre in decisivo calo gli uomini (133 ossia il 34%). Infine la principale nazionalità che si caratterizza per una incidenza di non regolari particolarmente elevata è la Romania con 178 persone, il 46% del mondo irregolare. Seguono l’Ucraina con 57 persone (14%), la Polonia con 36 (9%), la Moldavia con 17 (4%), Bulgaria, Russia, Nigeria con il 3%. Anche Bologna tuttavia registra il problema, in aumento, delle donne incinte e delle giovani madri, che hanno gravi problemi economici e abitativi, molte delle quali non possiedono il permesso di soggiorno. Chi dovrebbe offrire un supporto a queste giovani donne spesso richiede, per poter erogare un qualsiasi tipo di servizio, un permesso di soggiorno valido e una retta. È evidente che occorre interrogarsi sulla possibilità di aprire strutture che offrano comunque accoglienza pur in mancanza di tale 64 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 65 2. alcuni indicatori di disagio sociale permesso, sia per arginare la piaga dell’abbandono dei neonati sia per dare comunque accoglienza a chi non ha nulla. A Bologna circa il 50% non è in regola con il permesso di soggiorno e questo rende molto complessi i percorsi di sostegno. In questi casi viene concentrata l’attenzione sulle situazioni dove ci sono problemi di salute, dove è violata la dignità personale, dove c’è una donna in gravidanza oppure sola con un bambino, dove è importante un momento di sollievo con un periodo in mensa […]. Bisogna tenere presente tuttavia un dato di realtà: quasi tutti gli immigrati regolari attualmente presenti in Italia hanno vissuto l’esperienza di un periodo iniziale di clandestinità (Centro di ascolto immigrati, 2004, p. 7). Rispetto agli immigrati di seconda generazione è importante sottolineare il nuovo carico di bisogni che essi portano e che si riferiscono spesso a situazioni di conflittualità superiore alla media. Negli ultimi anni la percentuale di immigrati che risiede in EmiliaRomagna e che arriva direttamente dal paese di origine è molto elevata, si presenta quindi una situazione in cui è necessaria un’alfabetizzazione di base più massiccia. A livello pastorale sembra ci sia un interesse verso le culture e le religioni altre, ma in realtà esiste una totale incapacità di dialogare con le altre religioni; la Caritas e il Centro di ascolto potrebbero rappresentare un ponte perché le nostre comunità si aprano alle altre religioni. Se sul piano teorico ci sono persone che affrontano il tema dell’ecumenismo con capacità e conoscenze molto elevate, è sul piano dell’esperienza che è carente l’aspetto pastorale. Un esempio sono le soluzioni o gli approcci al tema dei matrimoni misti o i cammini per i bambini di altre religioni inseriti comunque nei gruppi parrocchiali; una soluzione può essere il poter fare esperienza della diversità nelle attività quotidiane delle parrocchie. In riferimento all’età delle persone incontrate, è evidente la preminenza delle età centrali, dai 25 ai 45 anni, dove nella totalità dei Centri si raggruppa oltre il 50% degli utenti. Ci sono differenze talvolta notevoli se si considerano le fasce giovani (meno di 26 anni) e anziane (più di 55 anni): Carpi ha una percentuale notevole (13,9%) di utenti con meno di 26 anni e la percentuale più bassa rispetto agli ultracinquantacinquenni (5%), mentre Forlì ha la percentuale più elevata in regione di ultracinquantacinquenni (16%). Un fenomeno generale in tutta la Regione è la polarizzazione degli immigrati verso le 65 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 66 parte prima. il profilo sociale regionale fasce di età più basse, mentre gli italiani sono mediamente più anziani. Si rileva inoltre una presenza molto bassa di minori. In realtà nella vita quotidiana dei Centri, oltre ai minori non accompagnati, tanti minori, anche piccoli, arrivano al seguito delle madri e delle famiglie e non vengono registrati come utenti, ma compongono di fatto l’utenza dei Centri di ascolto. Aumenta costantemente il numero di famiglie che si rivolge ai Centri di ascolto, come risultato di due fenomeni: i ricongiungimenti familiari e il reddito familiare insufficiente per sostenere le esigenze della famiglia stessa, prima fra tutte gli affitti molto elevati. Tale situazione porta a un aumento della conflittualità familiare: la famiglia non tiene più perché si trova a dover fare i conti giorno dopo giorno con la fatica del vivere quotidiano. Questa diminuzione della tenuta della famiglia porta a un aumento della richiesta rivolta ai servizi sociali per tutte quelle situazioni che creano difficoltà – anziani, handicap ecc. – e sempre più spesso la famiglia si rivolge ai servizi delegando totalmente il compito di cura e di assistenza. Questi due fenomeni hanno fatto sì che anche l’utenza dei Centri di ascolto si evolvesse, nel senso di richiedere sostegno non più per il singolo ma spesso per il nucleo familiare. La situazione è un po’ differente per gli immigrati maschi, che molto spesso non sono inseriti in contesti familiari ma convivono con amici, o per le immigrate dell’Est che mantengono la propria famiglia nel paese di origine e in Italia convivono con connazionali o con la famiglia presso cui lavorano. Dall’analisi dei bisogni espressi dagli utenti dei Centri di ascolto emerge prima di tutto un quadro socioeconomico regionale caratterizzato da enormi difficoltà nella ricerca di un posto di lavoro in un’economia fragile e vacillante. La soglia di povertà è aumentata e le giovani coppie hanno difficoltà a costituire un nucleo familiare anche a causa dello spropositato aumento del costo delle abitazioni. Manca un’imprenditoria valida e le classi più a rischio, i giovani e gli anziani, necessitano di un’attenzione maggiore. Sono infatti cresciute le situazioni di povertà materiale ed economica, legate fondamentalmente al fenomeno drammatico della disoccupazione, ma che oggi investono con prepotenza anche le famiglie monoreddito o gli anziani con una pensione minima; tali condizioni impediscono di far fronte alle necessità della vita quotidiana, soprattutto se si considera la povertà in relazione ai costi dell’affitto, dell’acqua, del gas, della luce e del telefono, spese indispensabili e prioritarie. Allo stesso tempo emergono 66 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 67 2. alcuni indicatori di disagio sociale nuove povertà – che riguardano l’infanzia, le donne sole, le famiglie unipersonali – che si manifestano come diffusa insicurezza economica che coinvolge nuovi strati sociali; sono povertà meno riconoscibili, più articolate e differenziate, che si affiancano a quelle tradizionali: non si tratta più di povertà assolute, ma di deprivazioni relative, perché riguardano la mancanza di risorse per partecipare alle attività e avere le condizioni di vita e i beni di cui gode la maggioranza della popolazione. Accanto alla marginalità da lavoro, sono aumentati in maniera preoccupante i casi di disagio minorile e un diffuso malessere giovanile, con forme rilevanti di devianza (teppismo, microcriminalità, tossicodipendenza, alcolismo ecc.), e si è consolidato il fenomeno dell’abbandono scolastico. L’influenza della strada sui ragazzi e sui giovani è andata crescendo a dismisura di fronte a un modello di famiglia incapace di educare, talvolta (oserei dire molto spesso) disgregata e davanti alla mancanza di interventi istituzionali di prevenzione e di aggregazione. La scuola si è rivelata impotente nei confronti della crisi di valori, mentre il condizionamento dei mezzi di comunicazione di massa si è rafforzato, purtroppo in senso negativo. In regione quasi tutte le diocesi (tredici su quindici) si sono dotate di mense gestite direttamente dalla Caritas o attraverso associazioni di volontariato, che quotidianamente assicurano il pranzo e/o la cena a immigrati, nomadi, senza fissa dimora, ma anche a intere famiglie con bambini e anziani soli. Il Centro di ascolto di Forlì, ad esempio, ha distribuito nel corso del 2004 oltre 12.568 pasti serali, mentre a Rimini sono stati distribuiti 46.736 pasti nel corso del 2004 con una media giornaliera di 128 pasti. Anche in assenza di dati così dettagliati la percezione è che ci sia un aumento di richieste di questo tipo, insieme alla difficoltà ad acquistare beni di prima necessità, dato confermato anche dall’aumento di utenti che dichiarano problemi di reddito insufficiente con conseguente difficoltà a reperire un alloggio. Infatti, se si dovessero fare classifiche rispetto al bisogno emerso, al primo posto ci sarebbero i problemi di reddito, strettamente correlati alla situazione lavorativa, seguiti dai problemi abitativi. Rispetto al problema dell’insufficienza di reddito si possono fare due considerazioni: l’utenza italiana, oggi più che mai, si rivolge al Centro di ascolto dopo anni in cui mediamente lo evitava, rivolgendosi eventualmente ai servizi sociali; le famiglie straniere, in particolare quelle di religione musulmana, particolarmente numerose e caratterizzate dal fatto che alla donna non è concesso di lavorare, si trovano oggi in gravi condizioni di precarietà. 67 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 68 parte prima. il profilo sociale regionale Per quanto riguarda l’abitazione, non si registra più il problema della mancanza della stessa ma vi sono altre problematiche quali la precarietà della sistemazione (basti pensare agli extracomunitari che vivono presso amici) e la difficoltà a sostenere il costo di un’abitazione (anche se di proprietà), situazione che si aggrava in presenza di mutui. Il lavoro rimane uno degli aspetti più complessi perché si intrecciano problematiche derivanti da una congiuntura sfavorevole del mercato e da alfabetizzazione e competenza degli utenti scarse, in misura particolare (ma non solo) di quelli stranieri. L’apertura, nei Centri di ascolto, di sportelli che forniscono un servizio di orientamento al lavoro e di ricerca del lavoro è un sintomo delle difficoltà connesse al lavoro. L’attività del Centro di ascolto ha permesso di aiutare molti soggetti nella compilazione di curriculum e nella ricerca di contatti con le aziende o con i privati. Purtroppo, oltre a una palese difficoltà a inserirsi nel comune circuito del lavoro – dovuta a bassa scolarità, mancanza di competenze professionali, problemi di disagio sociale e mancanza di alloggio – la stessa legislazione rende molto complesso per gli imprenditori l’impiego di stranieri. In alcune realtà comincia inoltre a essere evidente il fenomeno mafioso della vendita del lavoro, specie fra le popolazioni immigrate dall’Est Europa. Non da ultimo si evidenzia la crescita, anche all’interno della comunità cristiana, dei fenomeni di paura e razzismo nei confronti degli immigrati (si pensi alla difficoltà ad assumere personale extracomunitario e ad affittare alloggi alla popolazione immigrata). Se da un lato è evidente la situazione di sofferenza delle famiglie, sia sul fronte della povertà materiale che su quello della povertà relazionale (conflitti, depressioni e reati compiuti all’interno della famiglia stessa), dall’altro è possibile vedere nella stessa istituzione famiglia una parziale soluzione a questa fragilità, rendendo evidente il livello familiare come luogo in cui ci sono donne, anziani e bambini significherebbe #qual è il soggetto?# far diminuire il senso di paura e diffidenza verso la popolazione immigrata. Nella nostra Regione l’aumento della povertà di questi anni è dovuto in buona parte anche all’aumento di famiglie che hanno una donna come persona di riferimento, spesso una donna anziana o una giovane madre. Colpisce – come afferma il rapporto del Centro di ascolto di Forlì – il numero crescente di persone e famiglie che vivono in situazioni di vulnerabilità, di prepovertà o a rischio di povertà, che approdano ai Centri di ascolto. Non sono ancora nella povertà solo perché sostenute da particolari aiuti pubblici o privati, ma vivono una situazione di fragilità e di prov68 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 69 2. alcuni indicatori di disagio sociale visorietà, in parte per ragioni economiche, in parte per debolezza personale che le rende incapaci di affrontare emergenze legate all’organizzazione sociale. A queste forme di povertà se ne affiancano altre e talvolta più gravi con le quali i Centri di ascolto, le associazioni e gli organismi di solidarietà delle nostre diocesi si confrontano quotidianamente: la povertà da salute, che si espande nella sfera della relazione e della socialità; la povertà da istituzione (servizi sociali e sanitari carenti, assenza di vere politiche sociali di accoglienza e di solidarietà); povertà da relazione, cioè assenza di qualità nei rapporti interpersonali, dove mancano amore e accoglienza. Emergono anche casi di povertà estreme, quando le povertà citate si accumulano e coesistono. La comunità ecclesiale che da tempo risponde, attraverso i Centri di ascolto, con l’erogazione di denaro e servizi non può più limitarsi solo a ciò: probabilmente ora occorre accompagnare il povero nel tentativo di ricostruire la dignità delle persone. Servono – sostiene il Centro di ascolto di Bologna – comunità parrocchiali vive, capaci di accorgersi del disagio visibile e invisibile che cresce, capaci di creare legami, relazioni, gesti di prossimità e accoglienza vincendo stereotipi e pregiudizi, dove ci si scopre dono reciproco, si cerca il positivo nascosto in ogni situazione, si fa festa insieme, si costruiscono la pace e la giustizia nel quotidiano. Occorrono, altresì, comunità vigilanti per contrastare un pericolo strisciante: quello di considerare normale ciò che un tempo era inaccettabile nel nostro territorio (bambini che vivono in baracche lungo i fiumi, servizi sociali che dichiarano di non avere più risorse economiche e logistiche per affrontare situazioni anche molto gravi ecc.). Servono comunità capaci di costruire proposte in rete con altre realtà del quartiere, riappropriandosi della propria responsabilità di cittadini e fratelli di ogni uomo. 2.7. Le storie di vita Presentiamo di seguito alcuni racconti degli operatori dei Centri di ascolto relativi alle storie degli utenti che frequentano i Centri, come arricchimento al commento dei dati sulla povertà. Si precisa che i nomi utilizzati sono di fantasia e le storie di vita del Centro di ascolto di Carpi sono tratte da Michelini (2006). La ricerca sociale, su una tematica che è in costante evoluzione e dai contorni spesso inafferrabili come la povertà, è più che mai uno strumen69 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 70 parte prima. il profilo sociale regionale to indispensabile per progettare interventi consapevoli, correttamente orientati e capaci di cogliere nel segno, tenendo conto delle diverse culture in gioco (degli utenti e degli operatori). Novità centrali dei percorsi di ricerca possono essere questi brevi racconti che colgono in profondità i tragitti esistenziali che portano “alla povertà” ma che, fortunatamente, talvolta mostrano possibili percorsi di uscita e di protezione sociale finalizzati al recupero dell’autonomia delle persone. Caroline – Nigeria (cda di Ravenna) Il Centro di ascolto Caritas ha ricevuto un appello dall’assistente sociale dell’ospedale di Ravenna: era stata ricoverata una ragazza nigeriana, Caroline, per un principio di assideramento, il tempo di ricovero stava terminando ma occorreva assistenza perché non poteva ancora camminare. Caroline è stata accolta dall’Asilo notturno comunale e trascorreva gran parte della giornata al caldo in parrocchia. Caroline era una ragazza minuta che parlava pochissimo, non piangeva né sorrideva, non si lamentava mai, sembrava non avesse bisogno di nulla e rifiutava qualsiasi cibo, tranne il pane. La prima volta che si è sentita in grado di camminare da sola è andata a comprare il pane, che ha mangiato avidamente. Caroline non rivelò nulla di sé; un giorno disse che i suoi documenti erano scaduti e che bisognava andare nel luogo dove dormiva prima del ricovero. Due operatrici del Centro di ascolto l’hanno accompagnata: si trattava di un palazzo alto in riva al mare; per entrare hanno dovuto approfittare dell’uscita di una persona. Il suo giaciglio consisteva in una tela africana sul pavimento freddo e in pochi sacchetti. È risultato evidente che nessuno sapeva dell’esistenza di quella persona in quel luogo; il freddo invernale intenso le aveva procurato l’assideramento, non si ha idea di come sia riuscita a raggiungere l’ospedale. Caroline non collaborava, non voleva tornare a Rimini, dove gli era stato concesso il permesso di soggiorno secondo l’ex articolo 18 della legge Bossi-Fini e dove era stata inserita in un progetto di recupero. Dopo circa tre mesi, quando ormai poteva camminare, non si è presentata all’accoglienza diurna, per poi presentarsi all’asilo notturno; qualche giorno dopo non si è fatta più vedere nemmeno all’asilo notturno e per un certo tempo è scomparsa del tutto. Il servizio sociale del Consorzio è stato contattato dalla questura in quanto Caroline risultava in stato di fermo a causa delle pratiche per il rinnovo del permesso di soggiorno; ha giustificato la sua assenza dicendo che preferiva restare 70 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 71 2. alcuni indicatori di disagio sociale all’aperto. Si stava pensando di trovarle un lavoro stagionale quando in aprile si è ripresentata rendendosi disponibile, con il nuovo permesso, a ritornare a Rimini per rientrare nel progetto in cui era già stata accettata. Henry – Camerun (cda di Ravenna) Henry ha lasciato nel 2004 il Camerun, la mamma e tre sorelle tutte minorenni. Il padre è stato massacrato per motivi politici; lui stesso ha subito torture durante una dura detenzione, ma è riuscito a fuggire e ha deciso di lasciare il suo paese. È arrivato a Ravenna senza conoscere la lingua e privo di soldi e documenti; si sentiva smarrito. Qualcuno lo ha indirizzato alla parrocchia San Rocco ed è stato ospitato alla casa “il Buon Samaritano”; da lì è arrivato al nostro Centro di ascolto Caritas per un orientamento adeguato. Henry ha da subito mostrato un forte senso di colpa per aver lasciato la mamma e le tre sorelle in balia di loro stesse e in pericolo in un paese come il Camerun, ancora scosso da forti tensioni sociali. Al Centro di ascolto della Caritas ha ricevuto un primo soccorso umano: ha potuto parlare ed essere ascoltato nella sua lingua, è stato indirizzato all’ufficio stranieri della Questura per chiedere asilo politico e al Consorzio dei servizi sociali dove sono state avviate le procedure per farlo entrare nel Programma nazionale asilo (pna); ha iniziato subito a frequentare il corso di lingua italiana che si teneva in Parrocchia e in tempi brevi è stato capace di parlare la nostra lingua. In pochi mesi ha ottenuto il permesso di soggiorno come richiedente asilo; tuttavia ciò non gli ha da subito consentito di lavorare e di guadagnare soldi da inviare alla sua famiglia. Questa era la sua grande preoccupazione: essendo il figlio maggiore e l’unico maschio, aveva la responsabilità del capo famiglia e non potendo adempiere a questo suo compito si sentiva colpevole. La relativa tranquillità che Henry si era lentamente costruita è stata sconvolta dalla notizia della morte della madre, avvenuta in situazioni tragiche. Per non avere rivelato il rifugio del figlio ancora ricercato, era stata imprigionata e torturata per poi giungere in fin di vita in ospedale dove poco dopo è deceduta lasciando le tre figlie orfane e sole in un ambiente ostile. Henry ha anche saputo che se non avesse provveduto a pagare in contanti e rapidamente le spese del funerale avrebbero fatto scempio del corpo della madre ormai defunta. Dopo quella notizia Henry è stato colpito da un malore e ricoverato d’urgenza all’ospedale ove è stato curato per un serio problema cardiaco ed ematologico. In tale circostanza la Caritas, con la collaborazione di altre istituzioni (la parrocchia di San Rocco, i servizi sociali e l’associazione Il Mappamondo), è intervenuta sostenendo le spese per la tumulazione della madre di Henry, come lui stesso desiderava. 71 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 72 parte prima. il profilo sociale regionale A seguito di un accorato appello per l’adozione a distanza delle sorelle di Henry, queste sono state accolte in un collegio, così da permettere loro di vivere e studiare adeguatamente. Durante le feste natalizie, una famiglia con cinque figli, di cui tre in affido, ci ha chiesto di poter condividere il pranzo di Natale con una persona meno fortunata perché sola, così abbiamo pensato a Henry e da allora sono trascorsi due anni nel corso dei quali è nata tra loro una splendida amicizia. Henry è ormai diventato il fratello maggiore dei cinque bambini, che gli sono molto affezionati. Da settembre 2004 Henry ha ottenuto lo stato di rifugiato politico e, grazie anche all’aiuto della sua famiglia italiana, ha trovato un lavoro a tempo indeterminato. Henry sta pian piano coronando il suo sogno, quello di riavvicinarsi alle sorelle che, per ora e a fatica, riesce a mantenere in patria. Pietro – Italia (cda di Piacenza) Pietro ha 66 anni e un diploma come chef di cucina, conseguito all’istituto alberghiero di Stresa. Nei primi anni della sua carriera ha lavorato in diversi alberghi, tra i quali alcuni molto importanti e per oltre trentaquattro anni ha cucinato sulle navi da crociera riuscendo a ottenere la qualifica di primo chef, condizione che gli ha garantito un tenore di vita decisamente elevato: oltre 20 milioni di lire al mese! Grazie al suo lavoro ha potuto viaggiare e conoscere mondi diversi; ha addirittura fatto per ben 58 volte il giro del mondo: da Stoccolma a Stoccolma. Non si è mai sposato ma ha avuto diverse relazioni di cui l’ultima con Ingrid, una ragazza svedese molto più giovane di lui. Proprio questa relazione lo ha ferito profondamente e da ciò è iniziata la sua storia di povertà. Insieme a Ingrid acquista nel centro di Stoccolma un appartamento che arreda con profondo amore riempiendolo con tutti i ricordi che in oltre trent’anni di navigazione aveva raccolto: pezzi molto rari e decisamente preziosi. Con Ingrid condivide, oltre all’appartamento, anche il proprio conto corrente in cui deposita tutto il suo patrimonio e il suo stipendio. Un giorno, ritornato a Stoccolma dopo l’ennesimo lungo viaggio, scopre che Ingrid lo ha lasciato portando con sé tutti i suoi beni e tutto il suo denaro. È da quel momento che Pietro si accorge di aver sbagliato a fidarsi così ciecamente di una persona che non meritava la sua fiducia e si ritrova a fare i conti con una vita di privazioni che fino ad allora nemmeno immaginava. Come tutti quelli che non conoscono le difficoltà economiche, in poco tempo sperpera in alcol, night e alberghi i 45.000 dollari che ancora possedeva, ritrovandosi a girovagare fra le stazioni del Nord Italia. A mente fredda ammette che sarebbe potuto tornare a bordo, ma la sola idea di 72 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 73 2. alcuni indicatori di disagio sociale dover affrontare i colleghi e la famiglia – che da quel momento lo ha abbandonato – lo terrorizzava. Durante uno dei suoi pellegrinaggi nelle stazioni d’Italia viene inviato in un Centro di accoglienza a Padova, dove si rende conto di tante altre situazioni di disagio e povertà e finalmente apre gli occhi anche sulla sua condizione. Da qui all’incontro con gli operatori del Centro di ascolto di Piacenza è un lento cammino di scoperta e riconquista della propria dignità di uomo; durante questi anni Pietro si riavvicina anche alla fede, che lo ha sorretto nei momenti più duri. Pietro ha finalmente riacquistato fiducia in se stesso e negli altri e ha un forte senso di riconoscenza verso chi ha saputo incoraggiarlo a non perdere la speranza e a ricostruire la propria vita con uno spirito ottimista. Da poco è riuscito a coronare il suo sogno: quello di aprire un ristorante. Fatima – Marocco (cda di Piacenza) Fatima è marocchina e ha 42 anni. Ha vissuto dapprima a Casablanca e poi a Marrakech ed è in Italia solamente da sei mesi. In Marocco viveva con il marito Sami, direttore di una società che produceva calzature, e cinque figli: Abdul (23 anni) studiava giornalismo, Kamel (19 anni) frequentava la scuola di diritto francese, Kadija (21 anni) era iscritta alla Facoltà di scienze economiche mentre le due figlie minori di 8 e 14 anni frequentavano le scuole dell’obbligo. Negli anni novanta è fallita la ditta del marito, che è rimasto senza lavoro e senza la possibilità di mantenere la famiglia. Non riuscendo a provvedere ai bisogni della famiglia, nel gennaio 2000 Sami è arrivato in Italia come clandestino, mentre il resto della famiglia è rimasto in Marocco. Fatima, intanto, trova un lavoro presso il ministero degli Interni, come segretaria commerciale, lavoro che mantiene per cinque anni. Ma la vita è difficile e per provvedere ai figli svolge diversi altri lavoretti: sartoria, cucito e maglia, corsi di alfabetizzazione e di formazione per ragazze disoccupate, a cui insegna a usare la macchina da cucire. Questo fino al 2005, quando il marito la invita a raggiungerlo in Italia con i figli minorenni. Fatima si prepara a venire in Italia, ma con la grossa preoccupazione di non poter portare i figli maggiorenni, i quali vengono da lei affidati a una famiglia amica. Ora studiano: il ragazzo di 23 anni sta frequentando il quarto anno della facoltà di giornalismo con specializzazione in cinema, mentre la ragazza di 21 anni è iscritta alla facoltà di scienze economiche. All’arrivo in Italia Fatima fa una triste scoperta: Sami è molto malato ed è ricoverato in ospedale, dove muore dopo poche settimane. Fatima rimane senza nulla e si trova a dover fronteggiare diverse difficoltà: la mancanza di lavoro e 73 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 74 parte prima. il profilo sociale regionale quindi i conseguenti disagi economici, le difficoltà incontrate per il contratto di locazione, l’impossibilità per Kamel di continuare i suoi studi perché la legge non glielo permette. Sono rimasti per oltre tre mesi senza gas per l’insolvenza di alcune bollette. Sia lei che il figlio maggiore hanno lavorato per alcune ditte, ma senza continuità, nonostante il titolo di studio e l’esperienza di lavoro in patria. Ora Fatima vive in un piccolo paese della provincia di Piacenza, dove le sue due figlie minori, di 8 e di 14 anni, frequentano rispettivamente la terza elementare e la terza media e sono seguite assiduamente dai servizi sociali e dalla Caritas, presso la quale ha trovato supporto e comprensione. Il marito è stato vittima di un grave incidente sul lavoro dopo il quale è stato regolarizzato; prima di morire ha intrapreso una causa legale con la ditta di costruzioni per cui lavorava ma oggi lei non è più in grado di sostenere i costi per l’assistenza legale. Non ha diritto alla pensione del marito perché a causa del lavoro in nero ha versato solamente 200 settimane lavorative e non le 260 previste dalla legge. Nonostante Fatima sia stanca di lottare contro tutte queste situazioni sfavorevoli, non ha intenzione di ritornare in Marocco perché immagina il futuro suo e dei suoi figli qui in Italia. Pablo Antonio Josè – Colombia (cda di Rimini) Pablo parte dalla Colombia nel 2004 per raggiungere sua moglie, già in Italia da un anno e mezzo; l’emozione di rivederla e di poter pensare a un futuro in comune si univa al dispiacere di lasciare famiglia e amici di una vita. Purtroppo l’arrivo in Italia ha coinciso con la scoperta di una donna molto diversa da quella conosciuta in Colombia. Con un’enorme ferita nel cuore fu costretto ad abbandonare la casa che ormai apparteneva alla moglie e a ricominciare una vita senza gli affetti, senza un lavoro e senza una casa. Accadde tutto in fretta, senza la possibilità di porvi rimedio in qualche modo: l’atto di separazione arrivò dopo poche settimane. In questo periodo Pablo conosce la Caritas che, come ammette lui stesso, gli ha salvato la vita perché gli ha donato un letto, pasti caldi e nuovi amici con i quali condividere i momenti liberi. Pablo scopre così come anche in una condizione poco favorevole sia possibile coltivare amicizie trovando nella diversità un buon motivo per stare insieme. In quei mesi conosce molte persone che condividono i locali della Caritas, con le quali instaura belle amicizie fatte di confidenze, scherzi e talvolta anche discussioni, in un clima di rispetto e solidarietà; in fondo tutti stanno vivendo un perio- 74 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 75 2. alcuni indicatori di disagio sociale do difficile della propria vita ma con la comune volontà di provare a costruire un futuro migliore. Questa relativa tranquillità gli ha permesso di dedicarsi alla ricerca di un lavoro che certo non poteva essere quello sognato in Colombia, ma che si è comunque rivelato un impiego impegnativo con tante cose da imparare. Pablo è tuttora impiegato in un’azienda di pulizie, ma trova tempo da dedicare ai suoi interessi, come la pittura e la fotografia; ha riconquistato calma e tranquillità e oggi guarda con fiducia e speranza al suo futuro. Bashkim – Albania (cda di Rimini) Bashkim è arrivato da noi nel 1991. L’abbiamo conosciuto in parrocchia, dove abitava con altri albanesi. Mio marito lo incontrò una sera tornando a casa: non sapeva dove dormire, perché la persona che lo ospitava non lo voleva più. Lo invitò allora a venire a casa nostra e si fermò con noi tre mesi e mezzo. Veniva da Berat, aveva 19 anni e aveva appena terminato il liceo. Parlava discretamente l’italiano ed era un ragazzo intelligente, colto, arguto e ironico, con una sua “saggezza” che esprimeva attraverso modi di dire e proverbi, cercando di interpretare avvenimenti e fatti che accadevano nella vita di ogni giorno. Per questo, e anche per la sua gentilezza e cortesia, è stato accolto da tutta la famiglia; il rapporto più profondo e simpatico si è instaurato con nostro figlio più piccolo, che aveva 10 anni. Scoprimmo pian piano che la sua era stata una partenza “all’albanese”, che non aveva avvertito la famiglia dei suoi progetti, che aveva attraversato il confine greco e aveva vissuto nella penisola ellenica per sei mesi, dove però si era trovato male. Poi era arrivato a Brindisi in nave, da lì si era trasferito a Roma e, grazie ad alcuni contatti con altri albanesi, era arrivato in Romagna. Gli trovammo un lavoro in nero presso un ortolano e Bashkim si comportò “bene”: sapeva lavorare, essere furbo e anche “mentire con convinzione”. Bashkim aveva notato, girando nei dintorni, una piccola parrocchia il cui parroco era spesso in viaggio e aveva una grande casa vuota. Ci chiese di farci garanti presso di lui. Il rapporto con il sacerdote fu molto importante. Il giovane si prendeva cura della casa e della chiesa quando il parroco era in viaggio; trovò lavoro in un allevamento di polli e diede una mano a chi aveva bisogno in questa piccola comunità. Fu apprezzato e amato da tutti. Lo raccomandammo a un nostro caro amico che lo assunse e lo mise in regola e il giovane albanese diventò un bravo falegname. Nel giro di tre anni fu in grado di assumersi la responsabilità dell’organizzazione del lavoro. Il padrone mi 75 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 76 parte prima. il profilo sociale regionale diceva: «Posso fidarmi di lui come di me stesso». Era il 1997 e Bashkim aveva 26 anni. Il gruppo di amici della parrocchia organizzò una festa in onore di questo figliolo coraggioso, forte e buono. Quella sera disse che finalmente era in Italia legalmente: «Oggi, dopo sette anni, mi sento di nuovo uomo, una persona. Non sono più un “nessuno”, ora sono una persona anche in Italia». Una mattina presto mi telefonò la moglie del datore di lavoro e mi disse che il ragazzo non era rientrato. Telefonai alla polizia stradale e seppi che c’era stato un incidente e che Bashkim era ricoverato in gravi condizioni in rianimazione, era in coma. Andai subito in ospedale e ci prendemmo cura di lui, tutti i giorni. Noi, il gruppo di amici della parrocchia, i padroni e tutte le persone con cui aveva fatto amicizia ci preoccupammo per lui. Bashkim non è stato mai abbandonato, gli sono stati vicini altri amici, perfino i datori di lavoro che si sono avvalsi di un avvocato per seguire la causa del risarcimento con l’assicurazione. Dopo due mesi fu trasferito in un altro ospedale per la riabilitazione e iniziò a rientrare gradualmente nella realtà. Bashkim non parlava, non camminava e non ricordava nulla. Poi recuperò la parola, parte dei movimenti e la memoria del passato, ma non aveva assolutamente la memoria a breve termine e, come molti traumatizzati cronici, era irrequieto e violento: insultava, non ascoltava le richieste e tentava di picchiare chi lo contraddiceva. Bashkim è tornato in Albania nel settembre 1997. L’anno successivo è venuto di nuovo in Italia per l’ultima volta, solo per quindici giorni, a sistemare documenti e pratiche rimaste in sospeso. Ci telefona spesso e ci ricorda con affetto, manifesta sempre la sua riconoscenza e nostalgia per ciò che ha vissuto in Emilia-Romagna. Il 5 giugno 2005 si è sposato. Ci ha telefonato per invitarci al matrimonio, ma purtroppo non siamo potuti andare. Dopo un’esperienza molto travagliata, con l’amore e la solidarietà di molti, per Bashkim è iniziata una nuova vita. Tirando le somme, è stata sicuramente un’esperienza molto ricca, reciprocamente: noi abbiamo imparato da lui e lui da noi. Abdul e Aziza – Marocco (cda di Carpi) Abdul e Aziza sono marito e moglie, vengono da Beni-Mellal, una città nel centro del Marocco non troppo lontana da Marrakech, in una zona verde e di montagna dove la maggior parte della gente vive di agricoltura. La loro è una storia di migrazione fortunata; è andata bene finora, anche se cambiare paese non è stato facile. Nel 1989, quando hanno iniziato ad arrivare i primi stranieri in Italia, Abdul e Aziza sono partiti molto giovani dal Marocco perché mancava lavoro. Prima è arrivato Abdul con gli amici e dopo neanche un anno lo ha raggiunto sua moglie. 76 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 77 2. alcuni indicatori di disagio sociale Abdul e i suoi amici hanno attraversato l’Algeria e la Tunisia con un’automobile, poi con un traghetto da Tunisi sono arrivati a Genova. All’epoca non c’era bisogno di nascondersi per entrare in Italia. Bastava dire che si era turisti e fare vedere che si avevano i soldi per mantenersi nel periodo della vacanza. Sono entrati con il visto turistico e una volta scaduto questo sono stati clandestini per un po’, fino alla sanatoria di qualche mese dopo. Nel 1990, quando hanno ottenuto il permesso di soggiorno, sono venuti a vivere a Carpi dove c’erano alcuni loro parenti. Dapprima hanno dormito in albergo, poi lo stesso albergatore ha trovato loro una casa in affitto e anche è arrivato praticamente subito. Erano tempi d’oro! Qui in Italia sono nati i loro quattro figli: tre maschi di 13, 5 e 3 anni e una femmina di pochi mesi. I bambini più grandi parlano sia l’italiano che l’arabo. Con il figlio più grande hanno cercato di parlare soprattutto l’arabo per aiutarlo a conoscere la loro lingua, pensando che avrebbe comunque imparato l’italiano a scuola. Anche se ammettono di essere ormai bene integrati, è forte la nostalgia per il Marocco. Vivono la brutta esperienza di essere divisi tra due paesi: a casa loro in Marocco si sentono ospiti, e qui in Italia sono stranieri! Quando tornano nel loro paese per i figli è una vacanza; loro ormai sono italiani. A volte dicono di lasciar perdere l’idea di tornare in Marocco, altre volte di stabilirsi definitivamente in Italia… dipende dove vedono i problemi in quel momento. Il sogno di ritornare al loro paese resta comunque, è solo spostato a quando saranno in pensione e con i figli sistemati, sanno che sarà difficile ma è un bel sogno. Hanno anche tanti amici italiani, belle amicizie che li hanno aiutati a integrarsi. Abdul e Aziza ritengono che il fatto di avere studiato, Abdul alle scuole superiori e Aziza letteratura all’università, li ha aiutati a integrarsi. Aziza adesso ha anche ripreso a studiare, dopo aver lavorato in maglieria, in casa protetta facendo i turni, e aver lasciato il lavoro per badare ai figli. Le è sempre interessata la mediazione culturale, e proprio adesso sta seguendo un corso per mediatori culturali. Questo corso le ha ridato la voglia di ricominciare a studiare, dopo anni passati a non fare quello che veramente desiderava. Uno dei problemi più grossi delle donne e mamme straniere è che devono sapere molte cose per aiutare i figli a scuola. Molte però non riescono neanche a leggere il diario dei propri figli! Aziza cerca di migliorare per i figli, fa tanti sacrifici per loro. Ma a volte i figli fanno fatica, non vanno oltre la terza media, e questo può rivelarsi una catastrofe, peggio che rimanere in Marocco. Ad Aziza dell’Italia piacciono i servizi, come la sanità, la burocrazia… che in Marocco sono molto meno funzionali; una cosa che invece non le piace per niente è la televisione: al tg si vedono molte cose brutte, troppe notizie “pesanti” per i bambini, ci vorrebbe più rispetto per loro. Ad Abdul invece piace il rispetto che 77 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 78 parte prima. il profilo sociale regionale mostrano gli italiani nei suoi confronti; va spesso a giocare a calcio con i papà degli amici di suo figlio più grande, sente di essere integrato e crede che tutto ciò sia merito della fortuna ma anche del rispetto che ha sempre avuto verso gli altri. Nikola e Sonja – Albania (cda di Carpi) Nikola e Sonja vengono da Scutari, città nel Nord dell’Albania al confine con il Montenegro. È una zona montuosa con un lago che comincia dal loro paese e finisce in Montenegro, uno dei laghi più grandi dell’Albania, e con il mare Adriatico a 45 minuti dalla città. Sono cristiani, ma in Albania la maggioranza è musulmana, a seguire i cristiani, gli ortodossi e gli atei. Tra le religioni non ci sono tensioni, il fanatismo non è diffuso, oggi ragazzi cristiani si sposano con ragazze musulmane e viceversa. Per cinquant’anni non hanno avuto la possibilità di professare serenamente la propria fede: solo nel 1990 sono state aperte le chiese e le moschee e ognuno può seguire le sue idee apertamente. Sono partiti dall’Albania nel 2000 in traghetto, non con il gommone come tanti albanesi perché viaggiavano con i due figli piccoli. Per venire in Italia hanno fatto un sacrificio, hanno venduto la casa, i mobili e tutto quello che avevano, perché il viaggio in traghetto costava tantissimo. Però, confessano, è stato meglio vendere una casa che rischiare di perdere la vita di tutta una famiglia. Se fossero venuti con il gommone avrebbero pagato mille euro, invece sei anni fa hanno pagato otto milioni per venire con il traghetto, e otto milioni costava la loro casa. Nikola lavorava in un bar famoso in città, conosceva tantissime persone, poi tutti hanno iniziato ad andare via dall’Albania, alcuni con il gommone, qualcuno con la nave… lui e sua moglie possedevano una casa, i mobili, stavano bene. Poi ha cominciato a lavorare come cameriere in un ristorante, tutto andava bene, ma ogni giorno che passava Nikola sentiva un vuoto dentro, piano piano tutti gli amici e i parenti lasciavano l’Albania, chi andava in Italia, chi in Germania, un poco alla volta il paese si svuotava. Nikola e Sonja cominciano ad avere paura per i loro figli, ogni giorno arrivano notizie di qualche morto ammazzato e dell’insicurezza nel paese. A malincuore hanno scelto di fare un sacrificio e di lasciare il loro paese, lo hanno fatto per i figli e per un futuro più sereno per tutti loro. Per venire in traghetto bastava pagare, non è stato difficile procurarsi passaporti falsi, Nikola è riuscito a passare la frontiera al primo colpo mentre il resto della sua famiglia ha dovuto ritentare per ben tre volte fino a quando non hanno pagato quello che richiedevano; a loro comunque non importava, la cosa più importante era essere tutti insieme. Sono arrivati a Bari, dove Nikola ha trovato lavoro al mercato ortofrutticolo e lì è rimasto per due anni, fino a quan- 78 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 79 2. alcuni indicatori di disagio sociale do è riuscito a ottenere il permesso di soggiorno. Per quei due anni hanno vissuto a Bari da clandestini, senza il coraggio di uscire se non per andare al lavoro. Finalmente nel 2002 Nikola riesce a mettersi in regola sia con il permesso che con il lavoro, grazie al suo principale che, appena uscita la legge Bossi-Fini ha provveduto a tutte le pratiche burocratiche. Da un anno e mezzo sono a Carpi, dove abita anche un cugino, mentre il fratello risiede a Varese. Ora lui lavora in una ditta mentre Sonja non ha ancora trovato un lavoro e non ha la patente. Quando erano in Albania credevano che l’Italia fosse un paese pieno di possibilità, ma al loro arrivo si è presentata una realtà ben diversa e nulla hanno trovato di ciò che speravano. Quando erano in Albania e sentivano che in Italia si trovava lavoro facilmente e si guadagnava 1.600.000 lire al mese, sognavano di venire qui e dopo pochi anni poter comprare una casa, invece sono trascorsi cinque anni e ancora faticano a pagare l’affitto. Alla fine non è come se lo aspettavano, però sono contenti per i loro figli, che vanno a scuola, imparano e non sono costretti a vivere nella miseria in cui versa oggi l’Albania. Quando sono arrivati non parlavano italiano, adesso Sonja capisce l’italiano meglio del marito ma ha un po’ di difficoltà a parlarlo, mentre Nikola, che è più abituato a parlare, non ha problemi, se non con i figli che ormai non conoscono più l’albanese: ecco perché Nikola e Sonja si rivolgono ai figli in albanese. Ancora oggi Nikola e Sonja hanno nostalgia del loro paese e se potessero ritornerebbero in Albania, anche se in tal caso dovrebbero affrontare il problema dei figli che ormai si sentono italiani. Non hanno dimenticato il loro paese, ancora oggi inviano denaro per aiutare la famiglia rimasta in patria. Sono però un po’ pentiti di essere venuti in Italia perché qui non li conosce nessuno, mentre in Albania appartenevano a famiglie note: il padre di Sonja era il primo ballerino del paese, le sue cugine lavorano alla televisione di Tirana, il cugino è un cantante famoso, mentre il padre di Nikola era il dottore del paese. Nikola è stato campione di atletica leggera, ha militato per cinque anni nella nazionale albanese, cosa che gli ha permesso di vivere bene e di visitare molti posti diversi. Ora qui è diverso, non li conosce nessuno e spesso vengono genericamente additati come “gli albanesi”. Rachele – Italia (cda di Parma) Rachele è una donna sposata con due figli. Dopo diversi anni di matrimonio il marito viene colpito da una grave forma di depressione e manda in crisi il loro 79 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 80 parte prima. il profilo sociale regionale rapporto. I tentativi di aggressione di cui Rachele è vittima la inducono alla separazione e la costringono a vivere in condizioni di grande difficoltà psicologica. A rendere ulteriormente difficile la vita della donna sono i gravi problemi di natura economica, dovuti alla forte riduzione di uno stipendio già basso, allo sfratto e ai due figli a carico, che nel frattempo le sono stati affidati. La situazione con il marito è fortemente compromessa: non gli è concesso di vedere i bimbi. Rachele ha bisogno di aiuto e di conforto, ma non può contare su aiuti familiari e ha difficoltà a contattare i servizi sociali. Per trovare la via di uscita a una situazione così complicata è risultato fondamentale il sostegno fornito dal Centro di ascolto della Caritas, soprattutto per quanto riguarda le continue minacce subite da parte del marito. Dopo un primo incontro di conoscenza e ascolto, il Centro si è impegnato a metterla in contatto con i servizi sociali e con la parrocchia. I servizi sociali hanno svolto un ruolo fondamentale nel sollecitare l’assegnazione di un alloggio alla donna e attualmente contribuiscono al pagamento dell’affitto e delle bollette. La parrocchia è diventata un importante punto di riferimento per i due figli e per Rachele. Dopo aver ottenuto l’alloggio dal Comune, Rachele ha avuto modo di arredarlo grazie al sostegno di alcune associazioni di volontariato e per circa un anno ha potuto godere degli alimenti forniti dal Centro. Immediatamente si è instaurato un rapporto di fiducia con gli operatori del Centro che ha permesso a Rachele di condurre autonomamente una vita più serena e di ritrovare la fiducia in se stessa. Janhaoui – Tunisia (cda di Parma) Janhaoui lascia la Tunisia per trasferirsi in Italia senza alcun familiare al seguito. Arriva a Parma senza conoscere la lingua italiana e in condizioni di grave povertà. Lavora saltuariamente come manovale in nero e alloggia in un casolare abbandonato in compagnia di altre persone. Il fatto di essere in Italia senza un regolare permesso di soggiorno gli rende difficile trovare lavoro e alloggio. Così decide di rivolgersi al Centro di ascolto con la richiesta di accesso al servizio mensa. Proprio nel periodo in cui frequenta la mensa, Janhaoui scopre di essere malato di sclerosi multipla. La situazione si fa particolarmente complicata a causa della sua situazione di irregolarità, che gli impedisce di usufruire gratuitamente delle cure necessarie. Scartata l’ipotesi di rimpatrio, poiché nel paese di origine non avrebbe ricevuto le cure mediche adeguate, il caso viene sottoposto alla Croce Rossa e alla Prefettura. Janhaoui ottiene un tesserino sanitario per sei 80 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 81 2. alcuni indicatori di disagio sociale mesi, che però non è sufficiente per garantire la continuità della terapia medica necessaria. Viene allora contattata una persona che decide di assumerlo, in modo tale da regolarizzarlo, ma i problemi di salute non gli permettono di mantenere il lavoro. Il Centro decide allora di contattare i servizi sociali, grazie ai quali ottiene un appartamento in comune con altri stranieri e gli viene riconosciuta l’invalidità. Nel frattempo un volontario del Centro gli impartisce lezioni di italiano. Oggi Janhaoui è un uomo sposato che, grazie agli aiuti ricevuti, ha un lavoro con regolare contratto e dispone di un alloggio nel quale vive con la moglie e con la loro bambina. 81 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 82 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 83 3 Le politiche sociali della Regione Emilia-Romagna 3.1. Quadro metodologico dell’analisi legislativa: la costruzione dell’Indice del grado di familiarità delle politiche (igf) Il concetto di Indice del grado di familiarità delle politiche scaturisce da una ricerca sulla famiglia e gli anziani proposta dalla cisl e dalla fnp (Federazione nazionale pensionati) che ha trovato sbocco in una pubblicazione dal titolo Politiche familiari e potenziale sociale (cisl, 2005)1 a cui il presente paragrafo si richiama. Lo scopo dell’analisi della legislazione sociale della Regione EmiliaRomagna consiste nell’individuare l’orientamento verso la famiglia in essa contenuto e nel capire quale spazio è riservato alla famiglia nella legislazione. Detto in altre parole, si tratta di misurare la posizione culturale e operativa della Regione rispetto al riconoscimento del ruolo attivo delle famiglie e di verificare la relazione tra tale ruolo e la dinamica della sussidiarietà quale snodo strategico per dedurre la capacità di “produzione” di libertà e di “ben-essere” delle famiglie stesse. In proposito è opportuno ricordare quanto afferma Donati (1999): «Il benessere della famiglia dipende dalle sue capacità di essere libera di generarsi come famiglia. Liberare la famiglia significa perseguire il suo benessere come possibilità concreta, non virtuale, di essere più famiglia, anziché un’altra cosa. Il che significa impostare le politiche sociali su due principi guida: la sussidiarietà del sistema politico-amministrativo nei confronti dei mondi vitali delle famiglie e il ruolo societario dell’associazionismo». 3.1.1. L’oggetto dell’analisi L’individuazione dei diversi gradi di familiarità nelle politiche regionali si basa sull’idea dell’esistenza di un continuum virtuale che va dalle politiche sociali alle politiche familiari. Con l’espressione “politiche sociali” faccia83 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 84 parte prima. il profilo sociale regionale mo riferimento a quelle politiche che si concentrano su un bisogno anche per prevenirlo, mentre le “politiche familiari” dovrebbero promuovere il soggetto famiglia preoccupandosi di riconoscere e promuovere la costituzione e lo sviluppo della stessa valorizzandola come soggetto titolare di diritti e doveri di cittadinanza. Nella definizione di politiche sociali sono state incluse tutte quelle leggi e norme volte a regolamentare servizi e interventi a favore di famiglie, minori, soggetti svantaggiati, anziani, disabili e stranieri; sono state considerate anche le leggi riguardanti l’abitazione e l’educazione, mentre sono state escluse quelle riguardanti la sanità. Le fonti normative considerate sono tutte di primo livello, ovvero leggi regionali, delibere di Giunta regionale e delibere del Consiglio regionale. Tali strumenti normativi possono essere ricompresi in tre differenti categorie: a) norme con un beneficiario finale; b) norme con un beneficiario finale e un beneficiario indiretto; c) norme con un beneficiario intermedio e un beneficiario indiretto. L’analisi prende in considerazione solo le prime due categorie escludendo la terza, perché essa introduce misure che raramente vanno a incidere sul “ben-essere” della famiglia o dei suoi componenti. 3.1.2. Il metodo Il metodo adottato per l’analisi della legislazione è quello definito da Corbetta (2003, pp. 103-4) come analisi del contenuto di tipo misto (qualitativo e quantitativo) che consente una traduzione sintetica dei contenuti, in questo caso, normativi: Un testo […] può essere analizzato sia in maniera qualitativa, interpretandolo nella sua globalità e dal punto di vista dei suoi significati; sia in maniera quantitativa, suddividendolo in elementi omogenei da mettere poi in relazione tra loro. In particolare, l’approccio quantitativo ha dato luogo a una branca della ricerca sociale, la cosiddetta analisi del contenuto, che utilizza procedure di scomposizione dei testi, al fine di codificarli in una matrice di dati da sottoporre poi all’analisi statistica. L’unità di analisi individuata è l’intervento/servizio inteso come «l’insieme di prestazioni e attività che si caratterizzano per un alto livello di omogeneità, visibilità e organicità rispetto all’utenza, alle finalità, alle strategie e ai processi di erogazione» (Comune di Modena, 2002). Le informazioni per l’analisi sono tratte dal testo normativo e sono classificate in modo da permettere una traduzione in termini quantitativi che consentano di pervenire alla realizzazione di un indice verbale. 84 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 85 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna Un intervento/servizio può essere analizzato prendendo in considerazione almeno quattro dimensioni: utenza o beneficiario, processi di erogazione o dinamica della sussidiarietà, strategia, attività o azioni. La tabella 3.1 mostra il significato e le modalità attraverso cui queste dimensioni, che costituiscono l’igf, vengono identificate. Tabella 3.1. Le quattro dimensioni dell’intervento/servizio Beneficiari Relazionalità del soggetto A quale fascia di relazioni si rivolge l’intervento? Sussidiarietà Sussidiarietà gestionale Quali e quanti soggetti vengono coinvolti e come? Strategia Integrazione strategica Quali sono le vie attraverso le quali l’intervento si dispiega? Azioni Complessità di realizzazione Quali sono le misure concrete realizzate per l’intervento? 3.1.3. L’Indice del grado di familiarità Un indice è la traduzione sintetica di un concetto complesso; esso si costituisce mediante l’aggregazione di indicatori che esprimono anch’essi variabili o concetti, ma di tipo semplice. La costruzione di un indice è estremamente complessa e richiede un percorso metodologico rigoroso. Come specificato all’inizio del paragrafo 3.1, il processo metodologico di costruzione dell’igf è stato chiaramente esposto nel testo di riferimento e a esso si rimanda per un approfondimento; in questa sede ci limiteremo alla descrizione dei componenti dell’igf (gli indicatori e le variabili) e delle scale di ponderazione delle variabili. Questa descrizione sarà sufficiente per comprendere da dove provengono i valori attribuiti a ciascun intervento e conseguentemente a ciascuna legge. L’indicatore beneficiari La normativa fa sempre riferimento a beneficiari e, in base all’obiettivo posto e alla disponibilità di informazioni, è stato individuato l’indicatore 85 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 86 parte prima. il profilo sociale regionale beneficiari che viene definito dalla quantità di relazioni familiari considerata dalle legislazioni regionali. Pertanto, la variabile di riferimento diviene il numero di relazioni familiari considerate dalla normativa stessa. Il processo di progressiva quali-quantificazione del sistema di relazioni familiare viene identificato mediante cinque classi (che si ispirano alla classificazione della famiglia proposta dall’istat): a) assenza di indicazioni in merito al beneficiario e al suo sistema di relazioni; b) indicazione del singolo beneficiario dell’intervento e assenza di riferimenti al suo sistema di relazioni; c) indicazione di una coppia quale beneficiario dell’intervento; d) indicazione di una coppia o di un singolo e contemporanea presenza di uno o più figli (o di uno o più anziani); e) indicazione della famiglia quale beneficiario dell’intervento. Tabella 3.2. L’indicatore beneficiari Qs. tabelle non sono molto chiare... Numero di relazioni a b c Intervento 1 Non indicato Singolo Coppia d Coppia/singolo con figli e Famiglia Intervento 2 Intervento… L’indicatore sussidiarietà La seconda dimensione considerata è la complessità relazionale comunitaria, rispetto alla quale è stato individuato un unico indicatore definito dalla presenza di privato e privato sociale nella gestione dei servizi. La variabile di riferimento diviene conseguentemente il numero di soggetti privati e del privato sociale coinvolti e descritti nella legislazione come soggetti gestori dell’intervento e della rete dei servizi. Il progressivo coinvolgimento di soggetti privati, del privato sociale e della famiglia è stato classificato in cinque classi: a) assenza di indicazioni in merito al soggetto gestore dell’intervento; b) non sono coinvolti soggetti del privato o del privato sociale e l’intervento è implementato esclusivamente da soggetti pubblici; c) sono coinvolti più soggetti del pubblico che del privato; d) sono coinvolti più soggetti del privato che del pubblico o solo soggetti privati; e) insieme a soggetti pubblici e privati, quale che sia il numero dei primi e dei secondi, è coinvolta la famiglia come soggetto attivo gestore dell’intervento. 86 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 87 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna Tabella 3.3. L’indicatore sussidiarietà Numero di relazioni a Intervento 1 Non indicato b c Solo Più pubblico pubblico d e Più privato e privato sociale Famiglie e associazioni familiari Intervento 2 Intervento… L’indicatore strategie L’integrazione delle strategie gestionali rappresenta la quarta dimensione di analisi delle politiche familiari. Rispetto all’obiettivo posto e alla disponibilità informativa data, si è individuato come unico indicatore di tale dimensione quello definito dall’integrazione delle strategie gestionali, ossia dalla compresenza di strategie necessarie alla gestione efficace ed efficiente delle politiche. La variabile di riferimento di tale indicatore diviene la presenza delle quattro strategie essenziali previste dal metodo cg Contenuto (C) Gestione (G) di una politica (per il metodo cg si veda il capitolo 1 di cisl, 2005): sistema informativo, programmazione partecipata, implementazione innovativa, monitoraggio comparato. Tali informazioni vengono dedotte all’interno della normativa, laddove si procede alla descrizione delle modalità di gestione degli interventi; nello specifico: nel sistema informativo comprendiamo tutte quelle strategie connesse alla creazione di un sistema informativo finalizzato alla progettazione dell’intervento; nella programmazione partecipata comprendiamo le strategie definite come programmazione, coordinamento, coinvolgimento, raccordo, concertazione, interazione, integrazione, riorganizzazione e simili; nell’implementazione innovativa consideriamo voci quali implementazione, formazione, sostegno, priorità, gratuità, affidamento, studi e ricerche, inserimento, tutela, protezione, e simili; nel monitoraggio comparato comprendiamo vigilanza, monitoraggio, verifica, controllo, e simili. Definiamo tale indicatore come indicatore strategie. Nel nostro caso specifico, il processo di qualificazione della gestione delle politiche viene identificato mediante cinque elementi: a) assenza di indicazioni rispetto alle strategie di gestione politica/servizio/intervento; b) presenza di una sola delle quattro strategie previste dal metodo cg; c) presenza di due delle quattro strategie previste dal metodo cg; d) presenza 87 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 88 parte prima. il profilo sociale regionale di tre delle quattro strategie previste dal metodo cg; e) presenza di tutte e quattro le strategie previste dal metodo cg. Tabella 3.5. L’indicatore strategie Numero di relazioni a b c d e Intervento 1 Non indicato 1a strategia 2a strategia 3a strategia 4a strategia Intervento 2 Intervento… L’indicatore azioni Nella normativa viene sempre descritta la tipologia di servizio offerta e rispetto a questa si individua la terza dimensione di prossimità alla famiglia, la quale deve essere vista nel ruolo di attrice. Si tratta di rilevare la programmazione di azioni che riconoscano la famiglia come soggetto attivo. La variabile di riferimento diviene conseguentemente la caratteristica dei servizi rispetto alla famiglia e in funzione della sua possibilità di azione e di coinvolgimento. Il processo di progressivo coinvolgimento della famiglia nelle azioni implementate viene identificato mediante cinque classi: a) assenza di indicazioni in merito alla politica/servizio/intervento; b) azioni di tipo residenziale che ricomprende le rsa, strutture residenziali e simili; c) azioni di tipo semiresidenziale (strutture semiresidenziali, centri diurni, nidi e simili); d) azioni di tipo domiciliare (assistenza domiciliare, contributo2 e simili); e) azioni di tipo preventivo (corsi, soggiorni, scambi e gemellaggi, iniziative culturali, educative e ricreative e simili). Tabella 3.4. L’indicatore azioni Numero di relazioni Intervento 1 Intervento 2 Intervento… 88 a b Non indicato Residenziali c d e Semiresidenziali Domicialiari Preventivi Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 89 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna L’impianto concettuale dell’igf delle politiche si traduce nel prospetto riportato in tabella 3.6. Tabella 3.6. Indicatore del grado di familiarità (igf) Concetto Dimensione Famiglia Complessità relazionale Quantità di relazioni familiare Complessità relazionale Presenza di privato comunitaria e del privato sociale Sussidiarietà Libertà Qualità Indicatore Azioni di prossimità Familiarizzazione alla famiglia dei servizi Gestione delle politiche Presenza e integrazione di strategie Variabile Numero di relazioni familiari Numero di soggetti privati e del privato sociale Caratteristica dei servizi Numero di strategie utilizzate 3.2. Descrizione della legislazione regionale La legislazione della Regione Emilia-Romagna analizzata di seguito ha riguardato complessivamente diciotto documenti: nove leggi regionali, sette delibere di Giunta e due delibere di Consiglio. In alcuni casi sono state individuate diverse norme volte a regolamentare il medesimo intervento e si è proceduto, come descritto dettagliatamente altrove (cfr. cisl, 2005), analizzando le diverse norme in modo congiunto, confermando in questo modo l’impostazione metodologica volta a considerare come unità di riferimento l’intervento/servizio. Un accenno merita la legge quadro regionale sul sistema dei servizi sociali – L.R. 12 marzo 2003, n. 2, Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali – che non viene analizzata in modo comparato con le altre norme, trattandosi di una legge di orientamento degli interventi legiferati con norme specifiche. Presentato il quadro entro cui si svolge l’indagine, è ora possibile formulare una prima considerazione riguardante l’evoluzione in termini temporali della normativa presa in esame (tab. 3.7). La tabella 3.7 evidenzia che la legislazione regionale in tema di politiche sociali si è completata principalmente nella seconda metà degli anni novanta: dal 1997 al 2000 sono state infatti 89 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 90 parte prima. il profilo sociale regionale approvate ben undici leggi delle diciotto esaminate, la cui attenzione principale è rivolta ai minori (cinque norme) e ai disabili (tre norme). Negli ultimi cinque anni, la normativa esaminata evidenzia che l’attenzione del legislatore si è concentrata sui soggetti svantaggiati (due norme tra il 2001 e il 2005) e sugli stranieri, ai quali è riferita la legge più recente tra quelle esaminate. Vale la pena rilevare, inoltre, che al soggetto famiglia è dedicata una sola legge, quella meno recente, datata 1989. Tabella 3.7. Leggi e delibere oggetto di indagine – Beneficiari e anno 1989 1990 1994 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2005 Famiglie 1 Minori 2 1 2 Totale % 1 5,6 5 27,8 Soggetti svantaggiati 1 Anziani 1 Disabili 1 1 1 Pluritarget Stranieri 1 Totale leggi 1 1 1 3 16,7 2 11,1 1 3 16,7 1 1 5,6 1 3 16,7 1 18 100 1 1 2 3 1 3 4 1 1 All’interno delle leggi e delle delibere analizzate sono previsti complessivamente 73 interventi/servizi, di cui 13 rivolti alle famiglie, 13 ai minori, 2 ai soggetti svantaggiati, 4 agli anziani, 6 ai disabili, 11 a destinatari plurimi e 24 agli stranieri. Tabella 3.8. Leggi e delibere oggetto di indagine – Beneficiari e titolo sintetico Codice Beneficiari Titolo sintetico er1 er2 er3 er4 er5a er5b er6a Famiglia Minori Minori Minori Minori Minori Soggetti svantaggiati Sostegno alla procreazione e agli impegni di cura Servizi educativi per la prima infanzia Affidamento familiare Prevenzione dell’abuso sessuale sui minori Interventi sociali a favore di minori Interventi residenziali e semiresidenziali per minori Assegnazione di alloggi di erp 90 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 91 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna Codice Beneficiari Titolo sintetico er6b er7 er8a er8b er9a er9b er10 er11 er12 er13 er14 Soggetti svantaggiati Soggetti svantaggiati Anziani Anziani Disabili Disabili Disabili Pluritarget Stranieri Stranieri Stranieri Politiche abitative Inserimento lavorativo delle persone svantaggiate Tutela e valorizzazione delle persone anziane Assegno di cura Integrazione sociale delle persone disabili Servizio di aiuto personale Inserimento lavorativo delle persone disabili Interventi residenziali e semiresidenziali Interventi a favore degli emigrati Norme per l’integrazione degli immigrati Accoglienza a favore degli immigrati Nota: er identifica un atto normativo della Regione Emilia-Romagna 3.2.1. La normativa rivolta alle famiglie La normativa rivolta alle famiglie è costituita, nell’analisi che segue, da una sola norma: si tratta della L.R. 14 agosto 1989, n. 27, Norme concernenti la realizzazione di politiche di sostegno alle scelte di procreazione e agli impegni di cura verso i figli (er1), che, tra i propri obiettivi, ha quello di diffondere l’informazione sui temi della sessualità, di promuovere e sostenere la regolazione e il controllo della fertilità e di sostenere le volontà procreative. La L.R. 27/1989 prevede tredici interventi: informazione sui temi della sessualità, interventi per i giovani, tutela della procreazione, controllo delle malattie congenite, percorso di nascita, tutela psicoaffettiva della nascita, centro per le famiglie, interventi per problemi relazionali, iniziative promozionali per le donne, assistenza economica, prestiti sull’onore, assistenza domiciliare, assistenza socioeducativa. 3.2.2. La normativa rivolta ai minori Relativamente al target minori, sono stati esaminati cinque documenti: una legge regionale, due delibere di giunta e due delibere di consiglio. La legge esaminata è la L.R. 10 gennaio 2000, n. 1, Norme in materia di servizi educativi per la prima infanzia (er2), che, avendo l’obiettivo di riconoscere «le bambine e i bambini quali soggetti di diritti individuali, giuridici, civili e sociali», prevede cinque interventi: nido d’infanzia, centro per 91 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 92 parte prima. il profilo sociale regionale bambini e genitori, spazio bambini, servizi sperimentali, partecipazione. Successivamente, sono state considerate la delibera di Giunta 1° febbraio 2000, n. 118, Direttiva regionale in materia di affidamento familiare. Proposta al consiglio regionale (er3), che, come si evince dal testo, regolamenta l’affido familiare, e la delibera di Giunta 26 ottobre 1999, n. 1913, Linee di indirizzo in materia di abuso sessuale sui minori. Proposta al consiglio regionale (er4), che traccia gli indirizzi regionali da seguire in merito alla normativa introdotta a livello nazionale riguardante l’abuso sessuale sui minori. Infine, è stata esaminata la delibera di Consiglio regionale 12 ottobre 1997, n. 777, Indirizzi per la definizione delle tipologie di intervento sociale a favore dei minori in relazione alle funzioni di carattere socioassistenziale (er5a), congiuntamente alla delibera di Consiglio Regionale 12 ottobre 1997, n. 779, Direttiva sui requisiti funzionali e strutturali, sulle procedure per il rilascio, la sospensione, la revoca dell’autorizzazione al funzionamento e sui criteri di vigilanza per le comunità socioassistenziali residenziali e semi-residenziali per minori (er5b). In questa delibera di Consiglio (777/1997), oltre ad alcuni interventi di tipo residenziale e semiresidenziale che non sono stati considerati, perché disciplinati dal D.G.R. 564/2000 (che esamineremo nel paragrafo 3.2.6), sono previsti i seguenti sei interventi: interventi socioeducativi, assistenza domiciliare per minori, centro diurno per minori, adozione, interventi su accertamento dell’autorità giudiziaria, aiuto economico. 3.2.3. La normativa rivolta ai soggetti svantaggiati Tre sono le norme regionali approvate a tutela dei soggetti svantaggiati. La prima è la L.R. 8 agosto 2001, n. 24, Disciplina generale dell’intervento pubblico nel settore abitativo (er6a), che prevede un unico intervento, vale a dire l’assegnazione in locazione degli appartamenti di edilizia residenziale pubblica. Tale legge è esaminata congiuntamente alla delibera di Giunta 18 novembre 2002, n. 2172, Proposta al consiglio regionale. L.N. 21/2001 e L.R. 24/2001: programma regionale 2003-2004 di interventi pubblici per le politiche abitative. Primo provvedimento (er6b), che integra le disposizioni previste dalla legge precedentemente esaminata. La seconda è la L.R. 4 febbraio 1994, n. 7, Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale. Attuazione della legge 8 novembre 1991, n. 381 (er7), anch’essa composta da un solo intervento, vale a dire l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. 92 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 93 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna 3.2.4. La normativa rivolta agli anziani Agli anziani sono dedicate due norme: una legge regionale e una delibera di Giunta. La L.R. 3 febbraio 1994, n. 5, Tutela e valorizzazione delle persone anziane. Interventi a favore di anziani non autosufficienti (er8a), che intende dettare «norme per l’attuazione di azioni positive che contribuiscano a mantenere l’anziano nella famiglia e nel tessuto sociale» e che prevede quattro interventi: edilizia abitativa, accoglienza in famiglia, assistenza domiciliare integrata, assegno di cura. L’assegno di cura, previsto dall’art. 21, c. 3, della L.R. 5/1994, è poi regolamentato dettagliatamente da una norma successiva, la delibera di Giunta 26 luglio 1999, n. 1377, Direttiva sui criteri, modalità e procedure per la contribuzione alle famiglie disponibili a mantenere l’anziano non autosufficiente nel proprio contesto (er8b). Pertanto, tale delibera è considerata congiuntamente alla legge cui fa riferimento, dato che l’unità di analisi che si considera non è la legge ma, come approfondito altrove (cfr. cisl, 2005), il singolo intervento/servizio. 3.2.5. La normativa rivolta ai disabili Gli interventi per i disabili sono contenuti in tre documenti. Il primo, in ordine cronologico, è la L.R. 21 agosto 1997, n. 29, Norme e provvedimenti per favorire le opportunità di vita autonoma e l’integrazione sociale delle persone disabili (er9a), con la quale la Regione Emilia-Romagna «favorisce la vita di relazione e l’integrazione sociale delle persone con disabilità fisica, psichica e sensoriale». Tale legge disciplina quattro interventi: servizio di aiuto personale, acquisto e adattamento di veicoli, interventi a sostegno dell’autonomia, sensibilizzazione culturale. Il servizio di aiuto personale viene poi regolamentato in dettaglio dalla successiva delibera di Giunta 1° giugno 1998, n. 778, Direttiva per l’istituzione del servizio di aiuto personale di cui all’art. 3, c. 3, della L.R. 29/97 e modalità e criteri per l’accesso ai contributi di cui all’art. 6, c. 6 e all’art. 9, c. 3, della medesima L.R. 29/97 (er9b): tale delibera, come già ricordato sopra, viene considerata congiuntamente alla legge cui fa riferimento. Infine, al target disabili è rivolta la L.R. 25 febbraio 2000, n. 14, Promozione dell’accesso al lavoro delle persone disabili e svantaggiate (er10) che, nel promuovere «il diritto e l’accesso al lavoro delle persone disabili e in stato di svantaggio individuale e sociale, nel rispetto delle scelte dei singoli destinatari» prevede i seguenti due interventi: collocamento mirato e convenzioni. 93 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 94 parte prima. il profilo sociale regionale 3.2.6. La normativa rivolta a più target La normativa rivolta a destinatari plurimi, di seguito esaminata, comprende un solo documento. Si tratta della delibera di Giunta 1° marzo 2000, n. 564, Direttiva regionale per l’autorizzazione al funzionamento delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori, portatori di handicap, anziani e malati di aids, in attuazione della L.R. 12/10/1998, n. 34 (er11), che disciplina i diversi tipi – undici – di strutture previste dal sistema regionale: centro diurno per anziani, comunità-alloggio, casa di riposo, casa protetta/rsa, centro socioriabilitativo diurno, centro socioriabilitativo residenziale, casa-alloggio, centro diurno per malati di aids, comunità di pronta accoglienza, comunità educativa e comunità di tipo familiare. 3.2.7. La normativa rivolta agli stranieri Per quanto riguarda il target stranieri, sono state esaminate due leggi regionali e una delibera di Giunta. Con la prima legge, la L.R. 21 febbraio 1990, n. 14, Iniziative regionali in favore dell’emigrazione e norme per l’istituzione della consulta regionale dell’emigrazione (er12), la Regione prevede «la promozione o lo svolgimento di iniziative ed attività volte a conservare e rinsaldare [...] i legami con la cultura d’origine», nonché «interventi volti ad agevolare il rientro degli emigrati, il loro inserimento o il reinserimento sociale e produttivo nel contesto socioeconomico della regione» e, a tal fine, istituisce tredici interventi: attività sociali, interventi socioassistenziali, turismo sociale, formazione professionale, diritto allo studio, contributi per edilizia residenziale, alloggi di erp (Edilizia residenziale pubblica), provvedimenti in materia di agricoltura, provvedimenti in materia di artigianato, interventi per l’occupazione nel commercio, sostegno ad associazioni, ricongiungimento di periodi lavorativi e contributo per le elezioni. La seconda legge, la L.R. 24 marzo 2005, n. 5, Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21 febbraio 1990 n. 14 e 12 marzo 2003 n. 2 (er13), «ispirandosi all’articolo 3 della Costituzione, è finalizzata al contrasto e al superamento dei fenomeni di razzismo e xenofobia, alla costruzione di una società multiculturale»; inoltre «si ispira alla garanzia della pari opportunità di accesso ai servizi, al riconoscimento ed alla valorizzazione della parità di genere». Essa predispone dieci interventi: partecipazione, misure contro la discriminazione, 94 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 95 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna politiche abitative, assistenza sanitaria, servizi per l’infanzia, formazione professionale, inserimento lavorativo, comunicazione interculturale, contributi ad associazioni e reinserimento nei paesi di origine. Infine, la delibera di Giunta 18 maggio 1999, n. 748, Linee guida per l’attuazione del primo programma delle attività di accoglienza e di assistenza a favore degli immigrati previste dal D.Lgs. n. 286/1998. Proposta al consiglio regionale (er14), detta gli indirizzi regionali a seguito dell’approvazione della normativa introdotta a livello nazionale in materia di accoglienza e assistenza in favore di immigrati. 3.3. L’Indice del grado di familiarità: la Regione e le norme 3.3.1. L’orientamento generale della normativa regionale L’igf delle politiche sociali della Regione Emilia-Romagna si attesta su 48,5 punti rispetto ai 100 complessivi. Tale punteggio risulta come valore medio dei 73 interventi/servizi previsti dalla legislazione analizzata3, i quali a loro volta afferiscono alle diciotto leggi e delibere analizzate. Come già approfondito, il valore dell’igf risulta come somma di quattro valori intermedi riferiti ad altrettanti indicatori diversamente ponderati tra di loro. Nello specifico, l’igf risulta come somma dell’indicatore beneficiari, che si attesta su 14 punti sui 32 totali, dell’indicatore sussidiarietà, che totalizza 11,8 punti rispetto ai 32 totali, dell’indicatore strategie, che arriva a 11,9 punti su 20, e, infine, dell’indicatore azioni, che perviene a un valore di 10,7 rispetto ai 16 complessivi. Tabella 3.9. Grado di familiarità della legislazione sociale della Regione Emilia-Romagna Target Ind. beneficiari Ind. sussidiarietà Ind. strategie Ind. azioni Grado di familiarità Totale igf Peso igf Rapporto totale 14,0 32,0 11,8 32,0 11,9 20,0 10,7 16,0 48,5 100,0 e peso igf (%) 43,8 36,9 59,5 66,9 48,5 95 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 96 parte prima. il profilo sociale regionale In termini assoluti, l’indicatore della Regione che contribuisce maggiormente all’igf è quello relativo ai beneficiari, con 14 punti sui 48,5 complessivamente raggiunti. Tabella 3.10. Grado di familiarità – Confronto regionale Ind. beneficiari Ind. sussidiarietà Ind. strategie Ind. azioni Grado di familiarità 11,5 12,7 14,2 11,5 14,1 17,0 16,2 14,1 14,5 13,2 17,5 11,7 9,9 13,0 9,0 8,3 10,3 9,8 9,8 14,1 11,2 6,2 11,4 10,0 10,3 9,7 8,0 9,5 10,9 11,0 11,6 11,7 46,6 45,4 49,5 46,8 46,1 47,2 48,2 44,1 Piemonte Veneto Lombardia Marche Puglia Calabria Sicilia Sardegna Fonte: cisl (2005). Tuttavia, va evidenziato come, in termini relativi, l’indicatore azioni sia quello più elevato valorizzando ben il 66,9% dei punti a disposizione (tab. 3.9). Sempre in termini percentuali, inoltre, è interessante il punteggio relativo all’indicatore strategie, che valorizza il 59,5% dei punti complessivi a disposizione. Infine, si rileva il livello piuttosto basso dell’indicatore sussidiarietà, che valorizza solamente il 36,9% del punteggio totale. 3.3.2. L’orientamento particolare delle leggi e delle delibere Delle diciotto leggi e delibere analizzate, di cui effettive quattordici in quanto quattro risultano combinate con altre, due superano i 75 punti, sei totalizzano tra i 50 e i 60 punti, una è tra i 40 e i 50 punti e ben cinque sono sotto i 40 punti. Il punteggio più elevato registrato è 80 e riguarda la legge sull’assegnazione di alloggi di erp (er6); per contro, la legge che registra il grado di familiarità più basso, totalizzando 34 punti, è quella che riguarda l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate (er7). 96 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 97 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna Tabella 3.11. Grado di familiarità delle leggi e delibere oggetto di indagine Ind. Ind. Ind. Ind. beneficiari sussidiarietà strategie azioni er1 er2 er3 er4 er5 er6 er7 er8 er9 er10 er11 er12 er13 er14 Sostegno alla procreazione e agli impegni di cura Servizi educativi per la prima infanzia Affidamento familiare Prevenzione dell’abuso sessuale sui minori Interventi sociali a favore di minori Assegnazione di alloggi di erp Inserimento lavorativo delle persone svantaggiate Tutela e valorizzazione delle persone anziane Integrazione sociale delle persone disabili Inserimento lavorativo delle persone disabili Interventi residenziali e semiresidenziali Interventi a favore degli emigrati Norme per l’integrazione degli immigrati Accoglienza a favore degli immigrati Totale Grado di familiarità 18,5 12,3 11,9 13,2 55,9 22,4 8,0 17,6 32,0 13,0 20,0 10,4 16,0 63,4 76,0 8,0 16,0 10,0 16,0 50,0 22,7 16,0 9,1 14,0 61,8 32,0 16,0 20,0 12,0 80,0 8,0 0,0 10,0 16,0 34,0 20,0 18,0 18,7 9,0 65,7 8,0 12,0 7,5 12,0 39,5 8,0 12,0 7,5 8,0 35,5 8,0 8,0 15,0 5,1 36,1 11,7 5,5 5,8 12,9 35,9 10,4 12,8 16,5 7,6 47,3 8,0 24,0 10,0 16,0 58,0 14,0 11,8 11,9 10,7 48,5 3.4. L’igf e le rappresentazioni di politica sociofamiliare Come precedentemente affermato, l’igf delle politiche sociali della Regione Emilia-Romagna si attesta su 48,5 punti rispetto ai 100 complessivi. Ciò risulta come somma dell’indicatore beneficiari (14), dell’indicatore sussidiarietà (11,8), dell’indicatore strategie (11,9) e dell’indicatore azioni (10,7). Aggregando i valori degli interventi per target (tab. 3.12) emerge come l’igf delle leggi e delibere rivolte agli anziani sia quello più 97 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 98 parte prima. il profilo sociale regionale elevato, con 65,7 punti, segue quello relativo ai minori, con 62,6 punti, e quello relativo ai soggetti svantaggiati, con 57 punti. Troviamo poi a pochi punti di distanza l’igf delle leggi e delibere rivolte alle famiglie (55,9 punti), mentre decisamente basso risulta essere il valore assunto dall’igf per gli altri target, vale a dire per gli stranieri (41,6 punti), per i disabili (38,2 punti) e per le leggi rivolte a destinatario plurimo (36,1 punti). Tabella 3.12. Grado di familiarità delle leggi e delibere – Aggregazione per target N. Target leggi 1 5 3 2 3 1 3 Leggi rivolte a famiglie Leggi rivolte a minori Leggi rivolte a soggetti svantaggiati Leggi rivolte ad anziani Leggi rivolte a disabili Leggi rivolte a destinatario plurimo Leggi rivolte a stranieri Totale igf Peso igf Rapporto totale e peso igf (%) Ind. Ind. Ind. beneficiari sussidiarietà strategie Ind. azioni Grado di familiarità 18,5 20,3 12,3 17,9 11,9 11,5 13,2 12,9 55,9 62,6 20,0 20,0 8,0 8,0 18,0 12,0 15,0 18,7 7,5 14,0 9,0 10,7 57,0 65,7 38,2 8,0 11,0 8,0 9,3 15,0 10,4 5,1 10,9 36,1 41,6 14,0 32,0 11,8 32,0 11,9 20,0 10,7 16,0 48,5 100,0 43,8 36,9 59,5 66,9 48,5 Le leggi/delibere rivolte alle famiglie si caratterizzano per un punteggio abbastanza elevato rispetto all’ind. beneficiari (18,5 punti su 32), all’ind. azioni (13,2 punti su 16) e all’ind. strategie (11,9 punti su 20), mentre l’ind. sussidiarietà ottiene un valore piuttosto basso (12,3 punti su 32). Per le leggi/delibere rivolte a minori si registra un ind. beneficiari molto elevato (20,3 punti su 32), cui corrispondono valori medio-alti anche per l’ind. sussidiarietà (17,9 punti su 32), l’ind. strategie (11,5 punti su 20) e l’ind. azioni (12,9 punti su 16). Le leggi rivolte a soggetti svantaggiati conseguono valori elevati per l’ind. beneficiari (20 punti su 32), per l’ind. strategie (15 punti su 20) e per l’ind. azioni (14 punti su 16), mentre l’ind. sussidia98 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 99 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna rietà consegue un valore decisamente basso (8 punti su 32). Le leggi rivolte al target anziani presentano un valore molto elevato per l’ind. strategie (ben 18,7 punti su 20), valori elevati per l’ind. beneficiari (20 punti su 32) e per l’ind. sussidiarietà (18 punti su 32) e un valore intermedio per l’ind. azioni (9 punti su 16). Le leggi/delibere rivolte al target disabili e al target stranieri presentano valori abbastanza bassi in tutti e quattro gli indicatori, mentre quelle rivolte a destinatari plurimi presentano sì un valore elevato nell’ind. strategie (15 punti su 20), ma valori estremamente bassi in tutti gli altri indicatori: l’ind. beneficiari e l’ind. sussidiarietà conseguono entrambi 8 punti, mentre l’ind. azioni ottiene solamente 5,1 punti. 3.5. L’indicatore beneficiari: luci e ombre L’indicatore beneficiari – come già ricordato – è quello che maggiormente contribuisce, con 14 punti, al conseguimento dei 48,5 punti dell’igf della Regione Emilia-Romagna, anche se percentualmente valorizza molto meno della metà del punteggio potenziale (il 43,8% del punteggio totale dell’indice). A fronte di valori abbastanza elevati in corrispondenza delle leggi a favore della famiglia, dei minori, dei soggetti svantaggiati e degli anziani, l’indicatore assume invece valori molto bassi nelle leggi riguardanti i disabili (solo 8 punti su 32), gli stranieri e i destinatari plurimi. Questo dato permette quindi di trarre un primo elemento di giudizio sulla relazionalità del target delle leggi della Regione Emilia-Romagna, basato su due considerazioni: a) l’elevato coinvolgimento della famiglia in quei target che possono essere considerati più “familiari”; b) la difficoltà di estendere tale visione agli altri destinatari. 3.5.1. Buone leggi per molti target Il primo aspetto degno di nota dell’indicatore beneficiari della legislazione dell’Emilia-Romagna riguarda il fatto che molti target, come emerge anche dalla tabella 3.12, conseguono un punteggio elevato in questo indicatore. Ciò è vero per la legislazione rivolta alle famiglie, come emerge dall’analisi, ad esempio, dell’intervento er1-7-Centro famiglie, diretto alle «famiglie», ma è significativo rilevare che anche altri target conseguono un punteggio elevato. Così, nella legislazione rivolta ai minori sono previste diverse misure innovative: ad esempio, l’intervento er2-2-Centro per bambini e genitori, che offre «accoglienza ai bambini insieme ai loro geni99 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 100 parte prima. il profilo sociale regionale tori», oltre all’intervento er2-5-Partecipazione, diretto alle «famiglie». Analogamente accade per la legislazione rivolta ai soggetti svantaggiati: l’intervento er6-Assegnazione di alloggi di erp è infatti diretto «ai nuclei aventi diritto», ove «per nucleo avente diritto s’intende la famiglia costituita dai coniugi e dai figli legittimi, naturali, riconosciuti e adottivi e dagli affiliati, con loro conviventi». Infine, anche gli anziani sono considerati spesso in relazione alla rete familiare cui afferiscono, come accade nell’intervento er8-4-Assegno di cura, rivolto alle «famiglie disponibili a mantenere l’anziano nel proprio contesto». Proprio in questo caso si evidenzia la buona impostazione della legge, dato che dell’assegno di cura può beneficiare non solo l’anziano, che è sicuramente il destinatario finale, ma anche le persone con le quali il soggetto più direttamente coinvolto si relaziona. 3.5.2. La fatica a “estendere la famiglia” agli altri target Accanto a questi target inseriti in un contesto di relazionalità familiare, la legislazione dell’Emilia-Romagna presenta, per gli altri target, un basso livello di familiarità degli interventi. Nel caso degli interventi rivolti a destinatario plurimo emerge il solito problema delle politiche concepite in modo standard, per le quali le strutture socioassistenziali e sociosanitarie sono dirette solo all’individuo senza tenere in considerazione il contesto nel quale vive. Invece, nel caso dei target disabili e stranieri pare sussistere una carenza legislativa piuttosto grave. Se si considera il target disabili, ad esempio, sia l’intervento er9-2-Acquisto e adattamento di veicoli che l’intervento er9-3-Interventi a sostegno dell’autonomia sono diretti a un beneficiario singolo, quasi che per la famiglia non sia previsto un ruolo di sostegno al portatore di handicap. Considerando la particolare debolezza del target disabili, pare che questa carenza legislativa non possa essere considerata di secondo piano. 3.6. L’indicatore sussidiarietà: il punto debole L’indicatore sussidiarietà – come ricordato – presenta un valore abbastanza basso, pari a 11,8 punti su 32: ciò equivale a dire che viene valorizzato solo il 36,9% dell’indicatore. Il dato è abbastanza negativo e peggiora il risultato decoroso ottenuto dall’indicatore beneficiari. I punti da sottolineare sono i seguenti: a) il buon livello che l’indicatore raggiunge per alcu100 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 101 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna ni target, soprattutto minori e anziani; b) l’eccessiva presenza, in generale, di interventi a sussidiarietà zero, accompagnata allo scarso coinvolgimento sia dei soggetti privati che della famiglia. 3.6.1. Buona sussidiarietà per anziani e minori Una prima caratteristica positiva dell’indicatore sussidiarietà riguarda il buon livello che esso raggiunge per i target anziani e minori, per i quali, in sostanza, si configurano leggi che inseriscono tali target in un buon sistema di relazioni. Per quanto riguarda gli anziani, l’intervento er8-1-Edilizia abitativa considera numerosi soggetti privati: cooperative di abitazione, cooperative sociali, imprese di costruzione, associazioni e soggetti privati genericamente intesi; e l’intervento er8-2-Accoglienza in famiglia prevede, chiaramente, il coinvolgimento della famiglia. Se si concentra l’attenzione agli interventi rivolti ai minori, il quadro è altrettanto positivo: l’intervento er2-1-Nido d’infanzia prevede il coinvolgimento delle famiglie; inoltre, il coinvolgimento di soggetti privati è previsto in molti altri casi, come per l’intervento er2-2-Centro per bambini e genitori, per l’intervento er2-3-Spazio bambini e anche per l’intervento er4-Prevenzione dell’abuso sessuale sui minori. 3.6.2. Molti problemi di impostazione I buoni risultati che la legislazione dell’Emilia-Romagna evidenzia per i target minori e anziani non devono far perdere di vista le gravi carenze che l’indicatore sussidiarietà mostra. Infatti, ben 14 interventi su 73 – vale a dire il 19,2% del totale – non presentano il coinvolgimento di nessun soggetto; inoltre, sono pochi gli interventi in cui i soggetti privati sono coinvolti – solo 27 su 73, meno del 37% del totale – e, tra questi interventi, solamente in cinque casi è coinvolta la famiglia. Emerge, quindi, una situazione in cui non solo è predominante – e forse eccessivo – l’intervento del settore pubblico, ma soprattutto è cronica e manifesta la difficoltà di coinvolgere la famiglia nella realizzazione degli interventi, anche laddove tale coinvolgimento sarebbe stato agevole. Perché, infatti, se nell’intervento er2-1-Nido d’infanzia, di tipo semiresidenziale, viene giustamente coinvolta la famiglia, nell’intervento er111-Centro diurno per anziani, di tipo semiresidenziale anch’esso, la famiglia non viene coinvolta? 101 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 102 parte prima. il profilo sociale regionale In secondo luogo, il coinvolgimento della famiglia sarebbe risultato agevole in quei casi nei quali il target risulta essere estremamente debole: nell’intervento er9-1-Servizio di aiuto personale non è chiaro perché l’aiuto al disabile debba essere fornito – legittimamente – da diversi soggetti, sia pubblici che privati, ma non possa essere fornito né da famiglie, né da associazioni familiari. Queste lacune evidenziano una volta di più la difficoltà di superare il modo standard attraverso il quale le politiche per la famiglia vengono formulate: la realizzazione di politiche per la famiglia, infatti, non deve solamente prevedere la famiglia come destinatario – cosa che può sembrare unicamente di facciata – , ma deve coinvolgere – ove possibile – la famiglia stessa nella realizzazione dell’intervento. 3.7. L’indicatore strategie: una discreta integrazione L’indicatore strategie – come già ricordato – presenta un valore medioalto, conseguendo 11,9 punti su 20, con un grado di copertura del 59,5%. Il valore medio-alto espresso può trovare nelle seguenti riflessioni un suo approfondimento: a) la presenza di diversi interventi a elevata integrazione; b) la presenza ancora troppo ampia di lacune e incoerenze. 3.7.1. Picchi di ottima integrazione Il buon punteggio che la Regione Emilia-Romagna consegue nell’indicatore strategie è dovuto alla buona impostazione di alcune leggi. La legge er8-Tutela e valorizzazione delle persone anziane, ad esempio, al suo interno prevede diverse misure realizzate con quattro strategie: gli interventi er8-2-Accoglienza in famiglia, er8-3-Assistenza domiciliare integrata ed er8-4-Assegno di cura. Anche la legge er13-Norme per l’integrazione degli immigrati presenta una buona impostazione e in alcuni interventi (tra gli altri, er13-2-Misure contro la discriminazione, er13-7-Inserimento lavorativo) sono previste tutte e quattro le strategie. Da segnalare inoltre anche la er11-Interventi residenziali e semiresidenziali che, sebbene consegua punteggi bassi negli altri indicatori, presenta però un buon livello di integrazione, dato che in tutti gli interventi sono presenti le strategie di informazione, valutazione e implementazione. Deve essere inoltre sottolineato che, in molti casi, la strategia di informazione è correttamente accompagnata alla strategia di valutazione, creando perciò un buon binomio: ciò è vero, oltre che nella er11-Interven102 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 103 3. le politiche sociali della regione emilia-romagna ti residenziali e semiresidenziali sopra menzionata, anche per la er13Norme per l’integrazione degli immigrati e per l’intervento, che prevede la realizzazione tutte e quattro le strategie, er1-2-Interventi per i giovani. 3.7.2. Lacune e incoerenze Se è vero che nelle ultime leggi sopra menzionate la strategia di informazione si accompagna giustamente a quella di valutazione, ciò non è vero per altre norme. Infatti, la legge er1-Sostegno alla procreazione e agli impegni di cura – a eccezione dell’intervento di cui sopra, er1-2-Interventi per i giovani – prevede unicamente la strategia di informazione, senza considerare la valutazione. È chiaro che in questa situazione si generano un’incoerenza e un doppio problema causato, da un lato, dalla mancanza della strategia di valutazione, e dall’altro, paradossalmente, dall’inutilità della strategia di informazione. A che cosa serve, infatti, avere informazioni se non le si valutano? Il secondo problema è dato dalla scarsa presenza della strategia di programmazione, che dovrebbe costituire il cuore di un intervento. Essa, infatti, pare essere prevista in modo non organico e abbastanza casuale. In alcuni casi, infatti, è prevista la programmazione da sola, senza informazione e senza valutazione: è chiaro che questi interventi, come er5-1-Interventi socioeducativi o er10-1-Collocamento mirato, basando la propria programmazione su informazioni inesistenti e su una valutazione assente, non possono essere considerati ben strutturati. In molti altri casi, tuttavia, la strategia di programmazione semplicemente manca. Manca in quei casi in cui sono presenti sia l’informazione che la valutazione, cosa che può far sorgere qualche dubbio sull’efficacia dell’intervento ma, soprattutto, manca in quei casi, non trascurabili, in cui l’intervento prevede unicamente la strategia di implementazione senza dar vita a un minimo di programmazione. 3.8. L’indicatore azioni: misure varie e di prossimità L’indicatore azioni – come già ricordato – presenta un valore pari a 10,7 punti su 16, con un elevato grado di copertura, pari al 66,9%. Quest’ultimo rappresenta il valore medio più elevato tra i quattro indici analizzati e può essere meglio compreso analizzando le caratteristiche degli interventi messi in atto. 103 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 104 parte prima. il profilo sociale regionale Il punteggio elevato è infatti dovuto alla presenza di molti interventi di prossimità al destinatario rispetto al totale degli interventi: infatti, ben 36 interventi su 73, ovvero il 49,3% del totale, sono di tipo preventivo od orientativo. Inoltre, va messa in risalto la presenza di misure di buona varietà: così, l’intervento er12-1-Attività sociali prevede lo svolgimento di «dibattiti e manifestazioni artistiche», l’intervento er10-1-Collocamento mirato eroga «borse di lavoro» e l’intervento er9-1-Servizio di aiuto personale intende realizzare «l’interpretariato per non udenti». 104 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 105 Parte seconda I Centri di ascolto diocesani Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 106 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 107 4 Centri di ascolto e Osservatori delle povertà* 4.1. Come creare rete nel territorio È difficile individuare la data esatta della nascita dei primi Centri di ascolto. Nel primo seminario sui Centri di ascolto, promosso dalla Caritas italiana nel 1984, si poté appurare che il 10% dei Centri rappresentati all’incontro era sorto tra il 1969 e il 1972. Questi, quindi, gli anni in cui si può far risalire la prima comparsa dei Centri di ascolto. Essi nascono prima della Caritas Italiana, negli anni in cui soffiava il vento del Concilio Ecumenico Vaticano ii e si cercava di vivere le indicazioni della Gaudium et Spes (1966): «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». La Caritas Italiana, istituita nel luglio 1971, è stata la principale cassa di risonanza, lo strumento moltiplicatore di questa realtà e l’organismo che ha maggiormente contribuito a mettere a fuoco le caratteristiche di questo nuovo servizio. Purtroppo manca una documentazione completa dell’iter dei Centri di ascolto all’interno della Chiesa e della società italiana. Uno strumento prezioso è costituito dal Quaderno Caritas n. 22 sui Centri di ascolto (Caritas Italiana, 1984), che raccoglie la prima ricerca sui Centri di ascolto in Italia, in preparazione al seminario del 1984, che ha rappresentato il primo tentativo di identificazione delle linee comuni di queste esperienze che nascevano, a volte spontaneamente, all’interno delle diocesi e delle parrocchie. Dall’analisi della documentazione emergono due tipi di esigenze di partenza: • conoscere le povertà, i bisogni e i problemi in termini personalizzati, * Il presente capitolo è stato adattato da Bursi, Cavazza, Nanni (2000). 107 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 108 parte seconda. i centri di ascolto diocesani nell’ambito di una relazione che consenta un accompagnamento delle persone verso una situazione di autonomia; • conoscere in concreto le situazioni di povertà affinché la comunità cristiana possa svolgere il proprio servizio di animazione e di coinvolgimento. Le finalità essenziali dei Centri di ascolto venivano identificate nell’ascolto e nell’orientamento: la funzione dell’ascolto consiste in un colloquio che mette a proprio agio l’interlocutore e tenta di comprendere la situazione globale e quella del contesto in cui vive la persona; l’orientamento o accompagnamento è la seconda fase del servizio, in cui si cerca di indicare alla persona la struttura o il servizio, tra quelli presenti sul territorio, maggiormente adatto per la soluzione dei bisogni espressi. Fin dall’inizio, però, i Centri di ascolto si sono trovati di fronte alla carenza e all’inadeguatezza delle risposte sociali sia pubbliche che private sul territorio. Da questa constatazione sono nate negli stessi Centri due tendenze: da una parte spingere la società civile a creare nuovi servizi in risposta ai bisogni, dall’altra affiancare ai Centri di ascolto Centri di prima accoglienza per rispondere ai bisogni urgenti. Un altro nodo evidenziato dal Seminario del 1984 era quello degli “operatori” impegnati all’interno dei Centri di ascolto. Si mise in evidenza la necessità di un percorso formativo per aiutare gli operatori a disporre degli strumenti necessari a svolgere il loro servizio. Un’altra intuizione fondante emersa dal Seminario è quella del rapporto tra Centro di ascolto e comunità cristiana: il Centro di ascolto è lo strumento della comunità cristiana per conoscere i poveri e per coinvolgere tutta la comunità cristiana e sociale nella soluzione dei loro bisogni. Dal 1984 in poi i Centri di ascolto si sono andati moltiplicando a livello di diocesi, decanati e parrocchie. Nel 1991, in concomitanza con l’avvio del decennio consacrato al tema “evangelizzazione e testimonianza della carità”, si celebra il secondo Seminario sui Centri di ascolto, da cui traspare il grande interesse per i Centri di ascolto nelle Caritas diocesane, anche se con alcune sperequazioni territoriali: sono più numerosi al Nord rispetto al Sud. Ma soprattutto si evidenzia il fatto che le povertà si sono andate progressivamente allargando negli anni, creando Centri di ascolto specializzati per alcuni tipi di povertà (immigrati, disagio giovanile ecc.). Dal Seminario non sono emerse novità sostanziali per quanto riguarda l’identità dei Centri di ascolto, ma si sono approfondite, a partire dall’esperienza vissuta, le finalità essenziali; si è analizzato il rapporto con la comunità ecclesiale nelle varie dimensioni (diocesana, parrocchiale) e si è messo in evidenza il rapporto che si stabilisce tra l’Osser108 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 109 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà vatorio delle povertà e i Centri di ascolto, che possono assumere la funzione di “terminali” che forniscono dati qualificativi sulle povertà. Si è inoltre chiarito il rapporto tra Centro di ascolto e Caritas: il Centro di ascolto è uno strumento che non può sostituire né la Caritas nella sua funzione pedagogica né la comunità cristiana nella responsabilità della testimonianza. È la Caritas che aiuta la comunità a realizzare concretamente e in tutte le sue dimensioni (catechesi, liturgia, pastorale della famiglia ecc.) la scelta preferenziale dei poveri (cfr. “Italia Caritas”, 11.6/1991, pp. 7-12). I Centri di ascolto hanno continuato il loro cammino a diretto contatto con i poveri e gli emarginati sino al Convegno celebrato a Senigallia nel 1997, in cui hanno mostrato il volto della loro maturità. Si è notato, infatti, che la realtà dei Centri di ascolto si moltiplica a livello nazionale e sta diventando una presenza “capillare” in tutte le diocesi italiane. È anche vero che molti di essi hanno pochi anni di vita, mentre altri sono ancora in fase di costituzione e quindi non hanno l’esperienza quasi ventennale dei primi Centri di ascolto sorti nelle grandi diocesi (Roma, Milano, Torino ecc.). Questo elemento crea difficoltà e ricchezza insieme, come emerge dalle relazioni del Convegno e dalle sintesi dei lavori di gruppo, pubblicate in “Italia Caritas”, mensile della Caritas Italiana (1998). Dal Convegno sono emerse le seguenti necessità: operare un monitoraggio dei cda in Italia, offrire occasioni di scambio di esperienze e organizzare momenti di confronto e verifica a livelli diversi (nazionale o regionale) a tappe più ravvicinate. In molte diocesi è rilevabile un insufficiente livello di chiarezza tra funzioni e ruoli dei Centri di ascolto e degli Osservatori delle povertà. Spesso si usa con molta disinvoltura un termine o l’altro, mentre in realtà si tratta di strutture con finalità diverse e alcune caratteristiche comuni. Come è stato chiarito a più riprese in diverse occasioni di confronto e in una serie di pubblicazioni della Caritas Italiana, i Centri di ascolto dovrebbero caratterizzarsi come strumenti operativi, espressione della comunità cristiana locale, rivolti alle persone come prima risposta ai loro bisogni di orientamento, di ascolto e di accoglienza. I Centri di ascolto costituiscono un luogo di accoglienza, filtro, indirizzo, distribuzione di informazioni, presa in carico dei bisogni individuali delle persone; essi sono utili punti di riferimento e di orientamento delle persone in difficoltà, caratterizzandosi allo stesso tempo come “stimolo” diretto a favorire esperienze di accoglienza o di aiuto concreto nella Chiesa locale. L’Osservatorio delle povertà costituisce invece uno strumento di lettura/interpretazione della realtà al servizio di tutta la pastorale diocesana per osservare, comunicare e coinvolgere il territorio sul tema della povertà e dell’emarginazione sociale. Per sua natura, lo strumento dell’Osservatorio 109 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 110 parte seconda. i centri di ascolto diocesani non è rivolto a una finalità di assistenza diretta nei confronti delle persone e delle famiglie, ma si colloca su un livello superiore di studio e osservazione della realtà concreta. Oltre a questi aspetti di differenza, vanno comunque ricordati alcuni punti in comune tra i due organismi: • espressione della comunità cristiana; • radicamento sul territorio; • attenzione alla centralità della persona e alla dimensione della promozione umana. Una volta definite le singole identità dei due organismi, è necessario soffermarsi sull’utilità della collaborazione degli Osservatori con i cda e su alcune possibili piste di lavoro comune. Nella maggior parte dei casi, il Centro di ascolto è considerato, nell’ottica del lavoro di osservazione, come una semplice fonte di dati e informazioni, tralasciando tutta la dimensione del coinvolgimento, della progettazione comune, dell’osservazione congiunta di una realtà in continuo mutamento. A questo riguardo, da un punto di vista metodologico, i Centri di ascolto possono rivelarsi particolarmente utili nella costruzione di strumenti di rilevazione dei dati sulla povertà. In alcuni contesti locali è stato avviato un proficuo lavoro di collaborazione tra “osservatori” e “operatori”, rivolto a dotare questi ultimi di strumenti in grado di qualificare meglio l’attività svolta a contatto con gli utenti, promuovendo tra gli operatori dei Centri di ascolto una maggiore consapevolezza sull’utilità della raccolta e dell’analisi dei dati, sensibilizzando gli stessi sulla necessità di fornire dati e informazioni ai ricercatori dell’Osservatorio. Ad esempio, l’attività congiunta di operatori, volontari e ricercatori, condotta da alcuni anni presso i Centri di ascolto e l’Osservatorio interdiocesano delle povertà di CarpiModena, ha consentito di giungere alla definizione di una scheda di registrazione dati da utilizzare nei colloqui con gli utenti; si è predisposto un software, oggi alla seconda versione, che consente non solo il caricamento dati, ma anche una rapida consultazione dell’archivio degli utenti, degli interventi condotti, dei bisogni soddisfatti. Gli operatori dei Centri di ascolto possono inoltre essere coinvolti in ricerche e rilevazioni sul campo, secondo diverse modalità: raccolta di dati relativi agli utenti Caritas; redazione comune di schede di rilevazione, utili sia per l’osservazione dei dati che per l’attività degli operatori; compilazione e restituzione di schede di rilevazione predisposte dalla Caritas diocesana o nazionale; organizzazione di lavori di gruppo e di momenti seminariali sulle cause dei problemi sociali e sugli aspetti metodologici legati alla rilevazione dei dati. In altri casi è possibile coinvolgere 110 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 111 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà gli operatori dei Centri di ascolto in percorsi comuni di definizione di interventi e politiche sociali. A questo riguardo non mancano interessanti esperienze di collaborazione tra i Centri di ascolto e le amministrazioni locali sotto diverse dimensioni di collaborazione. Per la loro attività in “prima linea” nelle situazioni “reali” di povertà e disagio sociale, i Centri di ascolto sono in grado di fornire un supporto informativo e propositivo agli operatori pubblici e privati del settore socioassistenziale, nonché agli amministratori locali, stimolando la riflessione e il confronto sui problemi dell’emarginazione, della povertà, sulle problematiche emergenti, sulle situazioni di disagio non coperte dai servizi. 4.2. I Centri di ascolto Caritas della regione Emilia-Romagna Attualmente la regione Emilia-Romagna conta quindici diocesi, raggruppate in tre province ecclesiastiche: • provincia ecclesiastica di Bologna (con le diocesi suffraganee di Faenza-Modigliana, Ferrara-Comacchio e Imola); • provincia ecclesiastica di Modena-Nonantola (con le diocesi suffraganee di Carpi, Fidenza, Parma, Piacenza-Bobbio e Reggio Emilia-Guastalla); • provincia ecclesiastica di Ravenna-Cervia (con le diocesi suffraganee di Cesena-Sarsina, Forlì-Bertinoro, Rimini e San Marino-Montefeltro). Ogni diocesi ha attivato almeno un Centro di ascolto Caritas diocesano oltre a numerosi Centri di ascolto parrocchiali; in questa sede si intende dare conto dell’attività dei soli Centri di ascolto diocesani, nella consapevolezza che esistono molte altre attività che in questa sede non saranno prese in esame. A ogni Centro di ascolto è stata distribuita una scheda allo scopo di mappare le attività svolte, suddividendole in tre tipologie. 1. Attività di ascolto e orientamento: • ascolto; • orientamento ai servizi sociali; • orientamento ai servizi sanitari; • orientamento al lavoro; • servizio di informazioni. 2. Fornitura di beni materiali: • fornitura vestiti; • fornitura cibo; • fornitura mobilio; 111 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 112 parte seconda. i centri di ascolto diocesani • • • 3. • • • • • • • • • • sussidi economici per pagamento bollette; sussidi economici con denaro diretto; sussidi economici con buoni. Fornitura di servizi: formazione; consulenze professionali; accoglienza in famiglie; accoglienza in comunità; servizio mensa; dormitorio; assistenza diretta a domicilio; accompagnamento; servizio di ricerca casa; servizio di ricerca lavoro. La figura 4.1 mette in evidenza come la tipologia di servizi offerti dai Centri di ascolto diocesani delle Caritas sia prevalentemente quella di ascolto e orientamento ai servizi, seguita dalla fornitura di beni materiali ed economici e dalla fornitura di servizi di vario genere; ciò rispecchia in gran parte la vocazione dei Centri di ascolto, che primariamente sono luoghi in cui si raccoglie il bisogno al quale nella maggior parte dei casi si risponde con interventi diretti (denaro, accoglienza, beni materiali). Figura 4.1. Tipologia di servizi offerti Fornitura servizi Ascolto e orientamento Fornitura di beni materiali ed economici La tabella 4.1 presenta nel dettaglio i servizi offerti dai singoli Centri di ascolto; il servizio di ascolto è l’unico servizio che viene fornito da tutti i Centri, seguono i servizi di fornitura cibo e servizi di informazione (14 centri su 15). 112 Reggio Attenzione: occorre verificare la corrispondenza dei dati di questa tabella con quelli riportati in tutte le schede successive • 16 • 12 12 • • • • • • • • • • • • Piacenza 10 • • • • • • • • • • Parma • 12 • • • • • • • • • • • Modena • • 19 • • • • • • • • • • • • • • • • • Imola • 13 • • • • • • • • • • • • Forlì 15 • • • • • • • • • • • • • • • Ferrara • 10 • • • • • • • • • Fidenza • 8 • • • • • • • Faenza 9 • • • • • • • • • 12 • • • • • • • • • • • • Cesena (*) Il Centro di ascolto di Carpi gestisce inoltre due appartamenti. (**) Il Centro di ascolto di Bologna immigrati offre anche servizio di trasporto e di counselling oltre a percorsi specifici art. 18 legge Bossi-Fini per vittime di tratta. (***) Il Centro di ascolto di Bologna italiani offre anche servizio di trasporto e di counselling. • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • Carpi (*) 13 • • • • • • • • • • • • • Bologna immigrati (**) • 13 • • • • • • • • • • • • Bologna italiani (***) 12 • • • • • • • • • • • • 14:23 Fornitura servizi Accoglienza in comunità Accoglienza in famiglie Servizio mensa Dormitorio Servizio di ricerca casa Servizio di ricerca lavoro Assistenza diretta a domicilio o presso strutture Servizio di informazioni Accompagnamento Formazione Consulenze professionali Totale Rimini • 23-04-2007 Fornitura beni materiali ed economici Sussidi economici per pagamento utenze Sussidi economici con denaro diretto Sussidi economici con buoni d’acquisto Fornitura vestiti Fornitura cibo Fornitura mobilio Ascolto e orientamento Ascolto Orientamento ai servizi sociali Orientamento ai servizi sanitari Orientamento al lavoro Ravenna Tabella 4.1. Servizi offerti per Centro di ascolto Cavazza-Melli.2B Pagina 113 113 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 114 parte seconda. i centri di ascolto diocesani Se c’è grande omogeneità tra i Centri rispetto al servizio di ascolto e orientamento (quasi tutti i Centri dichiarano di svolgere questo servizio), non si può dire lo stesso rispetto agli aiuti forniti attraverso sussidi economici: solamente 9 centri su 15 dichiarano di dare sussidi economici per il pagamento delle bollette, meno della metà dei centri offre aiuti in denaro direttamente agli utenti e solamente 3 centri si attrezzano con buoni spesa. Per quanto riguarda la fornitura di beni, si riscontra una certa prassi consolidata rispetto alla fornitura di vestiti e cibo (rispettivamente 12 e 14 centri su 15) mentre sono 8 i Centri che forniscono anche mobilio. Il servizio di mensa è massicciamente presente: infatti solo due Centri di ascolto non hanno questo servizio (gestito sia direttamente che indirettamente). Il servizio di dormitorio invece è meno comune, infatti solo 9 Centri sono attrezzati al riguardo. I servizi offerti più di rado sono invece quelli relativi a corsi di formazione/riqualificazione (come ad es. i corsi di lingua italiana) dove solamente 4 Centri rispondono positivamente, l’assistenza diretta a domicilio (2 centri su 15) e il servizio di accoglienza in famiglie (2 centri su 15). 4.2.1. Arcidiocesi di Bologna La Caritas diocesana è l’organismo pastorale della Chiesa di Bologna che promuove, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale diocesana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica. L’Arcidiocesi di Bologna ha attivato due Centri di ascolto: uno dedicato agli immigrati e uno per la popolazione italiana. Nato nel 1977, il Centro di ascolto immigrati è un luogo di ascolto, orientamento e sostegno dei percorsi di integrazione degli immigrati. Dal 1995 opera anche per il sostegno alle donne che chiedono aiuto per uscire dalla prostituzione forzata. Scheda 4.1. Caritas arcidiocesi di Bologna Direttore: dottor Paolo Mengoli via Fossalta, 125 telefono 051 230000 fax 051 238834 114 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 115 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà Centro di ascolto immigrati Caritas Responsabile: dottoressa Paola Vitello via Rialto, 7/2 tel 051 235358 fax 051 238834 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto stranieri #prima era immigrati# ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✓ Consulenze professionali ✗ Sussidi economici per pagamento utenze ✓ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✗ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✗ Fornitura mobilio ✓ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✓ Dormitorio ✗ Servizio di ricerca casa ✓ Servizio di ricerca lavoro ✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✓ Accompagnamento ✓ Percorsi art. 18 vittime tratta Nato nel 1983, il Centro di ascolto italiani offre la disponibilità di ascoltare per essere di aiuto a chiunque si trovi in uno stato di bisogno e sofferenza e si pone come punto di osservazione delle povertà emergenti trasmettendo a tutte le realtà sociali, pubbliche e private, i bisogni rilevati e le possibili soluzioni. 115 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 116 parte seconda. i centri di ascolto diocesani Scheda 4.2. Centro di ascolto italiani Caritas Responsabile: Maura Fabbri via santa Caterina, 8 telefono 051 6448156 fax 051 3395119 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto italiani ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✗ Consulenze professionali ✓ Sussidi economici per pagamento utenze ✓ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✗ Fornitura vestiti ✗ Fornitura cibo ✗ Fornitura mobilio ✓ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✗ Dormitorio ✓ Servizio di ricerca casa ✓ Servizio di ricerca lavoro ✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✓ Accompagnamento ✓ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.2. Diocesi di Carpi La Caritas è l’organismo ecclesiale impegnato a: • vedere la realtà a partire dai fatti, dai bisogni e dalle domande, espresse e inespresse; • giudicare alla luce del Vangelo in una visione integrale dell’uomo; 116 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 117 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà • agire e dunque porre opere-segno che siano testimonianza effettiva di Carità verso gli ultimi. Nella diocesi di Carpi sono presenti due Centri di ascolto diocesani gestiti da due associazioni di volontariato: Porta Aperta di Carpi e Porta Aperta di Mirandola. Sono Centri di prima accoglienza che indirizzano chi è alla ricerca di un lavoro e di una casa e offrono sussidi materiali a chi è in situazione di bisogno. Ma soprattutto sono Centri di ascolto che attuano il discernimento dei bisogni, l’informazione e l’orientamento socioassistenziale, si curano dei nomadi e gestiscono una quindicina di appartamenti offerti da privati e dalla comunità cristiana. Dal 1994 opera l’Osservatorio interdiocesano delle povertà, che esamina i dati provenienti dai tre Centri di ascolto con l’obiettivo di fornire ogni anno alla stampa e all’opinione pubblica i dati aggiornati sulla povertà in provincia. Scheda 4.3. Caritas diocesi di Carpi Direttore: Stefano Facchini corso Fanti, 13 telefono 059 686048 fax 059 651611 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas responsabile Stefano Facchini viale Peruzzi, 38 telefono 059 689370 fax 059 6550219 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✓ Formazione 117 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 118 parte seconda. i centri di ascolto diocesani ✓ ✓ ✓ ✓ ✓ ✓ ✓ ✗ ✗ ✗ ✗ ✓ ✓ ✓ ✓ ✓ ✓ Consulenze professionali Sussidi economici per pagamento utenze Sussidi economici con denaro diretto Sussidi economici con buoni d’acquisto Fornitura vestiti Fornitura cibo Fornitura mobilio Accoglienza in comunità Accoglienza in famiglie Servizio mensa Dormitorio Servizio di ricerca casa Servizio di ricerca lavoro Assistenza diretta a domicilio o presso strutture Servizio di informazioni Accompagnamento Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.3. Diocesi di Cesena--Sarsina La Caritas diocesana di Cesena coordina, attraverso i Centri di ascolto e di prima accoglienza di Cesena e Cesenatico, l’intervento nei confronti degli immigrati e dei bisognosi in generale. Attraverso il Campo Emmaus si provvede alla raccolta di materiali e indumenti inutilizzati. Gli obiettori di coscienza (odc) e i volontari dei centri assicurano la distribuzione di viveri e indumenti di prima necessità. Attraverso i colloqui con i responsabili si stabiliscono le linee di aiuto agli utenti dei Centri che si articolano in: assistenza generale, buoni pasto e permessi presso due centri di accoglienza notturna. Scheda 4.4. Caritas diocesi di Cesena-Sarsina Direttore: don Carlo Meleti corso Sozzi, 39 telefono 0547 22423 fax 0547 22423 e-mail [email protected] 118 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 119 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà Centro di ascolto Caritas responsabile don Giorgio Gasperoni via Mura Sant’Agostino, 13 telefono 0547 29369/611060 fax 0547 26803 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✗ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✗ Consulenze professionali ✓ Sussidi economici per pagamento utenze ✗ Sussidi economici con denaro diretto ✓ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✗ Fornitura mobilio ✓ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✓ Dormitorio ✗ Servizio di ricerca casa ✗ Servizio di ricerca lavoro ✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✓ Accompagnamento ✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.4. Diocesi di Faenza-Modigliana La Caritas diocesana di Faenza si occupa di promuovere la testimonianza della carità in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalenti funzioni pedagogiche. È attivo un Centro di ascolto che offre principalmente servizi di ascolto e di orientamento. 119 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 120 parte seconda. i centri di ascolto diocesani Scheda 4.5. Caritas diocesi di Faenza-Modigliana Direttore: don Pellegrino Montuschi piazza xi febbraio, 2 telefono 0546 693050 fax 0546 20172 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas responsabile Federica Zannoni via Minardi, 6 telefono e fax 0546 680061 e-mail [email protected] orari lunedì – mercoledì – venerdì 9,00-12,00/16,30-19,30 Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✗ Consulenze professionali ✗ Sussidi economici per pagamento utenze ✗ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✗ Fornitura mobilio ✗ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✓ Dormitorio ✗ Servizio di ricerca casa ✗ Servizio di ricerca lavoro ✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✗ Accompagnamento ✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 120 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 121 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà 4.2.5. Diocesi di Ferrara La nuova Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio è stata costituita con decreto della Sacra Congregazione dei vescovi del 30 settembre 1986. A Ferrara è presente la Caritas diocesana che è chiamata a concretizzare la propria missione attorno a tre dimensioni fondamentali: • l’annuncio della Parola di Dio (principalmente attraverso la catechesi); • la celebrazione dei Sacramenti (principalmente attraverso la liturgia); • la testimonianza del Vangelo (principalmente mediante le opere di carità). Anche la Caritas di Ferrara ha aderito alla Rete nazionale Centri di ascolto e Osservatori delle povertà e delle risorse e dal 2005 si è dotata di uno strumento informatico per la raccolta e l’elaborazione dei dati relativi all’utenza del Centro di ascolto. Scheda 4.6. Caritas arcidiocesi di Ferrara-Comacchio Direttore: don Paolo Valenti via Brasatola, 19 telefono 0532 740825 fax 0532 741409 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas responsabile Paolo Falaguasta via Brasatola, 19 telefono 0532 740825 fax 0532 741409 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✓ Consulenze professionali ✗ Sussidi economici per pagamento utenze 121 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 122 parte seconda. i centri di ascolto diocesani ✗ ✗ ✓ ✓ ✓ ✗ ✗ ✓ ✗ ✗ ✗ ✗ ✓ ✗ ✗ Sussidi economici con denaro diretto Sussidi economici con buoni d’acquisto Fornitura vestiti Fornitura cibo Fornitura mobilio Accoglienza in comunità Accoglienza in famiglie Servizio mensa Dormitorio Servizio di ricerca casa Servizio di ricerca lavoro Assistenza diretta a domicilio o presso strutture Servizio di informazioni Accompagnamento Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.6. Diocesi di Fidenza La diocesi di Fidenza ha attivato con i dipendenti della Caritas diocesana un Centro di ascolto diocesano, aperto dal lunedì al sabato dalle ore 10 alle ore 12, che fornisce principalmente servizi di accoglienza e primo ascolto delle esigenze e delle problematiche delle persone in difficoltà e senza fissa dimora, oltre che servizi di orientamento verso le strutture idonee (Delegazione regionale Caritas Emilia-Romagna Centri di ascolto, 2003). La Caritas diocesana gestisce direttamente anche la raccolta di indumenti, ferro, mobili e la loro relativa distribuzione e inoltre, in collaborazione con il banco alimentare, fornisce generi alimentari. Annessa al Centro di ascolto è presente anche una casa di accoglienza che dà ospitalità alle persone in difficoltà, sia italiane che straniere. Scheda 4.7. Caritas diocesi di Fidenza Direttore: don Albino Bozzetti piazza Grandi, 16 telefono 0524 528378 fax 0524 522799 e-mail [email protected] 122 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 123 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà Centro di ascolto Caritas Responsabile: Giuseppina Capanni via Micheli, 19 telefono 0524 524591 fax 0524 522799 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✗ Orientamento ai servizi sanitari ✗ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✗ Consulenze professionali ✗ Sussidi economici per pagamento utenze ✗ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✓ Fornitura mobilio ✗ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✓ Dormitorio ✗ Servizio di ricerca casa ✗ Servizio di ricerca lavoro ✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✗ Accompagnamento ✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.7. Diocesi di Forlì-Bertinoro Nella diocesi di Forlì-Bertinoro è presente un Centro di ascolto e di prima accoglienza, gestito dall’associazione Buon Pastore onlus, che offre servizi di ascolto e orientamento oltre che alcuni servizi di prima accoglienza; nel 2005 è stato attivato in via sperimentale un Centro di prima accoglienza residenziale per donne in difficoltà e una seconda accoglienza residen123 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 124 parte seconda. i centri di ascolto diocesani ziale per lavoratori adulti con situazioni di discreta autonomia che offra un alloggio a costo agevolato per un tempo limitato. Entrambe le strutture sono gestite in prima persona dall’associazione. Scheda 4.8. Caritas diocesi di Forlì-Bertinoro Direttore: don Adriano Ranieri piazza Dante, 1 telefono 0543 26061 fax 0543 24303 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas Responsabile: dottoressa Antonella Fabbri via Fossato Vecchio, 20 telefono 0543 21051 fax 0543 34857 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✓ Formazione ✗ Consulenze professionali ✗ Sussidi economici per pagamento utenze ✓ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✓ Fornitura mobilio ✓ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✓ Dormitorio ✓ Servizio di ricerca casa ✓ Servizio di ricerca lavoro 124 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 125 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà ✗ ✓ ✗ ✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture Servizio di informazioni Accompagnamento Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.8. Diocesi di Imola La Caritas diocesana di Imola è uno strumento volto a svolgere diversi compiti di aiuto e sostegno alle persone in difficoltà. In particolare si propone azioni di: • animazione della comunità nel senso della carità e della giustizia; • coordinamento delle iniziative ecclesiali di carità; • formazione degli animatori Caritas e degli operatori della carità; • sensibilizzazione sulla fame e sulle situazioni di sottosviluppo. Nel 1994 la Caritas diocesana ha dato vita a un Centro di ascolto come risposta ai bisogni delle persone che in numero sempre crescente si accostavano ai servizi del Centro di prima accoglienza. Il suo servizio è stato ufficializzato nel 1996. Il Centro di ascolto è come una “porta”: lascia passare il povero o chi vive una situazione di bisogno affinché trovi ascolto, amicizia e sostegno, nella ricerca di risposte al suo bisogno. Attraverso questa “porta” la comunità scende in strada, nel territorio, e va incontro al fratello, collaborando con quanti altri lavorano e promuovono percorsi di uscita dall’emarginazione (http://www.caritasimola.it). È inoltre presente un ambulatorio che offre prestazioni medico-infermieristiche a tutte le persone che lo richiedono. L’attività viene svolta in regime di volontariato e quindi a titolo completamente gratuito da dieci medici di base, dieci medici ospedalieri, trenta infermieri professionali coadiuvati e, in caso di necessità, da medici specialisti delle varie branche, anch’essi volontari, e da personale impiegatizio. Le prestazioni erogate e i farmaci prescritti sono completamente gratuiti. Scheda 4.9. Caritas diocesi di Imola Direttore: don Gianluca Grandi via xi febbraio, 6 telefono 0542 23230 fax 542 35888 125 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 126 parte seconda. i centri di ascolto diocesani e-mail [email protected] orario tutti i giorni tranne i festivi 8,30-12,00 Centro di ascolto Caritas Responsabile: Giovanna Fortunati via xi febbraio, 6 telefono 0542 23230/339 8575875 fax 0542 35888 e-mail [email protected] orario tutti i giorni tranne i festivi 8,30-11,30 e su appuntamento Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✓ Consulenze professionali ✓ Sussidi economici per pagamento utenze ✗ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✗ Fornitura mobilio ✗ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✗ Dormitorio ✓ Servizio di ricerca casa ✓ Servizio di ricerca lavoro ✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✓ Accompagnamento ✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.9. Diocesi di Modena-Nonantola “Porta aperta” è un organismo della Chiesa modenese costituito per promuovere la solidarietà sociale e l’accoglienza, con un’attenzione privi126 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 127 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà legiata ai poveri, e per favorire il coinvolgimento della comunità dei credenti e più in generale della società civile. Le parole chiave, che fungono da struttura portante di “Porta aperta”, sono: ascolto, accoglienza, reciprocità, condivisione, diritti umani, nonviolenza, gratuità e sussidiarietà. Cuore di “Porta aperta” è il Centro di ascolto rivolto a tutte le persone in difficoltà. Esso si pone come: segno dell’attenzione privilegiata ai poveri da parte della Chiesa modenese; luogo di promozione umana e di percorsi di uscita dall’emarginazione; riferimento per l’analisi dei cambiamenti sociali in corso; punto di osservazione e antenna di ricezione dei bisogni emergenti; voce di sensibilizzazione e animazione sociale. Gli interventi del Centro di ascolto sono finalizzati a: promuovere la dignità della persona favorendone l’autorealizzazione; accogliere empaticamente la persona condividendo con essa un progetto; analizzare il bisogno, definire e valutare l’intervento. Nello specifico le funzioni svolte sono: • ascolto, orientamento e presa in carico; • consulenza legale e burocratica; • accesso ai servizi di Porta aperta; • interventi economici di emergenza, sussistenza e sostegno. La diocesi di Modena ha attivato un Osservatorio delle povertà e delle risorse come strumento della pastorale per osservare la realtà, nell’ottica dell’amore preferenziale per i poveri. L’Osservatorio deve saper cogliere le mutazioni e suggerire in anticipo alla comunità ecclesiale e civile modalità per ridurre il rischio di povertà. Scheda 4.10. Caritas diocesi di Modena-Nonantola Direttore: Giuseppina Caselli via Sant’Eufemia 13 telefono 059 2133847 fax 059 2133807 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas Responsabile: Giuseppina Caselli via dei Servi, 13 127 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 128 parte seconda. i centri di ascolto diocesani telefono 059 212202 fax 059 4399340 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✓ Formazione ✓ Consulenze professionali ✓ Sussidi economici per pagamento utenze ✓ Sussidi economici con denaro diretto ✓ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✓ Fornitura mobilio ✓ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✓ Dormitorio ✓ Servizio di ricerca casa ✓ Servizio di ricerca lavoro ✓ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✗ Accompagnamento ✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.10. Diocesi di Parma La diocesi di Parma ha attivato, tramite l’azione della Caritas diocesana, un Centro di ascolto che offre, in aggiunta all’attività di ascolto e orientamento, servizi di magazzino e assistenza domiciliare alle persone in difficoltà, con la collaborazione dei volontari del servizio civile volontario; inoltre gestisce una mensa e uno sportello lavoro e agisce sulla realtà carceraria attraverso il Gruppo Caritas carcere di cui fanno parte numerosi volontari collegati in rete con le Caritas parrocchiali dislocate sul territorio. 128 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 129 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà Ci si può rivolgere alla Caritas per ogni tipologia di necessità (dagli indumenti agli aiuti finanziari di piccola entità). La Caritas assiste i detenuti a diversi livelli, sia dentro la struttura carceraria che all’esterno. Negli ultimi anni ha inoltre organizzato corsi per volontari. Scheda 4.11. Caritas diocesi di Parma Direttore: don Andrea Volta piazza Duomo, 3 telefono 0521 234765 fax 0521 284111 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas 1 Responsabile: suor Patrizia Bin via Borgo Pipa, 3 telefono 0521 284141 fax 0521 506308 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas 2 Responsabile: Nello Calvi piazza Duomo, 3 telefono 0521 234765/235928 fax 0521 284111 e-mail [email protected] Servizi prestati dai Centri di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✓ Consulenze professionali ✓ Sussidi economici per pagamento utenze ✓ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto 129 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 130 parte seconda. i centri di ascolto diocesani ✗ ✓ ✗ ✗ ✗ ✓ ✗ ✓ ✓ ✗ ✗ ✓ ✗ Fornitura vestiti Fornitura cibo Fornitura mobilio Accoglienza in comunità Accoglienza in famiglie Servizio mensa Dormitorio Servizio di ricerca casa Servizio di ricerca lavoro Assistenza diretta a domicilio o presso strutture Servizio di informazioni Accompagnamento Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.11. Diocesi di Piacenza-Bobbio La Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio è uno strumento attento ai segni del tempo e alle urgenze del territorio e del mondo che mette in atto alcuni servizi per dare risposte che siano segno dell’interessamento della Chiesa ai problemi dell’uomo e che al tempo stesso stimolino le istituzioni a trovare risposte adeguate. Nella diocesi di Piacenza-Bobbio sono presenti tre organismi: • l’Ufficio pastorale Caritas diocesana con funzione prevalentemente pedagogica, per stimolare la comunità religiosa e civile all’attenzione cristiana verso tutti, specialmente i più poveri; • la fondazione autonoma Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio per la gestione delle opere-segno messe in atto e che verranno proposte in futuro dalla Caritas diocesana; • l’associazione Carmen Cammi – Volontari per la Caritas che coordina il volontariato (http://www.caritaspiacenzabobbio.org). A Piacenza è presente un Osservatorio delle povertà e delle risorse nato allo scopo di promuovere una conoscenza sempre più completa e approfondita dei bisogni e delle problematiche presenti sul territorio diocesano. L’Osservatorio può essere definito uno strumento pastorale e risponde all’esigenza di acquisire adeguate competenze nella lettura dei bisogni, delle povertà, dell’emarginazione, ponendo sempre l’uomo al centro della programmazione pastorale e politica. 130 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 131 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà Non si tratta soltanto di aiutare i poveri che entrano in contatto con i Centri di ascolto, occorre anche porsi in un atteggiamento di attenzione continua e scientificamente fondata per capire chi sono i poveri, quali bisogni esprimono, quali linee di tendenza assumono le povertà conosciute, quali nuove povertà stanno emergendo e infine che cosa sta maturando nel contesto delle risposte alle povertà promosse sia dalla comunità cristiana che da quella civile (ibid.). Scheda 4.12. Caritas diocesi di Piacenza-Bobbio Direttore: don Gian Piero Franceschini via san Giovanni, 12 telefono 0523 325945/332750 fax 0523 326904 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas Responsabile: Maria Cristina Marchi via san Giovanni, 38/a telefono 0523 330812/329275 fax 0523 330812/329275 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✗ Orientamento al lavoro ✓ Formazione ✗ Consulenze professionali ✗ Sussidi economici per pagamento utenze ✗ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✓ Fornitura mobilio ✗ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie 131 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 132 parte seconda. i centri di ascolto diocesani ✓ ✓ ✗ ✗ ✗ ✓ ✗ ✗ ✓ ✓ Servizio mensa Dormitorio Servizio di ricerca casa Servizio di ricerca lavoro Assistenza diretta a domicilio o presso strutture Servizio di informazioni Accompagnamento Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi Ambulatorio medico e dentistico Appartamenti sociali 4.2.12. Diocesi di Ravenna-Cervia La Caritas diocesana è l’ufficio pastorale che promuove, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale diocesana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica. La Caritas diocesana ha attivato una pluralità di servizi di sostegno alla cittadinanza: un Centro di ascolto, un magazzino Caritas, un progetto di adozioni a distanza, il servizio civile, un mercatino della solidarietà e un centro di documentazione. Il Centro di ascolto accoglie chiunque chieda di essere ascoltato. Consapevole della preziosità e unicità di ciascuna persona, cerca di costruire insieme a lei un percorso di orientamento e sostegno aiutandola a divenire soggetto attivo nella soluzione dei propri problemi (http:// www.caritasravenna.it/servizi.html). Scheda 4.13. Caritas diocesi di Ravenna-Cervia Direttore: don Alberto Brunelli piazza Duomo, 13 telefono 0544 212602 fax 0544 213133 e-mail [email protected] 132 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 133 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà Centro di ascolto Caritas Responsabile: Raffaella Bazzoni via Nino Bixio, 11 telefono 0544 212156 fax 0544 213133 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✓ Formazione ✗ Consulenze professionali ✓ Sussidi economici per pagamento utenze ✓ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✓ Fornitura mobilio ✗ Accoglienza in comunità ✗ Accoglienza in famiglie ✗ Servizio mensa ✗ Dormitorio ✗ Servizio di ricerca casa ✗ Servizio di ricerca lavoro ✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✓ Accompagnamento ✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.13. Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla La Caritas diocesana di Reggio Emilia-Guastalla è l’organismo istituito dal vescovo al fine di promuovere, anche in collaborazione con le altre istituzioni, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale diocesana e di quelle parrocchiali, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica (http://www.caritasreggiana.it). Sul territorio è 133 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 134 parte seconda. i centri di ascolto diocesani presente un Centro di ascolto Caritas che è un luogo in cui vengono accolte e ascoltate le persone del territorio che si trovano in difficoltà. La Chiesa affida al Centro di ascolto il compito di stare in mezzo ai poveri, conoscendone le problematiche e condividendone i cammini. La funzione degli operatori e dei volontari del Centro è quella di accompagnare la persona nel suo cammino di vita sostenendola negli sforzi quotidiani che si trova ad affrontare (ibid.). Scheda 4.14. Caritas diocesi di Reggio Emilia-Guastalla Direttore: Gianmarco Marzocchini via Aeronautica, 4 telefono 0522 922520 fax 0522 922552 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas Responsabile: Antonio Ferretti via Adua, 83/c telefono 0522 921351 fax 0522 921023 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✓ Consulenze professionali ✓ Sussidi economici per pagamento utenze ✗ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✗ Fornitura mobilio ✓ Accoglienza in comunità ✓ Accoglienza in famiglie 134 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 135 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà ✓ ✓ ✓ ✓ ✗ ✓ ✓ ✓ Servizio mensa Dormitorio Servizio di ricerca casa Servizio di ricerca lavoro Assistenza diretta a domicilio o presso strutture Servizio di informazioni Accompagnamento Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi 4.2.14. Diocesi di Rimini La Caritas diocesana di Rimini è l’organismo pastorale che ha il compito di animare, coordinare e promuovere la testimonianza della carità nella comunità cristiana, con particolare attenzione ai poveri e con prevalente funzione pedagogica. Il compito prioritario della Caritas è di tipo educativo e consiste nell’aiutare le persone e le comunità cristiane a vivere la carità. Il Centro di ascolto rappresenta il cuore della Caritas diocesana. È il luogo in cui ci si pone accanto alle persone in difficoltà, dove i bisogni dei poveri trovano ascolto e considerazione, in cui si offre un aiuto che supera l’assistenzialismo. Attraverso l’ascolto è possibile rispondere al bisogno fondamentale della persona, la relazione; si cerca di prestare attenzione alla persona con un percorso di aiuto che porti a recuperare la sua autonomia e la sua fiducia rispettandone l’unicità (ibid.). Scheda 4.15. Caritas diocesi di Rimini Direttore: don Renzo Gradara via Madonna della Scala, 7 telefono 0541 26040 fax 0541 24826 e-mail [email protected] Centro di ascolto Caritas (sede centrale) Responsabili: Angela Pischedda e suor Elsa Calisesi via Madonna della Scala, 7 135 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 136 parte seconda. i centri di ascolto diocesani telefono 0541 778948 fax 0541 24826 e-mail [email protected] Servizi prestati dal Centro di ascolto ✓ Ascolto ✓ Orientamento ai servizi sociali ✓ Orientamento ai servizi sanitari ✓ Orientamento al lavoro ✗ Formazione ✓ Consulenze professionali ✓ Sussidi economici per pagamento utenze ✓ Sussidi economici con denaro diretto ✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto ✓ Fornitura vestiti ✓ Fornitura cibo ✓ Fornitura mobilio ✗ Accoglienza in comunità ✓ Accoglienza in famiglie ✓ Servizio mensa ✓ Dormitorio ✗ Servizio di ricerca casa ✗ Servizio di ricerca lavoro ✓ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture ✓ Servizio di informazioni ✗ Accompagnamento ✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi Nel 2002 la Caritas di Rimini si è dotata di un nuovo strumento di servizio ai poveri, l’Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse. Si tratta di uno strumento utile per conoscere meglio povertà ed emarginazioni e seguirne le evoluzioni per poter offrire indicazioni di impegno pastorale e sociale. Il lavoro di tutti i giorni viene portato avanti nella convinzione che la conoscenza del “fenomeno” povertà sia indispensabile per progettare interventi sempre più mirati e incisivi. L’Osservatorio, dunque, è promosso dalla Caritas diocesana ma è a servizio di tutta la Chiesa locale e della provincia, in una logica di coinvolgimento e di reciprocità. 136 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 137 4. centri di ascolto e osservatori delle povertà L’Osservatorio, in collaborazione con Volontarimini, ha realizzato una mappatura delle associazioni di volontariato che svolgono servizi socioassistenziali sul territorio della provincia di Rimini. Per quanto riguarda i servizi di enti pubblici e privati, l’Osservatorio mira a una collaborazione basata sul lavoro di rete in modo da poter essere costantemente al corrente delle risorse presenti sul territorio, di quelle da potenziare e di quelle da attivare come risposta a nuovi bisogni emergenti. 137 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 138 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 139 Note Capitolo 1. Epidemiologia sociale del territorio 1. Tasso grezzo di natalità: nati vivi nell’anno/popolazione media × 1.000; tasso grezzo di mortalità: morti nell’anno/popolazione media × 1.000; tasso di migrazione netta: saldo migratorio nell’anno/popolazione media × 1.000; variazione % della popolazione: (popolazione finale – popolazione iniziale)/popolazione iniziale × 100. Con “popolazione media” si intende la media della popolazione residente al 1° gennaio e quella residente al 31 dicembre dello stesso anno. 2. Le ipotesi sottostanti lo scenario basso sono le seguenti. Mortalità: aumento di 2 anni della speranza di vita alla nascita rispetto al valore iniziale per entrambi i sessi; fecondità: diminuzione di 0,10 figli circa per donna in età feconda rispetto al valore iniziale e aumento di 0,3 anni circa dell’età media al parto; immigrazione da altre regioni: diminuzione per il totale regionale di 5.000 unità sulle 41.000 circa considerate come valore iniziale del periodo, con struttura per età invariante nel tempo; immigrazione dall’estero: diminuzione per il totale regionale di 7.000 unità circa sulle 27.000 circa considerate come valore iniziale del periodo, con struttura per età invariante nel tempo; emigrazioni e migrazioni tra province della regione: diminuzione dello 0,5% annuo rispetto al tasso di migratorietà totale per 1.000 abitanti dell’ultimo triennio disponibile. 3. Le ipotesi sottostanti lo scenario intermedio sono le seguenti. Mortalità: aumento di 3,5 anni della speranza di vita alla nascita rispetto al valore iniziale per entrambi i sessi; fecondità: aumento di 0,10 figli circa per donna in età feconda rispetto al valore iniziale e aumento di 0,5 anni circa dell’età media al parto; immigrazione da altre regioni: valore del totale regionale costante sul livello di 41.000 unità circa, con struttura per età invariante nel tempo; immigrazione dall’estero: valore del totale regionale costante sul livello di 27.000 unità circa, con struttura per età invariante nel tempo; emigrazioni e migrazioni tra province della regione: valori pari ai tassi di migratorietà totale per 1.000 abitanti dell’ultimo triennio disponibile. 139 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 140 povertà e politiche sociali in emilia-romagna 4. Le ipotesi sottostanti lo scenario alto sono le seguenti. Mortalità: aumento di 5 anni della speranza di vita alla nascita rispetto al valore iniziale per entrambi i sessi; fecondità: aumento di 0,30 figli circa per donna in età feconda rispetto al valore iniziale e aumento di 0,8 anni circa dell’età media al parto; immigrazione da altre regioni: aumento per il totale regionale di 7.000 unità circa sulle 41.000 circa considerate come valore iniziale del periodo, con struttura per età invariante nel tempo; immigrazione dall’estero: aumento per il totale regionale di 7.000 unità sulle 27.000 circa considerate come valore iniziale del periodo, con struttura per età invariante nel tempo; emigrazioni e migrazioni tra province della regione: aumento dello 0,5% annuo rispetto al tasso di migratorietà totale per 1.000 abitanti dell’ultimo triennio disponibile. Capitolo 3. Le politiche sociali della Regione Emilia-Romagna 1. Si tratta di una ricerca sulla famiglia e gli anziani promossa dalla cisl e dalla fnp e realizzata dal Gruppo di direzione della ricerca e dall’Aretés (cisl, 2005). 2. Relativamente all’azione “contributo”, si è proceduto come segue. Il contributo, se erogato alle famiglie, viene considerato come azione di tipo domiciliare, tranne nel caso in cui la legge specificamente preveda un suo utilizzo di tipo diverso (di tipo residenziale, per il pagamento della retta della rsa; di tipo preventivo, per il pagamento delle spese di adattamento dell’automobile). Se il contributo viene invece erogato a soggetti diversi dalle famiglie, si è esaminato l’utilizzo che di quel contributo si deve fare. Se il contributo è destinato alle imprese per la costruzione di nidi aziendali, il contributo sarà di tipo semiresidenziale; se il contributo è destinato alle ausl per l’adeguamento e l’ampliamento delle rsa, il contributo sarà di tipo residenziale. 3. È necessario precisare in questa sede che l’igf risulta come media dei valori relativi al totale degli interventi/servizi che costituiscono l’universo di indagine. Tale richiamo risulta necessario al fine di non incorrere nell’errore di ritenere che l’igf sia frutto della media dei valori delle leggi analizzate, il che produrrebbe un differente valore medio a causa del diverso numero di interventi delle varie leggi/delibere. 140 Cavazza-Melli.2B 23-04-2007 14:23 Pagina 141 Bibliografia associazione centro di ascolto e prima accoglienza buon pastore (#2005?#), Rapporto attività 2004, Forlì. #edizione?# benedictus papa xvi (2006), Deus caritas est, Cantagalli, Siena. bursi g., cavazza g., nanni w. 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