Primo report 2007 povertà e politiche sociali

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Povertà e politiche sociali
in Emilia-Romagna
Primo dossier regionale sulla povertà
I dati dei Centri di ascolto delle Caritas diocesane
A cura della Delegazione Regionale Caritas dell’Emilia-Romagna
Carocci Faber
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Questa pubblicazione è stata possibile grazie al contributo di Caritas italiana
nell’ambito del progetto Rete.
1a edizione, maggio 2007
© copyright 2007 by Carocci editore S.p.A., Roma
Editing e impaginazione
Fregi e Majuscole, Torino
Finito di stampare nel maggio 2007
da Eurolit, Roma
ISBN 978-88-7466-520-4
Riproduzione vietata ai sensi di legge
(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)
Senza regolare autorizzazione,
è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno
o didattico.
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Indice
Presentazione 11
di don Gian Piero Franceschini
Prefazione 13
di monsignor Vittorio Nozza
Introduzione 15
Parte prima. Il profilo sociale regionale 25
1
1.1.
1.2.
Epidemiologia sociale del territorio 27
Alcuni dati demografici e statistici di sfondo 27
I fattori alla base dei mutamenti 28
1.2.1. La distribuzione territoriale e la provenienza
1.3.
1.4.
Una disaggregazione territoriale 35
Una previsione per i prossimi decenni 38
1.4.1. Scenario basso 1.4.2. Scenario intermedio
2
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
2.5.
2.6.
2.7.
1.4.3. Scenario alto
Alcuni indicatori di disagio sociale 43
Minori in difficoltà 43
Prostituzione e tratta 45
Dipendenze 46
Criminalità e sicurezza 52
La povertà relativa in Italia e in Emilia-Romagna 54
I dati sulla povertà raccolti dai Centri di ascolto diocesani 58
Le storie di vita 69
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3
3.1.
Le politiche sociali della Regione Emilia-Romagna 83
Quadro metodologico dell’analisi legislativa: la costruzione
dell’Indice del grado di familiarità delle politiche (igf) 83
3.1.1. L’oggetto dell’analisi 3.1.2. Il metodo 3.1.3. L’Indice del grado
di familiarità
3.2.
Descrizione della legislazione regionale 89
3.2.1. La normativa rivolta alle famiglie 3.2.2. La normativa rivolta ai
minori 3.2.3. La normativa rivolta ai soggetti svantaggiati 3.2.4. La
normativa rivolta agli anziani 3.2.5. La normativa rivolta ai disabili
3.2.6. La normativa rivolta a più target 3.2.7. La normativa rivolta agli
stranieri
3.3.
L’Indice del grado di familiarità: la Regione e le norme 95
3.3.1. L’orientamento generale della normativa regionale
3.3.2. L’orientamento particolare delle leggi e delle delibere
3.4.
3.5.
L’igf e le rappresentazioni di politica sociofamiliare 97
L’indicatore beneficiari: luci e ombre 99
3.5.1. Buone leggi per molti target 3.5.2. La fatica a “estendere la
famiglia” agli altri target
3.6.
L’indicatore sussidiarietà: il punto debole 100
3.6.1. Buona sussidiarietà per anziani e minori 3.6.2. Molti problemi
di impostazione
3.7.
L’indicatore strategie: una discreta integrazione 102
3.7.1. Picchi di ottima integrazione 3.7.2. Lacune e incoerenze
3.8.
L’indicatore azioni: misure varie e di prossimità 103
Parte seconda. I Centri di ascolto diocesani 105
4
Centri di ascolto e Osservatori delle povertà 107
4.1.
4.2.
Come creare rete nel territorio 107
I Centri di ascolto Caritas della regione Emilia-Romagna 111
4.2.1. Arcidiocesi di Bologna 4.2.2. Diocesi di Carpi 4.2.3. Diocesi di
Cesena-Sarsina 4.2.4. Diocesi di Faenza-Modigliana 4.2.5. Diocesi
di Ferrara 4.2.6. Diocesi di Fidenza 4.2.7. Diocesi di Forlì-Bertinoro
4.2.8. Diocesi di Imola 4.2.9. Diocesi di Modena-Nonantola
4.2.10. Diocesi di Parma 4.2.11. Diocesi di Piacenza-Bobbio
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indice
4.2.12. Diocesi di Ravenna-Cervia 4.2.13. Diocesi di Reggio EmiliaGuastalla 4.2.14. Diocesi di Rimini
Note 139
Bibliografia 141
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Ringraziamenti
La Delegazione Regionale Caritas dell’Emilia-Romagna ringrazia quanti, in
vario modo, hanno concorso al risultato finale raccolto in questo volume.
Il primo ringraziamento va alla Commissione Regionale Politiche Sociali
composta da: Nello Calvi (Caritas di Parma), Gianpietro Cavazza (Centro
culturale Francesco Luigi Ferrari), don Gian Piero Franceschini (Caritas di
Piacenza-Bobbio), Stefano Gandolfi (Caritas di Fidenza), Anna Pia
Guadagni (Caritas di Ravenna), Massimo Magnaschi (Caritas di PiacenzaBobbio) e a coloro che hanno partecipato ai lavori: Livio Guida (Caritas di
Rimini), Alberto Pighini (Caritas di Reggio Emilia) e Antonella Fabbri
(Caritas di Forlì-Bertinoro).
Un grazie particolare alla Commissione dei Centri d’ascolto che insieme ai
responsabili, agli operatori dei Centri d’Ascolto delle Caritas e degli
Osservatori diocesani hanno operativamente reso possibile il lavoro di raccolta e analisi dei dati.
Un’espressione di gratitudine va ai partecipanti ai focus di approfondimento che ci hanno permesso una lettura della realtà sia dal punto di vista
socioeconomico che pastorale.
Si ringraziano inoltre Giampietro Cavazza e Simona Melli del Centro Culturale Francesco Luigi Ferrari per il commento dei dati e la stesura dei testi.
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Presentazione
La società in cui siamo chiamati a vivere è in rapida evoluzione sotto tutti
gli aspetti e non è sempre facile accompagnarla, soprattutto per quanto
riguarda la prossimità alle persone che vivono in difficoltà. Anche la carità deve cercare di seguire questa evoluzione, deve cercare, ispirandosi alla
Parola di Dio, di trovare le risposte adeguate che aiutino il fratello a risollevarsi dalla sua situazione perché diventi artefice del proprio destino.
Gesù, il nostro Maestro, si è piegato, nella sua vita terrena, sulle necessità degli uomini che ha incontrato, insegnando ai suoi discepoli di tutti i
tempi ad “ascoltare” e a “osservare”. Saper vedere e saper ascoltare sono le
prerogative del discepolo che vive la missione e che approfondisce la risposta all’invito di Gesù. Da queste riflessioni si può cogliere il senso del
rapporto dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse (opr) che le Caritas diocesane della nostra regione ci offrono. I Centri di ascolto, nell’accogliere le richieste, i bisogni, le necessità dei fratelli non fanno altro che
proseguire nel nostro tempo l’ascoltare di Gesù.
Gli Osservatori delle povertà, inoltre, ci dicono che accanto alla tradizionale definizione di povertà si è fatta strada la riflessione su esclusione e
vulnerabilità sociale, per cui qualunque persona che si trova in situazioni
che limitino la sua dignità, di donna o di uomo, o che non possa esprimere le sue potenzialità, dal punto di vista sia materiale sia culturale e spirituale, deve essere oggetto della nostra riflessione e della nostra azione.
Questo dossier ci dà l’opportunità di ringraziare il Signore per la possibilità di conoscere meglio le realtà di disagio e di sofferenza presenti nelle
nostre comunità e altresì di ringraziare le tante persone che, magari nel
silenzio e nella semplice quotidianità, contribuiscono a questa grande e
bella opera di ascolto, per essere prossimi e stare accanto a tanti nostri
fratelli.
don gian piero franceschini
Delegato regionale Caritas
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Prefazione
La pubblicazione di questo dossier regionale avviene nell’ambito del
Progetto rete nazionale, promosso dalla Caritas Italiana nel 2003 e sviluppato nel corso di questi anni. Questo progetto, promuovendo le attenzioni, le funzioni e i “luoghi” essenziali di ogni Caritas diocesana, vuole
garantirne l’identità di organismo pastorale in tutti i contesti, a partire da
quelli più fragili. Tale azione è quanto primariamente compete a Caritas
Italiana, come evidenzia anche l’itinerario compiuto negli anni 2001-2004
che, rispondendo alla domanda Quale Caritas per i prossimi anni?, ha
sottolineato:
• la necessità di assumere un metodo di lavoro basato sull’ascolto,
sull’osservazione e sul discernimento;
• l’esigenza di scegliere azioni, tra tutte quelle possibili, capaci di collegare emergenza e quotidianità;
• la scelta di costruire e proporre esperienze/percorsi educativi in grado
di incidere concretamente nella vita delle persone e delle comunità.
Metodo, azioni e percorsi educativi, in estrema sintesi, costituiscono la
“spina dorsale” dell’essere Caritas, le coordinate essenziali su cui, alla luce
di un’esperienza ormai collaudata, costruire le diverse progettualità. In
tale prospettiva assume fondamentale importanza curare quei “luoghi”
senza i quali è impensabile esprimere, come organismo, la propria identità e i propri compiti pastorali:
• il Centro di ascolto;
• l’Osservatorio delle povertà e delle risorse;
• il Laboratorio diocesano per la promozione delle Caritas parrocchiali.
La promozione di questi tre luoghi pastorali in ogni Caritas diocesana
costituisce la finalità principale del Progetto rete nazionale.
La raccolta dei dati relativi alle persone che si rivolgono ai Centri di
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ascolto, con la cura quantitativa e qualitativa dei dati e delle connessioni
con il territorio, va considerata come un’azione necessaria soprattutto per
abilitare le Caritas diocesane a un lavoro più sistematico e costante in tali
realtà.
Inoltre, la promozione di un lavoro comune fra i tre luoghi pastorali
propri non fa del Progetto rete nazionale solo un progetto importante, ma
il “modo di fare Caritas”, che impegna Caritas Italiana a sostenere lo
sviluppo delle Caritas diocesane a partire da un progetto che promuove la
crescita armonica di tutte le loro funzioni essenziali e la loro sintonia di
fondo.
Ascoltare le persone in difficoltà, osservare la realtà nel suo complesso
e discernere ciò che è necessario fare rientrano tra le responsabilità di tutta
la comunità ecclesiale, che viene sollecitata a un coinvolgimento puntuale e costante verso le situazioni di povertà, vicine e lontane, in termini di
attenzione personale ma anche di sensibilizzazione e animazione verso la
realtà sociale.
La necessità di tale metodo e impegno ci viene ricordata anche da papa
Benedetto xvi nella sua recente enciclica (Deus Caritas est, n. 28): «La
società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata
dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa
profondamente».
La realizzazione e la pubblicazione di questo dossier regionale si colloca pienamente in questa direzione, anche come stimolo alle Caritas diocesane per valorizzare e sviluppare questo lavoro nei propri contesti territoriali.
monsignor vittorio nozza
Direttore Caritas Italiana
Troviamo Monsignor, va bene?
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Introduzione
L’Osservatorio delle povertà e delle risorse come strumento
della Chiesa locale
In premessa appare necessario precisare che l’Osservatorio non è un assoluto, né un’esperienza fine a se stessa, né una funzione di supplenza, né
una bacchetta magica per risolvere i problemi della Chiesa locale rispetto
alle povertà. In positivo, esso rappresenta uno strumento a servizio di tutta
la pastorale diocesana pensato in questo tempo in cui tutto si evolve e si
trasforma rapidamente.
In particolare l’Osservatorio è complementare ai Centri di ascolto.
Mentre il primo rappresenta uno strumento di lettura e interpretazione
della realtà al servizio di tutta la pastorale diocesana per osservare, comunicare e coinvolgere il territorio e la comunità ecclesiale sul tema della
povertà e dell’emarginazione sociale, i secondi sono gli strumenti operativi, espressione della comunità cristiana locale, rivolti alle persone come
prima risposta alle loro esigenze di orientamento, ascolto e accoglienza.
L’Osservatorio, quindi, favorisce una ricomprensione complessiva
della pastorale ecclesiale con ricadute, almeno nel medio periodo, sulle
linee principali di intervento nonché sulla distribuzione delle risorse,
economiche e umane, tra i diversi campi di intervento.
È evidente che, pur essendo uno strumento promosso e gestito dalla
Caritas, appartiene a tutta la comunità e risulterà tanto più utile quanto
più sarà in relazione con la catechesi, la liturgia, la carità e la missione.
Già il Concilio Vaticano ii ha proposto di considerare i poveri come
“scelta preferenziale”, invitando a ripartire dagli ultimi per essere veramente Chiesa. I poveri, infatti, rappresentano il luogo teologico in cui è
possibile realizzare un rapporto per costruire un’identità cristiana matura.
Coerentemente a queste linee di indirizzo generale, quindi, l’agire all’interno dei Centri di ascolto, degli Osservatori, delle Caritas parrocchiali
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non può prescindere da questa idea di amore preferenziale verso gli ultimi. Risulta ancora attuale il richiamo dei vescovi italiani dell’inizio degli
anni ottanta (cei – Consiglio permanente, 1981, p. 16):
Il progresso economico e sociale che anche l’Italia ha sviluppato dagli anni del
dopoguerra è per tanti versi innegabile. Ma con esso si sono pure affermati
elementi regressivi che hanno portato alla perdita di valori senza i quali è impossibile che quel progresso sia vero e proceda ancora per il bene comune.
Conosciamo la complessità dei problemi che al riguardo occorre affrontare. Ma,
innanzitutto, bisogna decidere di ripartire dagli “ultimi”, che sono il segno drammatico della crisi attuale.
Fino a quando non prenderemo atto del dramma di chi ancora chiede il riconoscimento effettivo della propria persona e della propria famiglia, non metteremo
le premesse necessarie a un nuovo cambiamento sociale. Gli impegni prioritari
sono quelli che riguardano la gente tuttora priva dell’essenziale: la salute, la casa,
il lavoro, il salario familiare, l’accesso alla cultura, la partecipazione.
Bisogna, inoltre, esaminare seriamente le situazioni degli emarginati, che il
nostro sistema di vita ignora e perfino coltiva: dagli anziani agli handicappati, dai
tossicodipendenti ai dimessi dalle carceri o dagli ospedali psichiatrici. Perché
cresce ancora la folla dei “nuovi poveri”? Perché a una emarginazione clamorosa
risponde così poco la società attuale?
Le situazioni accennate devono entrare nel quadro dei programmi delle amministrazioni civiche, delle forze politiche e sociali che, garantendo spazio alla libera
iniziativa e valorizzando i corpi intermedi, coinvolgono la responsabilità dell’intero paese sulle nuove necessità.
Da questo punto di vista si comprende la necessità di mettere in pratica la
scelta di amore preferenziale verso i poveri, creando una “personalizzazione
delle relazioni” per non cadere nel “linguaggio della generalizzazione” per cui
non c’è più un nome, non c’è più un volto ma solo una problematica da
risolvere. La priorità del Centro di ascolto non deve essere di carattere quantitativo, bensì qualitativo: l’obiettivo non sarà risolvere tutti i problemi dei
poveri ma dare qualità di ascolto a coloro che sono accolti dal Centro di
ascolto. Per offrire sempre una maggiore qualità di ascolto ai poveri, la Caritas è chiamata a sensibilizzare la comunità parrocchiale ad aprirsi ai più deboli, accogliendoli, ascoltandoli e dedicando loro attenzione, tempo e risorse. È
per questa funzione che le Caritas possono impiegare l’Osservatorio.
Tuttavia la comunità parrocchiale/diocesana non deve delegare al
Centro di ascolto il compito di occuparsi dei poveri; al contrario, il
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Centro deve funzionare come un’antenna in grado non solo di ricevere le
richieste di aiuto dei deboli e degli emarginati ma anche di trasmetterle al
territorio, alla parrocchia e alla diocesi. È necessario affrontare le povertà
presenti sul nostro territorio adottando una dimensione di sussidiarietà
tale che «a tal punto io mi prendo carico della dimensione di cittadinanza
di tutti, dell’inclusione sociale, del rapporto di dignità e responsabilità che
divento sussidiario rispetto a questo diritto [...] e faccio crescere la domanda di cittadinanza in un’istituzione che si fa carico dei processi di inclusione sociale» (cei – Commissione ecclesiale giustizia e pace, 2006).
Riconoscere nel concreto le cause strutturali delle varie forme di povertà obbliga a mettere mano non solo agli stili di vita individuali, ma anche
a quelli collettivi, a riconsiderare le priorità della nostra vita, nelle scelte
politiche e amministrative, nonché pastorali. È evidente che alcuni fattori, per dimensione e per complessità, travalicano la dimensione locale,
tuttavia è innegabile che la loro risoluzione può partire soltanto da iniziative concrete di base. Ciò è tanto più vero se si considera che la carità è la
dimensione essenziale della Chiesa in missione, dovunque e comunque la
missione si attui: dal territorio di vita e testimonianza quotidiana, fino
all’angolo della terra più lontano e all’ambiente di vita più difficile e
problematico.
Le affermazioni di carattere generale sopra riportate possono aiutare a
superare i seguenti passaggi nodali: scarsa consapevolezza dell’importanza
dello strumento dell’Osservatorio, titolarità a occuparsi di progetti politici, criteri di intervento nella pastorale locale.
Aumentare la consapevolezza dell’importanza dell’Osservatorio
Il lavoro più difficile e impegnativo da compiere è quello della sensibilizzazione che aiuti a far entrare la funzione promozionale dell’Osservatorio
nel quadro della testimonianza della carità.
I “numeri” dell’Osservatorio hanno una propria forza. Se correttamente rilevati, commentati e comunicati possono rappresentare una novità
rispetto a una situazione che forse non si conosceva; essi consentono di
correlare situazioni individuali o familiari a dinamiche sociali, di scoprire
le cause di tante situazioni di povertà, ma anche di sostenere una maggiore consapevolezza e di motivare un intervento. In sostanza è un modo di
prendere atto della realtà e di interrogarsi sul suo senso religioso, cioè un
modo per discernere nel tempo presente il messaggio di Dio attraverso gli
ultimi della fila.
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Prima di tutto appare necessario aiutare la comunità cristiana, in particolare gli operatori della pastorale, ad aprirsi alle nuove modalità della
carità. Non si deve aver paura di rubare persone alla pastorale ordinaria: è
altrettanto importante e spesso più urgente chiamare e abilitare sposi,
famiglie, lavoratori, studenti, educatori, intellettuali, sindacalisti, operatori sociali e uomini politici a forme diverse di testimonianza della carità,
non ultima quella pubblica, perché si preoccupino dei cosiddetti diritti di
cittadinanza – casa, salute, lavoro, istruzione, cultura, partecipazione per
una umanizzazione dell’ambiente di vita.
Si tratta di aiutare la comunità cristiana a comprendere la dimensione
nodale che la vita pubblica riveste agli effetti della risoluzione dei problemi dei poveri (cei – Commissione ecclesiale giustizia e pace, 2006):
La lotta per la rimozione delle strutture sociali ingiuste è un impegno che non
può essere affidato in modo unico ed esclusivo ai partiti. Anche la comunità civile ha da svolgere una sua funzione politica, facendosi carico dei problemi generali del paese, elaborando progetti per una migliore vita umana a favore di tutti,
controllando anche la loro attuazione, denunciando disfunzioni e inerzie, esigendo quegli strumenti democratici messi a disposizione dei cittadini, che la mensa
non sia apparecchiata solo per chi ha potere ma per tutti.
Dal piano della lotta per i diritti di cittadinanza si sta pericolosamente
scivolando sul piano della beneficenza, di una carità delegata a strutture
specializzate, evitando così ogni forma di coinvolgimento. Occorre però
tenere presente che nessuna carità è in grado di ovviare a una pensione
mancata o a un ricovero ospedaliero finanziariamente non coperto.
In base ai dati raccolti dall’Osservatorio delle povertà occorre rilevare
che permangono numerose situazioni personali e familiari che non godono pienamente dei cosiddetti diritti di cittadinanza.
La sicurezza esistenziale, senza la quale non ci sono né libertà né volontà
di migliorare la propria posizione, non risulta garantita a tutte le famiglie
dalla forma attuale di organizzazione del welfare, dove per welfare si intende
l’esito di un particolare equilibrio tra crescita economica, sviluppo del benessere e gestione concertata delle istituzioni. Le quasi 18.000 persone accolte dai
Centri di ascolto delle diocesi della regione Emilia-Romagna portano a chiedersi come la comunità locale possa ancora permettersi un così elevato
numero di famiglie in situazione di povertà, senza dimenticare che oltretutto tale fenomeno risulta tendenzialmente in crescita.
È evidente che si tratta di informazioni che non sono registrate dalle
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statistiche ufficiali, bensì dai Centri di ascolto delle Caritas delle diocesi
presenti nella regione. Tali dati, che rilevano il perdurare di certe situazioni e in alcuni casi la loro acutizzazione, impongono di ricercare ciò che
correla la povertà al processo di modernizzazione attualmente in corso.
Inserire concretamente i poveri nei progetti pastorali della Chiesa
L’azione pastorale della Chiesa non si esaurisce all’interno dei propri
confini, tanto meno in un campo come quello delle povertà, che inevitabilmente coinvolge aspetti sociali, culturali, etici, economici e politici.
Pur stando attenti a evitare sovrapposizioni e invasioni di campi di
competenza, le associazioni di volontariato, le cooperative sociali, le Caritas, i Centri di ascolto ecc., tutti soggetti che fanno parte della cosiddetta
società civile, sono tenuti a intervenire sull’ente locale affinché curi con
maggiore responsabilità gli interessi e lo sviluppo di tutta la comunità
(cittadina).
Di fronte al dato dei 17.905 poveri, registrato dall’Osservatorio, occorre evitare di fornire una lettura del fenomeno in chiave meramente economica e affrontare invece il dato quantitativo anche da altri punti di vista.
Quella dimensione di emarginazione pesante, che rischia di diventare
cronica, spesso nasce da una povertà di relazione che caratterizza soprattutto la generazione più giovane. Ma non è la sola povertà ad acquisire il
“volto della normalità”: al suo interno si intrecciano profondamente
povertà relazionale, povertà quantitativa e povertà di diritti.
Tramite i Centri di ascolto è possibile instaurare una relazione empatica con i poveri, in modo da poter leggere, anche a partire dai loro vissuti,
le difficoltà che si nascondono dietro a un disagio economico. Con il
supporto delle analisi offerte dall’Osservatorio è poi possibile impegnarsi
in azioni politiche affinché la povertà non sia messa in un angolo, quasi
fosse un problema solo di qualcuno, ma al contrario venga considerata
una priorità nell’agenda politica locale e nazionale. Tale azione di carattere generale risulterà tanto più utile quanto maggiore è la credibilità della
Chiesa presso i cittadini, credenti e non.
La Chiesa locale e l’ente pubblico corrono spesso il rischio di attuare
interventi nel campo sociale con logiche meramente assistenzialistiche,
distribuendo le risorse a pioggia senza un progetto complessivo, senza
l’impegno a operare scelte di prevenzione o di recupero. Si può ritenere
che anche questo è uno spazio nel quale la comunità cristiana da sola, o
ancor meglio con altri, è chiamata a intervenire non tanto come tutela dei
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poveri contro interessi più potenti e agguerriti, quanto piuttosto per generare la convinzione, in coloro che devono decidere, che una buona amministrazione è tale se crea condizioni di giustizia e pace sociale (nell’interesse di tutti).
A livello locale il momento in cui si decide la destinazione delle risorse
pubbliche è l’approvazione del bilancio comunale. Ma anche la definizione del Piano di zona e il relativo Piano annuale degli interventi sono un
momento in cui è possibile far valere i diritti dei più deboli inserendoli tra
i destinatari della spesa pubblica e vigilando altresì sulla discrezionalità
degli amministratori nel dare corso agli impegni presi. Spesso capita di
leggere espressioni quali “provvedono nei limiti delle risorse ordinarie del
bilancio”, oppure “provvedono con propri mezzi di bilancio”, “facilitano”, “possono” ecc. Appare evidente che si tratta di formulazioni che
lasciano all’amministrazione locale la discrezionalità di dare risposte a
diritti unanimemente riconosciuti.
L’efficacia di una richiesta di questo tipo può essere aumentata dalla
credibilità di chi la propone, soprattutto nei confronti della pubblica
opinione. In pratica, se anche la Chiesa locale avesse un proprio bilancio
di tipo pastorale che comprendesse anche quello di associazioni, congregazioni religiose, enti vari, fondazioni ecc., se questo bilancio fosse pubblico e riportasse con estrema chiarezza la quota di risorse destinate ai poveri, soprattutto per combattere le cause della loro condizione, essa potrebbe
aumentare notevolmente la propria autorevolezza non solo in campo
morale ma soprattutto spirituale. In tale prospettiva, però, occorre ricordare che la missione della Chiesa è anche altro rispetto a quella dell’ente
pubblico, almeno per evitare che l’opinione pubblica la riduca a semplice
fornitrice di servizi sociali.
È evidente che il problema del bilancio non riguarda solo l’ente locale
o la Chiesa nel suo complesso, ma soprattutto ogni singolo cristiano.
Sorge allora spontaneo chiedersi se le famiglie e le singole persone, quando progettano le loro spese principali, tengono conto o meno delle esigenze dei più poveri, ovvero se quando si progetta la propria casa, il proprio
appartamento, la propria parrocchia si prevedono spazi o modalità di
accoglienza. Si tratta di cose che non si improvvisano ma che hanno bisogno di tempo per affermarsi nella mentalità delle persone e per le quali è
importante far crescere forze, operatori e famiglie disponibili a impegnarsi affinché si radichi una cultura della carità che dia ai poveri lo spazio
adeguato.
Ecco perché il richiamo alla famiglia. Le povertà possono essere fami20
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liari in quanto non coinvolgono singole persone ma appunto interi nuclei
familiari. La famiglia è il luogo in cui si sperimenta una relazione di tipo
solidale, per non dire fraterna. La famiglia però non appare al centro delle
politiche pubbliche.
Il perdurare e il crescere delle povertà rimanda inevitabilmente al tema
delle diverse condizioni di vita, cioè dei vincoli e delle opportunità posti
dall’ambiente, e parallelamente al tema delle iniziative di redistribuzione
delle risorse finalizzate alla correzione di tali iniquità. La contestualizzazione della povertà permette di superare le dicotomie del tipo povertà assoluta/povertà relativa, povertà economica/povertà non economica, povertà individuale/povertà sociale e di inserire la povertà in un ambito più
ampio nel quale affiorano di fatto le reali condizioni di disuguaglianza fra
le persone e le famiglie. Ciò influenza anche la tipologia degli interventi.
Tale logica permette, infatti, di considerare le politiche di lotta alla povertà non tanto come un processo che elimina gli ostacoli, quanto piuttosto
come un’azione di mobilitazione di risorse preesistenti. In tal modo si
evita un approccio rigidamente deterministico alle problematiche della
povertà e, al contrario, si favorisce l’apertura alla multifattorialità e alla
processualità degli aspetti critici presenti nella famiglia.
Sul fronte delle politiche possibili a livello locale si pone il problema di
equità sociale relativo alla redistribuzione delle scarse risorse degli enti
locali tra le diverse aree di intervento. Se le risorse sono limitate è inevitabile dover scegliere chi saranno i reali destinatari di queste risorse e in
quale misura lo saranno. Le politiche di cittadinanza dipendono in prima
istanza da una valutazione di tipo politico che considera attentamente i
costi di una spesa pubblica che paradossalmente si ritiene eccessiva, ma
che resta insufficiente a intervenire su tutti i fronti.
Si richiede all’amministratore pubblico di individuare, nella formulazione del bilancio, un equilibrio tra le diverse politiche, trovando un
punto di incontro tra disuguaglianza ed equità sociale, universalità e selettività, stabilità finanziaria e obblighi sociali. Da questo punto di vista
l’esperienza maturata negli anni e gli strumenti sempre più sofisticati di
programmazione possono aiutare a compiere scelte non certo facili, ma è
a livello culturale che occorre fare la scelta giusta (Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace, 2004):
Esiste purtroppo una distanza fra lettera e spirito dei diritti dell’uomo ai quali è
tributato spesso un rispetto puramente formale. La dottrina sociale, in considerazione del privilegio accordato dal Vangelo ai poveri, ribadisce a più riprese che i
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povertà e politiche sociali in emilia-romagna
più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più liberalità i
propri beni a servizio degli altri e che una affermazione eccessiva di uguaglianza
può dar luogo a un individualismo dove ciascuno rivendica i propri diritti, sottraendosi alla responsabilità del bene comune.
Si comprende, pertanto, che l’azione culturale non riguarda solo chi ha
responsabilità politiche o amministrative, ma anche l’opinione pubblica,
cioè ogni singola persona. A questi (Giovanni Paolo ii, 1988),
bisogna ricordare ancora una volta il principio tipico della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti. Il diritto alla
proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale principio:
su di essa, infatti, grava un’ipoteca sociale, cioè vi si riconosce, come qualità
intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul principio
della destinazione universale dei beni.
Alcuni criteri di intervento
Un ultimo nodo, importante quanto quello delle risorse economiche e
della qualità degli interventi, riguarda i criteri di risposta che gli operatori
delle associazioni di volontariato e più in generale tutte le strutture di
servizio in cui è coinvolta la Chiesa locale devono adottare. Tra questi
preme ricordare i seguenti: interventi mirati, ruolo della famiglia, formazione, dialogo.
• Interventi mirati. La conoscenza aggiornata delle condizioni di vita dei
poveri obbliga a verificare costantemente se gli interventi in atto, sia del
pubblico che del privato, sono in linea con le esigenze rilevate e in quale
misura incidono sulle cause della povertà. Nella stessa direzione dovrebbero essere adattati i rapporti tra le parrocchie e le associazioni di volontariato e più in generale fra tutti questi e i servizi pubblici in una logica di
lavoro di rete. Da una parte si richiede che i Centri di ascolto siano delle
strutture specializzate e flessibili, dall’altra che l’ente pubblico intervenga
secondo un ordine di priorità e in quei settori dove sono necessari interventi strutturali.
• Ruolo della famiglia. Scegliere i servizi più adatti ai poveri spesso può
voler dire fornire servizi di sostegno della famiglia. Esiste però anche un
altro aspetto: in misura crescente il povero ha una famiglia più o meno
numerosa e i suoi problemi si estendono al coniuge e ai figli. Pertanto, ai
bisogni di tipo materiale si sommano quelli relazionali, i quali interpella22
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introduzione
no la capacità di accoglienza della parrocchia, dei movimenti, dell’oratorio, del catechismo, dei gruppi di animazione, del doposcuola ecc.
• Formazione. È molto importante che le persone impegnate nei servizi
siano professionalmente aggiornate e umanamente e spiritualmente motivate. In tale prospettiva occorre prevedere un certo numero di ore e una
certa quota del bilancio annuale per assicurare agli operatori delle parrocchie, delle associazioni di volontariato ecc. le necessarie opportunità di
formazione permanente.
• Dialogo. L’integrazione sociale risulta difficile non solo nel confronto con
religioni diverse, ma anche all’interno della stessa confessione. Ciò risulta
accentuato dalla diversa cultura soprattutto rispetto agli stranieri, i quali
desiderano conservare in Italia le abitudini e i riti del paese d’origine. In tale
situazione, la comunità cristiana è chiamata a sperimentare la propria fede
dialogante, attenta soprattutto a valorizzare l’essenzialità e la radicalità
dell’annuncio evangelico che esprime sempre una solidarietà inequivocabile.
La cosa più importante è che crescano forze e operatori disponibili e preparati a promuovere una cultura sociale, politica e pastorale che dia ai poveri
uno spazio adeguato. La gravità della situazione impone di assumere l’impegno della giustizia a favore di quanti sono ancora privi dell’essenziale in
un rapporto dialogico e collaborativo con tutte le persone che vi operano e
portando il contributo della visione dell’uomo secondo il Vangelo.
Si tratta di una responsabilità che riguarda tutta la comunità ecclesiale
locale, soprattutto se si considera la necessità di interventi di tipo strutturale, tanto importanti quanto onerosi e difficili, in grado di incidere non
solo sui “sintomi” ma prevalentemente sulle cause che determinano
povertà, disagio, emarginazione e disuguaglianza. Ciò presuppone un
cambiamento di mentalità che conduca al superamento della vecchia idea
di carità legata all’elemosina, ma che sfugga anche alla tentazione (diffusa
oggigiorno) di delegare ad altri, eventualmente con un atto di beneficenza generoso, la carità.
I risultati riportati nel presente lavoro costituiscono un costante richiamo alla vigilanza e possono essere utilizzati efficacemente negli incontri
con le seguenti figure:
• parroci, al fine di individuare le fasce deboli presenti nel proprio territorio e i problemi che gli stessi incontrano nella propria attività, incentivando la convergenza di linee e di azioni tra le diverse parrocchie che
operano su territori contigui o sulle medesime problematiche;
• consigli pastorali e Caritas parrocchiali, per stimolarli all’approfondi23
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povertà e politiche sociali in emilia-romagna
mento e alla realizzazione di programmi adeguati alle esigenze, verificando la qualità e la quantità dei servizi forniti;
• responsabili delle associazioni educative, per stimolarli a verificare e a
ripensare i propri progetti formativi alla luce dell’assunzione di nuove
responsabilità rispetto ai nuovi bisogni;
• commissioni o uffici catechistici, perché i rilevamenti delle varie forme
di povertà trovino nella Parola di Dio e nella catechesi un punto di riferimento e di confronto per una lettura da fare alla luce della fede;
• ufficio liturgico, per favorire la crescita di una sensibilità essenziale,
concreta e attiva verso gli ultimi anche durante le celebrazioni;
• gruppi e associazioni di volontariato cattoliche e non, per far sentire
l’appoggio della comunità ecclesiale, per accelerare il processo di collaborazione al fine di realizzare una mappa dei bisogni del territorio e il
rapporto con l’ente pubblico valorizzando al meglio il proprio ruolo politico in funzione degli interessi dei più deboli, promuovendo la loro organizzazione affinché diventino essi stessi protagonisti della propria emancipazione;
• coppie che frequentano i corsi di preparazione al matrimonio, per una
maggiore conoscenza della realtà sociale nella quale vivono, invitandole a
tenere “aperta” la propria futura famiglia;
• iniziative di formazione permanente per gli operatori nel campo sociale e politico affinché, partendo dalle attese degli ultimi, impegnino la
propria fede cristiana nel concreto della propria realtà storica;
• scuola di teologia per i laici, integrando le lezioni di teologia con corsi
di pastorale della carità;
• cosiddette forze sociali (ad es. sindacati, patronati ecc.), affinché
rappresentino con maggiore efficacia anche le istanze dei più deboli e
rendano pubblici i loro interventi.
commissione politiche sociali caritas emilia-romagna
commissione centri di ascolto caritas emilia-romagna
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Parte prima
Il profilo sociale regionale
Questo rapporto ha lo scopo di presentare in forma sintetica alcuni aspetti importanti della regione Emilia-Romagna osservando quanto emerge
dai dati statistici e demografici diffusi da fonti ufficiali. Questa esposizione ci permetterà di collocare la situazione emiliano-romagnola all’interno
del paese e soprattutto ci permetterà di osservare le problematicità che il
territorio esprime collegandole a quelle che emergono dai dati dei Centri
di ascolto.
Il capitolo 1 è dedicato alla presentazione della struttura demografica
della regione, con particolare attenzione ai mutamenti che sono avvenuti
negli ultimi vent’anni; sono presentati i dati riferiti al tasso di natalità e di
mortalità, nonché il saldo migratorio. Ulteriori fenomeni di cui si cercherà di rendere conto sono l’invecchiamento, la femminilizzazione della
popolazione e l’immigrazione.
Nel capitolo 2 vengono presentati i dati rispetto ad alcuni indicatori di
disagio sociale come i minori in difficoltà, il fenomeno della tratta e della
prostituzione, le dipendenze e la criminalità: tutti elementi che non possono essere ignorati se si vuole descrivere il fenomeno della povertà nella
nostra regione. È in questa parte del rapporto che sono riportati i dati relativi all’utenza dei Centri di ascolto diocesani Caritas.
Le elaborazioni proposte sono il frutto del tentativo di uniformare la
lettura della povertà in Regione utilizzando i dati raccolti e informatizzati
dai singoli Centri di ascolto. Tutti i Centri sono dotati di schede cartacee
mediante le quali vengono registrate le informazioni sugli utenti relative
ai dati anagrafici, ai bisogni espressi e agli interventi offerti. Non esiste
un’uniformità di raccolta e sistematizzazione dei dati fra i diversi Centri
di ascolto, anche se con l’introduzione del programma d’inserimento
ospo vi è stato un primo tentativo di dotarsi di uno strumento comune.
Negli anni sono state presentate versioni sempre più aggiornate di ospo
ma non tutti i Centri si sono adeguati a quella più recente, impedendo
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parte prima. il profilo sociale regionale
così una gestione unitaria dei dati; a ciò va aggiunto che alcune diocesi
continuano a utilizzare programmi differenti. Questo rapporto rappresenta di fatto un primo tentativo di standardizzare la metodologia di raccolta
dei dati, rendendo palese la necessità di lavorare ancora in questo senso.
Le elaborazioni proposte rappresentano il minimo comune denominatore fra tutti i Centri di ascolto; per una lettura più completa è necessario
aggiungere gli approfondimenti per ogni Centro di ascolto, che in questa
sede non sono presi in considerazione per non rendere vano il lavoro di
standardizzazione proposto. Si è reso necessario descrivere la povertà
emersa attraverso i Centri sia utilizzando i dati dell’utenza, per quanto
riguarda le principali variabili anagrafiche, sia condividendo, insieme a
coloro che operano nei Centri di ascolto o che conoscono la realtà regionale, una lettura più dettagliata delle situazioni presenti nei diversi territori. A questo proposito sono stati organizzati tre focus di approfondimento ai quali erano invitati i direttori del Centro di ascolto, alcuni
testimoni privilegiati della situazione sociale del territorio che hanno
proposto una lettura più socioeconomica e alcuni testimoni che hanno
proposto invece una lettura pastorale.
Si è ritenuto opportuno completare il quadro inserendo il capitolo 3, in
cui si descrivono le politiche familiari messe in campo dalla Regione EmiliaRomagna – con una presentazione e una valutazione delle risposte ai bisogni
della collettività – per evidenziare come scegliere i servizi più adatti ai poveri spesso possa voler dire fornire servizi di sostegno alla famiglia.
E, infine, il capitolo 4 presenta le attività svolte dai Centri di ascolto
diocesani dell’Emilia-Romagna con una descrizione, per ogni diocesi, sia
del Centro di ascolto che, ove presente, dell’Osservatorio delle povertà.
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1
Epidemiologia sociale del territorio
1.1. Alcuni dati demografici e statistici di sfondo
Nell’ultimo ventennio, l’Emilia-Romagna è stata attraversata da rilevanti
trasformazioni di carattere demografico che hanno determinato mutamenti significativi nella struttura e nella composizione della popolazione.
Come evidenzia la tabella 1.1, nel 1981 i residenti in Emilia-Romagna
erano 3.957.513: di questi, 2.039.746 erano femmine e 1.917.767 erano
maschi.
Tabella 1.1. Residenti in Emilia-Romagna (1981-2003)
Maschi
Femmine
Totale
1981
1987
1991
1996
2001
2003
1.917.767
2.039.746
3.957.513
1.894.953
2.027.435
3.922.388
1.890.192
2.019.320
3.909.512
1.905.908
2.033.422
3.939.330
1.959.579
2.077.516
4.037.095
1.991.527
2.109.797
4.101.324
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
Dal 1981 al 1991 la popolazione ha mostrato un andamento decrescente,
diminuendo di circa cinquantamila unità in dieci anni; viceversa, nel
decennio successivo ha ricominciato a crescere fino a superare i 4.000.000
di residenti con l’inizio del nuovo millennio, per poi assestarsi a 4.101.324
persone nel 2003: di queste, 2.109.797 sono femmine e 1.991.527 sono
maschi.
Le trasformazioni demografiche sono state accompagnate anche da
mutamenti nelle strutture familiari. All’aumento della popolazione, in
particolare, si è accompagnata una forte crescita del numero delle famiglie.
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parte prima. il profilo sociale regionale
Tabella 1.2. Caratteristiche della popolazione (Emilia-Romagna, 1991-2001)
Numero famiglie
Numero medio di componenti per famiglia
1991
2001
1.482.065
2,61
1.638.914
2,4
Fonte: Regione Emilia-Romagna (dati da censimento), http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
La tabella 1.2 evidenzia che dal 1991 al 2001, accanto all’aumento della
popolazione esaminato in precedenza, è cresciuto il numero delle famiglie
– da 1.482.065 a 1.638.914 – ed è inoltre diminuito il numero medio di
componenti per famiglia. Da un valore già piuttosto basso di 2,61 componenti per famiglia nel 1991 si passa a un valore di 2,4 componenti nel 2001,
a testimonianza del sempre maggiore numero di famiglie composte da
una sola persona.
1.2. I fattori alla base dei mutamenti
Dopo aver brevemente delineato i mutamenti della popolazione dell’Emilia-Romagna negli ultimi vent’anni, è importante esaminare quali fattori
stiano alla base dei mutamenti stessi appena considerati.
Il primo fattore rilevante è il tasso di natalità che presenta, nel corso del
trentennio 1973-2003, un andamento prima decrescente e poi crescente
(cfr. tab. 1.3). Mentre negli anni che vanno dal 1973 al 1988, infatti, è in
forte calo – da 12,62 nati per 1.000 abitanti nel 1973, scende fino a 6,71 nati
per 1.000 abitanti nel 1988 –, nel periodo che dal 1988 arriva fino agli anni
più recenti ricomincia a crescere. Infatti, nel 2003 in Emilia-Romagna si
registrano 8,82 bambini nati ogni 1.000 persone, due in più rispetto al
1988.
Il tasso di mortalità nei trent’anni considerati presenta, invece, un
andamento più regolare, sebbene in lieve aumento: mentre nel 1973 era
pari a 10,81 morti per 1.000 abitanti, nel 2003 assume un valore di 11,89.
Un’altra variabile che contribuisce a spiegare l’aumento del numero di
residenti in Emilia-Romagna è il saldo migratorio che, come evidenzia la
tabella 1.3, presenta un andamento analogo al tasso di natalità. Il saldo
migratorio, positivo ma in calo dal 1973 al 1983, successivamente inizia a
crescere fino a impennarsi e ad assumere valori molto elevati, mai verificatisi in precedenza, negli anni recenti. Infatti, nel 1973 il saldo migratorio
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1. epidemiologia sociale del territorio
era pari a 4,86 persone ogni 1.000 abitanti e dieci anni dopo era più basso
di due punti. A partire da quegli anni ha ricominciato a crescere, dapprima più lentamente (era pari a 5,33 nel 1993), poi in modo più impetuoso,
fino a raggiungere il valore estremamente elevato di 15,46 persone per
1.000 abitanti nel 2003.
Questi fattori appena esaminati hanno determinato, in modo
congiunto, la variazione della popolazione regionale. Come si può notare
dalla tabella 1.3, in Emilia-Romagna la popolazione ha subito un calo
negli anni ottanta (la variazione percentuale della popolazione, infatti, è
negativa), come risultato del calo del tasso di natalità e del basso livello
positivo del saldo migratorio. Negli altri decenni, invece, la popolazione
della nostra regione è sempre aumentata.
Tabella 1.3. Indicatori di movimento della popolazione (Emilia-Romagna,
1973-2003)1
1973
Tasso grezzo di natalità (per 1.000 ab.)
1978
1983
1988
1993
1998 2003
12,62
9,03
7,15
6,71
7,03
7,75
8,82
Tasso grezzo di mortalità (per 1.000 ab.) 10,81
10,62
11,28
10,98
11,30
11,84
11,89
Saldo migratorio (per 1.000 ab.)
4,86
3,28
2,86
3,53
5,33
7,29
15,46
Variazione della popolazione (%) (*)
0,67
0,17
–0,13
–0,07
0,11
0,32
0,69
(*) Il dato si riferisce al 2001.
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
Il calo del tasso di natalità, in presenza di un tasso di mortalità costante,
contribuisce ad accelerare il processo di invecchiamento della popolazione.
L’invecchiamento può essere evidenziato da diversi indicatori come, ad
esempio, l’età media della popolazione. La figura 1.1 mostra l’andamento
dell’età media maschile, femminile e totale in Emilia-Romagna nel periodo
1981-2003. Come si può notare, l’età media è cresciuta notevolmente.
In particolare, nel periodo considerato crescono di circa cinque anni
sia l’età media maschile che quella femminile e, pertanto, l’età media totale. La crescita dell’età media subisce tuttavia un rallentamento nel quinquennio che va dal 1998 al 2003, come evidenza la figura 1.1. Inoltre, si
conferma che l’età media delle donne è più elevata di quella degli uomini.
L’invecchiamento della popolazione regionale è confermato, oltre che
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dalla crescita dell’età media, anche dalle variazioni percentuali, sul totale
della popolazione, di alcune fasce di popolazione.
Figura 1.1. Età media maschile, femminile e totale (Emilia-Romagna, 19812003)
49
47
45
43
41
39
37
35
1981
1987
1993
1998
2003
Totale
39,79
41,91
43,63
44,58
44,85
Maschi
38,36
40,32
41,89
42,8
43,1
Femmine
41,15
43,41
45,26
46,24
46,51
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
La tabella 1.4, prendendo in considerazione la percentuale di popolazione
giovanile (0-14 anni), la percentuale di anziani (65 anni e oltre) e la
percentuale di grandi anziani (75 anni e oltre) nel lasso di tempo che va dal
1981 al 2001, permette di svolgere alcune ulteriori considerazioni.
Tabella 1.4. Struttura della popolazione (Emilia-Romagna, 1981-2003)
(dati in percentuale)
Popolazione giovanile
Anziani
Grandi anziani
1981
1987
1993
1998
2003
16,96
16,26
5,80
13,18
17,83
7,79
10,95
20,49
8,65
11,09
21,82
10,06
12,06
22,48
11,00
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
La percentuale di popolazione giovanile, costantemente in calo dal 1981 al
1993 (dal 16,96% al 10,95), ha poi mostrato una crescita lieve ma graduale.
Nel 2003, infatti, la popolazione giovanile rappresenta il 12,06% del totale,
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1. epidemiologia sociale del territorio
assestandosi al di sopra dei livelli di dieci anni prima. La tabella 1.4, inoltre,
conferma che l’aumento della popolazione anziana con più di 65 anni non
ha conosciuto soste negli ultimi vent’anni: dal 16,26% del totale nel 1981, la
popolazione anziana è passata al 20,49% del totale nel 1993 e al 22,48% del
totale nel 2003. Analogo andamento crescente ha mostrato la percentuale
di grandi anziani, vale a dire le persone con 75 anni o più, passando dal
5,8% sul totale della popolazione nel 1981 all’8,65% sul totale della popolazione nel 1993, per raggiungere l’11% sul totale della popolazione nel 2003.
In altre parole, mentre nel 1981 la percentuale di giovani era pari alla
percentuale di ultrasessantaciquenni, nel 2003 invece la percentuale della
popolazione giovanile era pressoché pari alla percentuale di ultrasettantacinquenni. Senza voler connotare questa struttura della popolazione in
modo allarmistico, si può semplicemente sostenere che questo dato, forse
meglio di ogni altro, sintetizza l’invecchiamento della popolazione
dell’Emilia-Romagna.
Altri indicatori, esaminati nella tabella 1.5, aiutano a comprendere con
maggiore precisione le trasformazioni demografiche attualmente in atto.
Tabella 1.5. Indici di stato della popolazione (Emilia-Romagna, 1981-2003)
Indice di dipendenza senile
Indice di vecchiaia
Indice di dipendenza totale
1981
1987
1993
1998
2003
24,34
95,84
49,74
25,85
135,32
44,95
29,89
187,06
45,86
32,52
196,78
49,04
34,33
186,35
52,76
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
L’indice di dipendenza senile – che mostra il numero di anziani in età non
attiva (65 anni e più) ogni 100 persone in età attiva (nella fascia di età tra 15
e 64 anni) – è in crescita costante e non fa che confermare quanto già visto
in precedenza, ovvero che la popolazione dell’Emilia-Romagna, negli ultimi vent’anni, è invecchiata costantemente: da un valore di 24,34 nel 1981,
tale indice raggiunge il valore di 34,33 nel 2003. L’indice di vecchiaia – che
mostra il numero di persone con un’età maggiore di 65 anni ogni 100 persone nella fascia d’età da 0 a 14 anni – rivela un’altra caratteristica. Sebbene,
infatti, il suo valore sia molto elevato, tale indice risulta in calo nel quinquennio 1998-2003: ciò sta a significare che l’aumento delle nascite ha
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parte prima. il profilo sociale regionale
controbilanciato e superato l’aumento delle persone con più di 65 anni. A
questo livello di analisi, purtroppo, non è possibile stabilire quanto abbia
inciso l’aumento del tasso di immigrazione, evidenziato in precedenza.
In qualche modo sorprendente è anche il valore assunto dall’indice di
dipendenza totale – che mostra il numero di persone in età non attiva (nelle
fasce di età tra 0 e 14 anni e 65 anni e più) per 100 persone in età attiva (nella
fascia di età tra 15 e 64 anni) – che è in crescita sin dal 1987: nel 2003, tale
indice si assesta su di un livello più elevato (52,76) rispetto a quello, già rilevante, del 1981 (49,74). Ciò che tuttavia è degno di nota è che nel 1981 l’indice di dipendenza totale aveva un valore alto per motivi molto diversi da
quelli del 2003. Nel 1981, infatti, era dovuto soprattutto all’elevata percentuale di popolazione nella fascia di età da 0 a 14 anni; nel 2003, invece, tale
indice assumeva un valore alto principalmente a seguito della grande incidenza, sul totale della popolazione, delle persone con più di 65 anni.
L’immigrazione è un fenomeno in continuo aumento che si caratterizza per una forte rapidità e mobilità: per questa ragione non è facilmente
sintetizzabile in statistiche attendibili.
Negli anni novanta l’immigrazione dei cittadini stranieri in Italia è
aumentata da 500.000 alla fine degli anni ottanta a circa 1.500.000 al 31
dicembre 2002, cui vanno aggiunti circa 300.000 minori; pertanto gli
immigrati corrispondono a circa il 4% della popolazione residente.
In Emilia-Romagna l’immigrazione straniera è un fenomeno abbastanza recente, in cui è possibile distinguere tre fasi principali:
• negli anni ottanta il fenomeno era piuttosto contenuto, al di sotto delle
30.000 unità, corrispondente all’1% della popolazione residente; la
maggior parte degli immigrati proveniva dall’Africa del Nord ed era
composta prevalentemente da maschi adulti;
• nella prima metà degli anni novanta, a causa degli sconvolgimenti politici dell’Europa orientale, si è registrato un aumento degli immigrati
provenienti dalla zona dei Balcani (in particolare dell’Albania); in questa
fase, in Emilia-Romagna, gli immigrati contavano circa 50.000 unità, con
una percentuale femminile del 40%;
• la terza e ultima fase è quella che caratterizza la regione dalla seconda
metà degli anni novanta a oggi: ogni anno l’aumento dell’immigrazione è
pari al 15%, la percentuale femminile supera il 46% e aumenta la presenza dei bambini nelle scuole.
Questo quadro evidenzia chiaramente come il fenomeno dell’immigrazione debba essere considerato una costante della nostra società; esso va a
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1. epidemiologia sociale del territorio
toccare ogni aspetto della vita entrando a far parte della quotidianità e
pertanto della programmazione politica e sociale della Regione. Tale
considerazione è avvalorata da quanto si afferma nel Piano sociale e sanitario 2005-2007: «La Regione Emilia-Romagna ha inteso affermare il
principio strategico che i sistemi integrati di interventi e servizi sociali e
sanitari, a ogni livello di programmazione, devono considerare le politiche rivolte ai cittadini stranieri come programmazione ordinaria e strutturale, abbandonando un approccio occasionale, temporaneo ed emergenziale».
1.2.1. La distribuzione territoriale e la provenienza
In Emilia-Romagna si registra un’incidenza media di immigrati sul totale
della popolazione pari al 6,37% (31 dicembre 2003) e tre province presentano una percentuale di immigrati superiore alla media regionale: Reggio
Emilia (7,7%), Modena (7,1%) e Ravenna (6,6%), mentre le restanti si
attestano al di sotto della media (Parma 6,3%; Bologna e Piacenza 6,2%;
Forlì-Cesena e Rimini 6,1%; Ferrara 3,7%).
La disaggregazione dei dati a livello comunale permette di notare che la
presenza di immigrati in percentuale maggiore si registra nei piccoli
Comuni di collina o di montagna ed è possibile avanzare in merito una
considerazione relativa alle ragioni di questa concentrazione: oltre alla
vicinanza al posto di lavoro, sicuramente gioca un ruolo fondamentale il
costo relativamente più basso degli affitti e delle case.
Secondo le rilevazioni dell’istat (al 1° gennaio 2001) in due dei 341
Comuni dell’Emilia-Romagna non sono presenti immigrati residenti:
Caminata e Ottone, entrambi in provincia di Piacenza.
Strettamente connessa al tema della concentrazione dell’immigrazione
è la rilevazione dell’area geografica di provenienza. La percentuale di
immigrati provenienti dai paesi dell’Unione europea e dall’America
settentrionale (i cosiddetti “paesi sviluppati”) è del 6%, pari a 12.700
unità. Il restante 94% degli immigrati proviene dai paesi in via di sviluppo e rispetto a questi si possono individuare cinque grandi categorie:
• Europa centro-orientale, con il 39% (83.987 unità, determinante l’arrivo di donne assunte come assistenti familiari e colf);
• Africa settentrionale, con il 23% di presenze (50.931 unità);
• Asia, con il 17% di presenze (36.679 unità);
• Africa subsahariana, con il 10% di presenze (21.379 unità);
• America Latina, con il 5% di presenze (11.855 unità).
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parte prima. il profilo sociale regionale
Si nota un netto incremento dei permessi di soggiorno per motivi di
lavoro (68,4%) a scapito dei permessi per motivi familiari (25,8%); ciò
indica come la politica di regolarizzazione abbia avuto un esito positivo,
mentre è ancora forte la presenza di immigrati al seguito di familiari irregolari.
In Emilia-Romagna sono presenti 466.505 imprese, di cui 18.068 (il
3,87% del totale) hanno un titolare straniero; di queste ultime, in 15.062 il
titolare è di sesso maschile. La distribuzione delle imprese appare piuttosto
omogenea tra le province dell’Emilia-Romagna e il settore prevalente è quello delle costruzioni, con il 41,82%, seguito dal commercio, con il 25,14%.
Se si rapportano i tassi di disoccupazione con la percentuale dei disoccupati di ciascuna provincia emerge un dato davvero interessante: minore
è il tasso di disoccupazione, maggiore è la presenza di immigrati nella
provincia. Questo dimostra come la credenza popolare dell’immigrato che
ruba il lavoro all’italiano sia solo una mera congettura; in realtà gli immigrati vanno a ricoprire quei ruoli che gli italiani ritengono troppo faticosi
o poco remunerativi e che di conseguenza si rifiutano di svolgere.
Tabella 1.6. Rapporto fra tasso di disoccupazione e immigrazione
Percentuale
immigrati
soggiornanti
Tasso di
disoccupazione
e-r
re
mo
pr
bo
fc
ra
pc
rn
fe
5,3
6,4
5,9
5,3
5,2
5,1
5,5
5,2
5,1
3,1
3,1
2,6
3,1
3,1
2,3
3,1
4,4
2,5
3,7
3,9
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
In Emilia-Romagna i minori stranieri residenti rappresentano il 14% del totale e sono in continuo aumento; in tal modo il fenomeno dell’immigrazione
viene a interessare la scuola nei suoi diversi ordini e gradi:
• scuola dell’infanzia: nell’anno scolastico 2003-2004 si sono iscritti 6.790
bambini stranieri pari al 6,99% del totale;
• scuola primaria: nell’anno scolastico 2003-2004 si sono iscritti 13.866 alunni stranieri pari al 9,09% del totale degli iscritti (la scuola primaria è il livello
scolastico che presenta la percentuale di iscritti maggiore);
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1. epidemiologia sociale del territorio
• scuola secondaria: nell’anno scolastico 2003-2004 gli alunni stranieri iscritti rappresentavano il 7,87% del totale, ovvero si sono iscritti alla secondaria di
primo e secondo grado 14.044 alunni stranieri.
Il dato in continua crescita, relativo alle iscrizioni scolastiche, rappresenta
un buon indicatore del grado di integrazione sociale raggiunta oltre che di
una certa stabilità.
L’immigrazione investe anche il versante sanitario. In questo ambito,
per quanto concerne l’aspetto prettamente statistico, è stato rilevato,
dall’analisi degli aggregati clinici di diagnosi in regime ordinario e in day
hospital, che le due voci più importanti che riguardano i ricoveri dei cittadini stranieri sono i parti e le interruzioni volontarie di gravidanza, per un
totale di 38.596 ricoveri corrispondente al 4,2% del totale (anno 2003). È
interessante notare quanto afferma il Piano sociale e sanitario 2005-2007:
Dal punto di vista del sistema integrato dei servizi di welfare, la presenza di
un’utenza multiculturale va considerata una sfida verso l’innovazione: un servizio pubblico capace di servire meglio gli stranieri, di capirne i bisogni e individuarne le soluzioni, esprime una disponibilità costante a riflettere su se stesso, a
rimettersi in gioco, e ciò va inteso come una caratteristica capace di migliorare
anche le risposte verso le esigenze dei cittadini italiani. Si tratta altresì di introdurre e consolidare politiche che adottano nel loro fare un approccio interculturale, ovvero che lavorano sulla ricerca dei punti di contatto come terreno comune di incontro, a partire dagli elementi distintivi culturali ascrivibili ai gruppi
etnici e alle singole persone; politiche comunque fondate sui bisogni del singolo,
che evitino di reintrodurre, attraverso la variabile culturale, nuovi stereotipi
omogeneizzanti nelle letture dei bisogni e nelle risposte dei servizi, politiche che
hanno la consapevolezza della frequente natura interrelata dei bisogni, nel senso
che è facile che il migrante sia portatore di un bisogno complesso/completo (salute, casa, lavoro, disagio sociale ecc.) a cui occorre rispondere con una medesima
progettazione integrata intersettoriale, sulla base dei bisogni e delle aspettative
dell’utenza, rafforzando negli operatori le competenze di lettura globale del
problema presentato, anche sulla base della qualità di accoglienza percepita dal
migrante, e per cogliere gli aspetti esterni al proprio ambito di servizio.
1.3. Una disaggregazione territoriale
L’esame della struttura della popolazione e dei mutamenti intervenuti
negli ultimi decenni ha permesso, finora, di rilevare che l’invecchiamen35
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parte prima. il profilo sociale regionale
to è una caratteristica distintiva dell’Emilia-Romagna. Può essere interessante, a questo livello di analisi, esaminare se la popolazione residente
invecchia in modo uniforme in tutta la regione o se, viceversa, si possono
evidenziare differenze tra le varie province e tra le diverse zone altimetriche della regione – tra la montagna interna, la collina e la pianura. Per
evidenziare queste differenze, si prende in esame l’indice di vecchiaia –
che permette di sintetizzare l’andamento della popolazione anziana e
l’andamento della popolazione giovanile – e si considera il suo andamento nei quindici anni che vanno dal 1988 al 2003 per le nove province
dell’Emilia-Romagna. Dalla figura 1.2 emergono alcuni aspetti interessanti.
Attenzione: l’ultima riga in basso è Rimini? Va inserita in
legenda?
Figura 1.2. Indice di vecchiaia per provincia (Emilia-Romagna, 1988-2003)
270
Piacenza
250
Parma
230
210
Reggio Emilia
190
Modena
170
Bologna
150
Ferrara
130
110
Ravenna
90
1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
Forlì-Cesena
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
In primo luogo si può notare che, nei quindici anni considerati, l’indice di
vecchiaia cresce senza eccezioni in tutte le province, a causa del maggiore
aumento della popolazione con più di 65 anni rispetto alla popolazione nella
fascia di età da 0 a 14 anni. Tuttavia alcune province – come Modena,
Reggio Emilia, Rimini (tutte e tre con un valore dell’indice di vecchiaia
intorno a 150) e Forlì-Cesena in misura minore – nel 2003 risultavano essere più “giovani” rispetto alle altre, il cui valore dell’indice di vecchiaia superava quota 200. Da questo scenario abbastanza omogeneo si distacca decisamente Ferrara – il cui valore dell’indice di vecchiaia, nel 2003, superava 260,
come combinazione di un alto numero di anziani ma anche di una più bassa
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1. epidemiologia sociale del territorio
percentuale di popolazione giovanile rispetto alle altre province.
Per quanto riguarda l’andamento dell’indice di vecchiaia nel periodo
considerato, si può notare un calo a partire dalla metà degli anni novanta
nelle province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna, a partire dal
1998 nella provincia di Piacenza, mentre nelle province di Ferrara, Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini il calo è stato registrato solo a partire dagli anni
2000 e 2001. Sembra dunque che l’inversione di tendenza sia iniziata in
alcune province e si sia poi gradualmente estesa ad altre.
La disaggregazione dell’indice di vecchiaia per zone altimetriche –
montagna interna, collina e pianura – permette di evidenziare un altro
aspetto dell’invecchiamento della popolazione in Emilia-Romagna.
Come mostra la tabella 1.7, l’aumento dell’indice di vecchiaia si è verificato in tutte le zone altimetriche della regione: in montagna, l’indice è
passato da un valore di 152 nel 1981 a un valore di 258 nel 2003; in collina
è passato da circa 103 a poco più di 190; in pianura, infine, da un valore di
circa 89 è salito fino a 180. Nonostante l’aumento dell’indice di vecchiaia sia una caratteristica di tutte le zone altimetriche, si deve però sottolineare che la montagna, con un valore dell’indice di poco inferiore a 260,
era nel 2003 (ma anche negli anni precedenti) decisamente la zona più
“vecchia” rispetto alle altre.
Tabella 1.7. Indice di vecchiaia per zone altimetriche (Emilia-Romagna, 19812003)
1981
Montagna interna
Collina
Pianura
Totale
1987
1993
1998
2003
152,54
193,00
102,82
89,48
95,84
146,19
127,23
135,32
256,34
197,46
178,21
187,06
269,77
203,30
189,35
196,78
258,29
190,94
180,13
186,35
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
L’analisi sull’invecchiamento della popolazione dell’Emilia-Romagna può
essere effettuata in modo ancora più dettagliato esaminando il valore
dell’indice di vecchiaia a livello comunale. La carta tematica di figura 1.3,
che riporta i valori dell’indice di vecchiaia per ciascun Comune dell’EmiliaRomagna nel 2003, conferma quanto già evidenziato sia dalla tabella 1.7
che dalla figura 1.2.
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parte prima. il profilo sociale regionale
Si nota, infatti, che le zone con un indice di vecchiaia più elevato sono
quelle appenniniche e il ferrarese, mentre le zone più “giovani” sono la
costa romagnola, specialmente la parte appartenente alle province di
Forlì-Cesena e Rimini, e le zone pianeggianti e collinari dell’Emilia
centrale, in particolare in corrispondenza degli insediamenti industriali
(l’indice, infatti, assume un valore basso nei Comuni in cui sono insediati i distretti industriali) e nei Comuni a nord e a sud di Bologna.
Figura 1.3. Indice di vecchiaia per Comune (Emilia-Romagna, 2003)
79,34–133,83
180,16–208,97
133,84–159,84
208,98–296,21
158,85–180,15
296,22–2160,0
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
1.4. Una previsione per i prossimi decenni
Date queste caratteristiche della popolazione dell’Emilia-Romagna e i
mutamenti che l’hanno contraddistinta negli ultimi decenni, si possono
tracciare i possibili cambiamenti che la caratterizzeranno nei decenni
futuri. In altre parole, quale sarà la struttura demografica della nostra
regione tra un paio di decenni? Diversi sono gli scenari che si possono
prospettare, a seconda delle ipotesi sottostanti le proiezioni demografiche: basso, intermedio e alto. Tutti e tre esaminano le variazioni della
popolazione nel periodo 2005-2024 e vengono brevemente descritti di
seguito, attraverso l’analisi dell’evoluzione del numero dei residenti e
dell’indice di vecchiaia.
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1. epidemiologia sociale del territorio
1.4.1 Scenario basso2
Se si effettuano le proiezioni demografiche utilizzando le ipotesi sottostanti lo scenario basso, l’evoluzione della popolazione nel ventennio 20052024 avverrà come evidenziato dalla tabella 1.8.
Tabella 1.8. Previsione residenti e indice di vecchiaia (Emilia-Romagna,
scenario basso, 2005-2024)
Residenti
Indice di vecchiaia
2005
2009
2014
2019
2024
4.134.966
183,80
4.247.126
175,70
4.349.726
175,90
4.429.345
185,60
4.500.636
200,90
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
La popolazione regionale aumenterebbe abbastanza rapidamente nel
primo decennio – di più di duecentomila unità – per poi rallentare
lievemente nel decennio successivo, superando di poco i quattro milioni e
mezzo di residenti. L’indice di vecchiaia, in base allo scenario basso,
calerebbe nel periodo 2005-2009 poi, nei successivi cinque anni,
rimarrebbe costante prima di iniziare una risalita, dapprima impercettibile
(da 175,7 a 175,9 dal 2009 al 2014), poi via via più rapida, per arrivare al
valore di 200,9 nel 2024. Nell’arco del ventennio, pertanto, la popolazione
aumenterebbe di poco meno di 370.000 unità e l’indice di vecchiaia
crescerebbe di circa venti punti: in altre parole, rispetto al 2005, nel 2024
l’Emilia-Romagna sarebbe caratterizzata da una maggiore quota di anziani
sul totale della popolazione.
1.4.2. Scenario intermedio3
I mutamenti della popolazione dell’Emilia-Romagna nel periodo 20052024, in base alle ipotesi previste dallo scenario intermedio, seguirebbero
le traiettorie descritte dalla tabella 1.9 alla pagina seguente.
La popolazione regionale aumenterebbe in modo abbastanza cospicuo
sia nel primo che nel secondo decennio – di circa 300.000 unità in entrambi – arrivando a contare poco meno di 4.800.000 residenti nel 2024.
Sempre in base allo stesso scenario, l’indice di vecchiaia inizierebbe a
diminuire fino al 2014 (da un valore iniziale di 183,7 fino a 169,5) per poi
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parte prima. il profilo sociale regionale
ricominciare a salire, prima lentamente (da 169,5 a 171,8 nel periodo che
va dal 2014 al 2019) e poi più rapidamente, arrivando al valore di 177,2 nel
2024. Nell’arco del ventennio, pertanto, la popolazione aumenterebbe di
circa 650.000 unità e l’indice di vecchiaia calerebbe di alcuni punti.
Tabella 1.9. Previsione residenti e indice di vecchiaia (Emilia-Romagna,
scenario intermedio, 2005-2024)
Residenti
Indice di vecchiaia
2005
2009
2014
2019
2024
4.136.823
183,70
4.273.989
173,70
4.438.022
169,50
4.601.849
171,80
4.773.895
177,20
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
1.4.3. Scenario alto4
L’ultima proiezione demografica della popolazione dell’Emilia-Romagna
utilizza le ipotesi sottostanti lo scenario alto. I mutamenti della popolazione dell’Emilia-Romagna nel periodo 2005-2024, in base alle ipotesi
previste da tale scenario, seguirebbero le traiettorie descritte dalla tabella
1.10.
Tabella 1.10. Previsione residenti e indice di vecchiaia (Emilia-Romagna,
scenario alto, 2005-2024)
Residenti
Indice di vecchiaia
2005
2009
2014
2019
2024
4.138.941
183,50
4.302.148
171,70
4.528.754
163,50
4.779.174
160,00
5.055.370
159,00
Fonte: Regione Emilia-Romagna, http://rersas.regione.emilia-romagna.it/statexe/
La popolazione regionale aumenterebbe di circa 400.000 unità nel periodo 2005-2014, per poi crescere in modo ancor più rapido nel decennio
successivo, di oltre 500.000 unità, e superare i 5.000.000 di residenti nel
2024. L’indice di vecchiaia calerebbe per tutto il periodo preso in esame,
dapprima rapidamente (di più di dieci punti nel solo periodo 2005-2009)
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1. epidemiologia sociale del territorio
e poi più lentamente, assestandosi intorno a un valore di 160 negli ultimi
cinque anni del periodo considerato. In base allo scenario alto, perciò, i
residenti in Emilia-Romagna aumenterebbero di circa 1.000.000 e l’indice di vecchiaia calerebbe in modo abbastanza significativo, di circa 25
punti, sottolineando un parziale ringiovanimento della popolazione.
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2
Alcuni indicatori di disagio sociale
2.1. Minori in difficoltà
Cresce in Emilia-Romagna il numero dei minori in difficoltà affidati ai
servizi sociali secondo quanto sostenuto dal Primo rapporto sull’infanzia e
l’adolescenza dell’Osservatorio regionale sull’infanzia. Questo dato si
aggiunge al preoccupante tasso di incremento dei nuovi ingressi: il numero di minori presi in carico per la prima volta dai servizi sociali è cresciuto
in tutta la regione del 24% circa; inoltre il 40% dei ragazzi ospitati nelle
strutture di accoglienza è di origine extracomunitaria.
Tabella 2.1. Minori affidati ai servizi sociali in carico al 31 dicembre 2004
Nuovi nel 2004
Dimessi nel 2004
In carico al 31.12.04
10.395
222
4.147
6.556
200
2.424
42.221
1.883
14.711
Minori in carico
ai servizi sociali
Di cui disabili certificati
Di cui stranieri
Fonte: Regione Emilia-Romagna.
I minori interessati da almeno una disposizione (di tutela, vigilanza o affido al servizio sociale) sono 42.221 al 31 dicembre 2004 di cui 10.395 nuovi
e 6.556 dimessi.
Il fenomeno dell’abuso sessuale o del maltrattamento dei minori interessa oltre 300 bambini e bambine del territorio regionale; l’abuso sessuale si verifica quando il minore viene strumentalizzato e coinvolto in attività sessuali anche se prive di violenza fisica, allo scopo di procurare piacere
all’adulto che realizza tale comportamento verso il minore.
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parte prima. il profilo sociale regionale
L’abuso sessuale viene solitamente compiuto da persone care al bambino/a (familiari, parenti, educatori, amici di famiglia, religiosi). Spesso si
protrae per anni nel più assoluto silenzio, producendo danni gravissimi
allo sviluppo del bambino/a.
Il maltrattamento comprende quegli atti e quelle carenze che turbano
gravemente il bambino danneggiando la sua integrità corporea (maltrattamento fisico), il suo sviluppo affettivo, intellettivo e morale (maltrattamento psicologico).
Nel maltrattamento è compresa la grave trascuratezza che si verifica
quando i genitori non sono capaci di capire i bisogni materiali e affettivi
dei propri figli e non riescono per questo a curarli e proteggerli, pregiudicando la loro salute.
Tabella 2.2. Minori affidati ai servizi sociali per abuso sessuale (anno 2004)
N.
Minori in carico ai servizi sociali
per abuso sessuale
455
Di cui disabili certificati
213
Di cui stranieri
55
Fonte: Regione Emilia-Romagna.
Tabella 2.3. Minori affidati ai servizi sociali per abuso/maltrattamenti (anno
2004)
N.
Minori in carico ai servizi sociali
per abuso/maltrattamenti
405
Di cui disabili certificati
195
Di cui stranieri
Fonte: Regione Emilia-Romagna.
44
55
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2. alcuni indicatori di disagio sociale
2.2. Prostituzione e tratta
Tra i vari mercati di sfruttamento delle persone immigrate, quello della
prostituzione forzata costituisce senza dubbio il più visibile e il più lucroso per la criminalità. La prostituzione forzata è caratterizzata da una grande dinamicità nei cambiamenti: basti ricordare come le prostitute di
provenienza straniera abbiano soppiantato quelle italiane e come una
prostituzione di strada stia progressivamente lasciando il posto a una
prostituzione più riservata (in appartamento o in albergo). Occorre inoltre rilevare che anche i modelli di sfruttamento delle persone risultano
molto diversi a seconda della nazionalità degli sfruttatori. Risulta assai
difficile quantificare il numero esatto delle vittime di tratta presenti in
Italia; molte delle ragazze costrette a prostituirsi provengono dai paesi africani, asiatici e dall’America Latina. In particolare gli ultimi eventi hanno
visto un aumento esponenziale delle ragazze provenienti dall’Est Europa
e dalla regione dei Balcani.
Secondo i dati di una ricerca svolta in Emilia-Romagna nell’ambito del
progetto west (Women East Smuggling Trafficking) gli sfruttatori sono
in prevalenza albanesi (circa il 47%) ma cominciano a farsi strada anche
gli italiani (23%) e crescono i rumeni. Colpisce il fatto che nelle organizzazioni criminali quasi il 20% sia rappresentato da donne (tra queste
prevalgono le ucraine), seppure con ruoli di controllo e di secondo piano.
Vittime dello sfruttamento sono prevalentemente donne tra i 17 e i 22
anni, di nazionalità rumena (quasi il 33% del campione) seguite dalle
moldave (22%), dalle albanesi e dalle ucraine (15% circa per entrambe le
nazionalità). Dal 1996 al 2003 si registra inoltre un progressivo calo delle
albanesi (dal 40 al 15%) e un aumento delle rumene e delle moldave
(queste ultime dal 4,58 al 19,12%).
Sul tema della prostituzione invisibile, infatti, si rileva un calo delle
donne su strada a favore di una prostituzione al chiuso, più difficile da
vedere e anche da raggiungere da parte degli operatori sociali. L’analisi ha
messo in luce un fenomeno complesso: la prostituzione su strada non sta
scomparendo tuttavia si rileva una maggiore strategia di “invisibilità”,
ossia il tentativo di rendere meno visibile il fenomeno. Dallo studio
nell’ambito del progetto west emerge il ricorso a una maggiore mobilità,
alla diversificazione degli orari e delle presenze giornaliere e notturne, allo
spostamento del consumo al chiuso in seguito ad appuntamento telefonico con il cliente. Mentre un tempo una donna rimaneva in una determinata zona diversi mesi, oggi non è più così.
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parte prima. il profilo sociale regionale
Aumentano le donne coinvolte nel giro, tra cui le minorenni, e gli stessi
progetti migratori sono sempre più spesso temporanei e ripetuti nel tempo.
2.3. Dipendenze
Gli utenti tossicodipendenti in carico ai quarantaquattro sert regionali
nel 2004 sono stati 11.434, il 9,3% in più rispetto al 2002. La crescita è da
imputarsi particolarmente a tre aziende usl: Piacenza (12,1%), Reggio
Emilia (23,5%) e Modena (11,3%).
Tabella 2.4. Utenti tossicodipendenti in carico suddivisi per azienda usl (anni
2002-2004, valori assoluti e variazioni percentuali)
Azienda USL
Utenti 2002
Utenti 2003
Utenti 2004
Variazione
2002-2004(%)
Piacenza
Parma
Reggio Emilia
Modena
Bologna
Imola
Ferrara
Ravenna
Forlì
Cesena
Rimini
551
1.233
979
1.333
2.368
339
888
945
468
430
838
503
1.207
1.081
1.316
2.485
385
995
958
488
436
920
567
1.403
1.279
1.422
2.588
366
1.001
990
476
451
891
2,8
12,1
23,5
6,3
8,5
7,4
11,3
4,5
1,7
4,7
5,9
Regione
10.372
10.774
11.434
9,3
Fonte: sert Emilia-Romagna.
La forte crescita dell’utenza va attribuita soprattutto ai nuovi pazienti, 2.388
soggetti, il 18,6% in più rispetto all’anno precedente, mentre l’utenza già in
carico, o reingressi, 9.046 soggetti, è aumenta del 4% rispetto al 2003.
Per quanto concerne i dati socioanagrafici, si confermano stabili la
percentuale di pazienti di sesso maschile (l’82,7% degli utenti 2004) e la
quota di utenti giovani con meno di 24 anni (il 14% dell’utenza negli ultimi tre anni). Si registra, invece, un lieve calo degli utenti della fascia 25-34
anni (38,2% nel 2004) e, di conseguenza, un lieve aumento degli utenti
con più di 35 anni (47,7%), a ulteriore dimostrazione di come l’utenza dei
servizi per le dipendenze stia sempre più invecchiando.
46
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Pagina 47
2. alcuni indicatori di disagio sociale
Tabella 2.5. Nuovi utenti tossicodipendenti in carico suddivisi per azienda usl
(anni 2002-2004, valori assoluti e variazioni percentuali)
Azienda usl
Utenti 2002
Utenti 2003
Utenti 2004
Variazione
2002-2004(%)
98
223
189
199
424
93
165
129
95
82
247
86
154
205
191
478
111
214
176
105
96
256
119
278
290
306
498
108
187
193
104
82
223
17,6
19,8
34,8
35,0
14,9
13,9
11,8
33,2
8,7
0
-10,8
1.944
2.072
2.388
18,6
Piacenza
Parma
Reggio Emilia
Modena
Bologna
Imola
Ferrara
Ravenna
Forlì
Cesena
Rimini
Regione
Fonte: sert Emilia-Romagna.
Tabella 2.6. Utenti tossicodipendenti suddivisi per sesso e azienda usl (anni
2003-2004, valori assoluti)
azienda usl
2003
2004
M
F
Totale
M
F
Totale
Piacenza
Parma
Reggio Emilia
Modena
Bologna
Imola
Ferrara
Ravenna
Forlì
Cesena
Rimini
415
1.018
906
1.097
1.978
292
844
763
406
359
758
88
189
175
219
507
93
151
195
82
77
162
503
1.207
1.081
1.316
2.485
385
995
958
488
436
920
475
1.207
1.085
1.189
2.053
292
865
793
400
368
724
92
196
194
233
535
74
136
197
76
83
167
567
1.403
1.279
1.422
2.588
366
1.001
990
476
451
891
Regione
8.836
1.938
10.774
9.451
1.983
11.434
Fonte: sert Emilia-Romagna.
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Pagina 48
parte prima. il profilo sociale regionale
Tabella 2.7. Utenti tossicodipendenti suddivisi per fasce d’età (valori assoluti
e percentuali)
Regione
2002(v.a.)
< 15
15-19
20-24
25-29
30-34
35-39
> 40
Totale dati validi
11
151
1.225
1.979
2.583
2.454
1.513
9.916
2003(v.a.) 2004(v.a.)
4
237
1.271
1.928
2.399
2.663
2.282
10.784
13
286
1.308
1.971
2.403
2.643
2.810
11.434
2002(%)
2003(%)
2004(%)
0,1
1,5
12,4
20,0
26,0
24,7
15,3
100,0
0,0
2,2
11,8
17,9
22,2
24,7
21,2
100,0
0,1
2,5
11,4
17,2
21,0
23,1
24,6
100,0
Fonte: sert Emilia-Romagna.
Per quanto riguarda i consumi di sostanze, si confermano le tendenze
evidenziate negli ultimi cinque anni.
Tabella 2.8. Utenti tossicodipendenti suddivisi per sostanza primaria d’abuso
(anni 2002-2004, valori assoluti e percentuali)
Sostanza
primaria
2002(v.a.)
2003(v.a.)
2004(v.a.)
2002(%)
2003(%)
2004(%)
Allucinogeni
8
Amfetamine
20
Barbiturici
6
Benzodiazepine
98
Cannaibinoidi
894
Cocaina
960
Crack
7
Eroina
7.910
Metadone
50
Morfina
7
Ecstasy
103
Altri oppiacei
20
Inalanti
4
Alcol
177
Altro/non indicato
108
Totale
10.372
9
19
5
89
968
1.133
26
7.990
114
6
92
19
3
156
155
10.784
7
23
6
77
1.148
1.421
5
8.225
47
6
86
28
10
181
85
11.355
0,08
0,19
0,06
0,94
8,62
9,26
0,07
76,26
0,48
0,07
0,99
0,19
0,04
1,71
1,04
100,00
0,08
0,18
0,05
0,83
8,98
10,51
0,24
74,09
1,06
0,06
0,85
0,18
0,03
1,45
1,44
100,00
0,06
0,20
0,05
0,68
10,11
12,51
0,04
72,44
0,41
0,05
0,76
0,25
0,09
1,59
0,75
100,00
Fonte: sert Emilia-Romagna.
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Pagina 49
2. alcuni indicatori di disagio sociale
Gli utenti eroinomani costituiscono ancora la maggior parte dell’utenza
dei sert (72,4%, con un calo progressivo rispetto agli anni precedenti)
mentre la cocaina si conferma la seconda sostanza d’assunzione primaria
tra gli utenti presi in carico (12,5%). L’aumento degli utenti che assumono primariamente cocaina risulta particolarmente marcato nel confronto
con gli anni precedenti. Nel 2002 questi soggetti costituivano il 9,26%
dell’utenza complessiva, nel 2003 la stessa percentuale passa al 10,51% e nel
2004 al 12,51%.
Tabella 2.9. Utenti tossicodipendenti suddivisi per sostanza secondaria
d’abuso (anni 1991-2004, valori assoluti)
Sostanze secondarie
2002
2003
2004
Allucinogeni
Amfetamine
Barbiturici
Benzodiazepine
Cannaibinoidi
Cocaina
Crack
Eroina
Metadone
Morfina
Ecstasy
Altri oppiacei
Inalanti
Alcol
Altro
Totale
38
40
9
346
1.544
1.675
5
287
86
17
122
20
1
728
30
42
10
349
1.507
1.349
4
247
81
18
106
23
1
614
4.918
4.381
33
29
6
288
1.640
2.049
3
301
92
13
126
30
1
861
212
5.684
Fonte: sert Emilia-Romagna.
Rimane sostanzialmente invariato il numero di decessi dell’utenza tossicodipendente; in particolare si rileva una sostanziale diminuzione dei decessi a causa dell’hiv (19,6% nel 2004 contro un 24,6% dell’anno precedente), mentre duplicano quelli relativi agli incidenti stradali passando da un
7,5% al 15,9%.
Dal 1996, anno in cui sono stati istituiti i Centri alcologici, l’utenza alcoldipendente è aumentata a ritmi esponenziali. Nel 2004 sono stati presi in
carico 4.696 utenti alcolisti, il 12,45% in più rispetto all’anno precedente, il
199,7% in più rispetto al 1996.
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Pagina 50
parte prima. il profilo sociale regionale
Tabella 2.10. Tossicodipendenti deceduti suddivisi per causa del decesso (anni
2003-2004, valori assoluti e percentuali)
Cause di decesso
hiv
Overdose
Suicidio
Incidente stradale
Cirrosi epatica
Omicidio
Altro
Totale
2003 (v.a.)
2004 (v.a.)
2003 (%)
2004 (%)
33
22
14
10
9
6
40
134
27
25
11
22
16
0
37
138
24,6
16,4
10,4
7,5
6,7
4,5
29,9
100,0
19,6
18,1
8,0
15,9
11,6
0,0
26,8
100,0
Fonte: sert Emilia-Romagna.
L’istituzione di questi servizi risponde quindi a una domanda di trattamento molto diffusa, e in crescita, nella popolazione.
Tabella 2.11. Utenti alcolisti in carico ai servizi (anni 1996-2004, valori assoluti
e variazioni percentuali)
Anni
v.a.
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
1.567
1.768
2.166
2.432
2.720
3.090
3.580
4.176
4.696
Variazioni per anno (%)
12,83
22,51
12,28
11,84
13,60
15,86
16,65
12,45
Fonte: sert Emilia-Romagna.
L’incremento si deve attribuire soprattutto alla quota di nuovi utenti che
ogni anno accede ai servizi: 31,2% nel 2002, 28,5% nel 2003 e 28,5% nel
2004. Gli utenti che accedono ai Centri alcologici hanno un’età media
molto più elevata rispetto agli utenti tossicodipendenti. I giovani con età
inferiore ai 29 anni sono il 6,2% del totale degli utenti presi in carico. La
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Pagina 51
2. alcuni indicatori di disagio sociale
maggior parte dell’utenza si concentra nelle fasce da 30-39 anni (23,2%),
40-49 anni (31,7%) e oltre i 50 anni (39,0%). Gli alcolisti sono di sesso
maschile (73,9%) contro un 26,1% di donne.
Tabella 2.12. Utenti alcoldipendenti suddivisi per sesso (anni 2001-2004, valori
assoluti e rapporti percentuali)
Anno
Maschi
Femmine
Totale
Rapporto maschi/
femmine
2001
2002
2003
2004
2.330
2.682
3.064
3.472
760
898
1.109
1.224
3.090
3.580
4.173
4.696
3,1
3,0
2,8
2,8
Fonte: sert Emilia-Romagna.
Tabella 2.13. Utenti alcoldipendenti suddivisi per classi di età (anni 2002-2004)
Età
2002
2003 (*)
2004
< 19
20-29
30-39
40-49
50-59
> 60
Totale casi validi
24
233
884
1.059
812
568
3.580
14
268
993
1.254
972
672
4.173
10
280
1.089
1.487
1.121
709
4.696
(*) Non sono conteggiati 3 utenti di Imola in quanto i loro dati erano incompleti.
Fonte: sert Emilia-Romagna.
Tabella 2.14. Utenti alcolisti suddivisi per tipo di sostanza alcolica assunta
(anni 2002-2004, valori assoluti)
Sostanza alcolica assunta
2002
2003
2004
Superalcolici
Aperitivi, amari, digestivi
Vino
Birra
Altro
Totale
414
103
1.951
512
603
3.583
606
127
2.173
575
692
4.173
594
166
2.342
677
950
4.729
Fonte: sert Emilia-Romagna.
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Pagina 52
parte prima. il profilo sociale regionale
Dei vari tipi di alcolici, il vino è quello più consumato (49,5%), seguito da
superalcolici (12,6%), birra (14,3%), aperitivi, amari e digestivi (3,5%) e altri.
2.4. Criminalità e sicurezza
Secondo il nono rapporto annuale della Regione Emilia-Romagna, Politiche e problemi della sicurezza in Emilia-Romagna (2004), nel triennio
1996-98 sono aumentati del 30% i furti in appartamento, mentre nel biennio 2001-2002 si è verificato un netto calo del 9,1%. Lo stesso vale per le
rapine in genere, che sono aumentate nel triennio precedente al 1999 del
Tabella 2.15. Andamento di alcuni reati o gruppi di reati in Emilia-Romagna
(trienni 1996-98 e 2001-2002
i triennio
ii triennio
1996
1997
1998
Furti in appartamento
Numero
15.464
Indice (*)
100,0
17.690
114,4
21.138
130,2
+30,2
Totale furti
Numero
Indice (*)
101.375
100,0
113.633
112,1
122.799
121,1
+21,1
Rapine in banca
Numero
238
Indice (*)
100,0
249
104,6
355
149,2
+49,2
224
100,0
Totale rapine
Numero
Indice (*)
1.608
100,0
1.747
108,6
2.146
133,5
+33,5
1.974
100,0
175.298
100,0
202.087
115,3
192.923
110,1
Totale reati
Numero
Indice (*)
Differenza
indice
1996-98
+10,1
2001
13.836
100,0
2002 2003 Differenza
indice
2001-2002
12.578
90,0
-
–9,1
115.800 117.207
100,0
101,2
-
+1,2
318
142,0
-
+42,0
1.985
100,6
-
+0,6
180.418 181.495
100,0 100,6
-
+0,6
(*) 1996 = 100.
Fonte: Servizio promozione e sviluppo delle politiche per la sicurezza e della polizia locale Regione
Emilia-Romagna (2004, p. 12).
52
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Pagina 53
2. alcuni indicatori di disagio sociale
33%, mentre è probabile che nell’ultimo triennio si confermi una crescita
vicino allo zero. L’unico reato che non presenta, in negativo, significative
differenze sono le rapine in banca: +49% nel triennio precedente il 1999,
+42% per il triennio che precede il 2004.
Allo stesso modo è importante valutare la percezione soggettiva rispetto al senso di insicurezza presente sul territorio regionale; questo dato è
raccolto attraverso sondaggi più o meno sistematici presso la popolazione
residente.
La tabella 2.16 evidenzia in particolare due fenomeni: alla domanda “A
suo avviso, negli ultimi dodici mesi, la criminalità in Italia è…” coloro che
nel triennio 1996-1998 sostenevano che essa fosse aumentata erano, in
media, il 75,3%, dato che nel triennio 2001-2003 cala di quasi 19 punti
percentuali; scende inoltre la media di chi considera il proprio Comune
poco o per niente sicuro.
Questi dati testimoniano come «cala la preoccupazione per la criminalità come fatto sociale» (ibid.).
Tabella 2.16. Andamento della percezione soggettiva rispetto al senso
di insicurezza
i triennio
1996
1997
ii triennio
1998 Media
2001
2002
2003 Media
3,4
33,9
50,9
3,1
25,2
57,3
4,1
28,1
56,6
80,0
16,7
79,6
17,0
80,1
17,3
18,2 25,0
81,1 73,0
1.200 1.200
21,2
76,3
1.200
21,4
76,8
A suo avviso, negli ultimi dodici mesi, la criminalità in Italia è….
Diminuita
2,9
Rimasta ai livelli precedenti 13,8
Aumentata
75,6
2,6
18,5
72,2
2,0
14,7
78,0
2,5
15,6
75,3
5,8
25,1
61,7
Per quanto riguarda il pericolo della criminalità secondo Lei, il suo Comune è…
Molto e abbastanza sicuro 61,2
Poco e per niente sicuro
38,8
64,0
36,0
67,6
32,4
64,3
35,8
80,7
18,2
Nella zona in cui abita, la criminalità è un problema…
Molto e abbastanza grave 11,7 12,9
Poco e per niente grave
88,3
87,1
Numerosità campionaria 1.200 1.200
14,6
85,4
1.200
13,1
86,9
Fonte: Servizio promozione e sviluppo delle politiche per la sicurezza e della polizia locale Regione
Emilia-Romagna (2004, p. 12).
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Pagina 54
parte prima. il profilo sociale regionale
Più difficile è interpretare il terzo dato, quello che si riferisce alla percezione di
insicurezza nella propria zona di abitazione, ovvero quella dimensione più diretta, quella della propria vita quotidiana. Infatti, in controtendenza con gli altri
due indicatori, i cittadini dell’Emilia-Romagna ci segnalano un peggioramento
della situazione in questo ultimo triennio rispetto a quello precedente al 1999.
C’è infatti un 8% di cittadini in più che segnala il problema della criminalità
nella propria zona di residenza come molto e abbastanza grave. (Regione EmiliaRomagna, 2004, p. 13)
2.5. La povertà relativa in Italia e in Emilia-Romagna
In base al rapporto istat La povertà relativa in Italia nel 2004 (2005), la
stima dell’incidenza della povertà relativa viene effettuata sulla base di una
soglia convenzionale che individua il valore di spesa per consumi al di
sotto del quale una famiglia viene definita “povera” in termini relativi. La
soglia convenzionale di povertà relativa per una famiglia di due componenti, che è rappresentata dalla spesa media mensile pro capite, risulta nel
2004 di 919.98 euro. Nello stesso anno le famiglie residenti in Italia che
vivono in condizione di povertà relativa sono 2.674.000, pari all’11,7%
delle famiglie residenti.
Nella tabella 2.17 è possibile vedere come l’incidenza della povertà relativa resti inalterata rispetto agli anni precedenti. Gli aumenti statisticamente
significativi riguardano le famiglie residenti nel Mezzogiorno, le famiglie
numerose e quelle con figli minori o anziani.
Si nota, inoltre, che l’intensità della povertà, che indica la spesa media
delle famiglie, è pari al 21,9%: ciò significa che le famiglie povere spendono
in media 719 euro al mese.
Se si passa a individuare le differenze regionali, si evidenzia come la percentuale di famiglie povere aumenti in maniera esponenziale spostandosi verso
Sud: si passa dal 4,7% del Nord al 7,3% del Centro e al 25% del Mezzogiorno. Osservando i dati delle singole regioni, appare subito evidente che l’Emilia-Romagna registra un’incidenza di povertà relativa molto bassa rispetto alle
altre regioni, pari al 3,6% (tab. 2.18), con una diminuzione di un punto
percentuale rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda le diminuzioni,
degna di nota è pure quella che si registra nella provincia autonoma di Bolzano, che passa da 11,1% nel 2003 a 4,6% nel 2004. Rispetto alle caratteristiche
delle famiglie povere è necessario considerare alcune variabili significative: il
numero di componenti del nucleo familiare, la presenza o meno di anziani e
di figli minori e infine la condizione professionale.
54
Cavazza-Melli.2B
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Pagina 55
2. alcuni indicatori di disagio sociale
Tabella 2.17. Indicatori di povertà relativa per ripartizione geografica (anni
2003-2004, migliaia di unità e valori percentuali)
Nord
2003
Migliaia di unità
Famiglie povere
Famiglie residenti
Persone povere
Persone residenti
Centro
2003
2004
584
512
253
10.691 10.993 4.335
1.477 1.271
715
25.580 25.911 10.903
324
4.460
823
11.046
Composizione percentuale
Famiglie povere
Famiglie residenti
Persone povere
Persone residenti
2004
Mazzogiorno
2003
2004
Italia
2003
2004
1.564 1.837 2.401 2.674
7.225 7.360 22.251 22.813
4.637 5.494 6.829 7.588
20.482 20.581 56.965 57.538
24,3
48,0
21,6
44,9
19,2
48,2
16,8
45,0
10,5
19,5
10,5
19,1
12,1
19,6
10,8
19,2
65,1
32,5
67,9
36,0
68,7
32,3
72,4
35,8
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
5,5
5,8
4,7
4,9
5,8
6,6
7,3
7,4
21,6
22,6
25,0
26,7
10,8
12,0
11,7
13,2
18,8
17,4
18,0
16,9
22,7
24,0
21,3
21,9
Incidenza della povertà (%)
Famiglie
Persone
Intensita della povertà (%)
Famiglie
Fonte: istat (2005).
Le famiglie con cinque o più componenti presentano ovunque livelli di
povertà elevati; si tratta in genere di coppie con figli e di famiglie con
membri aggregati tra le quali si osservano le incidenze più elevate: il 22,7%
per le coppie con tre o più figli e il 18,5% per le famiglie con membri
aggregati. La presenza poi di un elevato numero di figli, in particolare
minori, e di anziani oltre i 64 anni di età fa registrare le più alte percentuali di incidenza di povertà relativa, con ovvie differenze tra le diverse regioni ma con valori crescenti da Nord a Sud.
Di particolare interesse è anche la variabile che si riferisce alla condizione lavorativa: la percentuale di famiglie povere tra quelle con membri
esclusi dal mercato del lavoro è, come immaginabile, decisamente elevata
e pari al 28,9% tra le famiglie con a capo una persona in cerca di occupazione e al 37,4% tra quelle con due o più componenti in cerca di lavoro.
55
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parte prima. il profilo sociale regionale
Tabella 2.18. Incidenza di povertà relativa, errore di campionamento e intervallo
di confidenza per regione e ripartizione geografica (anni 2003-2004, valori
percentuali)
2003
incidenza errore
(%)
(%)
2004
intervallo incidenza errore intervallo
di confidenza
(%)
(%) di confidenza
lim. inf.
lim. sup
lim. inf. lim. sup
Italia
10,8
Piemonte
7,1
Valle d’Aosta
7,7
Lombardia
4,5
Trentino-Alto Adige
8,8
Trento
6,8
Bolzano
11,1
Veneto
4,2
Friuli Venezia Giulia 9,7
Liguria
6,3
Emilia-Romagna
4,7
2,3
9,9
19,2
9,6
12,5
17,3
17,3
13,7
11,0
12,3
14,6
10,3
5,7
4,8
3,7
6,7
4,5
7,3
3,1
7,6
4,8
3,4
11,3
8,5
10,6
5,4
11,0
9,1
14,9
5,3
11,8
7,8
6,0
11,7
6,4
6,0
3,7
7,4
9,9
4,6
4,6
5,3
5,8
3,6
2,3
10,5
10,5
11,8
12,1
15,5
17,1
11,7
16,0
17,5
15,1
11,2
5,1
5,1
2,8
5,6
6,9
3,1
3,5
3,6
3,8
2,5
12,2
7,7
7,7
4,6
9,2
12,9
6,1
5,7
7,0
7,8
4,7
Nord
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
5,5
4,2
8,7
5,8
6,5
4,7
14,5
16,1
15,0
9,3
5,0
3,0
6,0
4,1
5,3
6,0
5,4
11,4
7,5
7,7
4,7
5,5
9,1
7,7
8,1
5,2
12,7
13,2
16,2
9,6
4,2
4,1
6,7
5,3
6,6
5,2
6,9
11,5
10,1
9,6
Centro
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
5,8
15,8
23,2
21,2
20,4
25,6
24,2
25,8
13,3
6,5
10,1
9,7
5,8
9,0
8,3
6,0
4,6
10,6
5,1
12,7
18,8
18,8
16,8
21,4
21,3
23,3
10,5
6,5
18,9
27,6
23,6
24,0
29,8
27,1
28,3
16,1
7,3
16,6
22,4
24,9
25,2
28,5
25,0
29,9
15,4
6,5
12,1
10,1
5,5
8,9
7,7
7,9
4,3
9,3
6,4
12,7
18,0
22,2
20,8
24,2
21,1
27,4
12,6
8,2
20,5
26,8
27,6
29,6
32,8
28,9
32,4
18,2
Mezzogiorno
21,6
2,9
20,4
22,8
25,0
2,8
23,6
26,4
Fonte: istat (2005).
La condizione è tanto più grave quanto meno forte è la capacità reddituale degli altri componenti: tra le famiglie con almeno una persona in cerca
di occupazione l’incidenza è pari al 15,7% quando la persona di riferimento è un lavoratore autonomo, al 18,8% se si tratta di un dipendente,
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2. alcuni indicatori di disagio sociale
mentre sale al 25% nel caso in cui la persona di riferimento si sia ritirata
dal lavoro.
In generale, le famiglie di lavoratori autonomi sono meno toccate dal
fenomeno della povertà: 7,5% contro il 9,3% rilevato per le famiglie di
dipendenti e il 13,1% di quelle in cui sono presenti soggetti ritiratisi dal
lavoro.
Tabella 2.19. Incidenza di povertà relativa per condizione e posizione
professionale della persona di riferimento della famiglia, per ripartizione
geografica (anni 2003-2004, valori percentuali)
Nord
Condizione eposizione
professionale
Dipendente
Autonomo
In cerca di occupazione
Ritirato dal lavoro
Centro
Mezziogiorno
Italia
2003
2004
2003
2004
2003
2004
2003
2004
3,5
3,6
(*)
7,4
3,5
2,0
(*)
6,2
3,6
3,4
(*)
8,1
4,9
(*)
(*)
9,9
17,7
14,6
36,2
24,4
20,5
19,9
38,5
27,8
8,2
6,9
27,9
12,4
9,3
7,5
26,9
13,1
Fonte: istat (2005).
In sintesi, il confronto tra il 2003 e il 2004 evidenzia, a livello nazionale,
come la diffusione della povertà sia significativamente in crescita tra le famiglie più numerose, tra le coppie di giovani-adulti e tra le coppie con uno o
due figli, soprattutto quando uno è minore.
Risulta in crescita anche la percentuale di famiglie povere tra quelle in
cui il membro di riferimento è un lavoratore dipendente (si passa da 8,2% a
9,3%).
Nel Mezzogiorno l’aumento dell’incidenza della povertà risulta generalizzato poiché investe tutte le tipologie familiari a prescindere dall’età e dalla
condizione professionale.
Al Centro il fenomeno risulta sostanzialmente stabile, con un aumento significativo per quanto riguarda l’incidenza della povertà nelle famiglie
di anziani.
Il fenomeno al Nord, contrariamente al resto d’Italia, è in diminuzione, specie tra i lavoratori autonomi e tra le famiglie di anziani, soprattutto se in coppia.
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parte prima. il profilo sociale regionale
Tabella 2.20. Totale utenti nei Centri di ascolto diocesani (valori assoluti)
Diocesi
2004
2005
Piacenza
Fidenza
Reggio Emilia
Modena
Carpi-Mirandola
Parma
Bologna
Imola
Faenza
Forlì
Cesena
Ravenna
Ferrara
Rimini
1.687
417
1.950
1.910
1.473
378
1.720
238
1.016
1.372
640
601
1.301
2.767
1.488
426
2.025
1.686
1.183
1.294
1.694
1.020
1.147
2.286
613
480
983
4.785
Totale complessivo
17.470
21.110
Note:
Il numero di utenti relativo alla diocesi di Piacenza afferisce a un solo Centro di ascolto diocesano.
Il numero di utenti relativo alla diocesi di Bologna afferisce al Centro di ascolto immigrati e al Centro di
ascolto italiani.
Il numero degli utenti della diocesi di Carpi afferisce al Centro di ascolto diocesano di Carpi e a quello di
Mirandola.
Il numero di utenti del 2004 relativo alla diocesi di Forlì afferisce ai soli nuovi utenti del Centro di ascolto.
Il numero degli utenti del 2005 relativo alla Caritas di Rimini si riferisce ai tredici Centri del territorio,
mentre per il 2004 i dati si riferiscono al solo Centro di ascolto diocesano.
Il numero degli utenti per il Centro di ascolto di Parma non conteggia le tessere per la mensa.
2.6. I dati sulla povertà raccolti dai Centri di ascolto diocesani
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a un processo di costante dilatazione delle situazioni di povertà e di emarginazione come conseguenza del
perdurare della grave crisi economica e sociale che ha investito in modo
preoccupante l’intera nazione. Sembra tuttavia che i dati riferiti alla
povertà non suscitino interesse da parte delle comunità parrocchiali, non
tanto per un difetto di comunicazione quanto piuttosto per un difetto di
relazione e quindi di confronto: «È raro che in una parrocchia ci si
confronti su temi come gli atteggiamenti verso gli immigrati oppure
rispetto ai numeri dei poveri perché si ritiene siano temi da delegare alla
politica o ai partiti».
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Pagina 59
2. alcuni indicatori di disagio sociale
Nelle parrocchie spesso si ragiona della povertà come se fosse un’esperienza “altra”, mentre sarebbe interessante porsi il problema della vulnerabilità anche delle persone che sono vicine alla realtà parrocchiale. Allo stesso modo, anche la realtà ecclesiale in genere ha difficoltà a percepire il
fenomeno, perché l’atteggiamento dominante è quello della delega alla
Caritas e ai Centri di ascolto. Al contrario, l’attività degli osservatori deve
essere accompagnata dalla capacità e dalla volontà di leggere e interpretare i dati sempre più in un’ottica pastorale.
I dati che presenteremo si riferiscono all’utenza transitata nei quattordici Centri di ascolto Caritas diocesani della regione Emilia-Romagna,
che non rappresentano l’intero universo delle povertà della regione, ma
solo uno spaccato di coloro che, trovandosi in difficoltà, hanno deciso di rivolgersi al Centro di ascolto per chiedere un aiuto. Di conseguenza la forza del dato
non consiste tanto nella capacità di spiegare un fenomeno come la povertà nella
sua globalità, quanto invece nella possibilità di mettere in evidenza alcune forme
di povertà e di conseguenza alcune metodologie per la risoluzione di esse attraverso il contatto diretto con la persona bisognosa (Centro di ascolto delle povertà della Caritas Piacenza-Bobbio, 2005).
Il primo dato interessante riguarda il numero di persone che sono transitate nei Centri di ascolto; se nel 2004 gli utenti erano 17.473, nel 2005
questo numero è salito a 19.343.
Non essendo possibile un confronto regionale con le annualità precedenti, ci limitiamo a notare come i tre Osservatori diocesani delle povertà
e delle risorse presenti in regione (Osservatorio interdiocesano di Modena
e Carpi, Osservatorio diocesano di Rimini e Osservatorio diocesano di
Piacenza) evidenzino un costante aumento dell’utenza nei Centri di ascolto correlati.
A Piacenza si è passati da 1.495 persone seguite nel 2003 a 1.687 nel
2004, con un incremento in valore assoluto pari a 192 unità. Negli ultimi
vent’anni le persone che si sono rivolte al Centro di ascolto sono passate
da 410 a 1.687, con un incremento del 312%. «Si tratta di una progressione numerica che non conosce soste, cui si è accompagnata nel corso degli
anni una progressiva diversificazione dei servizi offerti dalla struttura»
(Centro diocesano di Servizio sociale – Caritas diocesana di PiacenzaBobbio, 2005, p. 2).
L’Osservatorio interdiocesano di Modena e Carpi rileva un’utenza
raddoppiata, passata da 1.822 nel 1995 a 3.383 nel 2004:
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parte prima. il profilo sociale regionale
I Centri di ascolto di Modena, Carpi e Mirandola nel 2004 hanno registrato nel
loro complesso un totale di 3.383 utenti, dei quali 1.942 (57%) sono arrivati per la
prima volta nel 2004. È un dato mai raggiunto in precedenza che consolida il
preoccupante aumento registrato nel 2002 e recupera pienamente la leggera flessione registrata lo scorso anno. Rispetto allo scorso anno infatti si nota un
aumento dell’8,1% e rapportando la media degli ultimi tre anni alla media del
triennio 1999-2001 la crescita è del 20% (Osservatorio sulle povertà Caritas di
Modena e Carpi, 2005).
Un fenomeno che sembra interessare gli utenti dei Centri di ascolto Caritas della regione è la differenza numerica fra i sessi, che rimane elevata per
quanto riguarda gli utenti italiani – i maschi sono abbondantemente più
rappresentati delle donne – mentre per gli stranieri il rapporto fra uomini e donne si è progressivamente accorciato.
Questo dato è confermato anche dal trend generale che interessa la
popolazione italiana, ossia quello di una femminilizzazione della povertà, per il crescere della quota femminile sul complesso della popolazione
povera che riguarda soprattutto le donne anziane, le quali hanno mediamente una storia lavorativa meno remunerata dell’uomo, e le donne
giovani capofamiglia con figli in età prescolare o scolare (madri povere –
nubili, divorziate o separate), la cui condizione si aggrava notevolmente
se isolate dal loro contesto familiare o se non ricevono da esso un adeguato sostegno, e per le quali è più acuta l’esigenza di rendere compatibile
lavoro e cura domestica.
Sempre più numerose sono le donne sole o ragazze madri che si rivolgono al Centro; rispetto a ciò si pone anche un interrogativo a livello
pastorale, relativo al fatto che se fino a poco tempo fa all’interno della
comunità cristiana era presente una rete di donne che agiva in modo solidale, oggi la situazione sembra di assoluto stallo e silenzio. Se una donna
intende fare qualcosa per altre donne, capita spesso che non trovi spazio
all’interno della Chiesa e che dunque vada in cerca di altre realtà in cui
agire.
Ritornando ai soli utenti dei Centri di ascolto, «l’incremento delle
donne si rivela costante e in sensibile aumento […]. Questa tendenziale
femminilizzazione dell’utenza al cda è dovuta a vari aspetti, tra i quali
spiccano il cambiamento della provenienza dei flussi migratori e l’aumento della presenza delle famiglie ricongiunte, dove spesso è la donna a
presentarsi al Centro per portare le richieste sulle necessità delle famiglie»
(Associazione Centro di ascolto e prima accoglienza Buon Pastore, 2004).
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2. alcuni indicatori di disagio sociale
Se nel 2004 lo scarto fra il numero delle donne e quello dei maschi era
di quasi 8 punti percentuali (i maschi erano il 54,3% e le femmine il
45,7%) nel 2005 questo scarto si abbassa a meno di 1 punto percentuale (i
maschi erano il 50,9% e le femmine il 49,1%).
Figura 2.1. Distribuzione utenti fra i sessi (anno 2005)
Rimini
Ferrara
Ravenna
Cesena
Forlì
Faenza
Imola
Bologna
Parma
Carpi-Mirandola
Modena
Reggio Emilia
Fidenza
Piacenza
0%
10%
20%
30%
40%
50%
Donne
60%
70%
80%
90%
100%
Uomini
L’utenza femminile è in aumento anche rispetto ai corsi di formazione:
molte donne straniere cercano di acquisire competenze per costruirsi una
professionalità (fenomeno del “badantato”). Anche le donne italiane ex
casalinghe, a fronte di una situazione familiare economicamente difficile,
cercano di acquisire competenze da spendere nel mondo del lavoro per
contribuire al bilancio familiare.
Passando a osservare i dati relativi alla nazionalità, si scopre che per
ogni italiano che è passato al Centro di ascolto si sono presentati quattro
stranieri (nel solo 2005 la popolazione italiana era di 4.422 unità mentre
quella straniera era di 14.901); è quindi evidente che l’utenza è sempre più
straniera, anche se occorre rilevare come negli ultimi anni siano in netta
crescita gli utenti di nazionalità italiana, spesso emigrati dal Sud. Questo
dato è confermato dal numero dei nuovi arrivi, ossia di coloro che si rivolgono al Centro per la prima volta:
61
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Pagina 62
parte prima. il profilo sociale regionale
Anche nel 2004, il 28% delle persone nuove arrivate al cda è italiano. Sono per lo
più residenti, donne non più giovanissime, che spesso chiedono aiuto per la
propria famiglia, per i propri malati o anziani. Da notare inoltre che nel 2004 la
presenza di italiani in mensa è aumentata del 29% e in accoglienza notturna del
41%, così come sono in aumento tutte le voci che li riguardano […] segnale certo
che la povertà riguarda fasce sempre più ampie anche di italiani (Associazione
Centro di ascolto e prima accoglienza Buon Pastore, 2004, p. 3).
Tabella 2.21. Utenti italiani e stranieri e relativa composizione percentuale (2005)
diocesi
Piacenza
Fidenza
Reggio Emilia
Modena
Carpi-Mirandola
Parma
Bologna
Imola
Faenza
Forlì
Cesena
Ravenna
Ferrara
Rimini
Totale complessivo
2005 (v.a.)
2005 (%)
Italiana
Straniera
Italiana
Straniera
338
66
244
298
274
338
708
350
162
650
176
218
70
530
1.150
360
1781
1.388
909
956
986
670
985
1.636
437
534
913
2.196
22,7
15,5
12,0
17,7
23,2
26,1
41,8
34,3
14,1
28,4
28,7
29,0
7,1
19,4
77,3
84,5
88,0
82,3
76,8
73,9
58,2
65,7
85,9
71,6
71,3
71,0
92,9
80,6
4.422
14.901
22,9
77,1
Se si considera la variabile nazionalità, si nota una polarizzazione degli
stranieri provenienti dai paesi dell’Est Europa con una percentuale del
55%, seguita dagli immigrati provenienti dai paesi africani e in particolare
dal Nord Africa. Questi sono i due più importanti gruppi di stranieri
presenti in Emilia-Romagna. È tuttavia importante evidenziare le caratterizzazioni diocesane che fotografano una situazione estremamente variegata: nel Nord dell’Emilia-Romagna, nelle province di Piacenza e Fidenza, gli immigrati provenienti dal Sud America sono massicciamente
presenti con una percentuale che si attesta per Piacenza al 23% e per
Fidenza al 13%. È invece nelle province più a sud (Ferrara, Bologna, Rimi62
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2. alcuni indicatori di disagio sociale
ni e Parma) che la percentuale di immigrati dell’Est supera di molto il
50% del totale degli immigrati che si rivolgono ai Centri.
Le diocesi di Reggio e Carpi sono caratterizzate invece dalla percentuale più elevata di immigrati asiatici (rispettivamente il 10% e l’8%), mentre
il gruppo proveniente dal Centro-Sud Africa è presente con una percentuale importante nelle diocesi di Modena e Imola (rispettivamente 56%
per Modena e 55% per Forlì).
Tabella 2.22. Composizione percentuale #in tab sembrano valori assoluti?#
per diocesi degli utenti stranieri per macroarea di provenienza (2005)
Est Europa
Africa
43
38
49
37
40
58
59
42
49
51
44
53
90
79
32
44
35
56
49
37
29
55
43
40
47
39
1
15
Piacenza
Fidenza
Reggio Emilia
Modena
Carpi-Mirandola
Parma
Bologna
Imola
Faenza
Forlì
Cesena
Ravenna
Ferrara
Rimini
Nord Africa Sud America
28
36
24
29
43
18
17
52
34
24
40
18
3
23
Asia
Altro
1
3
10
3
8
1
6
1
1
5
1
1
0
2
1
2
3
1
0
0
1
0
5
0
0
1
8
1
23
13
2
2
3
3
5
1
1
3
8
7
1
3
Figura 2.2. Area di provenienza degli utenti stranieri
Sud America
5%
Africa
33%
Asia
4%
Asia
3%
Est Europa
55%
63
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Pagina 64
parte prima. il profilo sociale regionale
È interessante notare che, laddove è stato possibile incrociare i dati del
sesso con quelli della nazionalità, risulta che nei paesi dell’Est Europa
(Georgia, Ucraina e Polonia) si registra una presenza femminile superiore
all’80%, mentre nei paesi dell’Africa Centrale (Liberia, Burkina Faso) e
dell’area del Maghreb (Tunisia, Algeria) sono gli uomini a essere rappresentati con una percentuale che sfiora il 90%.
Fra gli stranieri, merita una riflessione il possesso o meno del permesso di soggiorno, necessario per esistere ufficialmente. Nei dodici Centri di
ascolto che nel 2005 hanno raccolto e informatizzato il dato è evidente
come la metà delle persone straniere che si rivolgono ai Centri di ascolto
siano sprovviste di permesso di soggiorno. A Rimini, ad esempio circa il
70% dell’utenza straniera ne è sprovvista, a Imola la percentuale scende al
66% e a Reggio Emilia la percentuale è del 60%. Questo dato non stupisce visto che il Centro, con i suoi servizi di prima accoglienza, rappresenta per gli stranieri irregolari una delle poche possibilità offerte dal territorio, ragion per cui essi tendono a farvi affidamento con una certa
frequenza. Se si osserva il trend storico «e con maggiore finezza la situazione legale di coloro che sono entrati in Italia negli ultimi tre anni vediamo
che più ci si allontana dall’anno della regolarizzazione (2002) maggiore è il
numero di coloro che non possiedono il permesso di soggiorno» (Centro
di ascolto delle povertà della Caritas, 2005, p. 18).
Una sfumatura diversa è in grado di essere osservata attraverso il
rapporto della diocesi di Forlì (Associazione Centro di ascolto e prima
accoglienza buon pastore, 2004) che afferma:
Rispetto al 2003 fra gli irregolari si notano di più le donne, ben 250 ossia il 65%,
più o meno lo stesso numero del 2003, mentre in decisivo calo gli uomini (133
ossia il 34%). Infine la principale nazionalità che si caratterizza per una incidenza di non regolari particolarmente elevata è la Romania con 178 persone, il 46%
del mondo irregolare. Seguono l’Ucraina con 57 persone (14%), la Polonia con
36 (9%), la Moldavia con 17 (4%), Bulgaria, Russia, Nigeria con il 3%.
Anche Bologna tuttavia registra il problema, in aumento, delle donne
incinte e delle giovani madri, che hanno gravi problemi economici e abitativi, molte delle quali non possiedono il permesso di soggiorno. Chi
dovrebbe offrire un supporto a queste giovani donne spesso richiede, per
poter erogare un qualsiasi tipo di servizio, un permesso di soggiorno valido e una retta. È evidente che occorre interrogarsi sulla possibilità di aprire strutture che offrano comunque accoglienza pur in mancanza di tale
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permesso, sia per arginare la piaga dell’abbandono dei neonati sia per dare
comunque accoglienza a chi non ha nulla.
A Bologna circa il 50% non è in regola con il permesso di soggiorno e questo
rende molto complessi i percorsi di sostegno. In questi casi viene concentrata l’attenzione sulle situazioni dove ci sono problemi di salute, dove è violata la dignità personale, dove c’è una donna in gravidanza oppure sola con un bambino,
dove è importante un momento di sollievo con un periodo in mensa […]. Bisogna tenere presente tuttavia un dato di realtà: quasi tutti gli immigrati regolari
attualmente presenti in Italia hanno vissuto l’esperienza di un periodo iniziale di
clandestinità (Centro di ascolto immigrati, 2004, p. 7).
Rispetto agli immigrati di seconda generazione è importante sottolineare
il nuovo carico di bisogni che essi portano e che si riferiscono spesso a
situazioni di conflittualità superiore alla media.
Negli ultimi anni la percentuale di immigrati che risiede in EmiliaRomagna e che arriva direttamente dal paese di origine è molto elevata, si
presenta quindi una situazione in cui è necessaria un’alfabetizzazione di
base più massiccia.
A livello pastorale sembra ci sia un interesse verso le culture e le religioni altre, ma in realtà esiste una totale incapacità di dialogare con le altre
religioni; la Caritas e il Centro di ascolto potrebbero rappresentare un
ponte perché le nostre comunità si aprano alle altre religioni. Se sul piano
teorico ci sono persone che affrontano il tema dell’ecumenismo con capacità e conoscenze molto elevate, è sul piano dell’esperienza che è carente
l’aspetto pastorale.
Un esempio sono le soluzioni o gli approcci al tema dei matrimoni
misti o i cammini per i bambini di altre religioni inseriti comunque nei
gruppi parrocchiali; una soluzione può essere il poter fare esperienza della
diversità nelle attività quotidiane delle parrocchie.
In riferimento all’età delle persone incontrate, è evidente la preminenza delle età centrali, dai 25 ai 45 anni, dove nella totalità dei Centri si
raggruppa oltre il 50% degli utenti.
Ci sono differenze talvolta notevoli se si considerano le fasce giovani
(meno di 26 anni) e anziane (più di 55 anni): Carpi ha una percentuale
notevole (13,9%) di utenti con meno di 26 anni e la percentuale più bassa
rispetto agli ultracinquantacinquenni (5%), mentre Forlì ha la percentuale più elevata in regione di ultracinquantacinquenni (16%). Un fenomeno
generale in tutta la Regione è la polarizzazione degli immigrati verso le
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fasce di età più basse, mentre gli italiani sono mediamente più anziani. Si
rileva inoltre una presenza molto bassa di minori. In realtà nella vita
quotidiana dei Centri, oltre ai minori non accompagnati, tanti minori,
anche piccoli, arrivano al seguito delle madri e delle famiglie e non vengono registrati come utenti, ma compongono di fatto l’utenza dei Centri di
ascolto.
Aumenta costantemente il numero di famiglie che si rivolge ai Centri
di ascolto, come risultato di due fenomeni: i ricongiungimenti familiari e
il reddito familiare insufficiente per sostenere le esigenze della famiglia
stessa, prima fra tutte gli affitti molto elevati. Tale situazione porta a un
aumento della conflittualità familiare: la famiglia non tiene più perché si
trova a dover fare i conti giorno dopo giorno con la fatica del vivere quotidiano. Questa diminuzione della tenuta della famiglia porta a un aumento della richiesta rivolta ai servizi sociali per tutte quelle situazioni che
creano difficoltà – anziani, handicap ecc. – e sempre più spesso la famiglia
si rivolge ai servizi delegando totalmente il compito di cura e di assistenza.
Questi due fenomeni hanno fatto sì che anche l’utenza dei Centri di ascolto si evolvesse, nel senso di richiedere sostegno non più per il singolo ma
spesso per il nucleo familiare.
La situazione è un po’ differente per gli immigrati maschi, che molto
spesso non sono inseriti in contesti familiari ma convivono con amici, o
per le immigrate dell’Est che mantengono la propria famiglia nel paese di
origine e in Italia convivono con connazionali o con la famiglia presso cui
lavorano.
Dall’analisi dei bisogni espressi dagli utenti dei Centri di ascolto emerge prima di tutto un quadro socioeconomico regionale caratterizzato da
enormi difficoltà nella ricerca di un posto di lavoro in un’economia fragile e vacillante. La soglia di povertà è aumentata e le giovani coppie hanno
difficoltà a costituire un nucleo familiare anche a causa dello spropositato
aumento del costo delle abitazioni. Manca un’imprenditoria valida e le
classi più a rischio, i giovani e gli anziani, necessitano di un’attenzione
maggiore.
Sono infatti cresciute le situazioni di povertà materiale ed economica,
legate fondamentalmente al fenomeno drammatico della disoccupazione,
ma che oggi investono con prepotenza anche le famiglie monoreddito o
gli anziani con una pensione minima; tali condizioni impediscono di far
fronte alle necessità della vita quotidiana, soprattutto se si considera la
povertà in relazione ai costi dell’affitto, dell’acqua, del gas, della luce e del
telefono, spese indispensabili e prioritarie. Allo stesso tempo emergono
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nuove povertà – che riguardano l’infanzia, le donne sole, le famiglie
unipersonali – che si manifestano come diffusa insicurezza economica che
coinvolge nuovi strati sociali; sono povertà meno riconoscibili, più articolate e differenziate, che si affiancano a quelle tradizionali: non si tratta più
di povertà assolute, ma di deprivazioni relative, perché riguardano la
mancanza di risorse per partecipare alle attività e avere le condizioni di vita
e i beni di cui gode la maggioranza della popolazione.
Accanto alla marginalità da lavoro, sono aumentati in maniera preoccupante i casi di disagio minorile e un diffuso malessere giovanile, con
forme rilevanti di devianza (teppismo, microcriminalità, tossicodipendenza, alcolismo ecc.), e si è consolidato il fenomeno dell’abbandono scolastico. L’influenza della strada sui ragazzi e sui giovani è andata crescendo a
dismisura di fronte a un modello di famiglia incapace di educare, talvolta
(oserei dire molto spesso) disgregata e davanti alla mancanza di interventi istituzionali di prevenzione e di aggregazione. La scuola si è rivelata
impotente nei confronti della crisi di valori, mentre il condizionamento
dei mezzi di comunicazione di massa si è rafforzato, purtroppo in senso
negativo.
In regione quasi tutte le diocesi (tredici su quindici) si sono dotate di
mense gestite direttamente dalla Caritas o attraverso associazioni di volontariato, che quotidianamente assicurano il pranzo e/o la cena a immigrati,
nomadi, senza fissa dimora, ma anche a intere famiglie con bambini e
anziani soli. Il Centro di ascolto di Forlì, ad esempio, ha distribuito nel
corso del 2004 oltre 12.568 pasti serali, mentre a Rimini sono stati distribuiti 46.736 pasti nel corso del 2004 con una media giornaliera di 128
pasti. Anche in assenza di dati così dettagliati la percezione è che ci sia un
aumento di richieste di questo tipo, insieme alla difficoltà ad acquistare
beni di prima necessità, dato confermato anche dall’aumento di utenti che
dichiarano problemi di reddito insufficiente con conseguente difficoltà a
reperire un alloggio. Infatti, se si dovessero fare classifiche rispetto al bisogno emerso, al primo posto ci sarebbero i problemi di reddito, strettamente correlati alla situazione lavorativa, seguiti dai problemi abitativi.
Rispetto al problema dell’insufficienza di reddito si possono fare due
considerazioni: l’utenza italiana, oggi più che mai, si rivolge al Centro di
ascolto dopo anni in cui mediamente lo evitava, rivolgendosi eventualmente ai servizi sociali; le famiglie straniere, in particolare quelle di religione musulmana, particolarmente numerose e caratterizzate dal fatto che
alla donna non è concesso di lavorare, si trovano oggi in gravi condizioni
di precarietà.
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Per quanto riguarda l’abitazione, non si registra più il problema della
mancanza della stessa ma vi sono altre problematiche quali la precarietà
della sistemazione (basti pensare agli extracomunitari che vivono presso
amici) e la difficoltà a sostenere il costo di un’abitazione (anche se di
proprietà), situazione che si aggrava in presenza di mutui.
Il lavoro rimane uno degli aspetti più complessi perché si intrecciano
problematiche derivanti da una congiuntura sfavorevole del mercato e da
alfabetizzazione e competenza degli utenti scarse, in misura particolare
(ma non solo) di quelli stranieri. L’apertura, nei Centri di ascolto, di sportelli che forniscono un servizio di orientamento al lavoro e di ricerca del
lavoro è un sintomo delle difficoltà connesse al lavoro. L’attività del
Centro di ascolto ha permesso di aiutare molti soggetti nella compilazione di curriculum e nella ricerca di contatti con le aziende o con i privati.
Purtroppo, oltre a una palese difficoltà a inserirsi nel comune circuito del
lavoro – dovuta a bassa scolarità, mancanza di competenze professionali,
problemi di disagio sociale e mancanza di alloggio – la stessa legislazione
rende molto complesso per gli imprenditori l’impiego di stranieri. In alcune realtà comincia inoltre a essere evidente il fenomeno mafioso della
vendita del lavoro, specie fra le popolazioni immigrate dall’Est Europa.
Non da ultimo si evidenzia la crescita, anche all’interno della comunità cristiana, dei fenomeni di paura e razzismo nei confronti degli immigrati (si pensi alla difficoltà ad assumere personale extracomunitario e ad
affittare alloggi alla popolazione immigrata).
Se da un lato è evidente la situazione di sofferenza delle famiglie, sia sul
fronte della povertà materiale che su quello della povertà relazionale
(conflitti, depressioni e reati compiuti all’interno della famiglia stessa),
dall’altro è possibile vedere nella stessa istituzione famiglia una parziale
soluzione a questa fragilità, rendendo evidente il livello familiare come
luogo in cui ci sono donne, anziani e bambini significherebbe #qual è il
soggetto?# far diminuire il senso di paura e diffidenza verso la popolazione immigrata.
Nella nostra Regione l’aumento della povertà di questi anni è dovuto
in buona parte anche all’aumento di famiglie che hanno una donna come
persona di riferimento, spesso una donna anziana o una giovane madre.
Colpisce – come afferma il rapporto del Centro di ascolto di Forlì – il
numero crescente di persone e famiglie che vivono in situazioni di vulnerabilità, di prepovertà o a rischio di povertà, che approdano ai Centri di
ascolto. Non sono ancora nella povertà solo perché sostenute da particolari aiuti pubblici o privati, ma vivono una situazione di fragilità e di prov68
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visorietà, in parte per ragioni economiche, in parte per debolezza personale che le rende incapaci di affrontare emergenze legate all’organizzazione
sociale.
A queste forme di povertà se ne affiancano altre e talvolta più gravi con
le quali i Centri di ascolto, le associazioni e gli organismi di solidarietà
delle nostre diocesi si confrontano quotidianamente: la povertà da salute,
che si espande nella sfera della relazione e della socialità; la povertà da istituzione (servizi sociali e sanitari carenti, assenza di vere politiche sociali di
accoglienza e di solidarietà); povertà da relazione, cioè assenza di qualità
nei rapporti interpersonali, dove mancano amore e accoglienza.
Emergono anche casi di povertà estreme, quando le povertà citate si
accumulano e coesistono.
La comunità ecclesiale che da tempo risponde, attraverso i Centri di
ascolto, con l’erogazione di denaro e servizi non può più limitarsi solo a
ciò: probabilmente ora occorre accompagnare il povero nel tentativo di
ricostruire la dignità delle persone.
Servono – sostiene il Centro di ascolto di Bologna – comunità parrocchiali vive, capaci di accorgersi del disagio visibile e invisibile che cresce,
capaci di creare legami, relazioni, gesti di prossimità e accoglienza vincendo stereotipi e pregiudizi, dove ci si scopre dono reciproco, si cerca il positivo nascosto in ogni situazione, si fa festa insieme, si costruiscono la pace
e la giustizia nel quotidiano. Occorrono, altresì, comunità vigilanti per
contrastare un pericolo strisciante: quello di considerare normale ciò che
un tempo era inaccettabile nel nostro territorio (bambini che vivono in
baracche lungo i fiumi, servizi sociali che dichiarano di non avere più
risorse economiche e logistiche per affrontare situazioni anche molto gravi
ecc.). Servono comunità capaci di costruire proposte in rete con altre realtà del quartiere, riappropriandosi della propria responsabilità di cittadini e
fratelli di ogni uomo.
2.7. Le storie di vita
Presentiamo di seguito alcuni racconti degli operatori dei Centri di ascolto relativi alle storie degli utenti che frequentano i Centri, come arricchimento al commento dei dati sulla povertà.
Si precisa che i nomi utilizzati sono di fantasia e le storie di vita del
Centro di ascolto di Carpi sono tratte da Michelini (2006).
La ricerca sociale, su una tematica che è in costante evoluzione e dai
contorni spesso inafferrabili come la povertà, è più che mai uno strumen69
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to indispensabile per progettare interventi consapevoli, correttamente
orientati e capaci di cogliere nel segno, tenendo conto delle diverse culture in gioco (degli utenti e degli operatori).
Novità centrali dei percorsi di ricerca possono essere questi brevi
racconti che colgono in profondità i tragitti esistenziali che portano “alla
povertà” ma che, fortunatamente, talvolta mostrano possibili percorsi di
uscita e di protezione sociale finalizzati al recupero dell’autonomia delle
persone.
Caroline – Nigeria (cda di Ravenna)
Il Centro di ascolto Caritas ha ricevuto un appello dall’assistente sociale
dell’ospedale di Ravenna: era stata ricoverata una ragazza nigeriana, Caroline,
per un principio di assideramento, il tempo di ricovero stava terminando ma
occorreva assistenza perché non poteva ancora camminare. Caroline è stata
accolta dall’Asilo notturno comunale e trascorreva gran parte della giornata al
caldo in parrocchia. Caroline era una ragazza minuta che parlava pochissimo,
non piangeva né sorrideva, non si lamentava mai, sembrava non avesse bisogno di nulla e rifiutava qualsiasi cibo, tranne il pane. La prima volta che si è
sentita in grado di camminare da sola è andata a comprare il pane, che ha
mangiato avidamente. Caroline non rivelò nulla di sé; un giorno disse che i
suoi documenti erano scaduti e che bisognava andare nel luogo dove dormiva
prima del ricovero. Due operatrici del Centro di ascolto l’hanno accompagnata:
si trattava di un palazzo alto in riva al mare; per entrare hanno dovuto approfittare dell’uscita di una persona. Il suo giaciglio consisteva in una tela africana sul
pavimento freddo e in pochi sacchetti. È risultato evidente che nessuno sapeva
dell’esistenza di quella persona in quel luogo; il freddo invernale intenso le
aveva procurato l’assideramento, non si ha idea di come sia riuscita a raggiungere l’ospedale. Caroline non collaborava, non voleva tornare a Rimini, dove
gli era stato concesso il permesso di soggiorno secondo l’ex articolo 18 della
legge Bossi-Fini e dove era stata inserita in un progetto di recupero. Dopo circa
tre mesi, quando ormai poteva camminare, non si è presentata all’accoglienza
diurna, per poi presentarsi all’asilo notturno; qualche giorno dopo non si è fatta
più vedere nemmeno all’asilo notturno e per un certo tempo è scomparsa del
tutto.
Il servizio sociale del Consorzio è stato contattato dalla questura in quanto Caroline risultava in stato di fermo a causa delle pratiche per il rinnovo del permesso di soggiorno; ha giustificato la sua assenza dicendo che preferiva restare
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all’aperto. Si stava pensando di trovarle un lavoro stagionale quando in aprile si
è ripresentata rendendosi disponibile, con il nuovo permesso, a ritornare a
Rimini per rientrare nel progetto in cui era già stata accettata.
Henry – Camerun (cda di Ravenna)
Henry ha lasciato nel 2004 il Camerun, la mamma e tre sorelle tutte minorenni. Il
padre è stato massacrato per motivi politici; lui stesso ha subito torture durante una
dura detenzione, ma è riuscito a fuggire e ha deciso di lasciare il suo paese.
È arrivato a Ravenna senza conoscere la lingua e privo di soldi e documenti; si
sentiva smarrito. Qualcuno lo ha indirizzato alla parrocchia San Rocco ed è stato
ospitato alla casa “il Buon Samaritano”; da lì è arrivato al nostro Centro di ascolto Caritas per un orientamento adeguato. Henry ha da subito mostrato un forte
senso di colpa per aver lasciato la mamma e le tre sorelle in balia di loro stesse e
in pericolo in un paese come il Camerun, ancora scosso da forti tensioni sociali.
Al Centro di ascolto della Caritas ha ricevuto un primo soccorso umano: ha potuto parlare ed essere ascoltato nella sua lingua, è stato indirizzato all’ufficio stranieri della Questura per chiedere asilo politico e al Consorzio dei servizi sociali
dove sono state avviate le procedure per farlo entrare nel Programma nazionale asilo (pna); ha iniziato subito a frequentare il corso di lingua italiana che si
teneva in Parrocchia e in tempi brevi è stato capace di parlare la nostra lingua.
In pochi mesi ha ottenuto il permesso di soggiorno come richiedente asilo;
tuttavia ciò non gli ha da subito consentito di lavorare e di guadagnare soldi da
inviare alla sua famiglia. Questa era la sua grande preoccupazione: essendo il
figlio maggiore e l’unico maschio, aveva la responsabilità del capo famiglia e
non potendo adempiere a questo suo compito si sentiva colpevole.
La relativa tranquillità che Henry si era lentamente costruita è stata sconvolta dalla
notizia della morte della madre, avvenuta in situazioni tragiche. Per non avere
rivelato il rifugio del figlio ancora ricercato, era stata imprigionata e torturata per
poi giungere in fin di vita in ospedale dove poco dopo è deceduta lasciando le tre
figlie orfane e sole in un ambiente ostile. Henry ha anche saputo che se non avesse provveduto a pagare in contanti e rapidamente le spese del funerale avrebbero fatto scempio del corpo della madre ormai defunta. Dopo quella notizia Henry
è stato colpito da un malore e ricoverato d’urgenza all’ospedale ove è stato curato per un serio problema cardiaco ed ematologico. In tale circostanza la Caritas,
con la collaborazione di altre istituzioni (la parrocchia di San Rocco, i servizi sociali e l’associazione Il Mappamondo), è intervenuta sostenendo le spese per la
tumulazione della madre di Henry, come lui stesso desiderava.
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A seguito di un accorato appello per l’adozione a distanza delle sorelle di Henry,
queste sono state accolte in un collegio, così da permettere loro di vivere e
studiare adeguatamente. Durante le feste natalizie, una famiglia con cinque
figli, di cui tre in affido, ci ha chiesto di poter condividere il pranzo di Natale con
una persona meno fortunata perché sola, così abbiamo pensato a Henry e da
allora sono trascorsi due anni nel corso dei quali è nata tra loro una splendida
amicizia. Henry è ormai diventato il fratello maggiore dei cinque bambini, che
gli sono molto affezionati.
Da settembre 2004 Henry ha ottenuto lo stato di rifugiato politico e, grazie anche
all’aiuto della sua famiglia italiana, ha trovato un lavoro a tempo indeterminato. Henry sta pian piano coronando il suo sogno, quello di riavvicinarsi alle
sorelle che, per ora e a fatica, riesce a mantenere in patria.
Pietro – Italia (cda di Piacenza)
Pietro ha 66 anni e un diploma come chef di cucina, conseguito all’istituto
alberghiero di Stresa. Nei primi anni della sua carriera ha lavorato in diversi
alberghi, tra i quali alcuni molto importanti e per oltre trentaquattro anni ha
cucinato sulle navi da crociera riuscendo a ottenere la qualifica di primo chef,
condizione che gli ha garantito un tenore di vita decisamente elevato: oltre 20
milioni di lire al mese! Grazie al suo lavoro ha potuto viaggiare e conoscere
mondi diversi; ha addirittura fatto per ben 58 volte il giro del mondo: da Stoccolma a Stoccolma. Non si è mai sposato ma ha avuto diverse relazioni di cui l’ultima con Ingrid, una ragazza svedese molto più giovane di lui. Proprio questa
relazione lo ha ferito profondamente e da ciò è iniziata la sua storia di povertà.
Insieme a Ingrid acquista nel centro di Stoccolma un appartamento che arreda
con profondo amore riempiendolo con tutti i ricordi che in oltre trent’anni di
navigazione aveva raccolto: pezzi molto rari e decisamente preziosi. Con Ingrid
condivide, oltre all’appartamento, anche il proprio conto corrente in cui deposita tutto il suo patrimonio e il suo stipendio. Un giorno, ritornato a Stoccolma
dopo l’ennesimo lungo viaggio, scopre che Ingrid lo ha lasciato portando con sé
tutti i suoi beni e tutto il suo denaro. È da quel momento che Pietro si accorge di
aver sbagliato a fidarsi così ciecamente di una persona che non meritava la sua
fiducia e si ritrova a fare i conti con una vita di privazioni che fino ad allora
nemmeno immaginava. Come tutti quelli che non conoscono le difficoltà economiche, in poco tempo sperpera in alcol, night e alberghi i 45.000 dollari che
ancora possedeva, ritrovandosi a girovagare fra le stazioni del Nord Italia.
A mente fredda ammette che sarebbe potuto tornare a bordo, ma la sola idea di
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dover affrontare i colleghi e la famiglia – che da quel momento lo ha abbandonato – lo terrorizzava. Durante uno dei suoi pellegrinaggi nelle stazioni d’Italia
viene inviato in un Centro di accoglienza a Padova, dove si rende conto di tante
altre situazioni di disagio e povertà e finalmente apre gli occhi anche sulla sua
condizione. Da qui all’incontro con gli operatori del Centro di ascolto di Piacenza è un lento cammino di scoperta e riconquista della propria dignità di uomo;
durante questi anni Pietro si riavvicina anche alla fede, che lo ha sorretto nei
momenti più duri.
Pietro ha finalmente riacquistato fiducia in se stesso e negli altri e ha un forte
senso di riconoscenza verso chi ha saputo incoraggiarlo a non perdere la
speranza e a ricostruire la propria vita con uno spirito ottimista. Da poco è riuscito a coronare il suo sogno: quello di aprire un ristorante.
Fatima – Marocco (cda di Piacenza)
Fatima è marocchina e ha 42 anni. Ha vissuto dapprima a Casablanca e poi a
Marrakech ed è in Italia solamente da sei mesi. In Marocco viveva con il marito
Sami, direttore di una società che produceva calzature, e cinque figli: Abdul (23
anni) studiava giornalismo, Kamel (19 anni) frequentava la scuola di diritto francese, Kadija (21 anni) era iscritta alla Facoltà di scienze economiche mentre le
due figlie minori di 8 e 14 anni frequentavano le scuole dell’obbligo.
Negli anni novanta è fallita la ditta del marito, che è rimasto senza lavoro e
senza la possibilità di mantenere la famiglia. Non riuscendo a provvedere ai
bisogni della famiglia, nel gennaio 2000 Sami è arrivato in Italia come clandestino, mentre il resto della famiglia è rimasto in Marocco.
Fatima, intanto, trova un lavoro presso il ministero degli Interni, come segretaria
commerciale, lavoro che mantiene per cinque anni. Ma la vita è difficile e per
provvedere ai figli svolge diversi altri lavoretti: sartoria, cucito e maglia, corsi di
alfabetizzazione e di formazione per ragazze disoccupate, a cui insegna a usare la
macchina da cucire. Questo fino al 2005, quando il marito la invita a raggiungerlo in Italia con i figli minorenni. Fatima si prepara a venire in Italia, ma con la grossa preoccupazione di non poter portare i figli maggiorenni, i quali vengono da lei
affidati a una famiglia amica. Ora studiano: il ragazzo di 23 anni sta frequentando
il quarto anno della facoltà di giornalismo con specializzazione in cinema, mentre
la ragazza di 21 anni è iscritta alla facoltà di scienze economiche.
All’arrivo in Italia Fatima fa una triste scoperta: Sami è molto malato ed è ricoverato in ospedale, dove muore dopo poche settimane. Fatima rimane senza
nulla e si trova a dover fronteggiare diverse difficoltà: la mancanza di lavoro e
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quindi i conseguenti disagi economici, le difficoltà incontrate per il contratto di
locazione, l’impossibilità per Kamel di continuare i suoi studi perché la legge
non glielo permette. Sono rimasti per oltre tre mesi senza gas per l’insolvenza di
alcune bollette. Sia lei che il figlio maggiore hanno lavorato per alcune ditte, ma
senza continuità, nonostante il titolo di studio e l’esperienza di lavoro in patria.
Ora Fatima vive in un piccolo paese della provincia di Piacenza, dove le sue due
figlie minori, di 8 e di 14 anni, frequentano rispettivamente la terza elementare
e la terza media e sono seguite assiduamente dai servizi sociali e dalla Caritas,
presso la quale ha trovato supporto e comprensione.
Il marito è stato vittima di un grave incidente sul lavoro dopo il quale è stato
regolarizzato; prima di morire ha intrapreso una causa legale con la ditta di
costruzioni per cui lavorava ma oggi lei non è più in grado di sostenere i costi
per l’assistenza legale. Non ha diritto alla pensione del marito perché a causa
del lavoro in nero ha versato solamente 200 settimane lavorative e non le 260
previste dalla legge.
Nonostante Fatima sia stanca di lottare contro tutte queste situazioni sfavorevoli, non ha intenzione di ritornare in Marocco perché immagina il futuro suo e dei
suoi figli qui in Italia.
Pablo Antonio Josè – Colombia (cda di Rimini)
Pablo parte dalla Colombia nel 2004 per raggiungere sua moglie, già in Italia
da un anno e mezzo; l’emozione di rivederla e di poter pensare a un futuro in
comune si univa al dispiacere di lasciare famiglia e amici di una vita. Purtroppo
l’arrivo in Italia ha coinciso con la scoperta di una donna molto diversa da quella conosciuta in Colombia. Con un’enorme ferita nel cuore fu costretto ad
abbandonare la casa che ormai apparteneva alla moglie e a ricominciare una
vita senza gli affetti, senza un lavoro e senza una casa.
Accadde tutto in fretta, senza la possibilità di porvi rimedio in qualche modo:
l’atto di separazione arrivò dopo poche settimane. In questo periodo Pablo
conosce la Caritas che, come ammette lui stesso, gli ha salvato la vita perché gli
ha donato un letto, pasti caldi e nuovi amici con i quali condividere i momenti
liberi.
Pablo scopre così come anche in una condizione poco favorevole sia possibile
coltivare amicizie trovando nella diversità un buon motivo per stare insieme. In
quei mesi conosce molte persone che condividono i locali della Caritas, con le
quali instaura belle amicizie fatte di confidenze, scherzi e talvolta anche discussioni, in un clima di rispetto e solidarietà; in fondo tutti stanno vivendo un perio-
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do difficile della propria vita ma con la comune volontà di provare a costruire un
futuro migliore.
Questa relativa tranquillità gli ha permesso di dedicarsi alla ricerca di un lavoro
che certo non poteva essere quello sognato in Colombia, ma che si è comunque
rivelato un impiego impegnativo con tante cose da imparare.
Pablo è tuttora impiegato in un’azienda di pulizie, ma trova tempo da dedicare
ai suoi interessi, come la pittura e la fotografia; ha riconquistato calma e tranquillità e oggi guarda con fiducia e speranza al suo futuro.
Bashkim – Albania (cda di Rimini)
Bashkim è arrivato da noi nel 1991. L’abbiamo conosciuto in parrocchia, dove
abitava con altri albanesi. Mio marito lo incontrò una sera tornando a casa: non
sapeva dove dormire, perché la persona che lo ospitava non lo voleva più. Lo
invitò allora a venire a casa nostra e si fermò con noi tre mesi e mezzo.
Veniva da Berat, aveva 19 anni e aveva appena terminato il liceo. Parlava discretamente l’italiano ed era un ragazzo intelligente, colto, arguto e ironico, con una
sua “saggezza” che esprimeva attraverso modi di dire e proverbi, cercando di
interpretare avvenimenti e fatti che accadevano nella vita di ogni giorno. Per
questo, e anche per la sua gentilezza e cortesia, è stato accolto da tutta la famiglia; il rapporto più profondo e simpatico si è instaurato con nostro figlio più
piccolo, che aveva 10 anni. Scoprimmo pian piano che la sua era stata una
partenza “all’albanese”, che non aveva avvertito la famiglia dei suoi progetti,
che aveva attraversato il confine greco e aveva vissuto nella penisola ellenica per
sei mesi, dove però si era trovato male. Poi era arrivato a Brindisi in nave, da lì
si era trasferito a Roma e, grazie ad alcuni contatti con altri albanesi, era arrivato in Romagna.
Gli trovammo un lavoro in nero presso un ortolano e Bashkim si comportò
“bene”: sapeva lavorare, essere furbo e anche “mentire con convinzione”.
Bashkim aveva notato, girando nei dintorni, una piccola parrocchia il cui parroco era spesso in viaggio e aveva una grande casa vuota. Ci chiese di farci garanti presso di lui. Il rapporto con il sacerdote fu molto importante. Il giovane si
prendeva cura della casa e della chiesa quando il parroco era in viaggio; trovò
lavoro in un allevamento di polli e diede una mano a chi aveva bisogno in
questa piccola comunità. Fu apprezzato e amato da tutti.
Lo raccomandammo a un nostro caro amico che lo assunse e lo mise in regola e
il giovane albanese diventò un bravo falegname. Nel giro di tre anni fu in grado
di assumersi la responsabilità dell’organizzazione del lavoro. Il padrone mi
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diceva: «Posso fidarmi di lui come di me stesso». Era il 1997 e Bashkim aveva 26
anni. Il gruppo di amici della parrocchia organizzò una festa in onore di questo
figliolo coraggioso, forte e buono. Quella sera disse che finalmente era in Italia
legalmente: «Oggi, dopo sette anni, mi sento di nuovo uomo, una persona. Non
sono più un “nessuno”, ora sono una persona anche in Italia».
Una mattina presto mi telefonò la moglie del datore di lavoro e mi disse che il
ragazzo non era rientrato. Telefonai alla polizia stradale e seppi che c’era stato
un incidente e che Bashkim era ricoverato in gravi condizioni in rianimazione,
era in coma. Andai subito in ospedale e ci prendemmo cura di lui, tutti i giorni.
Noi, il gruppo di amici della parrocchia, i padroni e tutte le persone con cui
aveva fatto amicizia ci preoccupammo per lui. Bashkim non è stato mai abbandonato, gli sono stati vicini altri amici, perfino i datori di lavoro che si sono
avvalsi di un avvocato per seguire la causa del risarcimento con l’assicurazione.
Dopo due mesi fu trasferito in un altro ospedale per la riabilitazione e iniziò a
rientrare gradualmente nella realtà. Bashkim non parlava, non camminava e
non ricordava nulla. Poi recuperò la parola, parte dei movimenti e la memoria
del passato, ma non aveva assolutamente la memoria a breve termine e, come
molti traumatizzati cronici, era irrequieto e violento: insultava, non ascoltava le
richieste e tentava di picchiare chi lo contraddiceva.
Bashkim è tornato in Albania nel settembre 1997. L’anno successivo è venuto di
nuovo in Italia per l’ultima volta, solo per quindici giorni, a sistemare documenti e
pratiche rimaste in sospeso. Ci telefona spesso e ci ricorda con affetto, manifesta
sempre la sua riconoscenza e nostalgia per ciò che ha vissuto in Emilia-Romagna.
Il 5 giugno 2005 si è sposato. Ci ha telefonato per invitarci al matrimonio, ma
purtroppo non siamo potuti andare. Dopo un’esperienza molto travagliata, con
l’amore e la solidarietà di molti, per Bashkim è iniziata una nuova vita.
Tirando le somme, è stata sicuramente un’esperienza molto ricca, reciprocamente: noi abbiamo imparato da lui e lui da noi.
Abdul e Aziza – Marocco (cda di Carpi)
Abdul e Aziza sono marito e moglie, vengono da Beni-Mellal, una città nel centro
del Marocco non troppo lontana da Marrakech, in una zona verde e di montagna
dove la maggior parte della gente vive di agricoltura. La loro è una storia di migrazione fortunata; è andata bene finora, anche se cambiare paese non è stato facile.
Nel 1989, quando hanno iniziato ad arrivare i primi stranieri in Italia, Abdul e Aziza
sono partiti molto giovani dal Marocco perché mancava lavoro. Prima è arrivato
Abdul con gli amici e dopo neanche un anno lo ha raggiunto sua moglie.
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2. alcuni indicatori di disagio sociale
Abdul e i suoi amici hanno attraversato l’Algeria e la Tunisia con un’automobile, poi con un traghetto da Tunisi sono arrivati a Genova. All’epoca non c’era
bisogno di nascondersi per entrare in Italia.
Bastava dire che si era turisti e fare vedere che si avevano i soldi per mantenersi
nel periodo della vacanza. Sono entrati con il visto turistico e una volta scaduto
questo sono stati clandestini per un po’, fino alla sanatoria di qualche mese dopo.
Nel 1990, quando hanno ottenuto il permesso di soggiorno, sono venuti a vivere a Carpi dove c’erano alcuni loro parenti. Dapprima hanno dormito in albergo,
poi lo stesso albergatore ha trovato loro una casa in affitto e anche è arrivato
praticamente subito. Erano tempi d’oro!
Qui in Italia sono nati i loro quattro figli: tre maschi di 13, 5 e 3 anni e una femmina
di pochi mesi. I bambini più grandi parlano sia l’italiano che l’arabo. Con il figlio
più grande hanno cercato di parlare soprattutto l’arabo per aiutarlo a conoscere la
loro lingua, pensando che avrebbe comunque imparato l’italiano a scuola.
Anche se ammettono di essere ormai bene integrati, è forte la nostalgia per il
Marocco. Vivono la brutta esperienza di essere divisi tra due paesi: a casa loro
in Marocco si sentono ospiti, e qui in Italia sono stranieri! Quando tornano nel
loro paese per i figli è una vacanza; loro ormai sono italiani. A volte dicono di
lasciar perdere l’idea di tornare in Marocco, altre volte di stabilirsi definitivamente in Italia… dipende dove vedono i problemi in quel momento. Il sogno di
ritornare al loro paese resta comunque, è solo spostato a quando saranno in
pensione e con i figli sistemati, sanno che sarà difficile ma è un bel sogno.
Hanno anche tanti amici italiani, belle amicizie che li hanno aiutati a integrarsi.
Abdul e Aziza ritengono che il fatto di avere studiato, Abdul alle scuole superiori e Aziza letteratura all’università, li ha aiutati a integrarsi.
Aziza adesso ha anche ripreso a studiare, dopo aver lavorato in maglieria, in
casa protetta facendo i turni, e aver lasciato il lavoro per badare ai figli. Le è
sempre interessata la mediazione culturale, e proprio adesso sta seguendo un
corso per mediatori culturali. Questo corso le ha ridato la voglia di ricominciare
a studiare, dopo anni passati a non fare quello che veramente desiderava. Uno
dei problemi più grossi delle donne e mamme straniere è che devono sapere
molte cose per aiutare i figli a scuola. Molte però non riescono neanche a leggere il diario dei propri figli! Aziza cerca di migliorare per i figli, fa tanti sacrifici
per loro. Ma a volte i figli fanno fatica, non vanno oltre la terza media, e questo
può rivelarsi una catastrofe, peggio che rimanere in Marocco.
Ad Aziza dell’Italia piacciono i servizi, come la sanità, la burocrazia… che in
Marocco sono molto meno funzionali; una cosa che invece non le piace per niente è la televisione: al tg si vedono molte cose brutte, troppe notizie “pesanti” per i
bambini, ci vorrebbe più rispetto per loro. Ad Abdul invece piace il rispetto che
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parte prima. il profilo sociale regionale
mostrano gli italiani nei suoi confronti; va spesso a giocare a calcio con i papà
degli amici di suo figlio più grande, sente di essere integrato e crede che tutto ciò
sia merito della fortuna ma anche del rispetto che ha sempre avuto verso gli altri.
Nikola e Sonja – Albania (cda di Carpi)
Nikola e Sonja vengono da Scutari, città nel Nord dell’Albania al confine con il
Montenegro. È una zona montuosa con un lago che comincia dal loro paese e
finisce in Montenegro, uno dei laghi più grandi dell’Albania, e con il mare
Adriatico a 45 minuti dalla città. Sono cristiani, ma in Albania la maggioranza è
musulmana, a seguire i cristiani, gli ortodossi e gli atei. Tra le religioni non ci
sono tensioni, il fanatismo non è diffuso, oggi ragazzi cristiani si sposano con
ragazze musulmane e viceversa. Per cinquant’anni non hanno avuto la possibilità di professare serenamente la propria fede: solo nel 1990 sono state aperte le
chiese e le moschee e ognuno può seguire le sue idee apertamente. Sono partiti dall’Albania nel 2000 in traghetto, non con il gommone come tanti albanesi
perché viaggiavano con i due figli piccoli. Per venire in Italia hanno fatto un
sacrificio, hanno venduto la casa, i mobili e tutto quello che avevano, perché il
viaggio in traghetto costava tantissimo. Però, confessano, è stato meglio vendere una casa che rischiare di perdere la vita di tutta una famiglia. Se fossero
venuti con il gommone avrebbero pagato mille euro, invece sei anni fa hanno
pagato otto milioni per venire con il traghetto, e otto milioni costava la loro casa.
Nikola lavorava in un bar famoso in città, conosceva tantissime persone, poi tutti
hanno iniziato ad andare via dall’Albania, alcuni con il gommone, qualcuno con
la nave… lui e sua moglie possedevano una casa, i mobili, stavano bene. Poi ha
cominciato a lavorare come cameriere in un ristorante, tutto andava bene, ma
ogni giorno che passava Nikola sentiva un vuoto dentro, piano piano tutti gli
amici e i parenti lasciavano l’Albania, chi andava in Italia, chi in Germania, un
poco alla volta il paese si svuotava. Nikola e Sonja cominciano ad avere paura
per i loro figli, ogni giorno arrivano notizie di qualche morto ammazzato e
dell’insicurezza nel paese. A malincuore hanno scelto di fare un sacrificio e di
lasciare il loro paese, lo hanno fatto per i figli e per un futuro più sereno per tutti
loro. Per venire in traghetto bastava pagare, non è stato difficile procurarsi
passaporti falsi, Nikola è riuscito a passare la frontiera al primo colpo mentre il
resto della sua famiglia ha dovuto ritentare per ben tre volte fino a quando non
hanno pagato quello che richiedevano; a loro comunque non importava, la cosa
più importante era essere tutti insieme. Sono arrivati a Bari, dove Nikola ha
trovato lavoro al mercato ortofrutticolo e lì è rimasto per due anni, fino a quan-
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2. alcuni indicatori di disagio sociale
do è riuscito a ottenere il permesso di soggiorno. Per quei due anni hanno vissuto a Bari da clandestini, senza il coraggio di uscire se non per andare al lavoro.
Finalmente nel 2002 Nikola riesce a mettersi in regola sia con il permesso che
con il lavoro, grazie al suo principale che, appena uscita la legge Bossi-Fini ha
provveduto a tutte le pratiche burocratiche.
Da un anno e mezzo sono a Carpi, dove abita anche un cugino, mentre il fratello risiede a Varese. Ora lui lavora in una ditta mentre Sonja non ha ancora trovato un lavoro e non ha la patente.
Quando erano in Albania credevano che l’Italia fosse un paese pieno di possibilità, ma al loro arrivo si è presentata una realtà ben diversa e nulla hanno trovato di ciò che speravano. Quando erano in Albania e sentivano che in Italia si
trovava lavoro facilmente e si guadagnava 1.600.000 lire al mese, sognavano di
venire qui e dopo pochi anni poter comprare una casa, invece sono trascorsi
cinque anni e ancora faticano a pagare l’affitto.
Alla fine non è come se lo aspettavano, però sono contenti per i loro figli, che
vanno a scuola, imparano e non sono costretti a vivere nella miseria in cui versa
oggi l’Albania. Quando sono arrivati non parlavano italiano, adesso Sonja capisce l’italiano meglio del marito ma ha un po’ di difficoltà a parlarlo, mentre
Nikola, che è più abituato a parlare, non ha problemi, se non con i figli che
ormai non conoscono più l’albanese: ecco perché Nikola e Sonja si rivolgono ai
figli in albanese.
Ancora oggi Nikola e Sonja hanno nostalgia del loro paese e se potessero ritornerebbero in Albania, anche se in tal caso dovrebbero affrontare il problema dei
figli che ormai si sentono italiani. Non hanno dimenticato il loro paese, ancora
oggi inviano denaro per aiutare la famiglia rimasta in patria. Sono però un po’
pentiti di essere venuti in Italia perché qui non li conosce nessuno, mentre in
Albania appartenevano a famiglie note: il padre di Sonja era il primo ballerino
del paese, le sue cugine lavorano alla televisione di Tirana, il cugino è un
cantante famoso, mentre il padre di Nikola era il dottore del paese. Nikola è
stato campione di atletica leggera, ha militato per cinque anni nella nazionale
albanese, cosa che gli ha permesso di vivere bene e di visitare molti posti diversi. Ora qui è diverso, non li conosce nessuno e spesso vengono genericamente
additati come “gli albanesi”.
Rachele – Italia (cda di Parma)
Rachele è una donna sposata con due figli. Dopo diversi anni di matrimonio il
marito viene colpito da una grave forma di depressione e manda in crisi il loro
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rapporto. I tentativi di aggressione di cui Rachele è vittima la inducono alla separazione e la costringono a vivere in condizioni di grande difficoltà psicologica.
A rendere ulteriormente difficile la vita della donna sono i gravi problemi di
natura economica, dovuti alla forte riduzione di uno stipendio già basso, allo
sfratto e ai due figli a carico, che nel frattempo le sono stati affidati. La situazione con il marito è fortemente compromessa: non gli è concesso di vedere i
bimbi. Rachele ha bisogno di aiuto e di conforto, ma non può contare su aiuti
familiari e ha difficoltà a contattare i servizi sociali. Per trovare la via di uscita a
una situazione così complicata è risultato fondamentale il sostegno fornito dal
Centro di ascolto della Caritas, soprattutto per quanto riguarda le continue
minacce subite da parte del marito.
Dopo un primo incontro di conoscenza e ascolto, il Centro si è impegnato a
metterla in contatto con i servizi sociali e con la parrocchia. I servizi sociali
hanno svolto un ruolo fondamentale nel sollecitare l’assegnazione di un alloggio alla donna e attualmente contribuiscono al pagamento dell’affitto e delle
bollette. La parrocchia è diventata un importante punto di riferimento per i due
figli e per Rachele. Dopo aver ottenuto l’alloggio dal Comune, Rachele ha avuto
modo di arredarlo grazie al sostegno di alcune associazioni di volontariato e per
circa un anno ha potuto godere degli alimenti forniti dal Centro. Immediatamente si è instaurato un rapporto di fiducia con gli operatori del Centro che ha
permesso a Rachele di condurre autonomamente una vita più serena e di ritrovare la fiducia in se stessa.
Janhaoui – Tunisia (cda di Parma)
Janhaoui lascia la Tunisia per trasferirsi in Italia senza alcun familiare al seguito. Arriva a Parma senza conoscere la lingua italiana e in condizioni di grave
povertà. Lavora saltuariamente come manovale in nero e alloggia in un casolare abbandonato in compagnia di altre persone.
Il fatto di essere in Italia senza un regolare permesso di soggiorno gli rende
difficile trovare lavoro e alloggio. Così decide di rivolgersi al Centro di ascolto
con la richiesta di accesso al servizio mensa.
Proprio nel periodo in cui frequenta la mensa, Janhaoui scopre di essere malato di sclerosi multipla. La situazione si fa particolarmente complicata a causa
della sua situazione di irregolarità, che gli impedisce di usufruire gratuitamente delle cure necessarie. Scartata l’ipotesi di rimpatrio, poiché nel paese di
origine non avrebbe ricevuto le cure mediche adeguate, il caso viene sottoposto
alla Croce Rossa e alla Prefettura. Janhaoui ottiene un tesserino sanitario per sei
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2. alcuni indicatori di disagio sociale
mesi, che però non è sufficiente per garantire la continuità della terapia medica necessaria. Viene allora contattata una persona che decide di assumerlo, in
modo tale da regolarizzarlo, ma i problemi di salute non gli permettono di
mantenere il lavoro. Il Centro decide allora di contattare i servizi sociali, grazie ai
quali ottiene un appartamento in comune con altri stranieri e gli viene riconosciuta l’invalidità. Nel frattempo un volontario del Centro gli impartisce lezioni di
italiano.
Oggi Janhaoui è un uomo sposato che, grazie agli aiuti ricevuti, ha un lavoro con
regolare contratto e dispone di un alloggio nel quale vive con la moglie e con la
loro bambina.
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Le politiche sociali della Regione
Emilia-Romagna
3.1. Quadro metodologico dell’analisi legislativa: la costruzione
dell’Indice del grado di familiarità delle politiche (igf)
Il concetto di Indice del grado di familiarità delle politiche scaturisce da una
ricerca sulla famiglia e gli anziani proposta dalla cisl e dalla fnp (Federazione nazionale pensionati) che ha trovato sbocco in una pubblicazione dal
titolo Politiche familiari e potenziale sociale (cisl, 2005)1 a cui il presente
paragrafo si richiama.
Lo scopo dell’analisi della legislazione sociale della Regione EmiliaRomagna consiste nell’individuare l’orientamento verso la famiglia in essa
contenuto e nel capire quale spazio è riservato alla famiglia nella legislazione. Detto in altre parole, si tratta di misurare la posizione culturale e
operativa della Regione rispetto al riconoscimento del ruolo attivo delle
famiglie e di verificare la relazione tra tale ruolo e la dinamica della sussidiarietà quale snodo strategico per dedurre la capacità di “produzione” di
libertà e di “ben-essere” delle famiglie stesse. In proposito è opportuno
ricordare quanto afferma Donati (1999): «Il benessere della famiglia
dipende dalle sue capacità di essere libera di generarsi come famiglia. Liberare la famiglia significa perseguire il suo benessere come possibilità
concreta, non virtuale, di essere più famiglia, anziché un’altra cosa. Il che
significa impostare le politiche sociali su due principi guida: la sussidiarietà del sistema politico-amministrativo nei confronti dei mondi vitali delle
famiglie e il ruolo societario dell’associazionismo».
3.1.1. L’oggetto dell’analisi
L’individuazione dei diversi gradi di familiarità nelle politiche regionali si
basa sull’idea dell’esistenza di un continuum virtuale che va dalle politiche
sociali alle politiche familiari. Con l’espressione “politiche sociali” faccia83
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parte prima. il profilo sociale regionale
mo riferimento a quelle politiche che si concentrano su un bisogno anche
per prevenirlo, mentre le “politiche familiari” dovrebbero promuovere il
soggetto famiglia preoccupandosi di riconoscere e promuovere la costituzione e lo sviluppo della stessa valorizzandola come soggetto titolare di
diritti e doveri di cittadinanza. Nella definizione di politiche sociali sono
state incluse tutte quelle leggi e norme volte a regolamentare servizi e
interventi a favore di famiglie, minori, soggetti svantaggiati, anziani, disabili e stranieri; sono state considerate anche le leggi riguardanti l’abitazione e l’educazione, mentre sono state escluse quelle riguardanti la sanità. Le
fonti normative considerate sono tutte di primo livello, ovvero leggi regionali, delibere di Giunta regionale e delibere del Consiglio regionale. Tali
strumenti normativi possono essere ricompresi in tre differenti categorie:
a) norme con un beneficiario finale; b) norme con un beneficiario finale e
un beneficiario indiretto; c) norme con un beneficiario intermedio e un
beneficiario indiretto. L’analisi prende in considerazione solo le prime due
categorie escludendo la terza, perché essa introduce misure che raramente
vanno a incidere sul “ben-essere” della famiglia o dei suoi componenti.
3.1.2. Il metodo
Il metodo adottato per l’analisi della legislazione è quello definito da
Corbetta (2003, pp. 103-4) come analisi del contenuto di tipo misto (qualitativo e quantitativo) che consente una traduzione sintetica dei contenuti, in questo caso, normativi:
Un testo […] può essere analizzato sia in maniera qualitativa, interpretandolo nella
sua globalità e dal punto di vista dei suoi significati; sia in maniera quantitativa,
suddividendolo in elementi omogenei da mettere poi in relazione tra loro. In particolare, l’approccio quantitativo ha dato luogo a una branca della ricerca sociale, la
cosiddetta analisi del contenuto, che utilizza procedure di scomposizione dei testi, al
fine di codificarli in una matrice di dati da sottoporre poi all’analisi statistica.
L’unità di analisi individuata è l’intervento/servizio inteso come «l’insieme di prestazioni e attività che si caratterizzano per un alto livello di
omogeneità, visibilità e organicità rispetto all’utenza, alle finalità, alle strategie e ai processi di erogazione» (Comune di Modena, 2002). Le informazioni per l’analisi sono tratte dal testo normativo e sono classificate in
modo da permettere una traduzione in termini quantitativi che consentano di pervenire alla realizzazione di un indice verbale.
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
Un intervento/servizio può essere analizzato prendendo in considerazione almeno quattro dimensioni: utenza o beneficiario, processi di erogazione o dinamica della sussidiarietà, strategia, attività o azioni. La tabella 3.1
mostra il significato e le modalità attraverso cui queste dimensioni, che
costituiscono l’igf, vengono identificate.
Tabella 3.1. Le quattro dimensioni dell’intervento/servizio
Beneficiari
Relazionalità del soggetto
A quale fascia di relazioni si
rivolge l’intervento?
Sussidiarietà
Sussidiarietà gestionale
Quali e quanti soggetti
vengono coinvolti e come?
Strategia
Integrazione strategica
Quali sono le vie attraverso
le quali l’intervento si
dispiega?
Azioni
Complessità di realizzazione
Quali sono le misure concrete realizzate per
l’intervento?
3.1.3. L’Indice del grado di familiarità
Un indice è la traduzione sintetica di un concetto complesso; esso si costituisce mediante l’aggregazione di indicatori che esprimono anch’essi
variabili o concetti, ma di tipo semplice. La costruzione di un indice è
estremamente complessa e richiede un percorso metodologico rigoroso.
Come specificato all’inizio del paragrafo 3.1, il processo metodologico di
costruzione dell’igf è stato chiaramente esposto nel testo di riferimento e
a esso si rimanda per un approfondimento; in questa sede ci limiteremo
alla descrizione dei componenti dell’igf (gli indicatori e le variabili) e
delle scale di ponderazione delle variabili. Questa descrizione sarà sufficiente per comprendere da dove provengono i valori attribuiti a ciascun
intervento e conseguentemente a ciascuna legge.
L’indicatore beneficiari
La normativa fa sempre riferimento a beneficiari e, in base all’obiettivo
posto e alla disponibilità di informazioni, è stato individuato l’indicatore
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parte prima. il profilo sociale regionale
beneficiari che viene definito dalla quantità di relazioni familiari considerata dalle legislazioni regionali. Pertanto, la variabile di riferimento diviene il numero di relazioni familiari considerate dalla normativa stessa. Il
processo di progressiva quali-quantificazione del sistema di relazioni familiare viene identificato mediante cinque classi (che si ispirano alla classificazione della famiglia proposta dall’istat): a) assenza di indicazioni in
merito al beneficiario e al suo sistema di relazioni; b) indicazione del
singolo beneficiario dell’intervento e assenza di riferimenti al suo sistema
di relazioni; c) indicazione di una coppia quale beneficiario dell’intervento; d) indicazione di una coppia o di un singolo e contemporanea presenza di uno o più figli (o di uno o più anziani); e) indicazione della famiglia
quale beneficiario dell’intervento.
Tabella 3.2. L’indicatore beneficiari
Qs. tabelle non sono molto chiare...
Numero
di relazioni
a
b
c
Intervento 1
Non indicato
Singolo
Coppia
d
Coppia/singolo con figli
e
Famiglia
Intervento 2
Intervento…
L’indicatore sussidiarietà
La seconda dimensione considerata è la complessità relazionale comunitaria, rispetto alla quale è stato individuato un unico indicatore definito dalla
presenza di privato e privato sociale nella gestione dei servizi. La variabile di
riferimento diviene conseguentemente il numero di soggetti privati e del
privato sociale coinvolti e descritti nella legislazione come soggetti gestori
dell’intervento e della rete dei servizi. Il progressivo coinvolgimento di
soggetti privati, del privato sociale e della famiglia è stato classificato in
cinque classi: a) assenza di indicazioni in merito al soggetto gestore dell’intervento; b) non sono coinvolti soggetti del privato o del privato sociale e
l’intervento è implementato esclusivamente da soggetti pubblici; c) sono
coinvolti più soggetti del pubblico che del privato; d) sono coinvolti più
soggetti del privato che del pubblico o solo soggetti privati; e) insieme a
soggetti pubblici e privati, quale che sia il numero dei primi e dei secondi, è
coinvolta la famiglia come soggetto attivo gestore dell’intervento.
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
Tabella 3.3. L’indicatore sussidiarietà
Numero
di relazioni
a
Intervento 1
Non indicato
b
c
Solo
Più
pubblico pubblico
d
e
Più privato
e privato sociale
Famiglie
e associazioni
familiari
Intervento 2
Intervento…
L’indicatore strategie
L’integrazione delle strategie gestionali rappresenta la quarta dimensione di
analisi delle politiche familiari. Rispetto all’obiettivo posto e alla disponibilità informativa data, si è individuato come unico indicatore di tale dimensione quello definito dall’integrazione delle strategie gestionali, ossia dalla
compresenza di strategie necessarie alla gestione efficace ed efficiente delle
politiche. La variabile di riferimento di tale indicatore diviene la presenza
delle quattro strategie essenziali previste dal metodo cg Contenuto (C)
Gestione (G) di una politica (per il metodo cg si veda il capitolo 1 di cisl,
2005): sistema informativo, programmazione partecipata, implementazione
innovativa, monitoraggio comparato. Tali informazioni vengono dedotte
all’interno della normativa, laddove si procede alla descrizione delle modalità di gestione degli interventi; nello specifico: nel sistema informativo
comprendiamo tutte quelle strategie connesse alla creazione di un sistema
informativo finalizzato alla progettazione dell’intervento; nella programmazione partecipata comprendiamo le strategie definite come programmazione, coordinamento, coinvolgimento, raccordo, concertazione, interazione,
integrazione, riorganizzazione e simili; nell’implementazione innovativa
consideriamo voci quali implementazione, formazione, sostegno, priorità,
gratuità, affidamento, studi e ricerche, inserimento, tutela, protezione, e
simili; nel monitoraggio comparato comprendiamo vigilanza, monitoraggio,
verifica, controllo, e simili. Definiamo tale indicatore come indicatore strategie. Nel nostro caso specifico, il processo di qualificazione della gestione
delle politiche viene identificato mediante cinque elementi: a) assenza di
indicazioni rispetto alle strategie di gestione politica/servizio/intervento; b)
presenza di una sola delle quattro strategie previste dal metodo cg; c)
presenza di due delle quattro strategie previste dal metodo cg; d) presenza
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parte prima. il profilo sociale regionale
di tre delle quattro strategie previste dal metodo cg; e) presenza di tutte e
quattro le strategie previste dal metodo cg.
Tabella 3.5. L’indicatore strategie
Numero
di relazioni
a
b
c
d
e
Intervento 1
Non indicato
1a strategia
2a strategia
3a strategia
4a strategia
Intervento 2
Intervento…
L’indicatore azioni
Nella normativa viene sempre descritta la tipologia di servizio offerta e
rispetto a questa si individua la terza dimensione di prossimità alla famiglia,
la quale deve essere vista nel ruolo di attrice. Si tratta di rilevare la programmazione di azioni che riconoscano la famiglia come soggetto attivo.
La variabile di riferimento diviene conseguentemente la caratteristica
dei servizi rispetto alla famiglia e in funzione della sua possibilità di azione e di coinvolgimento.
Il processo di progressivo coinvolgimento della famiglia nelle azioni
implementate viene identificato mediante cinque classi: a) assenza di
indicazioni in merito alla politica/servizio/intervento; b) azioni di tipo
residenziale che ricomprende le rsa, strutture residenziali e simili; c)
azioni di tipo semiresidenziale (strutture semiresidenziali, centri diurni,
nidi e simili); d) azioni di tipo domiciliare (assistenza domiciliare, contributo2 e simili); e) azioni di tipo preventivo (corsi, soggiorni, scambi e
gemellaggi, iniziative culturali, educative e ricreative e simili).
Tabella 3.4. L’indicatore azioni
Numero
di relazioni
Intervento 1
Intervento 2
Intervento…
88
a
b
Non indicato Residenziali
c
d
e
Semiresidenziali
Domicialiari
Preventivi
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
L’impianto concettuale dell’igf delle politiche si traduce nel prospetto
riportato in tabella 3.6.
Tabella 3.6. Indicatore del grado di familiarità (igf)
Concetto
Dimensione
Famiglia
Complessità relazionale Quantità di relazioni
familiare
Complessità relazionale Presenza di privato
comunitaria
e del privato sociale
Sussidiarietà
Libertà
Qualità
Indicatore
Azioni di prossimità
Familiarizzazione
alla famiglia
dei servizi
Gestione delle politiche Presenza e integrazione
di strategie
Variabile
Numero di relazioni
familiari
Numero di soggetti
privati e del privato
sociale
Caratteristica
dei servizi
Numero di strategie
utilizzate
3.2. Descrizione della legislazione regionale
La legislazione della Regione Emilia-Romagna analizzata di seguito ha
riguardato complessivamente diciotto documenti: nove leggi regionali,
sette delibere di Giunta e due delibere di Consiglio.
In alcuni casi sono state individuate diverse norme volte a regolamentare il medesimo intervento e si è proceduto, come descritto dettagliatamente altrove (cfr. cisl, 2005), analizzando le diverse norme in modo
congiunto, confermando in questo modo l’impostazione metodologica
volta a considerare come unità di riferimento l’intervento/servizio.
Un accenno merita la legge quadro regionale sul sistema dei servizi
sociali – L.R. 12 marzo 2003, n. 2, Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali – che non viene analizzata in modo comparato con le altre
norme, trattandosi di una legge di orientamento degli interventi legiferati con norme specifiche.
Presentato il quadro entro cui si svolge l’indagine, è ora possibile formulare una prima considerazione riguardante l’evoluzione in termini temporali
della normativa presa in esame (tab. 3.7). La tabella 3.7 evidenzia che la legislazione regionale in tema di politiche sociali si è completata principalmente
nella seconda metà degli anni novanta: dal 1997 al 2000 sono state infatti
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approvate ben undici leggi delle diciotto esaminate, la cui attenzione principale è rivolta ai minori (cinque norme) e ai disabili (tre norme). Negli ultimi
cinque anni, la normativa esaminata evidenzia che l’attenzione del legislatore si è concentrata sui soggetti svantaggiati (due norme tra il 2001 e il 2005) e
sugli stranieri, ai quali è riferita la legge più recente tra quelle esaminate. Vale
la pena rilevare, inoltre, che al soggetto famiglia è dedicata una sola legge,
quella meno recente, datata 1989.
Tabella 3.7. Leggi e delibere oggetto di indagine – Beneficiari e anno
1989 1990 1994 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2005
Famiglie
1
Minori
2
1
2
Totale
%
1
5,6
5
27,8
Soggetti
svantaggiati
1
Anziani
1
Disabili
1
1
1
Pluritarget
Stranieri
1
Totale leggi 1
1
1
3
16,7
2
11,1
1
3
16,7
1
1
5,6
1
3
16,7
1
18
100
1
1
2
3
1
3
4
1
1
All’interno delle leggi e delle delibere analizzate sono previsti complessivamente 73 interventi/servizi, di cui 13 rivolti alle famiglie, 13 ai minori, 2
ai soggetti svantaggiati, 4 agli anziani, 6 ai disabili, 11 a destinatari plurimi
e 24 agli stranieri.
Tabella 3.8. Leggi e delibere oggetto di indagine – Beneficiari e titolo sintetico
Codice
Beneficiari
Titolo sintetico
er1
er2
er3
er4
er5a
er5b
er6a
Famiglia
Minori
Minori
Minori
Minori
Minori
Soggetti svantaggiati
Sostegno alla procreazione e agli impegni di cura
Servizi educativi per la prima infanzia
Affidamento familiare
Prevenzione dell’abuso sessuale sui minori
Interventi sociali a favore di minori
Interventi residenziali e semiresidenziali per minori
Assegnazione di alloggi di erp
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
Codice
Beneficiari
Titolo sintetico
er6b
er7
er8a
er8b
er9a
er9b
er10
er11
er12
er13
er14
Soggetti svantaggiati
Soggetti svantaggiati
Anziani
Anziani
Disabili
Disabili
Disabili
Pluritarget
Stranieri
Stranieri
Stranieri
Politiche abitative
Inserimento lavorativo delle persone svantaggiate
Tutela e valorizzazione delle persone anziane
Assegno di cura
Integrazione sociale delle persone disabili
Servizio di aiuto personale
Inserimento lavorativo delle persone disabili
Interventi residenziali e semiresidenziali
Interventi a favore degli emigrati
Norme per l’integrazione degli immigrati
Accoglienza a favore degli immigrati
Nota: er identifica un atto normativo della Regione Emilia-Romagna
3.2.1. La normativa rivolta alle famiglie
La normativa rivolta alle famiglie è costituita, nell’analisi che segue, da
una sola norma: si tratta della L.R. 14 agosto 1989, n. 27, Norme concernenti la realizzazione di politiche di sostegno alle scelte di procreazione e agli
impegni di cura verso i figli (er1), che, tra i propri obiettivi, ha quello di
diffondere l’informazione sui temi della sessualità, di promuovere e sostenere la regolazione e il controllo della fertilità e di sostenere le volontà
procreative.
La L.R. 27/1989 prevede tredici interventi: informazione sui temi della
sessualità, interventi per i giovani, tutela della procreazione, controllo
delle malattie congenite, percorso di nascita, tutela psicoaffettiva della
nascita, centro per le famiglie, interventi per problemi relazionali, iniziative promozionali per le donne, assistenza economica, prestiti sull’onore,
assistenza domiciliare, assistenza socioeducativa.
3.2.2. La normativa rivolta ai minori
Relativamente al target minori, sono stati esaminati cinque documenti:
una legge regionale, due delibere di giunta e due delibere di consiglio. La
legge esaminata è la L.R. 10 gennaio 2000, n. 1, Norme in materia di servizi educativi per la prima infanzia (er2), che, avendo l’obiettivo di riconoscere «le bambine e i bambini quali soggetti di diritti individuali, giuridici, civili e sociali», prevede cinque interventi: nido d’infanzia, centro per
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parte prima. il profilo sociale regionale
bambini e genitori, spazio bambini, servizi sperimentali, partecipazione.
Successivamente, sono state considerate la delibera di Giunta 1° febbraio
2000, n. 118, Direttiva regionale in materia di affidamento familiare.
Proposta al consiglio regionale (er3), che, come si evince dal testo, regolamenta l’affido familiare, e la delibera di Giunta 26 ottobre 1999, n. 1913,
Linee di indirizzo in materia di abuso sessuale sui minori. Proposta al consiglio regionale (er4), che traccia gli indirizzi regionali da seguire in merito
alla normativa introdotta a livello nazionale riguardante l’abuso sessuale
sui minori. Infine, è stata esaminata la delibera di Consiglio regionale 12
ottobre 1997, n. 777, Indirizzi per la definizione delle tipologie di intervento sociale a favore dei minori in relazione alle funzioni di carattere socioassistenziale (er5a), congiuntamente alla delibera di Consiglio Regionale 12
ottobre 1997, n. 779, Direttiva sui requisiti funzionali e strutturali, sulle
procedure per il rilascio, la sospensione, la revoca dell’autorizzazione al
funzionamento e sui criteri di vigilanza per le comunità socioassistenziali
residenziali e semi-residenziali per minori (er5b). In questa delibera di
Consiglio (777/1997), oltre ad alcuni interventi di tipo residenziale e
semiresidenziale che non sono stati considerati, perché disciplinati dal
D.G.R. 564/2000 (che esamineremo nel paragrafo 3.2.6), sono previsti i
seguenti sei interventi: interventi socioeducativi, assistenza domiciliare
per minori, centro diurno per minori, adozione, interventi su accertamento dell’autorità giudiziaria, aiuto economico.
3.2.3. La normativa rivolta ai soggetti svantaggiati
Tre sono le norme regionali approvate a tutela dei soggetti svantaggiati.
La prima è la L.R. 8 agosto 2001, n. 24, Disciplina generale dell’intervento
pubblico nel settore abitativo (er6a), che prevede un unico intervento,
vale a dire l’assegnazione in locazione degli appartamenti di edilizia residenziale pubblica.
Tale legge è esaminata congiuntamente alla delibera di Giunta 18
novembre 2002, n. 2172, Proposta al consiglio regionale. L.N. 21/2001 e L.R.
24/2001: programma regionale 2003-2004 di interventi pubblici per le politiche abitative. Primo provvedimento (er6b), che integra le disposizioni
previste dalla legge precedentemente esaminata. La seconda è la L.R. 4
febbraio 1994, n. 7, Norme per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sociale. Attuazione della legge 8 novembre 1991, n. 381 (er7), anch’essa
composta da un solo intervento, vale a dire l’inserimento lavorativo delle
persone svantaggiate.
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
3.2.4. La normativa rivolta agli anziani
Agli anziani sono dedicate due norme: una legge regionale e una delibera di
Giunta. La L.R. 3 febbraio 1994, n. 5, Tutela e valorizzazione delle persone
anziane. Interventi a favore di anziani non autosufficienti (er8a), che intende dettare «norme per l’attuazione di azioni positive che contribuiscano a
mantenere l’anziano nella famiglia e nel tessuto sociale» e che prevede quattro interventi: edilizia abitativa, accoglienza in famiglia, assistenza domiciliare integrata, assegno di cura.
L’assegno di cura, previsto dall’art. 21, c. 3, della L.R. 5/1994, è poi regolamentato dettagliatamente da una norma successiva, la delibera di Giunta
26 luglio 1999, n. 1377, Direttiva sui criteri, modalità e procedure per la contribuzione alle famiglie disponibili a mantenere l’anziano non autosufficiente nel
proprio contesto (er8b). Pertanto, tale delibera è considerata congiuntamente alla legge cui fa riferimento, dato che l’unità di analisi che si considera
non è la legge ma, come approfondito altrove (cfr. cisl, 2005), il singolo
intervento/servizio.
3.2.5. La normativa rivolta ai disabili
Gli interventi per i disabili sono contenuti in tre documenti. Il primo, in
ordine cronologico, è la L.R. 21 agosto 1997, n. 29, Norme e provvedimenti per favorire le opportunità di vita autonoma e l’integrazione sociale delle
persone disabili (er9a), con la quale la Regione Emilia-Romagna «favorisce la vita di relazione e l’integrazione sociale delle persone con disabilità
fisica, psichica e sensoriale». Tale legge disciplina quattro interventi: servizio di aiuto personale, acquisto e adattamento di veicoli, interventi a sostegno dell’autonomia, sensibilizzazione culturale. Il servizio di aiuto personale viene poi regolamentato in dettaglio dalla successiva delibera di
Giunta 1° giugno 1998, n. 778, Direttiva per l’istituzione del servizio di
aiuto personale di cui all’art. 3, c. 3, della L.R. 29/97 e modalità e criteri per
l’accesso ai contributi di cui all’art. 6, c. 6 e all’art. 9, c. 3, della medesima L.R.
29/97 (er9b): tale delibera, come già ricordato sopra, viene considerata
congiuntamente alla legge cui fa riferimento. Infine, al target disabili è
rivolta la L.R. 25 febbraio 2000, n. 14, Promozione dell’accesso al lavoro delle
persone disabili e svantaggiate (er10) che, nel promuovere «il diritto e l’accesso al lavoro delle persone disabili e in stato di svantaggio individuale e
sociale, nel rispetto delle scelte dei singoli destinatari» prevede i seguenti
due interventi: collocamento mirato e convenzioni.
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parte prima. il profilo sociale regionale
3.2.6. La normativa rivolta a più target
La normativa rivolta a destinatari plurimi, di seguito esaminata,
comprende un solo documento. Si tratta della delibera di Giunta 1°
marzo 2000, n. 564, Direttiva regionale per l’autorizzazione al funzionamento delle strutture residenziali e semiresidenziali per minori, portatori di
handicap, anziani e malati di aids, in attuazione della L.R. 12/10/1998, n.
34 (er11), che disciplina i diversi tipi – undici – di strutture previste dal
sistema regionale: centro diurno per anziani, comunità-alloggio, casa di
riposo, casa protetta/rsa, centro socioriabilitativo diurno, centro socioriabilitativo residenziale, casa-alloggio, centro diurno per malati di aids,
comunità di pronta accoglienza, comunità educativa e comunità di tipo
familiare.
3.2.7. La normativa rivolta agli stranieri
Per quanto riguarda il target stranieri, sono state esaminate due leggi
regionali e una delibera di Giunta. Con la prima legge, la L.R. 21 febbraio
1990, n. 14, Iniziative regionali in favore dell’emigrazione e norme per l’istituzione della consulta regionale dell’emigrazione (er12), la Regione prevede «la promozione o lo svolgimento di iniziative ed attività volte a conservare e rinsaldare [...] i legami con la cultura d’origine», nonché «interventi
volti ad agevolare il rientro degli emigrati, il loro inserimento o il reinserimento sociale e produttivo nel contesto socioeconomico della regione» e,
a tal fine, istituisce tredici interventi: attività sociali, interventi socioassistenziali, turismo sociale, formazione professionale, diritto allo studio,
contributi per edilizia residenziale, alloggi di erp (Edilizia residenziale
pubblica), provvedimenti in materia di agricoltura, provvedimenti in
materia di artigianato, interventi per l’occupazione nel commercio, sostegno ad associazioni, ricongiungimento di periodi lavorativi e contributo
per le elezioni.
La seconda legge, la L.R. 24 marzo 2005, n. 5, Norme per l’integrazione
sociale dei cittadini stranieri immigrati. Modifiche alle leggi regionali 21
febbraio 1990 n. 14 e 12 marzo 2003 n. 2 (er13), «ispirandosi all’articolo 3
della Costituzione, è finalizzata al contrasto e al superamento dei fenomeni di razzismo e xenofobia, alla costruzione di una società multiculturale»;
inoltre «si ispira alla garanzia della pari opportunità di accesso ai servizi, al
riconoscimento ed alla valorizzazione della parità di genere». Essa predispone dieci interventi: partecipazione, misure contro la discriminazione,
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
politiche abitative, assistenza sanitaria, servizi per l’infanzia, formazione
professionale, inserimento lavorativo, comunicazione interculturale,
contributi ad associazioni e reinserimento nei paesi di origine. Infine, la
delibera di Giunta 18 maggio 1999, n. 748, Linee guida per l’attuazione del
primo programma delle attività di accoglienza e di assistenza a favore degli
immigrati previste dal D.Lgs. n. 286/1998. Proposta al consiglio regionale
(er14), detta gli indirizzi regionali a seguito dell’approvazione della
normativa introdotta a livello nazionale in materia di accoglienza e assistenza in favore di immigrati.
3.3.
L’Indice del grado di familiarità: la Regione e le norme
3.3.1. L’orientamento generale della normativa regionale
L’igf delle politiche sociali della Regione Emilia-Romagna si attesta su
48,5 punti rispetto ai 100 complessivi.
Tale punteggio risulta come valore medio dei 73 interventi/servizi
previsti dalla legislazione analizzata3, i quali a loro volta afferiscono alle
diciotto leggi e delibere analizzate.
Come già approfondito, il valore dell’igf risulta come somma di quattro valori intermedi riferiti ad altrettanti indicatori diversamente ponderati tra di loro.
Nello specifico, l’igf risulta come somma dell’indicatore beneficiari,
che si attesta su 14 punti sui 32 totali, dell’indicatore sussidiarietà, che totalizza 11,8 punti rispetto ai 32 totali, dell’indicatore strategie, che arriva a
11,9 punti su 20, e, infine, dell’indicatore azioni, che perviene a un valore
di 10,7 rispetto ai 16 complessivi.
Tabella 3.9. Grado di familiarità della legislazione sociale della Regione
Emilia-Romagna
Target
Ind.
beneficiari
Ind.
sussidiarietà
Ind.
strategie
Ind.
azioni
Grado di
familiarità
Totale igf
Peso igf
Rapporto totale
14,0
32,0
11,8
32,0
11,9
20,0
10,7
16,0
48,5
100,0
e peso igf (%)
43,8
36,9
59,5
66,9
48,5
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parte prima. il profilo sociale regionale
In termini assoluti, l’indicatore della Regione che contribuisce maggiormente all’igf è quello relativo ai beneficiari, con 14 punti sui 48,5
complessivamente raggiunti.
Tabella 3.10. Grado di familiarità – Confronto regionale
Ind.
beneficiari
Ind.
sussidiarietà
Ind.
strategie
Ind.
azioni
Grado di
familiarità
11,5
12,7
14,2
11,5
14,1
17,0
16,2
14,1
14,5
13,2
17,5
11,7
9,9
13,0
9,0
8,3
10,3
9,8
9,8
14,1
11,2
6,2
11,4
10,0
10,3
9,7
8,0
9,5
10,9
11,0
11,6
11,7
46,6
45,4
49,5
46,8
46,1
47,2
48,2
44,1
Piemonte
Veneto
Lombardia
Marche
Puglia
Calabria
Sicilia
Sardegna
Fonte: cisl (2005).
Tuttavia, va evidenziato come, in termini relativi, l’indicatore azioni sia
quello più elevato valorizzando ben il 66,9% dei punti a disposizione (tab.
3.9).
Sempre in termini percentuali, inoltre, è interessante il punteggio relativo all’indicatore strategie, che valorizza il 59,5% dei punti complessivi a
disposizione.
Infine, si rileva il livello piuttosto basso dell’indicatore sussidiarietà,
che valorizza solamente il 36,9% del punteggio totale.
3.3.2. L’orientamento particolare delle leggi e delle delibere
Delle diciotto leggi e delibere analizzate, di cui effettive quattordici in
quanto quattro risultano combinate con altre, due superano i 75 punti, sei
totalizzano tra i 50 e i 60 punti, una è tra i 40 e i 50 punti e ben cinque
sono sotto i 40 punti.
Il punteggio più elevato registrato è 80 e riguarda la legge sull’assegnazione di alloggi di erp (er6); per contro, la legge che registra il grado di
familiarità più basso, totalizzando 34 punti, è quella che riguarda l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate (er7).
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
Tabella 3.11. Grado di familiarità delle leggi e delibere oggetto di indagine
Ind.
Ind.
Ind.
Ind.
beneficiari sussidiarietà strategie azioni
er1
er2
er3
er4
er5
er6
er7
er8
er9
er10
er11
er12
er13
er14
Sostegno alla procreazione
e agli impegni di cura
Servizi educativi
per la prima infanzia
Affidamento familiare
Prevenzione dell’abuso
sessuale sui minori
Interventi sociali
a favore di minori
Assegnazione
di alloggi di erp
Inserimento lavorativo
delle persone svantaggiate
Tutela e valorizzazione
delle persone anziane
Integrazione sociale
delle persone disabili
Inserimento lavorativo
delle persone disabili
Interventi residenziali
e semiresidenziali
Interventi a favore
degli emigrati
Norme per l’integrazione
degli immigrati
Accoglienza a favore
degli immigrati
Totale
Grado di
familiarità
18,5
12,3
11,9
13,2
55,9
22,4
8,0
17,6
32,0
13,0
20,0
10,4
16,0
63,4
76,0
8,0
16,0
10,0
16,0
50,0
22,7
16,0
9,1
14,0
61,8
32,0
16,0
20,0
12,0
80,0
8,0
0,0
10,0
16,0
34,0
20,0
18,0
18,7
9,0
65,7
8,0
12,0
7,5
12,0
39,5
8,0
12,0
7,5
8,0
35,5
8,0
8,0
15,0
5,1
36,1
11,7
5,5
5,8
12,9
35,9
10,4
12,8
16,5
7,6
47,3
8,0
24,0
10,0
16,0
58,0
14,0
11,8
11,9
10,7
48,5
3.4. L’igf e le rappresentazioni di politica sociofamiliare
Come precedentemente affermato, l’igf delle politiche sociali della
Regione Emilia-Romagna si attesta su 48,5 punti rispetto ai 100 complessivi. Ciò risulta come somma dell’indicatore beneficiari (14), dell’indicatore sussidiarietà (11,8), dell’indicatore strategie (11,9) e dell’indicatore
azioni (10,7). Aggregando i valori degli interventi per target (tab. 3.12)
emerge come l’igf delle leggi e delibere rivolte agli anziani sia quello più
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parte prima. il profilo sociale regionale
elevato, con 65,7 punti, segue quello relativo ai minori, con 62,6 punti, e
quello relativo ai soggetti svantaggiati, con 57 punti. Troviamo poi a pochi
punti di distanza l’igf delle leggi e delibere rivolte alle famiglie (55,9
punti), mentre decisamente basso risulta essere il valore assunto dall’igf
per gli altri target, vale a dire per gli stranieri (41,6 punti), per i disabili
(38,2 punti) e per le leggi rivolte a destinatario plurimo (36,1 punti).
Tabella 3.12. Grado di familiarità delle leggi e delibere – Aggregazione
per target
N.
Target
leggi
1
5
3
2
3
1
3
Leggi rivolte a famiglie
Leggi rivolte a minori
Leggi rivolte a soggetti
svantaggiati
Leggi rivolte ad anziani
Leggi rivolte a disabili
Leggi rivolte
a destinatario plurimo
Leggi rivolte a stranieri
Totale igf
Peso igf
Rapporto totale
e peso igf (%)
Ind.
Ind.
Ind.
beneficiari sussidiarietà strategie
Ind.
azioni
Grado di
familiarità
18,5
20,3
12,3
17,9
11,9
11,5
13,2
12,9
55,9
62,6
20,0
20,0
8,0
8,0
18,0
12,0
15,0
18,7
7,5
14,0
9,0
10,7
57,0
65,7
38,2
8,0
11,0
8,0
9,3
15,0
10,4
5,1
10,9
36,1
41,6
14,0
32,0
11,8
32,0
11,9
20,0
10,7
16,0
48,5
100,0
43,8
36,9
59,5
66,9
48,5
Le leggi/delibere rivolte alle famiglie si caratterizzano per un punteggio
abbastanza elevato rispetto all’ind. beneficiari (18,5 punti su 32), all’ind.
azioni (13,2 punti su 16) e all’ind. strategie (11,9 punti su 20), mentre l’ind.
sussidiarietà ottiene un valore piuttosto basso (12,3 punti su 32). Per le
leggi/delibere rivolte a minori si registra un ind. beneficiari molto elevato
(20,3 punti su 32), cui corrispondono valori medio-alti anche per l’ind.
sussidiarietà (17,9 punti su 32), l’ind. strategie (11,5 punti su 20) e l’ind.
azioni (12,9 punti su 16). Le leggi rivolte a soggetti svantaggiati conseguono valori elevati per l’ind. beneficiari (20 punti su 32), per l’ind. strategie
(15 punti su 20) e per l’ind. azioni (14 punti su 16), mentre l’ind. sussidia98
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
rietà consegue un valore decisamente basso (8 punti su 32). Le leggi rivolte al target anziani presentano un valore molto elevato per l’ind. strategie
(ben 18,7 punti su 20), valori elevati per l’ind. beneficiari (20 punti su 32)
e per l’ind. sussidiarietà (18 punti su 32) e un valore intermedio per l’ind.
azioni (9 punti su 16).
Le leggi/delibere rivolte al target disabili e al target stranieri presentano
valori abbastanza bassi in tutti e quattro gli indicatori, mentre quelle rivolte a destinatari plurimi presentano sì un valore elevato nell’ind. strategie
(15 punti su 20), ma valori estremamente bassi in tutti gli altri indicatori:
l’ind. beneficiari e l’ind. sussidiarietà conseguono entrambi 8 punti,
mentre l’ind. azioni ottiene solamente 5,1 punti.
3.5. L’indicatore beneficiari: luci e ombre
L’indicatore beneficiari – come già ricordato – è quello che maggiormente
contribuisce, con 14 punti, al conseguimento dei 48,5 punti dell’igf della
Regione Emilia-Romagna, anche se percentualmente valorizza molto
meno della metà del punteggio potenziale (il 43,8% del punteggio totale
dell’indice). A fronte di valori abbastanza elevati in corrispondenza delle
leggi a favore della famiglia, dei minori, dei soggetti svantaggiati e degli
anziani, l’indicatore assume invece valori molto bassi nelle leggi riguardanti i disabili (solo 8 punti su 32), gli stranieri e i destinatari plurimi.
Questo dato permette quindi di trarre un primo elemento di giudizio sulla
relazionalità del target delle leggi della Regione Emilia-Romagna, basato
su due considerazioni: a) l’elevato coinvolgimento della famiglia in quei
target che possono essere considerati più “familiari”; b) la difficoltà di
estendere tale visione agli altri destinatari.
3.5.1. Buone leggi per molti target
Il primo aspetto degno di nota dell’indicatore beneficiari della legislazione dell’Emilia-Romagna riguarda il fatto che molti target, come emerge
anche dalla tabella 3.12, conseguono un punteggio elevato in questo indicatore. Ciò è vero per la legislazione rivolta alle famiglie, come emerge
dall’analisi, ad esempio, dell’intervento er1-7-Centro famiglie, diretto alle
«famiglie», ma è significativo rilevare che anche altri target conseguono un
punteggio elevato. Così, nella legislazione rivolta ai minori sono previste
diverse misure innovative: ad esempio, l’intervento er2-2-Centro per
bambini e genitori, che offre «accoglienza ai bambini insieme ai loro geni99
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parte prima. il profilo sociale regionale
tori», oltre all’intervento er2-5-Partecipazione, diretto alle «famiglie».
Analogamente accade per la legislazione rivolta ai soggetti svantaggiati:
l’intervento er6-Assegnazione di alloggi di erp è infatti diretto «ai nuclei
aventi diritto», ove «per nucleo avente diritto s’intende la famiglia costituita dai coniugi e dai figli legittimi, naturali, riconosciuti e adottivi e
dagli affiliati, con loro conviventi». Infine, anche gli anziani sono considerati spesso in relazione alla rete familiare cui afferiscono, come accade
nell’intervento er8-4-Assegno di cura, rivolto alle «famiglie disponibili a
mantenere l’anziano nel proprio contesto». Proprio in questo caso si
evidenzia la buona impostazione della legge, dato che dell’assegno di cura
può beneficiare non solo l’anziano, che è sicuramente il destinatario finale, ma anche le persone con le quali il soggetto più direttamente coinvolto si relaziona.
3.5.2. La fatica a “estendere la famiglia” agli altri target
Accanto a questi target inseriti in un contesto di relazionalità familiare, la
legislazione dell’Emilia-Romagna presenta, per gli altri target, un basso
livello di familiarità degli interventi. Nel caso degli interventi rivolti a
destinatario plurimo emerge il solito problema delle politiche concepite in
modo standard, per le quali le strutture socioassistenziali e sociosanitarie
sono dirette solo all’individuo senza tenere in considerazione il contesto
nel quale vive.
Invece, nel caso dei target disabili e stranieri pare sussistere una carenza legislativa piuttosto grave. Se si considera il target disabili, ad esempio,
sia l’intervento er9-2-Acquisto e adattamento di veicoli che l’intervento
er9-3-Interventi a sostegno dell’autonomia sono diretti a un beneficiario
singolo, quasi che per la famiglia non sia previsto un ruolo di sostegno al
portatore di handicap. Considerando la particolare debolezza del target
disabili, pare che questa carenza legislativa non possa essere considerata di
secondo piano.
3.6. L’indicatore sussidiarietà: il punto debole
L’indicatore sussidiarietà – come ricordato – presenta un valore abbastanza basso, pari a 11,8 punti su 32: ciò equivale a dire che viene valorizzato
solo il 36,9% dell’indicatore. Il dato è abbastanza negativo e peggiora il
risultato decoroso ottenuto dall’indicatore beneficiari. I punti da sottolineare sono i seguenti: a) il buon livello che l’indicatore raggiunge per alcu100
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
ni target, soprattutto minori e anziani; b) l’eccessiva presenza, in generale,
di interventi a sussidiarietà zero, accompagnata allo scarso coinvolgimento sia dei soggetti privati che della famiglia.
3.6.1. Buona sussidiarietà per anziani e minori
Una prima caratteristica positiva dell’indicatore sussidiarietà riguarda il
buon livello che esso raggiunge per i target anziani e minori, per i quali, in
sostanza, si configurano leggi che inseriscono tali target in un buon sistema di relazioni. Per quanto riguarda gli anziani, l’intervento er8-1-Edilizia abitativa considera numerosi soggetti privati: cooperative di abitazione, cooperative sociali, imprese di costruzione, associazioni e soggetti
privati genericamente intesi; e l’intervento er8-2-Accoglienza in famiglia
prevede, chiaramente, il coinvolgimento della famiglia.
Se si concentra l’attenzione agli interventi rivolti ai minori, il quadro è
altrettanto positivo: l’intervento er2-1-Nido d’infanzia prevede il coinvolgimento delle famiglie; inoltre, il coinvolgimento di soggetti privati è
previsto in molti altri casi, come per l’intervento er2-2-Centro per bambini e genitori, per l’intervento er2-3-Spazio bambini e anche per l’intervento er4-Prevenzione dell’abuso sessuale sui minori.
3.6.2. Molti problemi di impostazione
I buoni risultati che la legislazione dell’Emilia-Romagna evidenzia per i
target minori e anziani non devono far perdere di vista le gravi carenze che
l’indicatore sussidiarietà mostra.
Infatti, ben 14 interventi su 73 – vale a dire il 19,2% del totale – non
presentano il coinvolgimento di nessun soggetto; inoltre, sono pochi gli
interventi in cui i soggetti privati sono coinvolti – solo 27 su 73, meno del
37% del totale – e, tra questi interventi, solamente in cinque casi è coinvolta la famiglia. Emerge, quindi, una situazione in cui non solo è predominante – e forse eccessivo – l’intervento del settore pubblico, ma soprattutto è cronica e manifesta la difficoltà di coinvolgere la famiglia nella
realizzazione degli interventi, anche laddove tale coinvolgimento sarebbe
stato agevole.
Perché, infatti, se nell’intervento er2-1-Nido d’infanzia, di tipo semiresidenziale, viene giustamente coinvolta la famiglia, nell’intervento er111-Centro diurno per anziani, di tipo semiresidenziale anch’esso, la famiglia
non viene coinvolta?
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parte prima. il profilo sociale regionale
In secondo luogo, il coinvolgimento della famiglia sarebbe risultato
agevole in quei casi nei quali il target risulta essere estremamente debole:
nell’intervento er9-1-Servizio di aiuto personale non è chiaro perché l’aiuto al disabile debba essere fornito – legittimamente – da diversi soggetti,
sia pubblici che privati, ma non possa essere fornito né da famiglie, né da
associazioni familiari.
Queste lacune evidenziano una volta di più la difficoltà di superare il
modo standard attraverso il quale le politiche per la famiglia vengono
formulate: la realizzazione di politiche per la famiglia, infatti, non deve
solamente prevedere la famiglia come destinatario – cosa che può sembrare unicamente di facciata – , ma deve coinvolgere – ove possibile – la famiglia stessa nella realizzazione dell’intervento.
3.7. L’indicatore strategie: una discreta integrazione
L’indicatore strategie – come già ricordato – presenta un valore medioalto, conseguendo 11,9 punti su 20, con un grado di copertura del 59,5%.
Il valore medio-alto espresso può trovare nelle seguenti riflessioni un suo
approfondimento: a) la presenza di diversi interventi a elevata integrazione; b) la presenza ancora troppo ampia di lacune e incoerenze.
3.7.1. Picchi di ottima integrazione
Il buon punteggio che la Regione Emilia-Romagna consegue nell’indicatore strategie è dovuto alla buona impostazione di alcune leggi. La legge
er8-Tutela e valorizzazione delle persone anziane, ad esempio, al suo interno prevede diverse misure realizzate con quattro strategie: gli interventi
er8-2-Accoglienza in famiglia, er8-3-Assistenza domiciliare integrata ed
er8-4-Assegno di cura. Anche la legge er13-Norme per l’integrazione degli
immigrati presenta una buona impostazione e in alcuni interventi (tra gli
altri, er13-2-Misure contro la discriminazione, er13-7-Inserimento lavorativo) sono previste tutte e quattro le strategie. Da segnalare inoltre anche la
er11-Interventi residenziali e semiresidenziali che, sebbene consegua
punteggi bassi negli altri indicatori, presenta però un buon livello di integrazione, dato che in tutti gli interventi sono presenti le strategie di informazione, valutazione e implementazione.
Deve essere inoltre sottolineato che, in molti casi, la strategia di informazione è correttamente accompagnata alla strategia di valutazione,
creando perciò un buon binomio: ciò è vero, oltre che nella er11-Interven102
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3. le politiche sociali della regione emilia-romagna
ti residenziali e semiresidenziali sopra menzionata, anche per la er13Norme per l’integrazione degli immigrati e per l’intervento, che prevede la
realizzazione tutte e quattro le strategie, er1-2-Interventi per i giovani.
3.7.2. Lacune e incoerenze
Se è vero che nelle ultime leggi sopra menzionate la strategia di informazione si accompagna giustamente a quella di valutazione, ciò non è vero
per altre norme. Infatti, la legge er1-Sostegno alla procreazione e agli impegni di cura – a eccezione dell’intervento di cui sopra, er1-2-Interventi per i
giovani – prevede unicamente la strategia di informazione, senza considerare la valutazione. È chiaro che in questa situazione si generano un’incoerenza e un doppio problema causato, da un lato, dalla mancanza della strategia di valutazione, e dall’altro, paradossalmente, dall’inutilità della
strategia di informazione. A che cosa serve, infatti, avere informazioni se
non le si valutano?
Il secondo problema è dato dalla scarsa presenza della strategia di
programmazione, che dovrebbe costituire il cuore di un intervento. Essa,
infatti, pare essere prevista in modo non organico e abbastanza casuale. In
alcuni casi, infatti, è prevista la programmazione da sola, senza informazione e senza valutazione: è chiaro che questi interventi, come er5-1-Interventi socioeducativi o er10-1-Collocamento mirato, basando la propria
programmazione su informazioni inesistenti e su una valutazione assente,
non possono essere considerati ben strutturati.
In molti altri casi, tuttavia, la strategia di programmazione semplicemente manca.
Manca in quei casi in cui sono presenti sia l’informazione che la valutazione, cosa che può far sorgere qualche dubbio sull’efficacia dell’intervento ma, soprattutto, manca in quei casi, non trascurabili, in cui l’intervento prevede unicamente la strategia di implementazione senza dar vita a
un minimo di programmazione.
3.8. L’indicatore azioni: misure varie e di prossimità
L’indicatore azioni – come già ricordato – presenta un valore pari a 10,7
punti su 16, con un elevato grado di copertura, pari al 66,9%. Quest’ultimo rappresenta il valore medio più elevato tra i quattro indici analizzati e
può essere meglio compreso analizzando le caratteristiche degli interventi
messi in atto.
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parte prima. il profilo sociale regionale
Il punteggio elevato è infatti dovuto alla presenza di molti interventi di
prossimità al destinatario rispetto al totale degli interventi: infatti, ben 36
interventi su 73, ovvero il 49,3% del totale, sono di tipo preventivo od
orientativo. Inoltre, va messa in risalto la presenza di misure di buona
varietà: così, l’intervento er12-1-Attività sociali prevede lo svolgimento di
«dibattiti e manifestazioni artistiche», l’intervento er10-1-Collocamento
mirato eroga «borse di lavoro» e l’intervento er9-1-Servizio di aiuto personale intende realizzare «l’interpretariato per non udenti».
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Parte seconda
I Centri di ascolto diocesani
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4
Centri di ascolto e Osservatori
delle povertà*
4.1. Come creare rete nel territorio
È difficile individuare la data esatta della nascita dei primi Centri di ascolto. Nel primo seminario sui Centri di ascolto, promosso dalla Caritas
italiana nel 1984, si poté appurare che il 10% dei Centri rappresentati
all’incontro era sorto tra il 1969 e il 1972. Questi, quindi, gli anni in cui si
può far risalire la prima comparsa dei Centri di ascolto. Essi nascono
prima della Caritas Italiana, negli anni in cui soffiava il vento del Concilio
Ecumenico Vaticano ii e si cercava di vivere le indicazioni della Gaudium
et Spes (1966): «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto, sono pure le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».
La Caritas Italiana, istituita nel luglio 1971, è stata la principale cassa di
risonanza, lo strumento moltiplicatore di questa realtà e l’organismo che
ha maggiormente contribuito a mettere a fuoco le caratteristiche di questo
nuovo servizio. Purtroppo manca una documentazione completa dell’iter
dei Centri di ascolto all’interno della Chiesa e della società italiana. Uno
strumento prezioso è costituito dal Quaderno Caritas n. 22 sui Centri di
ascolto (Caritas Italiana, 1984), che raccoglie la prima ricerca sui Centri di
ascolto in Italia, in preparazione al seminario del 1984, che ha rappresentato il primo tentativo di identificazione delle linee comuni di queste esperienze che nascevano, a volte spontaneamente, all’interno delle diocesi e
delle parrocchie.
Dall’analisi della documentazione emergono due tipi di esigenze di
partenza:
• conoscere le povertà, i bisogni e i problemi in termini personalizzati,
*
Il presente capitolo è stato adattato da Bursi, Cavazza, Nanni (2000).
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
nell’ambito di una relazione che consenta un accompagnamento delle
persone verso una situazione di autonomia;
• conoscere in concreto le situazioni di povertà affinché la comunità cristiana possa svolgere il proprio servizio di animazione e di coinvolgimento.
Le finalità essenziali dei Centri di ascolto venivano identificate nell’ascolto e
nell’orientamento: la funzione dell’ascolto consiste in un colloquio che mette
a proprio agio l’interlocutore e tenta di comprendere la situazione globale e
quella del contesto in cui vive la persona; l’orientamento o accompagnamento è la seconda fase del servizio, in cui si cerca di indicare alla persona la struttura o il servizio, tra quelli presenti sul territorio, maggiormente adatto per la
soluzione dei bisogni espressi. Fin dall’inizio, però, i Centri di ascolto si sono
trovati di fronte alla carenza e all’inadeguatezza delle risposte sociali sia
pubbliche che private sul territorio. Da questa constatazione sono nate negli
stessi Centri due tendenze: da una parte spingere la società civile a creare
nuovi servizi in risposta ai bisogni, dall’altra affiancare ai Centri di ascolto
Centri di prima accoglienza per rispondere ai bisogni urgenti.
Un altro nodo evidenziato dal Seminario del 1984 era quello degli
“operatori” impegnati all’interno dei Centri di ascolto. Si mise in evidenza
la necessità di un percorso formativo per aiutare gli operatori a disporre
degli strumenti necessari a svolgere il loro servizio.
Un’altra intuizione fondante emersa dal Seminario è quella del rapporto tra Centro di ascolto e comunità cristiana: il Centro di ascolto è lo strumento della comunità cristiana per conoscere i poveri e per coinvolgere
tutta la comunità cristiana e sociale nella soluzione dei loro bisogni. Dal
1984 in poi i Centri di ascolto si sono andati moltiplicando a livello di
diocesi, decanati e parrocchie.
Nel 1991, in concomitanza con l’avvio del decennio consacrato al tema
“evangelizzazione e testimonianza della carità”, si celebra il secondo Seminario sui Centri di ascolto, da cui traspare il grande interesse per i Centri di
ascolto nelle Caritas diocesane, anche se con alcune sperequazioni territoriali: sono più numerosi al Nord rispetto al Sud. Ma soprattutto si evidenzia il
fatto che le povertà si sono andate progressivamente allargando negli anni,
creando Centri di ascolto specializzati per alcuni tipi di povertà (immigrati,
disagio giovanile ecc.). Dal Seminario non sono emerse novità sostanziali
per quanto riguarda l’identità dei Centri di ascolto, ma si sono approfondite, a partire dall’esperienza vissuta, le finalità essenziali; si è analizzato il
rapporto con la comunità ecclesiale nelle varie dimensioni (diocesana,
parrocchiale) e si è messo in evidenza il rapporto che si stabilisce tra l’Osser108
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
vatorio delle povertà e i Centri di ascolto, che possono assumere la funzione
di “terminali” che forniscono dati qualificativi sulle povertà.
Si è inoltre chiarito il rapporto tra Centro di ascolto e Caritas: il Centro di
ascolto è uno strumento che non può sostituire né la Caritas nella sua funzione pedagogica né la comunità cristiana nella responsabilità della testimonianza. È la Caritas che aiuta la comunità a realizzare concretamente e in tutte le
sue dimensioni (catechesi, liturgia, pastorale della famiglia ecc.) la scelta
preferenziale dei poveri (cfr. “Italia Caritas”, 11.6/1991, pp. 7-12). I Centri di
ascolto hanno continuato il loro cammino a diretto contatto con i poveri e
gli emarginati sino al Convegno celebrato a Senigallia nel 1997, in cui hanno
mostrato il volto della loro maturità. Si è notato, infatti, che la realtà dei
Centri di ascolto si moltiplica a livello nazionale e sta diventando una presenza “capillare” in tutte le diocesi italiane. È anche vero che molti di essi hanno
pochi anni di vita, mentre altri sono ancora in fase di costituzione e quindi
non hanno l’esperienza quasi ventennale dei primi Centri di ascolto sorti
nelle grandi diocesi (Roma, Milano, Torino ecc.). Questo elemento crea
difficoltà e ricchezza insieme, come emerge dalle relazioni del Convegno e
dalle sintesi dei lavori di gruppo, pubblicate in “Italia Caritas”, mensile della
Caritas Italiana (1998). Dal Convegno sono emerse le seguenti necessità:
operare un monitoraggio dei cda in Italia, offrire occasioni di scambio di
esperienze e organizzare momenti di confronto e verifica a livelli diversi
(nazionale o regionale) a tappe più ravvicinate. In molte diocesi è rilevabile
un insufficiente livello di chiarezza tra funzioni e ruoli dei Centri di ascolto e
degli Osservatori delle povertà. Spesso si usa con molta disinvoltura un
termine o l’altro, mentre in realtà si tratta di strutture con finalità diverse e
alcune caratteristiche comuni. Come è stato chiarito a più riprese in diverse
occasioni di confronto e in una serie di pubblicazioni della Caritas Italiana, i
Centri di ascolto dovrebbero caratterizzarsi come strumenti operativi, espressione della comunità cristiana locale, rivolti alle persone come prima risposta
ai loro bisogni di orientamento, di ascolto e di accoglienza.
I Centri di ascolto costituiscono un luogo di accoglienza, filtro, indirizzo, distribuzione di informazioni, presa in carico dei bisogni individuali
delle persone; essi sono utili punti di riferimento e di orientamento delle
persone in difficoltà, caratterizzandosi allo stesso tempo come “stimolo”
diretto a favorire esperienze di accoglienza o di aiuto concreto nella Chiesa
locale. L’Osservatorio delle povertà costituisce invece uno strumento di
lettura/interpretazione della realtà al servizio di tutta la pastorale diocesana
per osservare, comunicare e coinvolgere il territorio sul tema della povertà e
dell’emarginazione sociale. Per sua natura, lo strumento dell’Osservatorio
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
non è rivolto a una finalità di assistenza diretta nei confronti delle persone e
delle famiglie, ma si colloca su un livello superiore di studio e osservazione
della realtà concreta. Oltre a questi aspetti di differenza, vanno comunque
ricordati alcuni punti in comune tra i due organismi:
• espressione della comunità cristiana;
• radicamento sul territorio;
• attenzione alla centralità della persona e alla dimensione della promozione umana.
Una volta definite le singole identità dei due organismi, è necessario soffermarsi sull’utilità della collaborazione degli Osservatori con i cda e su alcune
possibili piste di lavoro comune. Nella maggior parte dei casi, il Centro di
ascolto è considerato, nell’ottica del lavoro di osservazione, come una semplice fonte di dati e informazioni, tralasciando tutta la dimensione del coinvolgimento, della progettazione comune, dell’osservazione congiunta di una
realtà in continuo mutamento. A questo riguardo, da un punto di vista
metodologico, i Centri di ascolto possono rivelarsi particolarmente utili nella
costruzione di strumenti di rilevazione dei dati sulla povertà. In alcuni contesti locali è stato avviato un proficuo lavoro di collaborazione tra “osservatori”
e “operatori”, rivolto a dotare questi ultimi di strumenti in grado di qualificare meglio l’attività svolta a contatto con gli utenti, promuovendo tra gli
operatori dei Centri di ascolto una maggiore consapevolezza sull’utilità della
raccolta e dell’analisi dei dati, sensibilizzando gli stessi sulla necessità di fornire dati e informazioni ai ricercatori dell’Osservatorio. Ad esempio, l’attività
congiunta di operatori, volontari e ricercatori, condotta da alcuni anni presso i Centri di ascolto e l’Osservatorio interdiocesano delle povertà di CarpiModena, ha consentito di giungere alla definizione di una scheda di registrazione dati da utilizzare nei colloqui con gli utenti; si è predisposto un
software, oggi alla seconda versione, che consente non solo il caricamento
dati, ma anche una rapida consultazione dell’archivio degli utenti, degli
interventi condotti, dei bisogni soddisfatti.
Gli operatori dei Centri di ascolto possono inoltre essere coinvolti in
ricerche e rilevazioni sul campo, secondo diverse modalità: raccolta di
dati relativi agli utenti Caritas; redazione comune di schede di rilevazione, utili sia per l’osservazione dei dati che per l’attività degli operatori;
compilazione e restituzione di schede di rilevazione predisposte dalla
Caritas diocesana o nazionale; organizzazione di lavori di gruppo e di
momenti seminariali sulle cause dei problemi sociali e sugli aspetti metodologici legati alla rilevazione dei dati. In altri casi è possibile coinvolgere
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
gli operatori dei Centri di ascolto in percorsi comuni di definizione di interventi e politiche sociali. A questo riguardo non mancano interessanti esperienze di collaborazione tra i Centri di ascolto e le amministrazioni locali
sotto diverse dimensioni di collaborazione. Per la loro attività in “prima
linea” nelle situazioni “reali” di povertà e disagio sociale, i Centri di ascolto
sono in grado di fornire un supporto informativo e propositivo agli operatori pubblici e privati del settore socioassistenziale, nonché agli amministratori locali, stimolando la riflessione e il confronto sui problemi dell’emarginazione, della povertà, sulle problematiche emergenti, sulle situazioni di
disagio non coperte dai servizi.
4.2. I Centri di ascolto Caritas della regione Emilia-Romagna
Attualmente la regione Emilia-Romagna conta quindici diocesi, raggruppate in tre province ecclesiastiche:
• provincia ecclesiastica di Bologna (con le diocesi suffraganee di Faenza-Modigliana, Ferrara-Comacchio e Imola);
• provincia ecclesiastica di Modena-Nonantola (con le diocesi suffraganee
di Carpi, Fidenza, Parma, Piacenza-Bobbio e Reggio Emilia-Guastalla);
• provincia ecclesiastica di Ravenna-Cervia (con le diocesi suffraganee di
Cesena-Sarsina, Forlì-Bertinoro, Rimini e San Marino-Montefeltro).
Ogni diocesi ha attivato almeno un Centro di ascolto Caritas diocesano
oltre a numerosi Centri di ascolto parrocchiali; in questa sede si intende
dare conto dell’attività dei soli Centri di ascolto diocesani, nella consapevolezza che esistono molte altre attività che in questa sede non saranno
prese in esame.
A ogni Centro di ascolto è stata distribuita una scheda allo scopo di
mappare le attività svolte, suddividendole in tre tipologie.
1. Attività di ascolto e orientamento:
• ascolto;
• orientamento ai servizi sociali;
• orientamento ai servizi sanitari;
• orientamento al lavoro;
• servizio di informazioni.
2. Fornitura di beni materiali:
• fornitura vestiti;
• fornitura cibo;
• fornitura mobilio;
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
•
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3.
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•
•
•
•
•
•
sussidi economici per pagamento bollette;
sussidi economici con denaro diretto;
sussidi economici con buoni.
Fornitura di servizi:
formazione;
consulenze professionali;
accoglienza in famiglie;
accoglienza in comunità;
servizio mensa;
dormitorio;
assistenza diretta a domicilio;
accompagnamento;
servizio di ricerca casa;
servizio di ricerca lavoro.
La figura 4.1 mette in evidenza come la tipologia di servizi offerti dai
Centri di ascolto diocesani delle Caritas sia prevalentemente quella di
ascolto e orientamento ai servizi, seguita dalla fornitura di beni materiali
ed economici e dalla fornitura di servizi di vario genere; ciò rispecchia in
gran parte la vocazione dei Centri di ascolto, che primariamente sono
luoghi in cui si raccoglie il bisogno al quale nella maggior parte dei casi si
risponde con interventi diretti (denaro, accoglienza, beni materiali).
Figura 4.1. Tipologia di servizi offerti
Fornitura servizi
Ascolto e orientamento
Fornitura di beni materiali
ed economici
La tabella 4.1 presenta nel dettaglio i servizi offerti dai singoli Centri di
ascolto; il servizio di ascolto è l’unico servizio che viene fornito da tutti i
Centri, seguono i servizi di fornitura cibo e servizi di informazione (14
centri su 15).
112
Reggio
Attenzione: occorre verificare la corrispondenza dei dati
di questa tabella con quelli riportati in tutte le schede
successive
•
16
•
12
12
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Piacenza
10
•
•
•
•
•
•
•
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•
•
Parma
•
12
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Modena
•
•
19
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Imola
•
13
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Forlì
15
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Ferrara
•
10
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Fidenza
•
8
•
•
•
•
•
•
•
Faenza
9
•
•
•
•
•
•
•
•
•
12
•
•
•
•
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•
•
•
•
•
•
•
Cesena
(*) Il Centro di ascolto di Carpi gestisce inoltre due appartamenti.
(**) Il Centro di ascolto di Bologna immigrati offre anche servizio di trasporto e di counselling oltre a percorsi specifici art. 18 legge Bossi-Fini per vittime di tratta.
(***) Il Centro di ascolto di Bologna italiani offre anche servizio di trasporto e di counselling.
•
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•
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•
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Carpi (*)
13
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•
•
•
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Bologna
immigrati (**)
•
13
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•
•
Bologna
italiani (***)
12
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Fornitura servizi
Accoglienza in comunità
Accoglienza in famiglie
Servizio mensa
Dormitorio
Servizio di ricerca casa
Servizio di ricerca lavoro
Assistenza diretta a domicilio
o presso strutture
Servizio di informazioni
Accompagnamento
Formazione
Consulenze professionali
Totale
Rimini
•
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Fornitura beni materiali ed economici
Sussidi economici per pagamento utenze
Sussidi economici con denaro diretto
Sussidi economici con buoni d’acquisto
Fornitura vestiti
Fornitura cibo
Fornitura mobilio
Ascolto e orientamento
Ascolto
Orientamento ai servizi sociali
Orientamento ai servizi sanitari
Orientamento al lavoro
Ravenna
Tabella 4.1. Servizi offerti per Centro di ascolto
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
Se c’è grande omogeneità tra i Centri rispetto al servizio di ascolto e orientamento (quasi tutti i Centri dichiarano di svolgere questo servizio), non si può
dire lo stesso rispetto agli aiuti forniti attraverso sussidi economici: solamente 9 centri su 15 dichiarano di dare sussidi economici per il pagamento delle
bollette, meno della metà dei centri offre aiuti in denaro direttamente agli
utenti e solamente 3 centri si attrezzano con buoni spesa. Per quanto riguarda la fornitura di beni, si riscontra una certa prassi consolidata rispetto alla
fornitura di vestiti e cibo (rispettivamente 12 e 14 centri su 15) mentre sono 8
i Centri che forniscono anche mobilio. Il servizio di mensa è massicciamente
presente: infatti solo due Centri di ascolto non hanno questo servizio (gestito
sia direttamente che indirettamente). Il servizio di dormitorio invece è meno
comune, infatti solo 9 Centri sono attrezzati al riguardo.
I servizi offerti più di rado sono invece quelli relativi a corsi di formazione/riqualificazione (come ad es. i corsi di lingua italiana) dove solamente 4 Centri rispondono positivamente, l’assistenza diretta a domicilio
(2 centri su 15) e il servizio di accoglienza in famiglie (2 centri su 15).
4.2.1. Arcidiocesi di Bologna
La Caritas diocesana è l’organismo pastorale della Chiesa di Bologna che
promuove, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza
della carità della comunità ecclesiale diocesana, in forme consone ai
tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della
giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con
prevalente funzione pedagogica. L’Arcidiocesi di Bologna ha attivato due
Centri di ascolto: uno dedicato agli immigrati e uno per la popolazione
italiana.
Nato nel 1977, il Centro di ascolto immigrati è un luogo di ascolto,
orientamento e sostegno dei percorsi di integrazione degli immigrati. Dal
1995 opera anche per il sostegno alle donne che chiedono aiuto per uscire
dalla prostituzione forzata.
Scheda 4.1. Caritas arcidiocesi di Bologna
Direttore: dottor Paolo Mengoli
via Fossalta, 125
telefono 051 230000
fax 051 238834
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
Centro di ascolto immigrati Caritas
Responsabile: dottoressa Paola Vitello
via Rialto, 7/2
tel 051 235358
fax 051 238834
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto stranieri #prima era immigrati#
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✓ Consulenze professionali
✗ Sussidi economici per pagamento utenze
✓ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✗ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✗ Fornitura mobilio
✓ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✓ Dormitorio
✗ Servizio di ricerca casa
✓ Servizio di ricerca lavoro
✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✓ Accompagnamento
✓ Percorsi art. 18 vittime tratta
Nato nel 1983, il Centro di ascolto italiani offre la disponibilità di ascoltare per essere di aiuto a chiunque si trovi in uno stato di bisogno e sofferenza e si pone come punto di osservazione delle povertà emergenti trasmettendo a tutte le realtà sociali, pubbliche e private, i bisogni rilevati e le
possibili soluzioni.
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
Scheda 4.2. Centro di ascolto italiani Caritas
Responsabile: Maura Fabbri
via santa Caterina, 8
telefono 051 6448156
fax 051 3395119
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto italiani
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✗ Consulenze professionali
✓ Sussidi economici per pagamento utenze
✓ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✗ Fornitura vestiti
✗ Fornitura cibo
✗ Fornitura mobilio
✓ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✗ Dormitorio
✓ Servizio di ricerca casa
✓ Servizio di ricerca lavoro
✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✓ Accompagnamento
✓ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.2. Diocesi di Carpi
La Caritas è l’organismo ecclesiale impegnato a:
• vedere la realtà a partire dai fatti, dai bisogni e dalle domande, espresse e inespresse;
• giudicare alla luce del Vangelo in una visione integrale dell’uomo;
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
• agire e dunque porre opere-segno che siano testimonianza effettiva di
Carità verso gli ultimi.
Nella diocesi di Carpi sono presenti due Centri di ascolto diocesani gestiti da due associazioni di volontariato: Porta Aperta di Carpi e Porta Aperta di Mirandola. Sono Centri di prima accoglienza che indirizzano chi è
alla ricerca di un lavoro e di una casa e offrono sussidi materiali a chi è in
situazione di bisogno.
Ma soprattutto sono Centri di ascolto che attuano il discernimento
dei bisogni, l’informazione e l’orientamento socioassistenziale, si curano
dei nomadi e gestiscono una quindicina di appartamenti offerti da privati e dalla comunità cristiana.
Dal 1994 opera l’Osservatorio interdiocesano delle povertà, che esamina i dati provenienti dai tre Centri di ascolto con l’obiettivo di fornire
ogni anno alla stampa e all’opinione pubblica i dati aggiornati sulla povertà in provincia.
Scheda 4.3. Caritas diocesi di Carpi
Direttore: Stefano Facchini
corso Fanti, 13
telefono 059 686048
fax 059 651611
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas
responsabile Stefano Facchini
viale Peruzzi, 38
telefono 059 689370
fax 059 6550219
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✓ Formazione
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
✓
✓
✓
✓
✓
✓
✓
✗
✗
✗
✗
✓
✓
✓
✓
✓
✓
Consulenze professionali
Sussidi economici per pagamento utenze
Sussidi economici con denaro diretto
Sussidi economici con buoni d’acquisto
Fornitura vestiti
Fornitura cibo
Fornitura mobilio
Accoglienza in comunità
Accoglienza in famiglie
Servizio mensa
Dormitorio
Servizio di ricerca casa
Servizio di ricerca lavoro
Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
Servizio di informazioni
Accompagnamento
Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.3. Diocesi di Cesena--Sarsina
La Caritas diocesana di Cesena coordina, attraverso i Centri di ascolto e
di prima accoglienza di Cesena e Cesenatico, l’intervento nei confronti
degli immigrati e dei bisognosi in generale.
Attraverso il Campo Emmaus si provvede alla raccolta di materiali e
indumenti inutilizzati. Gli obiettori di coscienza (odc) e i volontari dei
centri assicurano la distribuzione di viveri e indumenti di prima necessità.
Attraverso i colloqui con i responsabili si stabiliscono le linee di aiuto agli
utenti dei Centri che si articolano in: assistenza generale, buoni pasto e
permessi presso due centri di accoglienza notturna.
Scheda 4.4. Caritas diocesi di Cesena-Sarsina
Direttore: don Carlo Meleti
corso Sozzi, 39
telefono 0547 22423
fax 0547 22423
e-mail [email protected]
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
Centro di ascolto Caritas
responsabile don Giorgio Gasperoni
via Mura Sant’Agostino, 13
telefono 0547 29369/611060
fax 0547 26803
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✗ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✗ Consulenze professionali
✓ Sussidi economici per pagamento utenze
✗ Sussidi economici con denaro diretto
✓ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✗ Fornitura mobilio
✓ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✓ Dormitorio
✗ Servizio di ricerca casa
✗ Servizio di ricerca lavoro
✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✓ Accompagnamento
✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.4. Diocesi di Faenza-Modigliana
La Caritas diocesana di Faenza si occupa di promuovere la testimonianza
della carità in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalenti
funzioni pedagogiche. È attivo un Centro di ascolto che offre principalmente servizi di ascolto e di orientamento.
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
Scheda 4.5. Caritas diocesi di Faenza-Modigliana
Direttore: don Pellegrino Montuschi
piazza xi febbraio, 2
telefono 0546 693050
fax 0546 20172
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas
responsabile Federica Zannoni
via Minardi, 6
telefono e fax 0546 680061
e-mail [email protected]
orari lunedì – mercoledì – venerdì 9,00-12,00/16,30-19,30
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✗ Consulenze professionali
✗ Sussidi economici per pagamento utenze
✗ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✗ Fornitura mobilio
✗ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✓ Dormitorio
✗ Servizio di ricerca casa
✗ Servizio di ricerca lavoro
✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✗ Accompagnamento
✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
4.2.5. Diocesi di Ferrara
La nuova Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio è stata costituita con decreto
della Sacra Congregazione dei vescovi del 30 settembre 1986. A Ferrara è
presente la Caritas diocesana che è chiamata a concretizzare la propria
missione attorno a tre dimensioni fondamentali:
• l’annuncio della Parola di Dio (principalmente attraverso la catechesi);
• la celebrazione dei Sacramenti (principalmente attraverso la liturgia);
• la testimonianza del Vangelo (principalmente mediante le opere di carità).
Anche la Caritas di Ferrara ha aderito alla Rete nazionale Centri di ascolto e Osservatori delle povertà e delle risorse e dal 2005 si è dotata di uno
strumento informatico per la raccolta e l’elaborazione dei dati relativi
all’utenza del Centro di ascolto.
Scheda 4.6. Caritas arcidiocesi di Ferrara-Comacchio
Direttore: don Paolo Valenti
via Brasatola, 19
telefono 0532 740825
fax 0532 741409
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas
responsabile Paolo Falaguasta
via Brasatola, 19
telefono 0532 740825
fax 0532 741409
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✓ Consulenze professionali
✗ Sussidi economici per pagamento utenze
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
✗
✗
✓
✓
✓
✗
✗
✓
✗
✗
✗
✗
✓
✗
✗
Sussidi economici con denaro diretto
Sussidi economici con buoni d’acquisto
Fornitura vestiti
Fornitura cibo
Fornitura mobilio
Accoglienza in comunità
Accoglienza in famiglie
Servizio mensa
Dormitorio
Servizio di ricerca casa
Servizio di ricerca lavoro
Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
Servizio di informazioni
Accompagnamento
Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.6. Diocesi di Fidenza
La diocesi di Fidenza ha attivato con i dipendenti della Caritas diocesana
un Centro di ascolto diocesano, aperto dal lunedì al sabato dalle ore 10 alle
ore 12, che fornisce principalmente servizi di accoglienza e primo ascolto
delle esigenze e delle problematiche delle persone in difficoltà e senza fissa
dimora, oltre che servizi di orientamento verso le strutture idonee (Delegazione regionale Caritas Emilia-Romagna Centri di ascolto, 2003).
La Caritas diocesana gestisce direttamente anche la raccolta di indumenti, ferro, mobili e la loro relativa distribuzione e inoltre, in collaborazione con il banco alimentare, fornisce generi alimentari. Annessa al
Centro di ascolto è presente anche una casa di accoglienza che dà ospitalità alle persone in difficoltà, sia italiane che straniere.
Scheda 4.7. Caritas diocesi di Fidenza
Direttore: don Albino Bozzetti
piazza Grandi, 16
telefono 0524 528378
fax 0524 522799
e-mail [email protected]
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
Centro di ascolto Caritas
Responsabile: Giuseppina Capanni
via Micheli, 19
telefono 0524 524591
fax 0524 522799
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✗ Orientamento ai servizi sanitari
✗ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✗ Consulenze professionali
✗ Sussidi economici per pagamento utenze
✗ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✓ Fornitura mobilio
✗ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✓ Dormitorio
✗ Servizio di ricerca casa
✗ Servizio di ricerca lavoro
✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✗ Accompagnamento
✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.7. Diocesi di Forlì-Bertinoro
Nella diocesi di Forlì-Bertinoro è presente un Centro di ascolto e di prima
accoglienza, gestito dall’associazione Buon Pastore onlus, che offre servizi di ascolto e orientamento oltre che alcuni servizi di prima accoglienza;
nel 2005 è stato attivato in via sperimentale un Centro di prima accoglienza residenziale per donne in difficoltà e una seconda accoglienza residen123
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
ziale per lavoratori adulti con situazioni di discreta autonomia che offra un
alloggio a costo agevolato per un tempo limitato. Entrambe le strutture
sono gestite in prima persona dall’associazione.
Scheda 4.8. Caritas diocesi di Forlì-Bertinoro
Direttore: don Adriano Ranieri
piazza Dante, 1
telefono 0543 26061
fax 0543 24303
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas
Responsabile: dottoressa Antonella Fabbri
via Fossato Vecchio, 20
telefono 0543 21051
fax 0543 34857
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✓ Formazione
✗ Consulenze professionali
✗ Sussidi economici per pagamento utenze
✓ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✓ Fornitura mobilio
✓ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✓ Dormitorio
✓ Servizio di ricerca casa
✓ Servizio di ricerca lavoro
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
✗
✓
✗
✗
Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
Servizio di informazioni
Accompagnamento
Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.8. Diocesi di Imola
La Caritas diocesana di Imola è uno strumento volto a svolgere diversi
compiti di aiuto e sostegno alle persone in difficoltà. In particolare si
propone azioni di:
• animazione della comunità nel senso della carità e della giustizia;
• coordinamento delle iniziative ecclesiali di carità;
• formazione degli animatori Caritas e degli operatori della carità;
• sensibilizzazione sulla fame e sulle situazioni di sottosviluppo.
Nel 1994 la Caritas diocesana ha dato vita a un Centro di ascolto come
risposta ai bisogni delle persone che in numero sempre crescente si accostavano ai servizi del Centro di prima accoglienza. Il suo servizio è stato
ufficializzato nel 1996. Il Centro di ascolto è come una “porta”: lascia
passare il povero o chi vive una situazione di bisogno affinché trovi ascolto, amicizia e sostegno, nella ricerca di risposte al suo bisogno. Attraverso
questa “porta” la comunità scende in strada, nel territorio, e va incontro al
fratello, collaborando con quanti altri lavorano e promuovono percorsi di
uscita dall’emarginazione (http://www.caritasimola.it). È inoltre presente
un ambulatorio che offre prestazioni medico-infermieristiche a tutte le
persone che lo richiedono. L’attività viene svolta in regime di volontariato e quindi a titolo completamente gratuito da dieci medici di base, dieci
medici ospedalieri, trenta infermieri professionali coadiuvati e, in caso di
necessità, da medici specialisti delle varie branche, anch’essi volontari, e da
personale impiegatizio. Le prestazioni erogate e i farmaci prescritti sono
completamente gratuiti.
Scheda 4.9. Caritas diocesi di Imola
Direttore: don Gianluca Grandi
via xi febbraio, 6
telefono 0542 23230
fax 542 35888
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
e-mail [email protected]
orario tutti i giorni tranne i festivi 8,30-12,00
Centro di ascolto Caritas
Responsabile: Giovanna Fortunati
via xi febbraio, 6
telefono 0542 23230/339 8575875
fax 0542 35888
e-mail [email protected]
orario tutti i giorni tranne i festivi 8,30-11,30 e su appuntamento
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✓ Consulenze professionali
✓ Sussidi economici per pagamento utenze
✗ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✗ Fornitura mobilio
✗ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✗ Dormitorio
✓ Servizio di ricerca casa
✓ Servizio di ricerca lavoro
✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✓ Accompagnamento
✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.9. Diocesi di Modena-Nonantola
“Porta aperta” è un organismo della Chiesa modenese costituito per
promuovere la solidarietà sociale e l’accoglienza, con un’attenzione privi126
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
legiata ai poveri, e per favorire il coinvolgimento della comunità dei
credenti e più in generale della società civile.
Le parole chiave, che fungono da struttura portante di “Porta aperta”,
sono: ascolto, accoglienza, reciprocità, condivisione, diritti umani,
nonviolenza, gratuità e sussidiarietà. Cuore di “Porta aperta” è il Centro
di ascolto rivolto a tutte le persone in difficoltà. Esso si pone come: segno
dell’attenzione privilegiata ai poveri da parte della Chiesa modenese;
luogo di promozione umana e di percorsi di uscita dall’emarginazione;
riferimento per l’analisi dei cambiamenti sociali in corso; punto di osservazione e antenna di ricezione dei bisogni emergenti; voce di sensibilizzazione e animazione sociale.
Gli interventi del Centro di ascolto sono finalizzati a: promuovere la
dignità della persona favorendone l’autorealizzazione; accogliere empaticamente la persona condividendo con essa un progetto; analizzare il bisogno, definire e valutare l’intervento. Nello specifico le funzioni svolte
sono:
• ascolto, orientamento e presa in carico;
• consulenza legale e burocratica;
• accesso ai servizi di Porta aperta;
• interventi economici di emergenza, sussistenza e sostegno.
La diocesi di Modena ha attivato un Osservatorio delle povertà e delle
risorse come strumento della pastorale per osservare la realtà, nell’ottica
dell’amore preferenziale per i poveri. L’Osservatorio deve saper cogliere le
mutazioni e suggerire in anticipo alla comunità ecclesiale e civile modalità per ridurre il rischio di povertà.
Scheda 4.10. Caritas diocesi di Modena-Nonantola
Direttore: Giuseppina Caselli
via Sant’Eufemia 13
telefono 059 2133847
fax 059 2133807
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas
Responsabile: Giuseppina Caselli
via dei Servi, 13
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
telefono 059 212202
fax 059 4399340
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✓ Formazione
✓ Consulenze professionali
✓ Sussidi economici per pagamento utenze
✓ Sussidi economici con denaro diretto
✓ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✓ Fornitura mobilio
✓ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✓ Dormitorio
✓ Servizio di ricerca casa
✓ Servizio di ricerca lavoro
✓ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✗ Accompagnamento
✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.10. Diocesi di Parma
La diocesi di Parma ha attivato, tramite l’azione della Caritas diocesana,
un Centro di ascolto che offre, in aggiunta all’attività di ascolto e orientamento, servizi di magazzino e assistenza domiciliare alle persone in
difficoltà, con la collaborazione dei volontari del servizio civile volontario; inoltre gestisce una mensa e uno sportello lavoro e agisce sulla realtà
carceraria attraverso il Gruppo Caritas carcere di cui fanno parte numerosi volontari collegati in rete con le Caritas parrocchiali dislocate sul
territorio.
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
Ci si può rivolgere alla Caritas per ogni tipologia di necessità (dagli
indumenti agli aiuti finanziari di piccola entità).
La Caritas assiste i detenuti a diversi livelli, sia dentro la struttura
carceraria che all’esterno. Negli ultimi anni ha inoltre organizzato corsi
per volontari.
Scheda 4.11. Caritas diocesi di Parma
Direttore: don Andrea Volta
piazza Duomo, 3
telefono 0521 234765
fax 0521 284111
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas 1
Responsabile: suor Patrizia Bin
via Borgo Pipa, 3
telefono 0521 284141
fax 0521 506308
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas 2
Responsabile: Nello Calvi
piazza Duomo, 3
telefono 0521 234765/235928
fax 0521 284111
e-mail [email protected]
Servizi prestati dai Centri di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✓ Consulenze professionali
✓ Sussidi economici per pagamento utenze
✓ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
✗
✓
✗
✗
✗
✓
✗
✓
✓
✗
✗
✓
✗
Fornitura vestiti
Fornitura cibo
Fornitura mobilio
Accoglienza in comunità
Accoglienza in famiglie
Servizio mensa
Dormitorio
Servizio di ricerca casa
Servizio di ricerca lavoro
Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
Servizio di informazioni
Accompagnamento
Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.11. Diocesi di Piacenza-Bobbio
La Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio è uno strumento attento ai segni
del tempo e alle urgenze del territorio e del mondo che mette in atto alcuni servizi per dare risposte che siano segno dell’interessamento della Chiesa ai problemi dell’uomo e che al tempo stesso stimolino le istituzioni a
trovare risposte adeguate. Nella diocesi di Piacenza-Bobbio sono presenti
tre organismi:
• l’Ufficio pastorale Caritas diocesana con funzione prevalentemente
pedagogica, per stimolare la comunità religiosa e civile all’attenzione
cristiana verso tutti, specialmente i più poveri;
• la fondazione autonoma Caritas diocesana di Piacenza-Bobbio per la
gestione delle opere-segno messe in atto e che verranno proposte in futuro dalla Caritas diocesana;
• l’associazione Carmen Cammi – Volontari per la Caritas che coordina
il volontariato (http://www.caritaspiacenzabobbio.org).
A Piacenza è presente un Osservatorio delle povertà e delle risorse nato
allo scopo di promuovere una conoscenza sempre più completa e approfondita dei bisogni e delle problematiche presenti sul territorio diocesano.
L’Osservatorio può essere definito uno strumento pastorale e risponde
all’esigenza di acquisire adeguate competenze nella lettura dei bisogni,
delle povertà, dell’emarginazione, ponendo sempre l’uomo al centro della
programmazione pastorale e politica.
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
Non si tratta soltanto di aiutare i poveri che entrano in contatto con i
Centri di ascolto, occorre anche porsi in un atteggiamento di attenzione
continua e scientificamente fondata per capire chi sono i poveri, quali
bisogni esprimono, quali linee di tendenza assumono le povertà conosciute, quali nuove povertà stanno emergendo e infine che cosa sta maturando nel contesto delle risposte alle povertà promosse sia dalla comunità
cristiana che da quella civile (ibid.).
Scheda 4.12. Caritas diocesi di Piacenza-Bobbio
Direttore: don Gian Piero Franceschini
via san Giovanni, 12
telefono 0523 325945/332750
fax 0523 326904
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas
Responsabile: Maria Cristina Marchi
via san Giovanni, 38/a
telefono 0523 330812/329275
fax 0523 330812/329275
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✗ Orientamento al lavoro
✓ Formazione
✗ Consulenze professionali
✗ Sussidi economici per pagamento utenze
✗ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✓ Fornitura mobilio
✗ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
✓
✓
✗
✗
✗
✓
✗
✗
✓
✓
Servizio mensa
Dormitorio
Servizio di ricerca casa
Servizio di ricerca lavoro
Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
Servizio di informazioni
Accompagnamento
Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
Ambulatorio medico e dentistico
Appartamenti sociali
4.2.12. Diocesi di Ravenna-Cervia
La Caritas diocesana è l’ufficio pastorale che promuove, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale diocesana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista
dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace,
con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica.
La Caritas diocesana ha attivato una pluralità di servizi di sostegno alla
cittadinanza: un Centro di ascolto, un magazzino Caritas, un progetto di
adozioni a distanza, il servizio civile, un mercatino della solidarietà e un
centro di documentazione.
Il Centro di ascolto accoglie chiunque chieda di essere ascoltato.
Consapevole della preziosità e unicità di ciascuna persona, cerca di
costruire insieme a lei un percorso di orientamento e sostegno aiutandola
a divenire soggetto attivo nella soluzione dei propri problemi (http://
www.caritasravenna.it/servizi.html).
Scheda 4.13. Caritas diocesi di Ravenna-Cervia
Direttore: don Alberto Brunelli
piazza Duomo, 13
telefono 0544 212602
fax 0544 213133
e-mail [email protected]
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
Centro di ascolto Caritas
Responsabile: Raffaella Bazzoni
via Nino Bixio, 11
telefono 0544 212156
fax 0544 213133
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✓ Formazione
✗ Consulenze professionali
✓ Sussidi economici per pagamento utenze
✓ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✓ Fornitura mobilio
✗ Accoglienza in comunità
✗ Accoglienza in famiglie
✗ Servizio mensa
✗ Dormitorio
✗ Servizio di ricerca casa
✗ Servizio di ricerca lavoro
✗ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✓ Accompagnamento
✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.13. Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla
La Caritas diocesana di Reggio Emilia-Guastalla è l’organismo istituito
dal vescovo al fine di promuovere, anche in collaborazione con le altre istituzioni, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale diocesana e
di quelle parrocchiali, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica (http://www.caritasreggiana.it). Sul territorio è
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
presente un Centro di ascolto Caritas che è un luogo in cui vengono accolte e ascoltate le persone del territorio che si trovano in difficoltà. La Chiesa affida al Centro di ascolto il compito di stare in mezzo ai poveri, conoscendone le problematiche e condividendone i cammini. La funzione
degli operatori e dei volontari del Centro è quella di accompagnare la
persona nel suo cammino di vita sostenendola negli sforzi quotidiani che
si trova ad affrontare (ibid.).
Scheda 4.14. Caritas diocesi di Reggio Emilia-Guastalla
Direttore: Gianmarco Marzocchini
via Aeronautica, 4
telefono 0522 922520
fax 0522 922552
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas
Responsabile: Antonio Ferretti
via Adua, 83/c
telefono 0522 921351
fax 0522 921023
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✓ Consulenze professionali
✓ Sussidi economici per pagamento utenze
✗ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✗ Fornitura mobilio
✓ Accoglienza in comunità
✓ Accoglienza in famiglie
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
✓
✓
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✓
Servizio mensa
Dormitorio
Servizio di ricerca casa
Servizio di ricerca lavoro
Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
Servizio di informazioni
Accompagnamento
Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
4.2.14. Diocesi di Rimini
La Caritas diocesana di Rimini è l’organismo pastorale che ha il compito
di animare, coordinare e promuovere la testimonianza della carità nella
comunità cristiana, con particolare attenzione ai poveri e con prevalente
funzione pedagogica. Il compito prioritario della Caritas è di tipo educativo e consiste nell’aiutare le persone e le comunità cristiane a vivere la
carità.
Il Centro di ascolto rappresenta il cuore della Caritas diocesana. È il
luogo in cui ci si pone accanto alle persone in difficoltà, dove i bisogni dei
poveri trovano ascolto e considerazione, in cui si offre un aiuto che supera l’assistenzialismo.
Attraverso l’ascolto è possibile rispondere al bisogno fondamentale
della persona, la relazione; si cerca di prestare attenzione alla persona con
un percorso di aiuto che porti a recuperare la sua autonomia e la sua fiducia rispettandone l’unicità (ibid.).
Scheda 4.15. Caritas diocesi di Rimini
Direttore: don Renzo Gradara
via Madonna della Scala, 7
telefono 0541 26040
fax 0541 24826
e-mail [email protected]
Centro di ascolto Caritas (sede centrale)
Responsabili: Angela Pischedda e suor Elsa Calisesi
via Madonna della Scala, 7
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parte seconda. i centri di ascolto diocesani
telefono 0541 778948
fax 0541 24826
e-mail [email protected]
Servizi prestati dal Centro di ascolto
✓ Ascolto
✓ Orientamento ai servizi sociali
✓ Orientamento ai servizi sanitari
✓ Orientamento al lavoro
✗ Formazione
✓ Consulenze professionali
✓ Sussidi economici per pagamento utenze
✓ Sussidi economici con denaro diretto
✗ Sussidi economici con buoni d’acquisto
✓ Fornitura vestiti
✓ Fornitura cibo
✓ Fornitura mobilio
✗ Accoglienza in comunità
✓ Accoglienza in famiglie
✓ Servizio mensa
✓ Dormitorio
✗ Servizio di ricerca casa
✗ Servizio di ricerca lavoro
✓ Assistenza diretta a domicilio o presso strutture
✓ Servizio di informazioni
✗ Accompagnamento
✗ Accompagnamento sociale in progetti di intervento con i servizi
Nel 2002 la Caritas di Rimini si è dotata di un nuovo strumento di servizio ai poveri, l’Osservatorio diocesano delle povertà e delle risorse. Si tratta di uno strumento utile per conoscere meglio povertà ed emarginazioni
e seguirne le evoluzioni per poter offrire indicazioni di impegno pastorale
e sociale. Il lavoro di tutti i giorni viene portato avanti nella convinzione
che la conoscenza del “fenomeno” povertà sia indispensabile per progettare interventi sempre più mirati e incisivi.
L’Osservatorio, dunque, è promosso dalla Caritas diocesana ma è a
servizio di tutta la Chiesa locale e della provincia, in una logica di coinvolgimento e di reciprocità.
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4. centri di ascolto e osservatori delle povertà
L’Osservatorio, in collaborazione con Volontarimini, ha realizzato una
mappatura delle associazioni di volontariato che svolgono servizi socioassistenziali sul territorio della provincia di Rimini.
Per quanto riguarda i servizi di enti pubblici e privati, l’Osservatorio
mira a una collaborazione basata sul lavoro di rete in modo da poter essere costantemente al corrente delle risorse presenti sul territorio, di quelle
da potenziare e di quelle da attivare come risposta a nuovi bisogni emergenti.
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Note
Capitolo 1. Epidemiologia sociale del territorio
1. Tasso grezzo di natalità: nati vivi nell’anno/popolazione media × 1.000; tasso
grezzo di mortalità: morti nell’anno/popolazione media × 1.000; tasso di migrazione netta: saldo migratorio nell’anno/popolazione media × 1.000; variazione
% della popolazione: (popolazione finale – popolazione iniziale)/popolazione
iniziale × 100. Con “popolazione media” si intende la media della popolazione
residente al 1° gennaio e quella residente al 31 dicembre dello stesso anno.
2. Le ipotesi sottostanti lo scenario basso sono le seguenti. Mortalità: aumento
di 2 anni della speranza di vita alla nascita rispetto al valore iniziale per entrambi i sessi; fecondità: diminuzione di 0,10 figli circa per donna in età feconda
rispetto al valore iniziale e aumento di 0,3 anni circa dell’età media al parto;
immigrazione da altre regioni: diminuzione per il totale regionale di 5.000 unità
sulle 41.000 circa considerate come valore iniziale del periodo, con struttura per
età invariante nel tempo; immigrazione dall’estero: diminuzione per il totale
regionale di 7.000 unità circa sulle 27.000 circa considerate come valore iniziale del periodo, con struttura per età invariante nel tempo; emigrazioni e migrazioni tra province della regione: diminuzione dello 0,5% annuo rispetto al tasso
di migratorietà totale per 1.000 abitanti dell’ultimo triennio disponibile.
3. Le ipotesi sottostanti lo scenario intermedio sono le seguenti. Mortalità:
aumento di 3,5 anni della speranza di vita alla nascita rispetto al valore iniziale
per entrambi i sessi; fecondità: aumento di 0,10 figli circa per donna in età
feconda rispetto al valore iniziale e aumento di 0,5 anni circa dell’età media al
parto; immigrazione da altre regioni: valore del totale regionale costante sul
livello di 41.000 unità circa, con struttura per età invariante nel tempo; immigrazione dall’estero: valore del totale regionale costante sul livello di 27.000
unità circa, con struttura per età invariante nel tempo; emigrazioni e migrazioni tra province della regione: valori pari ai tassi di migratorietà totale per 1.000
abitanti dell’ultimo triennio disponibile.
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povertà e politiche sociali in emilia-romagna
4. Le ipotesi sottostanti lo scenario alto sono le seguenti. Mortalità: aumento
di 5 anni della speranza di vita alla nascita rispetto al valore iniziale per entrambi i sessi; fecondità: aumento di 0,30 figli circa per donna in età feconda rispetto al valore iniziale e aumento di 0,8 anni circa dell’età media al parto; immigrazione da altre regioni: aumento per il totale regionale di 7.000 unità circa
sulle 41.000 circa considerate come valore iniziale del periodo, con struttura per
età invariante nel tempo; immigrazione dall’estero: aumento per il totale regionale di 7.000 unità sulle 27.000 circa considerate come valore iniziale del periodo, con struttura per età invariante nel tempo; emigrazioni e migrazioni tra province della regione: aumento dello 0,5% annuo rispetto al tasso di migratorietà
totale per 1.000 abitanti dell’ultimo triennio disponibile.
Capitolo 3. Le politiche sociali della Regione Emilia-Romagna
1. Si tratta di una ricerca sulla famiglia e gli anziani promossa dalla cisl e dalla
fnp e realizzata dal Gruppo di direzione della ricerca e dall’Aretés (cisl, 2005).
2. Relativamente all’azione “contributo”, si è proceduto come segue. Il contributo, se erogato alle famiglie, viene considerato come azione di tipo domiciliare, tranne nel caso in cui la legge specificamente preveda un suo utilizzo di tipo
diverso (di tipo residenziale, per il pagamento della retta della rsa; di tipo preventivo, per il pagamento delle spese di adattamento dell’automobile). Se il contributo viene invece erogato a soggetti diversi dalle famiglie, si è esaminato l’utilizzo che di quel contributo si deve fare. Se il contributo è destinato alle imprese per la costruzione di nidi aziendali, il contributo sarà di tipo semiresidenziale; se il contributo è destinato alle ausl per l’adeguamento e l’ampliamento
delle rsa, il contributo sarà di tipo residenziale.
3. È necessario precisare in questa sede che l’igf risulta come media dei valori
relativi al totale degli interventi/servizi che costituiscono l’universo di indagine.
Tale richiamo risulta necessario al fine di non incorrere nell’errore di ritenere
che l’igf sia frutto della media dei valori delle leggi analizzate, il che produrrebbe un differente valore medio a causa del diverso numero di interventi delle
varie leggi/delibere.
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Bibliografia
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