SEZ VI 28264-13 ANEMONE art 319-322 ter

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SEZ VI 28264-13 ANEMONE art 319-322 ter
28264 /13
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Nicola Milo
- Presidente -
Luigi Lanza
5- 99
CC - 26/3/2013
Anna Petruzzellis
Giorgio Fidelbo
Sent. n. sez.
R.G.N. 4239/13
Relatore -
Benedetto Paternò Raddusa
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1) Angelo Balducci, nato a San Giorgio di Pesaro (PU) il 3.7.1948;
2) Diego Anemone, nato a Roma il 5.7.1971;
avverso l'ordinanza del 17 dicembre 2012 emessa dal Tribunale di Roma;
visti gli atti, l'ordinanza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udite le richieste del sostituto procuratore generale Maria Giuseppina
Fodaroni, che ha concluso per l'annullamento dell'ordinanza limitatamente alla
tuta ateasid
posizione di AnemonCre per il rigetto del ricorso presentato da Balducci;
uditi gli avvocati Roberto Borgogno e Giovanni Aricò, che hanno insistito per
l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 14 maggio 2012 il G.i.p. del Tribunale di Roma ha
disposto il sequestro preventivo funzionale alla confisca, nella forma per
equivalente, di beni immobili, beni mobili registrati, conti correnti e rapporti
bancari e societari per un importo complessivo di euro 7.865.105,57,
corrispondente al prezzo dei plurimi reati di corruzione contestati a Diego
Anemone, imprenditore, e a Angelo Balducci, all'epoca capo del dipartimento
per lo sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, in concorso tra loro (capo A) e con Gaetano Blandini (capo B).
Secondo l'ipotesi accusatoria Balducci avrebbe conferito numerosi
e
remunerativi appalti per opere pubbliche ad imprese riconducibili ad
Anemone, ricevendo come corrispettivo denaro, beni e altre utilità anche
attraverso finanziamenti a società cinematografiche perché impiegassero il
figlio come attore in fi/ms prodotti dalle stesse società.
2.
Con distinte istanze del 1° agosto 2012 Anemone e Balducci
chiedevano la revoca del sequestro ovvero la riduzione del valore dei beni
oggetto del provvedimento cautelare reale, allegando relazioni estimative del
valore delle unità immobiliari e delle quote societarie per dimostrare che
fossero superiori al valore dell'importo del sequestro.
3. Il G.i.p., con provvedimenti adottati il 7 agosto 2012, ha respinto le
istanze e gli imputati hanno proposto distinti appelli davanti al Tribunale di
Roma che, con ordinanza del 17 dicembre 2012, li ha rigettati, dopo averli
riuniti.
Il Tribunale ha, innanzitutto, ritenuto sussistente il fumus commissi delicti
e ha sostenuto che dal complesso delle indagini è emerso un articolato
intreccio di interessi tra Balducci e Anemone, che avrebbe dato luogo ad un
accordo corruttivo in base al quale il primo avrebbe posto stabilmente la sua
funzione pubblica a disposizione dell'imprenditore, facendogli conseguire
appalti per opere pubbliche di ingente entità, e Anemone gli avrebbe
assicurato, in modo continuativo, rilevanti utilità economiche, mediante
acquisti di immobili e finanziamenti a società in vista di agevolare la carriera
cinematografica del figlio Lorenzo o altre utilità in favore del nucleo familiare.
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Per quanto riguarda l'entità del sequestro i giudici dell'appello cautelare
hanno ritenuto del tutto adeguato l'importo di euro 7.865.105,57 al valore del
prezzo dei reati di corruzione, rilevando che nella controprestazione offerta
dal corruttore vi rientrano tutti quei vantaggi sociali le cui ricadute
patrimoniali siano anche solo indirette, pertanto nella specie rientrerebbero
nel corrispettivo della corruzione pure i finanziamenti diretti alle società
cinematografiche, in quanto strumentali a favorire il figlio del Balducci.
Sotto un diverso profilo il Tribunale ha escluso che possa essere ravvisata
una illegittimità nel provvedimento che, per ogni singolo concorrente, abbia
disposto il sequestro dell'intero ammontare del prezzo derivante dal reato, in
quanto spetterà al definitivo provvedimento di confisca statuire in ordine alle
responsabilità individuali.
4. Entrambi gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione tramite i
propri difensori.
4.1. Gli avvocati Franco Coppi e Roberto Borgogno, nell'interesse di
Angelo Balducci, hanno dedotto la violazione degli artt. 321 comma 2-bis
c.p.p. e 322-ter c.p., in relazione alla richiesta di adeguamento del sequestro
all'effettivo valore del prezzo del reato, rilevando una evidente sproporzione
tra il valore dei beni sequestrati agli indagati e l'importo dell'asserito prezzo
del reato di corruzione.
Richiamando la più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il
valore dei beni sequestrati non può eccedere l'importo effettivamente
corrispondente al prezzo del reato, i ricorrenti rilevano che il compendio dei
beni oggetto della misura cautelare reale è superiore al doppio dell'importo
dell'asserito prezzo del reato, in quanto al Balducci risultano sequestrati beni
per un valore di euro 7.712.290,00 e ad Anemone beni per un valore di oltre
diecimilioni di euro.
Viene, quindi, criticata l'applicazione erronea che il Tribunale ha fatto
della giurisprudenza della Corte di cassazione, ritenendo che in caso di
concorso nel reato il sequestro possa essere disposto nei confronti di ciascun
concorrente per l'intero prezzo del reato, salvo poi provvedere alle necessarie
riduzione e compensazioni in fase di esecuzione della confisca per
equivalente; si precisa, infatti, che se è vero che il sequestro preventivo può
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essere applicato nei confronti di ogni concorrente nel reato anche per l'intera
entità del prezzo o del profitto accertato, tuttavia la giurisprudenza ritiene che
non possa mai essere duplicato o eccedere, in relazione alla globalità dei
soggetti ai quali è imposto, l'ammontare complessivo del profitto o del prezzo.
In conclusione, si assume che il provvedimento impugnato si fondi su
un'interpretazione errata dell'art. 322-ter c.p., che invece non consente, in
caso di concorso di persone nel reato, che il sequestro per equivalente possa
riguardare importi globalmente corrispondenti a multipli del prezzo di reato e
si chiede l'annullamento dell'ordinanza del Tribunale.
Successivamente i difensori di Balducci hanno depositato una memoria, in
cui rappresentano che il sequestro in questione riguarda anche una somma
oggetto di una precedente misura cautelare reale emessa in un altro
procedimento, trasmesso per competenza alla Procura di Roma, dopo che la
Corte di cassazione aveva annullato l'ordinanza del Tribunale del riesame di
Perugia, al quale aveva rinviato gli atti affinché verificasse l'effettività del
prezzo del reato su cui applicare la confisca per equivalente.
4.2. L'avvocato Giovanni Aricò, nell'interesse di Diego Anemone, ha
dedotto, con il primo motivo, l'erronea applicazione degli artt. 319, 322-ter,
240 c.p. e 321 c.p.p., censurando l'ordinanza del Tribunale per avere respinto
l'appello con cui si ribadiva la richiesta di revoca parziale del sequestro nella
misura di euro 1.500.000,00, corrispondenti a finanziamenti a società di
produzione cinematografica riconducibili a persone diverse dal Balducci (euro
300.000 pari al finanziamento fatto dalla Meda Progetti alla A-Movie
Production ed euro 1.200.000 pari al finanziamento fatto da Stefano Gazzani
Comunication alla Blu International). Il ricorrente non ritiene corretta
l'affermazione del Tribunale secondo cui l'utilità ricevuta dal Balducci sarebbe
costituita dalla carriera cinematografica del figlio e che tale utilità costituisca il
prezzo del reato di corruzione ovvero che costituiscano tale prezzo anche tutte
le dazioni asseritamente date da Anemone alle società di produzione
cinematografiche per favorire la carriera di Lorenzo Baiducci. Per prezzo del
reato deve intendersi, in senso tecnico, il compenso dato ad una persona
come corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito e la sua quantificazione non è
estensibile a qualsiasi utilità connessa al reato, sicché non può considerarsi
prezzo del reato la "carriera cinematografica" del figlio di Balducci, al quale i
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giudici hanno dato una valutazione patrimoniale corrispondente al complesso
dei finanziamenti ricevuti da società di produzione cinematografica, rientrando
semmai nel diverso concetto di "profitto" del reato. Una volta escluso che i
finanziamenti possano costituire il prezzo del reato deve, conseguentemente,
essere ridotto l'importo del sequestro preventivo per equivalente.
Con il secondo motivo si censura l'ordinanza per violazione dei principi di
adeguatezza, proporzionalità e gradualità, nonché per vizio di motivazione, in
rapporto al sequestro delle quote della Società Sportiva Romana s.r.l. il cui
valore nominale è pari ad euro 8.750.000,00, di cui Anemone ha l'esclusiva
titolarità. Secondo il ricorrente né il G.i.p., né il Tribunale hanno compreso la
richiesta avanzata dalla difesa che non chiedeva una ripartizione pro quota tra
i concorrenti, ma una riduzione del sequestro in presenza di una evidente
sproporzione tra il valore dei beni di proprietà di Anemone e la somma
individuata come prezzo percepito da Balducci per il compimento del reato di
corruzione, sottolineando l'avvenuta produzione in giudizio di due consulenze
che hanno stimato un valore reale di euro 78.000.000 del circolo Salaria Sport
Village di proprietà della Società Sportiva Romana. Il Tribunale ha omesso
ogni verifica sulla proporzione del sequestro, sostenendo che spetti alla fase di
merito evitare ogni duplicazione o superamento del limite entro cui è possibile
la confisca. Anche in questo caso viene richiamata dal ricorrente la
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la verifica dell'adeguatezza e
della proporzionalità deve essere fatta anche nel momento in cui si dispone il
sequestro preventivo per equivalente. Nella specie, la sproporzione tra la
somma da sottoporre a sequestro, pari ad euro 7.856.052,00 e il valore reale
delle quote della Società Sportiva Romana, pari ad euro 78 milioni, appare
evidente.
Sotto un diverso, ma collegato profilo, il ricorrente denuncia l'inesistente
motivazione proprio in relazione alle consulenze prodotte e relative alla
Società Sportiva Romana, nemmeno considerate dai giudici di merito, mentre
avrebbero dovuto essere prese in esame come prova documentale, in quanto
formate addirittura prima del procedimento.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
Per quanto riguarda il primo motivo del ricorso presentato nell'interesse
di Diego Anemone, si osserva che per prezzo del reato di corruzione deve
intendersi, nella specie, il solo finanziamento fatto da Anemone alle società di
produzione cinematografica, in quanto è con tale finanziamento che sarebbe
stato, indirettamente, "remunerato" il pubblico funzionario in vista della
concessione degli appalti in favore dell'imprenditore. Infatti, secondo l'ipotesi
accusatoria, Balducci, quale pubblico ufficiale, si sarebbe lasciato corrompere
anche per favorire la carriera di attore del figlio: in questo caso il prezzo della
corruzione è consistito, appunto, nel finanziamento, da parte di Anemone, di
alcune società cinematografiche perché impiegassero il figlio di Balducci come
attore nei films in produzione.
La circostanza che le somme sono state erogate a soggetti terzi e non al
funzionario pubblico non esclude che possano essere qualificate come
"prezzo" della corruzione.
5. Nel resto i ricorsi sono fondati.
5.1. Entrambi i ricorrenti non contestano la sussistenza del
fumus
commissi delicti, concentrando le censure sull'entità del sequestro e sulla sua
sproporzione rispetto al valore del prezzo del reato oggetto dell'imputazione
provvisoria.
Nella specie, a fronte del valore di euro 7.865.105,57 corrispondente al
prezzo del reato di corruzione contestato ad Anemone e Balducci, è stato
disposto un sequestro preventivo per equivalente in funzione della confisca ai
sensi dell'art. 322-ter c.p. per valori superiori, realizzando una duplicazione
dei beni oggetto del provvedimento cautelare: infatti, in base a quanto
riportato nell'ordinanza del Tribunale di Roma risultano sequestrati a Balducci
beni per un valore complessivo di euro 7.712.290 e ad Anemone beni per un
valore complessivo di euro 8.750.000.
Nel confermare il provvedimento cautelare il Tribunale ha sostenuto,
richiamando anche alcune sentenza della Corte di cassazione, che il sequestro
può riguardare l'intero ammontare del prezzo di reato per ciascuno imputato e
che gli adempimenti estimatori in ordine alle responsabilità individuali sono
rimessi alla fase della confisca. Invero, si tratta di una interpretazione e
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applicazione delle norme in materia di sequestro per equivalente, funzionale
alla confisca, che non può essere condivisa, probabilmente determinata da
una lettura difficoltosa della giurisprudenza di questa Corte, che su questi
temi non si è espressa in modo sempre lineare, prestandosi ad interpretazioni
difformi.
In particolare, con riferimento al caso di una pluralità di indagati quali
concorrenti in un medesimo reato compreso tra quelli per i quali può disporsi
la confisca per equivalente di beni per un importo corrispondente al prezzo o
al profitto del reato, la giurisprudenza ha ritenuto che il sequestro preventivo
può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera
entità del prezzo o del profitto accertato, con l'unico limite per cui il vincolo
cautelare non può eccedere il valore complessivo come determinato. In altri
termini, si ammette che il sequestro preventivo possa essere applicato nei
confronti di ciascun concorrente del reato anche per l'intera entità del valore
accertato come profitto o come prezzo, ma allo stesso tempo si sostiene che
non può mai eccedere, con riferimento alla globalità dei concorrenti,
l'ammontare complessivo del valore del prezzo o del profitto (Sez. VI, 5
marzo 2009, n. 26611, Betteo; Sez. VI, 6 marzo 2009, n. 18536, Passantino;
Sez. V, 3 febbraio 2010, n. 10810, Perrottelli; Sez. III, 7 ottobre 2010, n.
41731, Giordano; Sez. V, 9 ottobre 2009, n. 2110, Sortino). Il medesimo
principio è stato affermato anche dalle Sezioni unite (Sez. un., 27 marzo
2008, n. 26654, Fisia Italimpianti).
Non appare sostenibile una diversa lettura di tali sentenze, dovendo
escludersi, ad esempio, che il sequestro preventivo possa avere un ambito di
applicazione più vasto della confisca, nel senso che il divieto di eccedere o di
duplicare il valore relativo al profitto o al prezzo del reato, in presenza di una
pluralità di concorrenti, scatti solo con il provvedimento definitivo di confisca,
al quale viene riconosciuta natura sanzionatoria. A questa tesi, che sembra
avere ispirato l'ordinanza impugnata, è possibile opporre un principio generale
del diritto processuale secondo cui con il provvedimento cautelare non si può
ottenere più di quello che sarà conseguibile con il provvedimento definitivo. In
altri termini, se la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, che non
è commisurata alla colpevolezza del reo, né alla gravità dell'illecito e che
prescinde dalla pericolosità in sé della cosa, impedisce l'ablazione di beni,
appartenenti ai concorrenti nel reato, che superino il valore del prezzo o del
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profitto ricavato dal reato, non vi è ragione per cui un tale limite non debba
valere anche per la misura cautelare che anticipa il provvedimento definitivo:
diversamente si avrebbe non solo una evidente violazione dei principi di
proporzionalità e di adeguatezza, ma risulterebbe messa in crisi anche la
funzione strumentale del sequestro preventivo.
Peraltro, la giurisprudenza ha valorizzato l'applicazione dei principi di
proporzionalità e adeguatezza, assieme a quello di gradualità, anche sul
versante delle misure cautelari reali, affermando che nel sequestro preventivo
funzionale alla confisca per equivalente è necessaria da parte del giudice una
valutazione relativa all'equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto,
così come avviene in sede esecutiva della confisca, non essendovi ragioni per
cui durante la fase cautelare possa giustificarsi un sequestro avente ad
oggetto beni per un valore eccedente il profitto o il prezzo del reato (Sez. V, 9
ottobre 2009, n. 2110, Sortino; Sez. III, 7 ottobre 2010, n. 41731, Giordano;
Sez. V, 21 gennaio 2010, n. 8152, Magnano; Sez. VI, 23 novembre 2010, n.
45504, Marini).
Il legislatore ha voluto limitare il sequestro per equivalente, funzionale
alla confisca, solo al tandundem, cioè alla somma corrispondente al profitto o
al prezzo conseguito dall'illecito, sicché non appare coerente sostenere, come
ha fatto il Tribunale, che la questione relativa al
quantum dei beni da
sequestrare sia problema da affrontare nella fase esecutiva della confisca, in
quanto uno degli aspetti che il giudice deve valutare ai fini dell'emissione della
misura cautelare è costituito proprio dalla corrispondenza tra il valore dei beni
oggetto della futura ablazione e l'entità del profitto o del prezzo del reato.
5.2. Sulla base di quanto precede deve riconoscersi che il Tribunale di
Roma ha illegittimamente confermato il sequestro preventivo per equivalente
dei beni nonostante fosse eccedente, oltre il doppio, all'accertato valore del
prezzo del reato di corruzione contestato ai due imputati, peraltro omettendo
ogni
valutazione in ordine alle deduzioni avanzate dalle difese sulla
sproporzione del provvedimento, supportate dalla documentazione prodotta
relativa al valore effettivo della Società Sportiva Romana.
Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio
al Tribunale di Roma, che nel nuovo giudizio si atterrà ai principi di diritto
sopra indicati.
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P. Q. M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di
Roma.
Così deciso il 26 marzo 2013
(
I Presid
Nico a
Il Consigl re estensore
GiorgiJiilo
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