Laura Pallavicino Sanvitale

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Laura Pallavicino Sanvitale
Laura Pallavicini Sanvitale
Che donna straordinaria Laura Pallavicini Sanvitale: rimasta vedova a 28 anni ha saputo gestire per quasi
tre decenni con autorevole spregiudicatezza il potere derivatole dai suoi beni dotali e dalla gestione
dell’eredità del marito, dimostrando una disinvolta abilità negli affari e una vivace intelligenza politica, tanto
da farle ipotizzare la creazione di una lega femminile di potere in considerazione <del crescente rilievo che le
donne dell’aristocrazia territoriale padana
avevano assunto nella sfera pubblica nella prima metà del
Cinquecento>. E’ questo il ritratto di Laura che esce nell’approfondito e illuminante saggio dedicatole da
Letizia Arcangeli - <Un’aristocrazia territoriale al femminile. Due o tre cose su Laura Pallavicini Sanvitale e
le contesse vedove del parmense> - nel volume <Donne di potere nel Rinascimento> (edizione Viella) a
cura della stessa studiosa e di Susanna Peyronel. Dagli scritti emerge come nel Rinascimento numerose
donne si siano mostrate molto attive nella società politica: dalle principesse consorti alle signore di piccoli
stati autonomi, a feudatarie reggenti mentre il marito era in guerra.
Jacoba Laura Pallavicini era nata a Zibello nel 1491 da Federico e Clarice Malaspina e aveva sposato nel
1510 il conte Giovanni Francesco Sanvitale di Fontanellato, primogenito di Jacopo Antonio e fratello di
Galeazzo, marito di Paola Gonzaga. A 28 anni era rimasta vedova con tre figli (Ercole, Alfonso e Veronica) e
una in arrivo (Silvia): i due figli maschi venivano nominati eredi universali ma era lei, da sola, a gestire il
patrimonio. <I risultati della sua gestione – sottolinea l’Arcangeli – furono tutt’altro che di mera
conservazione, anche se l’incremento non andò a favore del patrimonio dei figli ma del suo personale>.
Aveva acquistato terre a Fontanellato, case a Modena e commerciava grosse partite di grani. Nei primi anni
di vedovanza la coesistenza coi cognati nella stessa rocca, divisa a metà consensualmente e senza
barriere, era stata amichevole anche se lo stile delle due famiglie era diverso; Galeazzo e Paola amavano il
lusso e la cultura (saranno committenti del Parmigianino) mentre Laura badava agli affari, anche se la
recente identificazione, da parte di Mariangela Giusto, della sua immagine in un ritratto del Correggio
potrebbe rendere più articolato il giudizio su di lei e sul suo rapporto con la cultura. Nel 1527 con la morte del
protonotario apostolico Gian Ludovico Sanvitale, che aveva escluso dall’eredità i figli di Laura, i rapporti con
Galeazzo si incrinavano a tal punto da farlo sospettare di veneficio per la morte di Ercole (1530), primogenito
del defunto Giovan Francesco e di Laura, la quale lasciava Fontanellato e si trasferiva a Parma, pur
continuando a reggere il feudo. Prendeva dimora nella vicinia di San Giovanni Evangelista in <burgo de
medio> (via Cairoli) in un antico palazzo dei Cornazzano – come informa Alessandra Talignani - insieme al
fedele notaio Giandomenico Criminali e a uno staff di 18 servitori.
A Parma Laura si mostrava lungimirante adottando una strategia che la portava a guardare più all’economia
che alla politica, ad astenersi nella battaglia condotta dai nobili contro la città, a privilegiare il rapporto
diretto con chi governava anziché con le fazioni, anche se
l’ostilità verso i Rossi
era continua. Nel
contempo (1535) concludeva il matrimonio della figlia Silvia, che portava una dota <spropositata>, col conte
Giulio Baiardi erede del feudo di Scandiano e sponsor di Nicolò dell’Abate. L’altra figlia Veronica entrava,
invece, nel monastero delle benedettine di San Quintino, dove si alternavano badesse di casa Sanvitale. La
grande occasione la coglieva nel 1537 quando Paolo III Farnese, che lei aveva conosciuto nel 1519,
mandava a Parma l’esercito pontificio con una piccola corte guidata dal figlio Pier Luigi. Laura, esperta
<nelle sottigliezze delle corti>, diventava la referente dei Farnese nel parmense e ciò le procurava molti
privilegi rispetto agli avversari politici e le consentiva di riuscire a far sposare (1539) il figlio Alfonso con
Gerolama Farnese (1525 – 1586), figlia di Galeazzo di Latera e di Ersilia Colonna e parente del Papa. Un
grande colpo che però poco dopo le costava caro. Infatti il figlio Alfonso – che dal matrimonio avrà ben tre
figli e sette figlie a nessuna delle quali metterà il nome della madre – le intentava causa per toglierle
l’usufrutto dei beni e solo la prigione la faceva cedere. Tornata in libertà nel 1550, la contessa lasciava
Parma e si trasferiva per un po’ a Scandiano nel feudo della figlia, che restava vedova nel 1553, finanziando
la decorazione della rocca; poi nel ’55 andava a risiedere a Reggio Emilia, dove moriva nel 1575, a 84 anni.
Nel testamento redatto due anni prima lasciava l’ingente capitale di ben 300mila lire ai tre nipoti maschi
sopravissuti ad Alfonso (morto nel 1560), mentre alla figlia sposata e alle nipoti femmine andavano legati
modestissimi, come alla figlia monaca e ad alcune istituzioni ecclesiastiche reggiane. La sua immagine,
affievolitasi nel corso dei secoli, torna ora alla ribalta con questo brillante studio dell’Arcangeli che la delinea
come donna <moderna> dalla spiccata personalità, capace di agire e dialogare alla pari con gli uomini.
Pier Paolo Mendogni