Fin da Piccoli anno 1 n 3 - Centro per la Salute del Bambino

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Fin da Piccoli anno 1 n 3 - Centro per la Salute del Bambino
FIN DA PICCOLI
Aggiornamenti sulla letteratura in tema di
interventi nei primi anni di vita
settembre - dicembre 2009 - Anno 1 - numero 3 pgg 1-6
FIN DA PICCOLI si propone di diffondere conoscenze sull’importanza e
l’efficacia di interventi effettuati nei primi anni di vita e finalizzati alla salute ed allo
sviluppo dei bambini. Poiché quanto accade all’inizio della vita ha influenze molto
significative sulla qualità della vita dell’adulto, tutto questo ha rilevanza anche per
il futuro delle nuove generazioni.
FIN DA PICCOLI si propone di contribuire a questo fine attraverso la
diffusione di studi e ricerche riportati dalla letteratura internazionale.
FIN DA PICCOLI è diretto primariamente a operatori che a vario titolo si
occupano di infanzia, ma anche a genitori e ad amministratori.
Sommario
Editoriale Il titano siamo noi
p. 2
Riflessi della deprivazione sociale e della provenienza
etnica su ricovero e mortalità in terapia intensiva pediatrica.
Importanza del coinvolgimento paterno per la qualità
della vita del figlio
Il ciclo transgenerazionale della depressione
L’allattamento al seno come fattore di protezione del
maltrattamento al bambino
p. 3
Documenti segnalati
p. 6
p. 4
p. 5
p. 5
Comitato editoriale:
Giancarlo Biasini
Francesco Ciotti
Giorgio Tamburlini
Hanno collaborato a
questo numero:
Francesco Ciotti
Alberto Pellai
Patrizia Rogari
Sergio Conti Nibali
Giorgio Tamburlini
FIN DA PICCOLI esce ogni 4 mesi solo in formato elettronico.
Per riceverlo regolarmente telefonare al n. 040 3220447 o scrivere a [email protected]
indicando di voler ricevere “FIN DA PICCOLI”
Centro per la Salute del Bambino - ONLUS
Formazione e ricerca per le cure alla Maternità,
all’Infanzia e all’Adolescenza
Progetto grafico di Giulia Richter
Il titano siamo noi
"Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sè, com'ogni altra semente
fuor di sua ragion, fa mala prova.
E se 'l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente."
(Paradiso, canto VIII, versi 139-144)
Le prime epoche della vita, a partire dallo sviluppo embrio-fetale ai primissimi anni di vita, sono cruciali per lo sviluppo del bambino, dei suoi organi, delle sue competenze e
della sua capacità di acquisirne delle nuove. La sua stessa visione del mondo, più o meno fiduciosa e “facile” ai rapporti con il prossimo, oppure diffidente e “difficile”, dipende in
qualche significativa misura , oltre che dal patrimonio genetico, anche dalle modalità di
attaccamento con la figura o le figure adulte di riferimento durante il primo anno di vita.
Di tutto quello che accade nelle prime epoche della vita siamo inoltre ormai in grado di
prevedere, entro certi limiti, gli effetti a distanza, e cioè in età adulta. Questo vale per lo
stato di salute generale, il rischio cardiovascolare, metabolico e respiratorio, il rischio di
tumori, o di andare incontro a patologie autoimmuni e allergie; ma anche, come recenti
studi hanno dimostrato per lo stato di salute mentale. Sappiamo che quanto è successo
(o non è successo) nei primissimi anni di vita influenza significativamente il successo
scolastico, l'avvenire lavorativo, il rischio di dipendenze, e così via.
Tali precoci e importanti influenze di quanto accade nelle prime epoche della vita sulle
epoche successive, aggiunte al fatto che un'altra buona fetta del nostro futuro sta scritta
nei nostri geni, farebbero pensare in effetti che la nostra vita sia di fatto predeterminata,
che il sapere moderno di fatto non faccia che confermare il concetto di karma orientale,
e che non ci resti che attendere per vedere quello che ci riserverà il destino.
In realtà le cose stanno diversamente: è proprio quanto abbiamo appreso sulle precoci
interazioni tra genetica e ambiente, che oggi sappiamo essere bidirezionali, e ben più
importanti di quanto si potesse pensare pochi anni fa, che rimette il singolo bambino e
le nuove generazioni nel loro insieme, di fronte ad un ventaglio di possibilità molto vasto,
che è il prodotto delle predisposizioni (che si esprimono in via probabilistica, e non deterministica) genetiche e delle interazioni possibili tra queste e le esperienze e le esposizioni ambientali precoci.
Possiamo immaginare il patrimonio genetico come una delle infinite possibili configurazioni di un terreno che dal monte porta a valle, con un'architettura di volta in volta diversa di avvallamenti e fenditure che tendono quindi a far prendere all'acqua specifiche
direzioni, e l'influsso dell'ambiente come l'opera del titano, che può modificare le pendenze, creare ostacoli e terrazzamenti e aprire nuovi sbocchi. La configurazione iniziale
del terreno inevitabilmente pone dei limiti all'opera successiva, ma quest'ultima tuttavia
può avere una influenza decisiva sul risultato ultimo, la direzione e il flusso dell'acqua
verso valle, che nella metafora rappresenta lo sviluppo del bambino.
Di queste due componenti, genetica e ambiente, la prima è ancora sostanzialmente immodificabile (ma siamo solo ai primi passi dell'ingegneria genetica) la seconda è invece
malleabile, ma può richiedere fatica e comunque dipende da cosa muove l'animo del
titano. Infatti, l'opera del titano (che siamo noi, noi genitori, la famiglia, gli amici la comunità, la scuola, gli amici, la società intera) dipenderà dalle finalità del suo operare, ad esempio quella di farsi carico di chi verrà dopo di lui, o, al contrario, di perseguire qualche
vantaggio immediato senza curarsi dei risultati a lungo termine.
Ecco, il paradosso è che il titano dei giorni nostri, pur più ricco che mai di sapere tecnico,
è pericolosamente miope rispetto al senso del suo lavoro, e non a caso ci sono stime
fondate che le nuove generazioni possano essere le prime nella storia dell'uomo a conoscere condizioni di vita peggiori di quelle delle generazioni precedenti, a causa non solo
del degrado ambientale ma anche, e forse soprattutto, di quello della coesione sociale.
Dovremmo ricordarci che il titano siamo noi.
Fdp
2
RIFLESSI DELLA DEPRIVAZIONE SOCIALE E DELLA PROVENIENZA ETNICA SU RICOVERO E MORTALITA’ IN TERAPIA INTENSIVA PEDIATRICA
In Inghilterra e Galles (come ovunque nel mondo) la mortalità infantile (5,2 per 1000 nati vivi)
aumenta con la povertà. I fattori associati all’eccesso di mortalità infantile comprendono basso peso alla nascita, etnia, povertà, cure sanitarie e consanguineità. In particolare il tasso di
mortalità infantile è più elevato nei figli di madri nate in Bangladesh, India e Pakistan.
Gli autori dello studio qui recensito (Epidemiology of critically ill children in England and Wales; incidence, mortality, deprivation and ethnicity – RC Parslow, RC Tasker, E S Draper, G J
Parry et al. Arch Dis Child 2009;94:210-215), hanno voluto verificare se anche i tassi di ricovero e la mortalità dei bambini sottoposti a terapia intensiva pediatrica variassero in relazione
allo stato socio-economico e all’etnia. Il Paediatric Intensive Care Audit Network (PICANet) è
un sistema di sorveglianza dei ricoveri in terapia intensiva pediatrica in Inghilterra e Galles
che consente di ottenere dati epidemiologici basati sulla popolazione. Questi dati sono stati
analizzati in modo da generare tassi di incidenza di ricovero e mortalità aggiustata per il rischio in relazione alla deprivazione e all’etnia.
Sono stati studiati tutti i bambini (età inferiore a 16 anni) ricoverati in 29 unità di terapia intensiva pediatrica in Inghilterra e Galles dal 2004 al 2007. Sono stati utilizzati due programmi di
analisi del nome per classificare l’origine sud-asiatica, e un indicatore di deprivazione
(Townsend score) basato sull’area di provenienza. Come denominatore di popolazione è
stato utilizzato il censimento 2001 del Regno Unito.
Il tasso di incidenza di ricovero complessivo è risultato 98 su 100.000 bambini per anno; l’incidenza è risultata più elevata per i bambini sud-asiatici rispetto ai non sud-asiatici (138 vs
95/100.000). L’incidenza standardizzata per età e sesso per tutti i bambini variava da 65/100.000 nel quinto di popolazione più ricco a 124/100.000 nel quinto di popolazione più povero. La mortalità è risultata superiore del 44% nei bambini sud-asiatici (7.11%) rispetto alla
mortalità complessiva (4.91%). Dallo studio emerge quindi che l’etnia gioca un ruolo indipendente rispetto alla deprivazione tanto è vero che la mortalità nei bambini sud-asiatici è addirittura più alta nelle categorie meno deprivate.
Conclusioni
Sia i tassi di ricovero che la mortalità in terapia intensiva pediatrica in Inghilterra e Galles
risentono dei fattori di rischio analizzati. L’incidenza di ricovero in terapia intensiva pediatrica
aumenta con l’aumentare della deprivazione; risulta inoltre superiore del 36% nei bambini
sud-asiatici. I più poveri presentano tassi di mortalità più elevati rispetto alla media nazionale.
La mortalità cruda è inoltre più elevata nei bambini sud-asiatici, tuttavia il rischio aumentato
di mortalità nei bambini sud-asiatici sembra ridursi con l’aumentare della deprivazione, dato
in contrasto con quelli nazionali e di difficile interpretazione. I dati raccolti non consentono di
identificare i fattori causali (es. consanguineità, patologie congenite o co-morbidità) relativi a
questo eccesso di mortalità, né possono essere trasferiti ad altre etnie.
Per chi è il messaggio
I dati che riguardano gli effetti dello stato socio-economico sulla salute sono in primo luogo
importanti per chi governa a livello nazionale e locale e per chi programma i servizi sanitari,
ma sono di rilievo per tutti gli operatori sia sanitari che socio-educativi. Le diseguaglianze, se
vengono pagate in termini di sofferenza esclusivamente da chi vive il disagio, costano anche
a tutta la società in termini di ricoveri e mortalità. Come è noto anche in Italia vi sono importanti differenze sia nella mortalità infantile (intorno al 5 per mille al Sud contro la media nazionale di 3,8) e come è stato recentemente dimostrato dallo studio ACTION, anche nella mortalità dei bambini di peso molto basso (> a 1500 gr) che risulta significativamente più alta al
Sud rispetto al Centro Nord. I fattori implicati sono sia pre-sanitari (livelli educativi, situazione
sociale ecc.) che relativi alla qualità e all’organizzazione delle cure pre e perinatali. Quest’ultimo aspetto può spiegare in alcuni casi come la mortalità dei bambini “ricchi” al Sud possa
essere anche più alta dei bambini “poveri” al Nord. Può darsi che fattori di questo tipo legati
cioè alla qualità differenziale di servizi con diversa prevalenza di utenza proveniente dal Sud
– Est asiatico possano spiegare alcuni dei dati più controversi dello studio su riporta.
PR
Clicca qui sotto per un ampio sunto dell’articolo di RC Parslow e coll.
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/1_Clicca_qui_Parslow_e_coll..pdf
Se non hai Adobe Reader 9, necessario per ottenere l'abstract,puoi scaricarlo gratuitamente da questo link: http://www.adobe.com/it/products/reader/
3
L’IMPORTANZA DEL COINVOLGIMENTO PATERNO PER LA QUALITA’ DI VITA DEL
FIGLIO
Poco è stato studiato e scritto sull’importanza del coinvolgimento paterno sin dai primi momenti di vita del bambino. La relazione madre-bambino, studiata in tutte le sue implicazioni,
ha spesso messo in ombra la figura del padre rendendo raramente disponibili studi sperimentali che ne valutassero l’impatto sul successo di crescita psico-fisica di un figlio. La metaanalisi condotta da Sarkadi e coll. (A. Sarkadi et al. Fathers’ involvement and children’s developmental outcomes: a systematic review of longitudinal studies Pædiatrica/Acta Pædiatrica
2008; 97: 153–158) ha il pregio di voler descrivere l’impatto che la presenza della figura paterna ha sulla vita e sul successo di crescita di un figlio. Il coinvolgimento paterno fino ad oggi, è stato essenzialmente descritto attraverso tre funzioni:
a) convivenza e compresenza nella stessa casa in cui vive un figlio,
b) coinvolgimento in attività divertenti, stimolanti, affettive (gioco, lettura, addormentamento,
esplorazione sociale)
c) responsabilità e funzioni di cura (garanzia della qualità di vita al figlio attraverso l’ attività
lavorativa e garantire al bambino tutte le cure mediche e l’assistenza necessaria in momenti
di bisogno particolare).
Questa meta-analisi è basata sulla revisione sistematica della letteratura scientifica fino al
mese di Settembre 2007. Di 63 pubblicazioni selezionate 24 sono state ritenute idonee per
l’inclusione. I dati provengono da 16 diversi studi longitudinali coinvolgenti circa 22.300 bambini.
Conclusioni
In generale, si è visto che il coinvolgimento paterno nella vita di un figlio:
- diminuisce i problemi comportamentali in adolescenza
- migliora il funzionamento sociale/relazionale sia durante l’infanzia (1) che l’adolescenza
- può garantire un migliore successo scolastico
In particolare, i maschi beneficiano dalla presenza di un padre che co-abita con loro in quanto manifestano un comportamento meno aggressivo. In famiglie senza disagio economico la
convivenza con un padre coinvolto ha ridotto in modo significativo i problemi comportamentali nei primi anni di frequenza scolastica. Un elevato coinvolgimento del padre in famiglie povere (ma con relazione stabile tra i partner) predice minori comportamenti antisociali durante
l’adolescenza. Per adolescenti con intensi livelli di comportamento antisociale, un alto coinvolgimento paterno gioca da fattore protettivo nei confronti di recidive a 1-2 anni di distanza
(2)
.
Complessivamente, la meta-analisi conferma che il coinvolgimento paterno riduce la frequenza di problemi comportamentali nei maschi e problemi di ordine emotivo-psicologico nelle
adolescenti e giovani donne; inoltre rinforza lo sviluppo cognitivo e riduce i comportamenti
antisociali su tutto l’arco dell’età evolutiva.
Per chi è il messaggio
Tutti i professionisti che lavorano con il mondo dell’infanzia e le loro famiglie devono essere
invitati a valutare la qualità del coinvolgimento paterno e a sostenerlo in tutte le forme, sin
dall’età più precoce. Esempi di attività di sostegno includono incontri prenatali per soli padri o
di madri e padri assieme su specifici argomenti riguardanti la genitorialità, incontri post-natali,
materiali ed informazioni, siti web.
AP
1 Levy-Shiff R, Hoffman M, Mogilner S, et al. Father’s hospital visits to their preterm infants as a
predictor of father-infant relationship and infant development. Pediatrics 1990; 86:289–93.
2 Coley R, Medeiros B. Reciprocal Longitudinal Relations Between Nonresident Father Involvement
and Adolescent Delinquency. Child Dev 2007; 78: 132–47
Clicca qui sotto per un ampio sunto dell’articolo di A Sarkadi e coll.
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/2_Clicca_qui_Sarkadi_e_coll..pdf
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4
IL CICLO TRANSGENERAZIONALE DELLA DEPRESSIONE
L’ipotesi di ricerca degli autori deriva dalla teoria dell’attaccamento e dalle conclusioni di studi
precedenti.
La teoria dell’attaccamento prevede che il pattern di attaccamento madre-bambino determini
lo sviluppo dei modelli rappresentativi interni del bambino ovvero della rappresentazione da
parte del bambino dei propri genitori e di se stesso. In altre parole un pattern di attaccamento
sicuro determina nel bambino lo sviluppo di una rappresentazione dei propri genitori come
responsivi, disponibili, accudenti nei suoi confronti e di conseguenza una rappresentazione di
se stesso come soggetto amato e amabile, fiducioso in se stesso e nelle sue capacità, adattato e adattabile alle situazioni sociali esterne alla famiglia. Invece un pattern di attaccamento
insicuro determina nel bambino lo sviluppo di una rappresentazione dei propri genitori come
non responsivi, assenti o anche ostili e rifiutanti e di conseguenza una rappresentazione del
sé come rifiutato, non amato e non amabile, con scarsa fiducia in se stesso, bassa autostima
e scarsa adattabilità alle situazioni sociali esterne alla famiglia.
Studi precedenti sulla depressione materna precoce in vari strati di popolazione hanno dimostrato che i figli di madri depresse sono a maggior rischio di sviluppare sintomi di scarsa autostima o francamente depressivi e vanno incontro con alta frequenza a percorsi evolutivi di
devianza e disadattamento sociale.
Tali studi chiariscono peraltro poco quanto sul ciclo transgenerazionale della depressione o
della devianza influiscano i fattori neurobiologici o i fattori socioeconomici o i fattori più propriamente relazionali.
Il lavoro in oggetto studia una popolazione bianca americana di alto ceto sociale (per escludere i fattori di rischio sociodemografico) di madri depresse e di madri non depresse nei primi
anni di vita del bambino e analizza l’esistenza di effetti diretti o mediati tra depressione materna precoce, pattern di attaccamento madre-bambino e modelli rappresentativi del bambino
dei genitori e del sé.
Conclusioni
Lo studio conclude che l’effetto della depressione materna precoce sullo sviluppo nel tempo
di modelli rappresentativi interni negativi del bambino è mediato dalla costruzione di un
pattern di attaccamento prevalentemente di tipo disorientato-disorganizzato tra il bambino e
la madre depressa che è incoerentemente ritirata e assente o ostile e punitiva verso il bambino stesso.
Per chi è il messaggio
Dallo studio si evince una raccomandazione di interventi di individuazione e di sostegno genitoriale alle madri depresse nei primi anni di vita del bambino per interrompere il ciclo transgenerazionale della depressione. Si deve quindi suggerire la possibilità e la necessità degli interventi precoci di sostegno alle madri depresse per interrompere il ciclo transgenerazionale
della depressione. Tali interventi precoci dovrebbero idealmente costituire una modulazione
successiva di sostegno professionalmente competente nell’ambito di un’offerta generalizzata
di sostegno post-partum offerta universalmente.
FC
Clicca qui sotto per un ampio sunto dell’articolo di Toth e coll.
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/3_Clicca_qui_Toth_e_coll..pdf
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L’ALLATTAMENTO AL SENO COME FATTORE DI PROTEZIONE DEL MALTRATTAMENTO AL BAMBINO
Sul numero 1/09 di “FIN DA PICCOLI” era già stato affrontato il problema relativo all’associazione tra maltrattamenti infantili e comportamenti criminali, abitudini sessuali a rischio e abuso di alcool e droghe nell’età adulta. Gli abusi sui bambini nelle regioni a reddito elevato sono
molto più comuni di quanto mostrino le statistiche ufficiali, in quanto, si stima, in base a indagini retrospettive condotte sulla popolazione generale, che solo il 10% dei casi venga individuato. Questi studi indicano che dal 4 al 16 % dei bambini subisce abusi fisici, ed un bambino su 10 subisce abusi psicologici o viene trascurato; il 5-10 % delle bambine ed il 5% dei
bambini subisce abusi sessuali penetrativi, ed una cifra tripla riceve abusi sessuali di vario
tipo. In almeno il 60% dei casi negli USA la madre è coinvolta nel maltrattamento (US Department of Health and Human Services. Child Maltreatment 2005. Washington, DC: US
Government Printing Office; 2007).
5
Nell'Unione Europea quattro bambini su un milione sono vittima di omicidi perpetrati all’interno della famiglia ogni anno, e nell'Europa centrale e negli stati da poco indipendenti il tasso è
tre volte superiore (Lancet online 2008, pubblicato il 4/12).
L’articolo di L. Strathearn, A. Mamun, J. M. Najman et al. (Does Breastfeeding Protect Against Substantiated Child Abuse and Neglect? A 15-Year Cohort Study. Pediatrics 2009;123;483-493), in cui sono stati seguiti prospetticamente per 15 anni una coorte di 7223
coppie madre-bambino a Brisbane (Australia), ha evidenziato una prevalenza del 4.3% di
maltrattamenti documentati e ha confermato che l’allattamento al seno costituisce un fattore
di protezione nei riguardi delle forme di maltrattamento da parte della madre quindi in particolar modo della trascuratezza.
Conclusioni
Tutti sanno che l’allattamento al seno costituisce un intervento di salute pubblica da incoraggiare e sostenere per tutti i neonati. Questo studio conferma che può svolgere anche un ruolo di prevenzione in situazioni a rischio di abuso e maltrattamento. I meccanismi ormonali,
scatenati dal contatto pelle a pelle propri dell’allattamento, sono probabilmente alla base della protezione, così come il tipo di attaccamento e di relazione che l’allattamento può favorire.
Gli sforzi per favorire l’allattamento al seno e dare supporto alle madri dovrebbero essere
ancora maggiori nelle condizioni potenzialmente a rischio, quali: debole condizione sociale,
età materna molto giovane, gravidanza indesiderata, basso livello sociale, mancanza di lavoro, povertà, ansia e depressione. E’ chiaro che le madri in queste condizioni che non abbiano potuto e voluto allattare meritano alla luce di questi dati un supporto specifico ancora
maggiore.
Per chi è il messaggio
I fattori di rischio di maltrattamento e abuso andrebbero tenuti a mente da tutti gli operatori
che interagiscono con una donna nel corso della sua gravidanza, al momento del parto e
della sua permanenza nel punto nascita e alla dimissione; il percorso dovrebbe essere
“protetto” in modo particolare e un’attenzione specifica andrebbe data al contatto pelle a pelle
sin dalla sala parto e alla promozione e al sostegno dell’allattamento quali facilitatori di relazione e attaccamento.
SCN
Clicca qui sotto per un ampio sunto dell’articolo di Strathearn e coll.
http://www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/4_Clicca_qui_Strathearn_e_coll..pdf
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DOCUMENTI SEGNALATI
•
Starting Smart: How Early Experiences Influence Brain Development
Si tratta di un documento divulgativo prodotto da una ONG americana (Zero to three) che
riassume le attuali conoscenze sullo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino e gli effetti sia
del trauma dello stress che degli sforzi per migliorare la qualità delle cure complessive al
bambino.
Clicca qui www.csbonlus.org/inc/ALLEGATI/startingsmart.pdf
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