Foglio della comunità italiana di Capodistria

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Foglio della comunità italiana di Capodistria
Anno 16
Numero 33
Foglio della comunità italiana di Capodistria
Dicembre 2011
La città
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Foto Katonar
Foto Comune Capodistria
3 novembre. Visita a Capodistria della nuova
ambasciatrice d’Italia in Slovenia, Rossella Franchini
Sherifis. Ha incontrato una delegazione della CNI,
visitato Radio e Tv Capodistria nonchè, a Isola, il
Seminario di lingua italiana per gli insegnanti.
26 giugno. Reduce dal Festival internazionale delle
bande militari svoltosi al Palasport Stožice di Lubiana,
si è esibita a Capodistria la Fanfara Ariete dell’11.mo
reggimento bersaglieri. I soldati hanno sfilato davanti
alla Taverna dopodichè hanno tenuto un concerto nel
vicino Piazzale Carpaccio.
Accolto a Bruxelles il finanziamento del progetto
»Friends for Emergencies« presentato dai comandi
dei Vigili del fuoco di Trieste e Capodistria. Pevede
corsi linguistici, esercitazioni, miglioramento
delle comunicazioni radio, un sito web comune e
l’acquisizione di software per gestione cartografica
Restaurata la casa del ‘400 sul Piazzale dei pescatori.
Dopo l’incendio l’edificio era rimasto senza tetto.
Si pensava di collocarvi un Centro consulenza per il
rinnovo degli edifici nel centro, ma il progetto non
ha ottenuto il placet europeo. Sul lato-strada, è stato
costruito il moderno Caffè »Veneziana«.
28 agosto.
Festeggiata alla
Casa dell’anziano
di Isola la
capodistriana Lucilla
Pizzarello Gravisi
che ha compiuto
cent’anni. A farle
gli auguri sono
venuti rappresentanti
comunali, del
Consolato e delle
Comunità degli
italiani. Nella foto,
con la festeggiata,
Mario Steffè e
Ondina Gregorich
Diabatè della CI di
Capodistria.
La città
Slovenia. Elezioni parlamentari 2011 al centro-sinistra
Le urne hanno ribaltato in poche ore in Slovenia i
pronostici della vigilia per le elezioni politiche anticipate.
Gli elettori recatisi il 4 dicembre alle urne, si sono espressi
a favore di “Slovenia positiva” del sindaco lubianese,
Zoran Janković con il 28,8 per cento delle preferenze.
È stato, invece, ridimensionato il Partito democratico di
Janez Janša, che si è fermato al 26,1 per cento, dopo che i
sondaggi per oltre un mese gli attribuivano anche il 35 per
cento. Buono, considerate le critiche incassate negli ultimi
tre anni di legislatura, il risultato dei Socialdemocratici
del premier uscente Borut Pahor, che ha raggiunto il 10
per cento delle preferenze. In Parlamento entrano ancora
il Partito popolare ed il Partito democratico dei pensionati
DeSUS, con circa il 7 per cento, mentre gli ultimi quattro
seggi disponibili vanno a Nuova Slovenia. Rimangono
fuori i Partiti liberaldemocratico e Zares, facenti parte dal
2008 della coalizione di governo.
Il voto minoritario per l’unico candidato al seggio
specifico nel Parlamento sloveno, Roberto Battelli, ha
visto un’affluenza alle urne del 42,4 per cento degli aventi
diritto. Ecco quanto ha dichiarato il deputato alla Voce
del popolo all’indomani del voto: “Il Paese ha fatto la
sua scelta ed è nuovamente spaccato in due. La posizione
che potrò esporre al premier incaricato è la richiesta di
un sostegno, solido e immutato, all’attuazione dei nostri
diritti che non dovrà essere ridotto nel nome della crisi
economica. Se ciò avvenisse i cittadini appartenenti alle
comunità nazionali si troverebbero nella condizione di
pagare tale prezzo per due volte. La prima condividendo
il destino di tutti e l’altra subendo lo scotto della riduzione
delle risorse destinate alle minoranze. Dalle risposte che
ci saranno date dipenderà anche il nostro rapporto con il
nuovo governo”.
Care e cari connazionali,
consentitemi di
cogliere questa
opportunità cortesemente offerta da “La Città”
per ringraziare
sentitamente
tutti coloro che
hanno depositato
la propria firma
a sostegno della
mia candidatura
e tutti coloro che
hanno votato per
il seggio specifico, dando così un segno inequivocabile ed incontestabile della nostra presenza
e vitalità. Avremo bisogno di entrambe nel prossimo futuro: come ben sapete, questo sarà non
solo un mandato parlamentare difficile e forse
molto breve, ma sarà anche un periodo in genere
molto difficile per tutti. Dovremo saperlo gestire
all’insegna della concordia e dell’unità di intenti
di tutte le nostre strutture e forme organizzative.
Sono convinto che insieme ce la faremo. Auguro a tutti Buon Natale e, per quanto possibile, un
sereno 2012. Con affetto e stima
Roberto Battelli
La nuova, attesissima pubblicazione dello storico
Salvator Žitko data alle stampe nella coedizione
dell’Editrice Libris e del Centro »Carlo Combi« di
Capodistria introduce alla storia, patrimonio artistico
e monumentale, nonche informazioni e curiosità
riguardanti la città di Capodistria. La presentazione del
libro ha avuto luogo il 9 dicembre a Palazzo Pretorio.
Maggiori informazioni a pag. 24.
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La città
Comunità di Capodistria: bilancio degli ultimi sei mesi
di Mario Steffè
Anche nel secondo semestre il programma dei gruppi artistico-culturali operanti presso la Comunità degli Italiani
“Santorio Santorio” di Capodistria è stato intenso per quanto riguarda gli impegni in agenda, registrando un
positivo intensificarsi delle attività soprattutto per le sezioni di più recente costituzione in seno al sodalizio. Il lavoro
e l’esperienza sinora accumulata hanno permesso la pianificazione di un proficuo programma di trasferte, con un
incremento di contatti con le altre Comunità degli Italiani, enti e istituzioni in Italia e Croazia, nonché la promozione
delle diverse attività in campo artistico-culturale sul territorio d’insediamento e in ambito regionale e nazionale.
Grazie all’esperienza travasata dai mentori ai membri delle rispettive sezioni e all’impegno dimostrato dai volonterosi
attivisti si è riusciti a tradurre in proficuo risultato lo sforzo organizzativo e finanziario della Comunità a sostegno di
tali attività, che hanno registrato nel complesso una crescita qualitativa e quantitativa. Accanto al tradizionale impegno
nell’organizzazione di eventi culturali di richiamo in campo letterario, concertistico ed espositivo, la Comunità ha
pertanto indirizzato buona parte del suo operato in campo culturale all’attività dei gruppi artistico-culturali, in
quanto ritenuti di fondamentale interesse per il mantenimento e la diffusione della nostra identità e la promozione
della stessa in ambito allargato. Un dovuto ringraziamento va a quanti hanno contributo, con il loro alacre impegno
e disinteressato apporto, alla crescita sostanziale di un variegato tessuto culturale amatoriale di base presso la nostra
Comunità.
Gruppo di canto popolare spontaneo
“La Porporela”
della musica popolare tradizionale grazie alla generosità
dell’approccio e alla verace vocalità che La Porporela
infonde nelle sue esibizioni. Giova ribadire quanto
importante sia il riscontro di tale attività nel rafforzare
il sentimento di appartenenza e manifestarlo attraverso
l’esperienza del “cantare assieme in dialetto”, il che si
rivela al contempo uno strumento per riconoscersi in
un nucleo antico di identità “cavresana” e promuoverne
la conoscenza. Tra le recenti esibizioni de La Porporela
annotiamo la partecipazione alla rassegna comunale e
regionale dei cantori e musicisti popolari organizzate dal
Fondo pubblico per le attività culturali amatoriali e le
apparizioni a Zagabria e Beltinci nell’ambito dell’attività
promossa dall’Associazione culturale etnomusicologica
Folk Slovenija.
Gruppo teatrale ’Cademia Castel Leon
La Porporela si esibisce a Lubiana nell’ambito della
rassegna folcloristica “Eno po domače” organizzata
dall’Istituto di musicologia dell’Università lubianese)
Dopo aver presentato nella scorsa stagione il Cd con le
registrazioni del primo periodo di attività nell’ambito
del festival FolkHistria ed essersi fatta conoscere
prevalentemente in ambito locale, La Porporela ha
partecipato a diversi festival e concerti, contribuendo a
promuovere il repertorio musicale popolare istro-veneto.
Tale contributo, che va ricercato essenzialmente nel valore
della testimonianza dell’identità e dell’attaccamento alle
nostre radici musicali, ha permesso in breve al gruppo
di guadagnarsi una meritata attenzione negli ambienti
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Acquisita sufficiente confidenza con la scena attraverso
un tirocinio fatto di brevi pièce teatrali e il seguente primo
allestimento di un certo impegno con la commedia dialettale
in tre atti “La colpa de inveciar”, la filodrammatica
capodistriana ha presentato in questa stagione al suo
pubblico la farsa “La sponta”, che ha riconfermato la sua
verve comico brillante di una certa compita arguzia, ben
lontana da certi toni sbracati e di ridanciana faciloneria
che contraddistingue purtroppo gran parte delle
produzioni dialettali delle compagini teatrali amatoriali.
In questo senso le maggiori soddisfazioni sono arrivate
proprio in questo finire di stagione con la riproposta sulle
scene dell’ormai ben rodata commedia dai toni agrodolci
La città
La filodrammatica capodistriana sbarca a Cherso!
(foto Danilo Fermo)
“La colpa de inveciar”, incentrata sull’eterno conflitto
generazionale e sui piccoli e grandi drammi della vecchiaia.
Il lavoro riconferma la sua bontà nel buon adattamento
dialettale e nei riusciti intrecci scenici, con la compagnia
che ha saputo trarre profitto da un lungo ciclo di repliche,
culminato nell’impegnativa tournée quarnerina di Cherso
e Lussinpiccolo di fronte a un numeroso e ben disposto
pubblico. Un lungo percorso che si è chiuso idealmente
a Trieste, con la presenza nell’ambito della XIX edizione
del Festival teatrale dialettale Ave Ninchi.
Mandolinistica della C.I. di Capodistria
Un proposito che sembrava irrealizzabile ancora poco
tempo addietro, quello di rifondare la sezione della
mandolinistica in seno alla Comunità, è diventato nel
frattempo una splendida realtà. Partendo da un primo
nucleo di volonterosi composto dai tre fratelli Orlando, altri
membri formatisi alla scuola dell’indimenticato maestro
Scocir (storico dirigente della prima mandolinistica della
Comunità degli Italiani), si sono aggregati a formare
un ensemble musicale di una decina di elementi. In
un lasso di tempo assai ristretto e sotto la guida del
mentore Marino Orlando che ha assunto le redini della
sezione, la mandolinistica capodistriana è riuscita nella
non facile impresa di imbastire un programma di tutto
rispetto, attingendo dal repertorio storico e arrangiando
appositamente nuovi brani per il ricomposto organico a
plettro. Dopo le prime sortite per verificare la risposta
di fronte al pubblico ed affinare repertorio e coesione
d’assieme, è seguito recentemente un concerto di più
ampio respiro presso la Comunità ospitante Pasquale
Besenghi degli Ughi di Isola, in attesa di perfezionare il
programma per l’imminente e tanto atteso debutto con un
concerto autonomo dinanzi al pubblico capodistriano.
Brevi dal programma culturale della Comunità degli
Italiani:
La stagione estiva in campo culturale, oltre che per i
concerti all’estivo della Comunità, è stata contraddistinta
dalla mostra fotografica del riconosciuto maestro
internazionale d’origine italiana Walter Carone, entrato
di diritto nell’albo d’oro della fotografia quale reporter
del Paris Match tra gli anni ‘50 e ‘70 del secolo scorso. A
palazzo Gravisi è stata esposta un’impressionante galleria
di ritratti di personaggi famosi dell’epoca, che non ha
mancato di attirare un numeroso pubblico in occasione
dell’inaugurazione, conclusasi con un omaggio musicale
ad Edith Piaf nell’interpretazione di Eleonora Matijašič.
La mandolinistica della C.I. di Capodistria in concerto a palazzo Manzioli
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La città
Inaugurazione della mostra di Walter Carone a palazzo
Gravisi. (foto Igor Opassi)
Più che un concerto, un viaggio appassionante tra i vari
generi musicali con echi da ogni parte del globo, condito
con la spigliatezza di un artista che fonde esperienze e
culture apparentemente inconciliabili e distanti tra di
loro. Un viaggio attorno al mondo nell’arco di novanta
intensi minuti e una grande esperienza di apertura e
multiculturalismo.
Patrizia Laquidara canta le storie dell’Anguana
(foto Igor Opassi)
La cantante Patrizia Laquidara si è esibita a fine ottobre
presso la sede della Comunità nel corso di un intenso
concerto nel quale ha proposto in versione acustica alcuni
brani dal suo vasto repertorio, rivelando quelle doti
vocali e interpretative che le hanno valso il plauso della
critica e del pubblico. A confermare il particolare stato di
grazia della cantante è giunto recentemente l’importante
riconoscimento al suo ultimo Cd »Il canto dell’Anguana«,
targa Tenco per il miglior album in dialetto, dal quale
sono stati proposti a conclusione di concerto alcuni
suggestivi brani che ci hanno magicamente catapultato in
un contesto di comune identità veneta, che segue antiche
trame e arcani misteri della tradizione popolare.
Il concerto di Bob Brozman ci ha regalato un’intensa
emozione e fatto scoprire nella sua piena dimensione un
meraviglioso interprete della chitarra acustica. Vincitore
di innumerevoli premi e riconoscimenti internazionali,
affidandosi solamente alla sua voce e a uno sterminato
set di chitarre di varia foggia da lui personalmente
elaborate, Brozman si è rivelato non solo straordinario
virtuoso, ma fautore di un’esperienza musicale globale.
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Bob Brozman in concerto »Guitar Radio Live«
(foto I. Opassi)
La città
JEZIKLINGUA
Il Centro Carlo Combi collabora inoltre, in qualità di partner al progetto europeo di Cooperazione Transfrontaliera
Italia-Slovenia 2007-2013, JEZIKLINGUA (LINGUA-JEZIK:Plurilinguismo quale ricchezza e valore dell’area
transfrontaliera italo-slovena), nell’ambito del quale ha commissionato i testi per una pubblicazione che uscirà nel
2012 sui proverbi istriani, detti, modi di dire e le massime popolari della tradizione della nostra gente andando in tal
maniera a recuperare il patrimonio orale e le nostre radici. Per saperne di più: www.jezik-lingua.eu
Sempre nell’ambito di tale iniziativa, nel corso del 2011, è stata avviata la ricerca scientifica intitolata: “Comprendere
in che modo viene studiata, compresa e presentata la lingua italiana in Slovenia”. L’obiettivo della ricerca è quello di
acquisire le dovute conoscenze per elaborare una strategia comunicativa che renda attraente ed invogli lo studio della
lingua italiana. Nel corso del 2011 è stato elaborato un questionario somministrato a oltre 200 soggetti individuati
nell’ambito del target group precedentemente definito, quali Comuni costieri, Unità amministrative, Tribunali, Istituti
di collocamento, per l’assicurazione sanitaria e per la previdenza sociale, ospedali, uffici delle imposte, direzioni di
polizia, Poste, Aziende di distribuzione di energia elettrica e d’acqua, aziende private maggiori, ecc. del Capodistriano,
Goriziano e parzialmente della zona del Carso. Nel corso del 2012 i risultati ottenuti dalla ricerca verranno presentanti
in un volume bilingue.
Una novità a livello costiero rappresenta anche il nuovo sito internet della nostro Ente (www.centrocombi.
eu), nel quale si possono visionare gli eventi organizzati dalle Istituzioni della Comunità Nazionale Italiana in un
calendario aggiornato.
Roberta Vincoletto
La consegna degli attestati al termine del corso di italiano presso la stazione di polizia di Pirano.
Al centro l’insegnante Nina Kasal, in fondo a destra Andrej Bertok.
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La città
»Noi eravamo per il referendum«
A colloquio col capodistriano Giorgio Cesare, ex membro del CLN dell’Istria, residente a Trieste dal
1945. Giornalista Rai in pensione e presidente onorario del Gruppo cronisti giuliani, Cesare ricorda
per la Città alcuni episodi interessanti della sua lunga esperienza politica.
L’imbocco di Via della Riforma agraria (ex Via Verzi) dalla Calegaria.
Signor Cesare, lei nasce a Capodistria. Da genitori Che ruolo ebbe il de Favento in quegli anni?
Nessuno. Perché non ha potuto.
capodistriani?
Mio papà era nato a Trieste e lavorava nella farmacia in
Calegaria. Sua nonna era di origine tedesca, mia mamma
invece era nata Pisino. Abitavamo in Via Verzi (oggi Via
della Riforma agraria, ndr) tra la Calegaria e il Liceo
Combi.
Il padre lavorava con Ghino de Favento.
Sì, Ghino, ossia Domenico de Favento, era conosciutissimo
a Capodistria, presidente del CLN locale. Di fatti nel
maggio ’45 c’era un tentativo di metterlo alla guida della
città, ma dopo qualche settimana aveva rifiutato. Era
venuta subito la Vojna uprava. Pirano aveva tenuto per
parecchi mesi. Pirano aveva un CLN italiano che era in
comunicazione con Venezia, con il Veneto. C’era Antonio
Sema, il figlio Paolo…a Capodistria la situazione era
diversa.
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Prima?
Durante la guerra faceva parte del Comitato di liberazione
nazionale di cui la farmacia era un po’ il centro. Con il
marchese Girolamo de Gravisi…il “marchese rosso” lo
chiamavano perché era socialista. Si teneva i contatti con
il CLN di Trieste fino al giugno del ’45.
Che fine ha fatto il marchese?
Lui era rimasto alcuni anni a Capodistria, poi ci vedavamo
a Trieste dove frequentava anche la sede del Partito
socialista della Venezia Giulia.
Lei lascia Capodistria molto presto invece…
Sono andato via dopo lo sciopero. Infatti noi abbiamo
organizzato quello sciopero generale contro l’introduzione
della jugo-lira. Ci rendavamo conto che l’introduzione
della jugo-lira era la separazione di Trieste e l’Istria e
La città
quindi l’esodo. Moltissimi capodistriani lavoravano
a Trieste. Insomma, io ero coinvolto con lo sciopero
generale che poi doveva estendersi a Isola e a Pirano.
Lo sciopero era stato concordato tra tutti i partiti.
Era stato concordato con un incontro proprio a casa
nostra. Un comitato sorto spontaneo, era venuto Armando
Cattonar, che era comunista, iscritto al Partito comunista
di Trieste. Avevamo dato la presidenza del comitato dello
sciopero al direttore della scuola elementare di Capodistria,
Fioranti. Non si fece nulla a Isola e Pirano perché
Capodistria fu invasa quel giorno da degli scalmanati i
quali dicevano che a Capodistria erano tornati i fascisti.
Un falso storico. Spaccarono vetrine, assalirono i cittadini
che trovavano per la strada…
Uccidendo vicino alla porta della Muda, il negoziante
Zarli.
Esatto. Di fatti, questo me lo disse dopo la frattura del
Cominform, Sandro Destradi, che a Capodistria venne lui
direttamente inviato da Trieste.
E chi era Sandro Destradi?
Segretario del Partito comunista a Trieste nel secondo
dopoguerra. Mi disse che era venuto a Capodistria, perché
fortemente allarmati da questa vicenda, per placare gli
animi e impedire che ci fossero altri atti di violenza.
La soppressione violenta di questo sciopero generale
colpì molto, psicologicamente, gli abitanti di
Capodistria?
In quell’occasione ci recammo a Roma per riferire
al governo di allora le vicende che erano accadute a
Capodistria con l’introduzione della jugo-lira. Fu l’inizio
dell’esodo da Capodistria. Mentre la popolazione del
resto della Zona B esodò in massa dopo il memorandum
di Londra del ’54.
Attingendo da una cronologia di Aldo Cherini, mi sono
segnato alcune date che la riguardano. 11 gennaio
’46, nasce a Trieste il Comitato istriano del CLN del
quale fanno parte, tra gli altri, Giorgio Cesare e Rino
Apollonio.
Beh dopo lo sciopero andai a Roma e non tornai più a
Capodistria fermandomi a Trieste, dove avevo gli zii.
Sono entrato subito nel Partito socialista che poi abbiamo
trasformato in Partito socialista della Venezia Giulia per
evitare la scissione che era successa in Italia con palazzo
Barberini. E quindi noi facevamo capo direttamente
all’Internazionale socialista.
Era difficile in quegli anni far capire il dramma che
stavano vivendo gli istriani?
Era difficile soprattutto…in Italia non si comprese la
rottura del Cominform del ’48. Neanche a Trieste: molti
pensavano che fosse un trucco. Io mi ricordo, noi ci
avevano invitato invece al congresso del Partito socialista
italiano a Genova e Riccardo Lombardi e gli altri, chiesero
a me proprio di spiegare cosa stava succedendo, perché
non si rendevano conto di questa rottura verticale tra Stalin
e Tito. Ci sono tre periodi, secondo me, della Jugoslavia:
Manifestazione dei primi anni dopo la seconda
guerra mondiale. Si noti la scritta: »Qui siamo noi
che decidiamo della nostra LIBERTA e del nostro
AVVENIRE«.
il periodo in cui Tito mantiene l’alleanza con l’Unione
sovietica, pur mantenendo una certa indipendenza da
Mosca; poi il periodo della neutralità in cui la Jugoslavia
fa da cuscinetto tra i due blocchi; e poi, l’ultimo periodo,
quando Tito si schiera apertamente con l’Occidente.
Come vede il ruolo di Tito? Con elementi sia negativi
che positivi?
Positivi perché ha mantenuto l’alleanza con l’Inghilterra
anche durante il periodo in cui la Jugoslavia, per ragioni
di politica estera, era alleata a Stalin. Cioè alla Conferenza
di Parigi, alla Conferenza della pace, la Jugoslavia
era schierata dalla parte dell’Unione sovietica…ma
ovviamente, perché c’era questa rivendicazione territoriale
nei confronti dell’Italia.
Il Comitato istriano del CLN a Trieste, che tipo di
attività svolse?
Diciamo che il fulcro dell’attività era la richiesta
del plebiscito per la Venezia Giulia. C’è stato un
pronunciamento dell’Internazionale socialista a favore
dell’autodeterminazione dei popoli. Per noi il plebiscito
non era visto con una scelta tra l’Italia e la Jugoslavia, ma
per delimitare una linea etnica.
Il che era molto difficile quella volta, come lo sarebbe
ancora oggi…
Avevamo la precisa convinzione che il plebiscito non
sarebbe stato concesso, però era l’unica carta democratica
che avevamo nelle mani.
Perché l’Italia non vedeva di buon occhio questo
ipotetico referendum?
Perché l’Italia intanto non era in grado di decidere. E
poi perché il plebiscito nella Venezia Giulia avrebbe
comportato il plebiscito dell’Alto Adige. L’Italia non
avrebbe potuto dire di no all’Austria, e quindi avrebbe
perso la provincia di Bolzano. Era escluso un plebiscito
nella Venezia Giulia, senza il consenso dell’Unione
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La città
Un’immagine di Alcide De Gasperi.
sovietica e quindi con delle norme tali per cui…
Avrà influito anche il fatto che c’era il trentino De
Gasperi.
De Gasperi era contrario al plebiscito, perché diceva ‘Noi
perdiamo l’Alto Adige, e non riavremo Trieste’, perché il
plebiscito si farebbe soltanto alle condizioni dell’Unione
sovietica, o non si sarebbe fatto. Gli anglo-americani
erano contrarissimi al plebiscito, ma noi come CLN
dell’Istria, e della Venezia Giulia, non potevamo altro
che appellarci a quest’arma democratica, il plebiscito,
l’autodeterminazione dei popoli.
Gli jugoslavi in quegli anni era arrabbiati quasi più
con gli antifascisti italiani che non con i fascisti.
E’ vero. Perché la minaccia era costituita dal CLN della
Venezia Giulia. Perché il CLN sosteneva la tesi italiana
di Trieste, la tesi del plebiscito. Non dimentichiamo che
lo stesso, anzi in termini più drammatici, era successo a
Fiume dove la Jugoslavia individuava il nemico numero
uno nei locali autonomisti.
Nel ’47 viene firmato a Parigi il Trattato di pace
e nel gennaio ’48 lei fa parte della delegazione di
quattro rappresentanti del CLN che viene ricevuta
dal Ministro degli esteri Sforza al quale denunciate
la scarsa intesa intercorrente tra il CLN, i partiti e le
autorità di Trieste.
Noi avevamo contatti continui con Sforza, con De
Gasperi…Giuricin faceva parte della delegazione italiana
alla Conferenza della pace di Parigi. Era anche una nuova
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classe dirigente a Trieste, Botteri, Belci…non è come
adesso.
Era giovane anche lei.
Io frequentavo l’Università di Trieste. Non mi sono
laureato, mi mancavano cinque-sei esami; poi era
difficile perchè avevamo contatti politici con esponenti
dell’Università di Trieste, quindi a un certo momento ho
scelto la carriera giornalistica.
A quei tempi era più facile avere contatti con Roma
che con Capodistria.
I contatti con Roma erano continui. Con Capodistria, dopo
l’introduzione della jugolira praticamente il confine era
chiuso. C’erano dei contatti, ma saltuari. Il primo contatto,
in forma quasi clandestina, è venuto dopo la firma del
Trattato di pace quando si parlava della costituzione del
Territorio libero di Trieste. In quell’occasione, dirigenti
da Capodistria avevano chiesto tramite alcuni socialisti
o comunisti di Muggia di avere un contatto con me e con
altri del Partito socialista della Venezia Giulia.
Chi fece questa richiesta, da Capodistria?
Non ricordo chi, comunque ci vedemmo nel territorio tra
Muggia e Capodistria che era ancora Zona A, comunicando
a pochissimi…a Lucio Lonzar che era segretario del
partito…anzi loro mi scoraggiavano, dicevano ‘Ma ti
porteranno…’
Dove vi siete trovati, al confine?
Proprio al confine, verso Crevatini. Avemmo un incontro
di nascosto praticamente. C’erano anche alcuni esponenti
di Muggia. Ricordo benissimo che loro avevano detto
che il nostro partito, a Trieste, aveva una caratteristica
internazionale, infatti facevano parte dell’Internazionale
socialista, avevamo contatti diretti con l’Internazionale
socialista. Parlammo della sistemazione amministrativa
del TLT quando sarebbero cessate sia la Zona A che la
Zona B. Questo, prima della rottura del Cominform.
Tant’è vero che mi chiesero ‘Ma tu verresti a Capodistria,
facciamo un incontro a Capodistria in modo da prefigurare
come potrebbe venir amministrata l’attuale Zona B,
d’accordo con i socialisti della Venezia Giulia e gli altri
partiti democratici di Trieste. Teniamo conto che allora
soltanto da Capodistria c’era stato un esodo notevole di
popolazione italiana; nel resto della Zona B la popolazione
era ancora rimasta sul posto. L’esodo aveva colpito la
parte annessa alla Jugoslavia col Trattato di pace.
Si presero degli impegni a quell’incontro?
Ma no, c’era la ricerca di un’intesa su un’amministrazione
comune, cioè della costituzione del Territorio libero di
Trieste. Poi tutto crollò con la frattura tra Tito e Stalin,
tra la Jugoslavia e il blocco sovietico nel giugno del ’48.
Pochi mesi prima era ritornato a Trieste Vidali, e noi
come Partito socialista della Venezia Giulia stabilimmo
un contatto con il Partito comunista, con Vittorio Vidali.
Ci incontravamo molto spesso nella Casa del popolo,
l’attuale Miela.
Vidali che opinione aveva?
La città
Vidali era contrarissimo alla soluzione jugoslava, dal
momento in cui era venuto a Trieste, il suo obiettivo
era quello di trasformare il Partito comunista, che era
controllato dalla fazione titoista, in una federazione del
Partito comunista italiano. Anche se i rapporti tra Vidali e
Togliatti non erano idilliaci.
Facciamo un passo indietro. Capodistria non era un
monolite politico. C’erano tante correnti.
Capodistria aveva una popolazione 100 per cento, direi,
italiana. Le uniche elezioni libere che si sono svolte a
Capodistria dopo la Prima guerra mondiale vennero vinte
dai socialisti. Da Nobile, che abitava a Prade.
Cesare, quanto ci ha fregato il fascismo?
Credo che il fascismo ha provocato la perdita dei territori
istriani italiani.
Se non ci fosse stato, i capodistriani oggi sarebbero
ancora a casa?
Ma certamente. Sarebbe stato così, un passaggio. Però,
ecco, parliamo di Capodistria: nel periodo dal ’54 in
poi, quando si parlava di rapporti diretti italo-jugoslavi,
De Gasperi puntava ad un accordo diretto tra Italia e
Jugoslavia…la Jugoslavia avrebbe ceduto Capodistria
all’Italia. Cioè io avevo avuto dei contatti con Velebit che
era l’ambasciatore jugoslavo a Roma, che era tra l’altro
in conoscenza diretta con Diego de Castro, consulente
del governo italiano a Trieste. E allora si parlava di un
accordo diretto che però l’Italia non poteva accettare: la
Jugoslavia avrebbe ceduto la città di Capodistria, non
oltre Semedella.
In cambio di?
In cambio di alcune retifiche nella zona carsica, nella
zona slovena del Carso.
Nei libri di storia non vengono fuori questi
particolari…
No, non vengono niente fuori. Beh nelle memorie di
Taviani c’è un accenno…siccome avevamo questi contatti
con Velebit, ha pubblicato Taviani queste memorie, io
avevo il terrore che ci fosse…invece c’è un accenno
che soltanto chi ha avuto questi contatti è in grado di
comprenderli.
Poi?
De Gasperi voleva raggiungere un accordo con la
Jugoslavia, tant’è vero che nel ’53 rifiutò la spartizione
del TLT tra la Zona A all’Italia e la Zona B alla Jugoslavia.
Cioè prima delle elezioni del ’53 ci fu da parte angloamericana la proposta a de Gasperi di passare Trieste
all’Italia, per vincere le elezioni. E le avrebbe vinte. Ci
fu allora la famosa legge-truffa…che truffa non era…
ma l’accordo con Capodistria all’Italia comportava un
accordo diretto, cioè l’Italia avrebbe dovuto firmare
questo accordo rinunciando al resto della Zona B.
Ha mai pensato di scrivere un libro Cesare?
Io ho scritto sulla rivista ‘Trieste’, ho parlato in Consiglio
comunale di queste cose…spinto da molti, ho pensato a
volte di mettere insieme queste cose e scrivere, ma poi
Il Territorio libero di Trieste.
finivo sempre per dire ‘Leggete la rivista ‘Trieste’, è tutto
scritto insomma.
Facciamo un salto al ’54. Vedo che lavora alla radio
collaborando con la rubrica “Fratelli giuliani” e poi
dirigendo la rubrica “Gazzettino giuliano” dell’ente
radiofonico.
Inizialmente c’era una trasmissione diretta alle popolazioni
della Venezia Giulia. E faceva capo a Quarantotti
Gambini. Trasmettevano da Venezia e io collaboravo da
Trieste. E poi sono entrato alla Rai dove sono rimasto fino
al pensionamento.
Che rapporto ha avuto con Quarantotti Gambini?
Ma, io conoscevo Quarantotti Gambini da sempre, perché
loro abitavano anche con De Berti, in Semedella. Con
De Berti eravamo in rapporti di amicizia, poi anche a
Trieste quando De Berti stava in Cavana. De Berti era
contrarissimo alla costituzione del TLT, mentre io e in
genere il CLN istriano, Giuricin, pensavamo all’ipotesi
della costituzione del TLT…perchè la Zona B non
sarebbe diventata jugoslava. E di fatti, durante un incontro
dell’Internazionale socialista a Parigi, avemmo un lungo
incontro con Quaroni, che era ambasciatore italiano a
Parigi, prima era stato a Mosca. E ci invitò all’ambasciata,
abbiamo passato una sera assieme, io e Lucio Lonza con
11
La città
Giorgio Cesare con il redattore de La Città,
Alberto Cernaz.
Quaroni il quale ci dice testualmente: ‘Guardate, se non
si costituisce il Territorio libero si va alla spartizione.
Nessuno può mettere in dubbio la vostra politica per
una soluzione italiana, però se voi volete evitare che la
Zona B vada alla Jugoslavia, c’è soltanto la costituzione
del Territorio libero di Trieste. Gli anglo-americani non
lo vogliono, però non possono dire di no se la richiesta
viene fatta dall’Italia’. E di fatti Quaroni ci spingeva,
come socialisti della Venezia Giulia, a percorrere anche
questa strada. Perché diceva ‘Ma, non capisco perché
l’Italia si ostina a non sostenere le attese del TLT’, perché
in prospettiva questo Territorio libero di Trieste sarebbe
diventato italiano.
Perché allora questo TLT le capitali non lo volevano?
Perché per l’Italia (l’obiettivo principale) era ‘Trieste
italiana’.
Ma la popolazione lo appoggiava?
Noi abbiamo fatto un sondaggio a Trieste e la contrarietà
era assoluta da parte di Gianni Bartoli, del Municipio, cioè
loro vedevano il Governo militare alleato e…qui viene
l’Italia, mentre Territorio libero significa la frontiera sul
Timavo, cioè Trieste non italiana. Eravamo ben coscienti
di questo, di fatti nel ’53 venne a Trieste una delegazione
dell’Internazionale socialista…io avevo dei rapporti molto
stretti con i luburisti inglesi, i quali erano per la soluzione…
volevano andar via da Trieste. Gli inglesi erano di gran
lunga più decisi di lasciare Trieste degli americani, per
ragioni economiche anche: oramai anche perché i rapporti
tra Tito e Churchill ormai erano ottimi. Lo dicevano “La
Jugoslavia ha rotto con l’Unione sovietica; il problema
del confine orientale con il blocco sovietico si è spostato,
non c’è più; l’Italia si prenda Trieste, la Jugoslavia si
tiene la Zona B”. Questa era la posizione dell’Inghilterra.
Rose, segretario del Partito laburista mi confermò che
loro erano per la spartizione. Con Rose noi cercammo di
trovare una soluzione migliore per Trieste e…i laburisti
dissero “Va bene. Se voi riuscite a trovare una soluzione
diversa noi vi appoggiamo. Noi non facciamo niente, noi
12
desideriamo soltanto lasciare Trieste”. E questa era una
posizione anche in contraddizione con quello che era lo
spirito degli italiani di Trieste che vedevano gli americani
e gli inglesi come dei nemici quasi. Che non era vero.
Noi strappammo ai laburisti questa concessione di fare
un accordo con la Jugoslavia, un accordo diretto che non
fosse quello della sola città di Capodistria. Di fatti l’Italia
dice “’Noi non possiamo accettare” perché ciò comportava
un accordo diretto, la firma di un accordo bilaterale italojugoslavo con il quale, oltre a Trieste, passava all’Italia la
città di Capodistria. Non Isola e Pirano. Non era ancora
sorto il porto di Capodistria…l’avrebbero fatto a Isola
probabilmente. Ma naturalmente l’Italia non poteva
accettare questa soluzione.
In zona Cesarini si cambiò sovranità anche la striscia
di territorio attorno a Crevatini. Perché era così
importante quella striscietta?
Per arrivare a Punta sottile. Cioè Muggia fino a Punta
sottile all’Italia, in cambio di quel pezzetto in alto.
Con panorama su Trieste…
Sì, quando è venuto Fidel Castro che era andato con Tito,
Castro ebbe l’imprudenza di domandare a Tito notizie
di Vidali. Figurarsi, Tito ha detto ‘Vidali, ma chi lo
conosce!?’.
Nel ‘54 lei propone un’apertura verso gli italiani
rimasti oltreconfine. Cosa che le fa attirare le critiche
dei leader degli esuli che definiscono le sue posizioni
“fuori linea”.
Io presi atto…e mi diedero atto anche gli esponenti
del Movimento sociale in Consiglio comunale che il
problema di Trieste era risolto con il Memorandum di
Londra dell’ottobre del ’54, e quindi io dicevo ‘Chiusa
la vertenza italo-jugoslava, cerchiamo di difendere la
presenza italiana nei modi in cui è possibile difenderla
in Istria e Dalmazia’. Io stesso e Gianni Giuricin,
assieme a Quarantotti Gambini rivolgemmo un appello
dall’emittente di Venezia contro l’esodo.
Non era che Radio Venezia Giulia invitava invece la
gente a venire via?
No, no. Questo è un falso. Nessuno da parte del governo
italiano, e neanche dei partiti politici compreso il
Movimento sociale, nessuno ha favorito l’esodo dall’Istria.
L’esodo dall’Istria è stato un plebiscito alla rovescia.
C’è chi ha detto “de là (Trieste, ndr) i ne tirava, de qua
(Capodistria, ndr) i ne sburtava”.
In nessun caso perché l’obiettivo era quello di mantenere
gli italiani in Istria. Certo da parte jugoslava c’era la spinta
all’esodo, non nella misura in cui si è svolto. Di fatti lo
stesso governo jugoslavo non pensava ad un tale esodo
dall’Istria, comprendente anche contadini e pescatori.
L’esodo da Pola è avvenuto col governo militare alleato,
prima del passaggio di Pola alla Jugoslavia. E il 90 per
cento della popolazione di Pola è andato via. Da parte di
De Gasperi e da parte di Sforza, ma anche da parte dei
partiti di destra, c’era la preoccupazione di mantenere la
La città
presenza italiana in Istria.
Però l’Arena di Pola all’epoca titolava “O Italia o
esilio”.
Ma sì perché a Pola c’era questo sentimento, però Pola
era Governo militare alleato.
Andiamo avanti. 18 giugno ’54. Lei partecipa
all’assemblea dei profughi capodistriani presieduta
da Piero Almerigogna, che a Capodistria era stato un
funzionario fascista.
Piero Almerigogna era un capoccia fino all’8 settembre
del ’43. Poi no, a Trieste era diverso. Tant’è vero che
Deste (Tuboli) diceva ‘Ma Piero Almerigogna dovrebbe
fare qualche cosa per entrare nel campo antifascista’.
Lui era mazziniano inizialmente, il fratello era fascista
fanatico, ma Piero no.
Allora in questa assemblea di profughi capodistriani,
scrive Cherini, “vengono applaudite le relazioni
dell’avv. Piero Ponis e di Giorgio Cesare. Parlano anche
il dott. Dellasanta, il consigliere Delconte. Intervengono
pure Licio Burlini, Relli e Decarli. Le elezioni portano
l’avv. Ponis a fiduciario comunale, consiglieri Burlini,
Ranieri Vergerio e Antonio Lonzar.
Erano capodistriani, esponenti di varie correnti politiche.
Licio Burlini lavorava a Radio Trieste con me, addirittura
aveva rapporti costanti con il Console jugoslavo a Trieste,
che era serbo; di fatti diceva ‘Io sono straniero qui’,
perché erano tutti sloveni al Consolato jugoslavo.
Le associazioni degli esuli capodistriani, la Comunità
di Via Belpoggio e la Fameia dell’Unione istriani,
nascono più tardi?
Più tardi e sono profondamente diverse. Non hanno nessun
rapporto politico, mentre le comunità di allora erano
strettamente legate ai partiti politici, al CLN e alla giunta
municipale di Trieste. Allora si parlava soprattutto degli
indennizzi dei beni abbandonati, degli alloggi a Trieste.
4 agosto ’54. Ha luogo a Roma un colloquio dei delegati
di Trieste in ordine alla dibattuta questione del TLT.
Partecipano Lucio Lonza e Giorgio Cesare. Chi era
Lonza?
Lucio Lonza, capodistriano, era segretario del Partito
socialista della Venezia Giulia. Una bravissima persona.
Lui era professore, insegnava alle Magistrali a Trieste,
ma era anche un bravo calciatore: Nereo Rocco lo voleva
nella Triestina addirittura. Giocava benissimo, mezz’ala.
Ma poi ha abbandonato il calcio. Lì nel ’54 abbiamo avuto
un lungo incontro con Pella, a Roma. Eravamo soltanto
Lucio Lonza, io e Pella. Abbiamo parlato per oltre un’ora
a palazzo Chigi. Pella era presidente del Consiglio e
Ministro degli esteri.
L’avevate richiesto voi l’incontro?
Sì, e lui ci ha ricevuto subito. Abbiamo parlato proprio
‘fuori dai denti’, di fatti Pella ci disse sì, se noi andiamo
a Trieste, questo significa la spartizione del Territorio
libero. Però Pella dice ‘Noi non possiamo rifiutare la
Nota bipartita dell’8 ottobre’.
Don Edoardo Marzari.
Che cosa prevedeva questa nota bipartita?
Era praticamente la spartizione del TLT, soltanto che la
Jugoslavia reagì quando c’è stato un cambio di governo in
Inghilterra tra i Laburisti e i Conservatori, e la Jugoslavia
non ebbe la garanzia dell’accordo diretto con l’Italia per
la spartizione del Territorio libero. Riteneva che l’Italia
mirasse ancora a mantenere la Zona B. Mentre non è vero.
Anche qui c’e’ un grosso equivoco a Trieste. Pella non
aveva nessuna intenzione di fare la guerra alla Jugoslavia
o di occupare Trieste.
Però il clima era molto acceso.
Era acceso a Trieste!
Il discorso di Tito a San Basso…
Era la conseguenza di una soluzione che era diversa da
quella di cui avevamo io e Lucio Lonza con Pella a palazzo
Chigi. Cioè Pella si rendeva conto di non poter dire di no
agli anglo-americani che volevano a tutti i costi lasciare
Trieste. E lasciare Trieste da parte del Governo militare
alleato significava lasciare la Zona B alla Jugoslavia.
Questo era evidente. Cioè la nota bipartita che poi è
stata tradotta nel Memorandum di Londra, significava la
spartizione del TLT.
Tornaste a casa con Lonza, soddisfatti o amareggiati?
Tornammo a casa… Noi non volevamo la separazione di
fatto tra la Zona A e la Zona B. Eravamo daccordo per
un accordo diretto italo-jugoslavo che avrebbe portato
ad un confine diverso, oppure un plebiscito. Però dopo il
13
La città
colloquio con Pella avemmo chiarissima percezione che
si andava verso la spartizione.
Presidente del CLN triestino fu un altro capodistriano,
Don Edoardo Marzari.
Con Don Marzari eravamo amici. Don Marzari era un
sacerdote…di Serie A, diciamo. Il suo ‘errore’ è stato
quello di rimanere a Capodistria e poi a Trieste. Se andava
a Milano sarebbe stato come Turoldo. Era un cattolico
vero, un antifascista vero.
Il “Messaggero Veneto” di Udine pubblicò un articolo
dal titolo “L’importanza di chiamarsi Cesare” in cui
le danno addosso ‘per aver definito nazionalisti da
strapazzo coloro che si battono per la Zona B’.
Ma no…era il periodo in cui era direttore Tigoli, con
Pagnacco che scriveva questi pezzi. Poi Pagnacco ha fatto
mea culpa, eravamo tra l’altro in ottimi rapporti poi. Si
rese conto che avevamo ragione noi.
Ma a chi si riferiva quando parlava di ‘nazionalisti da
strapazzo’?
Coloro che contestavano la politica di apertura verso
l’Istria, verso gli italiani al di là del confine, dopo il
Memorandum di Londra del ’54; quando dicevamo che
il Memorandum di Londra era la soluzione definitiva, un
confine definitivo tra l’Italia e la Jugoslavia.
17 ottobre ‘54. Due fatti sono riportati sotto questa
14
data nella cronologia del Cherini: Nicolò Ramani è
a Roma in sede governativa per la sistemazione dei
profughi della Zona B…
Ramani, altro capodistriano, era amicissimo di Scalfaro
che all’epoca era sottosegretario alla presidenza del
Consiglio e aveva trattato tutto il problema della
sistemazione nel territorio di Trieste. Nicolò faceva parte
del CLN dell’Istria come esponente della DC e poi era
alla presidenza del Consiglio a Roma per la sistemazione
dei profughi in Italia.
L’altro fatto che si ricorda in quella data è che lei viene
fermato dalla polizia per 24 ore nella sede di Via XXX
Ottobre. Non sarebbe mai stato chiarito il perché…
Era il periodo in cui il Governo militare alleato era retto
da Winterton, un generale che non capiva assolutamente
niente di politica. Evidentemente dalla polizia civile, che
era composta per due terzi da poliziotti favorevoli alla
soluzione italiana e un terzo favorevole al mantenimento
del Governo militare alleato, avevano probabilmente detto
che noi avremmo complottato contro il GMA, contro la
soluzione di Londra…che non era assolutamente vero. Era
probabilmente da parte di quel settore della polizia che
era contrario alla soluzione italiana e per il mantenimento
del GMA.
Verso la fine del ’56 Giorgio Cesare si attira nuove
critiche. Parla nella sede del Partito Socialdemocratico
del nuovo indirizzo che il governo italiano dovrebbe
seguire nei rapporti con l’Est. Secondo Cesare –
scrive Cherini, attribuendole uno “stravolgimento
intellettivo” – “i profughi non avrebbero dovuto
lasciare le loro case”.
Era un richiamo a quello che avevano detto De Gasperi e
Sforza, cioè agli appelli che facemmo io e Gianni Giuricin
perché gli istriani che non avevano nessun motivo politico
di lasciare l’Istria, mantenessero la presenza italiana in
Istria. Feci quell’accenno perché ritenevo definitivo
l’accordo del Memorandum di Londra, e quindi che c’era
la necessità di una politica nuova dell’Italia nei confronti
dell’Est e della Jugoslavia. Cioè la politica che doveva
fare l’Italia dopo la Prima guerra mondiale.
Ma siamo nel ’56 e ormai è tardi. L’esodo si era già
consumato…
Ma sì, noi abbiamo chiuso nel ’54. Una posizione politica
che oggi è sposata da tutti. Noi abbiamo anticipato semmai
questa politica.
Nel ’57 abbiamo a Capodistria il primo console generale
d’Italia, il triestino Guido Zecchin, il quale porta al
teatro di Via Verdi la Compagnia di Cesco Baseggio
col “Sior Todero brontolon” del Goldoni. Vennero a
Capodistria esponenti della vita politica e culturale
cittadina: lo storico Cervani, il rettore Ambrosino,
Manlio Udina, il direttore del Teatro nuovo Sergio
D’Osmo, Biagio Marin. Tra il pubblico in sala c’era
anche lei.
Sì, ma già con Guido Miglia ero stato in Istria subito
La città
dopo il ’54, assieme al console francese Barbier, console
che aveva la competenza anche su Trieste ma risiedeva
a Venezia. Dopo il ’54, prima ancora di Baseggio, c’era
stata a Capodistria la presenza del Piccolo teatro di Milano
coll’“Arlecchino servitore di due padroni”. Non era venuto
Strehler a Capodistria, ma Paolo Grassi. Considerato
chiuso il problema territoriale bisognava ripartire con una
politica di apertura e collaborazione da parte dell’Italia
verso l’Est… ripeto, come avrebbe dovuto fare dopo la
Prima guerra mondiale. E mantenere la presenza delle
comunità italiane in Istria, Fiume e Dalmazia.
Come ricorda quella serata in teatro.
Me la ricordo benissimo. C’era stata una conferenza del
dottor Ciacchi su Goldoni e poi una serata memorabile al
Ristori con Baseggio. Poi abbiamo cenato assieme. Ma
non era la prima volta che tornavo a Capodistria. Avevamo
già scritto un’inchiesta per la rivista “Trieste”.
Corrado Iona del Rotary triestino commentò allora:
“Per troppo tempo la nostra reazione al trattamento
riservato a terre a noi così care, ci ha impedito di
recarci in luoghi che eravamo abituati a considerare
la naturale propaggine di Trieste. Ma l’inibizione si è
risolta tutta a nostro danno”.
Beh…Iona faceva parte del gruppo massonico, che poi
loro avevano aperto delle sedi anche a Fiume, già allora.
Cioè Iona, come altri liberali, facevano parte di coloro
che avevano considerato chiuso il problema dell’ottobre
del ’54.
“Bisogna constatare – secondo lui – che centinaia di
italiani sarebbero rimasti nelle loro sedi istriane se
fossero stati consentiti prima d’oggi contatti sociali,
culturali, visite, gite, giornali, riviste, conferenze,
rappresentazioni teatrali…
Beh sarebbero rimasti certamente molti di più, però la gran
parte sarebbe andata via. Noi abbiamo fatto l’impossibile
perchè coloro che non avevano nulla da temere dalla
Jugoslavia non lasciassero le campagne, le barche da
pesca.
Pescatori di Bossedraga mi dissero che s’era creata
una psicosi. “Un vicino di casa se ne va, il giorno dopo
un altro…”
L’esodo è stato determinato dal fatto che gli italiani
dell’Istria non conoscevano ne’ lo sloveno ne’ il croato.
Ha influito innanzitutto questo e il fatto religioso: cioè
la Jugoslavia nell’immediato dopoguerra era atea, e la
popolazione istriana era profondamente religiosa.
Ottobre 1958. Alle elezioni amministrative di Trieste
si presentano capodistriani in vari partiti: Mario
Delconte - DC, Lucio Lonza e Giorgio Cesare –
Socialisti, Giuseppe Relli MIS, Antonio Dellasanta –
PLI, Marcello Minca – Fronte Indipendenza. Ormai
eravate inclusi nell’ambiente politico locale triestino.
Il sindaco Bartoli era istriano, il vescovo Santin era
istriano…ma non bisogna dimenticare che nel 1918, con il
passaggio di Trieste dall’Austria all’Italia, ci fu un’esodo
Il Console Guido Zecchin
dalla città di 40 mila persone. Erano per lo più austriaci
che vivevano nell’amministrazione asburgica di Trieste,
ma anche bavaresi, slovacchi, sloveni e quindi c’è stata
questa diminuzione di 40 mila persone da Trieste, poi
colmato da coloro che sono venuti dall’Italia meridionale
e poi dai profughi dall’Istria e da Fiume, circa 60 mila.
Trieste ha una popolazione molto composita.
Anche la popolazione di Capodistria è oggi molto
composita, solo che gli immigrati sono venuti da tutta
la ex Jugoslavia.
Capodistria è la città che ha subito maggiormente lo
stravolgimento dell’esodo. Ma Capodistria si è vuotata di
buona parte degli abitanti già dopo il ’45, con la costituzione
del Governo militare jugoslavo a Capodistria. Perché il
legame con Trieste di Capodistria era fortissimo.
Chi furono i primi ad andarsene, dopo i funzionari
fascisti?
Coloro che lavoravano a Trieste, al San Marco o che
viaggiavano col Lloyd Triestino, oppure professionisti.
Nell’aprile ’61, durante un convegno dei
Socialdemocratici a Gorizia, lei sostiene la necessità
che le minoranze siano tutelate.
Noi eravamo semplicemente per il rispetto della
Costituzione italiana. Non facciamo differenza tra italiani,
austriaci, sloveni.
Lei è stato anche consigliere regionale del PSDI, per la
15
La città
prima volta nel ’64. Che cosa ha caratterizzato il suo
impegno politico in quella sede?
Ero per un certo periodo segretario regionale e
sostenevamo la costituzione della Regione a statuto
speciale Friuli Venezia Giulia. Poi ci fu una rottura con
i Socialdemocratici di Udine in quanto andavamo più
d’accordo con i Socialisti di Udine, con Loris Fortuna.
Su che cosa non vi trovavate d’accordo?
Sul nazionalismo friulano che contraddiceva a
Udine la posizione di alcuni democristiani e alcuni
socialdemocratici.
Lo Statuto speciale del FVG venne accolto nel 1964.
E’ stato un fatto importante. Anche perché non vedevamo
una soluzione diversa. Cioè coloro che sostenevano
Trieste autonoma nell’ambito della Repubblica italiana
erano in una posizione assurda. Doveva essere agganciata
al Friuli.
Nel ’65 lei è nominato assessore comunale di Trieste
per le attività culturali.
Io ero capogruppo del gruppo consigliare socialdemocratico
al Comune di Trieste. Poi c’è stato un rimpasto alla giunta
e a tutti i costi volevano che entrassi in giunta. Io ero
contrario, perché preferivo fare il giornalista a tempo
pieno. Poi, vabbè, accetto “se mi date le attività culturali”.
Ho portato all’unificazione, a una politica comune tra il
“Verdi” e il “Rossetti”, tra il Teatro di prosa e il teatro
lirico sinfonico. E poi all’apertura del palazzo Costanzi;
c’era Montenero, che era curatore del “Revoltella”, che
era contrario ad aprire ai viventi palazzo Costanzi. Io
ho detto, mi prendo io la responsabilità…certamente
non apriremo gli spazi a coloro che partecipano alle extemporanee, ma pittori di chiara fama come Rossignano,
Sormani, Mascherini, abbiamo Spacal e via dicendo
vanno presentati. E di fatti abbiamo aperto palazzo
Costanzi ai viventi.
E’ vero che ha incontrato anche Tito?
Nel ’76, dopo la fine della Guerra fredda, ci fu a
Belgrado un congresso della Lega dei comunisti; si
chiamava ancora così, ma di comunismo non aveva più
niente. Avevano invitato tutti i partiti italiani DC, PCI,
Socialisti e Socialdemocratici…e c’era Saragat. Siamo
andati assieme ad Arnaldo Pittoni che era presidente del
consiglio regionale.
Viaggiato in aereo?
No no, in macchina, a una velocità folle. La sera siamo
arrivati abbiamo incontrato Craxi, che la mattina dopo
sarebbe partito perché c’era stato l’attentato in Piazza
della Loggia a Brescia. Siamo rimasti noi con Segre
che era il responsabile per la politica estera del Partito
comunista. E insomma a qualcuno balena l’idea “Perché
non andiamo da Tito?”. Conoscevamo il console che era
a Trieste, abbiamo chiesto e Tito…ha detto sì. E il giorno
dopo siamo andati da Tito. Praticamente ho parlato per tre
quarti d’ora solo io…
Ma lui comprendeva l’italiano?
16
Comprendeva qualcosa, ma parlava in croato. E c’erano
tutti: c’era Bakarić, Stane Dolanc…che andava a caccia
assieme a Biasutti, Stambolić che poi è stato assassinato
ai tempi di Milošević. Parlammo di tutto, di politica
internazionale, di politica locale. C’era un momento in
cui c’erano delle difficoltà alla frontiera tra l’Italia e la
Jugoslavia, c’era il governo Fanfani. E di fatti poi queste
difficoltà alla frontiera sono cadute, credo, per intervento
dello stesso Tito. Si parlava anche della sua salute, ci
riferì di un episodio che era andato a caccia e ci offrì caffè
turco.
Nell’82 muore sua padre Narciso a 94 anni.
A Trieste era direttore della farmacia in piazza della Borsa.
Aveva rapporti col teatro “Verdi”, Oliviero de Fabrizis,
Gavazzini…che venivano in farmacia. Mio padre era
repubblicano, tra l’altro erano amici con Nazario Sauro.
A Capodistria era forse una delle persone più stimate.
Cosa ha imparato da lui?
Il senso democratico e di apertura verso tutte le
comunità.
Alla fine degli anni ’80, con la caduta del Muro di
Berlino si discuteva del superamento dei confini anche
dalle nostre parti. In più di vent’anni è stato fatto
abbastanza?
Si poteva fare di più ovviamente. Però bisognava fare di
più da tutte le parti.
La clarinettista Tilli Forlani di Capodistria ha
conseguito il Baccellierato in Arte Musicale presso
il Conservatorio della Svizzera italiana con sede a
Lugano. Dopo questo corso di tre anni si è iscritta
al Conservatorio “Tartini” di Trieste per la laurea
specialistica. Complimenti vivissimi!
La città
Scatti dalla scuola elementare
»Pier Paolo Vergerio il Vecchio«
www.vergerio.si
Visita alla biblioteca per ragazzi
è svolta lungo il borgo di Sicciole nei pressi della foce
del fiume Dragogna, a 152 metri di altezza dove si trova
San Martino in Colle–Krog con la chiesa di Sant’Onofrio.
Alla gara di orientamento hanno partecipato cinque
scuole del comune di Capodistria, i nostri alunni hanno
partecipato in due categorie e i più giovani hanno reso
onore alla nostra scuola raggiungendo il primo posto nella
propria categoria.
Terzo mini Ex Tempore
In ambito alle tradizionali visite alla biblioteca per i
ragazzi, gli alunni della I e II classe di Capodistria sono
stati accolti, nella sala di lettura, dalla bibliotecaria Daniela
che ha attirato l’attenzione dei visitatori presentando
“Le avventure di Pinocchio”. Gli alunni hanno seguito
con molto interesse il contenuto accompagnato dalle
immagini. Al termine della storia agli alunni è stato
proposto un divertente “quiz” sulle varie situazioni e
peripezie di Pinocchio. Ci siamo lasciati con la promessa
di incontrarci spesso per avvicinare ai giovani lettori il
piacere della lettura ed entrare nel magico mondo delle
storie e scoprire nuove realtà.
Gara di orientamento
Sabato 19 novembre i giovani alpinisti della nostra scuola
hanno partecipato alla tradizionale gara di orientamento
organizzata dal Club alpino di Capodistria. La gara si
Mercoledì, 9 novembre si è svolto lo spettacolo preparato
dagli alunni del primo triennio della nostra scuola che ha
visto la partecipazione in qualità di ospiti, dei bambini
dell’asilo “Delfino blu” di Capodistria accompagnati
dai rispettivi genitori. La serata rappresenta l’epilogo
del III mini ex tempore svoltosi il 12 ottobre in Piazza
Carpaccio, durante il quale gli alunni della nosta scuola
e i bambini più grandi dell’asilo “Delfino Blu” hanno
dato prova del proprio estro creativo con l’utilizzo della
tecnica del collage. Alla fine dello spettacolo, i presenti
17
La città
hanno potuto ammirare i risultati del laboratorio messi in
mostra al piano terra della nostra scuola.
Beneficenza a Punta Grossa
bambini con la partecipazione delle scuole elementari di
Zindis e Crevatini. Il progetto INTERREG è dedicato
soprattutto alla creazione di occasioni di incontro fra
le due realtà scolastiche volte al miglioramento della
conoscenza reciproca e all’osservazione e alla conoscenza
della regione confinaria che accomuna i due territori.
»Giochi di scienze« a Muggia
Martedì 25 ottobre, le alunne della IV e V classe della
sezione periferica di Semedella sono state ospiti a
PUNTA GROSSA. Con una breve recita hanno accolto
i partecipanti alla seduta plenaria del Consiglio esecutivo
della CROCE ROSSA. In quest’occasione le alunne
hanno consegnato: occorrente scolastico, indumenti,
calzature, occorrente per l’igiene personale, giocattoli
ed altro da donare ai bambini provenienti da famiglie
disagiate che trascorreranno le vacanze autunnali in
questao luogo incantevole.
Zindis in festa
Collaborazione tra la sezione periferica di Crevatini e la
Scuola Primaria “Zamola”, Muggia sezione di Zindis
dell’I.C. “Giovanni Lucio”. Venerdì, 30 settembre, nel
piazzale centrale di Borgo Zindis un momento di festa
in occasione dell’avvenuto finanziamento del progetto
europeo Interreg. Laboratori e giochi ecologici per i
18
Martedì, 27 settembre, la sezione periferica di Crevatini
con le classi 2a e 4a e la sezione periferica di Bertocchi con
le classi 1a e 3a abbiamo partecipato alla manifestazione
“Giochi di Scienze” organizzata dall’Amministrazione
Comunale di Muggia. Percorrere Muggia, fra calli
e piazzette, in cerca delle meraviglie della scienza.
Un’occasione stimolante e creativa per giocare, per
avvicinare i bambini alle scienze, per uno scambio di
conoscenze fra ragazzi.
La città
Fredi Radojkovič riscrive la storia della pallamano capodistriana
Il 12 novembre 2009, all’indomani delle dimissioni di Matjaž Tominec, il presidente dello Cimos Koper, Krašovec,
aveva deciso di riaffidare, dopo 5 anni, la squadra al connazionale isolano Fredi Radojkovič, una scelta che in molti
non avevano condiviso. Dopo una stagione e mezza tutti si sono però dovuti ricredere, visto che lo Cimos Koper ha
conquistato il “triplete” nella stessa stagione: campionato, Coppa Slovenia e Challenge Cup.
Fredi Radojkovič lo incontriamo
durante una pausa scolastica, è infatti
professore di educazione sportiva
presso il Ginnasio Italiano Gian
Rinaldo Carli di Capodistria, che egli
stesso ha frequentato fino al 1984.
Nato a Capodistria il 20 luglio 1966 da
genitori istriani, Fedora e Ferruccio di
Torre per la precisione vive da sempre
a Isola. Figlio unico, frequenta la
scuola elementare italiana a Isola e a
10 anni inizia a giocare a pallamano.
Lo farà fino all’età di 27 anni, poi
l’ennesimo infortunio lo convincono
a diventare allenatore. Nel frattempo
ultima gli studi alla Facoltà dello
Sport a Lubiana e mette su famiglia,
tutta appassionata di pallamano,
a partire dalla moglie Mariella,
al figlio 21.enne Jan, nazionale
italiano, che quest’anno con Trieste
ha riconquistato la Serie A e alla
figlia 15.enne Tea, che naturalmente
segue le orme familiari. “Certo è un
bel vantaggio trovarsi circondato da
persone che hanno giocato o giocano
a pallamano. Per uno sportivo è
importante avere al proprio fianco
una famiglia che ti dà conforto, che ti
stimola e motiva, soprattutto quando
le cose non vanno bene”.
Dopo aver allenato l’Isola e lo Cimos
Koper in Prima Lega, nel 2005 è
selezionatore della nazionale juniores
slovena, con la quale conquista il
settimo posto ai Mondiali in Ungheria.
La stagione seguente accetta l’offerta
di Trieste, dove rimane per tre stagioni
e mezza nonostante le gravi difficoltà
economiche. In questo periodo viene
nominato anche selezionatore della
nazionale italiana juniores. Poi arriva
una nuova occasione a Capodistria,
e Fredi con il beneplacito del
presidente di Trieste, il leggendario
prof. Giuseppe Lo Duca, ritorna al
Bonifica, dove in 561 giorni riscrive
la storia. “Questo era il mio obiettivo.
Certo che non immaginavo tutti questi
trofei, anche se devo confessare
che prima dell’inizio della stagione
avevo fatto un fioretto che adesso
non voglio svelare, visto che mi ha
portato bene e che ho ripetuto anche
quest’anno – e ride a squarciagola,
poi prosegue –. Nella mia carriera
ci sono stati momenti difficili, ma
non ho mai smesso di credere in
me stesso. Per questo motivo sono
andato ad allenare a Trieste, dove
sono maturato e cresciuto, e questo
lo hanno capito a Capodistria e mi
hanno dato una nuova occasione.
Penso di averla sfruttata più che bene.
Se mi sento appagato? Un allenatore
non lo deve mai essere. Quando
giocavo,
giovanissimo,
sentivo
forte il desiderio di partecipare alle
Olimpiadi. Purtroppo, il mio fisico non
era adeguato e quindi mio malgrado
ho dovuto smettere di giocare – a
questo punto a Fredi si illuminano
gli occhi –. Se non ci sono riuscito
da giocatore un giorno vorrei andare
alle Olimpiadi da allenatore. Sono
ancora giovane e ho tutto il tempo per
esaudire questo mio sogno”.
Grazie ai successi Fredi ha conquistato
tutti, da Sicciole a Plezzo, visto che è
stato votato personaggio per il mese
di aprile dai lettori del quotidiano
Primorske Novice e dagli ascoltatori
di Radio Koper. E se continuerà su
questa strada potrebbe essere anche
il personaggio dell’anno soprattutto
se si considera che in Champions
League ha già centrato la storica
qualificazione agli ottavi di finale con
ben 4 turni d’anticipo dopo il doppio
successo di novembre con i russi del
San Pietroburgo (35-26 in trasferta,
30-23 al Bonifica).
Certamente tutte queste attenzioni
gli fanno piacere, ma da allenatore
navigato qual’è, è consapevole che
alla fine sono solo i risultati quelli che
contano. Per il piccolo mondo della
Comunità Nazionale Italiana Fredi
rappresenta un vanto, un esempio da
seguire. Per concludere in bellezza,
una domanda provocatoria vista
la grande rivalità tra Capodistria e
Isola, Fredi l’isolano più amato dai
capodistriani? “E sì – con un sorriso
smagliante –, ma sono sicuro che
sono anche il più amato di Isola”. E
la sua ex squadra, l’Istrabenz Plini
Isola gli ha procurato una delle più
grandi delusioni in carriera quando
il 16 ottobre, tre giorni dopo la
prima storica vittoria in trasferta in
Champions League (con i romeni del
Costanza per 27-25), gli ha inferto
una cocente sconfitta per 28-27. Una
macchia che resterà indelebile visto
che si è trattato anche della prima
partita in assoluto nella massima
serie slovena.
Arden Stancich
Fredi festeggia con la moglie Mariella dopo l’ennesima vittoria dei
pallamanisti capodistriani (Foto Primorske novice)
19
La città
Per celebrare il 450.mo anniversario del medico Santorio Santorio l’Università del Litorale e l’Università degli
Studi di Padova hanno organizzato due convegni in suo onore. Nel primo (Capodistria, 29 marzo) è stata trattata la
prospettiva storica dell’opera di Santorio e l’ambiente universitario della sua epoca. Il secondo convegno si è tenuto il
6 ottobre a Padova, in occasione del 400.mo anniversario della nomina del medico capodistriano al ruolo di professore
ordinario presso l’Università patavina. La conferenza ha trattato le invenzioni di Santorio e l’ambiente intellettuale
in cui operava. I due eventi sono stati un’opportunità di collaborazione tra le due università, sia nell’ambito della
ricerca che in quello pedagogico. Riportiamo l’intervento del dott. Rado Pišot dell’Università del Litorale nel quale
illustra la proposta di intitolare al Santorio il riconoscimento annuale ai migliori studenti del corso di kinesiologia.
Santorijevo priznanje – priznanje za najuspešnejše študente
Aplikativne kineziologije
dr. Rado Pišot, Univerza na Primorskem
Poimenovati priznanje ali nagrado po nekomu zahteva
od tistih, ki se o tem odločajo, veliko več kot le trenutek
navdiha in dobre volje, da se nekoga spomnimo in
omogočimo drugim priznavanje njegovega dela. V
akademskem prostoru pomeni taka odločitev zavestno
sprejeti odgovornost in obveze – odgovornost do velikih
osebnosti, katerih imena si dovolimo prevzeti, ker so naši
družbi v preteklosti prispevali veliko več kot običajno
vemo ter obveze do poglabljanja in nadgrajevanja
njihovega dela in upoštevanja kriterijev odličnosti, ki so
jih postavili. Zahteva pa taka odločitev tudi poglobljen
premislek ali so tisti, ki bodo morebiti deležni te nagrade
ali priznanja, s svojim trudom, delom in rezultati,
opravičili ime, čigar priznanje nosijo s seboj.
Kot je običajno in kot se v takih primerih tudi spodobi, se
mozaik, ki v sebi nosi tisočero dogodkov, tudi v življenju
in delu velikega Koprčana, gradi počasi in vztrajno. Ker
je njegov zgodovinski prispevek naravoslovni znanosti,
akademiji, univerzalni misli in prostoru, v katerem je
delal, še posebej pa Kopru, nemogoče predstaviti v nekaj
odstavkih, pa tudi zato, ker bodo to storili kolegi, ki so po
stroki primernejši, bom poskušal v tem kratkem povzetku
Il prof. Natale De Santo dell’Università di Napoli
accanto al dott. Rado Pišot dell’Università del Litorale
(Capodistria). Sotto, i professori Pietro Enrico Di
Prampero dell’Università di Udine e Carlo Reggiani
dell’Università di Padova.
20
osvetliti le nekaj temeljnih izhodišč. Ta so nas vodila do
odločitve, da proslavimo Santoria Sanctoria, velikega, žal
večkrat pozabljenega Koprčana in ga preko mostu znanja
in odličnosti povežemo s sodobnim Koprom, mlado
univerzo, ki se je rodila nekaj stoletij kasneje in akademijo
– s profesorji in študenti, ki še danes razvijajo prenekatero
njegovo misel in davno tega jim ponujeno znanje.
Obstajajo vsaj trije pomembni razlogi, ki opravičujejo
dejstvo, ali morda bolje rečeno, nam nalagajo odgovornost
in obvezo, da Santoria vrnemo v ta prostor z vsemi
častmi.
Prvi je dejstvo, da je Santorio Sanctorii prav gotov eden
največjih in najpomembnejših naravoslovcev, rojenih
v Kopru, ki je svoje rojstno mesto vselej in povsod s
ponosom izpostavljal. Ali je bil oče, iz Čedada tudi rodom
Slovenec (Svetina – kot predstavljajo nekateri viri, Šercer,
1950) niti ni pomembno, saj področja, katerim je posvetil
svoje delo in življenje, nikoli niso in niti ne bodo poznala
meja. Ko smo se kot otroci podili po koprskih ulicah, je
do nas seglo le ime ene od teh, ki je nosila ime po velikem
zdravniku, raziskovalcu, znanstveniku, izumitelju.
Kasneje smo v šoli izvedeli, da je med številnimi drugimi
instrumenti pomembno prispeval k razvoju termometra.
Veliko več od tega, in tega je ogromno, pa je žal številnim
Koprčanom kot tudi Slovencem in širšemu svetu, še
neznano.
Drugi razlog, ki priznanju daje poseben pomen, je
Santorijeva akademska zavest in vloga akademizma,
katero je posebej cenil in se ji povsem podredil. Prav
gotovo se takratni častitljivi profesor najbližje Kopru
(v svetovnem merilu druge najstarejše) padovanske
univerze, ob ustanovitvi koprskega znanstvenega društva
Accademia Palladiana, ni ukvarjal z mislijo o primorski
univerzi, kar pa ne zmanjša njegovega prispevka, da se je
ta veliko kasneje tudi zgodila. Tudi ko je v svoji oporoki
posebej izpostavil, da mora biti kar 6 od 10-ih študentov
iz Kopra, katerim finančno podporo naj omogoči sklad, ki
naj bo po njegovi smrti ustanovljen iz njegove zapuščine
(Grmek, 1953), si gotovo ni zamišljal, da bodo ravno v
tem prostoru nastali študijski programi, katerim osnove in
znanja je pričel razvijati prav on.
La città
Tretji razlog pa je njegova velika zapuščina znanja,
izumov in instrumentov. Njegov nemirni raziskovalni
duh nas posebej obvezuje in nam nalaga odgovornost, da
pri svojem raziskovalnem in pedagoškem delu sledimo
kriterijem odličnosti, ki jih je že dolgo tega postavil naš
someščan. Ko smo pred dobrimi desetletjem pričeli s
prvimi raziskovalnimi projekti, ki so pomenili pomembno
osnovo kasnejšemu Inštitutu za kineziološke raziskave
(IKARUS) na ZRS Koper, nato razvoju laboratorija
IKARUS v ortopedski bolnišnici Valdoltra in še kasneje, že
v okviru Univerze na Primorskem, tudi novim študijskim
programom Aplikativne kineziologije, moram priznati
da tudi še nismo uvideli težo in vrednost, ki jo je našim
osnovam pred nekaj stoletji postavljal Santorio. Šele ko
danes premišljamo njegova dela in občudujemo zamisli,
ki so ga vodile do neverjetnih izumov in poizkusov,
se zavemo njegove veličine in pomena. Santorio je
namreč prispeval nekaj temeljnih orodij in ključev za
razumevanje delovanja človeškega organizma, izhodišča
za razvoj fiziologije, patologije, podlago biomehaniki.
Kot začetnik eksperimentalne metodike je naravoslovni
znanosti, posebej medicini odprl novo poglavje. Z
vključevanjem matematike, obravnavo fizikalnih
in kemičnih procesov, eksperimentov, merjenjem je
zarisal pot fiziologiji, biometriji, termodinamiki, …,
in področjem, ki so z izzivom po obravnavi delovanja
človeškega organizma v specifičnih okoljih in aktivnostih
razvili, kineziologiji, biomehaniki, kineziometriji,
ergonomiji. Njegovo sodelovanje z nekaterimi drugimi
velikani svojega časa (še posebej s prijateljem Galileom
Galileiem) mu odpira široko obzorje prepleta različnih
znanj in disciplin. Veliko let je minilo, ko smo (žal še
večinoma le na deklarativni ravni) ponovno doumeli,
da je dodana vrednost interdisciplinarnega ali morda še
bolje, integrativnega pristopa, tisto, kar je v obravnavi
človeka, kot dinamičnega in odprtega sistema edini pravi
in celosten pristop. In ravno kineziologije si brez takih
usmeritev in pristopov ne moremo zamisliti!
Njegovo največje delo »De medicina statica« si ocene
take popolnosti (Nullus liber in re medica ad eam
perfectionem scriptus est, H. Boerhaave, 1726) verjetno
ne bi prislužila, če se ne bi s ciljem preučevanja in
razumevanja zdravja kot popolnega ravnovesja telesnih
tekočin, kot harmonijo notranjih nasprotij, skozi VIII
temeljnih poglavij Santorio natančno poglobil v vsa
temeljna področja delovanja človeka. Med njimi so za
nas še posebej pomembna poglavja o količini in odnosu
vidne in nevidne perspiracije; o hrani in pijači; počitku in
aktivnosti; gibanju in mirovanju. Številne ugotovitve in
izrečene misli so še danes, ne le izredno aktualne, temveč
še vedno tudi nepresežene. Morda jim bomo z dodano
noto sodobnosti ponovno odprli obravnavo in jih kot
pomembne končno umestili v življenje posameznika in
družbe.
Ob zavedanju, da nobene znanosti (sploh pa naravoslovja)
ne moremo razlagati brez kritične analize in eksperimenta
ter ob dejstvu, da znanstvene teorije in znanje nasploh
ne more biti plod osamljenih posameznikov, temveč del
zgodovinskega razvoja, smo se na osnovi predstavljenih
dejstev odločili poimenovati priznanje za najuspešnejše
študente Aplikativne kineziologije po velikem Koprčanu
Santoriu Sanctoriu. Hkrati s tem pa sprejmemo v imenu
sedanjih in bodočih generacij tudi vso ustrezno in
pripadajočo odgovornost in obvezo, do njegovega imena
in vseh bodočih nagrajencev.
Začasni senat Fakultete za ergonomske in kineziološke
študije Univerze na Primorskem (v ustanavljanju) je
na svoji seji, na dan 29.3. 2011, ob 450 letnici rojstva
Santoria Sanctoriia sprejel naslednji sklep:
» Začasni senat UP FENIKS na osnovi predložene
utemeljitve imenuje priznanje za najboljše študente
študijskih programov Aplikativne kineziologije po
koprskem zdravniku, naravoslovcu, znanstveniku in
izumitelju Santoriu Sanctoriiu. Podrobna opredelitev
vrste priznanj, njihovo število, postopke izbora kandidatov
in druga vprašanja povezana s priznanji, se določijo s
posebnim pravilnikom o priznanjih UP FENIKS.«
Il medico Santorio interpretato da Giorgio Visintin
nel documentario »Istria nel tempo« prodotto da Tv
Capodistria
21
La città
Crevatini: Culture a confronto e Dialetti in cucina
È stato un semestre denso di attività anche alla Comunità degli italiani di Crevatini. L’ultimo fine settimana di settembre
la comunità ha organizzato la sesta edizione degli ormai tradizionali “Incontri culturali”. Quest’anno con una novità,
ad incontrarsi sono state le cucine di Muggia, San Ginesio, Buie, Lendava e Crevatini. Un’edizione emozionante:
enogastronomia con degustazione di piatti tradizionali. Da segnalare che la Comunità degli italiani di Crevatini ha
aperto un proprio sito Internet (www.comunita-crevatini.org)..
Marco Orlando è stato nominato nuovo
presidente dell’A.S.C.I (Associazione sportiva
Comunità italiana) di Capodistria. Subentra
a Igor Pekica. Nel mandato quadriennale
appena inaugurato, Orlando si propone di
offrire ai giovani sempre maggiori opportunità
di fare sport. Attualmente, in seno all’A.S.C.I.
operano tre squadre: calcetto (guidata dallo
stesso Orlando), Tennis tavolo – mentore
Roberto Richter, e la nuova sezione di pallavolo
– responsabile Gregor Basiaco.
Altra novità importante la pubblicazione di “Purissima”,
semestrale della CI di Crevatini. Nel primo numero, il
redattore Diego Samsa, spiega il nome della testata: “La
Purissima, la strada che porta a Crevatini, qui in mezzo ai
Monti di Muggia. Qui che se ti giri a destra vedi Trieste
e se ti giro a sinistra vedi Capodistria. Qui dove la gente
molte volte “non sa chi essere”. Qui dove in una vita si
riesce a cambiare cinque stati senza mai muoversi. La
terra dei rimasti, dei venuti, degli andati e dei tornati. La
terra dei confini contesi, degli spari e delle vite perdute
22
cercando nell’oscurità delle “graje” l’abbaglio di una vita
migliore. Terra sconosciuta persino dai propri abitanti,
perché il giallo avvertimento delle tabelle “Mejni pas
– “Area di confine” non permetteva a tutti di conoscere il
proprio monte. Terra che ha visto famiglie tagliate a metà,
sorelle che alla distanza di un chilometro non potevano
vedersi nemmeno per il matrimonio di una di esse… e poi
il cambiamento.
Non c’è più il “Mejni pas” e si può liberamente scorazzare
per il nostro monte (…). Arriva la notte del 21 dicembre
2007 quando il Monte tagliato a metà si ricongiunge e c’è
festa a Cerei. Una festa spontanea, bella, commovente,
specialmente per chi ha una certa età; una festa per… una
cosa già vista!
Si festeggia infatti quello sessant’anni fa era una
cosa quotidiana. E la vita va avanti. C’è il “fenomeno
Crevatini”, la scuola dove da Muggia si portano i propri
figli nella scuola d’oltreconfine, dove s’insegna la lingua
italiana, ma con il surplus d’imparare anche la lingua
slovena, quella lingua che dava tanto fastidio. Proprio
come per tanto tempo dava fastidio la lingua italiana
parlata dai rimasti. Come cambiano le cose, chi l’avrebbe
mai detto…
Sì, le cose cambiano, ma non cambiano per se stesse. Ci
vogliono forza e coraggio”.
La città
Alla Comunità degli italiani di Bertocchi Melodie da uno stivale
Il 19 novembre presso la sala della Casa di cultura a Bertocchi si è tenuta la IX edizione dell’Incontro delle
tre regioni, quest’anno dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia. Già da nove anni la Comunità degli Italiani di
Bertocchi organizza questa manifestazione culturale che vede esibirsi cori, gruppi strumentali e filodrammatiche
di Italia, Slovenia e Croazia, con particolare attenzione ai gruppi operanti presso le CI.
Protagonisti Miriam Monica (regia
e voce) e Neven Stipanov (voce
e clarinetto), Lucienne Lončina
(pianoforte e voce), Marsell Marinšek
(fisarmonica) ed ospite d’onore
Francesco Squarcia alla viola, noto
musicista fiumano residente a Roma.
Gli interpreti hanno proposto una
ventina di brani sia di musica classica
di compositori quali Tartini, Monti,
Rossini, Leoncavallo e Verdi sia di
musica leggera italiana proponendo
canzoni ben note e apprezzate dal
pubblico, come ad es. Parlami
d’amore Mariù, Il cielo in una
stanza, Perdere l’amore, ‘O surdato
‘nnammurato e via dicendo. Non è
mancata la sorpresa finale, i musicisti
hanno eseguito il Va pensiero di
Giuseppe Verdi accompagnati dai
Miriam Monica e Neven Stipanov
Francesco Squarcia
gruppi corali riuniti delle Comunità
degli Italiani di Pirano e Momiano,
diretti dalla maestra Milada Monica.
Miriam Monica è un’attrice diplomata
presso l’Accademia d’arte drammatica
»Nico Pepe« di Udine e collabora col
Dramma Italiano di Fiume. Presso
la CI di Pirano conduce laboratori
teatrali e cura le regie di spettacoli.
Neven Stipanov si è diplomato al
Conservatorio “Tartini” di Trieste in
clarinetto e in canto lirico. Ha svolto
attività pedagogica e ha all’attivo
seminari di musica classica e jazz
nonché concerti in Slovenia, Croazia,
Repubblica
Ceca,
Slovacchia,
Austria,
Belgio,
Danimarca,
Germania, Italia e Polonia. Lucienne
Lončina è un’affermata pianista
professionista e cantante di origine
inglese. Oltre a comporre testi
musicali si esibisce come solista o
con la Big Band della RTV Slovenia
o con complessi musicali. Marsell
Marinšek ha frequentato le Scuole di
musica di Pirano e Capodistria e ha
suonato nel gruppo folcloristico di
Pirano. Ha vinto diversi premi come
solista al Concorso internazionale per
solisti e complessi di fisarmonica di
Castelfidardo (Italia) nella categoria
jazz. Il fiumano Francesco Squarcia,
ha studiato all’Accademia musicale
di Lubiana nella classe del prof.
Rok Klopčič conseguendo il Premio
Prešeren. Premiato al concorso “Istria
nobilissima”, è membro dell’orchestra
sinfonica dell’Accademia di Santa
Cecilia di Roma che lo ha portato a
collaborare con prestigiose istituzioni
concertistiche internazionali.
La serata è stata realizzata
nell’ambito
del
programma
culturale
della
Comunità
Autogestita della Nazionalità
Italiana di Capodistria e grazie
al supporto finanziario da parte
del Comune città di Capodistria e
del Ministero per la cultura della
Repubblica di Slovenia.
Roberta Vincoletto
23
La città
Il 2011 al Centro Italiano “Carlo Combi”:
dalla ricerca scientifica alla nuova guida turistica su Capodistria
Il Centro Italiano “Carlo Combi” alla fine dello scorso anno è stato contattato dalla Libreria Libris di
Capodistria, con la quale ha proficuamente collaborato nel passato, la quale stava progettando la realizzazione
di una nuova guida turistica su Capodistria, i cui testi sono stati prodotti dal noto storico dell’arte, dr. Salvator
Žitko. Il Centro Italiano Carlo Combi ha ritenuto importante aderire da subito a tale iniziativa per promuovere
e valorizzare la città di Capodistria, la sua ricca storia ed il suo patrimonio, includendo così anche la nostra
realtà.
Dopo più di un anno di
intenso lavoro congiunto agli inizi
di dicembre è stata pubblicata la
nuova guida turistica di Capodistria
intitolata Capodistria. La città e
il suo patrimonio, in tre versioni
linguistiche: sloveno ed inglese edite
dalla Libreria Libris nonché in lingua
italiana a cura dal Centro Italiano
“Carlo Combi”. Le edizioni sono
pubblicate separatamente ma con
un’unica veste grafica.
Con la nuova guida turistica
si è voluto presentare la città di
Capodistria nei suoi aspetti più
ricchi e suggestivi anche mediante
l’utilizzo di numerose fotografie ed
un ampio materiale documentario.
Tale pubblicazione sarà pertanto
interessante e coinvolgente anche
per il lettore nostrano, che potrà così
riscoprire la propria città sotto una
nuova luce.
Il volume è suddiviso in
dieci capitoli (introduttivo, dati
generali, storia, passeggiando per
la città, itinerario breve, itinerario
lungo, patroni cittadini, stemmi di
Capodistria, patrimonio dei dintorni
e l’ultimo riguardante musei, gallerie
e
manifestazioni
tradizionali),
attraverso i quali si presenta l’Atene
dell’Istria ed il suo immediato
entroterra, con particolare riferimento
alle ricchezze architettoniche ed
artistiche oltre alle peculiarità
naturali e geografiche. Il visitatore
potrà scegliere tra due itinerari (breve
e/o lungo), tramite i quali conoscerà
i più significativi monumenti, le
istituzioni, i noti personaggi e le
famiglie capodistriane, che hanno
caratterizzato la vita di questa città.
Nella guida è stata inserita anche
la pianta cittadina con evidenziati
il percorso (lungo e breve) ed i
Foto Andrej Medica
24
monumenti presentati. Non mancano
curiosità ed approfondimenti presenti
in appositi riquadri, che danno un
tocco in più alla pubblicazione.
Con tale iniziativa si è voluto,
oltreché presentare degnamente la
città di Capodistria ed il suo ricco
patrimonio,
anche
promuovere
il superamento delle barriere
mentali ancora presenti, in quanto
tale pubblicazione è il risultato di
una cooperazione congiunta tra
la maggioranza e la minoranza a
dimostrazione che il patrimonio e
l’amore per la propria città possono
unire e favorire iniziative propositive.
Tutti gli interessati all’acquisto dei
volumi possono rivolgersi al Centro
Italiano “Carlo Combi” ossia visitare
il sito (www.centrocombi.eu) tramite
il quale sarà possibile ordinare la
propria edizione.
La città
Se ne va la Console Marina Simeoni.
Il Consolato chiude?
Il linguista Francesco Sabatini a
Capodistria
Lascia un gran bel ricordo di se’ la dottoressa Marina
Simeoni che fino ad agosto è stata Console Generale
d’Italia a Capodistria. Sempre presente, quando gli
impegni glie lo permettevano, alle manifestazioni delle
nostre Comunità, sempre disponibile e gentile con tutti.
Una recente normativa italiana in materia di quiescenza ha
comportato anche per lei l’obbligo di anticipare i tempi del
pensionamento. »Due anni trascorsi in questo splendido
territorio - ha detto prima di partire da Capodistria
- mi hanno arricchita non solo professionalmente, ma
soprattutto umanamente«.
Pare che la Simeoni non sarà sostituita. Il Ministero
degli Affari Esteri italiano, nel quadro del programma di
ristrutturazione della rete estera, avrebbe infatti decretato
la chiusura di 19 consolati italiani nel mondo. Tra questi
compaiono anche i consolati di Spalato e Capodistria, la
cui attività si sarebbe notevolmente ridotta negli ultimi
anni. Foto Gianni Katonar
Il Dipartimento di Italianistica dell’Università del Litorale
dedica ogni anno un ciclo di lezioni ai docenti di italiano
delle scuole di ogni ordine e grado in Slovenia. Quest’anno
si è deciso di proporre un ciclo di lezioni sulla scrittura e
sull’oralità. A Palazzo Gravisi, sede della nostra Comunità,
è intervenuto il prof. Paolo Balboni dell’Università Cà
Foscari di Venezia che ha coinvolto i presenti con una
relazione dal titolo: »Verba volant, ma, se ben gestite,
forse manent«. All’Università è intervenuto invece il
dott. Fabio Caon, esperto di insegnamento dell’italiano
agli stranieri. L’iniziativa si snoderà durante tutto lanno
scolastico e l’ultimo incontro si è tenuto il 16 dicembre
con un ospite d’eccezione: il prof. Francesco Sabatini,
presidente onorario dell’Accademia della Crusca, che
molti ricorderete per la sua rubrica nel programma di Rai
1 »Mattina in famiglia«. A Capodistria il prof. Sabatini
ha parlato della grammatica valenziale e dei criteri di
valutazione. Foto santeramo.it
Nell’anno Monaldino, celebrata una messa nella
ex chiesa conventuale di San Francesco
9 novembre. Dopo oltre due secoli è stata celebrata una
messa nella ex chiesa capodistriana di San Francesco.
L’edificio venne chiuso, assieme al Duecentesco convento,
dalle autorità napoleoniche nel 1806. Più tardi l’ex chiesa
venne ridotta dagli austriaci in palestra, ruolo mantenuto
fino a pochi anni fa. Ora per l’edificio, proprietà del
Comune, si prospettano tempi migliori: si intende adattarlo
a sala concerti e ambiente per cerimonie protocollari. Nei
prossimi mesi se ne occuperanno gli archeologi, dopodichè
partirà l’opera di restauro. L’occasione per la celebrazione
della messa è stata data dalla commemorazione del
Beato frate Monaldo, conventuale di Capodistria, a 800
anni dalla sua nascita. Il religioso, considerato uno dei
massimi giuristi ecclesiastici del 13.mo secolo, era sepolto
infatti in questa chiesa e oggi le sue spoglie si trovano in
Santa Maria Maggiore a Trieste. Nell’ambito dell’anno
Monaldino, sono previsti ancora due eventi: l’esposizione
alla Biblioteca centrale (Palazzo Brutti) di un’edizione
originale della »Summa Monaldina« e la restituzione
al convento di Sant’Anna della biblioteca sottratta ai
minoriti nel 1948. Foto Primožič/FPA
25
La città
Foto Jana Belcijan
l 24 novembre il Piccolo teatro di Capodistria ha messo
in scena “I speak gulasch”. Il testo, in origine saggio
radiofonico scritto da Kenka Lekovich, era stato il
contributo dell’autrice al progetto »Die Poetik der
Grenze« (La Poetica del confine), per Graz capitale
europea della cultura nel 2003. Un testo ironico
con sfondo riflessivo. Il gulasch del titolo è, infatti,
quella mescolanza di lingue, di dialetti, di culture e di
appartenenze nella quale tutti gli abitanti delle zone
di confine si ritrovano a doversi dibattere e del quale
l’autrice si fa strenua paladina, rivendicando il diritto di
non scegliere ed esaltando quella mescolanza, che come
il gulasch, insaporisce la vita di tutti noi. Lo spettacolo
- attori principali Elke Burul, Rosanna Bubola e
Mirko Sodano, per la regia di Livio Crevatin – è stato
organizzato in collaborazione con l’Unione italiana e
l’Università popolare di Trieste.
15 agosto. Nella fessura di un muro del bar Cameral, in
Calegaria, è stato rinvenuto un foglio firmato Degrassi
1897 (foto). Sul fronte c’è questo curioso messaggio: »In
questo nascondiglio venne nascosta la somma di Fiorini
2748 in moneta sonante, che troverete percorrendo 5
volte al giorno la Calegaria«.
26 novembre. La 40.esima edizione del Festival »Voci
nostre« si è svolta al Teatro di Pola. Ha vinto la
concorrente di Buie. Se la sono cavata molto bene anche
le capodistriane Staša Galvani e Maristella Di Leva (al
centro della foto) col brano “L’arca di Noè” (ContinoloPunis). Mentore Edoardo Milani.
1 ottobre. Alberto Zetto ha aperto il caffè “Bandèr”.
Al pianterreno di casa, quasi di fronte al Museo, ha
ricavato uno spazio dove prima teneva un magazzino e
dove suo padre Arrigo svolgeva il lavoro indicato nel
nome del bar. Era stato infatti, assieme a Guido Ponis,
l’ultimo bandaio di Capodistria.
Il selciato delle vie principali è costituito da pesanti
blocchi di arenaria. Nelle vie periferiche, dove
abitavano soprattutto contadini, le vie erano lastricate
con sassi minori disposti in modo irregolare. Gli
ultimi esempi di questo tipo si trovavano nel rione di
Ognissanti, dietro il Videocenter. Pochi mesi fa infatti
le stradine sono state asfaltate. Prima che l’asfalto
coprisse le pietre, ho scattato una foto ricordo…j
26
La città
Nel 1872 il prof. Torquato Taramelli dell’Istituto tecnico di Udine redasse uno studio geognostico- agrario del
territorio di Capodistria. Ne riportiamo il testo assieme alla carta in scala 1:50.000.
Studi geognostico-agrari del territorio di Capodistria
del prof. Torquato Taramelli
Il territorio di Capodistria è formato dai bacini idrografici dei due torrenti Risano e Fiumicino, i quali con direzione a
tramontana si svasano nel mare, e dall’anfiteatro di Isola. Essendo lo spartiacque tra i primi due torrenti meno elevato
in confronto dei colli, che si elevano a levante ed a ponente e quindi meno projettandosi quello nel mare, ne risulta un
seno, che si svolge dalla Punta Grossa alla Punta di S. Marco. In questo seno appunto, sopra un’isoletta alta 12 metri
sul livello marino sorge amenissima la cittadella di Capodistria.
Una lingua di alluvioni trasportate dal Fiumicino e dalle Lovisato d’Isola un esemplare di Conoclypus; grosso
correnti di marea accumulate dietro l’isoletta congiunge echinide emisferico o conico, che compare a questo livello
la città alla terraferma. Più a levante, si protende in o poco sopra in tutta l’Istria, come nel Veneto. Vi osservai
mare stretto e tortuoso il delta del Risano, colla forma anche abbastanza copioso un Pecten ed un’Ancillaria,
caratteristica dei delta mediterranei e con uno sviluppo che notai comunissimi nella Foiba di Pisino, nel Carso di
proporzionato alla somma erodibilità delle rocce prevalenti Albona, nella valle della Dragogna e nei pressi di Sterna,
nella corrispondente vallata.
di Matterada e di Carsette, presso Buje.
A ponente della Punta di S. Marco si apre un grazioso La complessiva potenza di questo calcare, dietro analogia
anfiteatro di colline, in mezzo al quale sopra uno scoglio col più vicino punto di affioramento sulla sinistra sponda
pur collegato alla terraferma con un cordone alluvionale della rada di Pirano, non deve esere maggiore di metri
sorge la cittadella di Isola. La natura
50, e più sotto esiste indubbiamente
però della roccia di questo scoglio
il calcare a Radioliti della Creta
toglie ogni analogia geologica
superiore; roccia che non affiora in
tra queste due orografie cotanto
alcun punto del territorio, mentre
somiglianti.
costituisce gran parte dell’altipiano
Infatti, l’isoletta di Capodistria è
dell’Istria occidentale e meridionale,
per natura del terreno perfettamente
ricoperta da uno strato più o meno
analoga alle colline della spiaggia;
potente di Terra rossa. Siccome
lo scoglio di Isola invece, consta di
però, tanto tanto nell’Istria, come
un terreno che indarno si ricerca nei
in tutte le Alpi Giulie meridionali,
colli circostanti. Epperò chiunque si
quest’ocra ricopre indifferentemente
faccia a studiare un po’ da vicino la
il calcare nummulitico inferiore
serie di terreni nel territorio stesso
ed il calcare-cretaceo; così, anche
sviluppati, sarà portato certamente
ad Isola, essa viene accusata dal
a dare non lieve importanza a
coloramento
superficiale
della
quest’ultimo punto, che sull’azzurro
massa calcare e dal terriccio, che ne
delle onde spicca soltanto per
ricolma i meati. Un filo di Acqua
l’ammasso biancheggiante di case
termale, solfurea, che sgorga dallo
quivi accumulate. Dal mare in cui fu
scoglio, è quasi l’ultima traccia
generata, colà affiora una compatta
dell’attività vulcanica, che travagliò
Torquato Taramelli
congerie di organiche reliquie di
non poco questa regiona, quand’era
roccia calcare; conservatissime
ancor sepolta di qualche centinajo di
tuttora dopo migliaia di secoli, dopo varie oscillazioni, metri nel mare. Poiché la Terra rossa, così ricca di ossidi
dopo che dal mare stesso le fu contesto e quindi rapito metallici, così assolutamente destituita d’ogni avanzo di
un potente involucro di rocce più recenti, meno compatte, vita vegetale od animale, così omogenea ed uniforme
chimicamente e meccanicamente diversissime, le quali ovunque si presenta nelle Alpi orientali come in alcuni
formano la spiaggia e la regione circostante. Il calcare di punti della valle padana, non si può a mio avviso spiegare
Isola, specialmente sotto la chiesa di S. Pietro, è formato altrimenti se non considerandola quale un prodotto di
da grosse Alveoline, allungate e globulari, da Operculine, salse sottomarine.
da Nummuliti e da un’infinità di altre foraminifere Il calcare di Isola, tanto negli strati nummulitici, quanto
politalamiche. Le Nummuliti prevalgono negli strati negli inferiori distinti dalle Operculine, appartiene alla
superiori, e quivi appunto venne rinvenuto dal signor prof. formazione dell’Eocene inferiore, riferita all’Epicretaceo
27
La città
dai signori Cornalia e Chiozza, e quindi distinta col nome
di Liburnico negli ulteriori lavori del sig. G. Stache. Un
ultimo lembo di questo calcare si rinviene anche nel
Friuli nei dintorni di Gradisca ed al colle di Medea. Esso
scompare sotto le rocce arenaceo-marnose, che formano
quasi totalmente il territorio capodistriano; né accade di
rintracciarlo altrove, se non accostandosi all’altipiano
dello Schlaunig (Slavnik, ndr), la cui base tutta di calcare
nummulitico decorre da San Servolo (Socerb, ndr) alle
origini del F. Risano.
Precisamente ove il temporaneo filo d’acqua, che discende
dalla valle di Villadol (Dol, ndr), riceve il copioso e
costante tributo della Sorgente del Risano, là appunto
si presenta nuovamente il calcare nummulitico di Isola.
Sotto questo, coll’intermezzo di alcuni banchi marnosi,
ricompare il calcare ad Alveolina, coi caratteri litologici,
che conserva in tutto l’altipiano dell’Istria orientale sino
alla Punta di Fianona. Più a ponente, il calcare nummulitico
compare a Covedo (Kubed, ndr), ed avanzandosi verso
San Antonio (Sv. Anton, ndr) costituisce il dosso, che si
protende a N del paese, quasi spoglio di vegetazione. Quivi
precisamente si può constatare la reale sopraposizione di
quel calcare ai letti di marne scagliose, che affiorano là
e ricompaiono nel Carso. Tranne le accennate località,
ove compare il calcare nummulitico, il territorio di
Capodistria è totalmente formato da un’alternanza di
marne e di arenarie con alcuni banchi di conglomerato
calcare fossilifero. È la formazione del Tassello, che tra
gli altipiani del Carso e quello meno elevato dell’Istria
occidentale si stende in ampia zona, dal Golfo di Trieste
al Quarnero.
Le rocce, che costituiscono questa Formazione, sono
così varie e finamente stratificate e tanto bizzarmente le
une alle altre si sovrapongono, che per ciascuna di esse
è difficile indicare le aree e le località ove prevalgono.
Quasi in ogni campo, lungo tutti i sentieri che si aggirano
pei lieti oliveti e per le vigne, lungo tutti i torrenti
che solcano profondamente quella massa di terreni
erodibilissimi, occorre di osservare la stessa miscela di
elementi arenacei e marnosi; onde par sempre di essere
30
nel luogo medesimo. Anche gli accidenti stratigrafici e
specialmente quel facilissimo e assai marcato clivaggio
romboidale delle arenarie e la frequenza e l’uniformità dei
problematici Fucoidi, fanno ancor più vivamente risaltare
la grande uniformità dei piani, di cui risulta la formazione
arenaceo-marnosa.
Tuttavia, partendo dal calcare suaccennato e gradatamente
accostandosi ai piani superiori e più recenti della
formazione stessa, si ponno stabilire dei fatti di valore
abbastanza generale. Prima di esporli però, conviene
brevemente esaminare le condizioni stratigrafiche del
territorio e trarre da queste una guida sicura per giudicare
dell’epoca relativa e della equivalenza dei vari orizzonti.
Gli affioramenti di Isola e di Covedo rappresentano
naturalmente due centri, da cui gli strati devono
divergere più o meno rapidamente; poiché a questi due
punti corrisponde il colmo delle curve prodotte dal
sollevamento. Dobbiamo alla esportazione della superiore
formazione arenaceo-marnosa se quivi in luogo di un
rilievo si osserva una depressione. Analogamente nella
catena del Giura e più presso a noi nel Vicentino in terreni
identici agli istriani, simili volte stratigrafiche, rotte ed
erose, furono convertite in veri anfiteatri a gradinate
concentriche, prodotte dalla ineguale erodibilità degli
strati. Vediamo infatti dalla punta Ronco a quella di San
Marco affiorare le testate degli strati inclinati a S O e S E;
mentre che a San Antonio, a Rosariol (Rožar, ndr), sotto
Antignano (Tinjan, ndr) nel dosso arenaceo di Covedo
ed alle sorgenti del Risano prevale la inclinazione a N
E e N O. Congiungendo poi con un profilo questi due
punti di affioramento della inferiore formazione calcare
(com’è indicato dallo spaccato A B della tavola annessa)
e tenedo dietro all’andamento degli strati, si rileva che tra
queste due volte o anteclinali non si incurva una semplice
sinclinale, come potrebbe essere il caso se si trattasse di
rocce compatte ed a banchi molto potenti; ma che invece si
presenta una sinclinale assai compressa in corrispondenza
del dosso di San Antonio, e che quindi si incurva piuttosto
dolcemente una anticlinale intermedia, avente il suo asse
ad un dipresso nella direzione da Maresego (Marezige,
La città
ndr) a Capodistria. Poiché questa direzione coincide per
un certo tratto a quella del T. Fiumicino o Cornalunga,
accade che lungo i suoi versanti affiorino quei terreni
stessi, che si osservano nel seno di Isola, e si presentino
opposte inclinazioni a S O ed a N E. Lo scoglio arenaceo
marnoso di Capodistria appartiene alla gamba orientale
di tale curva. La inclinazione N E che quivi si osserva
prevale anche in tutte le colline dalla Punta Grossa ad
Antignano.
Al colle di Antignano, verso la vetta, la inclinazione si
cambia bruscamente e spesso gli strati si fanno verticali,
con direzione verso le Scoffie (Škofije, ndr), ed è assai
probabile che quivi si ricurvi una sinclinale parallela a
quella di San Antonio. Ad ogni modo è certo che presso
Antignano, a San Antonio e presso Paugnano (Pomjan,
ndr) devono trovarsi i piani più recenti della serie; mentre
che avvicinandosi agli affioramenti calcari di Isola e
di Covedo, oppure discendendo lungo i versanti del
T. Fiumicino, si troveranno gradatamente gli strati più
antichi. Difatti nelle accennate direzioni si può rilevare
una serie di terreni, che corrisponde perfettamente non
solo alla serie istriana, ma a quella del Friuli occidentale,
del quale l’Istria è la naturale continuazione geologica.
In relazione coll’accennata disposizione stratigrafica,
ove le curve sono più compresse, cioè nella vallata del
Risano, la continuità degli strati è meno conservata
e le rocce sono più frantumate e più interrotte da salti.
Per la ragione stessa i rilievi di Antignano, Paugnano e
Cossianciz (Kocjančiči, ndr) toccano ad un’altezza assai
maggiore di quella che corrisponderebbe al reale spessore
della Formazione arenaceo-marnosa; poiché gli strati
sono variamente inclinati e ripiegati.
Le notate particolarità stratigrafiche (che si rilevano
abbastanza facilmente qualora si prescinda dalle singole
contorsioni, tanto più frequenti e bizzarre quant’è minore
la potenza dagli strati) sono sufficienti per intendere
la successione delle rocce prevalenti ed il loro vario
affioramento nella superficie esaminata.
Al contatto del calcare nummulitico inferiore di Isola e
di Covedo si osserva, al pari che in tutta l’Istria eocenica,
la prevalenza delle marne. Sono povere di carbonati;
hanno un colore ceruleo quando sono in banchi potenti
giallognolo presso la superficie degli strati, lungo le
fratture ed anche in tutta la massa, se la stratificazione è
assai fitta. È manifesto che il coloramento giallo, dato dal
sesquiossido idrato di ferro, è conseguente al coloramento
originario azzurrognolo, dato dal sesquiossido. In queste
marne inferiori è assoluta la mancanza di fossili. Nemmeno
i fucoidi, che si presentano ovunque in orizzonti più
elevati; nemmeno le foraminifere, che ricomparivano
numerosissime appena che i deposito si faceva più calcare
ed arenaceo; nemmeno un rappresentante della numerosa
classe degli Echinidi, comunissimi nei terreni eocenici
più antichi e più recenti. Si rinvengono soltanto delle
geodi ocracee, che probabilmente provengono da nuclei
di pirite decomposti. Sarebbero forse anche queste argille
azzurrognole, almeno in parte, un prodotto endogeno
collegato colla rapida cessazione del deposito calcare e
quindi coll’improvviso mutamento orografico, che deve
aver causato la cessazione stessa? Non sarebbe facile né
opportuno il dilucidare ora questo dubbio. Giovi piuttosto
considerare come la presenza di queste marne prive di fossili
ad immediato contatto del calcare nummulitico inferiore
sia comune a tutta la regione eocenica dell’Istria, con varia
potenza e con varia compattezza. Ad esse corrisponde
precisamente il nome di Tassello; distinguendosi poi col
nome di masegno la forma arenacea, prevalente nei piani
superiori. Dove l’argilla azzurrognola ha una assoluta
prevalenza, il terreno è singolarmente sterile; vuoi per la
troppo facile erodibilità, vuoi per troppo rapido asciugarsi
nelle prolungate siccità, che sgraziatamente travagliano
la penisola. L’agricoltore, con opportuni terrazzi facendo
più dolce il pendio e raccogliendo le acque in apposite
fosse, diminuisce in parte il dannoso effetto di queste due
cause.
Questa zona del Tassello si tiene presso le falde dei colli,
che circondano Isola; quindi affiora a più riprese lungo le
valli del Fiumicino e del Risano. Si sviluppa specialmente
presso Rosariol e tutt’attorno al dosso del calcare di
Covedo.
31
La città
Sopra queste marne riposano generalmente alcuni
straterelli arenacei; poscia sui banchi di conglomerato
nummulitico, di calcare a piccole foraminifere e di calcare
leggermente marnoso. Queste tre rocce affiorano sempre
associate in zone della complessiva potenza dai 2 ai 6
metri, e perché meno erodibili segnano il ciglio di terrazzi
orografici spesso assai marcati e continui. Discendendo
da Paugnano a Capodistria in linea normale alla direzione
della formazione arenaceo-marnosa si incontrano quattro
di tali zone, delle quali le intermedie corrispondono a
due gradini orografici assai distinti lungo tutto il versante
occidentale del seno di Capodistria. Questi banchi calcari
rappresentano nel loro complesso la formazione dei
Conglomerati fossiliferi, che riposa sul Tassello in tutta
la penisola e nella striscia eocenica dell’Isola di Veglia.
Il decorso di questi banchi è segnato sulla unita Carta
geognostico-agraria, ed il loro affioramento indica ad un
dipresso la direzione della formazione areaneo-marnosa
nell’area esaminata. Uno di questi banchi si osserva
anche in Capodistria ed è lo stesso che più a mezzogiorno
ricompare alle falde dei colli di Canzan (San Canziano,
ndr) e di San Bastian (Tribano, ndr). Più a levante, da
Antignano alla Punta Grossa ed al colle di Sermino (isolato
nelle alluvioni del Risano) non mi accadde di osservarne,
e probabilmente non ve ne esistono di fatto; poiché quivi
si sviluppano le rocce superiori, giammai calcari, delle
formazione in discorso.
Queste rocce, in parte già comparse nei piani più antichi ed
in parte esclusive agli orizzonti superiori ai conglomerati
calcari, sono:
1.
2.
3.
4.
Arenarie quarzoso-minacee, di colore azzurrognolo
all’interno e giallo nelle porzioni idratate;
Arenarie quarzose a cemento poco tenace;
Arenarie calcareo-quarzose con piccolissime
foraminifere monotalamiche;
Marne giallognole, più o meno compatte, a strati
assai sottili, erodibilissime, meno sterili del Tassello
propriamente detto. Queste si alternano colle arenarie
precedenti.
Le arenarie n.1 gradatamente aumentano in potenza dal
basso all’alto delle serie. Sono comunissime arenarie a
Fucoidi, che caratterizzano i piani superiori dell’Eocene
medio, e son note ai geologi alpini sotto il nome di
Flysch. Si scavano attivamente presso la Punta Grossa, e
somministrano il migliore materiale di costruzione. Ben
scelte, sono tenacissime e resistono alle meteore (piogge,
ndr). Occorre però che non sieno marnose, né di struttura
fogliettata, né inquinate da solfuri in decomposizione;
nei quali casi si sgretolano miseramente. Le arenarie
quarzose a cemento poco tenace sono meno comuni e
più recenti. Prevalgono specialmente al M. Moro, al colle
di Antignano, e tra Paugnano e Monte (Šmarje, ndr),
ed il loro sfacelo sembra essere ormai acconcio per la
vegetayione boschiva. Le arenarie calcareo-quaryose a
foraminiferi compajono colle precedenti tra Antignano e
32
le Scoffie e nel tratto da Paugnano e Maresego. Hanno
uno sviluppo affatto subordinato e corrispondono al
piano dei conglomerati quaryosi del Friuli orientale, che
mancano all’Istria. Le marne finalmente si alternano
costantemente colle arenarie; man on raggiungono
giammai potenya delle argille inferiori. Hanno un
colore piuttosto sbiadito, si impastano poco coll’acqua,
si sgretolano facilissimamente, e danno una sensibile
effervescenza cogli acidi. Sono anch’esse povere man on
assolutamente mancanti di tracce organiche. Spesso poi
presentano delle concrezioni calcari, che senza avere una
forma definita, pure accennano a qualche forza biologica,
che abbia contribuito alla loro formazione. Potrebbero
essere coproliti o spongiari. La mancanza di fosfati però,
constatata dall’egregio collega prof. Nallino, rende più
accetta la seconda ipotesi. Qualunque sia la loro origine,
ne accenno la presenza perchè sono comunissime a
questo livello in tutta l’Istria e nel Friuli, e quand’anche
altro non fossero che concrezioni calcari formate per
sedimentazione chimica ponno avere tuttavia un certo
valore come carattere litologico.
Le relazioni stratigrafiche e più ancora le proporzioni
di potenza di queste rocce superiori ai conglomerati
calcari, variano dall’uno all’altro estremo del territorio. È
abbastanza costante una zona di marne giallicce a straterelli
sottili, alternate con straterelli arenacei, che ricopre il più
recente banco di conglomerato a Paugnano e Maresego
colla media potenza di 30 metri. È la ripetizione di una
serie identica, che affiora lungo la vallata del Fiumicino
tra il secondo ed il terzo dei banchi nummulitici indicati
sulla Carta. Nell’alta valle del Risano queste zone di
marne superiori ai potenti banchi di conglomerati quivi
affioranti sono più sviluppate, più estese e più contorte,
in causa dell’arrovesciamento stratigrafico, che a breve
distanza ritorce e capovolge tutta la serie eocenica.
In generale le arenarie e le marne sono equabilmente
sviluppate nell’area del territorio di Capodistria, per guisa
che io credo quivi avvenga la transizione tra la prevalenza
di arenarie, che si osserva nelle valli del Vipacco (Vipava,
ndr), della Poika e del Friuli, e la prevalenza delle marne,
che in tutta l’Istria si rimarca al contatto od a breve
distanza dalle zone fossilifere. Ovunque po igli strati più
recenti di questa zona arenaceo-marnosa presentano una
struttura più grossolana e più frequente la presenza delle
sabbie quarzose e micacee. Nelle arenarie di osservano
anche dei grandi verdi di clorite, che hanno una speciale
importanza per le relazioni cronologiche colle formazioni
laviche dell’Eocene, le quali contemporaneamente a questi
depositi e a breve distanza si espandevano per vulcani
insulari e sottomarini là dove al presente ondeggiano
ridenti e feraci i colli Berici ed Euganei. Questi granelli
verdi si rinvengono anche nei calcari arenacei e fossiliferi
di Nugla, presso Pinguente e del M. Camus, presso Pisino,
ed accennano ad emersioni doloritiche o basaltiche di
qualche periodo anteriore ma parimenti eocenico.
Le arenarie quarzose e le marne arenacee, giallognole,
sono i terreni più recenti, che si osservano nel territorio.
La città
Stante l’accennata disposizione stratigrafica, prevalgono
lungo i dossi delle colline che circondano Capodistria.
Nel suo complesso, la formazione arenaceo-marnosa,
coi banchi nummulitici compresi, appartiene all’Eocene
medio. Presenta un graduale passaggio dalla forma
argillosa, prevalente all’aurora di questo periodo, alla
forma arenacea, che facevasi sempre più mcomune verso
la fine del periodo stesso.
Nel periodo dell’Eocene superiore la regione emerse e le
forze endogene ed esogene tracciarono la sua stratigrafia
e l’abbozzo della sua orografia. A questo primo periodo di
emersione corrisponde la profonda abrasione per azione
meteorica e torrenziale della formazione arenaceo-marnosa
nelle aree ove è messo a nudo il calcare nummulitico. Ad
esso tenne dietro una sommersione, in epoca miocenica,
durante la quale venne eruttata e dispersa la Terra rossa.
Dal Miocene medio in poi la regione che abbiamo
brevemente esaminata rimase emersa e si stabilirono
in essa, per opera diuturna della causa accennata, quei
dettagli orografici ed idrografici ond’è morbidamente
plasmata e profondamente solcata, in relazione colla
grande erodibilità della prevalente formazione arenaceomarnosa.
Nelle epoche posterziarie perdurò attivissimo e tuttogiorno
continua questo lavorio dagli agenti esogeni; instancabile,
utilmente o dannosamente efficace, a seconda del partito
che ne sa trarre l’industria agraria. Il prodotto di questo
lavorio erosivo, esercitato per una sequela non solo di
periodi, ma di intere epoche geologiche, venne quasi
interamente ingojato dal mare; meno il piccolo tratto delle
accennate alluvioni del Risano e del Fiumicino. Alluvioni
finissime, marnose, acquitrinose, pochissimo elevate sul
livello marino; quantunque la potenza ne debba essere
ragguardevole. La scomparsa, o meglio diremo, la
sommersione dei prodotti dell’alluvione posmiocenica è
una prova non dubbia di una sommersione della regione
intera dal miocene in poi, forse continuatasi anche in
epoca antropozoica.
I poco estesi tratti alluvionali serpeggiano tortuosi e sempre
più assottigliati lungo i torrenti, generalmente mantenendo
la loro natura argillosa e la scarsezza di ciottoli. La natura
delle rocce formanti i rispettivi bacini idrografici e più
ancora l’indole torrenziale dei corsi d’acqua (esagerata
dalle locali condizioni climatologiche, per cui rovesci di
acque diluviali e piene fangose e temporanee si alternano
con lunghi periodi di siccità e di magra, o di assoluto
esaurimento) sono le cause dell’accennata mancanza
di ciottoli, che può dirsi generale nelle alluvioni della
penisola istriana. Le stesse cause d’altronde rendono
assai bizzarro il regime degli accennati torrenti. Ognora
strozzati da confluenti, che apportano uno straordinario
tributo di dejezione, si aggirano tortuosi e lenti laddove
dovrebbero essere rapidi. Un filo d’acqua diventa poco
presso uno stagno profondo; quindi ricompare putrido
e schiumoso per disperdersi poco dopo nella fangosa
macerie, che ingombra il letto.
Il fiume-torrente Risano presenta una copia maggiore e
più costante di acque; poiché trova una fonte perenne a
levante di Covedo al contatto della marna con un potente
banco di calcare nummulitico. La prima serve di strato
coibente; il secondo di strato bibulo, unitamente agli altri
strati calcari, che si incurvano bizzarramente nell’adiacente
altipiano da Podpecchio (Podpeč, ndr) a Cernical (Črni
kal, ndr) e ricompaiono a ponente colla cresta da Covedo
a Figarolla (Smokvica, ndr). *
* L’opuscolo di conclude con l’elenco dei fossili rinvenuti
nei territori di Isola e Capodistria
Paesaggio lunare sul Sermino
33
La città
Scorci di Capodistria nelle poesie di Luciana Artioli
Luciana Artioli, nata Scher, è stata insegnante di classe a Bertocchi, Sicciole, S. Lucia e infine nella sua
Capodistria. Da quando è in pensione (2005) si diletta a scrivere anche qualche poesia. »Le scrivo in pochi minuti«
ci ha confidato » trovando l’ispirazione da scene, immagini e pensieri che incontro passeggiando«. Luciana ha
scritto decine di poesie. Per questo numero de La Città ne ha scelte quattro.
Nebbia
Non si vedono più
le pittoresche
vette immacolate
che dividono
all’orizzonte:
il mare dal cielo;
ne’ le fertili
colline
racchiudono
a semicerchio
la ridente baia.
Il grigio perla
predomina
e copre il tutto.
L’intricatissima
e fittissima
ragnatela
dello zucchero filato
avvolge le persone
rendendole
diafane, eteree
pronte
a prendere il volo
verso
mondi e destini
ignoti ed inverosimili.
La passeggiata della
Semedella
E arrivò la Candelora
…portando bora…
E come da vecchia usanza…
Sole e tanta speranza.
Anche Capodistria
Ne fu miracolata,
da morta…a nuova linfa
fu beneficiata.
Il tratto
più ammirato?
Il ponte di Semedella
appena ultimato!
34
Ora, largo ed ampio
Come una pista d’aeroporto
A grandi e piccoli
offre conforto.
I piccolini
su pattini o in carrozzina
offrono davvero
una bella vetrina
Giovani ed adolescenti
aspirano ad un incontro duraturo
che li veda protagonisti
anche nel futuro
Adulti ed anziani
Passeggiano lentamente
Tenedosi a braccetto o per mano
Teneramente
Bella l’idea appena realizzata.
Porta forza e vigore
a tutti coloro
che l’hanno sempre amata.
Effetto bora
Fa freddo.
Imposte e finestre
sono chiuse quasi ermeticamente
ma contro i vetri intirizziti
le tende della cucina
si gonfiano e sgonfiano
ritmicamente
afflosciandosi infine ormai esauste
In piazza
le foglie rattrappite ed infreddolite
ballano
il loro ultimo girotondo.
In riva al mare
la carreggiata e i marciapiedi
sono coperti
da tappeti multicolori
di sacchetti di plastica
di varie grandezze;
tra poco saranno raggiunti
da altri coetanei
protagonisti
in questo momento
di invidiabili e vertiginose
contorsioni, capovolte, acrobazie
risultando
migliori artisti di strada
del momento,
coadiuvati
da raffiche di bora
che oltrepassano i 110 km orari
Assonnato e muto
il porto.
La fontana infreddolita
La fontana
ha indossato
la camicetta bianca;
sembra una ballerina classica
dal tutù bianco
molto elegante.
Ieri
nel pieno
del suo fulgore
sprizzava acqua
da tutti i pori
e roteandola
con mille girandole
la lanciava
in tutte le direzioni
per poi…
farla cadere
sotto forma
di un lanugginoso fungo.
Ora, stende
Le sue braccia inermi
In attesa
Di giorni migliori,
non offrendo
refrigerio
ma pur sempre
spettacolo.
La città
La scorsa estate su Radio Capodistria è andata in onda una trasmissione dal titolo “Cervelli in fuga”. Sono
stati contattati diversi giovani istriani e fiumani che oggi vivono o hanno avuto esperienze di lavoro all’estero.
Per gentile concessione del caporedattore dell’emittente, Aljoša Curavić, riportiamo la trascrizione delle
interviste ad alcuni ragazzi provenienti da Capodistria.
Barbara Visintin, promotore turistico in Dalmazia
Barbara Visintin
Dove sei e di che cosa di occupi?
Io girovago tra Spalato e il delta
della Neretva. Stiamo facendo un po’
di promozione turistica della zona.
Spalato è già ben nota, invece questa
zona più a sud lo è di meno anche
se meriterebbe perchè vive ancora
delle sue tradizioni naturalistiche e
storiche. Recentemente a Vid, l’antica
Narona, sono stati scoperti i resti di un
tempio dedicato ad Augusto, primo
imperatore romano, con sedici statue
quasi intatte alte tre metri.
Tu nasci a Capodistria. Dove hai
abitato?
Sempre a Semedella e ho fatto l’asilo,
l’elementare e il ginnasio italiani a
Capodistria.
Che cosa avresti voluto fare da
grande?
Ricordo che già a 13 anni
cominciavamo a collaborare col
»Cantuccio dei bambini«, programma
scolastico che andava in onda su
Radio Capodistria. Da lì ho iniziato
un percorso che poi ho seguito anche
i miei studi.
Tuo padre è Giorgio Visintin,
giornalista, attore di teatro. Quanto
hanno influito i genitori sulle scente
che hai fatto?
Beh,
ho
sempre
bazzicato
quest’ambiente, tra radio e televisione,
essendo mio padre per tanto tempo
impegnato in questo campo. Ma
penso che, a prescindere dai genitori,
è una cosa che nasce dentro di te. O la
senti o non la senti. Per fare radio, per
fare televisione devi avere qualcosa
dentro. E non esser timido, non avere
paura.
Che poi tuo padre, Visintin, ha
sposato tua mamma che di cognome
faceva Vižintin…
Loro si sono incontrati in radio proprio
per questo motivo, perchè mio padre
era curioso di vedere questa fanciulla
appena arrivata che portava lo stesso
cognome, o quasi. Stanno insieme
ormai da più di cinquant’anni.
Gli studi ti portano a Bologna.
A Bologna perchè ho seguito gli
studi inerenti alla comunicazione di
massa presso il Dams. E lì ho passato
un periodo bellissimo.Tra l’altro a
Bologna ho trovato parecchi studenti
istriani.
Quale argomento hai scelto per la
tesi di laurea?
L’informazione e la multiculturalità
in un territorio di confine, tesi tra
l’altro anche pubblicata a Bologna.
Vent’anni dopo il destino ti porta
ancora più lontano da casa, nel sud
della Dalmazia.
Un incontro con un’ex simpatia
dalmata dopo più di vent’anni. Ero
in vacanza e rivedo questo ragazzo,
ormai uomo, di cui non ricordavo
neanche il nome. E poi mi ha convinta
a restare lì. A Komarna, 70 km a nord
di Dubrovnik.
E lì ti sei dedicata al turismo.
Alla promozione soprattutto per gli
ospiti italiani e francesi. Gli italiani
poi apprezzano molto questi luoghi
già dominio della Repubblica veneta.
Pensa che nei vecchi libri catastali
vedi comparire prima l’italiano e
Le statue romane di Vid presso Metković
35
La città
Paradiso dei surfisti
subito dopo la lingua croata. Anche giovani che fanno il kite-surfing.
nel dialetto ci sono un sacco di termini Molti di noi passerebbero volentieri
che derivano da quelli veneti.
una settimana in Dalmazia. Ma
Com’è
stata
la
stagione viverci è un’altra cosa. Cosa ti
quest’anno?
manca dell’Istria?
La crisi si sente. Le vacanze durano Mi mancano certe cose legate alle
di meno, sette invece di 14 giorni. attività culturali, certe specialità
Comunque non ci lamentiamo.
culinarie…però adesso mi sto
Un consiglio per visitare una impegnando a scoprire le peculiarità
Dalmazia diversa?
dei posti che frequento. Recentemente
La valle della Neretva. Molti sloveni ho scoperto le isole Elafiti, davanti a
vengono per fare nuove esperienze Dubrovnik, dove si scoprono storie
naturalistiche, anche a raccogliere i interessanti. E’ bello instaurare un
famosi mandarini di queste parti. Il rapporto con la gente del posto. I
fiume, nella parte finale, è amato dai dalmati sono molto socievoli, noi
siamo forse un po’ più riservati. E
questo mi ha dato un po’ fastidio
all’inizio, ma poi ci si adatta.
Con tuo figlio parli italiano e o
croato?
Io in italiano, il papà in croato. Lui è
bravo perchè a due anni ha già capito
che con la mamma si parla in una
lingua, col papà in un’altra. Gli devo
fare i complimenti.
Hai detto che passi alcuni mesi
all’anno a Spalato, sai che c’è una
Comunità degli italiani?
So dove si trova, ma non ho ancora
avuto il piacere di visitarla. A Zara
tra l’altro stanno aprendo un asilo con
lingua di insegnamento italiana. Io mi
augurerei, un giorno, che si potesse
replicare questa cosa anche a Spalato.
Fra l’altro qui ci sono un sacco di
stranieri, ho avuto l’opportunità di
conoscere delle coppie miste, per cui
il bilinguismo tra i bambini è una cosa
abbastanza diffusa. A volte capita di
sentir parlare questi bambini in tre,
quattro lingue diverse.
C’è una radio a Spalato che
trasmette anche in italiano. Potresti
chiedere di collaborare?
Mi piacerebbe. Non sono ancora
riuscita ad organizzarmi da questo
punto di vista, però sicuramente un
incontro sarebbe benvenuto.
I famosi mandarini della valle del Narenta (Neretva).
36
La città
Luca Jankovič, tra le ramblas di Barcellona
Lui si definisce un meticcio istro-vojvođan, sua madre è la rovignese prof. Daniela Paliaga, ex preside del Liceo
»Sema« di Pirano, suo padre è Stevan Janković ex responsabile tecnico di Radio Koper-Capodistria nato in Vojvodina.
Ha frequentato l’elementare italiana a Capodistria. Oggi vive in Spagna, a Barcellona.
¿Como estas, todo bien Luca?
Todo bien. Un saluto grandissimo a tutti i connazionali,
gli amici dell’Istria e dei Balcani.
Da quanti anni sei a Barcellona?
Vivo in Catalogna praticamente dal 2000.
Sai che hai già un po’ di accento catalano?
Come se fossi nato qua, tutti me lo dicono.
La conoscenza dell’istro-veneto t’ha aiutato ad
assimilare la loro lingua?
Sì, evidentemente conoscendo sia l’istro-veneto che
l’italiano ho imparato velocemente entrambe le lingue.
Qui ci sono il catalano, la lingua autoctona che si parla
qui a Barcellona, e il castigliano, lo spagnolo conosciuto
nel mondo.
Ma sono simili, no?
Sono due lingue romanze simili però diverse, con le loro
particolarità.
Hai vissuto l’infanzia a Capodistria. Asilo e primi anni
scolastici a Semedella…
L’asilo e poi la prima e la seconda dov eranamo eravamo
in sei. Ho dei ricordi bellissimi della scuola di San Marco.
Facevamo un pezzo di strada insieme con gli alunni
della scuola slovena Anton Ukmar, poi ci dividevamo
all’incrocio.
Fanno un buon caffè a Barcellona?
Insomma, lascia abbastanza a desiderare in confronto al
caffè sia da noi che in Italia.
Hai vissuto 14 anni a Capodistria. Ricordi
particolari?
Ricordi molti. Io ho vissuto a San Marco quando ancora
il cucuzzolo del monte non era urbanizzato, non c’erano
ancora tutti quegli edifici e si correva per il verde delle
campagne, a rubare la frutta o a far ne delle nostre, a
picchiarci o scemenze come fumare delle liane. Parliamo
dei primi anni ‘80.
Amici di allora?
Gregor, Damian, Dimitri…con questi sono rimasto in
contatto e sempre quando torno a casa facciamo una
rimpatriata. Ma anche con altri, perchè a partire dalla
terza classe sono andato alla scuola di Capodistria.
Poi la famiglia si trasferisce a Pirano. E lì hai suonato
con l’orchestra a fiati.
Sì, suonavo il bombardino o corno tenore. Un gruppo
fantastico capitanato dall’allora presidente dell’orchestra
Radojkovič. Abbiamo fatto anche molte gare
internazionali.
Hai frequentato il Liceo »Antonio Sema« di Pirano,
dov’era preside tua madre. Era un bene avere la madre
come preside, o era più difficile?
Io direi che non ho avuto facilitazioni, semmai ho avuto
(interni miei) più problemi relazionati con i sensi di odio
profondo verso mia madre quando la vedevo fare da
preside.
Poi negli anni di studio vai a Siena. Come mai?
Ho fatto prima un’incursione a Trieste a Economia e
Commercio. E’ andata male, non era la mia vocazione. Poi
ho deciso di cambiare ambiente, avevo la passione della
biologia e della medicina. Scelsi scienze infermieristiche
e a Siena ho passato tra i migliori anni della mia vita
giovanile. In autonomia, in solitario nella Casa dello
studente di Siena. Un’esperienza bellissima che consiglio
a chiunque abbia la possibilità di mandare i propri figli a
studiare fuori.
E poi hai conosciuto degli studenti spagnoli.
All’ultimo anno conobbi un gruppo di spagnoli coi quali
uscivamo. Conobbi Marta, la mia odierna moglie e da
quel momento non ci siamo più separati.
Parliamo di Barcellona, città della Spagna, capoluogo
catalano. Come convivono queste due culture?
Fui piacevolmente sorpreso quando venni qui e vidi
come sono integrate queste due culture. E’ una cosa
interessantissima da vedere quando persone diverse
parlano in una conversazione uno il catalano l’altro il
castigliano e non c’è nessun problema.
Sono situazioni che per noi non sono nuove, no?
Certo. Anche se da noi, almeno questa era la mia
esperienza, se entrambi parlavano italiano si parlava in
italiano, se uno dei due parlava sloveno era più facile
passare alla sua lingua. In Istria capita anche di mescolare
i due idiomi, qua non mescolano.
Hai una figlia di due anni e mezzo. In che lingua le
parli.
Io le parlo in serbo, con non poche difficoltà. Ho deciso di
parlarle in serbo perchè abbia almeno un po’ di background
37
La città
di lingue slave.
E l’italiano lo imparerà?
L’italiano Lara lo parla già. Con la nonna parla italiano.
Con me e il nonno parla in serbo. Con la nonna materna
parla in castigliano e con sua madre parla catalano. Quindi
parla quattro lingue distinguendole perfettamente. E dice
anche qualche parola in inglese.
Di che cosa ti occupi a Barcellona?
Cominciai facendo di tutto, poi approfittai di quello che
era il miracolo spagnolo legato alla costruzione. Feci
un master di prevenzione sui rischi del lavoro. Poi ho
aggiunto alle mie competenze le norme ISO, mi occupo
di certificazioni per diverse ditte.
È impegnativo?
È impegnativo però ti da anche un grado di libertà perchè
puoi pianificarti le cose che hai da fare.
Hai definito la Spagna come un Balkan na Zapadu,
ossia Balcani d’Occidente. Perchè?
Perchè hanno parecchi elementi del carattere balcanico.
Fare le cose lentamente, il gusto di fare festa, vivace vita
sociale.
Se penso a Barcellona mi viene in mente innanzitutto
la Sagrada familia di Gaudì. Tu che ci vivi, vedi la città
con occhi diversi…
Barcellona secondo me ha bisogno di più di un giorno
per essere visitata. Se uno si cala nella dimensione storica
di quella che è stata l’evoluzione urbanistica e socioeconomica di questa città, può trovare delle piacevoli
sorprese. Barcellona fa un salto di qualità bestiale, a
cavallo tra il XIX e il XX secolo, con notevoli innovazioni
urbanistiche aportate dal piano urbanistico Ildefons Cerdà
38
e con il grande architetto dell’art noveau Antoni Gaudì che
incastona delle gemme fantastiche nel nucleo urbano. Ma
non c’è solo Barcellona: nei dintorni ci sono sia cittadine
sia posti con una bellezza naturale di rilievo.
Parliamo di cucina. Cosa ci puoi dire in merito?
La cucina è strepitosa. I dolci sono migliori da noi, ma
il loro prosciutto (il jamon) è il re, non ha rivali nel
mondo. Hanno piatti semplici ma buoni: uno, tipico della
Catalogna, è il pa am tumata, che vuol dire pane col
pomodoro. Prendono il pezzo di pane, lo spalmano con
un pomodoro tagliato a metà, un po’ d’olio e di sale. E’ un
elemento che accompagna i pasti e non manca mai sulle
tavole catalane.
Cosa ti piace della Spagna e cosa ti manca dell’Istria?
Dell’Istria mi manca tantissimo l’aria, la bora. Mi manca
quella sicurezza che ti da lo stare vicino alla tua famiglia,
ai tuoi amici. La Spagna è un paese molto accogliente,
dove si sta molto bene e ha tantissime cose positive che
non basterebbe un’ora per spiegarle tutte.
Non ti hanno mai fatto pesare il fatto di essere uno
straniero?
No, mai. Anche se è stato difficile far capire da dove
venivo. Specie quando la Slovenia non era ancora
entrata nella Comunità europea, sapevano qualcosa della
Jugoslavia, poi confondevano con la Slovacchia. Adesso
questo non succede. Tutti sanno dov’è la Slovenia.
Ti manca il dialetto?
Molto. Ma ogni tanto mi scappa qualche ‘nostra’
parolaccia.
Qualche consiglio per visitar la Spagna.
Ciodeve tempo. Merita andar al sud, nord, centro, i paesi
baschi, le Asturie, in Galizia. Xe posti belissimi, la gente
xe fantastica. E po’ andar a Madrid che xe una città
favolosa. E vegnir a Barcellona che ga una vita diurna e
notturna portentosa. Qualsiasi stagion va ben, perchè qua
no fa mai fredo, l’unica se i vien in estate fa abastanza
caldo.
Se uno che ti conosce viene a Barcellona, può
contattarti?
Ha l’obbligo di contattarmi, se no m’incavolo.
Un saluto a tutti quelli che mi conoscono, mi mancate
tantissimo.
La città
Sara Bičić, traduttrice al Parlamento europeo
Sara da quanto tempo sei in Lussemburgo?
Sono venuta nell’ottobre del 2005, dunque sono sei anni.
Di che cosa ti occupi?
Lavoro all’unità di lavoro slovena nel Parlamento europeo.
Gli uffici si trovano a Lussemburgo anche se il Parlamento
lavora per la maggior parte a Bruxelles. Faccio un po’
di traduzione, poi siccome ho studiato giurisprudenza mi
occupo della terminologia legale.
Traduci da che lingua?
Quando sono venuta qui traducevo dall’italiano e
dall’inglese. Poi ho aggiunto anche il francese.
Tra l’altro quali sono le lingue ufficiali in
Lussemburgo?
Il lussemburghese - che prima non sapevo nemmeno
esistesse - si parla molto francese e quasi tutti parlano
anche il tedesco.
Sei nata a Capodistria. Hai frequentato le scuole
italiane?
Sono andata solo all’asilo italiano, e quando i miei genitori
hanno constatato che non sapevo niente di sloveno hanno
pensato bene di mandarmi alle scuole slovene: l’elementare
“Pinko Tomažič”, il Ginnasio sloveno e Giurisprudenza a
Lubiana. Quand’ero piccola parlavo sempre in italiano e
devo dire che sono sempre rimasta in contatto con alcuni
miei compagni di asilo.
Col padre, il giornalista Eros Bičić, parlavi in lingua
o dialetto?
Sempre dialetto. Anche adesso con i parenti di Albona
parlo sempre istro-veneto.
Frequentando la scuola slovena, all’ora di italiano eri,
suppongo, la più brava…
Sì, però non ero l’unica a parlare italiano a casa. Sai com’è
da noi: non tutti quelli che parlano italiano frequentano le
scuole italiane.
Come ci sono tanti bambini di madrelingua slovena
che frequentano le scuole italiane.
Esatto. Penso anche che questo sia il bello di Capodistria
e delle nostre parti.
Perché hai scelto Giurisprudenza?
Un po’ per caso. Avevo i voti per andare dove volevo,
ma non avevo le idee chiare su dove proseguire. Mi sono
sempre piaciute le lingue, però pensavo che se studi
lingue poi devi andare a insegnare. Non ero certa di
voler far questo. Allora, con un po’ di fortuna, ho scelto
Giurisprudenza ed ho fatto la cosa giusta. Ho trovato un
lavoro che combina le due cose. Prima ho lavorato per tre
anni dall’avvocato Starman, dove ho imparato tantissimo.
Poi ho aderito a un bando per un posto di lavoro a
Lussemburgo e adesso sono qua.
A cosa bisogna adattarsi quando si va all’estero?
Prima di tutto la lingua. Ho dovuto imparare il francese
perché molti non comprendono l’inglese. Poi il modo di
vivere, i prezzi.
Raccontami una tua giornata tipo.
Se il Parlamento non è in sessione si viene in ufficio verso
le 9 e si lavora fino alle 17 o 18, a seconda di quanto si
ha da fare. Otto ore lavorative con un’ora in mezzo per il
pranzo. Se il Parlamento è in sessione si lavora in turni
a volte anche fino a mezzanotte. Ci sono dei testi che
arrivano a ora tarda dalle sessioni che bisogna tradurre in
tempi brevi.
Quanti siete nell’unità di traduttori in sloveno?
Trenta traduttori e altri venti tra assistenti e stagisti.
Ma non sarebbe più facile se gli eurodeputati
adottassero una sola lingua? Sai che risparmio…
Il fatto del multilinguismo è l’anima del Parlamento
europeo. Penso sia affascinante sentire i deputati che si
alzano prendendo la parola nella loro lingua. Già adesso
si fa ricorso a lingue franche come il francese e l’inglese,
però se non si usassero più le lingue dei Paesi si perderebbe,
39
La città
Il Parlamento europeo
secondo me, l’essenza del Parlamento europeo.
Lussemburgo, mezzo milione di abitanti. Come si
vive?
Lo standard è molto alto. Le paghe sono alte ma anche i
prezzi sono alti. Uno che lavora in banca può guadagnare
cinque-sei mila euro, ma poi paga due mila euro di affitto
o 500 mila euro un appartamento, un cocktail 15 euro. In
Svizzera, in Norvegia è la stessa cosa.
Però se viene in vacanza qui da noi se la passa bene.
Eh sì, questo sì.
Cosa ti manca dell’Istria?
Dirò una cosa banalissima, ma dico il mare. Non ho mai
sofferto il tempo, la pioggia…però adesso cosa darei per
un po’ più di sole e avere il mare vicino.
Quando ti chiedono di dove sei, cosa rispondi?
Dico Slovenia. Per chi non la conosce, cerco di spiegare.
Qualcuno ti ha mai chiesto come mai parli così bene
l’italiano?
Sì, specialmente i miei colleghi italiani ai quali spiego che
questa caratteristica vale per noi che viviamo vicino al
confine, specialmente per l’Istria.
Lussemburgo
40
La città
Nicola Klemenc, studia effetti speciali a Hollywood
Nicola, che fai di bello a Hollywood?
In questo momento mi trovo qui per un corso di effetti
speciali. Sono sponsorizzato da una borsa di studio offerta
dalla CRT, una fondazione bancaria del Piemonte. Sto
seguendo le lezioni, sono praticamente tutti i giorni a
scuola; lavoriamo tranquillamente tra le 10 e le 14 ore al
giorno.
Ti sarai fatto una passeggiata. Hai trovato qualche
spiaggia stile Baywatch?
Si, ho esplorato un po’ i dintorni. Sono andato a Santa
Monica, Venice beach, quindi ho avuto modo di vedere
di persona la spiaggia sabbiosa dove hanno girato
Baywatch.
Tuo padre Lean è produttore musicale e leader del
gruppo musicale Calegaria, tua mamma Bruna Alessio
è stata conduttrice a Radio Capodistria e oggi guida la
filodrammatica della CI di Capodistria. Quanto hanno
influito su di te?
A modo loro hanno influito tantissimo, anche se in realtà
non mi sarei mai aspettato di finire a lavorare nello stesso
campo della produzione multimediale. Ho iniziato i miei
studi nell’ambito della fisica, ho fatto prima ingegneria
fisica, poi alla fine sono passato a ingegneria del cinema e
poi mi sono ritrovato a Hollywood.
Come nasce la tua passione per i film?
L’ho scoperta nel corso dei miei studi universitari,
soprattutto negli ultimi due anni. Seguendo i corsi per
ottenere la laurea di Ingegneria del cinema ho scoperto un
po’ il mondo della produzione audiovisiva.
Che genere di film prediligi?
Mi piacciono i film che riescono a coniugare un alto
contenuto tecnologico con un significato che non si fermi
alla superficie. Mi rendo conto di non essere proprio nel
luogo ideale da questo punto di vista, visto che qui il
primo pensiero – quando si produce un film – è quanto
sarà il margine di guadagno.
Dove hai abitato a Capodistria?
Da bambino in centro, in una viuzza vicino al museo. Poi
ci siamo trasferiti a Semedella.
Hai frequentato la scuola elementare “Vergerio
il Vecchio” nei primi anni novanta, agli albori
dell’indipendenza della Slovenia. Che ricordi hai?
Sono ricordi abbastanza vaghi. Ricordo nitidamente
solo un episodio particolare, quando ci fu un allarme
aereo e non mi stavo rendendo bene conto di cosa
stesse succedendo. Passammo una giornata veramente
particolare. Per fortuna non successe niente. Comunque
nella mia adolescenza a Capodistria la vita trascorreva
abbastanza tranquilla. Passavo qualche pomeriggio con
i miei compagni di scuola. Sono ancora in contatto con
diversi compagni delle elementari.
Nico, come parlavate e parlate tra voi? Lingua, dialetto
o sloveno?
Tendenzialmente in italiano, poi ogni tanto si parlava
in sloveno, dipendeva dagli altri partecipanti alla
conversazione. Ci si adattava, spesso…
I primi due anni di scuola media li fai al Ginnasio
“Carli”.
Questo periodo ha rappresentato un cambiamento che poi
è stato accelerato dalla possibilità che mi è stata offerta di
studiare in Italia. E’ stato un periodo in cui stavo iniziando
a crescere. Certo il tutto avrebbe preso una piega diversa
se me non me ne fossi andato.
Infatti dopo due anni sei andato al Collegio del Mondo
unito di Duino.
Un’esperienza che personalmente vorrei potessero vivere
tutti, perché entrare in contatto con così tante persone da
tante parti diverse del mondo, in un’età giovane, permette
di sviluppare una certa visione.
Finito il Liceo uno va a lavorare o studia. Tu decidi di
iscriverti al Politecnico di Torino.
Mi sono trovato di fronte a una scelta difficile, da un lato
mi sentivo attratto dalla medicina, dall’altro l’ingegneria.
Alla fine ho scelto quest’ultima ed essendo il Politecnico
una delle scuole migliori in Italia, ho deciso di andare a
Torino. Anche per scoprire un po’ il mondo e vivere una
grande città.
Di che cosa ti sei occupato in particolare?
Nicola, con gli occhiali da sole, assieme a colleghi di
corso.
41
La città
Un’aula della Gnomon School of Visual Effects.
All’inizio ho seguito i corsi per ottenere la triennale
in Ingegneria fisica che si occupa principalmente di
microelettronica e di temi tecnologici abbastanza
avanzati. Poi, sapendo che i miei interessi non erano
strettamente legati a quel campo, decisi di cambiare e
passare a Ingegneria del cinema, quella che mi ha portato
in America.
Di Torino che mi dici?
Torino è una città particolare. I primi anni sono stati difficili,
anche per via del cambiamento che può rappresentare per
una persona che viene da un posto piccolo. Dopo qualche
anno però, a viverci, a conoscere un po’ i torinesi e a
scoprire i lati più nascosti di questa città, si crea una sorta
di legame che… potrebbe portarmi a ritornarci.
Che rapporto hai mantenuto invece con l’Istria, la
Slovenia?
Dei legami molto forti. Ci abita la mia famiglia e
rappresenta comunque le mie radici, anche se spesso mi
definisco italiano, poi dico che vengo dalla Slovenia. Molti
non capiscono questa mia natura duplice. Diciamo che
vive in me un certo lato dell’Istria, quella in cui convivono
culture diverse. Una cosa che non si dimentica.
Una volta laureato?
Di solito si inizia con uno stage. Ho cercato che cosa
offriva Torino e ho trovato il Festival View Conference
che si occupava, e si occupa tutt’ora, di computer grafica.
E ho fatto domanda per andare a fare un po’ di pratica
e vedere come funzionano questi eventi che vertono sul
mondo cinematografico e la tecnologia legata ad esso.
Ultima tappa in ordine di tempo…ma chissà quante te
ne aspettano ancora…Hollywood!
Il progetto si propone di mandare un numero variabile
tra i 70 e i 90 studenti laureati, ogni anno accademico, in
giro per il mondo. Quindi io sono solo uno dei fortunati
vincitori di questa borsa di studio. Nel mio caso specifico
la borsa includeva anche due mesi di corso alla Gnomon
school of visual effects, qui a Hollywood.
Due parole su questa scuola.
Diciamo che è una scuola particolare perchè rappresenta
una via di mezzo tra un vero studio di produzione e una
scuola di alta specializzazione nel campo della computer
grafica. Molti degli istruttori nei periodi dell’anno in cui
42
non insegnano contribuiscono a produrre i film che tutti
o gran parte di noi vanno a vedere al cinema. Quindi le
grandi produzioni di Hollywood vengono prodotte anche
da studenti di questa scuola.
Per cui lavorate sempre al computer?
Passiamo almeno una dozzina di ore seduti di fronte a
uno schermo. Abbiamo delle work-station professionali;
computer di potenza simile vengono utilizzati anche
negli studi di produzione. Interi sistemi possono venire a
costare anche decine di milioni di dollari.
Come trovi il loro modo di insegnare?
Si punta molto sulla conoscenza pratica e tecnica. Il livello
dell’istruzione è molto elevato, così come la conoscenza
dei professori che sono…iper-specializzati nel loro
campo. Questo lo posso dire per la scuola che frequento,
poi non so per le altre.
Quali opportunità si aprono per uno che finisce questo
corso?
Il vero problema è riuscire a farsi notare. Nel mondo della
computer grafica, come anche in quello della fotografia o
pittura – qualunque disciplina che implichi la produzione
di un contenuto - si valuta sul contenuto stesso.
Insomma oltre alla tecnica ci vuole anche creatività e
originalità…
Proprio così.
Passadi sei mesi in America cossa ti farà?
Devo veder un poco perché qua le occasioni vien e bisogna
cercar de coglierle. Go comunque tanta voia de tornar in
Europa.
La città
David Francesconi, dall’Accademia di Brera a Capodistria
David, hai vissuto 14 anni a Milano. Perché sei
tornato?
Capodistria mi ha dato una cosa che Milano non è riuscita
a darmi. Certi valori. Milano è una città che ha fretta, che
ha bisogno di correre. Capodistria invece mi ha dato dei
valori che riesco coltivare nuovamente con questo mio
ritorno.
Qual’è uno di questi valori?
Innanzitutto la dimensione umana della città. Milano
è una città umana che ruba la dimensione umana, per
gli spostamenti necessari per andare da casa al posto di
lavoro o semplicemente per incontrare degli amici. Questi
tempi vengono molto dilatati. Per cui resta poco tempo da
passare con le persone care.
Sei figlio di una voce storica di Radio Capodistria,
Rosa Lojk Francesconi, hai fatto l’elementare italiana
a Capodistria. Che ricordo hai di quel periodo?
La Radio era il mio parco giochi. Io ho passato buona
parte della mia infanzia girando tra questi studi con i
tecnici che sono stati un po’ i miei baby sitter. Ho anche
un bel ricordo della scuola. Vuoi per una questione legata
all’italianità, il numero degli alunni nelle classi era molto
esiguo, per cui gli insegnanti hanno avuto veramente la
possibilità di dedicarci più tempo e più attenzione.
Erano tempi in cui fra i banchi di scuola si parlava
ancora in dialetto.
Devo dire di sì. Difatti io, con il fatto che ho entrambi i
genitori di madrelingua italiana, ho fatto forse un po’ di
fatica a imparare lo sloveno perché con la nonna e con i
compagni di classe parlavo in dialetto e con i genitori in
lingua.
La nonna di Verteneglio, se non sbaglio.
La nonna di Verteneglio. E con la nonna si coltivavano
le sane tradizioni istriane. Ho imparato a fare gli gnocchi
all’età di dieci anni. Ho un ricordo molto vivo di questo
periodo e soprattutto molto bello.
Lo sloveno l’avrai imparato con i bambini in
strada…
Naturalmente. E questo è un altro grande pregio, che forse
uno trascura e poi comincia ad apprezzare nelle grandi
città: il poter abbandonare il proprio figlio davanti alla
porta di casa…che tanto sta lì e gioca coi bambini in
strada, mentre a Milano hai il terrore di lasciargli la mano
anche al supermercato. La mia infanzia è trascorsa in
mezzo a queste calli dove, assieme a tanti amici, appunto,
ho parlato dialetto e contemporaneamente ho migliorato
il mio sloveno.
Hai una sorella, Anna, che si trova Bruxelles e un
fratello maggiore, Piero, a Trieste.
Anna è a Bruxelles dopo aver vissuto per un periodo
a Udine e Roma. La spinta inerziale che ricevi con il
primo salto da casa verso un’altra destinazione, continua
poi nel tempo perché ti sposti in un’altra città che
però non necessariamente è quella definitiva. Diventa
semplicemente un porto di attracco.
Vale anche per te che sei tornato a Capodistria?
Non escludo di ripartire se dovesse capitarmi un’altra
possibilità che a questo punto però viene rielaborata su
una serie di altri valori, come può essere la famiglia.
Anche se, devo dire, son contento di essere di nuovo a
Capodistria e spero di poter fermarmi qui.
Hai frequentato il Liceo piranese.
Quella al Liceo “Sema” è stata un’esperienza fantastica.
Avevamo un rapporto unico coi professori che non ho mai
rivissuto in quel modo lì. Noi siamo stati la prima classe
della nuova sede di Portorose. Col passaggio abbiamo
trovato una scuola nuova, in perfette condizioni alla quale
abbiamo dato l’anima. Io sono portato per l’arte però
ho scelto un liceo scientifico per dire ‘Voglio imparare
bene questa cosa e poi metterla da parte’. Un insegnante
che ricordo in maniera particolare è il prof. Ravasi; era
uno che viveva l’insegnamento come una vocazione.
Lo ricordo intelligente e preparato, che aveva avuto la
possibilità di insegnare ad una cattedra universitaria e che
aveva rinunciato a questa possibilità per il contatto con i
ragazzi e per un insegnamento genuino e autentico. Io in
matematica sono stato sempre al limite della sufficienza,
però devo dire che l’insegnamento era il vero cuore
43
La città
L’Accademia di belle Arti di Brera.
delle sue lezioni. Il suo modo di fare lezione, la sua
comunicazione coi ragazzi era genuina e sincera.
Dopo Pirano decidi di iscriverti all’Accademia di Belle
Arti di Brera.
C’era la possibilità di fare l’Accademia a Venezia, però
Milano era più lontana, era una sfida. Venni rifiutato
il primo anno all’esame di ammissione. Mi faccio un
anno di scuola serale di disegno, più un’altra accademia
privata per prepararmi l’anno dopo a rifare l’esame di
ammissione al Brera. Andò bene e cominciai l’esperienza
in accademia con professori come Luciano Fabbro, artista
contemporaneo molto esigente perché oltre a farci studiare
pittura, disegno, esigeva da noi che conoscessimo anche
la filosofia. Perché diceva ‘Il pittore stolto fa poca strada.
Un’infarinatura di filosofia non vi farà mai male nella
vita”. La formazione al Brera aiuta ad aprire la mente.
Non dà però un indirizzo. Apre l’orizzonte ma non punta
su una meta. Una volta che uno fa il Brera ha veramente
un’altra mentalità, un altro modo di guardare alle cose.
Hai tutti gli strumenti per iniziare una professione come
quella dell’art director o del grafico pubblicitario, ma non
hai le capacità. E’ come un cuoco che ha la dispensa più
fornita del mondo, però non sa cucinare.
Quanto è durata per te l’accademia?
Lo studio è durato cinque anni, perché nell’ultimo anno
che ho preso per fare la tesi, in contemporanea ho deciso
di realizzare anche il mio desiderio professionale, ossia
lavorare nel mondo della pubblicità. Ho fatto uno stage
presso un’agenzia di pubblicità con due anni di gavetta,
non retribuiti. Coi lavori più banali: ritagliare i fogli per i
lay out, poi pian piano ti veniva dato il biglietto da visita,
poi la piccola brochure…insomma in questi anni ho
cambiato almeno cinque agenzie. Ho lavorato sui profumi,
nel ramo farmaceutico, sulla moda, nell’editoria, sono
stato responsabile per un paio d’anni della rivista d’arte
contemporanea ‘Tema celeste’.
Dopo 14 anni ti son tornà a Capodistria.
Fondamentalmente son andà a Milano con l’intenzion
un po’ de cambiar el mio mondo. Forsi no ghe go rivà,
e alora go dito ‘Se no rivo cambiar el mondo, almeno
voio cambiar el panorama’. Capodistria ga uno stupendo
panorama e volaria che fussi lo sfondo, el panorama de
fondo dela mia vita.
La rivista d’arte Tema celeste.
La Città è il periodico semestrale della Comunità degli Italiani Santorio Santorio di Capodistria. Viene
pubblicato nell’ambito dell’attività editoriale prevista dal programma culturale della Comunità autogestita della
nazionalità italiana di Capodistria cofinanziato dal Ministero per la Cultura della Repubblica di Slovenia e dal
Comune città di Capodistria, e con il contributo finanziario dell’Unione Italiana. Redattore responsabile: Alberto
Cernaz. Stampa: Pigraf s.r.l. Isola. Tiratura: 1.300 copie. Distribuzione gratuita a mezzo posta riservata ai soci
della Comunità. Indirizzo: Comunità degli italiani Santorio Santorio di Capodistria, Redazione de La Città, Via
Fronte di Liberazione 10, 6000 Koper-Capodistria (SLO). E-mail: [email protected]. Copertina: finestra di
Via Krelj. Retro: il coretto dell’asilo “Delfino blu” durante la spettacolo per scuole e asili organizzato in piazza
il 2 dicembre.
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La città
Immagini di famiglia. La cresima di Blandina Spadaro (1936)
Osservo una fotografia di gruppo,
al centro un bel quadrupede e due
bambine vestite di bianco. La più
piccola, con il velo sulla testa,
attira la mia attenzione. Cerco
di ricordare quello che mi aveva
detto mia madre, sì la bambina è
Blandina, mia cugina. Chiederò a
lei, che ora vive a Trieste, ciò che
ricorda di quel giorno. Riporto le
parole che mi ha scritto, con il suo
stile conciso (è stata impiegata sia
a Palazzo Tarsia sia al Comune di
Capodistria).
“Questa foto è stata scattata in
occasione della Santa Cresima
di Blandina Spadaro nel lontano
giugno 1936 nella corte interna della
casa della signora Luigia Decarli,
madre di due frati cappuccini, in via
dell’Annunziata. Con la cresimante
si vede la santola Luigia che tiene
le redini del suo “mussetto”. La
nonna materna Anna chiamata
“nonna Giorgia”, la mamma, la zia,
il nonno Giorgio Ponis, 2 famigli e
la cugina Argia. La Cresima è stata
impartita dal vescovo di Trieste e
Capodistria, Sua Eccellenza Fogar.
Al pomeriggio la cresimante si
è recata al seminario per recitare
davanti al vescovo una poesia
inerente alla fede, si è conclusa
così una giornata emozionante e
religiosa.”
Grazie Blandina per aver riportato in
superficie i ricordi di una bambina
di 9 anni. Figlia di una sorella
di mio padre, zia Giorgina, che
faceva la bidella, (rimasta vedova
giovanissima, con due bambini,
l’anno precedente) alle Scuole, in
via Carlo Combi di fronte a Palazzo
Baseggio (oggi Via S. Krelj) qui a
Capodistria.
Graziella Ponis Sodnikar
Da sinistra, l’anziana signora con lo scialle è mia nonna Anna Busan (vedova Ponis). Seguono Giorgina Spadaro
(sua figlia e sorella del papà Guido), Iolanda Vergerio (sorella di Giorgina), Giorgio Ponis (il nonno, marito di
nonna Anna), vicino al muro un fameio con la moglie. La signora che tiene le redini del mus è Luigia Decarli (Gigia
Carlona) santola di cresima di Blandina Spadaro (figlia di Giorgina). L’ultima ragazza a destra, col vestito bianco è
Argi Vergerio. La foto è stata scattata nel 1936 nella corte dei Carloni in Via dell’Annunziata (oggi Via Marušič).
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La città
“Letere dal Siam”
Bangkok, 17 Otobre 2011
Alsazia, viaggio nel centro d’Europa
Caro Alberto,
prima de tornar al caldo del Siam son passà, sto ano, per quel che xe comunemente considerà el “centro” de Europa.
De no confonder con la Mitteleuropa che questa ultima xe el “centro geografico” d’Europa mentre la region che go
pena visità, la xe un poco s’centrada rispeto al centro geografico, ma xe el centro, amministrativo e “storico” de la
Unione Europea che, a chi piase e a chi no, fassemo parte integrante. Varé za capì, anca sensa leger el titolo, che
se trata de l’Alsazia, una strana region con tante afinità con le varie zone de confin che go visità per el mondo in sti
ultimi ani, ma anca con carateristiche diverse da dute le altre che, almeno secondo la prima impression che ven dada
al foresto che riva, in parte le me ga stupì e in parte le ga confermà quel che ‘vevo za indovinà in viagi precedenti,
quando ancora el problema de le zone miste, no jera un dei miei obietivi predominanti.
La prima volta son sta nel ’54 quando
ancora la bufera de la guera mondial
no la jera ancora stada digerida, po’
son tornà nel ’62 e l’impression xe
stada za sai diversa, po’ altre sirca
3 o 4 altre volte, sia subito prima
che subito dopo la costitussion de
l’Unione Europea. Sta volta xe stada
invesse una “full immersion” come
che xe de moda ciamarla ‘desso, che
ga completà le impressioni dei ani
passai.
La prima roba che ne colpissi, co’
se entra in Alsazia (almeno per noi),
xe la completa assenza de scrite
bilingui: i nome dei paesi rivela, duti
o squasi, origini tedesche patoche,
ma po’ i xe stai francesizai; i nomi de
fameja, almeno restando a quei che se
vedi su le insegne de le boteghe, xe
completamente tedeschi o de origine
tedesca ma, per el resto, dute le
indicazioni xe scrite in francese e solo
in francese e anche girando per cità, ti
senti parlar noma che francese.
Po’ gratando e gratando, ti vedi che
no xe proprio cussì. Ti va nei paesi
e ti senti parlar un dialeto alsazian,
de ciara fameja tedesca, la scrite
sule lapidi antiche, le xe in tedesco,
qualchiduna perfin scrita in caratteri
gotici, ma le tabele ufficiali, anche nei
L’afolatissima via dele boteghe a Mulhouse
(a le 10 de matina de un giorno qualsiasi de lavor).
46
paesi, le resta dute francesi e basta.
La region ga subì un no indiferente
sforzo de francesisazion, ben riuscì
d’altra parte, se se pensa che la gente
se senti più francese che tedesca,
nonostante le origini, nonostante che
le usanze e i costumi, evidenti anche
ne la culinaria, le sia rimaste atacade
a le origini tedesche.
I ga dele fantastiche vigne, dove
ven prodote le più note qualità de
vin, specialmente bianchi (Riesling,
Gewürztraminer, el Pinot grigio, che
saria el vecio Tocaj, el Muscat e altri
famosissimi) ma, paradossalmente,
xe la region francese che produsi e
consuma più bira. Un dei piati più
caratteristici dell’Alsazia xe un piato
de evidente origini tedesche composto,
per la magior parte, de capuzi garbi e
porzina, che se ga difuso in duta la
Francia (se lo trova anche in tante
bancarele de Parigi) con un nome
francese, la Choucroute, che noi
ciamaressimo “capussi garbi”, dato
che chou in francese xe el capusso e
croute saria “crosta” ma pol passar
anca per garbo (in alsazian se ciama
apunto Sürkrüt - cavolo acido, garbo)
e che i ristoranti francesi reclamiza
con la frase “choucroute chaude à
toute heure” (capussi garbi caldi,
sempre pronti). La ven servida con le
patate.
A proposito, le patate in tedesco se
ciama Kartoffeln o Erdäpfeln (che
saria pomi de terra), in francese se ghe
disi “pommes de terre”, appunto pomi
La città
de terra e in alsazian?? Grumbiiri. Ve
disi qualcossa?
Ghe xe anche e se imponi, per la sua
importansa in campo enogastronomico
e turistico, anche la “strada del vino”
che se slunga per oltre 170 km da sud
verso nord (nel senso percorso de
mi), parallela alla cadena dei Vosgi.
Xe dele vigne curade al massimo
che se apogia a le prime pendici dei
Vosgi (una cadena de montagne che
cori paralela al Reno), per ciapar
duto el sol possibile, con i filari assai
vicini, uno all’altro, che no permeti
la raccolta a macchina. La vendemia
quindi se fa ancora e esclusivamente
a man. E lungo la strada xe duto un
susseguirse de villaggi, forse mejo
ciamarli cittadine, da le carateristiche
case a graticio. Qualchidun de questi
vilagi ga più curà el lato turistico,
con i centri rigorosamente a trafico
limitado, mentre altri se ga più butà sul
lato comerciale. Ma xe duti belissimi
e i merita, da soli, un viagio. Nel
periodo natalizio i sfruta la situazion
con i lori mercatini de Nadal (anche
quei, de ispirasion tedesca), come
se li trova in Alto-Adige e in duta
l’Austria e i turisti riva anca in quei
periodi che noi ciamemo “stagion
morta”, ma che morta, per lori, no
xe.
Oviamente l’Alsazia no ga solo de
presentar atrative gastronomiche. I
sportivi de una volta, specialmente
i tifosi de la bicicleta, ricordarà
el “Ballon d’Alsace”, una salita
terribile, che spesso xe stada inclusa
nel Tour de France. E questo “passo”
cussì dificile de afrontar, traversava
apunto i Vosgi.
Ma no xe che in Alsazia sia duto rico
de bei ricordi. Ricordemo che lungo
i Vosgi, coreva la famosa “linea
Maginot”, che i Francesi decantava
come un sbaramento insuperabile
in caso de ataco tedesco prima de la
seconda guera mondial e che invesse,
nonostante i sforzi de ingegneri e i
salassi alle casse dello stato, no ga
servì a gnente. Quando i tedeschi ga
atacà la Francia, i ga semplicemente
ignorà la “Maginot” e i la ga agirada,
passando dal Belgio e ciapandola,
dopo, a le spale.
Xe stada una beffa terribile per lo
stato maggior francese.
De più, quela zona xe stada, disemo,
la residenza per un per de ani, anche
se assolutamente non gradita, de
un scritor che duti noi conossemo.
Triestin, de lingua slovena, famoso per
gaver scrito un interessantissimo libro
su questo suo “sogiorno”. Se trata de
Boris Pahor e el libro xe “Necropoli”.
El jera sta internà, dai tedeschi ne
l’unico campo de lavoro coatto, che
se trovava in Francia (dixi i Francesi
ma, secondo i tedeschi, la jera tedesca,
dato che in quel periodo - 1940/44 l’Alsazia, insieme con la Lorena, la
jera stada anessa al Reich tedesco),
cioè nel lager de Natzweiler-Struthof,
come lo ga ciamà i Americani, dopo
la liberasion, ma Le Struthof, per i
Francesi, Natzweiler per i Tedeschi
e Natzwiller, in francese ufficiale
attuale, che se trova a una sinquantina
de chilometri de Strasburgo. Apunto
sui Vosgi, da dove vigniva tirado fora
un granito rosato, bellissima piera de
costrusion, ‘doperada anche nei tempi
lontani per gran parte de le ciese e dei
palassi alsaziani (compresa la famosa
Catedral de Strasburgo), e i prigionieri
i jera usadi proprio per l’estrassion de
quela piera da quele cave. E le piere,
le ghe piaxeva tanto ai nazisti che i
voleva ‘doperarle per la costrusion de
edifici a Norimberga, che jera la città
preferida da Hitler.
Cussì, parlando del più e del meno,
de robe bele e de robe tristi, vemo cità
due passagi dell’Alsazia da Francia
a Germania e viceversa, in pochi
ani. Ma l’aventura internazionale de
la region ‘veva scominsià, circa 11
secoli prima.
All’epoca de Carlo Magno che ga
diviso el suo enorme impero, erede
dell’impero roman, fra i tre suoi
fioi e ga assegnà la parte centrale
dell’Europa al fio Ludovico che in
pratica ga messo le fondamenta de
quel che saria po’ diventà l’Impero
Germanico. E l’Alsazia jera fra
questi teritori, e ga scominsià,
cussì, a far parte del futuro Impero
Germanico. Certamente a quell’epoca
no se fasseva distinsioni fra etnie e
i sudditi scominsiava a parlar, per
convenienza, o per obligo, la lingua
che parlava el loro Signor. In più
l’Alsazia jera allora abitada da genti
alemanne (no per gnente i Francesi
ciama la Germania, Allemagne),
de stirpe tedesca, arivade tre secoli
prima e affini alle tribu che più tardi
varia costituì la Svizzera Tedesca.
Tipiche case a graticio, alsaziane, nella piassa principal de Kaysersberg,
la citadina del dr. Schweitzer
47
La città
De conseguensa no podemo che
assegnar l’Alsazia de quel periodo
alla “cultura tedesca”.
Parti de là el fato che squasi duti
i nomi de località dell’Alsazia ga
origini tedesche, dalle grandi città
come Strasburgo (Strassen Burg =
città delle strade, dove se incrociava
le strade), a Mulhouse (Mülhausen =
le case del mulino, per el fato che sto
borgo xe sta fondà atorno a un mulin
dove la mulinera, come che dixi la
legenda, ga fato tanti fioi con un soldà
sbandà de passaggio, tanti da formar
una città), ai piccoli paesi che ga
tantissimi nomi che finissi in –heim (in
tedesco, casa, residenza) o –berg (che
in tedesco vol dir monte) e proprio
in uno de questi ultimi, Kaysersberg
(monte dell’imperatore) xe nato un
grande omo de pase, un certo Albert
Schweitzer (altro nome puramente
tedesco – vol dir “svizzero”), un omo
che ga sacrificà duta la vita ai maladi
in Africa, dove che al ga fondà a
Lambaréné, nell’Africa Equatorale,
(dove che al xe morto nel 1965, a
90 ani) un ospedal particolarmente
dedicato a la cura de la malaria.
Tipiche l’esperienze de sto grande
omo, che xe finì in una preson
francese, perché tedesco e in una
preson tedesca, perché francese
(questa ultima notizia dela preson
tedesca, la go sentida sul posto, ma no
go conferma). Ma po’ duti d’acordo
de assegnarghe el premio Nobel per
la paxe.
Kaysersberg xe un villaggio
fantastico, con le sue case a graticcio,
tipiche della cultura alsaziana, con
i tetti a grandi spioventi per la neve
che casca abondante de inverno, e
le fontane che no serviva tanto per
l’acqua, quanto per el vin. No che el
vin vignissi fora de le fontane (adesso
in qualche ocasion, per i turisti, i fa
anca questo); le fontane serviva per
misurar la quantità de vin che se
trovava ne le boti. I meteva la bote
piena ne la fontana, l’acqua che
vigniva fora de la fontana, la colava
in un recipiente graduado e dava la
misura del peso del vin contenudo ne
la botte.
Questo dimostra che el vin ga fato
sempre parte de la cultura locale,
podemo dir fin dall’epoca dei Romani
che ga introdoto la cultura de la vide
anche oltre le Alpi.
Me son dilungà un poco su
Kaysersberg, perché xe un paese
famoso, sia per el Dr. Schweitzer, sia
per le sue bellezze, ma de duti i paesi
saria de contar qualcossa, ognidun xe
in un certo senso simile ai altri, ma
La strada più centrale de Colmar con le tipiche case con le altane,
come a Capodistria, zo pel porto.
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duti ga caratteristiche diverse che li
differenzia un de l’altro. Come ‘vevo
za acenà in precedenza, el turismo
xe sviluppatissimo e i fa de duto per
valorizzar quel che i ga, anche se, in
qualche posto, xe poco. De pensar che
in un paesin de questi, anca abastansa
picio, fra l’altro, se trova ‘diritura 5
musei. In duti sti vilagi, xe vietado
o limitado l’accesso alle machine e
allora, fora dell’abitato se trova grandi
parcheggi, munidi de duti i servizi,
oviamente anche quei igienici e alora,
nonostante la tanta gente che ven, sia
in machina privata che in pullman,
el trafico xe quasi inesistente, se pol
passeggiar tranquilamente, sentarse
sui ristoranti o caffè all’aperto, sensa
esser amorbai dai gas de scarico.
Dixemo che xe località vivibilissime
e vignude su a misura de l’omo e no
de la machina.
Ma questo che ‘vemo dito, no val solo
per i paesi, anca le cità più grandi, el
pedon trova una situasion privilegiada.
Grandi parcheggi s’centrai e una rede
de tram e autobus, de far invidia a duti
noi. I tram cori in sedi separate, per
cui no i ven mai intralciadi dal trafico
e el spostamento risulta comodo e
veloce. Le fermate ga i marciapiedi
sopraelevai e, alora per montar in
tram no ti devi far scalini, comodo
anca per i veci e handicapai. Ricordo
in particolare a Mulhouse, verso le 10
de matina, de giorno de lavor, poca
gente per le strade, machine rarissime,
pareva squasi de sognar e de esser in
un altro mondo
Ma continuemo con la storia de
l’Alsazia dopo la division de l’Impero
de Carlo Magno. La gavemo lassada
soto el regno de Ludovico (ciamà
apunto el germanico), fio de Carlo
e con lui e i suoi discendenti, la xe
restada per tanti ani, magari solo
formalmente, perché in efeti l’Alsazia
no ga mai vudo una sua unità politica
precisa. Quei che di fato comandava
in Alsazia xe stada duta una serie de
“signori”, completamente autonomi
dall’Impero central (i xe stadi anca
per un certo periodo sotto el dominio
dei Asburgo, fin al 1648) anca
La città
se, ufficialmente, sempre sotto la
“protezione” de l’Imperador.
Xe sta solo dopo la “guerra dei
trent’anni”, provocada da la Riforma
protestante e la conseguente guera fra
i “catolici” francesi e i “protestanti
tedeschi”, e a la relativa sconfita dei
Imperiali, che l’Alsazia xe passada
soto lo stato francese (1648 – pace de
Westfalia), anche se non in maniera
totale. Xe sta solo soto Luigi XIV
che la Francia xe entrada in possesso,
non solo formale, de duta l’Alsazia
(1681).
Ma con questo no vol dir che la
Germania gavessi definitivamente
rinuncià al suo possesso e con la
guera franco-prussiana del 1870
(sconfita de Napoleone III e fine
definitiva dell’Impero Napoleonico),
la Germania (ancora Prussia in quela
volta) la se la jera ripresa, ma solo
per una sinquantina de ani, cioè fin
a la fine dela prima guera mondiale,
quando la sconfita dei Imperi
centrali (Austria e Germania) ga bu
per conseguensa el ripassagio de
l’Alsazia, da la Germania a la Francia.
Ancora gnente de definitivo: infati
con l’inizio dela II guera mondiale,
l’avansada tedesca in Francia (1940)
e la resa sensa condissioni de questa,
ga bu per conseguensa, el passagio
de l’Alsazia ancora una volta soto
la Germania (1940), fin a la fine de
la guera, che qua xe finì con la fine
de la ocupassion hitleriana e cioè nel
1944 (ti trovi lapidi tacade su duti
i municipi, che ricorda l’arivo del
general de Gaulle, rivado qua a liberar
(o ocupar, secondo le idee de chi che
parla), e riunir “definitivamente” (fin
a quando?) l’Alsazia a la Francia.
Insoma pezo de Capodistria!
In sti ultimi ani me son ocupà
spesso de problemi de zone bilingui,
multietniche, de problemi insoma
che veva a che far con la missiansa
de genti, lingue e culture, in generale.
Ma, al mondo, no semo duti
compagni e quel che per qualchidun
xe sta, e continua a esser, un trauma
no indiferente, per altri xe sta un
vantagio e no de poco conto. Podemo
dir che proprio questa situassion,
ga portà l’Alsazia e Strasburgo in
particolar, a esser una delle regioni
più fortunade d’Europa. Ovviamente
per una insieme de concause, ma che
la gente del posto ga savesto ciapar
al volo e sfrutarle per ben, mentre
per qualchidun altro questa simile
situassion xe stada causa de scontri e
de problemi de varia natura.
Questa missiansa de costumi e de
culture, ma anca la speransa de
risolver i problemi comuni a le
altre zone similari, xe sta quela che
ga ispirà, oltre una sessantina de
anni fa, i politici dei do paesi più
interessai, Germania e Francia,
apogiai da Lussemburgo e Belgio, a
formar la prima comunità europea.
Qualchidun se la ricorda ancora?
Se ciamava la CECA (Comunità
Europea del Carbone e dell’Acciaio).
La xe stada formada per meter in
comune la produzioni de queste due
materie prime che, a quei tempi, jera
la base dell’industria. No per gnente
l’ideatore de questa comunità xe
sta un ministro degli esteri francese
(Schumann) che ‘veva un nome
tipicamente tedesco. Lu po’ a jera nato
in Lussemburgo da un pare lorenese
(la Lorena xe in una situazione simile
a quela alsaziana e confina apunto
con l’Alsazia) nato in Francia, ma de
citadinanza e lingua tedesca, e da una
mare lussemburghese. Cossa mejo de
Un tipico quartier vecio de Strasburgo con le case che jera le sedi de le
varie corporasioni dei artigiani (la petite France).
49
La città
cussì? Un bastardon squasi come mi. A
la facia de la “razza pura”! Xe proprio
sto omo che, ispirà da la situazione
del suo paese e de la concomitante
presenza ne la zona delle due materie
prime, ga pensà e ga messo in atto,
questa prima comunità internazionale.
Se ga unì anca l’Olanda perché la jera
in comunità doganale col Belgio e el
Lussemburgo (ricordé el Benelux??)
e furbescamente anca l’Italia che con
quela zona poco veva de spartir, ma
che quela volta, per fortuna, la veva
come primo Ministro un ex austriaco
lungimirante, De Gasperi, che xe
riuscì a entrare ne la comunità, anche
se in modo poco ovvio, e diventar
quindi un dei padri dela Comunità
Europea.
E grazie proprio a questa missiansa,
Strasburgo, in Francia ma quasi su
le sponde del Reno che la dividi da
la Germania, quasi come simbolo
dell’unione dei popoli, xe diventada
sede del Parlamento Europeo e de
altre istituzioni comunitarie. Jera
za una bela cità, quando la go vista
le prime volte, ma ogi xe duta de
amirar. Neta, ordinada, con palassi
antichi e modernissimi ispirai dai
magiori architeti. Piano regolator
aveniristico, vivibilissima con dute
le atrezature che l’omo moderno
desidera, strade comode e con poco
traffico. Facilità de spostamenti. Ga
savù sfrutar ben la montagna de soldi
che, proprio perché capital europea
(sia pur in condominio), duti noi
gavemo mandà.
No parlo del viagio de ritorno,
perché saria avvilente, per noi. Mejo
fermarse là, almeno col pensier.
Ma, per ultimo volaria ricordar un
monumento de Strasburgo, visto in
mezo a la bellissima e enorme piassa
de la Repubblica.
Dopo la guerra franco-prussiana
del 1870 e la sconfitta francese de
Napoleone III, l’Alsazia jera tornada
tedesca e i Tedeschi voleva far de
Strasburgo la capitale del quel Land.
Questa piassa doveva diventar el
centro aministrativo e politico de la
città e la xe circondada de palazzi,
belissimi, duti in stile tedesco,
apunto. Ben, adesso xe Francia, la
piassa fata dai Tedeschi e nel mezo
de la piassa i Alsaziani i ga messo
un monumento ai caduti, opera del
scultor Driver, che par el sunto de
duta la storia che ‘vemo contà. In
quela guera, che veva diviso anca le
fameje, qualchidun combateva per la
Francia, qualche altro per i Tedeschi
(prima Prussia e po’ Germania) e el
scultor al ga volesto rapresentar una
mare, con do fioi morti, in brazo,
un morto per la Francia e un per la
Germania. Li ga rapresentai nudi,
apunto per evitar de vestirli con una
divisa, che varia rapresentà l’ultima
drammatica divisione per el cuor de
quela mare.
Lucio Nalesini
La catedral de Strasburgo
(no se riva de nissuna parte ciapar duta la faciata)
50
Se qualchiudun ghe interessa, me
pol contatar per posta eletronica a
[email protected]
La città
Freschi di stampa
Cesarsko-Kraljevo možko učiteljišče v Kopru 1875-1909. Slovenski oddelek
L’Imperial Regio Istituto Magistrale di Capodistria
venne istituito nel 1872 e operò fino al 1909. In questa
scuola quadriennale che aveva sede dove oggi si trova
il Ginnasio sloveno in Via Cankar, si insegnava in ben
quattro lingue: italiano, sloveno, croato e tedesco. Un
libro, edito dall’Archivio regionale, con testi in sloveno e
brevi riassunti in italiano e inglese, fa luce su quella che
fu la sezione slovena. Un gruppo di autori, coordinati da
Mirjana Kontestabile Rovis e Jasna Čebron, ha presentato
professori e allievi che hanno dato lustro all’istituto; dai
linguisti Ivan Koštial e Ferdo Kleinmeyr, ai letterati Josip
Ribičič e Vladimir Nazor, dal compositore Srečko Kumar,
al fisico Josip Belušić inventore del »velocimetro«, al
pittore Saša Šantel e via dicendo. La scuola accoglieva
allievi da tutto il Litorale austriaco, ossia da un’area che
va da Plezzo (Bovec) a Pola. Dei 47 allievi sloveni iscritti
alle Magistrali di Capodistria nel 1880, 21 provenivano
dall’area di Gorizia, 8 dall’Alto isontino, 7 da Sesana
(Sežana), 6 da Trieste, 3 da Capodistria e 2 da Gradisca.
La sezione croata dell’Istituto venne trasferita nel 1906
a Castua (Kastav), quella slovena invece nel 1909 a
Gorizia. La sezione italiana rimase in attività fino al 1923.
Di quest’ultima, in cui tra l’altro insegnò educazione
artistica il pittore capodistriano Bortolo Gianelli, finora
è stato scritto poco. L’Archivio regionale ne conserva
numerosi documenti inediti.
L’orchestra degli allievi sloveni dell’Istituto magistrale
nel 1906. In piedi l’insegnante di musica Ivan
Sprachman, dietro di lui in abito bianco Srečko Kumar
di Kojsko, che nel 1948 costituirà la Scuola di musica di
Capodistria.
I libri di Elena Spacamonti
Elena Spacamonti (1964) è nata a Trieste da genitori
capodistriani. Spacamonti è il cognome che ha scelto
per firmare i suoi libri, ma in realtà si tratta del soprannome della sua famiglia, gli Schipizza. Affetta
da un male incurabile è scomparsa a
quarant’anni, Elena ha raccontato
nei suoi libri la
sua storia di donna affetta da una
rara malattia e le
vicende della sua
famiglia esodata
da Capodistria. In
»Caro Scricciolo« (Mauro Baschirotto – Vicen-
za, 2002) parla della sua esperienza di vita e vuole fungere da sprone per tante altre delle circa 250
mila donne malate di Lam nel mondo. Nel 2008 ha
presentato «Come onde del mare» (SBC edizioni),
che ripercorre le
vicende dell’esodo. In copertina
uno scorcio di
San Pieri, la casa
veneta che oggi
ospita il Museo
etnologico. Nel
2009 è uscito il
terzo libro di Elena Spacamonti dal
titolo »Un sogno
da infrangere«
(Editore Oppure).
51
La città
Repertorio italiano di corrispondenza
alle voci dialettali capodistriane
Tratto dall’appendice al Dizionario storico fraseologico
etimologico del dialetto di Capodistria di Giulio Manzini
S
Sabato – sabo
Sabbia – sabion
Sacca – bàlego; (della rete) cogòl, (di retino con manico)
volega
Sacchetto – scartosso; bàlego
Sacello – capitel
Sagrestano – sagrestan, nonsolo, zago
Saetta – saieta
Saggina (veg.) – sorgo
Sagomare – carenar
Sagrato – sagrà
Salice – seleghèr, venchèr
Salire – andar su, montar
Salita – rato in su, (se lastricata) grisa
Saliva – spudacia
Salma – cadavero
Salmastro – salmastrin
Salpare – salpar (v. trans.); molarse
Salsiccia – luganega
Salso – salà
Saltellare – saltussàr
Saltello – saltìn
Saltimbanco – paiàsso
Saltuariamente – calche volta
Salubre – san
Salvadanaio – musìna
Salvare – salvar, meter via
Sancire – stabilir
Sangue – sangue, (la) sangue
Sanguigno (colore) – rosso rovàn
Sanguisuga – sangueta
Santonina (veg.) – santònego
Sapere – saver
Sapore – savor, gusto
Saporito – gustoso, bon
Saputello – bardassòn
Saraceno (grano) – saresìn
Sarago fasciato (pesce) – sparo
Sarago pizzuto (pesce) – spìsso
Sardina (pesce) – sardela
Sartia (mar.) – sarcia, (mobile) pateràsso
Sarto – sartor, sarto (el) sarte
Sasso – piera, (liscio) bobolo
Satira – remenada
Sauro (pesce) – suro
Sazietà – sgiònfa, sgnònfa
Sbadiglio – sbadejo
Sbagliare – sbaiar, falar
Sbaglio – sbaio, falo, capela
Sbarcare – desbarcar
Sbattere – sbater; smacàr, sgnacàr
52
Sbavare – sbavassàr
Sberla – sberla, stramusòn
Sbieco – sbiego
Sbirciare – cucar
Sbornia – bala, ciuca, pionba
Sbottare – s’ciopar, sfogarse
Sbottonare – desbotonar
Sbozzare – sgrezar
Sbriciolare – sfregolar
Sbrigare – distrigar
Sbucare – capitar fora; spupàr
Sbucciare – spelàr
Sbucciatura – russòn, speladura
Scabro – ruspedo, rùspio
Scacciare – cassàr via
Scagliare – tirar, butar
Scala – scala, (mar.) grisèla
Scalfire – sfrisàr, sgrafàr, russàr
Scalogno (veg.) – scalogna
Scalpellare – scarpelàr
Scaltrezza – furbissia
Scaltro – furbo, bergnifo, navigà
Scalzarsi – descalsarse, cavarse le scarpe
Scalzo – descalso
Scanno – banco, scagno
Scansare – schivar
Scapaccione – scopasson
Scapestrato – barcastranba
Scappatella – scapussàda
Scappellotto – scopeloto
Scarabeo – torciòn
Scarabocchiare – scrabociàr
Scarafaggio – bàcolo
Scaraventare – smacàr
Scarpata – corona, coronasso, coronar, rivasso
Scarrocciare (mar.) – tratanàr
Scarrozzare – sdrondenàrse
Scassare – romper, spacar, rovinar
Scaturire – nasser
Scamare – calàr
Scheggia – sgènsa
Scheggiare – schincar
Schiacciapatate – strucapatate
Schiacciare – mastrussàr, fracagnàr
Schiaffeggiare – s’ciafisàr, sberlotàr
Schiaffo – s’ciafa, papìn
Schiera – clapa, brigada
Schietto – s’ceto
Schiuma – spiuma
Sciacallo – spoianegài
Sciacquare – resentàr
La città
Sciacquato – resentà, slavassà
Scialuppa – caìcio
Sciame – ciapo
Scintilla – falisca
Scintillante – lustro
Scintillare – lusìr, slusegàr
Sciocchezza – senpiesso, monada
Sciogliere – disligar, molar; desfar, squaiar
Scivolare – sbrissàr
Scivolata – sbrissada
Scocciare – secàr
Scodella – scudela; fondìna
Scolapiatti – coladòr
Scolorire – smarìr
Scombinato – sbalà, fora de squara
Sconquassato – roto, a remengo
Sconquasso – squaquaciò, sbrataverun
Sconvolgimento – rebalton, (di stomaco) missiamento
Scoppiettare – s’ciocar, s’ciochetar
Scoppio – s’cioco, tiro
Scoprire – trovar
Scorciatoia – scurtariola, curta
Scordare – dismentegar
Scorfano (pesce) – scarpena
Scorgere – veder, lumàr
Scorpacciata – magnada
Scorpione – scarpiòn
Scossa – scorlàda, scorlòn
Scottare – sbrovàr
Scottatura – sbrovada, (da sole) solana
Scricchiolare – cricolàr
Scricciolo (ucc.) – scrìch, saltafossi
Scure – manèra
Se (cong. pron.) – si, se
Sebbene – sibèn
Seccare – secàr, sugàr
Secchia – secio, buiol, stagnaco
Secco – suto
Sedano (veg.) – seleno
Sedia – carega
Sega – sega, siega
Segare – segar, siegar
Seggiolino – caregheta
Seggiolone – caregon
Segnalare – mostrar
Segnale (mar.) – garofolin
Segreto – secreto
Seguire – andar drio
Seguitare – andar ‘vanti
Selciare – salisàr
Selciato – salìso
Sellaio – selèr
Selvatico – salvadego
Sembrare – parer
Seme – semensa
Seminare – semenar, (ant.) serìr
Semolino – gries
Seno – sen; teta
Sensibile – dilicato
Sentiero – troso, cavìn
Sentinella – vardia
Sentire – sintìr
Senza – sensa
Seppia – sepa
Seppiola – zòtolo
Serbare – salvar, meter via
Seriamente – da sèno
Serie – fila, sfìlsa
Serpe – bissa
Serra – conserva
Servile – licacùl
Setacciare – tamisàr
Setaccio – tamiso, crièl, carièl
Settentrione – tramontana
Settore – parte, toco
Sfamare – dar de magnar
Sfasciato – molà, desfasà; in tochi
Sfera – bala
Sferruzzare – (a maglia) guciar
Sferza – scuria
Sfibrato – scunì, sbasì, (del legno) saboì, disnonbolà
Sfinirsi – scunirse, descunirse
Sfociare – sbocar, sbucar
Sfoggiare – far mostra, bater mafia
Sfoltire – s’ciarir
Sformare (-rsi) – inberlar(se)
Sfortunato – inpegolà
Sfuggire – scanpar
Sfuriata – sigada
Sgambata – scampinada, sganbetada
Sgarbato – rustego, vilan, sensa sesto
Sgobbare – sgobar, travaiar
Sgocciolare – iossàr
Sgombro (pesce) – sconbro, lansardo
Sgonfiare – fiati
Sgonfio – fiapo
Sgorgare – butar, sbocar, corer
Sgottare (mar.) – secar
Sgradevole – bruto, cativo
Sgrovigliare – distrigar, disgaiar
Sguaiato – sproto, bardassòn
Sgualcire – mastrussar
Sguinzagliare – molar
Sibilare – fis’ciar
Siccità – sicùra
Siepe – graia
Sigaretta – spagnoleto
Signorina – putela, puta
Silenzio – (sost.) sito
Silenzioso – (agg.) sito
Simile – che someia, compagno
Sindacare – ‘ver de dir
Singhiozzare – piansotar, fifotar
Singhiozzo – sangiosso
Sinistra – sanca
Sinistro – (sost.) dano, disgrassia; (agg.) sanchin; cativo
Sintetizzare – strenzer
Sintomo – segno, moto
Sinuoso – incurvà, a bisaboba
Sistemare – meter a posto, in cònso, distrigar
Slacciare – desligar
Slancio – briva
Slegare – desmolar, molar
Smargiasso – fanfaron
Smarrire – perder
53
La città
Lauro Decarli (1929-2011)
Conobbi Lauro Decarli una ventina d’anni fa. Da allora passavo spesso a trovarlo a Sistiana, dove abitava con la
moglie Bianca, o alla casetta a ridosso del mare di Grignano dove trascorreva le estati. Lui mi riforniva di libri e studi
su Capodistria usciti a Trieste, io gli portavo volumi che uscivano qui da noi. Ho imparato tanto da lui, specialmente
sull’ambiente capodistriano prima dell’esodo. Lauro era nato in una famiglia di paolani (i Decarli, detti Carloni) in
quella grande casa che fa angolo tra Calle della posta vecchia (ex Vittori) e Via Marušič (ex dell’Annunziata). Era una
famiglia benestante, avevano campagne in sette luoghi diversi. Non da lui, ma da altri capodistriani, ho saputo che
sua madre era solita preparare parecchie »struzze« di pane che poi distribuiva ai poveri davanti alla porta di casa. Ha
sofferto molto Lauro per aver lasciato Capodistria, »sotto minaccia«, nel 1950. Faceva un sogno ricorrente: di giocare
coi bambini in Brolo, di esser chiamato a casa dalla mamma e, una volta arrivato davanti al portone di casa…di non
riuscire a aprirlo. A quel punto scoppiava in lacrime e si svegliava. Ma era anche una persona allegra, dalla battuta
pronta, spesso irriverente. Non c’è spazio per ricordare ciò che Decarli ha pubblicato. Vorrei ricordarlo attraverso un
suo componimento che firma con lo pseudonimo di Làverno Carlon. (a.c.)
Razzista?
»No! No me sento rassista! Slavi,
Taliani, Bianchi, Neri, Zali o de
meso color, per mi Omo xe Omo!
Semo duti uguali! No vemo miga
sielto noi de nasser de una lingua o
un color diverso de ‘naltro. Odio! Se
le nostre mare le vessi podù a sièlzer,
alora saria un altro descorso. Chissà
che missiamenti in sto mondo. O
se vignissi tirà a sorte come i bilieti
dela lotaria… ‘sai poche speranse
gavessi un bianco de tignirse el su
color. Se vedaria pitosto in Cina qua
e là oniqualtanto a nasser tondi, come
un felomeno. E qua de noi quanti zali
coi oci a mandola! No stemo esser
rassisti che se femo a rider! No per
questo che se se podessi a sièlzer
dimandaria de esser negro. No son
rassista. Mi! Ma el mondo sì! E con
lui bia far i conti! No volaria no esser
nato negro per no frontar dute le
angarie che a quei povareti ghe toca.
Ansi mejo sens’altro bianco! Che
dopo me vansaria senpre tenpo de no
ciaparmela coi altri.
E, senpre se se podessi a sèlier, mejo
europeo che merican o altro. Quei
magari i sarà più richi, i varà più
possibilità ma el vecio continente
ga el su prestigio, la su storia, la su
belessa che si… mejo qua, mejo
qua… Senpre a podendo sièlzer. Ma
anca el clima ga la sua inportansa.
Volè meter a nasser in Norvegia,
magari drento un fiordo che el sol
te riva a mesa matina, senpre che no
sia caligo. Zo! Zo! Mejo paesi caldi.
54
Lauro Decarli a Capodistria
durante la presentazione del suo
libro sui soprannomi
Gavendo la sièlta, se capissi.
No digo Bora Bora che fussi l’ideal,
ma massa fora del mondo. Senpre
qua in Europa; ma in quela del Sud.
E duto somà, mejo in Italia, che la xe
bela e piena de robe bele, de musei,
de arte.
Ma, senpre se podessi a sèlier, no
proprio in Sicilia, e gnanca al Centro.
Mejo al Nord che a te dà più possibilità
in duto e no ghe manca gnante. Ma
via dei calighi, se capissi! In Riviera
presenpio. Anca se no me par che i
Liguri i sia tanto socievoli. I me par
ansi bastansa serài e massa tegne.
Sens’altro mejo i Veneti, senpre che
se podessi a sièlzer.
Però, na volta sielto, ti vol meter la
costa o l’interno? El mar a ghe piasi a
tanti che xe nati in drento; ma no s’à
mai visto un, nato sul mar, che disi
volarìa a starghe lontan! El mar xe
el mar! In duto el mondo chi che sta
sul mar a xe stà senpre mejo. Serto
che le lagune propio propio mar no le
se pol ciamar. Aqua salada no basta.
Palù resta palù. El mar xe altro. E la
spiasa? Volè meter butarse zo de un
scojo o pedegar de ore vanti de sopar
i zenoci? Lignan e Grado le sarà bele;
ma no la ga confronti cole marine
istriane. Senpre a podendo a sèlier,
se capissi. Loghi come Rovigno chi
se l’insogna al mondo? Opur se a
un i ghe piase più pici, penseghe un
poco a Orsera, a Umago, magari anca
Salvore.
Ma, senpre se i me lassassi a sièlzer,
penso più arente Trieste. Starghe via
dela sità, se capissi, che la xe massa
anonima. Ma rente de ela per serte
comodità che xe mejo verle vissin:
teatri, ospedali, canpi sportivi.
Presenpio Muja. Ma mi se propio
podaria a sèlier anca el pel sul
vovo, credo che preferiria a nasser
Caveresan, per quela serta pàtina de
superiorità che no disturba. Per via
del Conbi.
Per via del Vèner Santo cole garuse
sora la fontana. Per via de Bossedraga
cole vele al sol a sconder l’ignoransa
e la miseria.
Stè a vèder, alora, che son nato propio
intel posto giusto. Solo che devo
gaver sbalià el momento!”
Làverno Carlon
La città
In memoriam
Ricordando Fiore
Fiorenza Zadeu inizia molto presto la sua carriera pedagogica. Le viene chiesto di insegnare inglese presso il Ginnasio
sloveno di Capodistria. Un lavoro che svolge molto bene per un paio di anni, poi si impiega presso le scuole italiane di
Pirano, prima al Ginnasio e poi alle scuole elementari. Tantissime le generazioni che hanno imparato con lei a parlare
e scrivere bene l’inglese. Aveva un buon metodo d’insegnamento, conosceva bene la sua materia ed amava comunicare
con i ragazzi. Amava le cose semplici, amava la natura e ringraziava sempre per i benefici, che ne traeva. »Ricolma di
beni gli affamati, rimanda i ricchi a mani vuote«. Questa per Fiorenza non era solo una frase fatta. Ha sempre aiutato
chi ha potuto. Con i tuoi pensieri, resterai sempre presente nei miei.
Amalia Petronio
Bambine si attraversava il Brolo saltellando nei nostri
grembiulini a quadretti bianchi, rientrando a casa
dall’asilo. Giochi, passioni e desideri condivisi nei viaggi.
Correva libera e veloce come il vento, in sintonia con la
natura…
Graziella
Anni felici passati insieme sui banchi di scuola. Una vita
modesta e semplice, ma erano le piccole cose a dar luce
al nostro mondo di allegria e spensieratezza. Grazie per
essermi stata accanto. Mi manchi.
Rosa
Ho trascorso con Fiore il periodo più bello della mia vita e
cioè il tempo studentesco. Durante la scuola ci ha unito la
musica nella mandolinistica del Maestro Scocir. Durante
gli studi universitari intraprendemmo assieme molti viaggi
per l’Europa, spinte dal desiderio di conoscere, imparare;
e per Fiore in particolare, approfondire le sue conoscenze
linguistiche. La sua scomparsa mi ha infinitamente
colpito,siamo nate lo stesso giorno…tre aprile 1944.
Ada
L’ho conosciuta nel lontano 1950, in prima classe e da
allora sempre in classe assieme fino all’ultimo anno di
liceo. Assieme abbiamo condiviso momenti bellissimi,
spensierati e momenti meno belli. Ma ciò che ci piaceva
ricordare quando ci incontravamo, le nostre irresistibili ed
interminabili risate.
Luciana
Di Fiorenza mi piaceva il suo senso dell’umorismo. Il
periodo più bello è stato quello che abbiamo trascorso
assieme ai nostri figli quando erano ancora piccoli. A lei
piaceva guidare la macchina ed era anche molto abile,
così spesso caricava i bagagli nella Seicento e più tardi
sulla sua “Katrca”. E si partiva, senza nessuna meta. Non
ci piaceva fare programmi per il viaggio e, anche se non
sempre le cose andavano come si sperava, ci si divertiva
molto.
Miranda
Siamo state colleghe ed amiche per oltre trent’anni.
Alcune intemperanze di mio nipote, suo studente, non
misero in crisi il nostro buon rapporto, per altro, alla
fine del Ginnasio onestamente dovette riconoscerle:
“Maestra, con lei ho imparato l’inglese”. E lo sa davvero.
Era un’amica cui non facevi in tempo a chiedere aiuto,
te lo aveva già offerto spontaneamente. Non mi chiamò
mai Liliana o Lili, ma Dugan. Nella lingua di Covedo,
per lei Kubed, voglio dirle “Se štimam (mi stimo), sono
orgogliosa di aver avuto la tua amicizia”. Che purtroppo
oggi è già rimpianto.
Lili
Antonia Urbanaz – Antonia, detta Eta, era nata nel 1932 a Salara nella famiglia
contadina dei Viola. Aveva un fratello, morto ancora giovane, e quattro sorelle
traferitesi a Trieste. Eta ha frequentato la scuola elementare di Salara dopodichè
ha lavorato nella »fabrica de scove«. Si è sposata con Mario Urbanaz dei Petirossi
di Bossamarino, dal quale ha avuto il figlio Narciso. A casa, in stalla, sui campi in
Solame e a riva del Fiumisin il lavoro non mancava. Testimone di una Capodistria
d’altri tempi, Eta era una delle poche che portava ancora a vendere il latte a domicilio.
È mancata il 17 luglio 2011.
55
Buone feste