Teoria della Misura - seminari di analisi matematica
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Teoria della Misura - seminari di analisi matematica
Angelo Negro Teoria della Misura Istituzioni di Analisi Superiore a.a. 2000-2001 Prefazione Questa breve monografia si propone di presentare in modo piano e sintetico, ma con dimostrazioni rigorose e complete, i principali temi della moderna teoria della misura e della integrazione. Gli enunciati sono moderatamente generali e le dimostrazioni, tra le tante spesso possibili, sono scelte con l’intenzione sia di offrire un percorso “naturale” di comprensione delle costruzioni e delle tesi proposte, sia di fornire la traccia per la dimostrazione di risultati più avanzati, nel contesto di strutture più generali o di ipotesi più deboli. L’intento è di fornire un materiale didattico sufficientemente avanzato, ma accessibile a studenti del secondo biennio del Corso di laurea in Matematica, e anche quello di proporre un breve manuale di agile consultazione e riferimento. Moltissime sono le presentazioni della teoria della misura e dell’integrazione, alcune delle quali costituiscono un riferimento fondamentale e irrinunciabile per ogni studioso. Ma non abbiamo voluto fornire una vasta bibliografia: abbiamo soltanto indicato i testi effettivamente usati per la redazione di questa monografia e le opere alle quali facciamo esplicito riferimento. Il materiale esposto è tratto essenzialmente da Kolmogorov-Fomin[8], Doob[4], Rudin[10], spesso con considerevole elaborazione della presentazione, dei collegamenti e del percorso di dimostrazione. Il lavoro che presentiamo è collegato al corso di Istituzioni di analisi superiore, che l’autore ha svolto per molti anni accademici presso il Corso di laurea in Matematica dell’Università di Torino. Agli studenti del corso sono stati offerti brevi fascicoli che coprivano i temi dei singoli capitoli, fascicoli frequentemente aggiornati e messi a disposizione anche in rete sul sito del Dipartimento di matematica. L’aggregazione dei fascicoli concernenti la teoria della misura e dell’integrazione, notevolmente ampliati e più organicamente interconnessi, ha condotto alla redazione di questa monografia. L’attuale corso di Istituzioni di analisi superiore è diviso in due moduli. Il primo modulo, rivolto a tutti gli studenti del secondo biennio, oltre a primi elementi di analisi funzionale e di teoria delle funzioni olomorfe, propone le basi della teoria della misura e dell’integrazione, svolgendo essenzialmente il contenuto dei Capitoli 1 e 2 e presentando una sintesi dei risultati dei Capitoli 4 e 6 di questo testo. Il materiale degli altri capitoli è utilizzato, parzialmente, nel secondo modulo, che ha un carattere più avanzato e presenta, oltre a complementi di teoria della misura, temi concernenti i fondamenti dell’analisi funzionale, alcuni metodi di compattezza, elementi di teoria spettrale e di analisi armonica. Sono in preparazione altri due testi che, insieme a quello ora presentato, copriranno tutti i temi del corso. Torino, giugno 2001 ANGELO NEGRO Indice 1 σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili 1.1 σ−algebre e spazi misurabili . . . . . . . 1.2 Misure positive . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Funzioni misurabili . . . . . . . . . . . . 1.4 Convergenza q.o e in misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 5 7 10 13 2 Integrale di Lebesgue astratto 2.1 Funzioni semplici . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Funzioni sommabili . . . . . . . . . . . . . 2.3 Proprietà elementari dell’integrale . . . . 2.4 Dipendenza dal dominio di integrazione . 2.5 Passaggio al limite sotto segno di integrale 2.6 Lo spazio delle funzioni integrabili . . . . 2.7 L’integrale in spazi di misura σ-finita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 19 21 21 23 27 30 33 3 Misure con segno 37 3.1 Decomposizione di Jordan e di Hahn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 3.2 Il Teorema di Radon-Nikodym . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 3.3 Decomposizione di Lebesgue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 4 Estensione di misure 4.1 Semianelli e algebre generate 4.2 Misura esterna . . . . . . . . 4.3 Insiemi misurabili . . . . . . . 4.4 Il criterio di Carathéodory . . . . . . . . . . 5 Misure in R 5.1 Misure di Lebesgue-Stieltjes in R 5.2 Funzioni a variazione limitata . . 5.3 L’integrale di Riemann . . . . . . 5.4 Insiemi non misurabili . . . . . . 5.5 Derivate di misure di Borel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 43 44 47 49 . . . . . 53 53 56 60 61 62 6 Misure prodotto e teorema di Fubini 6.1 Misure prodotto . . . . . . . . . . . . 6.2 Rappresentazioni di insiemi misurabili 6.3 Il teorema di Fubini . . . . . . . . . . 6.4 σ(A × B) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 69 71 72 75 7 Spazi Lp 7.1 Il caso 1 ≤ p < +∞ . . . . . . 7.2 Il caso p = +∞ . . . . . . . . 7.3 Risultati di immersione . . . 7.4 Spazi di successioni . . . . . . 7.5 Densità di funzioni continue . 7.6 Il duale di L1 . . . . . . . . . 7.7 Il duale di C([a, b]). Misure di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 77 81 81 82 84 87 88 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Radon . 97 Capitolo 1 σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili 1.1 σ−algebre e spazi misurabili Definizione. Una famiglia R di sottoinsiemi di un insieme X (R ⊆ P(X)) costituisce un anello se e solo se R = 6 ∅, e, qualsiansi A, B: A, B ∈ R ⇒ A ∩ B, A ∪ B, A∆B, A − B ∈ R . Ricordiamo che x ∈ A − B equivale a x ∈ A e x ∈ / B. Inoltre A∆B = (A − B) ∪ (B − A). Dunque un anello è stabile per tutte le usuali operazioni insiemistiche che coinvolgono un numero finito di suoi elementi. Tuttavia, essendo Ac = X −A, se A ∈ R, Ac ∈ R se e solo se X ∈ R. Si osservi che è sufficiente chiedere che A ∩ B e A∆B appartengano a R. Infatti A ∪ B = (A∆B)∆(A ∩ B) , A − B = A∆(A ∩ B) . Ovviamente ∅ = A − A ∈ R. Il termine anello deriva dal fatto che l’insieme delle funzioni caratteristiche χA degli insiemi A della famiglia, munita delle operazioni di somma e prodotto seguenti: χA∩B = χA · χB , χA∆B = χA + χB (mod 2) , è un anello nel senso algebrico usuale. Definizione.Una famiglia di insiemi A si dice algebra se e solo se essa è un anello dotato di unità, cioè se esiste un insieme E ∈ A, detto unità, tale che per ogni A ∈ A si abbia A ⊆ E. In tal caso ovviamente A ⊆ P(E) ed in genere X non interviene ulteriormente. Nel seguito supporremo E = X e diremo dunque che A è un’algebra se e solo se X ∈ A . 5 6 Capitolo 1. σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili Veniamo ora alla definizione più importante. Definizione. A si dice σ−algebra se e solo se A è un’algebra e {An }n∈N ⊆ A ⇒ ∪n An ∈ A . Di conseguenza si vede facilmente che una sigma-algebra è stabile per tutte le usuali operazioni insiemistiche che coinvolgono una infinità numerabile di suoi sottoinsiemi. Ad esempio ∩n An ∈ A . Si controlla immediatamente che A è una sigma-algebra se e solo se A 6= ∅ e A, An ∈ A ⇒ Ac , ∪n An ∈ A . Si osservi che, se vale l’implicazione precedente, allora X = A ∪ Ac ∈ A . Esempio elementare. Sia C una partizione finita o numerabile di X e sia A l’insieme di tutte le unioni finite o numerabili di elementi di C: C = { Cn }n∈N , A = { ∪j∈J Cj }J⊆N . È immediato verificare che A è una σ-algebra. Spazio misurabile. La coppia (X, A) , dove A è una σ-algebra in X si dice spazio misurabile. Ovviamente in uno stesso insieme X si possono introdurre diverse strutture di spazio misurabile, selezionando diverse sigma-algebre in X. Quando non ci possano essere equivoci sulla sigma-algebra selezionata, questa viene sottointesa dicendo brevemente che X è uno spazio misurabile. Gli elementi della sigma-algebra si dicono insiemi misurabili. Data una famiglia F di sottoinsiemi, si indica con A(F ) o con σ(F ) la più piccola σ-algebra contenete F . Essa viene detta la σ-algebra generata da F . La defnizione è corretta perchè 1) se {At }t∈T , dove T è un insieme arbitrario, è una collezione di σ-algebre, allora ∩t∈T At è ancora una σ-algebra. Infatti ∀t A ∈ At ⇒ ∀t Ac ∈ At ⇒ Ac ∈ ∩t∈T At ; ∀t An ∈ At ⇒ ∀t ∪n An ∈ At ⇒ ∪n An ∈ ∩t∈T At . 2) Esiste almeno una σ-algebra contenete F , ad esempio P(X) . Dunque A(F ) è l’intersezione di tutte le σ-algebre contenenti F . Proposizione. Sia f : X → Y una applicazione ovunque definita e A una σ-algebra in Y . Allora f −1 (A) è una σ-algebra in X . Dimostrazione. Infatti A ∈ A e B = f −1 (A) ⇒ Ac ∈ A e B c = f −1 (Ac ) , Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 7 ∀n An ∈ A e Bn = f −1 (An ) ⇒ ∪n An ∈ A e ∪n Bn = f −1 (∪n An ) . Proposizione. Sia f : X → Y una applicazione ovunque definita. Allora A(f −1 (F )) = f −1 (A(F )) . Dimostrazione. Infatti per il punto precedente f −1 (A(F )) è una sigma-algebra ⊇ f −1 (F ) e per ogni sigma-algebra AJ ⊇ F (dunque AJ ⊇ A(F ) ) risulta che f −1 (AJ ) è una sigma-algebra tale che f −1 (AJ ) ⊇ f −1 (A(F )) ⊇ f −1 (F ) . Sia ora B una qualunque sigma-algebra ⊇ f −1 (F ) . Essa non è necessariamente della forma f −1 (AJ ) con AJ ⊇ F e AJ σ−algebra1. In tal caso si ponga B ∗ = {B ∈ B | ∃A ⊆ Y B = f −1 (A)} = f −1 (A∗ ) , dove A∗ = {A ⊆ Y | f −1 (A) ∈ B} . Controlliamo che A∗ , la quale evidentemente contiene F , è una sigma-algebra: f −1 (A) = B ∈ B ⇒ f −1 (Ac ) = B c ∈ B ⇒ Ac ∈ A∗ , ∀n f −1 (An ) = Bn ∈ B ⇒ f −1 (∪n An ) = ∪n Bn ∈ B ⇒ ∪n An ∈ A∗ . Dunque ogni sigma-algebra B contenente f −1 (F ) contiene una sigma-algebra f −1 (A∗ ) contenente f −1 (A(F )) q.e.d. Boreliani. Se lo spazio X è già munito di una struttura di spazio topologico e O è la famiglia degli aperti in X , ha particolare interesse la σ-algebra B = A(O) generata dagli aperti. Essa viene detta la famiglia dei Boreliani di (X, O) (o di X come si dice più brevemente, sottintendendo la topologia). Ovviamente, se F è la famiglia dei chiusi in X si ha B = A(F ) = A(O). Dunque B contiene in particolare tutti gli aperti, i chiusi, quindi i compatti, e tutti gli insiemi che si possono ottenere da una infinità numerabile di aperti e chiusi mediante usuali operazioni insiemistiche. Per esempio, indicando con Fσ le unioni numerabili di chiusi, che in genere non sono chiusi, e con Gδ le intersezioni numerabili di aperti, che ingenerale aperti non sono, si ha Fσ ⊆ B e Gδ ⊆ B . 1.2 Misure positive Definizione. Si dice misura positiva sull’algebra A ogni funzione µ:A→R + 1 Ad esempio, se f : Z → N con f (x) = |x|, F = P(D) con D insieme dei dispari naturali e B = P(E) ∪ {E c } con E insieme dei dispari relativi e dei pari negativi, allora B ⊃ f −1 (F ) ed è una sigma-algebra in Z (la presenza di E c serve perché sia Z = E ∪E c ∈ B), ma ogni elemento di B non simmetrico rispetto a 0 non è controimmagine di alcun sottoinsieme di N). Università di Torino, a.a. 2000-2001 8 Capitolo 1. σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili non identicamente uguale a +∞ e additiva , tale cioè che, se A1 , A2 , ..., An ∈ A e Aj ∩ Ak = ∅ per j 6= k, allora n X µ(∪nk=1 Ak ) = µ(Ak ) . k=1 È naturalmente sufficiente che per ogni coppia A, B ∈ A tale che A ∩ B = ∅ risulti µ(A ∪ B) = µ(A) + µ(B) . Se A è una σ-algebra e per ogni successione disgiunta A1 , A2 , ... ∈ A, cioè tale che Aj ∩Ak = ∅ per j 6= k, risulta +∞ X µ(∪+∞ µ(Ak ) , k=1 Ak ) = k=1 si dice che µ è una misura σ-additiva. Definizione. Una terna (X, A, µ) , dove µ è una misura σ-additiva sulla σ-algebra A in X, si dice spazio di misura. Nel seguito useremo il termine misura per indicare una misura sigma-additiva. µ è finita se µ(X) < +∞ ed è sigma-finita se X è unione numerabile di insiemi di misura finita: X = ∪j Aj , Aj ∈ A , µ(Aj ) < +∞ . Se µ(X) < +∞, allora ν = µ/µ(X) è una misura normalizzata: ν(X) = 1. Le misure normalizzate si dicono misure di probabilità, l’insieme X “sample space”, A σ-algebra degli eventi e (X, A, µ) spazio di probabilità. Proprietà delle misure. 1) µ(∅) = 0 . Infatti, preso A misurabile con µ(A) < +∞, si ha µ(A) = µ(A ∪ ∅) = µ(A) + µ(∅) . 2) µ è monotona: A ⊆ B con A, B ∈ A ⇒ µ(A) ≤ µ(B) . Infatti µ(B) = µ(A ∪ (B − A)) = µ(A) + µ(B − A) ≥ µ(A) . Si osservi che in questo caso si ha anche µ(B − A) = µ(B) − µ(A) . 3) µ è continua lungo successioni monotone, nel senso che se Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 9 a) Ai ∈ A , Ai ⊆ Ai+1 e A = ∪i Ai , allora µ(A) = lim µ(Ai ) , e i→+∞ b) se Ai ∈ A , Ai+1 ⊆ Ai e A = ∩i Ai , allora se almeno una delle Ai , diciamo AN , ha misura finita2 µ(A) = lim µ(Ai ) . i→+∞ Infatti, nel caso a), posto A0 = ∅ , si ha A = ∪∞ 0 (Ai+1 − Ai ) e, se i 6= j , (Ai+1 − Ai ) ∩ (Aj+1 − Aj ) = ∅ e dunque µ(A) = ∞ X µ(Ai+1 − Ai ) = lim p 0 p X µ(Ai+1 − Ai ) = 0 = lim µ(∪p0 (Ai+1 − Ai )) = lim µ(Ap+1 ) . p p Il caso b) si riconduce al caso a), considerando AN − A: µ(AN ) − µ(A) = µ(AN − A) = µ(∪i>N (AN − Ai ) = lim µ(AN − Ai ) = lim(µ(AN ) − µ(Ai )) = µ(AN ) − lim µ(Ai ) . i i i 4) µ è σ−subadditiva: µ(∪+∞ k=1 Ak ) ≤ +∞ X µ(Ak ) , k=1 per qualunque successione di insiemi Ak misurabili. Naturalmente la serie a secondo membro può essere divergente a +∞ . Infatti µ(A1 ∪ A2 ) = µ(A1 ) + µ(A2 − A1 ) ≤ µ(A1 ) + µ(A2 ) . Dunque, per induzione, la subadditività vale per un numero finito arbitrario di insiemi, e, per la continuità di µ lungo successioni monotone: µ(∪+∞ k=1 Ak ) = lim µ(∪N k=1 Ak ) ≤ N →+∞ lim N →+∞ N X k=1 µ(Ak ) = +∞ X µ(Ak ) . k=1 Definizione. Si dice che una misura µ è completa se tutti i sottoinsiemi di ogni insieme di misura nulla sono misurabili, e quindi di misura nulla: µ(A) = 0 e A∗ ⊆ A ⇒ A∗ ∈ A e µ(A∗ ) = 0 . Si pu‘o sempre “completare” una misura accettando come misurabili (e ovviamente di misura nulla) tutti i sottoinsiemi di ogni insieme di misura nulla. Più precisamente, se (X, A, µ) è uno spazio di misura, esiste una σ−algebra minimale A∗ ⊇ A sulla quale è definita una estensione completa µ∗ di µ. Si verifica facilmente che A∗ è costituita da tutti i sottoinsiemi A di X tali che esistono Ai , Ae ∈ A con Ai ⊆ A ⊆ Ae e µ(Ae − Ai ) = 0. Necessariamente µ∗ (A) = µ(Ai ) = µ(Ae ). 2 In R2 l’insieme A = [0, 1/i] × R ha misura di Lebesgue (area) λ(A ) = +∞, A ⊂ A i i i i+1 , ma A = ∩i Ai = {0} × R = ∪n {0} × [n, n + 1] e λ(A) = 0. Università di Torino, a.a. 2000-2001 10 Capitolo 1. σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili 1.3 Funzioni misurabili Limiteremo le nostre considerazioni a funzioni a valori reali (o eventualmente complessi). Talvolta considereremo funzioni a valori reali estesi. Definizione. Sia (X, A) uno spazio misurabile e B la sigma-algebra dei Boreliani di R (o C). f :→ R si dice misurabile se e solo se ∀B ∈ B f −1 (B) ∈ A . f −1 (B), che è la minima σ-algebra in X rispetto alla quale f è misurabile, si dice σ-algebra generata da f e si indica con σ(f ). Si osservi che la definizione di misurabilità non presume alcuna misura, cioè fa riferimento ad una struttura di spazio misurabile, non ad una struttura di spazio di misura. Se X è uno spazio topologico e A è la σ-algebra dei Boreliani in X, si dice che f è Boreliana. Proposizione. Sia f : X → R misurabile e g : R → R Boreliana, allora g ◦ f : X → R è ancora misurabile. Infatti ∀B ∈ B (g ◦ f )−1 (B) = f −1 (g −1 (B)) ∈ A . Proposizione. Le funzioni continue, per esempio da R in R, sono Boreliane. Infatti sia F = {M ⊆ R | f −1 (M ) ∈ B} . Allora F ⊇ O (aperti di R) in quanto f è continua. Ma F è una sigma-algebra: R ∈ F (è un aperto), inoltre, se M, Mk ∈ F, allora f −1 (M c ) = f −1 (M )c ∈ B e f −1 (∪k Mk ) = ∪k f −1 (Mk ) ∈ B. Essendo B la più piccola sigma-algebra contenete O, ovviamente B ⊆ F. Teorema. Sia (X, A) uno spazio misurabile. f : X → R è misurabile se e solo se ∀c ∈ R {x | f (x) < c} = f −1 (] − ∞, c[) ∈ A . Dimostrazione. 1) I Boreliani in R coincidono con la sigma-algebra generata dagli intervalli del tipo ] − ∞, c[. Infatti, come ben noto, ogni aperto di R è unione numerabile di intervalli aperti, e ]a, b[=] − ∞, b[∩]a, +∞[ , ]a, +∞[=] − ∞, a]c , ] − ∞, a] = ∩+∞ n=1 ] − ∞, a + 1/n[ . 2) Sia F = {M ∈ R | f −1 (M ) ∈ A}. Allora F è una sigma-algebra. Ma, se essa contiene tutti gli insiemi del tipo ] − ∞, c[, allora essa contiene B. q.e.d. Osservazione. Ovviamente f è misurabile se e solo se tutti gli insiemi del tipo {x | f (x) ≤ c} sono misurabili, oppure se tutti gli insiemi del tipo {x | f (x) > c} sono misurabili, oppure ancora Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 11 se tutti gli insiemi del tipo {x | f (x) ≥ c} sono misurabili. Osservazione. Nel caso di funzioni a valori reali estesi la definizione di funzione misurabile non cambia ed è bene rilevare che: {x | f (x) = +∞} = ∩n {x | f (x) > n} , mentre {x | f (x) = −∞} = ∩n {x | f (x) < −n} . Teorema. Sia M(X, A; R) l’insieme delle funzioni misurabili sullo spazio (X, A) a valori reali. (Spesso si userà la notazione abbreviata M). Allora f, g ∈ M ⇒ λf + g , f · g , f /g (g 6= 0) , |f | , max(f, g) , min(f, g) ∈ M , dove λ è uno scalare arbitrario e g 6= 0 significa che g(x) 6= 0 per ogni x ∈ X . Dimostrazione. 1) Basta considerare il caso λ 6= 0 : {x | λf (x) + g(x) < c} = ∪r∈Q {x | λf (x) < r} ∩ {x | g(x) < c − r} . Infatti, se per qualche r razionale λf (x) < r e g(x) < c − r, allora λf (x) + g(x) < c e dunque il secondo membro è contenuto nel primo. Se λf (x) + g(x) < c allora per n opportunamente grande λf (x) + g(x) < c − 1/n. Sia r ∈ Q tale che r − 1/n < λf (x) < r, quindi −λf (x) < −r + 1/n e quindi g(x) < c − 1/n − λf (x) < c − r. Allora il primo membro è contenuto nel secondo. Basta ora dimostrare che {x | λf (x) < r} è misurabile per concludere che il primo membro, quale unione numerabile di intersezioni di insiemi misurabili, è misurabile. Ora {x | λf (x) < r} = {x | f (x) < r/λ} , se λ > 0; se invece λ < 0, {x | λf (x) < r} = {x | f (x) > r/λ}. In ogni caso abbiamo la controimmagine di un Boreliano (l’intervallo ]−∞, r/λ[ o l’intervallo ]r/λ, +∞[) e dunque un insieme misurabile. 2) Se f è misurabile tale è anche f 2 , essendo (·)2 continua e pertanto Boreliana. Ma f · g = 1/4((f + g)2 − (f − g)2 ) e dunque f · g è misurabile. 3) Se f e g sono misurabili e g 6= 0, f /g = f · (ρ ◦ g) è misurabile, perchè ρ : R − {0} → R è continua e dunque Boreliana. 4) La funzione | · | è continua, dunque se f è misurabile, tale è |f | . Oppure: {|f | < c} = {f < c} ∩ {−f < c} . Università di Torino, a.a. 2000-2001 12 Capitolo 1. σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili 5) Se f e g sono misurabili, tali sono: max(f, g) = |f − g| + f + g f + g − |f − g| e min(f, g) = . 2 2 q.e.d. Teorema. Se una succsssione di funzioni misurabili converge semplicemente, la funzione limite è misurabile: ∀nfn ∈ M e ∀x ∈ X lim fn (x) = f (x) ⇒ f ∈ M . n→+∞ Dimostrazione.Basta osservare che {x | f (x) < c} = ∪k ∪n ∩p>n {x | fp (x) < c − 1/k} . Infatti, se x appartiene al secondo membro ∃k ∃n ∀p > n fp (x) < c − 1/k , e, passando al limite per p → ∞, si trova f (x) ≤ c − 1/k < c . Se x appartiene al primo membro allora f (x) < c ⇒ ∃k f (x) < c − 2/k , ma per la convergenza ∃n ∀p > n fp (x) < f (x) + 1/k e dunque fp (x) < c − 1/k . q.e.d. Per la validità della dimostrazione precedente non è necessario che fn (x) converga a f (x), basta che f (x) = lim supn fn (x) per garantire che per ogni ε si abbia definitivamente fn (x) < f (x) + ε. Considerando la successione −fn si vede anche che lim inf n fn (x) è misurabile. Questi risultati si possono ottenere anche utilizzando la Proposizione. Se le funzioni fn sono misurabili, tali sono supn fn (x) e inf n fn (x). Dimostrazione. Basta osservare che sup fn (x) = lim max fp (x) , N 1≤p≤N n ed una relazione analoga vale per inf n fn (x) . Allora segue che lim sup fn (x) = lim sup fn (x) e lim inf fn (x) = lim inf fn (x) n n p≥n n n p≥n sono funzioni misurabili. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 1.4 13 Convergenza q.o e in misura Proposizioni valide quasi ovunque (q.o.). Sia (X, A, µ) uno spazio di misura µ completa. Sia P(x) una proposizione dipendente dalla variabile x ∈ X . Si dice che P (x) vale quasi ovunque (q.o.) o per quasi ogni x se e solo se {x | P (x) è falsa} ha misura nulla. Ad esempio lim fn (x) = f (x) q.o. ⇔ µ({x | lim fn (x) 6= f (x) o non esiste }) = 0 . n n In tal caso si dice che fn converge ad f quasi ovunque fn → f q.o. o fn → f a.e. (almost everywhere). Nel caso di misure di probabilità le funzioni misurabili si dicono variabili aleatorie (v.a.) e la convergenza quasi ovunque si dice convergenza quasi certa (q.c.) o convergenza con probabilità 1: fn → f q.o. o fn → f a.s. (almost surely). È bene osservare che f = g q.o. è una relazione di equivalenza. I risultati precedenti sui limiti di funzioni misurabili si possono estendere con il seguente Teorema. Se fn ∈ M e fn → f q.o., allora f ∈ M . Dimostrazione. Se A = {x | limn fn (x) = f (x)}, si ha per ipotesi A, Ac ∈ A e µ(Ac ) = 0 . Allora {x | f (x) < c} = {x ∈ A | f (x) < c} ∪ {x ∈ Ac | f (x) < c} . A secondo membro il primo insieme è misurabile per il teorema precedente (con A al posto di X ) e il secondo insieme ⊆ Ac è misurabile (e di misura nulla) essendo µ completa. Siamo ora in grado di dimostrare un teorema fondamentale sul rapporto tra convergenza semplice quasi ovunque e convergenza uniforme: Teorema di Egorov. Sia (X, A, µ) uno spazio di misura, con µ completa e finita: µ(X) < +∞ . Siano fn ∈ M tali che fn → f q.o. . Allora ∀ε > 0 ∃Xε ∈ A tale che 1) 2) µ(X − Xε ) < ε , fn |Xε → f |Xε uniformemente in Xε . Dimostrazione. Essendo f misurabile, per i risultati precedenti e la completezza di µ, poniamo: Xnp = ∩i≥n {x ∈ X | |fi (x) − f (x)| < 1/p} , p p p p X p = ∪∞ n=1 Xn ... ⊇ Xn ⊇ ... X2 ⊇ X1 . Tutti questi insiemi sono misurabili e per la continuità della misura µ(X p ) = limn µ(Xnp ), dunque, essendo µ(X p ) ≤ µ(X) < +∞ ∀ε > 0 ∃ν µ(X p − Xνp ) < ε/2p . Università di Torino, a.a. 2000-2001 14 Capitolo 1. σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili p Sia ν(p) un indice per il quale la disuguaglianza precedente vale e poniamo Xε = ∩p Xν(p) . Allora: 1) Su Xε la convergenza è uniforme, infatti si ha p ∀1/p ∃ν(= ν(p)) Xε ⊆ Xν(p) e dunque ∀i ≥ ν ∀x ∈ Xε |fi (x) − f (x)| < 1/p . 2) In X − X p la successione fn non converge, perchè se x ∈ / X p , allora ∀n x ∈ / Xnp e quindi ∃i ≥ n |fi (x) − f (x)| ≥ 1/p. Cioè esistono infiniti indici i tali che |fi (x) − f (x)| ≥ 1/p e pertanto fn (x) non converge. Dunque µ(X − X p ) = 0, essendo X − X p un sottoinsieme di un insieme che per ipotesi ha misura nulla. Basta ora osservare che p p µ(X − Xε ) = µ(X − ∩p Xν(p) ) = µ(∪p (X − Xν(p) )≤ ≤ X p )= µ(X − Xν(p) p X p )≤ µ(X p − Xν(p) p +∞ X ε/2p = ε . p=1 q.e.d. Un ruolo importante è svolto dal seguente tipo di convergenza. Definizione. La successione fn di funzioni misurabili converge in misura alla funzione f se e solo se ∀α > 0 lim µ({x ∈ X | |fn (x) − f (x)| ≥ α}) = 0 . n Nel caso di misure di probabilità, si dice che fn converge in probabilità a f . Se la misura è finita, la convergenza puntuale q.o. implica la convergenza in misura, mentre una successione può convergere in misura senza convergere q.o., pur ammettendo certamente una sottosuccessione convergente q.o. Teorema. Sia µ(X) < +∞ e fn convergente q.o. a f . Allora fn converge in misura a f . Dimostrazione. Dato ε > 0, ricorriamo al teorema di Egorov e sia Xε tale che µ(X − Xε ) < ε e su Xε si abbia convergenza uniforme. Allora, fissato comunque α > 0, per n sufficientemente grande (> ν dipendente da α e ε) ∀x ∈ Xε |fn (x) − f (x)| < α e quindi l’insieme dove |fn (x)− f (x)| ≥ α è contenuto in X − Xε . Dunque per n sufficientemente grande µ({|fn − f | ≥ α) ≤ µ(X − Xε ) < ε . q.e.d. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 15 Osservazione. L’ipotesi µ(X) < +∞ è essenziale: in R munito della misura standard (di Lebesgue) λ, che assegna ad ogni intervallo (a, b) la sua lunghezza b − a , risulta χ[n,n+1[ → 0 ovunque, ma ∀n λ({ |χ[n,n+1[ − 0| ≥ 1/2}) = 1 , Osservazione. Se fn → f in misura, non necessariamente fn → f q.o. Basta fornire un controesempio: sia X = [0, 1[ con la misura di Lebesgue λ usuale; sia χn,k = χ[(k−1)/n,k/n[ n = 1, 2, ... , k = 1, 2, ..., n . Ordiniamo queste funzioni caratteristiche formando la successione fp = χn,k , p = 1 + 2 + ...(n − 1) + k . Per ogni x ∈ [0, 1[ vi sono infiniti indici p per i quali fp (x) = 1 e infiniti per i quali fp (x) = 0 : quindi la successione fp non converge in nessun punto. Ma ovviamente per ogni 0<α<1 1 λ({ |χn,k − 0| ≥ α}) = → 0 n e le fp tendono a 0 in misura. Teorema. Sia µ(X) < +∞ e fn convergente in misura a f . Allora esiste una sottosuccessione fnk converge q.o. a f . Dimostrazione. Siano αn e ηn nomeri positivi tali che lim αn = 0 e n→+∞ +∞ X ηn < +∞ . n=1 Selezioniamo, in virtù dell’ipotesi di convergenza in misura, degli indici n1 < n2 < ... tali che µ({|fnk − f | ≥ αk }) < ηk . Siano infine +∞ Aj = ∪+∞ k=j {|fnk − f | ≥ αk } e B = ∩j=1 Aj . Si ha Aj+1 ⊆ Aj e, per la continuità della misura, +∞ X ηk ≥ µ(Aj ) → µ(B) . k=j Poiché il resto della serie tende a 0, si ottiene µ(B) = 0. Ma ∀x ∈ X − B lim fnk (x) = f (x) . k Infatti se x ∈ / B esiste j tale che x ∈ / Aj , cioè per ogni k ≥ j x∈ / {|fnk − f | ≥ αk } ovvero |fnk (x) − f (x)| < αk . Ma αk → 0 e il teorema è dimostrato. Università di Torino, a.a. 2000-2001 16 Capitolo 1. σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili * * * La convergenza q.o. in generale non è topologica, almeno nel caso (usuale) in cui la convergenza in misura non implica la convergenza q.o. (Billingseley [1]). Supponiamo per assurdo che sia definita una famiglia di intorni V (f ) di ogni ogni funzione misurabile f , tale che fn → f q.o. equivalga a ∀V (f )∃ν∀n > ν fn ∈ V (f ) , e gn sia convergente in misura a g, ma non converga q.o. a g. Dunque ∃V (g)∀ν∃n > ν gn 6∈ V (g) , ovvero esiste una sottosuccessione gj∗ di elementi non appartenenti a V (g). Da essa si può estrarre un ulteriore sottosuccessione gj∗k convergente a g q.o. Allora le gj∗k dovrebbero appartenere definitivamente a V (g) e si giungerebbe ad una contraddizione. Si osservi che, se una successione fn si può scomporre in un numero finito o in una infinità numerabile di sottosuccessioni fjp convergento q.o. ad f : fjp (x) → f (x) tranne che per x ∈ Ap e µ(Ap ) = 0 , allora l’intera successione converge q.o. ad f : fn (x) → f (x) tranne che per x ∈ A = ∪p Ap e µ(A) = µ(∪p Ap ) = 0 . Naturalmente, se fn converge in misura a f , esistono infinite sottosuccessioni convergenti q.o. a f , ma non necessariamente una infinità numerabile. E un’unione non numerabile di insiemi di misura nulla può non avere misura nulla. La convergenza in misura (considerando soltanto misure finite: µ(X) < +∞) si può invece esprimere in termini di una opportuna distanza. Più precisamente, introducendo nello spazio M(X, A, µ) delle funzioni misurabili la relazione di equivalenza f ∼ g ⇔ f = g q.o. e considerando lo spazio quoziente M = M/ ∼, si ha Teorema. In M (X, A, µ) la funzione d(f, g) = Z X |f − g| dµ 1 + |f − g| è una distanza. (Nella formula precedente si ricorre al consueto abuso di indicare con gli stessi simboli f e g sia due classi di equivalenza che due loro arbitrari rappresentanti.) La convergenza secondo la metrica d è equivalente alla convergenza in misura. (M, d) è uno spazio metrico completo (Yosida [11]). Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 17 Dimostrazione. È immediato controllare che d(f, g) = 0 se e solo se f = g q.o. e che d(f, g) = d(g, f ). La disuguaglianza triangolare segue facilmente dalle disuguaglianze |a + b| |a| + |b| |a| |b| ≤ ≤ + . 1 + |a + b| 1 + |a| + |b| 1 + |a| 1 + |b| È bene notare inoltre che la funzione x/(1 + x) per x ≥ 0 è crescente e concava e tende a 1 per x → +∞. Per vedere che la convergenza nel senso della metrica d e la convergenza in misura sono equivalenti basta osservare che, per ogni ε, posto E = { |f − g| ≥ ε}, si ha Z Z Z ε |f − g| |f − g| µ(E) ≤ dµ ≤ ( + ) dµ = 1+ε 1 + |f − g| 1 + |f − g| E E X−E = d(f, g) ≤ µ(E) + ε µ(X − E) . 1+ε Per dimostrare che (M, d) è completo consideriamo una successione fn di Cauchy per d. Viste le disuguaglianze precedenti, possiamo trovare una sottosuccessione fnj tale che µ(Ej ) ≤ 2−j , dove Ej = { |fnj+1 − fnj | ≥ 2−j } . Allora la serie F (x) = |fn1 (x)| + +∞ X |fnj+1 (x) − fnj (x)| j=1 risulta convergente su E c = ∪l ∩j≥l Ejc dove E = ∩l ∪j≥l Ej c e µ(E) = 0. Infatti, se x ∈ E , esiste l tale che per j ≥ l i termini sono maggiorati da quelli della serie geometrica di ragione 1/2, mentre ∀l µ(E) ≤ µ(∪j≥l Ej ) ≤ X µ(Ej ) ≤ j≥l X 1 1 = l−1 . j 2 2 j≥l e quindi, facendo tendere l a +∞, µ(E) = 0. Ma la su E c , cioè q.o., la serie converge anche semplicemente, ovvero converge la sottosuccessione fnj , diciamo ad un limite f misurabile. La convergenza q.o. implica la convergenza in misura di fnj a f e quindi d(fnj , f ) → 0. La successione iniziale fn è di Cauchy e, ammettendo una sottosuccessione convergente a f , è essa stessa convergente a f . q.e.d. & Università di Torino, a.a. 2000-2001 & & 18 Capitolo 1. σ-Algebre. Misure. Funzioni misurabili Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica Capitolo 2 Integrale di Lebesgue astratto In questa parte considereremo uno spazio di misura (X, A, µ) , supponendo che µ sia completa. Nella prima parte, per semplicità nella presentazione dell’integrale e nella dimostrazione delle sue principali proprietà, supporremo inoltre che essa sia finita (µ(X) < +∞), oppure restringeremo le nostre considerazioni a sottoinsiemi A di misura finita. Successivamente accenneremo alla estensione dei risultati conseguiti limitandoci al caso di misure σ-finite. Indicheremo con M = M(X, A; R) la famiglia delle funzioni misurabili a valori reali. 2.1 Funzioni semplici Definizione. f ∈ M si dice semplice se e solo se f ∈ M e f (X) è finito o numerabile1 , ovvero f (X) = {y1 , y2 , ..., yn , ...} e f −1 ({yn }) = An ∈ A . Per dire che f è semplice scriveremo f ∈ S = S(X, A, µ) . Teorema. f ∈ M se e solo se esiste una successione di funzioni semplici fn ∈ S convergenti ad f uniformemente. Dimostrazione. Per ogni n definiamo fn (x) = k/n quando k/n ≤ f (x) < (k + 1)/n . Si ha fn ∈ S e supx |fn (x) − f (x)| ≤ 1/n . Viceversa, se f è limite addirittura uniforme (e quindi puntuale) di funzioni semplici, che sono misurabili, allora f ∈ M . q.e.d. Osservazione. Talvolta interessa approssimare f con una successione di funzioni semplici nondecrescente. In tal caso basta considerare, per ogni n, intervalli di ampiezza 1/2n e porre 1 Seguiremo la presentazione di Kolmogorov-Fomin [8]. Osserviamo tuttavia che la maggior parte degli autori considera funzioni semplici che prendono soltanto un numero finito di valori. Come vedremo al termine del capitolo, i due percorsi di costruzione dell’integrale sono equivalenti. Con la definizione adottata si ha il vantaggio di poter sfruttare i risultati noti sulle serie (assolutamente) convergenti, con però la necessità di conoscere qualche elemento di teoria della sommabilità, o almeno risultati concernenti il trattamento delle serie doppie. 19 20 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto fn (x) = k/2n quando k/2n ≤ f (x) < (k + 1)/2n . Infatti risulta allora k 1 k fn (x) = [ ] n ≤ n+1 = fn+1 (x) 2 2 2 per k 2n+1 ≤x< k+1 . 2n+1 Definiamo ora l’integrale per la classe delle funzioni semplici. Definizione. Sia f ∈ S e A ∈ A di misura finita. Siano yn i valori distinti assunti da f e An = {x ∈ A| f (x) = yn } . Si dice integrale di f su A la quantità Z f dµ = A +∞ X yn µ(An ) , n=1 se la serie a secondo membro è assolutamente convergente. Se l’integrale esiste (ciè se la serie converge assolutamente) si dice che f è integrabile su A . Osservazione 1. L’assoluta convergenza è richiesta perchè l’integrale non dipenda dall’ordine con il quale si considerano i valori distinti assunti da f . Osservazione 2. Se gli insiemi misurabili Bi costituiscono una partizione di A e f = fi su Bi , essendo fi uno dei valori yn , allora Z X f dµ = fi µ(Bi ) , A i e questa serie e quella che appare nella definizione sono simultaneamente assolutamente convergenti. Osservazione 3. Ovviamente, se ci interessa solo l’insieme A, basta che f sia semplice su A (non hanno rilevanza i valori assunti su Ac , dove f potrebbe anche non essere definita). Alcune proprietà dell’integrale delle funzioni semplici. 1) Se f, g ∈ S sono integrabili su A , ogni loro combinazione lineare è integrabile su A. Inoltre l’integrale è lineare: Z Z Z (λf + g)dµ = λ A f dµ + A gdµ , A 2) Se f ∈ S e |f (x)| ≤ M q.o. in A , allora Z | f dµ| ≤ M µ(A) . A Le dimostrazioni sono conseguenza immediata di note proprietà delle serie. Per il punto 1) si consideri una partizione {Cj }j di A con f e g costanti su ogni Cj . Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 21 Funzioni sommabili 2.2 Definizione. Sia A ∈ A, con µ(A) < +∞ : f ∈ M si dice sommabile o integrabile su A se e solo se esiste una successione di funzioni semplici fn integrabili su A che convergono uniformemente, su A, ad f . Si pone allora Z Z f dµ = lim fn dµ . n→+∞ A A Verifica della correttezza della definizione. R 1) Con le ipotesi fatte, il limite che appare nella definizione esiste ed è finito in quanto A fn dµ è una successione di Cauchy: Z Z Z | fm dµ − fn dµ| ≤ |fm − fn |dµ ≤ µ(A) sup |fm (x) − fn (x)| → 0 A A x∈A A quando m, n tendono ad infinito. 2) Il limite non dipende dalla successione di funzioni semplici approssimanti: siano fn e gn due successioni in S integrabili su A e convergenti uniformemente a f su A . Allora anche hn , con h2n = fn e h2n−1 = gn , ha le stesse proprietà, ma Z Z Z lim fn dµ = lim gn dµ = lim hn dµ , n n A n A A R perchè A fn dµ e A gn dµ sono sottosuccessioni della successione convergente A hn dµ. 3) Se f è semplice ed integrabile su A la definizione concorda con quella precedentemente data per le funzioni semplici: basta approssimare f con la successione costante fn = f . R R Osservazione. Abbiamo definito direttamente l’integrale di una funzione f su un insieme misurabile A . Avremmo potuto equivalentemente, per ora almeno nel caso µ(X) < +∞ , prima definire l’integrale su tutto lo spazio X e poi porre Z Z f dµ = f · χA dµ , A X essendo χA la funzione caratteristica di A . R Oppure, dopo aver definito X f dµ , introdurre l’integrale su A considerando la restrizione della funzione f ad A e lo spazio di misura (A, AA , µA ), dove AA è la famiglia dei sottoinsiemi di A che appartengono a A e µA la restrizione di µ a AA : Z Z f dµ = f |A dµA . A 2.3 A Proprietà elementari dell’integrale Eventualmente considerando integrali di funzioni semplici approssimanti e passando al limite si ottengono facilmente i seguenti risultati. Università di Torino, a.a. 2000-2001 22 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto Teorema. 1) Per ogni insieme misurabile A Z 1 dµ = µ(A) . A Infatti la funzione caratteristica di A è semplice. 2) Se f e g sono sommbili su A, le loro combinazioni lineari sono sommabili su A e Z Z Z (λf + g)dµ = λ f dµ + gdµ . A A A Dunque le funzioni integrabili su A formano uno spazio lineare e l’integrale è un funzionale lineare. 3) Se f = 0 q.o. in A, allora Z f dµ = 0 . A Infatti se fn sono funzioni semplici approssimanti f , fn χ{f 6=0} sono ancora funzioni semplici convergenti uniformemente a f , con integrale evidentemente nullo. 4) È anche vero che Z µ(A) = 0 ⇒ f dµ = 0 . A 5) L’integrale è un funzionale positivo e quindi monotono: se f è sommabile su A e Z f (x) ≥ 0 q.o. in A ⇒ f dµ ≥ 0 , A quindi f (x) ≤ g(x) q.o. in A ⇒ Z A f dµ ≤ Z gdµ . A Infatti se le funzioni semplici integrabili fn approssimano f , essendo |fn+ − f + | ≤ |fn − f |, |fn+ | ≤ |fn | e f + = f q.o. in A , le fn+ sono integrabili e approssimano f . 6) f e |f | sono simultaneamente sommabili su A e Z Z | f dµ| ≤ |f |dµ . A A Infatti se fn è integrabile e approssima f , essendo ||fn | − |f || ≤ |fn − f |, |fn | è una successione di funzioni semplici integrabili e approssimante |f |. 7) Se f è una funzione misurabile e |f | ≤ ϕ q.o. in A, con ϕ sommabile su A , allora f è sommabile su A. Infatti, sia fn , ϕn ∈ S, |fn − f | < 1/n, |ϕn − ϕ| < 1/n e ϕn integrabile, allora |fn | ≤ |f | + 1 1 2 ≤ ϕ + ≤ ϕn + n n n e le fn sono integrabili. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 2.4 23 Dipendenza dal dominio di integrazione Teorema (σ-additività dell’integrale). Sia {An }n∈N una partizione numerabile di A , con A, An ∈ A : A = ∪n An e Aj ∩ Ak = ∅ se j 6= k. Allora 1) se f è integrabile su A, essa è integrabile su ciscun An e Z f dµ = A ∞ Z X f dµ . An n=1 Inoltre la serie a secondo membro è assolutamente convergente. 2) Se f è integrabile su ciscun An , allora XZ |f |dµ < +∞ ⇒ f è integrabile su A e An n Z f dµ = A ∞ Z X f dµ . An n=1 Dimostrazione. 1) Sia f ∈ S e f (X) = {yi }. (È equivalente considerare funzioni semplici definite su tutto X e considerarne la restrizione a A o considerare funzioni semplici su A e prolungarle, se occorre, a tutto X ponendole uguali a zero su Ac ). Poniamo Bi = {x ∈ A | f (x) = yi } e Bn,i = {x ∈ An | f (x) = yi } = Bi ∩ An . Allora Z f dµ = A X yi µ(Bi ) = i (per la sigma-additività di µ ) = X yi X µ(Bn,i ) = n i XX n yi µ(Bn,i ) = XZ n i f dµ . An Lo scambio delle sommatorie è consentito per la sommabilità della famiglia di numeri {yi µ(Bn,i )}) . Consideriamo ora una funzione sommabile f qualunque e, dato ε > 0 arbitrario, sia gε ∈ S tale che supx |f (x) − gε (x)| < ε . Allora Z XZ gε dµ = gε dµ , A An n quindi si vede che f è integrabile su ciascun An e Z Z Z Z XZ XZ f dµ| ≤ | f dµ − gε dµ| + | gε dµ − | f dµ − A n An Università di Torino, a.a. 2000-2001 A A A n An f dµ| ≤ 24 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto ≤ εµ(A) + X εµ(An ) = 2εµ(A) . n 2) Anche per questa implicazione ci si riconduce alle proprietà delle serie assolutamente convergenti, con funzioni semplici approssimanti. q.e.d. Osservazione. Non sarebbe sufficiente,per questa seconda parte, chiedere che ∞ Z X | f dµ| < +∞ . An n=1 Ad esempio, se si considera l’intervallo ]0, 1] con la misura di Lebesgue dx, le sue partizioni costituite dagli intervalli Xn e rispettivamente Ak definite da Xn =] 1 1 1 1 , ] , Ak = X2k−1 ∪ X2k =] , ], n+1 n 2k + 1 2k − 1 e la funzione f (x) = +∞ X (−1)n n(n + 1)χXn (x) , 1 si ha Z f (x)dx = (−1)n , Xn X Z | f (x)dx| = Ak k X 0=0 , k ma f non è integrabile, altrimenti lo sarebbe il suo valore assoluto, mentre Z 1 XZ X |f (x)|dx = |f (x)|dx = 1 = +∞ . 0 n Xn n Per le nozioni fondamentali concernenti la sommabilità rinviamo, per esempio, a Negro [ ], Appendice A.4. Riportiamo di seguito soltanto un breve riassunto dei risultati essenziali, senza dimostrazioni. * * * Definizione. Una famiglia {aκ }κ∈K , dove K è un insieme arbitrario, di numeri complessi si dice sommabile se e solo se, indicando con F l’insieme dei sottoinsiemi finiti di K, posto X sF = aκ per F ∈ F , κ∈F esiste un numero complesso s tale che ∀ε > 0 ∃F0 ∈ F ∀F ∈ F F0 ⊆ F ⇒ |s − sF | < ε . In tal caso s si dice la somma della famiglia e si scrive X s= aκ . κ∈K Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 25 Proposizione. Nel caso di numeri reali non negativi (aκ ≥ 0) si può equivalentemente definire s come estremo superiore delle somme finite: s = sup sF . F ∈F Proposizione. La famiglia {aκ }κ∈K è sommabile se e solo se è sommabile la famiglia {|aκ |}κ∈K . Proposizione. Sia {Kγ }γ∈Γ una partizione arbitraria di K, allora X X X aκ = ( aκ ) . κ∈K γ∈Γ κ∈Kγ In particolare, se K = Λ×M , si ha, sotto la condizione di sommabilità della famiglia {a(λ µ) }(λ µ)∈Λ×M la formula di commutazione dei segni di somma: X X X X X a(λ,µ) = ( a(λ,µ) ) = ( a(λ,µ) ) . λ∈Λ µ∈M (λ,µ)∈Λ×M µ∈M λ∈Λ Nella dimostrazione della σ-additività dell’integrale serve soltanto la seguente Proposizione. Se sup M X N X M,N j=1 k=1 allora +∞ X +∞ X j=1 k=1 |ajk | < +∞ , ajk = +∞ X +∞ X ajk , k=1 j=1 tutte le serie essendo assolutamente convergenti. & & & Per le applicazioni future e per il suo intrinseco interesse segnaliamo la seguente disuguaglianza, che fornisce una stima, non necessariamente accurata, della misura degli insiemi dove una funzione sommabile assume valori maggiori di un livello prefissato. Disuguaglianza di Markov. (Talvolta detta di Chebychev) Sia f ≥ 0 q.o. in A e sia c > 0 un numero reale positivo arbitrario: Z 1 µ({x ∈ A | f (x) ≥ c}) ≤ f dµ . c A Dimostrazione. Poniamo B = {x ∈ A | f (x) ≥ c} : Z Z Z f dµ = f dµ + f dµ ≥ c · µ(B) . A Università di Torino, a.a. 2000-2001 B A−B 26 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto q.e.d. Da questa disuguaglianza si deduce un risultato semplice ma importante. Proposizione. Z ∀A ∈ A f dµ = 0 ⇒ f = 0 q.o. A Dimostrazione. Si ha anche ∀A ∈ A Z |f |dµ = A Z f dµ − A∩{f >0} Z f dµ = 0 . A∩{f ≤0} Basta allora osservare che, se An = {|f | ≥ 1/n}, {|f | > 0} = ∪n An e µ(An ) ≤ n Z |f |dµ = 0 , X vista la disuguaglianza di Markov. q.e.d. Teorema (assoluta continuità dell’integrale). Sia f integrabile su A: Z ∀ε ∃δ > 0 ∀B ∈ A B ⊆ A e µ(B) < δ ⇒ | f dµ| < ε . B È conseguenza del teorema successivo, in quanto Z F (B) = |f |dµ per B ⊆ A e B ∈ A B è una misura (sigma-additiva e finita) in A . Definizione. Sia F : A → R una funzione (d’insieme). Si dice che F è σ-additiva o una misura (con segno) se: X A = ∪n∈N An , An ∈ A , Ai ∩ Aj (i 6= j) ⇒ F (A) = F (An ) , n essendo la serie assolutamente convergente. Lo spazio (X, A, F ), dove A è la sigma-algebra di sottoinsiemi di X sulla quale F è definita, si dice spazio di misura con segno. Si osservi che F non prende necessariamente valori non negativi e la convergenza assoluta è pretesa al solito perchè la somma non dipenda dall’ordine con il quale si considerano gli elementi An della partizione. Si dimostra che esiste una costante C tale che |F (A)| ≤ C per ogni A ∈ A, cioè F è limitata. Definizione. Sia µ una misura positiva. La misura (con segno) F è µ-assolutamente continua se e solo se ∀A ∈ A µ(A) = 0 ⇒ F (A) = 0 . Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 27 Vedremo nel capitolo successivo che, Rse F è µ−assolutamente continua, allora esiste f , univocamente definita q.o., tale che F (A) = A f dµ (teorema di Radon-Nikodym). Teorema. Sia F una funzione d’insieme σ-additiva, finita e µ-assolutamente continua, allora ∀ε ∃δ > 0 ∀A ∈ A µ(A) < δ ⇒ |F (A)| < ε . Ci limitiamo al caso di una misura positiva: F ≥ 0 . Dimostrazione. Per assurdo esistano ε > 0 e An tali che ∀n µ(An ) < 1/2n e F (An ) ≥ ε . Poniamo A = lim sup An = ∩n ∪p≥n Ap = {x ∈ X | x ∈ An per infiniti indici n } . n Allora ∀n µ(A) ≤ X µ(Ap ) ≤ p≥n X 1/2p = 1/2n−1 . p≥n Dunque µ(A) = 0, ma per la continuità delle misure e la finitezza di F , risulta F (A) = lim F (∪p≥n Ap ) ≥ ε , n che contaddice l’ipotesi di µ-assoluta continuità. q.e.d. 2.5 Passaggio al limite sotto segno di integrale I teoremi di questo paragrafo sono validi anche nel caso di misure non finite. Teorema (di Lebesgue o della convergenza dominata). Sia A ∈ A e siano f, fn : A → R funzioni misurabili. Sia ϕ una funzione sommabile su A. Allora Z Z fn → f q.o. in A e |fn (x)| ≤ ϕ(x) q.o. in A ⇒ fn dµ → f dµ . A Dimostrazione. Dato ε > 0, 1) per l’assoluta continuità dell’integrale esiste δ > 0 tale che Z µ(B) < δ ⇒ ϕdµ < ε/4 ; B 2) per il teorema di Egorov possiamo scegliere B tale che µ(B) < δ e su C = A − B fn → f uniformemente , quindi esiste N tale che ∀x ∈ C ∀n ≥ N |fn (x) − f (x)| ≤ ε/2µ(C) ; Università di Torino, a.a. 2000-2001 A 28 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto 3) si trova allora, per n ≥ N , Z Z Z Z Z | f dµ − fn dµ| ≤ |fn − f |dµ + |fn |dµ + |f |dµ < ε/2 + ε/4 + ε/4 = ε . A A C B B q.e.d. Teorema (di Beppo Levi o sulla convergenza monotona): Sia fn una successione di funzioni integrabili su A (A ∈ A) tali che Z f1 ≤ f2 ≤ ... ≤ fn ... q.o. in A e fn dµ ≤ C , n dove C è una costante (indipendente da n). Allora per q.o. x in A esiste finito il limite f (x) = lim fn (x) < +∞ , n la funzione f è integrabile su A e Z f dµ = lim n A Z fn dµ . A Dimostrazione. Non è restrittivo supporre f1 ≥ 0 , altrimenti basterebbe studiare la successione fn − f1 . Per la monotonia, q.o in A fn converge ad un limite finito o diverge a +∞ . 1) Indicando con D l’insieme dove fn diverge, dimostriamo che D ha misura nulla. D = {x ∈ A | fn (x) → +∞} = ∩k ∪n Dk,n , dove Dk,n = {x ∈ A | fn (x) > k} . Per la positività di fn e la disuguaglianza di Chebychev µ(Dk,n ) ≤ C/k . Ma Dk,1 ⊆ Dk,2 ⊆ ... ⊆ Dk,n ... e ∀k D ⊆ ∪n Dk,n , quindi µ(D) ≤ µ(∪n Dk,n ) = lim µ(Dk,n ) ≤ C/k , n cioè µ(D) = 0. 2) Per il passaggio al limite sotto segno di integrale possiamo ricondurci al teorema della convergenza dominata, introducendo una funzione maggiorante ϕ nel modo seguente. Siano Ak = {x ∈ A | k − 1 ≤ f (x) < k} e ϕ(x) = k per x ∈ Ak . Ovviamente, essendo f l’estremo superiore delle fn , |fn (x)| ≤ ϕ(x) q.o. in A . Basta allora verificare che ϕ è sommabile. Se Bp = ∪pk=1 Ak , su Bp |fn (x)| ≤ p . Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 29 La costante p è sommabile su Bp (stiamo supponendo che la misura sia finita) e quindi su Bp il teorema della convergenza dominata è applicabile. Inoltre per definizione ϕ(x) ≤ f (x) + 1 , dunque Z Z p X kµ(Ak ) = ϕdµ ≤ f dµ + µ(Bp ) ≤ Bp k=1 ≤ lim n Z Bp fn dµ + µ(A) ≤ C + µ(A) . Bp Ma allora la serie +∞ X kµ(Ak ) = Z ϕdµ A k=1 converge (assolutamente) e ϕ è sommabile. q.e.d. Teorema di Fatou. Siano g, fn funzioni integrabili su A, tali che Z g ≤ fn q.o. in A e lim inf fn dµ = C < +∞ . n→+∞ A Allora f = lim inf n fn è integrabile su A e Z Z f dµ ≤ lim inf fn dµ = C . n A A Dimostrazione. Poniamo gn = inf fp . p≥n Le funzioni gn sono misurabili e integrabili su A, perchè maggiorabili e minorabili mediante funzioni integrabili: ∀p ≥ n g ≤ gn ≤ fp . Peraltro, f = lim inf fn = sup inf fp = sup gn . n n p≥n n L’ipotesi del teorema sugli integrali delle fn si può scrivere Z sup inf fp dµ = C < +∞ , n p≥n A quindi ∀n inf p≥n Z fp dµ ≤ C . A Ma, essendo ∀p ≥ n Z gn dµ ≤ A risulta ∀n Z A Università di Torino, a.a. 2000-2001 Z fp dµ , A gn dµ ≤ C . 30 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto Basta ora osservare che gn converge q.o. non decrescendo ad f e, applicando il teorema di Beppo Levi, si ottiene che f è integrabile su A e Z Z f dµ = lim gn dµ ≤ C . n A A q.e.d. Una conseguenza quasi immediata del teorema di Fatou, frequentemente utilizzata nelle applicazioni per portare al limite maggiorazionni di integrali, è presentata nel sguente Corollario. Siano fn funzioni integrabili su A tali che ∀n fn ≥ 0 e fn → f q.o. in A , allora ∀n Z fn dµ ≤ C ⇒ A Z f dµ ≤ C . A Dimostrazione. Basta porre g = 0 e osservare che f = lim fn = lim inf fn e che lim inf n n n Z fn dµ ≤ C , A ricorrendo quindi al teorema di Fatou. 2.6 Lo spazio delle funzioni integrabili Sia (X, A, µ) uno spazio di misura. Dunque A è una σ-algebra e µ una misura (σ-additiva), che assumeremo completa. Continuiamo a supporre, soltanto per semplicità delle dimostrazioni, µ(X) < +∞ . Consideriamo l’insieme delle funzioni (a valori reali) integrabili su X e poniamo Z 1 1 L = L (X, A, µ) = {f ∈ M(X, A, µ) | |f |dµ < +∞} . X È immediato verificare che L1 è uno spazio vettoriale su R e che R X |f |dµ è una seminorma su L1 . Per operare in uno spazio normato, introduciamo la relazione di equivalenza f ∼ g ⇔ f (x) = g(x) q.o. e definiamo lo spazio quoziente L1 = L1 (X, A, µ) = L1 / ∼ . R Si controlla senza difficoltà che kf k1 = X |f ∗ |dµ , dove f ∗ è un qualunque rappresentante di f (f ∗ ∈ f ), è una norma nello spazio vettoriale L1 . Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 31 Nel seguito, ove non vi siano pericoli di equivoco, tenderemo ad adottare il comune abuso di linguaggio che confonde rappresentanti e classi di equivalenza. Per esempio diremo “sia f una funzione di L1 ” , intendendo che vogliamo considerare una classe di equivalenza ed f indica sia la classe che un suo rappresentante, modificabile arbitrariamente su un insieme di misura nulla. Teorema. (Completezza di L1 ). L1 munito della norma kf k1 = di Banach. Dimostrazione. Sia fn una successione di Cauchy in L1 : R X |f |dµ è uno spazio ∀ε > 0 ∃n0 ∀m, n ≥ n0 kfm − fn k1 ≤ ε . Possiamo estrarre una sottosuccessione fnk tale che kfnk − fnk+1 k1 < 1 . 2k Infatti ∀k ∃nk > nk−1 ∀n ≥ nk kfn − fnk k1 < 1 . 2k Consideriamo la serie F (x) = |fn1 (x)| + |fn2 (x) − fn1 (x)| + ... . R Le sue ridotte Fk (x) non decrescono e i loro integrali sono limitati: X Fk dµ ≤ C = ||fn1 ||1 + 1. Applicando il teorema di Beppo Levi, si ottiene che F (x) < +∞ q.o. e che F è integrabile. Allora fn1 (x) + fn2 (x) − fn1 (x) + ... + fnk (x) − fnk−1 (x) = fnk (x) converge q.o. ad un limite finito f (x). Ma |fnk | ≤ F e dunque, applicando il teorema di Lebesgue sulla convergenza dominata, si ottiene in particolare che f ∈ L1 . Vediamo ora che f è limite in L1 di fnk : fnk − f → 0 q.o. e |fnk − f | ≤ 2F , dunque, sempre per il teorema di Lebesgue, Z Z kfnk − f k1 = |fnk − f |dµ → 0 dµ = 0 . X X Essendo fn di Cauchy, la convergenza di una sottosuccessione implica la convergenza di tutta la successione: kfn − f k1 → 0. q.e.d. Corollario. Ogni successione fn convergente in L1 ammette una sottosuccessione covergente q.o. Dimostrazione. Ogni successione convergente è di Cauchy. q.e.d. Osservazione. Se fn → f in L1 non necessariamente fn → f q.o. controesempio: sia X = [0, 1[ con la misura di Lebesgue usuale; sia χn,k = χ[(k−1)/n,k/n[ n = 1, 2, ... , k = 1, 2, ..., n . Università di Torino, a.a. 2000-2001 Basta fornire un 32 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto Ordiniamo queste funzioni caratteristiche formando la successione fp = χn,k , p = 1 + 2 + ...(n − 1) + k . Per ogni x ∈ [0, 1[ vi sono infiniti indici p per i quali fp (x) = 1 e infiniti per i quali fp (x) = 0: quindi la successione fp non converge in nessun punto. Ma ovviamente Z fp dx = 1/n → 0 per n → +∞ X e dunque fp converge a 0 in norma L1 . Se fn converge ad f in L1 e fnk è una sottosuccessione convergente ad f q.o., fnk converge ad f in misura (la convergenza q.o. implica quella in misura). Questo risultato può essere rafforzato. Teorema. Se fn converge ad f in L1 , allora fn (l’intera successione) converge in misura ad f. Dimostrazione. Basta applicare la disuguaglianza di Markov: Z 1 µ({|fn − f | ≥ c}) ≤ |fn − f |dµ → 0 c X per n → +∞. Teorema. Le combinazioni lineari (finite) delle funzioni caratteristiche degli insiemi misurabili sono dense in L1 . Questa proprietà si esprime dicendo che {χA }A∈A è una famiglia totale in L1 . Dimostrazione. 1) Le funzioni semplici integrabili sono dense in L1 . Infatti se f ∈ L1 esiste una successione di funzioni semplici integrabili fn uniformemente convergente ad f . Ma allora, se |f − fn | < ε per n ≥ ν, si ha Z kf − fn k1 = |f − fn |dµ < εµ(X) X 1 e quindi fn converge ad f in L . 2) Sia g una funzione semplice integrabile: g= +∞ X y k χA k e k=1 +∞ X |yk |µ(Ak ) < +∞ , k=1 dove le yk sono i valori distinti di g e Ak gli insiemi misurabili (disgiunti) sui quali g vale yk . Allora, posto N X gN = y k χA k , k=1 si ha kg − gN k1 = +∞ X |yk |µ(Ak ) → 0 K=N +1 per N → +∞ . Dunque le combinazioni lineari finite di funzioni caratteristiche di insiemi misurabili sono dense nell’insieme delle funzioni semplici integrabili, e, per il punto uno, sono dense Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 33 in L1 . q.e.d. Tenendo conto della completezza di L1 , il risultato ora ottenuto permette di stabilire il seguente criterio di integrabilità. Teorema. Una funzione f è integrabile se e solo se essa è limite q.o. di una successione fn di funzioni semplici che assumono solo un numero finito di valori distinti e che costituiscono una successione di Cauchy il L1 : f ∈ L1 ⇔ f = lim fn q.o. , fn = n Nn X ykn χAnk e k=1 Z |fm − fn |dµ < ε X per ogni ε > 0, purché m ed n siano sufficientmente grandi. Inoltre Z Z f dµ = lim fn dµ . X n X Dimostrazione. Se le fn formano una successione di Cauchy in L1 , per la completezza di L1 esse convergono in L1 ad una funzione integrabile f ∗ ed una loro sottosuccessione converge q.o. a f ∗ . Dunque f = f ∗ q.o. e Z Z Z | f dµ − fn dµ| ≤ |f − fn |dµ → 0 . X X X Viceversa, per il precedente teorema di densità, ogni funzione integrabile può essere approssimata come indicato nell’enunciato di questo teorema. q.e.d. 2.7 L’integrale in spazi di misura σ-finita Nel caso di misure non finite (µ(X) = +∞) una definizione diretta dell’integrale mediante approssimazione con funzioni semplici richiederebbe qualche variante. In tal caso infatti la convergenza uniforme di una successione di funzioni semplici non implica necessariamente la convergenza dei loro integrali. Ad esempio, con X = R e l’ordinaria misura di Lebesgue dx, si ha Z n def (−1) fn (x) = χ]−n,n[ (x) → 0 uniformemente, ma fn dx = 2(−1)n , n X e la successione degli integrali è oscillante. Avendo già trattato il caso delle misure finite, volendo conservare la proprietà che una funzione è integrabile se e solo se il suo valore assoluto è integrabile, volendo inoltre conservare la σ-additività dell’integrale, conviene adottare la definizione seguente. Definizione. Sia µ σ-finita e sia {Xn }n una partizione di X con insiemi disgiunti di misura finita: X = ∪n Xn , i 6= j ⇒ Xi ∩ Xj = ∅ , µ(Xn ) ≤ +∞ . Università di Torino, a.a. 2000-2001 34 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto Una funzione f : X → R si dice integrabile se e solo se la sua restrizione a ciascun Xn è integrabile su Xn , dunque il suo valore assoluto è integrabile su Xn , e la serie degli integrali del valore assoluto converge: XZ |f |dµ < +∞ . n Xn (Con un abuso di linguaggio, di uso comune, negli integrali precedenti abbiamo scritto f in luogo di f |Xn .) Si pone allora Z XZ f dµ = f dµ , X n Xn serie convergente, la cui somma non dipende dall’ordine dei termini. Osservazione 1. La definizione dell’integrale non dipende dalla partizione considerata. Se infatti Yn è un’altra partizione con µ(Yn ) < +∞, consideriamo la partizione più fine Xj ∩ Yk , il cui elemento generico verrà indicato con Zn . Per la σ-additività dell’integrale, che abbiamo studiato nel caso di insiemi di misura finita, e per le proprietà di decomposizione delle somme infinite, si vede facilmente che se una delle famiglie Z Z Z { |f |dµ}n , { |f |dµ}p , { |f |dµ}q Xn Yp Zq è sommabile, anche le altre lo sono e XZ XZ |f |dµ = n Xn |f |dµ = Yp p XZ q |f |dµ . Zq Osservazione 2. La presenza dei valori assoluti è indispensabile. Ad esempio in R, munito della misura di Lebesgue dx, per la funzione X f (x) = (−1)n χ[n,n+1[ (x) , n∈Z il cui valore assolto è la costante 1, se Xj = [2j, 2j + 2[ , Yk = [2k + 1, 2k + 3[ , Zp = [p, p + 1[ , si ha X Z | j Xj f (x)dx| = X Z | k f (x)dx| = Yk X 0=0 , X Z | p k f (x)dx| = Zp X 1 = +∞ . p Osservazione 3. In luogo di partizioni si possono considerare successioni esaustive: X1 ⊂ X2 ⊂ ... ⊂ Xn ... , X = ∪n Xn , µ(Xn ) < +∞ , R chiedendo che supn Xn |f |dµ < +∞ e ponendo allora Z Z f dµ = lim f dµ . X n Xn Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 35 Ci si riconduce alla definizione precedente considerando la partizione Xn+1 − Xn (X0 = ∅). Per l’integrale rispetto a misure µ σ-finite valgono la σ-additività, l’assoluta continuità, il teorema di Radon-Nikodym per misure con segno F finite, i teoremi di Lebesgue, B.Levi e Fatou, la completezza di L1 , le relazioni stabilite tra la convergenza in L1 e quelle in misura e q.o. e la densità delle combinazioni lineari finite delle funzioni caratteristiche degli insiemi di misura finita. Per controllare questa affermazione, basta, fissata una partizione (numerabile) di X in insiemi di misura finita Xn , operare separatamente su ciascun Xn e mettere insieme i risultati parziali, tenendo conto che unioni numerabili di insiemi di misura nulla hanno misura nulla, che, dato ε > 0, per ν sufficientemente grande X Z |f |dµ < ε |n|>ν Xn e che la teoria della sommabilità consente decomposizioni arbitrarie delle somme. Università di Torino, a.a. 2000-2001 36 Capitolo 2. Integrale di Lebesgue astratto Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica Capitolo 3 Misure con segno Ricordiamo la Definizione. Sia A una σ−algebra in X ed F una funzione d’insieme F : A → R. Si dice che F è σ-additiva o che è una misura con segno se: A = ∪n∈N An , An ∈ A , Ai ∩ Aj (i 6= j) ⇒ F (A) = X F (An ) , n essendo la serie assolutamente convergente. Lo spazio (X, A, F ), dove A è la sigma-algebra di sottoinsiemi di X sulla quale F è definita, si dice spazio di misura con segno. Abbiamo già osservato che F non prende necessariamente valori non negativi e la convergenza assoluta è pretesa, al solito, perchè la somma non dipenda dall’ordine con il quale si considerano gli elementi An della partizione. Proposizione. Esiste una costante C tale che |F (A)| ≤ C per ogni A ∈ A, cioè F è limitata. Dimostrazione. È una conseguenza immediata della decomposizione di Hahn, che verrà considerata nella sezione seguente. Ricordiamo ancora la Definizione. Sia µ una misura positiva. La misura (con segno) F è µ-assolutamente continua se e solo se ∀A ∈ A µ(A) = 0 ⇒ F (A) = 0 . Ricordiamo infine che per le misure assolutamente continue vale il Teorema. Sia F una funzione d’insieme σ-additiva, finita e µ-assolutamente continua, allora ∀ε ∃δ > 0 ∀A ∈ A µ(A) < δ ⇒ |F (A)| < ε . 37 38 Capitolo 3. Misure con segno 3.1 Decomposizione di Jordan e di Hahn Per le misure a valori reali (o misure con segno) valgono i seguenti risultati di decomposizione. Teorema. 1) Decomposizione di Jordan. Posto, per A ∈ A: F + (A) = sup F (S) , F − (A) = − inf F (S) , |F | = F + + F − , S⊆A S⊆A F + , F − , |F | sono misure positive (su A) dette variazione positiva, negativa e totale di F e risulta F = F+ − F− . Inoltre se G ed H sono misure positive tali che F = G − H, allora F + ≤ G e F − ≤ H. 2) Decomposizione di Hahn. Detto insieme di negatività un insieme A ∈ A per il quale F + (A) = 0, cioè tale che ogni suo sottoinsieme misurabile abbia misura non positiva, e insieme di positività un insieme A ∈ A per il quale F − (A) = 0, cioè tale che ogni suo sottinsieme misurabile abbia misura non negativa, esistono due insiemi disgiunti X + e X − , rispettivamente di positività e di negatività, massimali e unici, a meno di insiemi di misura |F | nulla, tali che X = X+ ∪ X− F + (A) = F (X + ∩ A), F − (A) = −F (X − ∩ A), . e Premettiamo alla dimostrazione la seguente Osservazione. n sottoinsiemi arbitrari An di X generano una partizione di X in 2n celle Cj , alcune eventualmente vuote, ognuna delle quali è della forma A∗1 ∩ A∗2 ... ∩ A∗n , dove per ogni k A∗k = Ak oppure A∗k = Ack . (Le Cj sono disgiunte e, per ogni x ∈ X, si ha (x ∈ A1 ∨ x ∈ Ac1 ) ∧ (x ∈ A2 ∨ x ∈ Ac2 )...) Dimostrazione del teorema. Per ogni S ⊆ A si ha F (A) = F (S) + F (S c ) e quindi F + (A) = sup F (S) = F (A) − inf F (S c ) = F (A) − inf F (S) = F (A) − F − (A) . S S S Se F = G − H, con G e H misure positive, F + (A) = sup F (A) = sup (G(S) − H(S)) ≤ sup G(S) = G(A) S⊆A S⊆A S⊆A e analogamente F − (A) ≤ H(A). Quando avremo stabilito che F + e F − sono misure avremo dimostrato la decomposizione di Jordan. È utile stabilire prima la decomposizione di Hahn. Sia Aj una successione massimizzante, tale che lim F (Aj ) = F + (X) = sup F (S) . j S⊆X Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 39 Per ogni n, siano Cnj le celle della partizione generata da A1 , ...An e Xn l’unione di quelle di misura non negativa: Xn = ∪j∈P Cnj dove P = { j | F (Cnj ) ≥ 0} . Ovviamente F (An ) ≤ F (Xn ), perché tutte le celle positive di An sono in Xn . Al crescere di n si k hanno partizioni sempre più fini (ogni Cnj è unione di celle Cn+1 ) e dunque Un = Xn ∪ Xn+1 ... k è un successione noncrescente (anche se in generale non si ha Xn ⊆ Xn+p , perché le celle Cn+p j nelle quali si scompone una cella Cn di misura ≥ 0 potrebbero non essere tutte di misura ≥ 0). Poniamo allora X + = lim sup Un = ∩n ∪p≥n Xp n e controlliamo che X + è un insieme di positività massimale. Per ogni n si ha F (An ) ≤ F (Xn ) ≤ F (∪p≥n Xp ) ≤ F + (X) , dunque, per la monotonia delle Un e per la continuità di F +∞ > F (X + ) = lim F (Un ) = lim F (An ) = F + (X) , n n cioè X + è massimale e la variazione positiva finita. Poniamo ora X − = X − X + e controlliamo che X + , X − formano una decomposizione di Hahn. Infatti F (X + ) ≤ F + (X + ) ≤ F + (X) = F (X + ) e dunque F (X + ) = F + (X + ) = F + (X). Ne segue, essendo F (X + ) = F + (X + ) − F − (X + ), che F − (X + ) = 0, e, essendo F + (X − ) + F + (X + ) ≥ F + (X), che F + (X − ) = 0; cioè X + e X − sono effettivamente insiemi di positività e negatività. A questo punto è immediato riconoscere che F + (A) = F (A ∩ X + ) , F − (A) = −F (A ∩ X − ) , perché F (A) = F (A ∩ X + ) + F (A ∩ X − ) e per S ⊆ A si ha F (S) ≤ F (S ∩ X + ) ≤ F (A ∩ X + ) e F (S) ≥ F (S ∩ X − ) ≥ F (A ∩ X − ). Pertanto F + e F − sono misure. Infine, se (Y + , Y − ) è un’altra decomposizione di Hahn: 0 ≤ F + (Y + ∩ X − ) ≤ 0 , 0 ≤ F − (Y + ∩ X − ) ≤ 0 , perché nel primo caso X − è di negatività e nel secondo caso Y + è di positività. Dunque F ± (Y ± ∩ X ∓ ) = 0 , |F |(Y ± ∆X ± ) = 0 . q.e.d. Osservazione. Come preannunciato, la decomposizione di Hahn permette di controllare che, se una misura F ha sempre valori finiti, allora essa è limitata. Infatti, per ogni insieme misurabile A si ha |F (A)| ≤ |F |(A) = F + (A) + F − (A) ≤ F (X + ) + |F (X − )| . Università di Torino, a.a. 2000-2001 40 Capitolo 3. Misure con segno 3.2 Il Teorema di Radon-Nikodym Abbiamo già enunciato, nel capitolo precedente, il seguente risultato fondamentale, reciproco della assoluta continuità dell’integrale, del quale forniremo ora una dimostrazione. Teorema (di Radon-Nikodym). Sia F una funzione d’insieme σ-additiva, finita e µassolutamente continua. Allora esiste f : X → R misurabile tale che Z ∀A ∈ A F (A) = f dµ . A f è univocamente individuata, a meno di modifiche arbitrarie su un insieme di misura nulla, e si dice derivata di Radon-Nikodym di F . Questo teorema, fermo restando il fatto che F sia finita, vale anche se µ è σ-finita. Dimostrazione del teorema di Radon-Nikodym. Per la decomposizione di Jordan di F , non è restrittivo supporre che F sia una misura positiva finita. Infatti, se µ(S) = 0 ⇒ F (S) = 0, essendo F + (A) = supS⊆A F (S), si ha µ(A) = 0 ⇒ F + (A) = 0. In modo analogo si vede che F − è assolutamente continua. Indicando, come sempre, con M la classe delle funzioni misurabili (che dipende da A e non dalle singole misure definite su A), poniamo Z G = { 0 ≤ g ∈ M | ∀A ∈ A gdµ ≤ F (A) } . A G ha le proprietà seguenti: a) Se g1 , g2 ∈ G, E ∈ A e g = g1 χE + g2 χE c , cioè se g = g1 su E e g = g2 su E c , allora g ∈ G. Infatti 0 ≤ g ∈ M e per ogni insieme misurabile A si ha Z Z Z gdµ = g1 dµ + g2 dµ ≤ F (A ∩ E) + F (A ∩ E c ) = F (A) . A A∩E c A∩E In particolare g1 ∨ g2 ∈ G: basta prendere E = {g1 > g2 }. Più in generale il massimo tra un numero finito di funzioni in G è ancora in G. b) Se F non è identicamente nulla, esiste una funzione h ∈ G non q.o. nulla rispetto a µ. Infatti, posto Fn = F − µ/n, sia Xn l’insieme di positività di una decomposizione di Hahn relativa a Fn : Fn (Xn ) = Fn+ (X). Dunque 0 ≤ F (Xnc ) ≤ µ(X) →0 n La successione Xn è oviamente nondecrescente e la successione Xnc noncrescente e quindi F (∩n Xnc ) = lim F (Xnc ) = 0 e n F (∪n Xn ) = F (X) > 0 . Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 41 Allora esiste N tale che µ(XN ) > 0, altrimenti, per l’assoluta continuità di F , si avrebbe F (Xn ) = 0 per ogni n. Basta ora prendere h(x) = χXN (x)/N , perché per ogni A, essendo FN (A ∩ XN ) ≥ 0 (XN è di positività per FN ), risulta Z Z dµ µ(A ∩ XN ) hdµ = = ≤ F (A ∩ XN ) ≤ F (A) N N A A∩XN e h ∈ G, mentre h non è µ-q.o nulla. Sia M = sup g∈G Z gdµ ≤ F (X) , gn ∈ G e lim n X Z gn dµ = M . X Poniamo fn = g1 ∨ g2 ∨ ... ∨ gn . Si ha fn ∈ G e gn ≤ fn ≤ fn+1 . Allora, per il teorema di B.Levi e la scelta delle gn : Z Z fn → f < +∞ µ − q.o. e fn dµ → f dµ = M . X X Controlliamo che, per ogni A e g ∈ G, si ha Z Z gdµ ≤ f dµ ≤ F (A) A e dunque f ∈ G. Infatti Z A f dµ = lim n A Z fn dµ ≤ F (A) A e se esistessero A e g ∈ G tali che Z f dµ < A Z posto ψ = gχA + f χAc , si avrebbe ψ ∈ G e Z Z Z ψdµ = gdµ + X gdµ < F (A) , A f dµ > Ac A Z f dµ = M , A∪Ac Rin contraddizione con la definizione di M . Ora finalmente siamoRin grado di stabilire che F (A) = A f dµ. Infatti, se così non fosse, la misura Φ(A) = F (A) − A f dµ, assolutamente continua rispetto a µ, non sarebbe identicamente nulla ed esisterebbe una funzione h non µ-q.o. nulla tale che Z ∀A ∈ A hdµ ≤ Φ(A) . A Ma allora f + h ∈ G, perché Z (f + h)dµ ≤ A Z f dµ + Φ(A) = F (A) A e si giungerebbe all’assurdo che M = sup g∈G q.e.d. Università di Torino, a.a. 2000-2001 Z gdµ < X Z X (f + h)dµ . 42 3.3 Capitolo 3. Misure con segno Decomposizione di Lebesgue Una situazione diametralmente opposta all’assoluta continuità di una misura con segno F rispetto ad una misura positiva µ è descritta nella seguente Definizione. La misura con segno F si dice singolare rispetto alla misura (positiva) µ se e solo se esiste un insieme A tale che µ(A) = 0 e |F |(Ac ) = 0, ovvero se F può essere diversa da 0 solo su insiemi di misura µ nulla. Osservazione 1. |F | è singolare rispetto a µ se e solo se µ è singolare rispetto a |F | e si usa indicare tale relazione riflessiva con µ ⊥ |F |. Osservazione 2. Più in generale si può definire F ⊥ G per due misure con segno e risulta F ⊥ G ⇔ |F | ⊥ |G| . Osservazione 3. Se F è simultaneamente singolare e assolutamente continua rispetto a µ allora F ≡ 0. Teorema (Decomposizione di Lebesgue). Sia (X, A, µ) uno spazio di misura ed F una misura con segno definita su A. Allora esistono due misure con segno Fa e Fs , univocamente determinate, tali che Fa è assolutamente continua rispetto a µ, Fs è singolare rispeto a µ e F = Fa + Fs . Dimostrazione. Basta considerare il caso in cui F sia una misura positiva. Sia M = sup{ F (A) | µ(A) = 0 }. Se M = 0, allora F è µ-assolutamente continua. Se M > 0, sia An una successione di insiemi tali che µ(An ) = 0 e lim F (An ) = M . n Poniamo S = ∪n An . Ovviamente X µ(S) ≤ µ(An ) = 0 e ∀n F (An ) ≤ F (S) . n Per la prima disuguaglianza µ(S) = 0 e dunque F (S) ≤ M . Per le altre disuguaglianze F (S) ≥ M e dunque F (S) = M . Ponendo Fa (A) = F (A ∩ S c ) e Fs (A) = F (A ∩ S) , si ottiene una decomposizione di Lebesgue. Infatti, Fs è concentrata su un insieme di misura µ nulla e quindi è singolare; e Fa è assolutamente continua, perché µ(A) = 0 implica µ(S ∪ (A ∩ S c )) = 0 e, se fosse Fa (A) = F (A ∩ S c ) > 0, si avrebbe F (S ∪ (A ∩ S c )) > F (S) = M , in contraddizione con la definizione di M . Se F = Ga + Gs è una qualunque decomposizione di Lebesgue, allora Fa − Ga = Gs − Fs . Ma la prima differenza è assolutamente continua e la seconda singolare; dunque entrambe le differenze sono nulle, e ciò dimostra l’unicità della decomposizione. q.e.d. Esempi semplici ma significativi saranno presentati studiando le misure di Lebesgue-Stieltjes in R. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica Capitolo 4 Estensione di misure 4.1 Semianelli e algebre generate Definizione. Una famiglia S di sottoinsiemi di un insieme X si dice semianello se e solo se 1) ∅ ∈ S; 2) Se A, B ∈ S allora A ∩ B ∈ S; 3) Se A, B ∈ S e B ⊂ A allora A si può ottenere come unione disgiunta di un numero finito di elementi di S, uno dei quali è B: A = ∪nk=1 Bk , Bk ∈ S , Bi ∩ Bj = ∅ se i 6= j , B1 = B . Gli elementi di S sono in genere insiemi “semplici” ai quali è “naturale” associare una misura “elemntare” m. La struttura di semianello serve per estendere m a famiglie pi‘u ampie ed interessanti di sottoinsiemi di X. Ad esempio gli intervalli di Rn , cioè gli insiemi della forma (a1 , b1 ) × (a2 , b2 ) × ... × (an , bn ) , dove (p, q) indica un intervallo di R che può essere aperto, chiuso o semiaperto, costituiscono un semianello. Se esiste X ∈ S tale per ogni A ∈ S risulta A ⊆ X si dice che X è l’unità di S . Ad esempio i sottointervalli di un intervallo fisso I di Rn costituiscono un semianello con unità I. Sia S un semianello con unità X e R l’insieme delle unioni finite di elementi di S: B ∈ R ⇔ B = ∪N k=1 Bk , Bk ∈ S . È facile verificare che R è un’algebra. Si dice che R è l’algebra generata da S. In virtù della proprietà 3) dei semianelli, ogni B ∈ R si può scrivere come unione disgiunta di un numero finito di elementi di S. 43 44 Capitolo 4. Estensione di misure Sia m : S → [0, +∞[ (per ragioni di semplicità nel seguito assumeremo che m(X) < +∞ ) una misura su S , cioè una funzione additiva. (Ad esempio n n Y Y m( (bk − ak )) = (bk − ak ) .) k=1 k=1 Proposizione. Esiste un’unica misura su R che prolunga m, ancora indicata con m, ed è definita da m(B) = N X m(Bk ) se B = ∪N k=1 Bk , Bk ∈ S e Bi ∩ Bj = ∅ se i 6= j . k=1 La dimostrazione è elementare, bisogna però verificare che la somma non dipende dalla scelta della decomposizione di B in insiemi elementari appartenenti ad S: se B è unione digiunta degli insiemi Cl ∈ S, l = 1...M , allora gli insiemi Ak,l = Bk ∩ Cl sono una partizione di B in insiemi elementari e per l’additività di m su S : N X N X M X m(Bk ) = k=1 4.2 m(Ak,l ) = k=1 l=1 M X m(Cl ) . l=1 Misura esterna Definizione. Per ogni sottoinsieme A di X (A ∈ P(X)) si pone µ∗ (A) = inf{ +∞ X m(Bk ) | A ⊆ ∪+∞ k=1 Bk , Bk ∈ S} . k=1 La funzione µ∗ : P(X) → [0, +∞[ si dice misura esterna. P La misura esterna è una valutazione di A in termini di “costo minimo” (cioè k m(Bk )) per ricoprire A con una successione “ottimale” di elementi semplici Bk . In generale il minimo non esiste e non vi è un ricoprimento ottimale. Si considera allora l’estremo inferiore dei “costi” possibili. In generale una misura esterna non è una misura perché non è necessariamente additiva. Tuttavia vale la Proposizione. µ∗ è σ-subadditiva: ∗ A ⊆ ∪+∞ n=1 An ⇒ µ (A) ≤ +∞ X µ∗ (An ) . n=1 In particolare µ∗ è monotona: A ⊆ B ⇒ µ∗ (A) ≤ µ∗ (B) . Dimostrazione. Dato ε > 0, siano Bnk ∈ S con An ⊆ ∪k Bnk e X k m(Bnk ) ≤ µ∗ (An ) + ε . 2n Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 45 Allora A ⊆ ∪n ∪k Bnk e µ∗ (A) ≤ XX n m(Bnk ) ≤ X µ∗ (An ) + ε . q.e.d. n k ∗ Si noti che µ (∅) = 0 , essendo ∅ ∈ S . Osservazione. La funzione d(A, B) = µ∗ (A∆B) è una pseudometrica in P(X). Infatti: d(A, B) ≥ 0 , d(A, A) = 0 , ma d(A, B) = 0 non implica A = B ; d(A, B) = d(B, A) ; d(A, B) ≤ d(A, C) + d(A, B) . Infatti A∆A = ∅ , ma vi possono essere insiemi non vuoti di misura esterna nulla. Inoltre A∆B = B∆A . Infine A∆B ⊆ (A∆C) ∪ (C∆B), perché se (x ∈ A ∧ x ∈ / B) ∨ (x ∈ / A ∧ x ∈ B) allora o x ∈ C e quindi (x ∈ C ∧ x ∈ / B) ∨ (x ∈ C ∧ x ∈ / A) , oppure x ∈ / C e quindi (x ∈ / C ∧ x ∈ A) ∨ (x ∈ / C ∧ x ∈ B). Per la subadditività di µ∗ si ottiene µ∗ (A∆B) ≤ µ∗ (A∆C) + µ∗ (C∆B) . Osserviamo ancora che per ogni pseudo metrica d si ha |d(x, z) − d(z, y)| ≤ d(x, y) e quindi, essendo E∆∅ = E : |µ∗ (A) − µ∗ (B)| ≤ µ∗ (A∆B) . Nel seguito supporremo che m sia σ-additiva su S ,cioè B, Bk ∈ S , B = ∪+∞ k=1 Bk , Bi ∩ Bj = ∅ se i 6= j implica m(B) = +∞ X m(Bk ) . k=1 Proposizione. µ∗ |R = m. Di conseguenza, essendo m additiva e µ∗ sigma-subadditiva, m è σ-additiva su R. Ricordiamo che in generale additività finita e σ-subadditività implicano σ-additività: se A è l’unione disgiunta degli Ak , ∀n m(∪nk=1 Ak ) = n X k=1 Università di Torino, a.a. 2000-2001 m(Ak ) ≤ m(A) ≤ +∞ X k=1 m(Ak ) . 46 Capitolo 4. Estensione di misure Basta allora passare al limite per n → +∞ per verificare che l’ultima disuguaglianza è in effetti una uguaglianza. Dimostrazione della Proposizione. 1) In primo luogo vediamo che µ∗ = m su S, perchè risulta B ⊆ ∪+∞ k=1 Bk , B, Bk ∈ S ⇒ m(B) ≤ +∞ X m(Bk ) . k=1 Poniamo infatti Ck = Bk ∩ B ∈ S. B è unione in generale non disgiunta dei Ck . Poniamo allora Dk = Ck − ∪k−1 j=1 Cj ∈ R. I Dk sono disgiunti e B = ∪+∞ k=1 Dk , m(Dk ) ≤ m(Ck ) ≤ m(Bk ) . k Essendo Dk ∈ R, si può scrivere Dk = ∪ni=1 Eki , con gli Eki ∈ S disgiunti. Allora B è unione i disgiunta degli Ek e, per la σ-additività di m su S, si trova m(B) = nk +∞ X X m(Eki ) = k=1 i=1 +∞ X m(Dk ) ≤ k=1 +∞ X m(Bk ) . k=1 2) Sia ora A = ∪nk=1 Ak ∈ R, con gli Ak ∈ S disgiunti. Ovviamente µ∗ (A) ≤ n X m(Ak ) = m(A) . k=1 j Per ogni ricoprimento A ⊆ ∪+∞ j=1 Bj , Bj ∈ S, se poniamo Ck = Ak ∩ Bj , risulta j Ak ⊆ ∪+∞ j=1 Ck , m(Ak ) ≤ +∞ X m(Ckj ) , j=1 ∪nk=1 Ckj ⊆ Bj , n X m(Ckj ) ≤ m(Bj ) . k=1 Pertanto m(A) = n X m(Ak ) ≤ k=1 = +∞ X n X j=1 k=1 n X +∞ X m(Ckj ) = k=1 j=1 m(Ckj ) ≤ +∞ X m(Bj ) . j=1 Per l’arbitrarietà delle Bj si ha m(A) ≤ µ∗ (A). q.e.d. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 4.3 47 Insiemi misurabili Si può considerare una classe in genere più ampia di R, ma in genere più ristretta di P(X), tale che la restrizione di µ∗ ad essa sia una misura. Definizione. A ∈ P(X) si dice misurabile se e solo se ∀ε > 0 ∃B ∈ R d(A, B) < ε . Indicheremo con L la famiglia dei sottoinsiemi di X misurabili nel senso ora indicato. Ovviamente R ⊆ L . Per A ∈ L si pone µ(A) = µ∗ (A) cioè µ = µ∗ |L . Le Proposizioni 1 e 2 seguenti saranno precisate dalle successive Proposizioni 3 e 4. Proposizione 1. L è un’algebra. Dimostrazione. 1) Ovviamente la definizione implica che R ⊆ L. 2) Se A ∈ L e Bε ∈ R, con d(A∆Bε ) < ε, essendo A∆Bε = (A ∩ Bεc ) ∪ (Ac ∩ Bε ) = Ac ∆Bεc e Bεc ∈ R, si ha Ac ∈ L. 3) Se A1 , A2 ∈ L e B1,ε , B2,ε ∈ R, con d(Aj ∆Bj,ε ) < ε, j = 1, 2, essendo B1,ε ∪ B2,ε ∈ R, (A1 ∪ A2 )∆(B1,ε ∪ B2,ε ) ⊆ (A1 ∆B1,ε ) ∪ (A2 ∆B2,ε ) e dunque, per la monotonia e subadditività di µ∗ : d((A1 ∪ A2 ), (B1,ε ∪ B2,ε )) ≤ d(A1 ∆B1,ε ) + d(A2 ∆B2,ε ) < 2ε , si ha A1 ∪ A2 ∈ L. 4) X ∈ R e quindi X ∈ L. q.e.d. Proposizione 2. µ è additiva su L . Dimostrazione. Siano A1 , A2 ∈ L disgiunti. Basta verificare che µ(A1 ) + µ(A2 ) ≤ µ(A1 ∪ A2 ) , prché già sappiamo (subadditività di µ∗ ) che µ(A1 ) + µ(A2 ) ≥ µ(A1 ∪ A2 ) . Siano B1 , B2 ∈ R, tali che d(Aj ∆Bj ) < ε, j = 1, 2 e poniamo A = A1 ∪ A2 , B = B1 ∪ B2 . Allora, come nella proposizione precedente d(A, B) < 2ε. Inoltre, essendo A1 ∩ A2 = ∅, cioè Ac1 ∪ Ac2 = X, si ha B1 ∩ B2 ⊆ (A1 ∆B1 ) ∪ (A2 ∩ B2 ) e m(B1 ∩ B2 ) < 2ε . Università di Torino, a.a. 2000-2001 48 Capitolo 4. Estensione di misure Ricordando che in generale µ∗ (P ) − d(P, Q) ≤ µ∗ (Q), otteniamo µ(A) ≥ µ(B) − 2ε ≥ m(B1 ) + m(B2 ) − m(B1 ∩ B2 ) − 2ε ≥ ≥ µ(A1 ) − ε + µ(A2 ) − ε − 2ε − 2ε . E, per l’arbitrarietà di ε, la disuguaglianza iniziale e con essa la proposizione è dimostrata. Proposizione 3. L è una σ-algebra. Dimostrazione. Dati Ak ∈ L, sia A = ∪+∞ k=1 Ak . Definendo A0k = Ak − ∪k−1 j=1 Aj ∈ L , 0 ∗ si ha A = ∪+∞ k=1 Ak , con unione disgiunta, e quindi, per la monotonia di µ e la finita additività di µ, per ogni n n X µ(A0k ) = µ(∪nk=1 A0k ) ≤ µ∗ (A) . k=1 P+∞ Allora k=1 µ(A0k ) ≤ µ∗ (A) e, dato ε > 0, esiste N tale che 0 ∪N k=1 Ak ∈ L e dunque esiste Bε ∈ R tale che P k>N µ(A0k ) < ε. Inoltre CN = µ∗ (CN ∆Bε ) = d(CN , Bε ) < ε . Ma, se DN = ∪k>N A0k : A∆Bε = (CN ∪ DN )∆Bε ⊆ (CN ∆Bε ) ∪ DN e, per la subadditività di µ∗ , d(A, Bε ) = µ∗ (A∆Bε ) ≤ ε + X µ(A0k ) < 2ε . k>N Cioè A ∈ L. q.e.d. Proposizione 4. µ è σ-additiva su L . Dimostrazione. µ è finitamente additiva e σ-subadditiva su L e già sappiamo che queste due proprietà implicano la σ-additivtà di µ. q.e.d. Proposizione 5. µ è completa su L . Dimostrazione. Si osservi che se µ∗ (A) = 0 allora A ∈ L: ∅∈R e ∀ε > 0 µ∗ (A∆∅) < ε . Dunque se µ(A) = 0 e B ⊆ A, si ha µ∗ (B) = 0 e pertanto B ∈ L. q.e.d. Possiamo allora riassumere i risultati precedenti nel Teorema. Sia S un semianello con unità X e m una funzione non negativa, finita e σadditiva su S, allora (X, L, µ) è uno spazio di misura completo (ovvero L è una sigma-algebra Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 49 in X e µ è una misura (finita) sigma-additiva e completa su L ). Osservazione. L’estensione σ−additiva µ della misura elementare m è unica, nel senso che se λ è una qualunque estensione σ−additiva di m e A ∈ L appartiene al dominio di definizione di λ allora λ(A) = µ(A). Infatti, sull’algebra R generata da S λ, µ e m coincidono, ma per ogni ε > 0 esiste B ∈ R tale che µ(A∆B) < ε e dunque |µ(A) − µ(B)| = |µ(A) − m(B)| = |µ(A) − λ(B)| < ε . Osservazione. Le affermazioni precedenti valgono anche per misure σ-finite. In particolare, se si parte da una misura (σ-additiva) m σ-finita su un’algebra A, poiché L contiene σ(A) (la σ-algebra generata da A), si verifica che m ha un’unica estensione ad una misura µ σ-finita su σ(A), risultato noto come teorema di Hahn-Kolmogorov. 4.4 Il criterio di Carathéodory La famiglia degli insiemi misurabili, nel senso della definizione introdotta nella sezione precedente, può essere anche caratterizzata dal seguente Criterio di Carathéodory. A ⊆ X è misurabile se e solo se per ogni S ⊆ X si ha µ∗ (S) = µ∗ (S ∩ A) + µ∗ (S ∩ Ac ) . Dimostrazione. 1) Supponiamo che A sia misurabile. Sia P un insieme misurabile (ad esempio una unione disgiunta e numerabile di elementi del semianello iniziale) tale che S ⊆ P e µ∗ (S) ≤ µ(P ) ≤ µ∗ (S) + ε, allora µ∗ (S) + ε ≥ µ(P ) = µ(P ∩ A) + µ(P ∩ Ac ) ≥ µ∗ (S ∩ A) + µ∗ (S ∩ Ac ) . Per l’arbitrarietà di ε si ha µ∗ (S) ≥ µ∗ (S ∩ A) + µ∗ (S ∩ Ac ) . Essendo µ∗ subadditiva, si ottiene l’uguaglianza desiderata µ∗ (S) = µ∗ (S ∩ A) + µ∗ (S ∩ Ac ) . 2) Supponiamo ora che A soddisfi il criterio di Carathéodory e controlliamo che A è misurabile. Sia P una unione disgiunta e numerabile di elementi del semianello iniziale, P = ∪k Ik , tale che A⊆P e X µ∗ (A) ≤ µ(P ) = µ(Ik ) ≤ µ∗ (A) + ε . k Siano poi n e B tali che P ⊇ B = ∪nk=1 Ik e µ(P ) − ε ≤ µ(B). Allora abbiamo A ⊆ B ∪ (P − B) , A∆B = (A − B) ∪ (B − A) ⊆ (P − B) ∪ (P − A) ; µ(P − B) ≤ ε e Università di Torino, a.a. 2000-2001 50 Capitolo 4. Estensione di misure µ(P ) = µ∗ (P ∩ A) + µ∗ (P ∩ Ac ) = µ∗ (A) + µ∗ (P − A) ≤ µ∗ (A) + ε , dunque µ∗ (P − A) ≤ ε. Finalmente µ∗ (A∆B) ≤ µ∗ (P − B) + µ∗ (P − A) ≤ 2ε , per ogni ε > 0; quindi A è misurabile. q.e.d. *** Viceversa, data una misura esterna, si può usare il criterio di Carathéodory per definire gli insiemi misurabili. Riassumiamo i principali risultati, rinviando per una trattazione più dettagliata e per le relative dimostrazioni a Federer[5] e Hewitt-Stromberg[7]. Definizione. Una funzione M : P(X) → [0, +∞] si dice misura esterna su X se e solo se soddisfa alle condizioni seguenti: 1) M (∅) = 0, e quindi non è identicamente uguale a +∞, 2) A ⊆ B ⇒ M (A) ≤ M (B), cioè M è monotona non decrescente, e 3) per ogni successione di insiemi Ak disgiunti si ha M (∪+∞ k=1 Ak ) ≤ +∞ X M (Ak ) , k=1 cioè M è σ-subadditiva. Definizione. A ⊆ X si dice misurabile (secondo Carathéodory) se e solo se per ogni S ⊆ X si ha M (S) = M (S ∩ A) + M (S ∩ Ac ) . Indichiamo con AM la famiglia degli insiemi misurabili (secondo Carathéodory) e con µ la restrizione di M a AM . Teorema. AM è una σ-algebra, µ una misura σ-additiva e completa, cioè (X, AM , µ) è uno spazio di misura completo. Vi sono molti tipi di procedimenti per generare misure esterne: nella sezione 2 abbiamo visto un metodo di definizione naturale basato su una misura elementare (ma σ-additiva) data su un semianello; nell’ultimo paragrafo del capitolo 7 vedremo misure esterne (di Radon) definite sulla base di un funzionale lineare e positivo sullo spazio delle funzioni continue a supporto compatto. In uno spazio metrico, un procedimento per definire misure esterne di grande importanza, teorica e applicativa, è il seguente: Sia X uno spazio metrico separabile, O la famiglia degli aperti e m un numero reale positivo. Per δ > 0 arbitrario, dato un qualunque sottoinsieme S di X, poniamo µm,δ (S) = inf{ +∞ X (diamOk )m | Ok ∈ O, diamOk ≤ δ, S ⊆ ∪k Ok } , k=1 Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 51 e quindi µm (S) = lim µm,δ (S) = sup µm,δ (S) . δ→0 δ>0 Si vede che µm è una misura esterna detta (eventualmente introducendo un opportuno fattore moltiplicativo) misura di Hausdorff m-dimensionale. Se µm (S) < +∞ e n > m allora µn (S) = 0. Per un sottoinsieme S, l’estremo superiore d dei numeri reali m > 0 per i quali µm (S) = +∞ si dice dimensione di Hausdorff di S. In Rn la misura di Lebesgue è proporzionale a µn . (Per una trattazione approfondita di questi temi si veda ad esempio Federer[5]). Definizione. Una misura esterna M si dice regolare se per ogni sottoinsieme S esiste un sottoinsieme A misurabile (cioè A ∈ AM ) tale che S⊆A e M (S) = M (A) = µ(A) . Si dimostra che, se M è regolare, non esistono estensioni proprie σ-additive, e neppure finitamente additive, di µ concordanti con M , cioè non esiste una σ-algebra A contenete propriemente AM tale che M ristretta ad A sia additiva. La misura esterna µ∗ generata da una misura elementare m σ-additiva su un semianello è regolare. Infatti per ogni S ⊆ X e per ogni n > 0 esiste per definizione una unione An numerabile di elementi del semianello che ricopre S e tale che µ(An ) ≤ µ∗ (S) + 1/n. Allora A = ∩n An è misurabile, contiene S e µ∗ (S) = µ(A). Dunque la σ-algebra degli insiemi misurabili definita nella sezione 3 è massimale, sotto il vincolo di essere una restrizione di µ∗ . Anche le misure esterne (di Radon) definite sulla base di un funzionale lineare e positivo sullo spazio delle funzioni continue a supporto compatto, alle quali acceneremo nel capitolo 7, sono regolari. & & & Università di Torino, a.a. 2000-2001 52 Capitolo 4. Estensione di misure Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica Capitolo 5 Misure in R 5.1 Misure di Lebesgue-Stieltjes in R Ricordiamo che una funzione F nondecrescente in R ammette in ogni punto limite destro e limite sinistro: F (x − 0) = lim− F (t) = sup F (t) ≤ F (x) ≤ inf F (t) = lim+ F (t) = F (x + 0) . t→x x<t t<x t→x Un punto x è di discontinuità per F se e solo se F (x + 0) − F (x − 0) > 0, differenza che in tal caso si dice salto di F in x. Una funzione nondecrescente ha al più un’infinità numerabile di salti (su ogni intervallo finito, ad esempio [−p, p], il numero N di punti con salti ≥ 1/n è limitato da n(F (p) − F (−p)). È bene osservare che i punti di salto possono essere distribuiti in modo arbitrario, ed eventualmente costituire un sottoinsieme denso. Ad esempio, considerando per semplicità un intervallo limitato [a, b[, sia {xn } un sottoinsieme numerabile arbitrario di [a, b[ e {pn } una successione di P valori positivi associati ai punti xn , tale che n pn < +∞. Allora la funzione X F (x) = pn xn <x è monotona nondecrescente e continua a sinistra nell’intervallo [a, b[. I punti xn sono i suoi punti di salto ed i valori pn sono i salti corrispondenti: F (xn + 0) − F (xn ) = pn . Si dice che F è una funzione di salti. Se µ è una misura in R definita almeno sulla σ-algebra dei Boreliani B(R) e limitata sugli insiemi limitati, ad essa si può associare una funzione monotona nondecrescente, definita in modo univoco a meno di una costante additiva, ponendo per a < b: F (b) − F (a) = µ([a, b[) . Per le proprietà di continuità delle misure lungo successioni crescenti di insiemi, F risulta continua a sinistra: F (x − 0) = F (x). Infatti, fissato a < x, F (x) − F (a) = µ([a, x[) = lim µ([a, x − n 53 1 [) = F (x − 0) − F (a) . n 54 Capitolo 5. Misure in R Per le proprietà di continuità delle misure lungo successioni decrescenti di insiemi, F è discontinua in x se e solo se µ({x}) 6= 0, che in tal caso è il salto di F in x: µ({x}) = F (x + 0) − F (x) = lim µ([x, x + n 1 [) . n Se x è un punto di discontinuità di F si ha µ([t, x]) = µ([t, x[) + µ({x}) = F (x + 0) − F (t) 6= µ([t, x[) . Ovviamente µ(]t, x[) = F (x) − F (t + 0) , µ(]t, x]) = F (x + 0) − F (t + 0) . Se la misura è finita, è usuale selezionare la costante arbitraria ponendo F (x) = µ(] − ∞, x[) e in tal caso, per le proprietà di continuità delle misure, F (−∞) = 0 e F (+∞) = µ(R). Vale un risultato reciproco: Teorema. Sia F una funzione nondecrescente e continua a sinistra su R. Si consideri il semianello S degli intervalli semiaperti del tipo [x, y[ ([x, y[= ∅ se y ≤ x), che ha unità R, e si definisca su S la funzione additiva m nel modo seguente: m([x, y[) = F (y) − F (x) se x < y , m(∅) = 0 . Allora m è σ-additiva su S e si può quindi estendere, per il teorema di Hahn-Kolmogorov, ad una misura σ-additiva e completa definita su una σ-algebra LF contenente B(R). Dimostrazione. Per semplicità ci limitiamo a considerare il caso di misure finite generate da funzioni monotone definite su un intervallo [a, b[ limitato. Verifichiamo la σ-additività di m su S. Sia: I = [x, y[, In = [xn , yn [ e I = ∪n In , l’unione essendo disgiunta. 1) Essendo m finitamente additiva e dunque monotona (sull’algebra generata da S), per ogni p risulta p X p ∪n=1 In ⊆ I ⇒ m(In ) ≤ m(I) , n=1 P+∞ e dunque n=1 m(In ) ≤ m(I). 2) Dato ε > 0, considerata la continuità a sinistra di F , si possono trovare y ∗ e x∗n , x < y ∗ < y e x∗n < xn , tali che F (y ∗ ) ≤ F (y) < F (y ∗ ) + ε , F (x∗n ) ≤ F (xn ) < F (x∗n ) + ε . 2n Allora per gli intervalli K = [x, y ∗ [ e Ln = [x∗n , yn [ si ha m(I) ≥ m(K) ≥ m(I) − ε , m(In ) ≤ m(Ln ) ≤ m(In ) + ε/2n . L’aderenza K a di K è compatta e ricoperta dagli interni L◦n degli Ln , dunque è sufficiente un numero finito di aperti L◦j1 , L◦j2 , ...L◦jN per ricoprire K a e allora ◦ N K ⊆ K a ⊂ ∪N k=1 Ljk ⊆ ∪k=1 Ljk Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 55 implica m(I) − ε ≤ m(K) ≤ N X m(Ljk ) ≤ k=1 +∞ X m(Lk ) + ε . k=1 Per l’arbitrarietà di ε e per il punto 1) si ottiene la σ-additività. q.e.d. La misura ottenuta si dice misura di Lebesgue-Stieltjes generata da F . Osservazione. Se F (x) = x si ha m([a, b[) = b − a e l’estensione di m è la classica misura di Lebesgue su R. Le proprietà della funzione F (x) = x e il procedimento di costruzione che conducono all’estensione di Hahn-Kolmogorov mostrano chiaramente che la misura di Lebesgue su R ha la proprietà di invarianza per traslazioni: ∀x ∈ R ∀A ∈ L(R) λ(x + A) = λ(A) . Osservazione. La σ-algebra LF può variare con F , tuttavia si ha sempre B ⊆ LF . Ad esempio, se F (x) = 0 per x ≤ c e F (x) = 1 per c < x, F genera la misura di Dirac δc sulla σ-algebra massimale P([a, b[): c∈ / A ⇒ δc (A) = 0 , c ∈ A ⇒ δc (A) = 1 . Invece la misura di Lebesgue ordinaria, generata da F (x) = x, è definita,come vedremo successivamente (insiemi non misurabili) su una σ-algebra strettamente contenuta in P([a, b[). Ossevazione. Si potrebbe in modo equivalente lavorare con funzioni monotone continue a destra. Ad esempio, data µ, si potrebbe porre F (x) = µ(] − ∞, x]. L’integrale di Riemann-Stieltjes. Ci limitiamo a considerare il caso di un intervallo limitato semiaperto [a, b[. 1) Se F è una funzione monotona non decrescente e continua a sinistra su [a, b[ e µ è la misura da essa generata, risulta corrispondentemente definita una classe di funzioni f sommabili e il loro integrale, detto di Lebesgue-Stieltjes su [a, b[, si scrive in una delle forme equivalenti Z Z Z Z f dµ = f (x)dµ(x) = f (x)µ(dx) = f (x)dF (x) . [a,b[ [a,b[ [a,b[ [a,b[ 2) Data una funzione f definita in [a, b[, in analogia con la definizione dell’integrale classico di Cauchy-Riemann, si possono considerare le partizioni finite di [a, b[ formate dagli intervalli [xk−1 , xk [ (a = x0 < x1 < x2 ... < xn = b), scegliere dei punti arbitrari tk in ogni intervallo e costruire le somme integrali n X f (tk )(F (xk ) − F (xk−1 )) . k=1 Se queste somme amettono un limite I quando max |xk − xk−1 | → 0, indipendentemente dalla scelta dei punti tk , allora I si dice integrale di Riemann-Stieltjes di f su [a, b[ e si indica con Z b f (x)dF (x) . a Università di Torino, a.a. 2000-2001 56 Capitolo 5. Misure in R Osservazione. L’ultima notazione presuppone di aver precisato di voler intendere l’integrale sull’intervallo semiaperto [a, b[. Se si volesse introdurre l’integrale sull’intervallo chiuso [a, b], che si indica con la stessa notazione, si dovrebbe disporre anche di un valore per F (b + 0), maggiore o uguale a F (b), e, se questo fosse diverso da F (b) = F (b − 0), le somme integrali dovrebbero essere incrementate della quantità f (b)(F (b + 0) − F (b)), che si ritroverebbe al limite eventuale. Proposizione. Se f è una funzione continua su [a, b], essa ammette su [a, b[ un integrale di Riemann-Stieltjes coincidente con il suo integrale di Lebesgue-Stieltjes, sempre su [a, b[. Dimostrazione. Le funzioni, costanti a tratti, uguali a f (tk ) su [xk−1 , xk [, sono funzioni semplici e le somme integrali sopra considerate sono i loro integrali di Lebesgue-Stieltjes. Tali funzioni convergono uniformemente a f e quindi, per la definizione stessa dell’integrale di Lebesgue, i loro integrali convergono ad un limite I, che è l’integrale di Lebesgue di f . 5.2 Funzioni a variazione limitata Nella sezione precedente abbiamo studiato misure positive di Lebesgue-Stieltjes, generate da funzioni monotone. Possiamo introdurre misure con segno Λ di Lebesgue-Stieltjes come differenza di due misure positive di Lebesgue-Stieltjes µ e ν. Consideriamo, per semplicità un intervallo limitato [a, b[. Allora, se G(x) = µ([a, x[) , H(x) = ν([a, x[) e dunque G(a) = µ(∅) = H(a) = ν(∅) = 0, le funzioni G e H, monotone non decrescenti e continue a sinistra, generano le due misure µ e ν. La loro differenza f = G − H genera, sulla σ-algebra LG ∩ LH ⊇ B, la misura Λ. Si ha Λ([x, y[) = µ([x, y[) − ν([x, y[) = G(y) − G(x) − [H(y) − H(x)] = f (y) − f (x) . Se G∗ e H ∗ sono altre funzioni monotone per le quali f = G∗ − H ∗ , per tutti gli insiemi di Borel B si ha Λ∗ (B) = µ∗ (B) − ν ∗ (B) = µ(B) − ν(B) = Λ(B) , perché la famiglia dei B tali che Λ∗ (B) = Λ(B) è una σ−algebra, contiene la famiglia degli intervalli [x, y[ e quindi tutti i Boreliani. Dunque, per i Boreliani, tutte le decomposizioni di f come differenza di due funzioni monotone sono equivalenti. La classe delle funzioni che possono essere rapresentate come differenza di due funzioni monotone coincide con la classe delle funzioni a variazione limitata(a valori reali). Definizione. Si dice che una funzione f è a variazione limitata sull’intervallo [a, b] se e solo se esiste una costante M tale che per ogni suddivisione a = x0 < x1 < ... < xn = b dell’intervallo risulta n X |f (xj ) − f (xj−1 )| ≤ M . j=1 Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 57 L’estremo superiore delle somme precedenti, al variare di tutte le suddivisioni finite di [a, b], si dice variazione totale di f sull’intervallo [a, b] e si indica con V (f, [a, b]): V (f, [a, b]) = sup n X |f (xj ) − f (xj−1 )| . j=1 L’insieme delle funzioni a variazione limitata su [a, b] verrà indicato con BV ([a, b]). Osservazione. Ovviamente ogni funzione monotona è a variazione limitata e, se f è monotona, V (f, [a, b]) = |f (b) − f (a)|. Proposizione. BV ([a, b]) è uno spazio vettoriale (su R) e in esso V (f, [a, b]) è una seminor¯ ma: 1) V (f, [a, b]) ≥ 0 e V (f, [a, b]) = 0 se e solo se f è costante; 2) V (λf, [a, b]) = |λ|V (f, [a, b]); 3) V (f + g, [a, b]) ≤ V (f, [a, b]) + V (g, [a, b]). Dimostrazione. I punti 1) e 2) seguono immediatamente dalla definizione di variazione totale. Il punto 3) segue dall’osservazione che per ogni suddivisione dell’intervallo n X |(f + g)(xj ) − (f + g)(xj−1 )| ≤ j=1 n X |f (xj ) − f (xj−1 )| + j=1 n X |g(xj ) − g(xj−1 )| . j=1 Osservazione. Se si fissa il valore delle funzioni in un punto, ad esempio se si considerano solo il sottospazio BV 0 ([a, b]) delle funzioni a variazione limitata f tali che f (a) = 0, si ottiene uno spazio vettoriale normato, e si può facilmente dimostrare che esso è completo. (Per g ∈ BV 0 sia ||g|| = V (g([a, b]). Se fn è una successione di Cauchy allora, per ogni x, fn (x) è di Cauchy in R, perché |fn+p (x) − fn (x) − (fn+p (a) − fn (a))| ≤ ||fn+p − fn ||. Sia f il limite puntuale delle fn : n X |(f − fn )(xj ) − (f − fn )(xj−1 )| = lim p j=1 n X |(fn+p − fn )(xj ) − (fn+p − fn )(xj−1 )| . j=1 Ma, qualunque sia ε > 0, per n sufficientemente grande e per ogni p si ha ||fn+p − fn || < ε, e, prendendo l’estremo superiore del primo membro al variare di tutte le suddivisioni, si trova ||f − fn || ≤ ε.) Proposizione. Per la variazione totale di una funzione su un intervallo valgono le affermazioni seguenti: 1) Se a < c < b allora V (f, [a, b]) = V (f, [a, c]) + V (f, [c, b]); 2) La funzione v(x) = V (f, [a, x]) è monotona nondecrescente; 3) Se, in un punto z, f è continua a sinistra o a destra, allora, in z, anche v è continua a sinistra o a destra. Dimostrazione. Introduciamo la seguente notazione: sia P una partizione di un intervallo formata dai punti xj , allora poniamo S(f, P ) = n X j=1 Università di Torino, a.a. 2000-2001 |f (xj ) − f (xj−1 )| . 58 Capitolo 5. Misure in R Osserviamo che aggiungendo punti di suddivisione la somma non decresce. Siano P 0 e P 00 partizioni di [a, c] e [c, b] tali che V (f, [a, c]) ≤ S(f, P 0 ) + ε , V (f, [c, b]) ≤ S(f, P 00 ) + ε e sia P la partizione di [a, b] unione delle partizioni P 0 e P 00 . Allora V (f, [a, c]) + V (f, [c, b]) ≤ S(f, P ) + 2ε ≤ V (f, [a, b]) + 2ε . Per l’arbitrarietà di ε V (f, [a, c]) + V (f, [c, b]) ≤ V (f, [a, b]) . Viceversa, se P è una partizione di [a, b], che non è restrittivo supporre abbia c come suo punto di suddivisione, allora P si può pensare unione di P 0 e P 00 partizioni di [a, c] e [c, b]. Dunque S(f, P ) = S(f, P 0 ) + S(f, P 00 ) ≤ V (f, [a, c]) + V (f, [c, b]) . Per l’arbitrarietà di P , passando all’estremo superiore V (f, [a, c]) + V (f, [c, b]) ≥ V (f, [a, b]) . Il punto 1) è dimostrato. Essendo V (f, [x, y]) non negativa il punto 2) segue dal punto 1). Se f è continua a sinistra in z, sia z − δ < x < z ⇒ |f (x) − f (z)| < ε . Sia P una partizione di [a, z] con x ultimo punto di suddivisione prima di z e V (f, [a, z]) < S(f, P ) + ε. Allora, se P 0 è la suddivisione di [a, x] ottenuta da P togliendo z, si ha V (f, [a, z]) < S(f, P 0 ) + |f (z) − f (x)| + ε < V (f, [a, x]) + 2ε e, per l’arbitrarietà di ε e la monotonia di v, si ottiene il punto 3) nel caso della continuità a sinistra. Per la continuità a destra la dimostrazione è analoga. Per quanto concerne il punto 1), conviene osservare che, se µ è una misura di LebesgueStieltjes e F una funzione monotona continua a sinistra che la genera, si ha µ([a, b[) = F (b) − F (a) = V (F, [a, b]) . Per avere µ([a, b]) occorre disporre del valore F (b + 0): µ([a, b]) = V (F, [a, b]) + F (b + 0) − F (b). Per una generica funzione a variazione limitata e continua a sinistra f , alla quale sia associato un valore f (b + 0), poniamo V (f, [a, b + 0]) = V (f, [a, b]) + |f (b + 0) − f (b)| . Teorema. La classe delle funzioni a variazione limitata su [a, b] coincide con la classe delle funzioni rappresentabili come differenza di due funzioni monotone nondecrescenti. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 59 Dimostrazione. Ovviamente la differenza di funzioni monotone è a variazione limitata. Viceversa, se v(x) è la variazione totale di f su [a, x] e w = v − f , si ha f = v − w, con v monotona non decrescente, per la proposizione precedente, e anche w monotona non decrescente, perché y < x ⇒ f (x) − f (y) ≤ |f (x) − f (y)| ≤ v(x) − v(y) . Osservazione. La decomposizione proposta ha anche la proprietà che v e w sono continue a destra o a sinistra dove f è continua a destra o a sinistra. Osservazione. Si possono introdurre le funzioni variazione positiva e variazione negativa v + (x) = V + (f, [a, x[) = sup n X max(f (xj ) − f (xj−1 , 0) , j=1 v − (x) = V − (f, [a, x[) = sup n X − min(f (xj ) − f (xj−1 , 0) , j=1 dove il sup è preso su tutte le partizioni finite di [a, x[. Si vede allora che v(x) = v + (x) + v − (x) , f (x) = v + (x) − v − (x) e dunque w = 2v − . Considereremo canonica questa decomposizione di f come differenza di due funzioni monotone e, se µ+ e µ− sono le misure positive generate da v + e v − , diremo che f genera la misura Λ = µ+ − µ− . Ricordiamo che, se ci si limita a considerare insiemi di Borel, tutte le decomposizioni di f come differenza di due funzioni monotone sono equivalenti, nel senso che le differenze delle misure da esse generate coincidono su B. Si può facilmente dimostrare che, se Λ è la misura di Lebesgue-Stieltjes con segno generata da f su B, le misure di Lebesgue-Stieltjes positive generate da v, v + e v − sono |Λ|, Λ+ e Λ− , dove (Λ+ , Λ− ) è la decomposizione di Jordan di Λ. Infatti, se S ⊆ A = [x, y[, con S ∈ B, S può essere approssimato a meno di un errore in misura inferiore ad un ε > 0 arbitrario mediante una unione finita disgiunta U di intervalli Ik = [xk , yk [; dunque Λ+ (A) = sup Λ(S) = sup Λ(S) = sup Λ(S) = V + (f, [x, y[) , S⊆A U U0 dove U 0 indica le unioni tali che f (yk ) − f (xk ) ≥ 0 per ogni k. Considerazioni analoghe valgono per la variazione negativa e la variazione totale. Si definisce in modo naturale l’integrale di Lebesgue-Stieltjes rispetto ad una funzione a variazione limitata f scrivendo f come differenza di due funzioni monotone nondecrescenti: f = F − G e ponendo Z b Z b Z b ψ(x)df (x) = ψ(x)dF (x) − ψ(x)dG(x) . a a a È facile verificare che il risultato è indipendente dalla decomposizione di f . Università di Torino, a.a. 2000-2001 60 Capitolo 5. Misure in R Si può anche definire l’integrale di Riemann-Stieltjes rispetto ad una funzione a variazione limitata f contunua a sinistra, sull’intervallo [a, b[, come limite, se esiste, delle somme integrali n X ψ(tk )(f (xk ) − f (xk−1 )) , k=1 quando maxk |xk − xk−1 | → 0 (tk è un punto dell’intervallo [xk , xk−1 [). Come nel caso delle funzioni monotone, si dimostra che se ψ è continua su [a, b] allora il suo integrale di Riemann-Stieltjes esiste e coincide con quello di Lebesgue-Stieltjes. Inoltre vale la maggiorazione Z b | ψ(x)df (x)| ≤ ||ψ||V (f, [a, b]) , a dove ||ψ|| = maxx |ψ(x)|. Infatti, per ogni partizione, si ha X X | ψ(tk )(f (xk ) − f (xk−1 ))| ≤ |ψ(tk )||f (xk ) − f (xk−1 )| ≤ k k ≤ ||ψ|| X |f (xk ) − f (xk−1 )| ≤ ||ψ||V (f, [a, b]) . k Passando al limite, quando la finezza della partizione tende a zero, si trova la maggiorazione proposta. 5.3 L’integrale di Riemann L’integrale di Lebesgue estende l’integrale nel senso di Riemann. Precisamentesi ha il Teorema. Sia f una funzione reale integrabile nel senso di Riemann sull’intervallo [a, b]. Sia λ la misura di Lebesgue (su [a, b]), allora f è integrabile nel senso di Lebesgue e Z b Z f (x)dx = f dλ , a [a,b] dove il primo membro è il classico integrale di Riemann. Dimostrazione. non è restrittivo limitarsi al caso [a, b] = [0, 1]. Consideriamo delle partizioni sempre più fini di [0, 1] ottenute per suddivisioni successive in 2, 4, 8... parti eguali. Per ogni intero n sia k k+1 fni (x) = infn f (t) , per x ∈ Ikn = [ n , n [ , t∈Ik 2 2 con k = 0, 1...2n − 1, e analogamente fns (x) = sup f (t) , per x ∈ Ikn = [ t∈Ikn k k+1 , [. 2n 2n La definizione di fni e di fns in 1 non è rilevante. Risulta ovviamente ∀n fni ≤ f ≤ fns Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 61 e, per l’integrabilità nel senso di Riemann di f , si ha lim n Z 1 fni (x)dx = 0 Z 1 f (x)dx = lim n 0 Z 1 0 fns (x)dx . Nel contesto dell’integrazione nel senso di Lebesgue abbiamo due successioni monotone di funzioni semplici, che assumono un numero finito di valori distinti, con integrali limitati (superiormente o inferiormente) e coincidenti con i loro integrali nel senso di Riemann (somme integrali). Il teorema di B.Levi è applicabile e dunque esistono due funzioni f i e f s q.o. finite tali che lim fni = f i ≤ f ≤ f s = lim fns n n e lim n Z [0,1] fni dλ = Z f i dλ = [0,1] Z 0 s f (x)dx = Z [0,1] f s dλ = lim n Z [0,1] fns dλ . Allora la funzione non negativa f − f ha integrale nullo e quindi f = f = f i q.o. Ne segue che f è integrabile nel senso di Lebesgue e il suo integrale di Lebesgue coincide con quello di Riemann. q.e.d. 5.4 i 1 q.o. s Insiemi non misurabili L’estensione di una una misura elementare in X, inizialmente definita su un semi-anello, conduce ad una σ-algebra L(X) che, in generale, risulta molto ampia ma non coincidente con P(X). Vediamo il caso particolare della misura classica di Lebesgue λ su un intervallo di R, che per semplicità, supporremo sia [0, 1[. Teorema. Nello spazio di misura ([0, 1[, L, λ) esistono insiemi non misurabili. Dimostrazione. Sia ω un numero irrazionale e introduciamo in X = [0, 1[ la seguente relazione di equivalenza x ∼ y ⇔ x = y + jω + m , per qualche coppia (j, m) ∈ Z2 . Necessariamente −m deve essere la parte intera di y + jω : m = −[y + jω]. È immediato verificare che ∼ è una relazione di equivalenza. Allora X può essere scomposto in classi di equivalenza (disgiunte). Osserviamo che, se x ∼ y, vi è un unico intero j tale che, per qualche m, x = y + jω + m: infatti x = y + jω + m ∧ x = y + kω + n ⇒ (j − k)ω + m − n = 0 e, se fosse j 6= k, allora ω non sarebbe irrazionale. Dunque X è unione di classi (disgiunte), ciascuna delle quali è un insieme numerabile (se x appartiene ad una classe, tutti gli altri elementi della classe sono x + jω − [x + jω], j ∈ Z). Scegliendo un elemento, ed uno solo, in ciascuna classe, formiamo un insieme W . Quindi, per ogni n ∈ Z, consideriamo gli insiemi Wn ottenuti da W aggiungendo nω e sottraendo la parte intera. Dall’osservazione sulla struttura delle classi di equivalenza si deduce immediatamente che gli Università di Torino, a.a. 2000-2001 62 Capitolo 5. Misure in R insiemi Wn sono disgiunti ed hanno unione tutto X. Se W fosse misurabile, tutti gli insiemi Wn avrebbero la stesa misura, perché la misura di Lebesgue eredita dalla misura elementare degli intervalli l’invarianza per traslazioni. (W + nω è contenuto in un intervallo [p, p + 2[ e si scompone in due insiemi, contenuti in [[p, p + 1[ e [p + 1, p + 2[, che vengono successivamente traslati di −p e −(p + 1).) Per la σ-additività, dovrebbe essere X X 1 = λ(X) = λ(Wn ) = c, n n ma la serie converge solo per c = 0, e in tal caso converge a 0. Dunque gli insiemi Wn non possono essere misurabili. q.e.d. Osservazione. Le inclusioni B(R) ⊂ L(R) ⊂ P(R) sono proprie. Si può dimostrare che B(R) ha la potenza del continuo, mentre L(R) ha la stessa potenza di P(R). In questo senso i Boreliani sono una classe estremamente ristretta rispetto a quella di tutti gli insiemi misurabili secondo Lebesgue (Hewitt-Stromberg[7]). Una sottoclasse importante di insiemi misurabili, contenente tutti i Boreliani, è costituita dagli insiemi analitici o insiemi di Souslin, che si ottengono come immagini di spazi metrici separabili e completi (Bourbaki[?], Federer[5]). Esistono estensioni σ-additive µ della misura di Lebesgue λ a σ-algebre M molto grandi, che conservano anche la proprietà di invarianza per traslazioni. Esse tuttavia coincidono con la misura esterna λ∗ indotta da λ soltanto su L (Hewitt-Stromberg[7]). 5.5 Derivate di misure di Borel La derivabilità di una funzione monotona nondecrescente e continua a sinistra F si può studiare, e conviene studiarla, considerando la misura µ di Lebesgue-Stieltjes ad essa associata, definita da µ([a, b[) = F (b) − F (a) . Per le funzioni noncrescenti ci si riporta al caso precedente con un cambiamento di segno. Nei punti nei quali una funzione è derivabile la funzione è continua, dunque la limitazione a funzioni continue a sinistra non ha alcun rilievo per quanto concerne lo studio della differenziabilità. Proposizione. F è derivabile in x e F 0 (x) = L se e solo se, indicando con I un generico intervallo aperto ]a, b[ tale che x ∈ I, si ha ∀ε > 0 ∃δ > 0 ∀I | µ(I) − L| < ε , l(I) dove l è la misura di Lebesgue classica in R. Dimostrazione. 1) Se F è derivabile, dato ε esiste δ tale che |c − x| < δ ⇒ |F (c) − F (x) − L(c − x)| ≤ ε|c − x| . Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 63 Allora, per a < x < b, a e b sufficientemente prossimi a x e n sufficientemente grande, si ha F (b) − F (a + 1 1 ) = F (b) − F (x) − L(b − x) + L(b − a − )+ n n +F (x) − F (a + 1 1 ) − L(x − a − ) n n e dunque 1 1 1 ) − L(b − a − )| ≤ ε(b − x) + ε(x − a − ) . n n n Passando al limite per n → +∞ si trova |F (b) − F (a + |F (b) − F (a + 0) − L(b − a)| ≤ ε(b − a) ⇔ | µ(]a, b[) − L| ≤ ε . l(]a, b[) 2) Se µ(I)/l(I), con x ∈ I, converge, allora, essendo µ({x}) ≤ µ(I), risulta µ({x}) = 0. Dunque µ([x, b[) = µ(]x, b[) e F è continua in x. Dalle relazioni 0<b−x<δ , n≥ν ⇒ | µ(]x − 1/n, b[) − L| ≤ ε l(]x − 1/n, b[) e [x, b[= ∩n ]x − 1/n, b[, passando al limite per n → +∞, si trova | F (b) − F (x) µ([x, b[) − L| = | − L| ≤ ε l([x, b[) b−x e F ha derivata destra in x uguale a L. Analogamente, considerando intervalli I =]a − 1/n, x + 1/n[, con a < x sufficientemente prossimo a x e n sufficientemente grande, poiché [a, x] = ∩n ]a − 1/n, x + 1/n[ , µ([a, x]) = µ([a, x[) = F (x) − F (a) , passando al limite per n → +∞, si vede che L è la derivata sinistra di F in x. q.e.d. Un risultato fondamentale concernente le funzioni monotone (dovuto a Lebesgue) è il sguente Teorema. Una funzione f monotona è q.o. derivabile e la sua derivata f 0 è sommabile. La dimostrazione risulterà dallo studio della derivabilità di misure. Ci occuperemo dunque della derivabilità, o differenziabilità, di una misura di LebesgueStieltjes (non necessariamente positiva), dunque definita sui Boreliani e limitata sui limitati. Ci occuperemo soltanto della sua restrizione ai Boreliani; dunque studieremo soltanto misure di Borel σ-finite, che appunto significa definite sulla σ-algebra dei Boreliani e limitate sui limitati. In genere, per semplicità, ci limiteremo allo studio della misura su un intervallo limitato. Definizione. Si dice che µ è derivabile (o differenziabile) in x se e solo se esiste un numero reale L tale che, indicando con I un generico intervallo aperto ]a, b[ tale che x ∈ I, si ha ∀ε > 0 ∃δ > 0 ∀I | Università di Torino, a.a. 2000-2001 µ(I) − L| < ε . l(I) 64 Capitolo 5. Misure in R In tal caso L si dice la derivata di µ in x e si scrive (Dµ)(x) = L. È utile far ricorso alle derivate superiori e inferiori. Poniamo allora, per ogni r > 0, Dr (x) = sup{ µ(I) | x ∈ I , l(I) < r } l(I) e definiamo la derivata superiore come (Dµ)(x) = lim Dr (x) . r→0 Il limite esiste, essendo Dr (x) non crescente come funzione di r. In modo analogo si definisce la derivata inferiore(Dµ)(x) come limite delle quantità Dr (x) poste uguali all’estremo inferiore dei rapporti µ(I)/l(I). Ovviamente si ha sempre (Dµ)(x) ≤ (Dµ)(x). La misura µ è derivabile in x se e solo se le derivate superiore e inferiore sono finite e coincidono. In questo caso (Dµ)(x) = (Dµ)(x) = (Dµ)(x) . Osserviamo che Dµ(−µ)(x) = −Dµ(x) e che, viste le proprietà degli operatori inf e sup, si ha in ogni punto x Dµ + Dν ≤ D(µ + ν) ≤ Dµ + Dν ≤ D(µ + ν) ≤ Dµ + Dν , come si controlla immediatamente. Dunque, se µ e ν sono derivabili in x, si ha (D(µ + ν))(x) = (Dµ)(x) + (Dν)(x). Osservazione. Se µ è una misura di Lebesgue-Stieltjes, allora Dµ è una funzione Boreliana. Infatti, se Dr (x) > c, esiste un intervallo aperto I tale che x ∈ I , l(I) < r e µ(I)/l(I) > c; e quindi Dr (y) > c per ogni y ∈ I. Pertanto {Dr > c} è aperto e quindi Dr è Boreliana. Essendo Dµ = limr→0 Dr , la derivata superiore è misurabile rispetto alla σ-algebra dei Boreliani. La proposizione seguente svolge un ruolo essenziale. Proposizione. Per ogni B ∈ B(R), se µ(B) = 0, si ha (Dµ)(x) = 0 l-q.o. (cioè q.o. rispetto alla misura di Lebesgue ordinaria) su B. Dimostrazione. Basta considerare il caso in cui B è limitato e, vista la decomposizione di Jordan, il caso in cui µ è positiva. Essendo, per la positività di µ, 0 ≤ Dµ ≤ Dµ, basta dimostrare che l’insieme Boreliano P = {Dµ > 0} ∩ B ha misura di Lebesgue nulla. Il seguito della dimostrazione dipende da una osservazione e da un lemma. Osservazione. La misura µ, almeno se ristretta alla σ-algebra dei Boreliani, è regolare, come dimostreremo nel capitolo 7, studiando il problema della densità di funzioni continue in L1 . Lemma di ricoprimento. Sia I una famiglia finita di intervalli aperti Ik =]ck −rk , ck +rk [, che supporremo per comodità numerata per lunghezza non crescente: l(I1 ) ≥ l(I2 )... ≥ l(IN ) Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 65 e sia A = ∪k Ik . Esiste una sottofamiglia J = {Ikl } disgiunta tale che, se A∗ = ∪kl Ikl , allora l(A) ≤ 3l(A∗ ). Dimostrazione del lemma. Poniamo k1 = 1 e quindi scegliamo progressivamente kl come il primo indice > kl−1 tale che Ikl non incontri ∪i<l Iki , finché ciò sia possibile. Consideriamo gli intervalli ausiliari Jl =]ckl − 3rkl , ckl + 3rkl [, per i quali si ha ovviamente l(Jl ) = 3l(Ikl ). Per ogni Ik ∈ I esiste Ikl ∈ J tale che Ik ∩ Ikl 6= ∅, con kl ≤ k < kl+1 , e dunque Ik ⊆ Jl . Possiamo dunque concludere che l(A) = l(∪k Ik ) ≤ l(∪l Jl ) ≤ X l(Jl ) ≤ 3 l X l(Ikl ) = 3l(A∗ ) . l q.e.d. Seguito della dimostrazione della proposizione. Supponiamo per assurdo che non sia l(P ) = 0, allora esiste un intero n e un Boreliano N ⊆ P tale che x ∈ N ⇒ Dµ(x) > 1/n e l(N ) > 0. Per la regolarità di µ esiste un compatto K ⊆ N con l(K) > 0. Per ogni δ e per ogni x ∈ K ⊆ N esiste un intervallo aperto I tale che x ∈ I, l(I) < δ e 1/n < µ(I)/l(I). Tali intervalli formano un ricoprimento aperto del compatto K, e, tenuto conto del lemma precedente, possiamo trovare un numero finito di questi intervalli, I1 , I2 ...Im , a due a due disgiunti e tali che l(K) ≤ 3 X l(Ij ) . j Sia Kδ l’insieme dei punti a distanza da K minore o uguale a δ, allora, essendo Ij ⊆ Kδ , si ha µ(Kδ ) ≥ µ(∪j Ij ) = X µ(Ij ) > j 1 1X l(Ij ) ≥ l(K) . n j 3n Prendiamo ora δ = 1/p, osserviamo che µ(K) = limp µ(K1/p ) e passiamo al limite nella relazione precedente: 1 µ(K) ≥ l(K) > 0 , 3n in contraddizione con il fatto che K ⊆ A e µ(A) = 0. Dunque l(P ) = 0. q.e.d. Il seguente teorema presenta i risultati fondamentali di questa sezione. Teorema. Sia µ una misura di Borel limitata sui limitati. Allora µ è differenziabile l−q.o. Sia µ = µa + µs è la decomposizione di Lebesgue di µ. La derivata (Dµ)(x) coincide con la derivata f (x) di Radon-Nikodym della parte assolutamente continua µa . Dunque (Dµ)(x) è integrabile per l = dx e per ogni Boreliano B risulta Z µ(B) = µs (B) + (Dµ)(x)dx . B Dimostrazione. Essendo µs singolare, esiste un Boreliano A tale che µs (A) = 0 e l(Ac ) = 0. Per la proposizione precedente Dµs (x) = 0 q.o. su A e, ovviamente, su Ac , dunque Dµs (x) = 0 Università di Torino, a.a. 2000-2001 66 Capitolo 5. Misure in R l-q.o. Se f è la derivata di Radon-Nikodym di µa , si ha per ogni Boreliano B Z µa (B) = f (x)dx . B Basta allora dimostrare che Dµa (x) = f (x) l-q.o. Vediamo che Dµa (x) ≤ f (x) l − q.o. Infatti, indicando con r un generico razionale, si ha Z = { x | f (x) < Dµa (x) } = ∪r Zr , dove Zr = { x | f (x) < r < Dµa (x) } e si vede che l(Zr ) = 0: a tal fine poniamo R = { x | r ≤ f (x) } , ν(B) = Z (f (x) − r)dx , B∩R dove B è un Borelliano arbitrario. ν è una misura di Borel e ν(Rc ) = 0, dunque, per la proposizione precedente, Dν = Dν = 0 q.o. su Rc , dove f (x) < r. Ma µa (B) ≤ ν(B) + rl(B) e Dµa ≤ Dν + r , dunque Dµa (x) ≤ r q.o. su Rc , il che appunto implica l(Zr ) = 0. Essendo −f la derivata di Radon-Nikodym di −µa , avremo anche D(−µa ) ≤ −f q.o. , cioè f (x) ≤ D(−µa )(x) l − q.o. Dunque finalmente f = Dµa l-q.o. q.e.d. Corollario. Se f è una funzione monotona non decrescente continua sinistra si ha Z b f 0 (x)dx ≤ f (b) − f (a) . a La dimostrazione è immediata, considerando la misura generata da f . Se la parte singolare della misura generata da f è nulla, allora vale il segno di uguaglianza. Questo risultato vale più in generale per le funzioni a variazione limitata e può essere presentato in una forma particolarmente utile. Introduciamo la seguente Definizione. Una funzione f si dice assolutamente continua sull’intervallo [a, b] se e solo se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che per per ogni successione finita a ≤ a1 < b1 < a2 < b2 ...an < bn ≤ b si abbia X X (bk − ak ) < δ ⇒ |f (bk ) − f (ak )| < ε . k k Si vede, ovviamente, che le funzioni assolutamente continue sono a variazione limitata. Si dimostra facilmente che una funzione a variazione limitata genera una misura con parte singolare Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 67 nulla se e solo se essa è assolutamente continua. Dunque per le funzioni assolutamente continue si ha Z b f 0 (x)dx = f (b) − f (a) . a Una funzione a variazione limitata, e in particolare una funzione monotona, ha in genere punti di discontinuità; ma anche se è continua non necessariamente è assolutamente continua. Un esempio celebre di funzione nondecrescente continua ma non assolutamente continua è fornito dalla funzione di Vitali, monotona nondescescente e costante sull’insieme di Cantor. L’insieme di Cantor. Si divide l’intervallo [0, 1] in 3 parti uguali, e si toglie l’intervallo aperto centrale A11 =]1/3, 2/3[ . Si divide ciascuno dei due intervalli chiusi rimanenti in 3 parti uguali, e si tolgono i due intervalli aperti centrali A21 =]1/9, 2/9[, A22 =]7/9, 8/9[ . Si procede indefinitamente suddividendo ad ogni passo ciascuno degli intervalli chiusi rimasti. Al passo n si tolgono dunque 2n−1 intervalli aperti Ank (di ampiezza 1/3n ). L’insieme di Cantor C è il chiuso complementare dell’aperto costituito dall’unione A degli aperti disgiunti Ank : n−1 ∪2k=1 Ank . C = Ac , A = ∪+∞ n L’aperto A ha misura di Lebesgue 1: n−1 l(A) = +∞ 2X X n=1 k=1 l(Ank ) = +∞ X 1 2 n−1 ( ) =1. 3 3 1 Dunque C ha misura nulla. C non è vuoto: ad esso appartengono almeno gli estremi degli intervalli Ank , detti punti di prima speciedell’insieme di Cantor. I punti di prima specie formano un insieme numerabile, ma C ha la potenza del continuo. Infatti i punti x dell’intervallo [0, 1] si possono rappresentare in base 3: x = .c1 c2 c3 ..., cioè c2 c3 c1 + 2 + 3 + ... , x= 3 3 3 con ck uguale a 0,1 oppure 2, e le successioni c1 c2 c3 ... per le quali si abbia sempre cn 6= 1 sono in corrispondenza biunivoca con i punti di C (le successioni con cn definitivamente uguale a 0 o 2 corrispondono ai punti di prima specie). Tali successioni formano un insieme che ha la potenza del continuo. I punti di C non di prima specie si dicono di seconda specie e si possono approssimare tanto bene quanto si vuole con punti di prima specie, cioè i punti di prima specie sono un sottoinsieme numerabile denso in C. La funzione di Vitali. Definiamo la funzione v(x) di Vitali nel modo seguente. Sia Bkn la chiusura di Ank e B l’unione delle Bkn : 1) se x ∈ B11 si pone v(x) = 1/2, se x ∈ B12 si pone v(x) = 1/4 e se x ∈ B22 si pone v(x) = 3/4, ... In generale in ogni Bkn il valore di v(x) scende di 1/2n rispetto al valore assunto nell’intervallo Bjn−1 che lo segue immediatamente o sale di 1/2n rispetto al valore assunto nell’intervallo Bjn−1 che lo precede immediatamente; 2) i punti di prima specie di C sono in B e se x è un punto di seconda specie si pone v(x) = Università di Torino, a.a. 2000-2001 68 Capitolo 5. Misure in R limn v(zn ), dove zn è una successione di punti di prima specie convergente ad x (si controlla facilmente che il limite esiste e non dipende dalla successione approssimante). Si vede che v(x) è monotona nondecrescente e continua; ovviamente ha derivata q.o. nulla e genera una misura singolare rispetto alla misura di Lebesgue. In particolare Z 1 v(x)dx = 0 < v(1) − v(0) = 1 . 0 Dal teorema sulla diferenziabilità delle misure segue immediatamente la seguente Proposizione. Sia f una funzione integrabile sull’intervallo [a, b] per la misura di Lebesgue l = dx (f ∈ L1 ([a, b])), allora, indicando al solito con I un intervallo (aperto) al quale appartiene x, risulta Z 1 f (t)dt → f (x) l − q.o , l(I) I quando l(I) → 0. R Dimostrazione. Basta osservare che la misura µ(B) = B f (t)dt è assolutamente continua e la sua derivata Dµ coincide q.o. con la derivata di Radon-Nikodym, e quindi con f . Vale in effetti un risultato più forte, dovuto a Lebesgue. Teorema. Se f ∈ L1 ([a, b]), allora si ha Z 1 |f (t) − f (x)|dt → 0 l − q.o , l(I) I ovvero, per q.o. x e per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni intervallo I con x ∈ I e l(I) < δ il primo membro è inferiore ad ε. I punti x per i quali la precedente relazione di limite vale si dicono punti di Lebesgue di f . Dimostrazione. Per ogni razionale r, f (x) − r è integrabile e, in virtù della proposizione precedente, esiste un insieme eccezionale Zr tale che l(Zr ) = 0 e Z 1 x∈ / Zr ⇒ |f (t) − r|dt → |f (x) − r| . l(I) I Sia Z = ∪r Zr : l(Z) = 0. Sia x ∈ / Z e r tale che |f (x) − r| < ε. Allora x ∈ / Zr e dalla disuguaglianza |f (t) − f (x)| ≤ |f (t) − r| + |f (x) − r| si ricava immediatamente Z Z 1 1 |f (t) − f (x)|dt ≤ |f (t) − r|dt + ε ≤ 2ε , l(I) I l(I) I per l(I) sufficientemente piccolo. Dall’arbitrarietà di ε > 0 segue la tesi. q.e.d. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica Capitolo 6 Misure prodotto e teorema di Fubini 6.1 Misure prodotto Seguiremo la presentazione di Kolmogorov-Fomin[8], che considera soltanto misure prodotto complete, e per semplicità si limita a trattare misure finite. Non è difficile estendere i risultati fondamentali al caso di misure sigma-finite. Proposizione 1. Siano S1 e S2 due semianelli di sottoinsiemi, rispettivamente di X1 e di X2 . Allora S = S1 × S2 , cioè la famiglia degli insiemi della forma A1 × A2 , A1 ∈ S1 , A2 ∈ S2 , è un semianello di sottoinsiemi di X = X1 × X2 . Dimostrazione. Praticamente immediata, ricordando la definizione di semianello: Siano A, B ∈ S, allora A = A1 × A2 , B = B1 × B2 , A1 , B1 ∈ S1 , A2 , B2 ∈ S2 . a) Essendo A1 ∩ B1 ∈ S1 e A2 ∩ B2 ∈ S2 , si ha A ∩ B = (A1 ∩ B1 ) × (A2 ∩ B2 ) ∈ S . b) Sia B ⊂ A, e dunque B1 ⊂ A1 e B2 ⊂ A2 . Allora A1 = ∪pj=1 Cj , C1 = B1 , A2 = ∪qk=1 Dk , D1 = B2 , tutte le unioni essendo disgiunte, con Cj ∈ S1 , Dk ∈ S2 . Allora, se B = B1 × B2 , si ha A = A1 × A2 = B ∪ (∪j,k,j+k>2 Cj × Dk ) . q.e.d. Per induzione, il risultato si estende al prodotto di un numero finito arbitrario di semianelli. 69 70 Capitolo 6. Misure prodotto e teorema di Fubini Un esempio importante è costituito dagli intervalli n−dimensionali di Rn , potenza n−esima del semianello degli intervalli di R. Si osservi che anche se S1 e S2 sono algebre, e quindi in particolare semianelli, possiamo solo affermare che il loro prodotto è un semianello. Definizione. Siano µ1 e µ2 due misure sui semianelli S1 e rispettivamente su S2 . Allora, ponendo µ(C) = µ1 (A) × µ2 (B) , se C = A × B , si definisce una misura sul semianello S = S1 × S2 . Giustificazione. Occorre naturalmente controllare che la funzione µ è effettivamente additiva: sia allora C = A × B = ∪n Cn , Cn = An × Bn , con unione finita e disgiunta, e con A, An ∈ S1 e B, Bn ∈ S2 . Viste le proprietà dei semianelli, si possono presentare A e B come unioni finite e disgiunte di elementi dei rispettivi semianelli: A = ∪k Xk , B = ∪l Yl , in modo che C e tutti i Cn si possano scrivere come unioni finite e disgiunte di insiemi della forma Xk × Yl . (Nel caso di un rettangolo del piano con i lati paralleli agli assi, si tratta dell’usuale procedimento di far intervenire tutte le ascisse e tutte le ordinate degli estremi dei segmenti An e Bn per ottenere una suddivisione più fine). A questo punto il controllo dell’additività diventa immediato. Proposizione. Se le misure µ1 e µ2 sono sigma-additive sui rispettivi semianelli, allora la misura µ sopra definita è sigma additiva su S. Dimostrazione. Sia C = A × B = ∪n Cn , Cn = An × Bn , con unione numerabile e disgiunta, e con A, An ∈ S1 e B, Bn ∈ S2 . Per x ∈ A introduciamo le funzioni 0 x 6∈ An , fn (x) = µ2 (Bn ) x ∈ An . Per ogni x ∈ A si ha {x} × B ⊆ C e dunque, posto J(x) = { j | x ∈ Aj } , risulta ∪j∈J(x) Bj = B . Si osservi che le Cn sono disgiunte, ma le An e Bn in generale non sono disgiunte. Dunque X X X fn (x) = fj (x) = µ2 (Bj ) = µ2 (B) , n j∈J(x) j∈J(x) per la sigma-additività di µ2 . Ricorriamo ora alla sigma-additività di µ1 e consideriamo la sua estensione di Lebesgue λ1 . Le funzioni non negative fn (x) sono integrabili e Z fn (x)dλ1 (x) = µ2 (Bn )µ1 (An ) = µ(Cn ) , A Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 71 inoltre si può applicare il teorema di Beppo Levi alle ridotte della serie delle fn : Z X Z X XZ µ(Cn ) = fn dλ1 = fn dλ1 µ2 (B)dλ1 = µ2 (B)µ1 (A) = µ(C) . n n A A n A q.e.d. Possiamo allora considerare l’estensione di Lebesgue di µ, che indicheremo con µ = µ1 ⊗ µ2 . In generale Definizione. Siano µ1 , µ2 ... µn misure sigma additive sui semianelli S1 , S2 ... Sn in X1 , X2 ... Xn . Si dice loro prodotto l’estensione di Lebesgue di µ1 × µ2 ...µn , definita sul semianello prodotto, alla σ-algebra L(X), dove X = X1 × X2 × ... × Xn e si indica con la notazione µ = µ1 ⊗ µ2 ⊗ ... ⊗ µn . Osservazione. Non si esclude che Sk sia una σ-algebra, cioè che (Xk , Sk , µk ) sia uno spazio di misura. Come si è detto all’inizio, i risultati precedenti sono stati dimostrati nel caso di misure finite, ma valgono anche per misure σ-finite e dunque questa definizione si estende al caso di misure σ-finite. In particolare, se λ è la misura classica di Lebesgue su R, allora λ ⊗ λ... ⊗ λ, con n fattori presenti, è la misura di Lebesgue su Rn . 6.2 Rappresentazioni di insiemi misurabili Ogni insieme misurabile, a meno di un insieme di misura nulla, si può ottenere mediante un’infinità numerabile di operazioni relativamente semplici e controllabili a partire dagli insiemi elementari del semianello S in X, sul quale è inizialmente definita la misura µ sigma-additiva. Precisamente: Teorema. Sia R l’anello generato da S (unioni finite di elementi S) Si indichi ancora con µ l’estensione di Lebesgue della misura σ-additiva inizialmente definita sul semianello e con L la σ-algebra ottenuta mediante il prolungamento. Allora, per ogni A ∈ L, esiste B ∈ L tale che A ⊆ B, µ(A) = µ(B) e con la seguente struttura B = ∩n Bn , B1 ⊇ B2 ⊇ ... ⊇ Bn ⊇ ... , Bn = ∪k Bnk , Bn1 ⊆ Bn2 ⊆ ... ⊆ Bnk ⊆ ... , dove ogni Bnk ∈ R . Dimostrazione. Per ogni p esiste Rp ∈ R tale che µ(A∆Rp ) < Università di Torino, a.a. 2000-2001 1 p 72 Capitolo 6. Misure prodotto e teorema di Fubini e quindi si può trovare Zp unione numerabile di elementi di S tale che A ⊆ Zp e µ(A) ≤ µ(Zp ) < µ(A) + 1 . p Possiamo allora prendere Bn = ∩np=1 Zp , ottenendo una successione noncrescente, con intersezione un insieme B di misura uguale a quella di A . Ma gli insiemi Bn si possono presentare come unioni numerabili di elementi del semianello: Bn = ∪j Snj , Snj ∈ S , e prendendo Bnk = ∪kp=1 Snj si ottiene una successione nondecrescente di elementi di R, con unione Bn . q.e.d. Osservazione. Ovviamente, se B ha la forma sopra indicata e C = B − A, allora A e C sono disgiunti, A = B − C e µ(C) = 0. Nel caso del semianello degli intervalli di Rn , l’insieme B è un Boreliano. 6.3 Il teorema di Fubini Per gli integrali rispetto ad una misura prodotto vale un risultato analogo alla formula di riduzione degli integrali multipli, nota per l’integrale di Cauchy-Riemann in Rn . Ci limitiamo al caso del prodotto di due fattori, potendosi dedurre il caso generale per induzione. Per sottoinsiemi A di un prodotto X × Y , converrà utilizzare le notazioni seguenti Ax = { y | (x, y) ∈ A } , Ay = { x | (x, y) ∈ A } . Ax è la proiezione su Y della sezione di A ottenuta intersecando A con {x} × Y . Un’affermazione analoga vale per Ay . Teorema (di Fubini). Siano µx e µy due misure σ-additive complete e finite (o σ-finite) negli spazi X e Y . Sia µ = µx ⊗ µy il loro prodotto e f (x, y) una funzione valori reali integrabile su un insieme A ⊆ X × Y . Allora: 1) Per µx -q.o. x ∈ X la funzione f (x, ·) è integrabile su Ax , e per µy -q.o. y ∈ Y la funzione f (·, y) è integrabile su Ay , cioè esistono gli integrali Z Z I(x) = f (x, y)dµy , J(y) = f (x, y)dµx , Ax Ay 2) Definendo I(x) = 0 o J(y) = 0 , quando x non appartiene alla proiezione di A su X o quando y non appartiene alla proiezione di A su Y , la funzione I risulta integrabile su X e la funzione J risulta integrabile su Y , cioè esistono gli integrali Z Z I(x)dµx , J(y)dµy ; X 3) Vale la “formula di riduzione” Z Z Z f (x, y)dµ = ( A X Ax Y f (x, y)dµy )dµx = Z Y Z ( f (x, y)dµx )dµy . Ay Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 73 Il teorema di Fubini si può dedurre da un suo caso particolare, quello in cui f (x, y) è la funzione caratteristica χA dell’insieme A e allora gli integrali su Ax e Ay di f sono rispettivamente µy (Ax ) e µx (Ay ). Teorema. Siano µx e µy due misure σ-additive complete e finite (o σ-finite) negli spazi X e Y . Sia µ = µx ⊗ µy il loro prodotto e A un sottoinsieme misurabile di X × Y . Allora: 1) Per q.o. x l’insieme Ax è misurabile e per q.o. y l’insieme Ay è misurabile; 2) IA (x) = µy (Ax ) e JA (y) = µx (Ay ) sono integrabili; 3) Vale la formula Z Z µ(A) = µy (Ax )dµx = X µx (Ay )dµy . Y Dimostrazione. Basta dimostrare la prima uguaglianza. Per insiemi del semianello S prodotto A = A1 × A2 , e dunque Ax = A1 , Ay = A2 , il risultato è evidente. È immediato estenderlo agli elementi dell’anello R generato da S. Per insiemi misurabili generali ricorriamo alla rappresentazione esposta nella sezione 2: A = B − C , µ(A) = µ(B) , µ(C) = 0 e B è intersezione monotona noncrescente di unioni monotone nondecrescenti di elementi di R. Per quanto concerne B il risultato si estende usando il teorema di B. Levi, essendo IBn (x) = lim IBnk (x) , IB (x) = lim IBn (x) , n k IBn1 (x) ≤ IBn2 (x) ≤ ... , IB1 ≥ IB2 ≥ ... , per ogni x, in vitù della continuità delle misure. Per quanto concerne C possiamo trovare un insieme D con una struttura analoga a quella di B, tale che µ(D) = µ(C) = 0 . Allora, essendo ID (x) integrabile e non negativa, si ha µy (Dx ) = 0 q.o. Ma Cx ⊆ Dx implica µy (Cx ) = 0 q.o., per la completezza delle misure. Pertanto Z µ(C) = 0 = µy (Cx )dµx . X Per differenza si ottiene il risultato della tesi per A. q.e.d. Questo teorema permette di ottenere, nel quadro della teoria generale della integrazione, la classica interpretazione “geometrica” dell’integrale. Proposizione. Sia A un insieme misurabile per la misura µx e f (x) una funzione nonnegativa integrabile su A. In Y = R consideriamo la misura standard di Lebesgue µy = λ e prendiamo in X × Y la misura prodotto µ = µx ⊗ λ. Poniamo infine V = { (x, y) | x ∈ A , 0 ≤ y ≤ f (x) } . Università di Torino, a.a. 2000-2001 74 Capitolo 6. Misure prodotto e teorema di Fubini Allora µ(V ) = Z f (x)dµx . A Dimostrazione. Immediata, in quanto per ogni x ∈ A risulta µy (Vx ) = f (x) . Grazie a questa proposizione, siamo ora in grado di dimostrare il teorema di Fubini. Dimostrazione del teorema di Fubini. Consideriamo prima il caso di funzioni nonnegative f (x, y) ≥ 0. In Z = R consideriamo la misura standard di Lebesgue λ e prendiamo in E = X × Y × Z la misura prodotto ν = µx ⊗ µy ⊗ λ = µ ⊗ λ = µx ⊗ ξ , dove ξ = µy ⊗ λ. Posto V = { (x, y, z) | (x, y) ∈ A , 0 ≤ z ≤ f (x, y) } , risulta Z f dµ = ν(V ) = A Z ξ(Vx )dµx = X Z X Z ( f (x, y)dµy )dµx . Ax Per funzioni generali si procede preliminarmente alla decomposizione in parte positiva e parte negativa: f = f + − f − . q.e.d. L’esistenza di Z X Z ( f (x, y)dµy )dµx o di Ax Z Y Z ( f (x, y)dµx )dµy , Ay o anche di entrambi e la loro uguaglianza, non è sufficiente per concludere che f è integrabile su A in X × Y . Rafforzando un poco l’ipotesi si ottiene un criterio di integrabilità. Teorema di Tonelli. Sia Z X Z ( |f (x, y)|dµy )dµx = C ≤ +∞ . Ax Allora |f (x, y)| è integrabile in A; dunque f (x, y) è integrabile su A e il Teorema di Fubini è applicabile. Osservazione. f (x, y) e |f (x, y)| sono simultaneamente integrabili su Ax , ma le due funzioni di x risultanti per integrazione rispetto ad y sono in generale diverse e l’integrabilità della prima su X non implica l’integrabilità della seconda. Dimostrazione. Per ogni N naturale poniamo gN = max(|f |, N ) (troncamento di |f | a livello N ). Poiché stiamo trattando il caso di misure finite, le funzioni gN sono integrabili in quanto misurabili e limitate. Applicando il teorema di Fubini e considerando che gN ≤ |f | si ha Z Z Z gN (x, y)dµ = ( gN (x, y)dµy )dµx ≤ C. A X Ax Inoltre gN ≤ gN +1 ≤ |f | = lim gN . N Allora è applicabile il teorema di B.Levi e |f | risulta integrabile su A. q.e.d. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 6.4 75 σ(A × B) Siano A e B due σ-algebre definite rispettivamente in X e Y . Può essere importante considerare nello spazio prodotto X × Y la più piccola σ-algebra contenente tutti gli elementi A × B di A × B, cioè la σ-algebra σ(A × B). Se su A e B sono definite due misure µ e ν σ-additive, la misura prodotto µ ⊗ ν è definita su una σ-algebra L(X × Y ) che ovviamente contiene σ(A × B). Per le sezioni degli elementi di σ(A × B) vale il risultato interessante seguente: Teorema. Sia S ∈ σ(A × B), allora, per ogni x ∈ X, risulta Sx ∈ B, e simmetricamente, per ogni y ∈ Y , risulta Sy ∈ A. Dimostrazione. Consideriamo la famiglia S dei sottoinsiemi S tali che per ogni x ∈ X, risulta Sx ∈ B. Essa contiene tutti i prodotti P = A × B, con A ∈ A e B ∈ B, perché Px = ∅ se x ∈ /A e Px = B se x ∈ A. Basta allora controllare che S è una σ-algebra. Infatti: 1) X × Y ∈ S, 2) (S c )x = (Sx )c e quindi S ∈ S ⇒ S c ∈ S, 3) (∪n Sn )x = ∪n (Sn )x e dunque Sn ∈ S ⇒ ∪n Sn ∈ S. q.e.d. Università di Torino, a.a. 2000-2001 76 Capitolo 6. Misure prodotto e teorema di Fubini Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica Capitolo 7 Spazi Lp 7.1 Il caso 1 ≤ p < +∞ Sia (X, A, µ) uno spazio di misura. Analogamente a quanto abbiamo fatto per p = 1 nel Capitolo 2, poniamo Z p L (X, A, µ) = {f ∈ M(X, A, µ) | |f (x)|p dµ(x) < +∞} . X In considerazione della ovvia disuguaglianza (a + b)p ≤ (2 max(a, b))p ≤ 2p (ap + bp ) , valida per ogni coppia (a, b) di numeri non negativi, si vede che, se f, g ∈ Lp , allora f + g ∈ Lp , e dunque Lp è uno spazio vettoriale. Osserviamo che in effetti vale la disuguaglianza più precisa (a + b)p ≤ 2p−1 (ap + bp ) , che si ottiene come conseguenza immediata della disuguaglianza di Hölder. Definiamo in Lp la seminorma Z ||f ||p = ( |f (x)|p dµ(x))1/p . X Si tratta effettivamente di una seminorma, perché è non negativa, si annulla per f = 0 e soddisfa la disuguaglianza triangolare, come è ovvio per p = 1 e come risulterà dalle disuguaglianze notevoli che ora prenderemo in considerazione per p > 1. Disuguaglianza di Young. Sia p > 1 e si definisca l’esponente coniugato q nel modo seguente 1 1 + =1. p q 77 Capitolo 7. Spazi Lp 78 È evidente che p è a sua volta l’esponente coniugato di q, che 1/2 è coniugato di sé stesso e che q tende a +∞ quando p tende a 1. Conviene anche osservare che 1 1 p−1 p q 1 =1− = , =p−1 , =q−1= . q p p q p p−1 Per a e b reali nonnegativi arbitrari risulta ab ≤ ap bq + . p q Dimostrazione. Se a o b è uguale a 0 la disuguagianza è ovvia. Altrimenti dividiamo per ab ed otteniamo la disuguaglianza equivalente 1≤ Poniamo x= 1 ap−1 1 bq−1 + . p b q a ap−1 ap/q bq−1 = e dunque = x−q/p , b b a x x−q/p . f (x) = 1 − − p q Risulta q 1 1 1 f (1) = 0 , f 0 (x) = − + x−q/p−1 , f 0 (1) = 0 , f 00 (x) = (− − 1) x−q/p−2 ≤ 0 . p p p p Dunque f (x) è concava, assume il valore massimo 0 per x = 1 e per ogni x positivo si ha f (x) ≤ 0, q.e.d. Disuguaglianza di Hölder. Se f ∈ Lp e g ∈ Lq , dove 1 < p < +∞ e p, q sono esponenti coniugati: 1/p + 1/q = 1 , allora |f g| ≤ |f |p |g|q + ∈ L1 e ||f g||1 ≤ ||f ||p ||g||q . p q Dimostrazione. La disuguaglianza si verifica immediatamente se f = 0 o g = 0. Supponiamo allora f e g non nulli. Normalizziamo f e g, ponendo u= f g ,v = , kf kp kgkq allora, per la disuguaglianza di Young |u(x)||v( x)| ≤ |u(x)|p |v(x)|q + p q e integrando su X si trova kuvk1 ≤ kukp kvkq 1 1 + = + =1. p q p q Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 79 E per la positiva omogeneità delle funzioni k · kp si ottiene il risultato, che scriviamo in forma esplicita: Z Z Z |f g|dµ ≤ ( |f |p dµ)1/p |g|q dµ)1/q q.e.d. X X X Se X è un insieme finito e tutti i suoi elementi hanno misura 1, le funzioni sono sucesioni finite e gli integrali diventano somme ordinarie. In particolare se X ha solo due elementi 0 e 1, f (0) = a ≥ 0, f (1) = b ≥ 0 e g è costante uguale a 1: a + b ≤ (ap + bp )1/p (1q + 1q )1/q e (a + b)p ≤ 2p−1 (ap + bp ) . Dalla disuguaglianza di Hölder segue la disuguaglianza di Minkowski (o disuguaglianza triangolare): se f, g ∈ Lp allora ||f + g||p ≤ ||f ||p + ||g||p . Dimostrazione. Se f + g = 0 il risultato è immediato. Altrimenti: Z Z Z p p−1 |f + g| dµ ≤ |f + g| |f |dµ + |f + g|p−1 |g|dµ ≤ X X X Z Z Z ≤ ( |f + g|q(p−1) dµ)1/q (( |f |p dµ)1/p + ( |g|p dµ)1/p ) . X X X Ma essendo q(p − 1) = p, si trova Z Z Z p 1−1/q p 1/p ( |f + g| dµ) ≤ ( |f | dµ) + ( |g|p dµ)1/p ) . q.e.d. X X X Per ottenere uno spazio normato, introduciamo la relazione di equivalenza f ∼ g ⇔ f (x) = g(x) q.o. in X e definiamo Lp (X, A, µ) come spazio quoziente di Lp rispetto a tale relazione di equivalenza: Lp = Lp / ∼ . Come per L1 le classi di equivalenza vengono spesso, con abuso di linguaggio, dette funzioni e indicate con un loro rappresentante. Tutti i rappresentanti di una classe hanno la stessa seminorma e per F ∈ Lp si pone ||F ||p = ||f ||p dove f ∈ F . Teorema. Lp è uno spazio normato completo cioè uno spazio di Banach. Inoltre da ogni successione convergente in norma || · ||p si può estrarre una sottosuccessione convergente q.o. in X (l’intera successione potrebbe non convergere q.o.). Cenno di dimostrazione. Si procede come nel caso di L1 , considerando le ridotte FN (x) della serie +∞ X F (x) = |fnj (x) − fnj−1 (x) | , j=1 Università di Torino, a.a. 2000-2001 Capitolo 7. Spazi Lp 80 dove si pone fn0 = 0 e le fnj sono scelte in modo che ||fnj − fnj−1 ||p < 1/2k , per j > 1 . Per la disuguaglianza triangolare ||FN ||p ≤ N X |||fnj − fnj−1 ||p ≤ C . j=1 R Cioè X |FN |p dµ < C p e alle FNp , che costituiscono una successione nondecrescente, è pertanto applicabile il teorema di B.Levi: esse convergono q.o. ad una funzione integrabile G, la serie converge e ovviamente F = G1/p . Si deduce allora che esiste una funzione f tale che fnj (x) → f (x) q.o. , |fnj |p , |f |p ≤ G , f ∈ Lp e ||fnj − f ||p → 0 . q.e.d. Teorema. Le combinazioni lineari (finite) delle funzioni caratteristiche degli insiemi misurabili sono dense in Lp , ovvero {χA }A∈A è una famiglia totale in Lp . Dimostrazione. 1) Le funzioni semplici in Lp sono dense in Lp . Infatti se f ∈ Lp e se si pone per f (x) ∈ [k/n, (k + 1)/n[ : fn (x) = k/n o (k + 1)/n , secondo che |k|/n < |k + 1|/n o |k|/n > |k + 1|/n , risulta: fn è semplice, |fn |p ≤ |f |p e fn ∈ Lp , fn converge uniformemente ad f e dunque Z p ||fn − f ||p = |fn (x) − f (x)|p dµ ≤ µ(X)/np → 0 , X per n → +∞ e quindi fn converge ad f in Lp . 2) Sia g una funzione semplice in Lp : g= +∞ X y k χA k e k=1 +∞ X |yk |p µ(Ak ) < +∞ , k=1 dove yk sono i valori distinti di g e Ak gli insiemi misurabili (disgiunti) sui quali g vale yk . Allora, posto N X gN = y k χA k , k=1 si ha ||g − gN ||pp = +∞ X |yk |p µ(Ak ) → 0 K=N +1 per N → +∞ . Dunque le combinazioni lineari finite di funzioni caratteristiche di insiemi misurabili sono dense nell’insieme delle funzioni semplici in Lp , e per il punto 1) sono dense in Lp . q.e.d. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 7.2 81 Il caso p = +∞ Per f misurabile, introduciamo la quantità (essential supremum) ||f ||∞ = ess.supx∈X |f (x)| = inf{M ≥ 0 | |f (x)| ≤ M q.o.} = = inf sup |f (x)| , N ∈N x∈N / dove N è la famiglia dei sottoinsiemi di X di misura nulla. Definizione: L∞ (X, A, µ) = {f ∈ M(X, A, µ) | ||f ||∞ < +∞} . Osservazione. Se f ∈ L∞ allora |f (x)| ≤ ||f ||∞ q.o. ed esiste N ∈ N tale che supx∈N / |f (x) = ||f ||∞ . Infatti sia 1 |f (x)| ≤ ||f ||∞ + su X − Nn , Nn ∈ N . n Allora 1 ∀n |f (x)| ≤ ||f ||∞ + su X − N , N = ∪n Nn ∈ N , n e quindi |f (x)| ≤ ||f ||∞ su X −N . Per la definizione di ||f ||∞ , non può essere supx∈X−N |f (x)| < ||f ||∞ . Considerando la solita realzione di equivalenza ∼ che pone in una stessa classe funzioni uguali q.o., si definisce allora L∞ (X, A, µ) = L∞ (X, A, µ)/ ∼ . Se F ∈ L∞ e f ∈ F si pone ||F ||∞ = ||f ||∞ (tutti i rappresentanti di F hanno la stessa seminorma). Ovviamente ||F ||∞ è una norma in L∞ . Teorema. L∞ è uno spazio normato completo, cioè uno spazio di Banach. Dimostrazione. Sia Fn una successione di Cauchy in L∞ e fn ∈ Fn : |fn (x) − fm (x)| ≤ ||fn − fm ||∞ su X − Yn,m Yn,m ∈ N , e quindi su X − Y , con Y = ∪n,m Yn,m ∈ N . Pertanto fn converge uniformemente in X − Y ad una funzione linite f limitata, che può essere prolungata arbitrariamente a Y ottenendo un elemento di L∞ . Se F = [f ], F = lim Fn in L∞ . n q.e.d. 7.3 Risultati di immersione Teorema (di immersione). Sia µ(X) < +∞ e 1 ≤ q ≤ p ≤ +∞ allora Lp (X) ⊆ Lq (X) e ||f ||q ≤ µ(X)1/q−1/p ||f ||p , Università di Torino, a.a. 2000-2001 Capitolo 7. Spazi Lp 82 (per p = +∞ in luogo di 1/p si deve porre 0 ) Cioè Lp è immerso con continuità in Lq ; in particolare la convergenza in norma Lp implica quella in norma Lq . Inoltre lim ||f ||q = ||f ||∞ . q→+∞ Dimostrazione. Per p = +∞ e per p = q l’immersione e la sua continuità sono evidenti. Se 1 ≤ q < p < +∞ , usando la disuguaglianza di Hölder: Z Z Z 0 0 ||f ||qq = 1 · |f |q dµ ≤ ( (|f |q )s dµ)1/s ( 1s dµ)1/s , X dove si è posto s= X X p 1 1 s p , + = 1 , s0 = = . q s s0 s−1 p−q Dunque ||f ||qq ≤ ||f ||qp · (µ(X)) p−q p . ∞ Infine, se f ∈ L , da un lato si ha Z lim sup( |f |q dµ)1/q ≤ lim sup(µ(X))1/q ||f ||∞ = ||f ||∞ , q→+∞ X q→+∞ dall’altro, per definizione di “ess.sup”, per ogni ε , esiste un insieme misurabile A con µ(A) > 0 sul quale |f (x)| ≥ ||f ||∞ − ε, e quindi Z lim inf ( |f |q dµ)1/q ≥ lim inf (µ(A))1/q (||f ||∞ − ε) = ||f ||∞ − ε . q→+∞ A q→+∞ Per l’arbitrarietà di ε, si trova ||f ||∞ = limq ||f ||q . q.e.d. Se la misura non è finita non vale il precedente teorema di immersione. 7.4 Spazi lp Gli spazi lp (C) di successioni a valori in C si definiscono nel modo seguente. Per 1 ≤ p < +∞ si pone: +∞ X lp = {a = (a0 , a1 , ...) ∈ CN | |an |p < +∞} , n=0 con ||a||p = ( +∞ X |an |p )1/p . n=0 Per p = +∞ si pone l∞ = {a = (a0 , a1 , ...) ∈ CN | sup |an | < +∞} , n Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 83 con ||a||∞ = sup |an | < +∞ . n Se si considera lo spazio discreto N munito della sigma-algebra di tutti i suoi sottoinsiemi e della misura δ che ad ogni insieme costituito da un solo punto n associa il valore 1: δ({n}) = 1 , si può identificare lp con Lp (N, P(N), δ) . Infatti ogni successione definisce una funzione misurabile a(n) = an e: Z +∞ X p |an | = |a|p dδ . N n=0 Il risultato di completezza degli spazi Lp vale anche se la misura non è finita e quindi gli spazi lp sono spazi di Banach. La completeza di lp si può dismostrare direttamente: sia an = (an0 , an1 , ...) una successione (di successioni) di Cauchy in lp . Dato ε > 0, per n, m sufficientemente grandi: +∞ X p |ank − am k | ≤ ε . k=0 p m In particolare, per ogni k risulta |ank − am k | ≤ ε e {ak }k è una successione di Cauchy in C. Sia m ak = limm ak . Per ogni K si ha K X p |ank − am k | ≤ε k=0 e passando al limite per m → +∞ K X |ank − ak |p ≤ ε . +∞ X |ank − ak |p ≤ ε . k=0 Dunque per K → +∞ k=0 Poiché per n sufficientemente grande an − a ∈ lp , essendo an ∈ lp , si ottiene a ∈ lp (si ricordi che per x, y ≥ 0 si ha (x + y)p ≤ 2p−1 (xp + y p )). Allora, per l’arbitrarietà di ε lim ||an − a||p = 0 . n→+∞ q.e.d. Per gli spazi lp vale un risultato di immersione sostanzialmente contrario a quello visto nel caso di misure generali ma finite. Università di Torino, a.a. 2000-2001 Capitolo 7. Spazi Lp 84 Teorema. Sia 1 ≤ q ≤ p ≤ +∞ . Allora lq ⊆ lp con immersione continua, e precisamente ||a||p ≤ ||a||q . Dimostrazione. Per p < +∞ sia c = a/||a||q : +∞ X |ck |q = 1 . k=0 Allora, essendo per ogni k |ck | ≤ 1 , si ha |ck |p ≤ |ck |q e +∞ X |ck |p ≤ 1 . k=0 Quindi ||c||p ≤ 1 , da cui segue immediatamente la tesi. Se q < p = +∞ e a ∈ lq si ha |ak | → 0 per k → +∞ . Sia allora j tale che |aj | = maxk |ak | . Si ha immediatamente X ||a||∞ = sup |ak | = |aj | ≤ ( |ak |q )1/q = ||a||q . k k q.e.d. Osservazione. Le disuguaglianze ottenute valgono ovviamente anche per successsioni finite. Dunque se x1 , x2 ...xn sono numeri non negativi e q ≤ p si ha (xp1 + xp2 + ... + xpn )q ≤ (xq1 + xq2 + ... + xqn )p . 7.5 Densità di funzioni continue Vediamo ora un risultato importante di densità nel caso in cui lo spazio X è strutturato sia come spazio di misura che come spazio metrico. Teorema. Nelle ipotesi 1) (X, A, µ) è uno spazio di misura (µ(X) < +∞); 2) (X, d) è uno spazio metrico; 3) La famiglia B dei Boreliani (per la topologia indotta dalla distanza d) è contenuta in A : B⊆A; 4) Ogni insieme misurabile può essere approssimato in misura, tanto bene quanto si vuole, mediante aperti contenenti e chiusi contenuti: indicando con O e F gli aperti e chiusi di X, ∀ε > 0∀A ∈ A ∃Oε ∈ O∃Fε ∈ FFε ⊆ A ⊆ Oε e µ(Oε − Fε ) < ε , o come si dice la misura µ è regolare. Allora, per 1 ≤ p < +∞, le funzioni continue e limitate (Cb ) in X costituiscono un sottospazio denso in Lp : Cb (X; R) è denso in Lp (X, A, µ; R) . Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 85 (In generale non tutte le funzioni continue hanno potenza p-esima integrabile). Dimostrazione. Ricordando che le funzioni caratteristiche χA degli insiemi misurabili formano una famiglia totale in Lp , è sufficiente approssimare tali funzioni con funzioni continue. Infatti se f ∈ Lp , dato ε > 0, esistono ν, ck , Ak tali che ||f − ν X ck χAk ||p < ε/2 . k=1 Se è possibile trovare φk continua e limitata tale che ||χAk − φk || < ε/2|ck |ν , allora ||f − ν X ck φk ||p < ε . k=1 Siano dunque: A misurabile, ε positivo, Oε e Fε un aperto ed un chiuso con le proprietà indicate al punto 4) delle ipotesi. Poniamo φε (x) = d(x, X − Oε ) , d(x, Fε ) + d(x, X − Oε ) dove, come abitualmente, d(x, E) è definita da d(x, E) = inf d(x, y) y∈E e risulta continua, perché inf d(x, y) ≤ inf (d(x0 , y) + d(x, x0 )) , y∈E y∈E da cui d(x, E) ≤ d(x0 , E) + d(x, x0 ). Scambiando x con x0 si ha d(x0 , E) ≤ d(x, E) + d(x0 , x) e quindi |d(x, E) − d(x0 , E)| ≤ d(x, x0 ) . La funzione φε è ben definita, continua, assume valori compresi tra 0 e 1, vale 1 su Fε e 0 sul complementare di Oε , che è chiuso. Infine Z |χA − φε |p dµ ≤ 1 · µ(Oε − Fε ) < ε . X q.e.d. Proposizione. In uno spazio metrico, se la σ-algebra A coincide con la σ-algebra dei Boreliani B, allora la misura è regolare. Dimostrazione. Sia F la famiglia dei sottoinsiemi di X che si possono approssimare tanto bene quanto si vuole mediante chiusi contenuti e aperti contenenti. Se F è chiuso allora F ∈ F. Infatti, dato ε > 0, si può prendere Fε = F e, in virtù della continuità della misura (finita) lungo successioni decrescenti, trovare un aperto Oε con le proprietà richieste tra gli insiemi aperti An = { x | d(x, F ) < 1/n }, i quali appunto formano una successione decrescente con F = ∩n An . Basta allora dimostrare che F è una σ-algebra, essendo B la minima σ-algebra a Università di Torino, a.a. 2000-2001 Capitolo 7. Spazi Lp 86 cui appartengono tutti i chiusi. Sia dunque An ∈ F e si scelgano Fn , chiusi, e On , aperti, tali che ε Fn ⊆ An ⊆ On , µ(On − Fn ) < n+1 . 2 Posto Oε = ∪n On , Fε = ∪n<N Fn , con N tale che µ(∪n Fn − Fε ) < ε/2, si ottengono un aperto ed un chiuso tali che Fε ⊆ ∪n An ⊆ Oε e µ(Oε − Fε ) < ε . Dunque F è chiuso rispetto alle operazioni di unione numerabile, ed essendo ovviamente chiuso per operazioni di passaggio al complementare, è una σ-algebra. q.e.d. Proposizione. La misura di Lebesgue l su un intervallo limitato di Rn è regolare. Dimostrazione. Sia A misurabile. Allora esiste B, unione finita di intervalli Rj disgiunti, e C unione numerabile di intervalli Sk disgiunti, tali che +∞ l(A∆B) < ε , B = ∪N j=1 Rj , A∆B ⊆ C = ∪k=1 Sk , l(C) < ε . Consideriamo degli intervalli aperti Rja e Ska ottenuti per dilatazione degli intervalli Rj e Sk in modo che ε ε l(Rja − Rj ) < , l(Ska − Sk ) < k . N 2 Allora, posto B a = ∪j Rja , C a = ∪k Ska , O = B a ∪ C a , si ha l(B a − B) < ε , l(C a − C) < ε , l(C a ) < 2ε , O = C a ∪ B ∪ (B a − B) ⊇ (A∆B) ∪ B ⊇ A , O − A ⊆ C a ∪ (A∆B) ∪ (B a − B) . Dunque O è un aperto contenente A e l(O − A) < 4ε. In modo analogo possiamo trovare un aperto O∗ contenente Ac tale che, indicando con F il chiuso complementare di O∗ , ovviamente contenuto in A, si abbia l(O∗ − Ac ) = l(A − F ) < 4ε. E la proposizione è dimostrata. La densità delle funzioni continue integrabili in L1 permette di stabilire un legame importante tra le funzioni misurabili e le funzioni continue, presentato nel seguente enunciato. Teorema (Lusin). Sia µ una misura completa, finita e regolare in uno spazio metrico X. Data una funzione reale f misurabile ed un numero ε > 0, esiste un sottoinsieme Z tale che la restrizione di f a Z è continua e µ(X − Z) < ε. Dimostrazione. Posto En = { |f | > n }, essendo f ovunque finita, si ha ∅ = ∩n En , En+1 ⊆ En , lim µ(En ) = 0 . n c Sia allora Y = EN , con µ(EN ) < ε/2. Y è un sottospazio metrico di X e, essendo misurabile, la restrizione di µ a Y è ancora completa, finita e regolare. Infatti la σ-algebra dei sottoinsiemi misurabili di Y contiene tutti gli aperti relativi, traccia degli aperti di X su Y , e, se A ⊆ Y, F ⊆ A ⊆ O , µ(O − F ) < η , Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 87 con F chiuso in X e O aperto in X, allora F è chiuso in Y , O0 = O∩Y aperto in Y e µ(O0 −F ) < η. La restrizione g di f a Y è limitata e quindi in L1 . Sia gk una successione di funzioni contine integrabili convergente in L1 (Y ) a g. Sia gk∗ una sottosuccessione di gk convergente q.o. in Y a g. Per il teorema di Egorov esiste Z ⊆ Y tale che µ(Y − Z) < ε/2 e la convergenza delle funzioni continue gk∗ su Z è uniforme. Allora la restrizione di g e quindi di f a Z è continua. q.e.d. Osservazione. Nella dimostrazione precedente si è vista la conservazione della regolarità passando ad un sottospazio. Tale tema poteva essere omesso, considerando la funzione g N uguale a g su Y e ad N su X − Y , e approssimandola in L1 (X) mediante funzioni continue in X. Estraendo una sottosuccessione convergente q.o. in X e restringendola a Y , si poteva concludere, sempre in vitù del teorema di Egorov, solo sulla base del fatto che la restrizione di µ a Y è completa e finita. 7.6 Il duale di L1 Ogni funzionale lineare e continuo F (f ) da L1 in R, cioè ogni elemento del duale topologico (L ) di L1 , può essere rappresentato mediante l’integrale del prodotto dell’argomento f con un elemento g di L∞ univocamente associato a F . Questo risultato, che si dimostra facilmente ricorrendo al teorema di Radon-Nikodym, può essere utilmente confrontato con il classico teorema di rappresentazione di Riesz negli spazi di Hilbert. 1 0 Teorema. Sia (X, A, µ) uno spazio di misura σ-finito, L1 = L1 (X, A, µ; R), e F ∈ (L1 )0 = L(L1 ; R). Allora esiste un unico elemento g ∈ L∞ = L∞ (X, A, µ; R) tale che Z 1 ∀f ∈ L F (f ) = f gdµ e kF k∗ = kgk∞ . X Viceversa, se g ∈ L∞ , l’applicazione F : f 7→ Z f gdµ X definisce un elemento di L(L1 ; R), con kF k∗ = kgk∞ . Dimostrazione. Supporremo, solo per semplicità, che la misura sia finita. R Osserviamo in primo luogo che se F (f ) = X f gdµ si ha Z |F (f )| ≤ |f |kgk∞dµ = kgk∞ kf k1 X e quindi F è lineare e continuo con kF k∗ ≤ kgk∞ . Essendo, per ogni insieme misurabile A Z | χA gdµ| = |F (χA )| ≤ kF k∗ kχA k1 = kF k∗ µ(A) , X si ha |g| ≤ kF k∗ q.o. Infatti, per ogni ε > 0, si ha Z kF k∗ kχ{ g≥kF k∗ +ε } k1 ≥ gχ{ g≥kF k∗ +ε } dµ ≥ (|F k∗ + ε)kχ{ X Università di Torino, a.a. 2000-2001 g≥kF k∗ +ε } k1 Capitolo 7. Spazi Lp 88 e dunque µ({ g ≥ kF k∗ + ε }) = 0. In modo analogo si vede che µ({ −g ≤ −(|F k∗ + ε) }) = 0. Dunque, posto Gn = { |g| ≥ kF k∗ + 1/n } e G = { |g| > kF k∗ }, si ha µ(G) = µ(∪n Gn ) ≤ P µ(G ) n = 0. n Allora kF k∗ = kgk∞ e la seconda parte della tesi è dimostrata. Inoltre è immediato verificare che l’applicazione g 7→ F è iniettiva: se g e g ∗ individuano lo stesso funzionale, si deve avere per ogni f ∈ L1 Z Z (g − g ∗ )f dµ = 0 e dunque (g − g ∗ )2 dµ = 0 , X X cioè g = g ∗ in L∞ . Dato ora F lineare e continuo, introduciamo la misura φ(A) = F (χA ) , A ∈ A . Se A = ∪n An , con unione disgiunta, per la σ-additività di µ o dell’integrale rispetto a µ, si ha X X µ(A) = kχA k1 = k(χAn )k1 = µ(An ) n e la serie χA = di F , P n n χAn converge, oltre che puntualmente, in L1 . Per la linearità e comtinuità φ(A) = F (χA ) = X F (χAn ) = n X φ(An ) n e φ è una misura σ-additiva. Inoltre φ è assolutamente continua rispetto a µ, perché |φ(A)| = |F (χA )| ≤ kF k∗ kχA k1 = kF k∗ µ(A) . Per il teorema di Radon-Nikodym esiste g ∈ L1 tale che Z Z F (χA ) = φ(A) = gdµ = gχA dµ . A X Ma allora, per la densità delle combinazioni lineari finite delle χA in L1 , i due funzionali lineari R e continui F (f ) e X f gdµ coincidono. q.e.d. Abbiamo quindi un isomorfismo, cioè una bijezione lineare e isometrica, tra (L1 )0 e L∞ . Più in generale vale il Teorema. Per 1 ≤ p < +∞ il duale topologico di Lp è isomorfo a Lq , dove q è l’esponente coniugato di p (per p = 1 si ha q = +∞). 7.7 Il duale di C([a, b]). Misure di Radon Ogni funzionale lineare e continuo su C([a, b]) si può rappresentare come un integrale di Stieltjes sull’intervallo [a, b] rispetto ad una misura con segno generata da una funzione a variazione limitata. Questo risultato, che verrà enunciato precisamente in seguito, si ottiene facilmente dal seguente teorema di rappresentazione. Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 89 Teorema di Riesz. Sia L un funzionale lineare positivo su C([a, b]), cioè tale che f ≥ 0 ⇒ L(f ) ≥ 0. Allora L è limitato ed esiste un’unica misura (positiva) di Lebesgue-Stieltjes µ, generata da una funzione monotona non decrescente continua a sinistra F e da un valore F (b + 0), tale che per ogni f ∈ C([a, b]) L(f ) = Z f dµ = [a,b] Z b f (x)dF (x) = a Z f (x)dF (x) + f (b)(F (b + 0) − F (b)) . [a,b[ F e F (b + 0) sono individuati da L a meno di una costante additiva. Inoltre ||L|| = µ([a, b]) = F (b + 0) − F (a). Dimostrazione. Essendo L positivo, esso è monotono e quindi, per ogni f , si ha −|f | ≤ f ≤ |f | ≤ ||f || ⇒ |L(f )| ≤ L(|f |) ≤ L(1)||f || . Dunque L è limitato e ||L|| = L(1). Osserviamo che C = C([a, b]) è somma diretta del sottospazio C b delle funzioni che si annullano in b e del sottospazio K, di dimensione 1, delle funzioni costanti: f = f b + f (b). Per la linearità L(f ) = L(f b ) + f (b)L(1). Definiamo la funzione F (x) = sup L(f ) . 0≤f ≤χ[a,x[ Naturalmente F (a) = 0, essendo χ[a,a[ = χ∅ ≡ 0 e L(0) = 0. F (x) risulta monotona nondecrescente. Infatti, se y < x, la funzione g ≥ 0 continua, uguale a 1 tra a e y, lineare (decrescente) in [y, x] e nulla in [x, b] maggiora χ[a,y[ ed è maggiorata da χ[a,x[ . Dunque F (y) ≤ L(g) ≤ F (x). Inoltre F è continua a sinistra. Infatti, dato ε > 0 arbitrario, sia 0 ≤ g ≤ χ[a,x[ tale che F (x) − ε < L(g) ≤ F (x) e sia gh (x) = g(x + h) la traslata di g di −h, con 0 < h < δ e δ sufficientemente piccolo in modo che ||gh − g||∞ < ε, come possibile per la continuità uniforme di g. Allora si ha 0 ≤ gh ≤ χ[a,x−h[ , |L(gh ) − L(g)| < ||L||ε e F (x) ≥ F (x − h) ≥ L(gh ) ≥ L(g) − ||L||ε ≥ F (x) − (1 + ||L||)ε . La funzione monotona F induce su [a, b[ una misura di Lebesgue-Stieltjes µ, che si può estendere a [a, b] ponendo F (b + 0) = F (b + 0) − F (a) = L(1). Si osservi che se O è un intervallo aperto ]x, y[ e g è una funzione continua tale che g ≤ χO allora L(g) ≤ µ(O). Infatti, per ogni ε > 0, sia gh ∈ C (h > 0 sufficientemente piccolo) con 0 ≤ gh ≤ χ]x+h,y[ , ||g − gh || < ε, dunque |L(g) − L(gh )| ≤ ||L||ε, e sia fh ∈ C con 0 ≤ fh ≤ χ[a,x+h[ tale che F (x + h) − ε < L(fh ) ≤ F (x + h). Allora fh e gh si annullano in x + h e 0 ≤ fh + gh ≤ χ[a,y[ . Pertanto µ(]x, y[) ≥ µ([x + h, y[) = F (y) − F (x + h) ≥ L(fh + gh ) − F (x + h) ≥ ≥ L(gh ) − ε ≥ L(g) − ||L||ε − ε . Università di Torino, a.a. 2000-2001 Capitolo 7. Spazi Lp 90 Per l’arbitrarietà di ε si ha, come preannunciato, µ(O) ≥ L(g). Per ottenere una rappresentazione in forma integrale di L basta verificare che per ogni f ∈ C Z L(f ) ≤ f (x)dF (x) , [a,b] perché in tal caso si ha anche −L(f ) = L(−f ) ≤ Z (−f (x))dF (x) = − [a,b] Z f (x)dF (x) [a,b] e dunque vale il segno di uguaglianza. R Ricordiamo che per la funzione continua f l’integrale di Lebesgue-Stieltjes [a,b[ f dµ, coincide con quello di Riemann-Stieltjes, limite di somme integrali. Sia allora: ε > 0, |f (y) − f (z)| < ε per |y − z| < 3h, [a, b[= ∪nj=1 Ij , Ij = [xj−1 , xj [ per 1 ≤ j ≤ n, xj = a + jh, nh = b − a, tj ∈ Ij , yj = f (tj ) e Z X | f (x)dµ(x) − yj (F (xj ) − F (xj−1 ))| < ε . [a,b[ j La misura µ è regolare sui Boreliani e quindi possiamo considerare degli aperti di [a, b[ Oj ⊃ Ij tali che µ(Oj −Ij ) < ε/n. Possiamo prendere Oj =]xj−1 −δ, xj [ per 1 < j ≤ n, O1 = I1 = [x0 , x1 [, con δ < h, sufficientemente piccolo, e tale che si abbia anche F (b) − F (b − δ) < ε. Sia, per 1 < j ≤ n, gj la funzione continua, uguale a 1 su ]xj−1 , xj − δ[, lineare a tratti in Oj e nulla fuori di Oj . Sia inoltre: g1 continua, uguale a 1 su [x0 , x1 − δ], lineare in [x1 − δ, x1 ] e nulla oltre x1 ; e gn+1 continua, nulla fino a b − δ, tale che gn+1 (b) P = 1 e lineare in [bP− δ, b]. Si verifica immediatamente (basta tracciare i grafici delle gj ) che j gj ≡ 1. Dunque j gj f = f e gj f ≤ (yj + ε)gj . In particolare gn+1 = 1 − σ, con σ= n X gk , e L(gn+1 ) = L(1) − L(σ) ≤ F (b + 0) − F (b − δ) ≤ F (b + 0) − F (b) + ε , k=1 perché χ[a,b−δ[ ≤ σ. Possiamo allora concludere, ponendo s = F (b + 0) − F (b): L(f ) = X L(gj f ) ≤ j ≤ X yj µ(Ij ) + j j X j = X X yj (yj + ε)L(gj ) ≤ n X yj µ(Oj ) + yn (s + ε) + εL(1) ≤ j=1 X ε + yn (s + ε) + εL(1) ≤ yj µ(Ij ) + yn s + (2||f || + L(1))ε = n j yj (F (xj ) − F (xj−1 )) + yn (F (b + 0) − F (b)) + (2||f || + L(1))ε ≤ j ≤ Z f (x)dµ(x) + f (b)(F (b + 0) − F (b)) + (1 + s + 2||f || + L(1))ε . [a,b[ Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 91 Per l’arbitrarietà di ε, si trova L(f ) = Z b f (x)dF (x) = a Z f dµ . [a,b] Infine, per ogni f ∈ C, |L(f )| ≤ ||f ||(F (b + 0) − F (a)) = µ([a, b])||f || e dunque ||L|| ≤ µ([a, b]). Ma per f ≡ 1 si ha L(1) = µ([a, b]) e quindi ||L|| = L(1) = µ([a, b]) = (F (b + 0) − F (a)) . q.e.d. *** Il risultato precente riguarda un intervallo compatto dell’asse reale, ma può essere esteso a qualunque spazio localmente compatto (quindi separato). Proponiamo,senza dimostrazione, per la quale si rimanda per esempio a Rudin[10], il segeuente teorema. Ricordiamo che C0 (X) indica lo spazio delle funzioni continue (che ci limiteremo a considerare a valori reali) in tutto X e a supporto compatto. Naturalmente se X è compatto C0 (X) = C(X). Teorema. Sia Sia X uno spazio topologico localmente compatto (ogni punto di X ammette un intorno compatto) e σ-compatto (X è unione numerabile di insiemi compatti; si dice anche che X è numerabile all’infinito). Sia L un funzionale lineare e positivo su C0 (X). Allora esiste una σ-algebra A contenente la famiglia B dei Boreliani ed esiste un’unica misura positiva µ su A tali che: 1) per ogni compatto K si ha µ(K) < +∞; 2) µ è regolare, nel senso che per ogni A ∈ A e per ogni ε > 0 esistono un aperto O ed un chiuso F tali che F ⊆ A ⊆ O e µ(O − F ) < ε ; 3) per ogni A ∈ A µ(A) = inf{ µ(O) | A ⊆ O , O aperto } ; 4) per ogni A ∈ A, se µ(A) < +∞ o, anche se, pur non avendo misura finita, A è un Boreliano µ(A) = sup{ µ(K) | A ⊇ K , K compatto } ; (le proprietà 3) e 4) sono conseguenza della regolarità; alcuni autori dicono regolare una misura se per essa le proprietà 3) e 4) valgono per tutti i Boreliani); 5) (X, A, µ) è uno spazio di misura completo; 6) L si rappresenta mediante µ, nel senso che Z ∀f ∈ C0 (X) L(f ) = f dµ . X Università di Torino, a.a. 2000-2001 Capitolo 7. Spazi Lp 92 Osservazioni. Un risultato lievemente meno forte si ottiene anche se X non è σ-compatto. Se invece si suppone che, non soltanto X sia σ-compatto, ma che ogni suo sottoinsieme aperto sia σ-compatto, allora si può dimostrare che ogni misura positiva su B è regolare, risultato analogo a quello visto per misure finite in spazi metrici. Ovviamente ogni spazio compatto è σ-compatto. Invece uno spazio σ-compatto potrebbe non essere localmente compatto, come potrebbe ammettere dei sottoinsiemi aperti non σ-compatti. Cenni relativi alla costruzione di A e µ. Per semplicità consideriamo uno spazio X compatto. In primo luogo si definisce µ per ogni aperto O di X nel modo seguente: µ(O) = sup L(f ) . 0≤f ≤χO , f ∈C(X) Si introduce quindi la corrispondente misura esterna, ponendo per ogni sottoinsieme S di X µ∗ (S) = inf µ(O) , A⊆O dove O è un arbtrario insieme aperto. Si constata che effettivamente µ∗ è σ-subadditiva. Risulta σ-additiva sulla famiglia dei compatti e più in generale sulla famiglia A degli insiemi A per i quali µ∗ (A) = sup µ∗ (K) , K⊆A dove K è un arbitrario insieme compatto. Tutti gli aperti O sono in A e per essi µ(O) = µ∗ (O). Si verifica che A è una sigma-algebra e che la restrizione µ di µ∗ ad A è sigma-additiva. Lo spazio (X, A, µ) ha tutte le proprietà elencate nella tesi del teorema. Ricordiamo la seguente definizione (Federer[5]). Definizione. Una misura (o una misura esterna) µ su uno spazio X localmente compatto e separato si dice misura di Radon se e solo se valgono le proprietà seguenti: 1) µ(K) < +∞ per ogni compatto di X, 2) per ogni aperto O di X si ha µ(O) = sup{ µ(K) | K è compatto e K ⊆ O } , 3) per ogni insieme A misurabile (o per ogni sottoinsieme A di X) si ha µ(A) = inf{ µ(O) | O è aperto e A ⊆ O } . Le misure sopra associate a funzionali lineari positivi sono dunque misure di Radon. & & & Lo spazio C = C([a, b]) è parzialmente ordinato dalla relazione f ≤ g (ovvero per ogni x di [a, b] f (x) ≤ g(x)). Più precisamente esso è uno spazio di Riesz (Bourbaki[2]). Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 93 Definizione. Uno spazio vettoriale X su R è uno spazio di Riesz se e solo se: 1) X è munito di una relazione d’ordine (parziale) compatibile con la struttura di spazio vettoriale, cioè: i) qualsiansi x, y, z ∈ X si ha x ≤ y ⇒ x + z ≤ y + z, ii) qualsiansi x, y ∈ X e λ > 0 si ha x ≤ y ⇒ λx ≤ λy; 2) qualsiansi x, y ∈ X esistono in X x ∨ y = sup(x, y) e x ∧ y = inf(x, y). (sup(x, y) è definito come (unico) elemento che maggiora x e y ed è ≤ di ogni maggiorante di x e y; inf(x, y) è definito analogamente.) In uno spazio di Riesz si pone, come usuale: x+ = x ∨ 0 , x− = −(x ∧ 0) , |x| = x+ + x− e quindi ogni elemento x si può presentare come differenza di due elementi positivi, essendo canonica la presentazione: x = x+ − x− , x+ ≥ 0 , x− ≥ 0 . Ogni funzionale L lineare e continuo su C si può scrivere come differenza di due funzionali positivi. Infatti, poniamo per f ≥ 0 L+ (f ) = sup L(g) . 0≤g≤f Allora si ha 1) |L+ (f )| ≤ ||L||||f ||, perché |L(g)| ≤ ||L||||g|| e 0 ≤ g ≤ f ⇒ ||g|| ≤ ||f ||; 2) per λ ≥ 0 risulta L+ (λf ) = λf ; 3) L+ (f + f 0 ) = L+ (f ) + L+ (f 0 ), perché = sup sup 0≤h≤f +f 0 sup (L(g) + L(g 0 )) , 0≤g≤f 0≤g0 ≤f 0 in quanto per ogni h tale che 0 ≤ h ≤ f + f 0 si ha h = f ∧ h + (h − f ) ∨ 0 con 0 ≤ f ∧ h ≤ f e 0 ≤ (h − f ) ∨ 0 ≤ f 0 . Estendendo poi L+ mediante la formula L+ (f ) = L+ (f + ) − L+ (f − ) , si ottiene un funzionale lineare e positivo. Inoltre, posto, per f ≥ 0: L− (f ) = − inf L(g) , 0≤g≤f − − e L (f ) = L (f ) − L (f ) per f generica, si vede in modo analogo che L− è un funzionale lineare e positivo. Vale allora la decomposizione + − − L(f ) = L+ (f ) − L− (f ) , che basta verificare per f ≥ 0: L+ (f ) − L(f ) = sup (L(g) − L(f )) = sup −L(f − g) = 0≤g≤f Università di Torino, a.a. 2000-2001 0≤g≤f Capitolo 7. Spazi Lp 94 = − inf L(h) = L− (f ) . 0≤h≤f Siamo ora in grado di precisare e giustificare l’enunciato presentato all’inizio della sezione sul duale di C([a, b]). Teoema. I funzionali lineari e continui L su C = C([a, b]) (a valori reali), cioè gli elementi del duale topologico C 0 di C sono in corrispondenza biunivoca con le misure di Lebesgue-Stieltjes su [a, b]. Se µ è la misura corrispondente a L, si ha Z ∀f ∈ C L(f ) = f (x)dµ(x) [a,b] e la norma di L è uguale alla variazione totale di µ: ||L|| = |µ|([a, b]). Essendo ogni misura di Lebesgue-Stieltjes generata da un’unica funzione a variazione limitata F continua a sinistra e nulla in (ad esempio) a, e da un unico valore F (b + 0), le formule precedenti si possono scrivere nella forma Z ∀f ∈ C L(f ) = f (x)dF (x) , ||L|| = V (F, [a, b + 0]) . [a,b] (La funzione F , e quindi la sua variazione totale, è continua a sinistra: abbiamo allora posto, come nella sezione 2 del capitolo 5, V (F, [a, b + 0]) = V (F, [a, b]) + |F (b + 0) − F (b)|.) Dimostrazione. Se F è a variazione limitata e continua a sinistra (con F (a) = 0) ed associata al valore F (b + 0), allora, come si è visto al capitolo 5, per ogni funzione continua f : Z | f (x)dF (x) + f (b)(F (b + 0 − F (b))| ≤ ||f ||V (F, [a, b + 0]) [a,b[ R e dunque L(f ) = [a,b] f (x)dF (x) è un funzionale lineare e continuo con ||L|| ≤ V (F, [a, b + 0]). In effetti vale il segno di uguaglianza. L’integrale, per la continuità di f , si può vedere come integrale di Riemann-Stieltjes e dunque come limite di somme integrali. Ricordando che la variazione totale è continua a sinistra, sia P una partizione di [a, z], z sufficientemente prossimo a b, con N punti di suddivisione xk (xN = z), tale che X S(F, P ) = |F (xk ) − F (xk−1 )| ≥ V (F, [a, b]) − ε k e per ogni xk sia yk < xk tale che X S(F, P 0 ) = |F (yk ) − F (xk−1 )| ≥ S(F, P ) − ε e k V (F, [yk , xk ]), V (F, [z, b]) ≤ ε/(N + 1) ; e sia infine f (t) = segn(F (yk ) − F (xk−1 )), per xk−1 ≤ t ≤ yk , f (b) = segn(F (b + 0) − F (b)), e f (t) lineare in [yk , xk ] e [z, b], dunque ||f || = 1. Allora Z Z Z XZ f dF = ( + + )f dF + f (b)(F (b + 0) − F (b)) [a,b] k [xk−1 ,yk [ [yk ,xk [ [z,b[ Quaderni Didattici del Dipartimento di Matematica A.Negro, Teoria della misura 95 ≥ S(F, P 0 ) − (N + 1)||f ||ε/(N + 1) + |F (b + 0) − F (b)| . Pertanto Z f dF ≥ V (F, [a, b + 0]) − 3ε , [a,b] e infine ||L||||f || = ||L|| ≥ Z f dF = V (F, [a, b + 0]) . [a,b] Viceversa ogni funzionale lineare e continuo si scrive come differenza di due funzionali L+ e L− positivi, ai quali il teorema di Riesz associa due funzioni F + e F − nondecrescenti, continue a sinistra e nulle in a, e due valori F + (b+0) e F − (b+0). La differenza F = F + −F − è a variazione limitata, continua a sinistra e nulla in a, ed è associata al valore F (b+0) = F + (b+0)−F −(b+0), in modo tale che Z L(f ) = f (x)dF (x) . [a,b] La corrispondenza tra misure di Lebesgue-Stieltjes e funzionali lineari e continui è dunque isometrica e suriettiva, dunque biunivoca. q.e.d. Università di Torino, a.a. 2000-2001 Bibliografia [1] BILLINGSLEY, P.: Convergence of Probability Measures. John Wiley $ Sons, New York, 1968. [2] BOURBAKI, N.: Intégration. Chapitres 1,2,3 et 4. Hermann, Paris 1963. [3] BOURBAKI, N.: . Topologie Générale. Chapitre 9. Hermann, Paris 1958. 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