La donna nell`antichità

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La donna nell`antichità
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Ricostruire la storia
La donna dell’antichità
La donna nelle società paleolitiche
Nel Paleolitico i gruppi sociali erano nomadi, si procuravano il necessario per vivere
attraverso la caccia e la raccolta e si spostavano alla
ricerca di cibo.
La caccia ai grandi animali era prerogativa degli
uomini, più dotati fisicamente, ma non costituiva una
fonte di cibo sicura. La sopravvivenza della comunità
era dunque assicurata dalle donne: oltre che alla cura
dei figli, esse si dedicavano anche alla raccolta di erbe,
radici e frutti, e alla cattura di piccoli animali.
Le donne preistoriche riconoscevano le parti
commestibili o le proprietà medicinali di ogni pianta.
Impararono che alcune di esse possedevano fibre
robuste ed elastiche e che altre potevano fornire tinture
naturali. Conoscevano molto bene i cicli vitali delle piante ed i luoghi in cui, a
seconda della specie, esse crescevano più abbondanti, conoscevano il tempo di
maturazione dei frutti ed impararono i meccanismi della riproduzione.
Tutte queste conoscenze portarono alla scoperta dell’agricoltura, mentre la cattura e
l’allevamento di piccoli animali molto probabilmente diedero l’avvio alle prime
esperienze di addomesticamento.
Gli archeologi hanno ritrovato molte statuette femminili
risalenti al periodo paleolitico. Si pensa che esse
rappresentassero la capacità della donna di generare la vita
e che avessero un valore magico. Infatti, non avendo
conoscenze scientifiche o mediche al riguardo, molto
probabilmente la nascita di un bambino appariva all'uomo
preistorico come un evento magico ed inspiegabile, che
sembrava determinato solo dalla madre.
Per tutti questi motivi, le comunità paleolitiche
riconoscevano alle donna un ruolo molto importante.
Le statuette preistoriche
che riproducono figure
femminili sono
chiamate Veneri.
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La donna nelle prime società neolitiche
Nelle società neolitiche, il villaggio intorno al quale si trovavano le terre coltivate
divenne il centro della comunità.
I frutti della terra, lavorata in comune, erano distribuiti tra le varie famiglie del
villaggio, il bestiame, invece, era di proprietà di ogni famiglia. L'allevamento degli
animali e il loro utilizzo nei campi, prese il posto della caccia e divenne quasi
esclusivo compito degli uomini.
A causa della maggiore disponibilità di cibo e della sedentarietà, le donne riuscivano
a mettere al mondo più figli e i bambini erano in grado di sopravvivere alla nascita e
ai primi anni di vita in numero superiore rispetto all'era paleolitica. Le donne,
insomma, ebbero più figli da allevare e dovettero lasciare agli uomini il lavoro dei
campi.
Mentre gli uomini si dedicavano dunque alla produzione dl cibo e di manufatti, le
donne badavano ai figli e svolgevano attività all’interno della casa: cucinavano,
tessevano, lavoravano l’argilla.
L'allontanamento dalle attività produttive e di interesse pubblico portò ad escludere le
donne anche dai luoghi o dalle situazioni in cui venivano prese decisioni che
riguardavano tutta la collettività.
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La donna nell’antichità
La donna presso i popoli della Mesopotamia
Statuette di figure femminili
La situazione delle donne in Mesopotamia, variava da città
a città: in genere avevano una posizione di sostanziale
parità con l’uomo: potevano occupare alte cariche e
diventare anche sacerdotesse e regine. Le donne di alto
ceto, come le sacerdotesse e coloro che facevano parte delle
famiglie reali, sapevano leggere e scrivere.
Anche le donne delle classi meno elevate erano libere di
andare nei mercati dove potevano comprare e vendere, si
occupavano delle faccende legali in assenza degli uomini,
potevano possedere proprietà, chiedere dei prestiti,
occuparsi di affari in proprio.
Il potere e la libertà femminile diminuirono fortemente
durante la dominazione assira. Risale proprio a questo
periodo un documento che impone alle donne delle classi
più elevate di portare il velo in pubblico.
Ecco alcune leggi del codice di Hammurabi che riguardano le donne.
"Se una signora sposata mostra la sua faccia fuori dalla porta e insiste nel
comportarsi stupidamente, gettando discredito sulla sua famiglia, verrà giudicata, e
se suo marito decide di divorziare da lei, può divorziare senza darle nulla come
risarcimento per il divorzio".
"Se una donna sposata rimane incinta da un altro uomo, li si legherà e li si getterà
nell'acqua. Ma se suo marito desidera, può lasciare che sua moglie viva."
"Se un marito accusa sua moglie di tradimento, ma lei non è colta sul fatto, lei potrà
giurare su Dio la sua innocenza e tornerà a casa propria."
"Se un uomo desidera il divorzio da sua moglie, perché non ha generato figli, deve
restituirle tutto ciò che ha speso e la dote che lei ha portato dalla casa del padre
prima di lasciarla andare."
"Se una donna litiga col marito e dice: "Tu non sei adatto a me" perché lui la lascia e
la trascura, se lei non ha colpa e non c'è difetto nella sua parte, può presentare
richiesta di divorzio. Poi può prendere la sua dote e ritornare nella casa di suo
padre."
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La donna nell’antichità
La donna egizia
La donna egizia era considerata pari all'uomo, tuttavia, erano gli uomini a ricoprire
quasi tutte le cariche pubbliche, in ogni caso una certa uguaglianza tra uomini e
donne si trovava solo nelle classi elevate della società.
Solo cinque o sei donne diventarono faraone, ma molte regine collaborarono
attivamente con i loro mariti nel governo del regno. Anche le figlie dei faraoni
godevano di una posizione invidiabile: una di loro divenne addirittura “grande
sacerdotessa”.
Soprattutto durante l'Antico Regno, le donne non sposate potevano avere delle
proprietà, disponevano della facoltà di amministrarle da sole, di comprarle e di
venderle, e potevano trasmetterle ai loro eredi. Le donne, inoltre, potevano studiare e
svolgere compiti da funzionario sia negli incarichi
pubblici sia in case private.
Quando si sposavano le donne, continuavano a disporre
dei loro beni, e li mantenevano in caso di divorzio.
Anche davanti alla legge godevano degli stessi diritti e
doveri degli uomini: erano responsabili delle loro azioni
e potevano essere portate in giudizio e punite come gli
uomini.
In seguito, durante il Nuovo Regno, le donne delle classi
più elevate persero gran parte della loro indipendenza, si
limitarono a svolgere le loro principali attività nella sfera
privata, e divennero le "signore della casa".
Sarcofago di regina.
Le principali fonti indicano che nell'Egitto antico, tra le
classi meno elevate, esisteva una divisione del lavoro in
base al sesso. I servitori maschi si occupavano degli
uomini, le donne, invece, erano a servizio delle signore. I servitori occupati nelle
grandi tenute dei nobili o nei templi partecipavano alla lavorazione del pane e della
birra, ma le donne erano specializzate nella filatura e nella tessitura.
Un altro compito esclusivo delle donne era quello della balia, la donna che allatta
figli non suoi; nel caso dei figli del re, soltanto donne appartenenti alla classe nobile
potevano esercitare questa funzione.
Nelle campagne, le contadine non partecipavano alla maggior parte delle attività
agricole e pastorizie, ma collaboravano alla raccolta del grano.
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La donna nell’antichità
La donna ebrea
La Legge contenuta nella Torah sosteneva l’inferiorità della donna all'uomo sotto
ogni aspetto. Per questa ragione la donne ebree non potevano partecipare alla vita
pubblica, né testimoniare ai processi. L’occupazione della donna consisteva quindi
nel disbrigo dei lavori domestici.
Le donne non erano neanche tenute allo studio della Bibbia, che invece era richiesto
agli uomini. Quando entravano nel Tempio non potevano oltrepassare il vestibolo, e
nelle sinagoghe non partecipavano né alla lettura della Torah, né alle preghiere.
I padri potevano decidere se vendere le figlie come schiave oppure stipulare un
contratto di matrimonio. Le ragazze di solito si sposavano assai giovani, fra i 12 e i
14 anni.
La promessa di fidanzamento o il matrimonio potevano essere rotti, con una lettera di
ripudio, solo dal fidanzato o dal marito, nel caso in cui “avesse trovato nella moglie
qualcosa di vergognoso”. In caso di divorzio, il marito doveva versare alla donna
dalla quale si separava la somma che era stata stabilita nel contratto di matrimonio.
Il fatto di rimanere senza figli, era considerato una grande sventura, addirittura un
castigo di Dio, per questo se dopo dieci anni di matrimonio non erano ancora nati
figli, il marito poteva ripudiare la moglie.
Le donne accusate di tradimento venivano condannate a morte per lapidazione,
venivano cioè giustiziate scagliando contro di loro pietre fino a provocarne la morte.
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La donna greca
In tutte le città greche le donne occupavano una posizione inferiore rispetto a quella
degli uomini. Esse dovevano massimo rispetto ed obbedienza, prima al padre e poi al
marito, non potevano permettersi di interessarsi di questioni al di fuori della famiglia,
né possedere alcun bene o proprietà. Le donne non avevano la cittadinanza, quindi
non godevano dei diritti politici: non potevano partecipare alle assemblee, né votare,
né candidarsi alle cariche pubbliche. Erano escluse anche dai giochi olimpici che non
potevano neppure seguire come spettatrici.
Nell’agorà, la piazza principale della città, dove si
svolgevano gli incontri pubblici e il mercato, si
potevano incontrare uomini liberi, schiavi di entrambi i
sessi e venditrici di ortaggi. La presenza femminile si
limitava dunque alle donne più povere. Le donne
sposate delle classi più elevate, vivevano relegate nei
ginecei, le stanze destinate alle donne. Erano
autorizzate a lasciare l’abitazione solo per partecipare a
nozze, processioni o funerali. In questi casi erano
sempre accompagnate da un parente maschio (il padre,
il marito, il fratello o il figlio) o in via del tutto
eccezionale da uno schiavo. Quando erano in pubblico
dovevano tenere il capo e il volto coperti da un velo.
Le fanciulle di condizione elevata trascorrevano la loro
infanzia rinchiuse tra le mura del gineceo giocando con
Busto di donna greca
bambole o con altri giochi, come la palla, la trottola,
l’altalena o il cerchio, ma crescevano completamente ignoranti poiché non si riteneva
necessario dare loro un’istruzione regolare come si faceva con i figli maschi.
Le bambine venivano promesse in sposa dai padri fin dalla più tenera età. La
promessa di matrimonio consisteva generalmente in uno scambio di doni: spesso
veniva scelto come sposo chi offriva doni di maggiore valore, ma il consorte poteva
anche essere scelto in base al prestigio sociale di cui godeva. In cambio il padre
concedeva una dote. Le nozze, poi, si celebravano quando le fanciulle avevano tra i
14 e i 16 anni. Il marito, invece era sempre molto più anziano, l'uomo greco, infatti, si
sposava all'età di circa trent'anni. I due sposi spesso si incontravano per la prima volta
il giorno stesso delle nozze.
Se restava vedova, la donna doveva dipendere dai figli, se erano adulti, o doveva
tornare sotto la protezione del padre o del parente più prossimo.
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Il primo compito della moglie era quello di assicurare al marito una discendenza, cioè
di mettere al mondo dei figli. Era però del tutto normale che all’interno
dell’abitazione coabitassero anche ragazze povere o schiave, che a loro volta
potevano dare dei figli al capo famiglia.
Il secondo compito era quello di prendersi cura della casa. L’uomo infatti era spesso
assente: andava in campagna per sorvegliare i lavori, se possedeva dei campi, oppure
al porto, se era un commerciante, oppure si recava nell’agorà per partecipare alla vita
politica o per fare spese, mansione che le donne non potevano svolgere.
La donna iniziava la sua giornata con la toilette mattutina, poi si dedicava alla cura
dei figli. Nelle famiglie ricche, dove i piccoli per i primi mesi di vita erano affidati ad
una balia, era la madre che li allattava, li curava e li vegliava.
Durante il giorno la donna, insieme alle serve, si recava alla fontana ad attingere
l’acqua, si occupava del bucato, ricamava, filava o tesseva al telaio e preparava il
pranzo. Infine, nei momenti di ozio poteva far visita alle amiche che abitavano nelle
vicinanze della casa.
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La donna nell’antichità
La donna romana
Nei primi secoli della storia di Roma e durante tutta
l’epoca repubblicana, l’uomo fu il capo indiscusso
della famiglia, con un potere di vita e di morte sulla
moglie, sui figli e sulla servitù.
Soltanto l'uomo godeva dei diritti politici (votare,
eleggere e farsi eleggere, intraprendere la carriera
politica), la donna ne era del tutto esclusa. Anche
per esercitare i diritti civili (sposarsi, ereditare, fare
testamento) aveva bisogno del consenso di un
uomo: prima il padre, poi il marito e, se restava
vedova, il parente maschio più prossimo.
I legislatori latini sostenevano che le donne non
erano in grado di agire in modo autonomo in quanto
ignoravano le leggi, erano deboli, superficiali e
avevano un’intelligenza limitata.
Le donne romane non avevano neppure diritto ad
un vero nome proprio. Mentre ai maschi venivano
assegnati tre nomi, alle femmine veniva attribuito
solo il cognomen, cioè il titolo della famiglia a cui
Affresco che raffigura una donna
romana.
appartenevano, usato al femminile. Se le figlie
erano più di una, ricevevano nomi come Prima,
Secunda, Tertia, Maxima, Maior, Minor (cioè Prima, Seconda, Terza, La più grande,
Maggiore, Minore)
Il nome proprio di una donna, comunque, non doveva essere conosciuto se non dai
più stretti familiari, non doveva mai essere pronunciato in pubblico e non veniva
scritto neppure sulla sua tomba.
Le fanciulle ricevevano in casa una sommaria istruzione, che riguardava per lo più
l'economia domestica, fino all'età di 12-14 anni circa, quando venivano considerate
adulte e pronte per il matrimonio, che veniva contrattato dal padre con il futuro
marito.
Durante la cerimonia nuziale, alla domanda “Qual è il tuo nome?” la sposa
rispondeva con il cognomen dello sposo, che sostituiva o si aggiungeva al precedente
cognomen paterno.
Il dovere della donna sposata era quello di essere fedele al marito, di dirigere la casa,
di partorire figli, di curarli e di istruirli fino all'età di sette anni, da quel momento essi
passavano sotto la tutela del padre e la madre non aveva più nessuna influenza su di
essi.
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In età imperiale le donne cominciarono ad acquisire maggiori diritti, anche se
continuavano ad essere ritenute inferiori agli uomini. Potevano muoversi e agire con
maggiore libertà: uscivano per fare spese
o per andare a trovare le amiche,
potevano partecipare ai banchetti, agli
spettacoli oppure recarsi ai bagni pubblici
e godevano di maggiore rispetto anche da
parte dei figli. Le donne di classe più
elevata seguivano attivamente la carriera
politica del marito. Numerose donne si
dedicarono alla letteratura e alla
grammatica, riuscendo in alcuni casi a
superare in bravura e prestigio alcuni fra i
più illustri letterati dell'epoca.
Donne ai bagni pubblici in un mosaico della villa
romana di Piazza Armerina (Sicilia).
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