Gladiatrici versus gladiatori. Ieri ed oggi

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Gladiatrici versus gladiatori. Ieri ed oggi
Gladiatrici versus gladiatori. Ieri ed oggi
di TITTI AGOSTINACCHIO
Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità
di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di
discriminazioni e di violenza durante la loro vita
–
ha detto Manjoo a Ginevra -
In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l’adozione di leggi e politiche,
incluso il Piano di Azione Nazionale contro la violenza” ma “questi risultati non hanno portato a
una diminuzione di femicidi o sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle
donne e delle bambine”.
Sono centotredici le donne uccise in Italia solo nel 2012 (e 73 dal proprio partner), da gennaio a
oggi: una strage, una violazione perpetrata dei diritti umani che "deve essere affrontata in modo
politico, come una piaga sociale", non come episodi di cronaca nera. Lo chiedono con forza le
associazioni femminili che, mai come quest'anno, hanno organizzato iniziative e appelli in tutta
Italia. Il 25 novembre è infatti stata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne,
istituita dall'Onu nel '99 in ricordo di tre sorelle uccise nel 1960 nella Repubblica Dominicana
per motivi politici.
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Le donne reagiscono alla violenza con l'autodifesa, da sempre.
Curiosa è la scoperta di una splendida statuetta di bronzo che ha suscitato vivo interesse.
La statua di bronzo è quella appartenente alla collezione permanente del Museum für Kunst
und Gewerbein di Amburgo. Essa ha portato alla sensazionale ipotesi secondo la quale si
tratterebbe della rappresentazione di un rarissimo esempio di raffigurazione delle donne
gladiatrici. Finora, infatti, l’unica prova della loro esistenza era un bassorilievo nella citta di
Alicarnasso, in Turchia. Inizialmente si riteneva che tale statua rappresentasse un’atleta donna
con in mano uno strigile, un raschietto metallico utilizzato dagli atleti dell’antichità per rimuovere
olio, sudore e polvere dal corpo. La tesi non è stata considerata valida per diversi motivi. La
posizione con il braccio alzato in segno di vittoria ha fatto intuire che lo strumento impugnato
fosse una sica (spada tracica a lama ricurva) e non uno strigile, inoltre lo sguardo verso il basso
rivolto all’avversario sconfitto è tipico delle rappresentazioni di gladiatori vincenti. Un ulteriore
dubbio è venuto dall’abbigliamento: la donna della statua è, infatti, a seno scoperto. Nessuna
donna avrebbe mai gareggiato col seno in mostra, considerando la rigida mentalità romana sul
pudore femminile in pubblico. Ciò veniva accettato per gli schiavi o per chi si poneva al loro
stesso livello gareggiando nell’arena, in virtù della loro bassissima condizione sociale. L’ultimo
dettaglio per la comprensione della identità della statua è la benda intorno a un ginocchio, un
tipico segno di riconoscimento dei gladiatori.
Non si sa di preciso quando le donne entrarono per la prima volta nell’arena, ma le prime
descrizioni scritte sono dello storico Tacito il quale afferma che nel 66 d.C. l’imperatore Nerone
ordinò al suo liberto Patrobio di organizzare dei giochi gladiatori nell’arena di Pozzuoli in onore
del re d’Armenia Tiriade. Il liberto, conoscendo i gusti stravaganti del suo padrone, decise di
strafare, aggiungendo ai consueti giochi anche i combattimenti tra donne. Anche se in tale
occasione le donne non erano delle vere gladiatrici ma solo delle schiave etiopi buttate
nell’arena per impressionare il re armeno, a Nerone l’idea piacque moltissimo e la ripropose
anche a Roma più volte. L’imperatore Domiziano poi aveva una vera e propria passione per
questo genere di intrattenimento tanto da inserirlo regolarmente nei giochi che organizzava.
Preferiva infatti far combattere le donne nella notte, illuminate suggestivamente dalla sola luce
delle fiaccole o, alle volte, facendole scontrare con dei nani addestrati come gladiatori.
Bisogna però fare delle importanti considerazioni: le donne nell’arena non erano quasi mai
schiave, anzi molto spesso provenivano dalle classi più agiate della società romana. Non
volendo dar peso alle maliziose osservazioni di Giovenale, il quale insinuava che le donne
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fossero spinte dalla voglia di trovarsi gomito a gomito con i prestanti gladiatori, si può dedurre
che le motivazioni principali di questa scelta fossero da ravvisare nella voglia di emancipazione
femminile. Le donne combattevano vestite con il solo “subligaculum” (una specie di mutanda)
ed una protezione al braccio destro. L'addestramento pare avvenisse a casa, con ex gladiatori
ingaggiati appositamente.
Nonostante il fortissimo successo pubblico suscitato dalle gladiatrici, spesso le stesse persone
che le incitavano nell’arena poi le disprezzavano nella vita pubblica. Per la mentalità maschile
infatti, le donne erano certamente più adatte ai telai che non a combattere, inoltre i militari e i
gladiatori uomini ritenevano che la presenza delle donne nell’arena svilisse la natura guerriera
dell' uomo. Per questo un senato consulto del 11 d.C. vietò alle ragazze con meno di vent’anni
di esibirsi e nel 19 d.C. fu vietato anche il reclutamento ai fini d’intrattenimento di ragazze della
classe senatoria o equestre che non avessero compiuto i vent’anni, evitando così di fatto anche
la possibilità di addestrarsi al combattimento prima di tal età. Lo stesso imperatore Settimio
Severo nel terzo secolo vietò i combattimenti tra donne nell’arena, anche se il provvedimento
non fu mai rispettato.
Forse le nostre antenate avevano già capito che per difendersi dagli uomini bisogna combatterli
nell'arena ?
Non ci resta che imparare dalla storia, come sempre.
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