Le notizie dedicatorie dell`Abbazia di Moggio

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Le notizie dedicatorie dell`Abbazia di Moggio
Le notizie dedicatorie dell'Abbazia di Moggio: una mappa santorale del secolo XII per il Canale
del Ferro.
1. Il Cristianesimo antico nella bassa Valle del Fella: un primo approccio generale.
Un indicatore utile alla ricostruzione di uno sfondo storico del nostro territorio -intrecciandosi con
la strada al Noricum e la presenza della Chiusa1- risulta sicuramente il Cristianesimo.
Una premessa va subito fatta: se si fa eccezione per l'abbazia di Moggio, che ha sempre attratto
l'attenzione degli storici e sulle cui vicende non mancano ormai studi approfonditi e soddisfacenti2,
per altre località del Canale del Ferro, in particolare Resiutta, Chiusaforte e Resia, scarsissimo è
stato l'interesse3 verso la ricerca su quale potesse essere l'ordinamento plebanale tardoantico e
altomedievale precedente la fondazione dell'abbazia; ciò non manca di sorprendere se si considera il
fatto che gli edifici sacri di Resiutta e Chiusaforte4, oltre ad essere ubicati nelle immediate vicinanze
dell'antica via al Noricum, sorgono su terreni che hanno restituito resti romani, senza contare che
alcune antiche intitolazioni quali san Martino a Resiutta e santa Maria Assunta in Val Resia già
avevano destato l'attenzione di monsignor G. Biasutti.
Indubbiamente la ricerca risulta condizionata dalla mancanza di indagini archeologiche condotte
nelle chiese citate e dall'assenza di fonti scritte per il periodo antecedente la fondazione dell'abbazia
di Moggio Udinese.
Tuttavia il Biasutti stesso denunciava l'inadeguatezza, nell'indagine storica sulla diffusione del
Cristianesimo, dell'«astratto formalismo giuridico per il quale quod non est in chartis non est in
mundo»5 proprio dell'approccio riduttivo positivistico e del resto non sono mancati importanti studi
sull'architettura alpina6 degli edifici di culto e sulla diffusione del Cristianesimo nella zona
settentrionale della Venetia et Histria e nel Noricum, che ci aiutano ad inserire -in un contesto
storico documentato- anche il nostro territorio.
1 CONTI 2012 e CONTI 201.XXXX
2 Nel 2009 il Fondo Moggio in ACAU è stato inventariato dal L.Olivo che, oltre a dare l'elenco dei materiali cartacei
presenti, ne ha descritto sommariamente il contenuto e lo stato di conservazione che in alcuni casi è tanto deteriorato
da pregiudicarne la consultazione. L'inventario è preceduto da una chiara ed utile introduzione sulle caratteristiche
della giurisdizione dell'abbazia. Si veda anche BIANCO (a cura di) 1995. Va ricordato comunque che già nel 1992 F.
De Vitt aveva presentato un dettagliato inventario del Fondo Moggio: DE VITT 1994, pp. 121-136.
3 Monsignor G. Biasutti, acuto indagatore del Cristianesimo aquileiese, nel noto volume del 1966 Racconto
geografico santorale e plebanale per l'arcidiocesi di Udine e nel recente (2005) La chiesa di Aquileia dalle origini
alla fine dello scisma dei Tre Capitoli (secc. I-VI) edito a cura di G. Brunettin, offre alcune ipotesi che saranno utili
nel prosieguo dell'analisi.
4 Si fa riferimento alla chiesa di san Sebastiano che sorgeva sul Cuèl Moresc sino al 1856, di cui si conserva il
disegno eseguito poco prima della demolizione per costruirvi la parrocchiale attuale dedicata a san Bartolomeo. La
chiesa medievale dedicata a san Bartolomeo, fortemente legata alla presenza della Chiusa, sorgeva pure lungo la via
del Fella nelle vicinanze della fortezza. Venne abbandonata dopo la rovinosa piena del 1851, ma si conservano interrati- importanti resti oltre che una dettagliata riproduzione della metà del secolo XIX.
5 BIASUTTI, 2005, p. 5.
6 Mi riferisco in particolare al saggio di MENIS 1976, pp. 375-420 ed ai saggi di CUSCITO 1976, pp. 299-345, e di
PAVAN 1991, pp. 395-436.
Nel lontano 1972 G. C. Menis, intervenendo al III Congresso nazionale di Archeologia cristiana,
diede una serie di indicazioni precise per definire una metodologia nello studio sul Cristianesimo
antico nel territorio friulano. In primo luogo veniva sottolineato che
un'indagine sulla diffusione del cristianesimo al di fuori della città di Aquileia, nel suo agro...non può
metodologicamente giustificarsi anteriormente ai primi decenni del secolo IV; e ciò non solo perchè al 314 risale il
primo documento relativo alla chiesa aquileiese, ma anche per la ragione che quanto possiamo ipotizzare sulla comunità
cristiana locale in epoca precostantiniana conferma ampiamente la convinzione che essa costituisse allora un fenomeno
spiccatamente cittadino7.
Questa prima indicazione metodologica risulta confermata dalla recente mappa archeologica
pubblicata nel saggio8 di A. Cagnana sulle chiese rurali in Friuli fra V e VI secolo: nessuno degli
edifici di culto extraurbani oggetto di indagine archeologica risale ad un'epoca precedente il secolo
IV9. Ciò naturalmente non preclude la possibilità, come ricorda il Biasutti, che «la naturale tendenza
a denominarsi e la necessità pedagogica di proporre ai convertiti un valido sostituto ai molteplici
geni o deità rurali fa ritenere che fin dal secolo IV siano sorti qua e là sacelli o analoghi simboli
sacri di ispirazione cristiana, fin nelle ville o nei casolari, negli agri, sui pascoli, lungo le erte»10.
Menis, dopo aver sottolineato la vitalità della chiesa aquileiese in seguito all'Editto di Costantino,
vitalità ed attivismo incarnati dal vescovo Teodoro «realizzatore del grande complesso episcopale,
con le due aule parallele e i meravigliosi pavimenti musivi»11, ipotizza «che già subito dopo la pace
costantiniana la chiesa di Aquileia abbia iniziato la sua espansione evangelizzatrice ed organizzativa
nell'immediato entroterra»12.
Nel 314 si tenne il Concilio di Arles, assemblea alla quale partecipò anche il vescovo aquileiese
Teodoro assistito dal diacono Agatone, Concilio durante il quale «si accenna già all'esistenza di
chiese rurali»13 in quanto sono testimoniati diaconi urbani che vanno distinti dai diaconi delle chiese
di campagna.
A rafforzare tale ipotesi -meglio sarebbe dire quasi a capovolgere il rapporto tra città e campagna
nell'analisi della diffusione del primo Cristianesimo- il Biasutti propone alcune considerazioni assai
interessanti: ricorda in primo luogo «la rusticità del culto sabbatico ricordata nel Concilio di
Cividale del 796 e certamente rimontante ai secc. I-II»14 e a ciò aggiunge «l'esigenza naturale per i
perseguitati lungo i secc. I-III di riparare in luoghi agresti o boschivi di più sicuro recesso e la più
che probabile esistenza di patrimoni colonici di alcuni cittadini aquileiesi ove i fratres potevano
trovare modo e protezione per professare la nuova fede»15. Secondo lo studioso, quindi, l'ambiente
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MENIS 1974, p. 49.
CAGNANA 2003, pp. 217-244.
CAGNANA 2003, p. 219.
BIASUTTI 2005, p. 135.
MENIS 1974, pp. 50-51.
Ibidem.
MENIS 1974, p. 51.
BIASUTTI 2005, p. 140.
Ibidem.
aquileiese giudeo-cristiano, piuttosto chiuso, avrebbe prodotto uno scarso aumento di nuovi
convertiti sino alla metà del III secolo, confermando quella che Menis definiva «l'irrilevanza sociale
che il cristianesimo mostra di avere fino alla fine del III secolo nella stessa città di Aquileia»16;
diverse sono però le conseguenze che i due studiosi traggono da questa comune constatazione: il
Biasutti ipotizza comunque un'iniziale presenza cristiana rurale per i motivi visti sopra, mentre
Menis sottolinea «l'assenza totale, in tutto il territorio regionale al di fuori di Aquileia, di ogni
traccia o ragionevole indizio che possano farci sospettare una presenza cristiana anteriore al IV
secolo»17.
Sicuramente la pace religiosa costantiniana ha creato le premesse per uno sviluppo significativo
dell'attività missionaria ed «i mosaici dell'aula meridionale aquileiese con le loro rappresentazioni
simboliche del mare, della pesca, dei pescatori, della barca e dei pesci, costituiscono una palese
dimostrazione dello spirito missionario che animava la chiesa di Teodoro»18.
Le direttrici dell'evangelizzazione risultano definite dalle antiche vie che formavano la rete stradale
della regione della Venetia et Histria ed una di queste, assai importante, è naturalmente la via diretta
al Noricum sulla quale transitarono, quindi, non solo i mercanti e gli eserciti diretti a Settentrione
ma anche i missionari cristiani. Del resto l'importanza dell'attività di propagazione della nuova fede
e l'attenzione riservata agli abitanti delle zone rurali è dimostrata anche dal fatto che «il vescovo
Fortunaziano (342-368) sentì la necessità di scrivere per loro (come ci informa san Girolamo) un
breve commento ai Vangeli nel sermo rusticus da essi parlato»19. Anche il vescovo aquileiese
Valeriano (371-388) diede grande impulso all'attività missionaria e proprio dal «cenacolo di clerici
aquileienses che egli promosse, e di cui Girolamo esaltò la scienza e la pietà, uscì una schiera di
missionari e di vescovi che si sparsero nelle regioni anche più lontane dell'Italia settentrionale,
della Rezia, del Norico e della Pannonia»20.
Si va delineando, quindi, uno sfondo storico documentato, risalente al IV secolo, che può essere di
qualche aiuto per descrivere quanto andava accadendo nel nostro territorio che, come noto, risultava
attraversato dalla fondamentale arteria stradale diretta al Norico sicuramente percorsa da quanti
andavano predicando la parola di Cristo.
Sempre allo scopo di ricostruire un quadro sufficientemente concreto della chiesa aquileiese, risulta
interessante seguire il Biasutti che fa abbondantemente riferimento all'opera scritta del vescovo san
Cromazio (335 ca. - 408): si incontrano critiche a sacerdoti simoniaci, ammonizioni sulla condotta
di qualche rector di chiese locali, descrizioni di conversioni da parte di Ebrei e di apostasie da parte
di cristiani, lodi al popolo dei fedeli. Tra tanti riferimenti attribuibili alla chiesa aquileiese, non
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MENIS 1974, p. 50.
Ibidem.
MENIS 1974, p. 51.
MENIS 1974, p. 53.
MENIS 1974, p. 54.
manca la citazione positiva di sanctos praedicatores che continuano la preziosa opera di
evangelizzazione21 a cavallo dei secoli IV e V.
Sul finire del secolo IV (390 circa), durante il governo episcopale di Cromazio, viene eretta la
diocesi di Concordia poi, e qui il dato riguarda direttamente il nostro territorio alpino, anche il
centro romano di Zuglio (Iulium Carnicum) viene elevato a rango vescovile probabilmente sempre
per impulso di san Cromazio. Quando è avvenuto ciò?
G. C. Menis ricorda che «quantunque le notizie scritte sicure sul vescovado di Zuglio non risalgano
oltre il 490, gli scavi archeologici hanno messo in evidenza subito fuori le mura dell'antica città
notevoli resti di una basilica rettangolare che può senz'altro essere datata agli ultimi decenni del
secolo IV o al principio del V»22; il Biasutti, sull'erezione della diocesi di Iulium Carnicum,
ipotizzava una datazione precedente a quella di Concordia (390) «poichè questo era esatto dalla
lontananza e dal ben più gravoso accesso che ne consentissero la funzionalità»23. Entrambi gli
studiosi trovano plausibile, quindi, che già nel IV secolo ci sia in territorio montano un'importante
centro propulsore ed organizzatore per la cristianizzazione del territorio, tanto più importante per il
Canale del Ferro che, come abbiamo già constatato in precedenza, non evidenzia la presenza di
insediamenti di tipo urbano in epoca antica e quindi richiedeva un'opera missionaria
particolarmente impegnativa volta a contrastare i culti pagani testimoniati sia dall'arula dedicata a
Silvanus Silvester ritrovata a Resiutta24 sia dai resti, localizzati a Camporosso, attribuiti già nel 1982
ad un Mitreo25.
2. Il Cristianesimo tra Noricum e Venetia et Histria alpina: un contesto per la valle del Fella.
A completare un quadro generale della penetrazione cristiana nella regione alpina possiamo
guardare al Noricum ovvero alla regione settentrionale confinante col nostro territorio, collegata
dall'importante via di cui abbiamo già trattato in precedenza26. Come ricorda G. Cuscito, riferendosi
al prestigio della Chiesa aquileiese, «nel 442 troviamo un documento che ce ne dà esplicita
testimonianza: la lettera in cui Leone Magno suggerisce al vescovo di Aquileia di indire un sinodo
di tutti i suoi provinciales sacerdotes, cioè dei suoi vescovi suffraganei»27. A metà del secolo V
esiste dunque un'organizzazione ecclesiastica dipendente da Aquileia ben sviluppata, tanto da poter
suggerire la convocazione di un sinodo.
BIASUTTI 2005, p. 142-144.
MENIS 1974, p. 55.
BIASUTTI 2005, p. 146.
MAINARDIS 2008, p. 103.
RIGONI 1983-1984, pp. 29-30. Per un riferimento alla presenza di culti dedicati a Mitra in zona alpina cfr. CUSCITO
1976, pp. 299-309.
26 CONTI 2012
27 CUSCITO 1976, p. 300.
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Inoltre, da fonti del secolo VI28, apprendiamo che
sedi suffraganee di Aquileia erano allora: Altinum, Bellunum, Concordia, Feltria, Iulium Carnicum (Zuglio),
Opitergium (Oderzo), Patavium (Padova), Tarvisium (Treviso), Tridentum (Trento), Verona, Vicetia (Vicenza) nella
Venetia; Cissa (Rovigno), Parentium, Pola, Tergeste nell'Histria; Sabiona (Saben), e Augusta (Augsburg) nella Retia II;
Aguntum (Lienz), Celeia (Celje), Tiburnia (S. Peter im Holz) e Virunum (Zollfeld) nel Noricum; Scarabantia (Sopron)
nella Pannonia I; Emona (Lubiana) nella Savia29.
La nostra attenzione si sofferma sia sulla presenza delle sedi vescovili del versante italiano delle
Alpi nordorientali (Trento, Belluno, Feltre e Zuglio) sia sulle sedi suffraganee del Norico, in
particolare Aguntum, Tiburnia e Virunum i cui presuli, per partecipare ai sinodi citati sopra, avranno
percorso le vie attraverso il passo di Monte Croce Carnico e la via lungo la valle del Fella, tracciati
che possiamo quindi ritenere ancora efficienti alla fine del secolo VI, dopo l'invasione longobarda,
un dato che dimostra una permanenza dell'organizzazione ecclesiastica dei secoli IV e VI
nonostante la dissoluzione della compagine imperiale romana.
Analizzando le tradizioni martirologiche che potrebbero fornire notizie importanti per la diffusione
del credo cristiano nel Noricum, G. Cuscito si basa sulla passio di san Floriano di Lorch (antica
Lauriacum sul Danubio) martirizzato durante le persecuzioni di Diocleziano. Questa narrazione
«dimostra una conoscenza così immediata dell'ambiente e della società romana del Norico che ci è
difficile poter supporre come autore un agiografo vissuto in epoca successiva all'invasione barbarica
nella regione...Possiamo dunque essere certi di possedere una testimonianza attendibile relativa ai
cristiani del Norico per l'inizio del secolo IV30».
Anche la figura del vescovo di Poetovium31 (Ptuj) Vittorino32 risulta molto interessante per
ricostruire un quadro del Cristianesimo alpino, in quanto «il commercio intellettuale di Vittorino
con Origene e la sua cultura quasi esclusivamente ellenica poiché, stando a san Gerolamo, scriveva
in un latino non molto elegante, ci obbliga a considerarlo uno dei rappresentanti più avanzati, in
senso geografico, della propaganda cristiana orientale»33. Da ciò l'importante conseguenza che
resta così attestato anche per questa via come il Norico e la Pannonia occidentale formassero un ambiente in cui si sono
incontrati i due movimenti dell'apostolato cristiano attraverso i paesi alpino-danubiani: quello che risaliva il corso del
Danubio assieme alle legioni34 dislocate dall'Asia per rinforzare la difesa dell'Illirico e quello che dal litorale adriatico
28 Ci si riferisce all'elenco dei vescovi partecipanti al Concilio provinciale di Grado del 579 ed alla lista dei
partecipanti al Concilio di Marano del 590 assieme alla lettera del 591 inviata all'imperatore Maurizio dai vescovi
provinciali aquileiesi.
29 CUSCITO 1976, p. 300.
30 CUSCITO 1976, p. 318-319.
31 L'importante città di Poetovium fu aggregata al Noricum, staccandola dalla Pannonia, durante le riforme
dioclezianee. Inoltre il Noricum fu diviso in due circoscrizioni: «Ripense, a Nord, oltre lo spartiacque degli alti e
bassi Tauri, con sede amministrativa ad Ovilava e Mediterraneum, a Sud, con sede amministrativa a Virunum»
(PAVAN 1991, p. 407).
32 Martirizzato sotto Diocleziano e «primo esegeta che scrisse in latino parecchi commenti alla Bibbia» (CUSCITO
1976, p. 320).
33 CUSCITO 1976, p. 320.
34 Ci si riferisce all'episodio, avvenuto nel 174, del miracolo della pioggia della Legio XII Fulminata, uragano che
permise ai legionari romani, assetati ed in difficoltà, di avere la meglio sui barbari Quadi e Marcomanni. Secondo i
cristiani l'intervento soprannaturale fu conseguenza delle preghiere dei soldati seguaci della nuova fede. Ciò
passava attraverso i passi alpini per dirigersi verso le regioni dell'odierna Austria e Ungheria, assieme ai funzionari
romani e ai commercianti35.
Lo stesso M. Pavan, nel ricostruire la presenza cristiana nella regione del Norico, constata che «tra
la fine del III e gli inizi del IV secolo i castri militari -e quello di Lauriacum (Lorch), sede della
legione II Italica, era colà il più importante- formavano luoghi di consistenti comunità cristiane»36.
Naturalmente nel periodo compreso tra la fine del secolo IV e il VI la regione confinante con le
nostre Alpi conobbe un progressivo degrado a causa delle invasioni barbariche, degrado che il
Pavan ricostruisce con ricchezza di notizie analizzando anche le nuove dinamiche poste in essere
dall'incontro/scontro tra provinciali romanizzati e barbari. Osserva infatti lo studioso che
proprio quando nelle provincie il processo di romanizzazione e di relativa affermazione culturale e sociale, sia nei
centri cittadini, sia nei castri militari, aveva finito col dare volto allo stesso ambiente indigeno, con una
caratterizzazione delle peculiarità regionali, la debolezza del potere centrale, di cui quella caratterizzazione e quindi
affermazione erano nel contempo causa ed effetto, costringeva al compromesso con le forze esterne che, interrompendo
quel processo, dovevano dare un diverso destino alle regioni divenute terra di conquista. In ciò l'affermazione del
cristianesimo e il conseguente ruolo che vi assunse l'organizzazione ecclesiastica appaiono al centro dello sforzo di
conservazione politica, per un verso, e di efficace interlocuzione col barbaro, per l'altro 37.
Se da un lato, quindi, l'ordine politico viene meno, non per questo si cancella la possibilità che il
territorio in esame possa conoscere nuove forme di aggregazione che permettano, in qualche
misura, di conservare un'identità minacciata: del resto le popolazioni barbariche, pur responsabili di
scorribande e danni materiali, confessavano un fede cristiana pur nella forma eretica dell'arianesimo
e ciò pare aver aperto qualche spiraglio di mediazione.
Analizzando la figura di san Severino38 tratta dalla biografia redatta, nel 511, dal suo discepolo
Eugippio il Pavan, infatti, rilevava
una certa differenziazione tra il sentire di Severino, uomo d'azione, oltre che di preghiera, e perciò aperto alle esigenze
stesse dei barbari e meno rigido nei confronti del loro arianesimo, e il suo biografo e allievo di religione, Eugippio, più
intransigente nella professione romano-cattolica»39 e ciò, secondo lo studioso «riflette l'emergenza della dialettica delle
forze storiche operanti nel tempo e nei luoghi, con relative ricerche di compromessi o di irrigidimenti 40.
A completare il quadro della diffusione del Cristianesimo nel Norico del V secolo, G. Cuscito
ricorda località, citate nella biografia di san Severino,
come centri di comunità cristiane meno importanti: Iuvavum (Salisburgo), Cucullae (Kuchl), Boiotrum (PassauInnstadt), Ioviacum (Schlogen), Favianae (Mautern), Comagenae (Tulln), Asturae (Klosterneuburg). Tutto ciò fa
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attesterebbe la presenza della religione cristiana tra i legionari (di origine orientale) stanziati in Pannonia nel II
secolo.
CUSCITO 1976, p. 320.
PAVAN 1991, p. 407.
PAVAN 1991, p. 415.
Si veda anche il saggio di QUACQUARELLI 1976, pp. 347-374.
PAVAN 1991, p. 430.
Ibidem.
supporre che ci fossero delle chiese un po' dovunque e che nell'ultimo quarto del secolo V il Norico fosse un paese
ormai in buona parte cristianizzato41.
Tali considerazioni ci permettono di comprendere meglio, nelle calamità dei tempi, come avvenisse
il tramonto di ciò che Pavan definisce romanesimo nel Noricum, dandoci la possibilità di dare
concretezza a quanto -le invasioni barbariche- in genere percepiamo sotto una categoria piuttosto
astratta e magari fuorviante.
Certamente, continua il Pavan,
con l'emigrazione in massa dei provinciales dal Norico Ripense venne a cessare ogni effettiva presenza di tradizione
romana colà: i castella, antiche sedi di guarnigione, e le cittadine fiorite sotto la loro protezione, mutarono per lo più
anche il nome, o sotto l'influenza dei sopravvenuti o per il riaffiorare di sopravvivenze preromane mai del tutto
eliminate, anche se nuclei sparuti, e tuttavia vivi, di provinciales rimasti, non faranno mai sparire del tutto né le tracce
del romanesimo né quelle del cristianesimo, il quale invero ritroverà vigore, espansione ed affermazione, anche civile e
politica, con l'assetto degli imperi barbarici e altomedievali 42.
In questo contesto di grande fluidità politica ci si chiede quale potesse essere il destino del
Cristianesimo alpino, considerato che proprio nel VI secolo si manifesta, nella Chiesa aquileiese, lo
Scisma dei Tre Capitoli43 conseguente alla nuova condanna delle opere di Teodoreto di Ciro, di
Teodoro di Mopsuestia e di Iba pronunciata dal Concilio di Costantinopoli nel 553.
È noto che la Chiesa di Aquileia con i vescovi della Venetia, rifacendosi alle deliberazioni del 451
del Concilio di Calcedonia, si oppose energicamente alle decisioni prese a Costantinopoli, entrando
in conflitto con papa Pelagio e proprio durante questo periodo
i contatti tra le chiese del Norico Mediterraneo, ovviamente soggette al predominio franco 44 e quelle della Venezia, che
risentivano certamente anch'esse di quel dominio franco e longobardo al di là delle Alpi, anche nei loro atteggiamenti di
indipendenza verso il papa di Roma, sorretto a sua volta dall'imperatore [bizantino], erano quindi vivi, anche perchè le
comunicazioni erano rimaste abbastanza efficienti 45.
A rafforzare la tesi di un Cristianesimo vitale e coeso nel territorio alpino durante questo periodo,
abbiamo già ricordato la partecipazione al Concilio di Grado del 579 di vescovi pannonici e norici
precisamente il vescovo di Tiburnia (Teurnia) Leoniano, quello di Aguntum Aronne, quello di Celeia Giovanni, di
Emona Patrizio, di Scarabantia Vigilio. Questi vescovadi d'Oltralpe, nonostante le traversie dovute ai passaggi e agli
insediamenti barbarici, mantenevano quindi ancora saldi contatti con la Chiesa di Aquileia, fino al punto di partecipare
41 CUSCITO 1976, pp. 329-330.
42 CUSCITO 1976, pp. 329-330.
43 I cosiddetti Tre Capitoli sono gli scritti di Teodoro di Mopsuestia, di Teodoreto di Ciro e la lettera di Iba di Edessa;
queste opere erano vicine all'eresia del teologo cristiano orientale Nestorio (IV-V secolo d. C.), dottrina condannata
al Concilio di Efeso del 431. Tuttavia tali scritti, vertenti sulla natura di Cristo, furono accettati durante il Concilio di
Calcedonia del 451.
44 Nel 539 i Franchi, in conseguenza della crisi del Regno dei Goti in Italia, occuparono la Venetia e l'alta valle della
Drava nel Norico Mediterraneo. Durante la guerra tra Bizantini e Franchi (553-562) Vitale, vescovo di Altino, si
rifugiò ad Aguntum (Lienz) in territorio controllato dai Franchi per sfuggire ai Bizantini.
45 PAVAN 1991, pp. 432-433.
alle dispute dottrinarie e alle rivendicazioni nei riguardi del primato di Roma 46.
Tale situazione sembra compromettersi gravemente con la presenza degli Avari e degli Slavi, anche
se «scarse, ma tuttavia bene testimoniate sono le resistenze di qualche nucleo isolato, ancora nel
corso del VII secolo, non solo a Iulium Carnicum, ma Oltralpe, sul colle di Lavant. Ma i resti della
basilica cimiteriale di Tiburnia mostrano chiaramente i segni delle distruzioni avvenute in
quest'epoca; e così ad Aguntum»47: tra le conseguenze più vistose, per il nostro territorio montano,
la scomparsa della diocesi di Zuglio assorbita da quella aquileiese attorno al 740 durante il
vescovado di Amatore.
Ho già avuto modo di ricordare l'importante contributo di G. C Menis dedicato alla basilica in
ambito alpino, un vero e proprio catalogo di quanto l'archeologia, indirizzata alla documentazione
degli edifici di culto paleocristiani, aveva restituito fino a quel momento.
Nelle regioni di nostro interesse, Noricum (Ripense et Mediterraneum) e Venetia et Histria
montana, resti di basiliche48 paleocristiane sono testimoniati a Lienz, Stribach-Aguntum, Kirchbichl
von Lavant, S. Peter im Holz-Teurnia, Duel, Laubendorf, Hoischhugel (tra Coccau e Arnoldstein
entro castrum tardonatico), Grazerkogel (a nord di Klagenfurt non lontano da Virunum), Ulrichberg
(vallata Zollfeld), Hemmaberg-Iuenna? (a oriente di Klagenfurt) Celje-Celeia, Rifnik tutte
nell'ambito del Norico Mediterraneo, regione direttamente collegata alla nostra dal sistema viario
che attraversava anche la
nostra valle. Il Norico Ripense evidenzia testimonianze a Lorch-
Lauriacum, Mautern-Favianis?, Klosterneuburg-Asturis?, Georgenberg mentre nella Venetia et
Histria, in zona montana, troviamo basiliche a Bolzano, Altenburg, Dos Trento, Trento-Tridentum49,
Zuglio-Iulium Carnicum, Invillino-Ibligo50. Aggiornando il catalogo per il territorio montano in
Friuli, in Carnia va ricordata la recente campagna di scavi archeologici che ha restituito il
complesso paleocristiano di san Martino di Ovaro con vasca battesimale esagonale51.
Dopo aver elencato i dati archeologici il Menis ne dà anche una lettura storico-tipologica che risulta
assai interessante per delineare un quadro più generale del cristianesimo in zona alpina.
46 Ibidem.
47 PAVAN 1991, pp. 435-436.
48 Il termine basilica «entrò nel linguaggio cristiano fin dal IV secolo col significato di sede destinata al servizio divino
e in particolare ad indicare tutto ciò che non fosse la chiesa cattedrale...o quella parrocchiale. Solitamente si trattava
di un luogo di culto sorto per iniziativa privata e posto sotto il controllo del fondatore, privo di battistero e di clero
stabile. Erano suoi sinonimi oratorium (luogo destinato esclusivamente alla preghiera, chiesa minore, luogo di culto
privato costruito nei campi o presso una villa) e titulus (insegna, iscrizione onorifica, spesso epigrafe sepolcrale e
anche luogo in cui è conservata la lapide che ricorda qualche santo; quindi chiesa non pubblica, minore). A partire
dal VII secolo tutti questi termini vennero progressivamente sostituiti da capella; basilica andò in disuso, in questa
accezione, prima della fine del primo millennio, sopravvivendo solo nelle zone più periferiche» (CURZEL 1999, p.
288).
49 Per un quadro aggiornato sui ritrovamenti di chiese rurali tardoantiche nella zona trentina ed altoatesina si veda
CAVADA 2003, pp. 173-187 e NOTHDURFTER 2003, pp. 191-216.
50 MENIS 1976, pp. 381-387. Oggi l'identificazione Ibligo/Invillino è fortemente messa in dubbio (Cfr. MAINARDIS
2008, p. 60).
51 CAGNANA 2003, pp. 231-235. Per san Martino di Ovaro in particolare si veda CAGNANA, 2010.
In primo luogo
l'esame critico della cronologia delle singole basiliche...ci porta a concludere che la fondazione della quasi totalità dei
monumenti esaminati avvenne nel corso di un secolo circa, cioè dalla fine del secolo IV alla fine del secolo V, con un
indice di maggior frequenza nella prime metà del secolo. Durante il secolo VI invece, fino alla soppressione definitiva
del primo cristianesimo nella regione ad opera dell'immigrazione di nuove popolazioni, l'attività edilizia cristiana
diventa irrilevante. Accanto all'erezione di qualche nuova chiesa si registrano prevalentemente lavori di ampliamento
dei vani originari, restauri più o meno sommari, ammodernamenti o sostituzioni delle funzioni primitive 52.
Tuttavia ritengo necessario integrare questo dato con quanto afferma per il Friuli A. Cagnana la
quale, per il periodo compreso tra i secoli VII-VIII, rileva che
sono diciassette le chiese con fasi di VII-VIII secolo attestate da resti archeologici. Fra queste quattro sono indiziate
solo da lacerti murari (santa Maria di Gorto, san Giorgio di Nogaro, san Marco di Basiliano, san Giuliano a Grado). Per
altre quattro la planimetria può essere ricostruita parzialmente (san Martino di Ovaro, san Pietro ad Osoppo, san
Martino d'Asio, san Daniele), mentre per ben nove edifici i resti archeologici sono tali da consentire una ricostruzione
pressoché completa della pianta (complesso di colle Zuca e santa Maria Maddalena a Invillino, san Silvestro a san
Salvatore di Maiano, san Pietro di Ragogna, santi Gervasio e Protasio di Nimis, san Lorenzo di Buia, san Martino a
Rive d'Arcano, sant'Andrea di Venzone, santa Maria in Sylvis di Sesto al Reghena)53.
A questo significativo elenco vanno aggiunte le ventisette chiese attestate solo da resti scultorei e
manufatti collocabili fra VIII e il IX secolo54. Tali dati suggeriscono, nonostante le criticità
sottolineate da Menis alla fine del secolo VI, un quadro di notevole continuità, inserita in un'ottica
di riorganizzazione territoriale della diocesi della chiesa di Aquileia che divenne, all'inizio del
secolo IX, la più vasta d'Europa, pur con «una vistosa contrazione della giurisdizione
metropolitica»55. Inutile sottolineare l'assenza totale di dati per la bassa valle del Fella mai
interessata da esplorazioni archeologiche volte a definire il quadro dell'organizzazione ecclesiastica
del territorio in epoca precedente la fondazione dell'abbazia di san Gallo di Moggio.
Ritornando al quadro del cristianesimo alpino quale lo delinea il Menis, i resti archeologici
documentano l'esplodere della
fioritura basilicale dell'inizio del secolo V. Dovunque le numerose comunità che vanno ancora formandosi, fino nelle
vallate alpine più interne, richiedono ambienti cultuali specifici, basiliche 56 appunto, come vengono chiamati da
Eugippio. Occorrono vani adatti, capaci di accogliere le assemblee dei fedeli e consoni allo svolgimento delle sacre
liturgie57.
Non solo. L'archeologia ha permesso allo studioso di definire un'unità tipologica degli edifici messi
in luce tanto da poter «usare l'espressione di architettura alpina. Si tratta infatti, nella maggioranza
dei casi, di ambienti di culto sorti in zona montana, alle volte in alta montagna, per gente di
MENIS 1976, p. 390.
CAGNANA 2001, p. 97. Ulteriori notizie sulle basiliche sono reperibili in TAVANO 2004, pp. 57-69.
Si veda l'elenco in CAGNANA 2001, p. 97, nota 29.
CAGNANA 2001, p. 94. Tale giurisdizione fu ridotta a causa della presenza dell'autorità metropolitica di Grado e
Salisburgo.
56 Per chi volesse approfondire il toponimo basilica veda le pagine dedicate al Friuli da SCHIAFFINI 1923, in particolare
pp. 37-42.
57 MENIS 1976, p. 391.
52
53
54
55
montagna, con finalità rigorosamente funzionali, aliene quindi da ambizioni di stile o di
monumentalità proprie dei grandi centri»58. Sono annotazioni molto interessanti poiché ci aiutano a
ricostruire concretamente le caratteristiche di edifici di culto cristiani in un ambito montano quale il
nostro: non è seriamente pensabile, infatti, che le comunità insediate lungo il Fella già in epoca
romana non avessero provveduto a dotarsi di edifici di culto una volta diffusosi il Cristianesimo.
Quali le caratteristiche costruttive di queste prime chiese?
Anche in questo caso preziose risultano le indicazioni di Menis pur non dimenticando che «le
planimetrie delle chiese paleocristiane della Alpi Orientali presentano una grande varietà di
soluzioni, da cui appare chiaro che gli architetti agivano con estrema libertà inventiva»59.
Analizzando le strutture murarie lo studioso annota che
lo spessore medio dei muri è di 60 cm. (cioè due piedi romani). Il materiale impiegato è esclusivamente costituito da
pietra levata da cave locali (come l'ardesia grigia o, in Carnia, il tufo porfiritico), mentre i laterizi sono generalmente
assenti. Il pietrame è messo in opera allo stato di rottura; i massi hanno dimensioni e forme diverse e solo raramente
appaiono più accuratamente dirozzati o squadrati (caratteristica delle murature d'epoca imperiale). Frequente è l'uso di
pezzi marmorei di spoglio (colonne, soglie, trabeazioni). Si nota la tendenza ad eseguire i paramenti (secondo la buona
tradizione classica) con corsi orizzontali di pietre, ma l'accentuata irregolarità del piano di posa e del materiale dà un
risultato più simile all'opus incertum60. I letti di malta, caratterizzata dalla granulometria elevata ed ottenuta ad impasto
magro e non molto tenace, variano nello spessore tra i 2 e gli 8 cm., sono cioè molto più spessi che nelle strutture
classiche. Quasi regolarmente le fondazioni sono impastate con calce spenta in opera 61.
Tali caratteristiche sono riconoscibili anche nell'edilizia paleocristiana dell'Italia settentrionale, in
particolare ad Aquileia.
Sempre dagli elementi forniti dall'archeologia, Menis è portato a concludere che «esiste una
tipologia comune a tutte le chiese paleocristiane delle Alpi orientali finora note ed essa può essere
classificata come alpina aquileiese»62: sono considerazioni di estrema importanza poiché
forniscono indicatori costanti per il riconoscimento di una basilica cristiana alpina nell'eventualità
di uno scavo archeologico.
Per riassumere ed agevolare la lettura diamo una tabella riassuntiva di quanto esposto dal Menis:
CARATTERISTICHE TIPOLOGICHE
ORIENTAMENTO
DESCRIZIONE
L'orientamento che i cristiani diedero fin dalle origini alle
loro chiese nella regione non fu casuale. Tutti gli edifici,
infatti, risultano orientati con la loro parete presbiteriale
verso il sorgere del sole, come ad Aquileia ed in tutta la
Venetia et Histria e diversamente da Roma.63
58 MENIS 1976, pp. 392-393.
59 MENIS 1976, p. 394.
60 L'opus incertum consisteva in una disposizione sulla superficie a vista del muro dei coementa (schegge di pietra e
sassi mescolati alla malta), facendo in modo che la loro superficie visibile fosse il più possibile piana.
Successivamente la tecnica si è sviluppata, tendendo a livellare la superficie del muro, a ridurre lo strato di malta tra
i conci e a scegliere pietre di forma e dimensioni più regolari, arrivando a spianarne la superficie a vista.
61 MENIS 1976, p. 393.
62 MENIS 1976, p. 394.
63 Una caratteristica dell'antica chiesa che sorgeva sul Cuel Moresc, è l'orientamento dell'abside. Anche l'antica chiesa
di san Bartolomeo presso la fortezza risulta orientata stando al disegno di G. G. Spinelli del 1701. In Occidente
UNICITÀ DELL'AULA
ARTICOLAZIONE DEL PRESBITERIO
L'aula non era divisa in più navate. Il motivo di questa
costante è da ricercarsi senza dubbio nella elementarità di
tale soluzione sotto l'aspetto tecnico e quindi nella
modestia dei costi e nel fatto che la capienza delle aule,
ottenuta con l'utilizzo nelle corde delle capriate di
copertura delle normali travi reperibili in loco (mai più di
12 metri; larghezza minima dell'aula m. 7,15), era
sufficiente per i bisogni delle non numerose comunità.
Tutte le basiliche in oggetto presentano dunque in pianta
uno sviluppo longitudinale rettangolare dove la
proporzione tra la lunghezza e la larghezza è di 2 a 1 circa
(modulo orientaleggiante tipico delle più antiche aule
paleocristiane aquileiesi). La parete orientale poteva
svilupparsi con abside esterna semicircolare oppure
presentarsi come piana continua.
Il presbiterio delle basiliche esaminate, sempre situato nel
settore orientale dell'aula, a circa tre quarti della sua
lunghezza, è costituito regolarmente da un banco
semicircolare in muratura, disposto con la sua curva verso
oriente e aperto verso occidente su un quadrilatero
antistante sopraelevato (bema) all'interno del quale è
collocato l'altare. Banco ed altare formano il fulcro di tutto
lo spazio architettonico, il corredo indispensabile della
celebrazione liturgica. Le varianti al sistema sono minime
e marginali64.
Con le osservazioni proposte dal Menis si completa il quadro della diffusione del Cristianesimo
nella zona alpina: non sono mancate documentazioni storiche ed archeologiche che comprovano
un'estesa diffusione della nuova fede anche in territorio montano, una diffusione capace di generare
un forte impulso nell'attività costruttiva di basiliche al fine di offrire alla plebs cristiana il luogo ove
riconoscersi e radunarsi per partecipare alla liturgia.
Risulta dunque delineato il significativo contesto storico in cui inserire anche la Valle del Fella in
generale ed il Canale del Ferro in particolare, un territorio che si estendeva tra la diocesi di Zuglio
nella Venetia ed il Norico, particolarmente ricco di testimonianze cristiane ed attraversato da
un'importante via romana sicuramente utilizzata per l'espansione della nuova fede
in età
tardoantica.
La genesi della diocesi di Zuglio, della quale faceva parte anche il Canale del Ferro, avrà
sicuramente assolto il compito sia di sostenere la fase missionaria del primo Cristianesimo sia di
gestire ordinatamente la fase organizzativa conseguente al sorgere un po' ovunque di comunità di
cristiani dotatesi, come abbiamo visto, di propri edifici di culto che richiedevano -necessariamenteun'amministrazione degli stessi tanto sotto il profilo giuridico quanto nell'ambito spirituale della
cura delle anime.
Si tratta, in fondo, di tentare di dare una risposta alla legittima domanda che G. Biasutti poneva
dopo aver ricostruito la vivacità e maturità della Chiesa aquileiese così come emergeva dalle opere
l'orientamento delle chiese divenne norma con il secolo XI.
64 MENIS 1976, pp. 394-403.
del vescovo Cromazio:
È mai possibile che ad una simile chiesa-diocesi di Aquileia, tanto composita e il cui territorio si estendeva
dall'Adriatico alla Carinzia e dal Timavo alla Livenza e al Cadore, non soggiacesse in quel secolo IV una trama di centri
missionari, opportunamente distribuiti, per la diffusione della nuova fede e per la vigilanza e il nutrimento spirituale dei
nuovi fedeli?65.
Naturalmente ciò ci pone immediatamente di fronte al problema dell'organizzazione territoriale del
primo Cristianesimo e della comparsa di quella caratteristica istituzione conosciuta come pieve
rurale.
3. La problematica plebanale nel Canale del Ferro: una prima introduzione .
Affrontare il tema dell'organizzazione territoriale plebanale della bassa Valle del Fella significa
confrontarsi con una problematica generale (l'origine delle pievi nell'Italia centro-settentrionale)
assai difficoltosa e caratterizzata da una limitata disponibilità di fonti scritte per il periodo
tardoantico e altomedievale.
A questa difficoltà di ordine generale si aggiunge la peculiarità della storia religiosa del Canale del
Ferro che, dal principio secolo XII, appare strettamente condizionata dalla fondazione dell'abbazia
di Moggio che esercitò la supremazia in spiritualibus, con poteri di arcidiaconato, su tutte le chiese
della nostra valle66 comprese tra il torrente Pontebbana e Venzone (che rimaneva escluso) ed Amaro
(le cui chiese erano invece soggette) assieme alla Val Resia.
Con la fondazione del monastero benedettino venivano creandosi nuovi rapporti tra Moggio e le
chiese della valle, cancellando di fatto l'organizzazione plebanale che si era sicuramente venuta
formando nei secoli precedenti sul modello di quanto era accaduto nella confinante regione
carnica67 e nel resto del Friuli.
Analizzando la diffusione del Cristianesimo tardoantico nel territorio friulano, sia Menis che
Biasutti hanno formulato delle ipotesi sulla consistenza e profondità di tale espansione; in
particolare Menis ritiene che
verso l'anno 400 la popolazione della regione friulana era già largamente cristianizzata e la chiesa locale aveva già
consolidato le sue strutture organizzative fondamentali, non solo al centro (dove si era ormai affermata, anche
giuridicamente, la giurisdizione metropolitica della sede aquileiese), ma anche nella immediata periferia 68.
Nonostante le difficoltà causate dalle invasioni barbariche lo studioso è convinto che esse «non
arrestarono tuttavia il processo di cristianizzazione delle masse rurali e quindi l'infittirsi della rete
organizzativa capillare delle chiese plebane»69; la documentazione archeologica ricordata
65
66
67
68
69
BIASUTTI 2005, p. 145.
Mi limito a considerare questo territorio; l'elenco completo lo si può reperire in OLIVO 2009, p. 15.
Si vedano a tal proposito gli studi di DE VITT 1984 assieme a DE VITT 2004, pp. 71-81.
MENIS 1974, p. 56.
Ibidem.
precedentemente conferma abbondantemente questa vitalità missionaria e significativo risulta
l'elenco delle 13 chiese rurali del V-VI documentate archeologicamente in Friuli Venezia Giulia che
A. Cagnana riporta nell'articolo70 già citato.
La Vita sancti Severini di Eugippio, già incontrata come preziosa fonte per il Cristianesimo nel
Noricum, per indicare gli edifici sacri di questa età usa vocaboli quali ecclesia e basilica e
l'interessante sacerdos castelli, mentre il Biasutti ricorda espressioni cromaziane (IV-V secolo)
quali rector ecclesiae, doctor, sacerdos e il vocabolo plebs «dove, se non erro, si ha il senso di plebs
christiana71 ma delimitata in una diocesi»72. Comunque anche la terminologia, nell'analisi del
fenomeno delle pievi, richiederebbe prudenza; E. Curzel -infatti- riferendosi all'uso di vocaboli
quali parrocchie e pievi nei secoli IV-VI afferma che
andrebbero evitati non solo perchè anacronistici, in quanto scarsamente o assolutamente non in uso, i questo senso,
nella tarda antichità e nel primo medioevo, ma soprattutto perchè implicano una concezione territoriale della cura
d'anime (per cui esiste un territorio ben delimitato che fa riferimento ad una ben determinata chiesa) sconosciuta almeno
fino all'VIII secolo73.
Sulla stessa linea si esprime A. Vasina che sottolinea una netta preferenza per l'espressione ecclesiae
baptismales che
coglie, come non sarebbe possibile con più chiarezza ed efficacia, la tipologia funzionale delle realtà ecclesiali [le pievi]
che sono oggetto di indagine...Un'espressione certamente univoca e quindi preferibile ai termini usuali di plebs, plebes o
pievi che, come sapete, sono di significato polivalente, intendendosi con essi ora la comunità dei fedeli, ora l'edificio di
culto, oppure il plebato o piviere, ovvero tutti questi aspetti fra loro congiunti 74.
Di questa ambiguità terminologica, in verità, già era consapevole G. Biasutti il quale, nel ricostruire
le dinamiche di formazione delle pievi più antiche in territorio aquileiese, usava l'espressione
«centri missionari perchè da principio ci si sarà accontentati di chiamarli ecclesiae e solo a poco a
poco sarà invalsa la denominazione plebes»”75 e forniva un ulteriore elemento di affinamento della
ricerca quando ipotizzava, sulla base documentale di un'epigrafe sepolcrale concordiese dei secoli
IV-VI, che
il corpo dei fedeli, in quanto distinto dal clero, venisse detto fraternitas. L'osservazione -prosegue lo studioso- ha una
grande rilevanza storica, poiché è noto a tutti che sino a dopo il Mille, o meglio sino a quando le chiese ebbero un solo
altare, in ogni chiesa ci fosse una sola fraternitas sotto la denominazione del Titolare, istituto religioso-civico che
gestiva la cura della chiesa attraverso la cameraria e ne tutelava la funzionalità, anche in rapporto al clero inserviente
attraverso la vicinia76.
70 CAGNANA 2003, pp. 219.
71 «La cristianità nel suo insieme (plebs Dei) o la singola comunità e in special modo quella parte di essa che era
distinta dal clero. A partire dall'VIII secolo il termine indica non solo la comunità cristiana governata da un
sacerdote, ma anche il territorio in cui tale comunità risiedeva e l'edificio di culto stesso». (CURZEL 1999, p. 299).
72 BIASUTTI 2005, p. 132.
73 CURZEL 1999, p. 6.
74 VASINA 1999, p. 13.
75 BIASUTTI 2005, p. 145.
76 Ibidem. Un utile repertorio sulla terminologia legata all'organizzazione ecclesiastica dei secoli IV-VI lo si trova in
Alla luce degli studi che si sono fatti sulle pievi dell'Italia centro-settentrionale, quali sono le
caratteristiche delle pievi più antiche dette anche pievi matrici77?
Uno degli indizi che la storiografia plebanale riconosce in maniera direi unanime è sicuramente la
vastità del piviere: il Biasutti, che si rifaceva ai classici studi di G. Forchielli pur con delle riserve,
sostiene che «la pieve ebbe, nel suo nascere, un carattere zonale o distrettuale e non locale»78, ma è
praticamente impossibile definirne in maniera sicura i confini a causa delle incerte conoscenze
sull'organizzazione politica-amministrativa del territorio in età tardoantica; tuttavia ritiene «che
fattori determinanti per la configurazione plebanale dovettero essere la corografia -specie coi crinali
montani- e l'idrografia, cioè fiumi e torrenti, che talvolta (non sempre) vanno intesi più acquiferi
d'oggi e in certi casi con letto più o meno mutato»79.
Anche R. Zagnoni, studiando la pieve montana in un ambito territoriale appenninico, sostiene che
«le prime chiese battesimali risalirebbero dunque ai primi decenni del secolo V e furono
caratterizzate come in tutta l'Italia centro-settentrionale dalla vastità del loro territorio e dalla
presenza del fonte battesimale cosicchè vennero definite ecclesiae baptismales»80.
Ritornando al nostro ambito regionale G. C. Menis, in occasione dell'Incontro di Studio incentrato
sul tema La Pieve in Friuli tenutosi a Camino al Tagliamento nel 198481, introducendo i lavori
proponeva uno schema cronologico «entro cui si colloca la storia delle singole Pievi friulane e nel
cui ambito matura la struttura esistenziale e giuridica dell'istituto plebanale...che può essere così
riassunto»
IV-VI secolo
Età delle origini della Pieve
VI-X secolo
Età dello sviluppo e della maturazione
XI-XII secolo
Periodo del maggior splendore
XIII-XVIII secolo
Età della crisi
XIX-XX secolo
Decadenza e fine82
CUSCITO 1974, pp. 211-253.
77 In Italia centro-settentrionale, secondo C. Violante, si diffuse il modello plebs cum capellis. «In tale sistema i centri
dell'organizzazione sono le chiese battesimali (pievi) che vengono considerate matrici e hanno alle loro dipendenze
una serie -più o meno numerosa e fitta- di chiese minori (cappelle). Le quali non assurgono a dignità parrocchiale
simile a quella della pieve, ma anzi fino a un certo momento non acquistano alcuna funzione di parrocchia».
(VIOLANTE 1977, p. 644).
78 BIASUTTI 2005, p. 133.
79 Ibidem.
80 ZAGNONI 1999, p. 67. È interessante effettuare analisi comparative sulle plebazioni tra le diverse zone montane
comprese nel macro-ambito dell'Italia centro-settentrionale poiché, fatte salve le dovute differenze locali, molte
dinamiche legate alle pievi si chiarificano e confermano vicendevolmente. Tale metodologia viene considerata con
riserve da C. Azzara che non ritiene comparabili realtà diverse (Toscana e Nord del Po) come fatto da C. Violante
(Cfr. AZZARA, 2001, pp. 9-16).
81 In tale occasione la Biblioteca civica di Camino al Tagliamento si fece editrice degli Atti dell'Incontro di Studio che
con grande cortesia l'Amministrazione comunale si è premurata di procurarmi e di ciò ancora la ringrazio.
82 MENIS 1984, p. 12.
Inoltrandoci verso l'Alto Medioevo A. Tagliaferri evidenzia come, nel secolo VI, «nei canoni del
Concilio di Vaison (529) viene accolto con pieno e maturo significato il concetto di pieve, con la
concessione ai sacerdoti, per l'edificazione di tutte le chiese e per il bene di tutto il popolo, della
facoltà di predicare non soltanto nelle città, ma anche nelle singole parrocchie»83. La fonte è
sicuramente molto importante perchè testimonia una realtà che si ritiene consolidata in Italia, per
cui non si va lontani dal vero se si immagina che un'organizzazione tanto evoluta da poter assicurare
la fondazione di scuole rurali collegate alle pievi possa risalire, nell'area di sviluppo della pieve, alla
metà del secolo V.
Tuttavia Menis ci ricorda che solamente nel sinodo di Cividale del 796 troviamo un'esplicita
citazione che menziona un sacerdos plebis84 in Friuli: ciò conferma che tra i secoli VIII-IX -in età
carolingia- l'istituto plebano raggiunge anche una compiuta definizione giuridica. Infatti la fonte
friulana si armonizza con l'affermarsi piena del vocabolo plebs anche in altre zone dell'Italia centrosettentrionale; il Curzel aggiuge che esso «venne utilizzato...dapprima in Toscana all'inizio dell' VIII
secolo, poi in Romagna nel 767 […]; nel 826, volendo screditare la sede patriarcale di Grado, si
affermò che essa non era una diocesi, ma semplicemente una plebs; il termine comparve poi in
diocesi di Verona nell'843 e in diocesi di Milano nell'846»85, mentre permangono delle riserve per la
prima citazione trentina del 864. Così nell'860 «una lettera papale riportava la specificazione plebes,
idest baptismales ecclesias; e nel capitolare pavese dell'876 si citavano le ecclesias baptismales,
quas plebes appellant»86.
Quindi in età altomedievale il sistema pievano risulta ormai compiuto e
non si hanno più chiese battesimali decentrate in modo più o meno casuale, ma una completa ripartizione del territorio
diocesano in distretti ecclesiastici minori, che magari riproducevano strutture civili preesistenti o rispettavano
determinati confini naturali. In seguito i mutamenti demografici spinsero alla fondazione di nuove pievi, ma il sistema
pievano non fu per questo scardinato87.
Il passaggio dalle estese pievi tardoantiche al sistema plebanale altomedievale sarebbe avvenuto,
83 TAGLIAFERRI 1984, p. 18. «Hoc etiam pro aedificatione omnium ecclesiarum et pro utilitate totius populi nobis
placuit ut non solum in civitatibus sed etiam in omnibus parochiis verbum faciendi daremus presbyteris potestatem»:
Abbiamo deciso a edificazione di tutte le chiese e per il bene di tutto il popolo, che i sacerdoti abbiano il permesso
di predicare non solo nelle città ma anche in tutte le parrocchie di campagna. La fonte, inoltre, attesta l'esistenza di
scuole rurali -fiorenti in Italia- la cui conduzione è affidata ai presbiteri operanti nelle pievi: «Ut omnes presbyteri
qui sunt in parochiis instituti, secundum consuetudinem, quam per totam Italiam satis salubriter teneri cognovimus,
iuniores lectores, quantoscumque sine uxori habuerint, secum in domo, ipsi habitare videntur, recipiant et eos
quomodo boni patres spiritalites nutrientes, salmos parare, divinis lectionibus insistere et eos in lege Domine
erudire contenunt, ut sibi dignos successores provideant et a Domino praemia eterna recipiant»: Tutti i preti che
svolgono il loro ministero nelle parrocchie, seguendo l'uso che a quanto ci consta vige molto opportunamente in
tutta Italia, accolgano nella propria casa i lettori più giovani, che siano ancora celibi; educandoli spiritualmente
come buoni padri si sforzino di insegnar loro i salmi, di farli applicare allo studio dei testi sacri e di istruirli nella
legge del Signore. Si prepareranno così successori degni e otterranno il premio eterno da Dio. (Concilium Vasense,
can. I, II, in Monumenta Germaniae Historica, Legum Lectio III: Concilia, tomo I, p. 56).
84 MENIS 1974, p. 58.
85 CURZEL 1999, p. 23.
86 CURZEL 1999, p. 7.
87 CURZEL 1999, p. 8.
come spiegava G. Biasutti (facendo propria la tesi del Forchielli), secondo questa dinamica: «Entro
la cellula plebana rurale si svilupparono tardi nuovi nuclei che dettero origine a nuove parrocchie 88
e ciò per un fenomeno di segmentazione che nella moderna istologia è detta cariocinesi»89.
Se ci spostiamo in Carnia, territorio montano confinante con la Valle del Fella, F. De Vitt ci offre
un'efficace sintesi su alcune caratteristiche significative delle pievi, undici in totale delle quali tre
rimontano ad un'epoca assai antica rispetto ai noti elenchi delle Rationes del secolo XIII.
In primo luogo la studiosa sottolinea come «tutte le pievi sorgevano lungo le antiche vie di
comunicazione o nei pressi di esse»90 ovvero nelle valli del Tagliamento, del But e di Gorto; a
questo dato si aggiunge anche che «in alcuni casi queste chiese si trovano nei centri abitati...Più
spesso la loro ubicazione è eccentrica...»91.
Il rapporto tra pieve e antica via di comunicazione è spesso analizzato dalla storiografia e il dato
evidenziato dalla studiosa della storia plebanale carnica trova conferme in altri territori italiani;
anche Curzel, per esempio, lo rileva introducendo lo studio sulle chiese battesimali in territorio
trentino:
l'asserita solidità nel tempo del sistema pievano, dal tardo antico all'età medievale, ha permesso ai continuisti92 di
utilizzare la maglia delle chiese battesimali per individuare gli antichi percorsi stradali, visto che le pievi dovevano
sorgere in luoghi facilmente raggiungibili (ubi facilior populi concursus esse videtur, come scriveva papa Adriano II
nell'872 a proposito di una pieve romagnola)93.
Del resto solo la presenza di una rete stradale efficiente poteva garantire le comunicazioni
all'interno dei vasti pivieri tardoantichi. Anche in ambito appenninico tale fenomeno trova ampia
documentazione94.
Se ci portiamo nel Canale del Ferro, stando ai dati evidenziati sopra, potremmo ipotizzare con
sufficiente sicurezza che le pievi presenti nel nostro territorio sorgessero nei pressi della via al
Noricum. La particolare conformazione della valle, stretta e scoscesa dall'imboccatura di Stazione
di Carnia sino a Pontebba, ha fatto sì che gli insediamenti abitativi sorgessero lungo il percorso
stradale, contendendo al fiume un fondovalle poco fertile.
Un altro fattore determina una sostanziale differenza tra il nostro territorio e quello carnico: la
88 «È noto che la storiografia italiana definisce parrocchie le nuove strutture, che sovente erano dotate di un ben
preciso popolo di fedeli e che erano anche in grado di ottenere una parte dei redditi decimali. La loro diffusione
provocò il frazionamento dei distretti pievani dell'Italia centro-settentrionale tra il XIII e il XIV secolo o al massimo
nel Quattrocento, tanto che l'istituto pievano perse rilevanza molto prima del Concilio di Trento (il quale prese in
considerazione, quanto a modalità organizzative della cura d'anime, solo la parrocchia)» (CURZEL 1999, p. 23).
89 BIASUTTI 1966, p. 65.
90 DE VITT 2004, p. 72. Le pievi della val Tagliamento erano: Cesclans, Verzegnis, Invillino, Enemonzo, Socchieve,
Ampezzo e Forni di Sotto; nella valle del But troviamo San Floriano, Santa Maria d'Oltre But, San Pietro e nella
valle di Gorto Santa Maria.
91 Ibidem.
92 I continuisti sono gli storici che sostengono che le pievi siano le eredi dell'organizzazione civile romana. Comunque
Curzel sul rapporto pieve-strada romana si dimostra sostanzialmente d'accordo.
93 CURZEL 1999, p. 33.
94 Si veda ad esempio FOSCHI 1999, pp. 41-65.
mancanza assoluta di un centro con caratteristiche urbane quali quelle di Iulium Carnicum che ne ha
permesso l'erezione a rango di sede vescovile; ciò fa ipotizzare che la nostra via al Noricum fosse
connotata più per l'aspetto viabilistico (non sono mancati infatti ospitali lungo in percorso) rispetto
a quello insediativo con una presenza plebanale che ritengo limitata numericamente95.
Il citato articolo di G.C. Menis dedicato alla Diffusione del cristianesimo, rifacendosi all'ipotetica
geografia delle pievi di V secolo proposta da G. Biasutti, nel delineare le direttrici di espansione del
Cristianesimo nella zona friulana, trascura completamente la Valle del Fella, mentre proprio
monsignor Biasutti è stato praticamente l'unico a porsi il problema dell'organizzazione plebanale nel
nostro territorio prima della fondazione dell'abbazia benedettina di Moggio.
Quali erano le ipotesi da lui formulate?
4. Alcune ipotesi sull'organizzazione plebanale del Canale del Ferro.
Sappiamo che, indagando la pieve in Friuli, una prima importante fonte sono le Rationes
decimarum della diocesi di Aquileia, elenchi risalenti al secolo XIII che identificano le istituzioni
ecclesiastiche, quindi anche le pievi, sottoposte alla decima. Tuttavia, essendo stata eretta l'abbazia
di Moggio nel 1118/1119, le chiese sottoposte alla sua giurisdizione spirituale ubicate nel Canale del
Ferro non sono riportate nell'elenco poiché la nuova organizzazione ecclesiastica venutasi a creare
vedeva la chiesa abbaziale porsi come matrice e solo essa viene citata. Dunque allo stato attuale
delle conoscenze non abbiamo documentazione, riguardante il Canale del Ferro, anteriore alla
fondazione del monastero mosacense.
Dobbiamo quindi raccogliere poche e frammentarie notizie che possano fornire qualche utile indizio
per una ricerca e per farlo muoviamo da alcuni dati forniti dall'Archivio Parrocchiale di Chiusaforte.
Perchè cominciare dalla sede dell'antica Clusa?
Come ho già ricordato sopra, G. Biasutti delineando un quadro geografico-plebanale del Friuli,
analizza anche il Canale del Ferro dove «mi pare ovvio che Moggio non sia diventata pieve (come
lo qualifica lo Stato Personale e Laicale) se non quando e perchè divenne abbazia; anzi il titolo di
pieve qui è improprio»96. La tesi di Biasutti, formulata nel 1966, è difficilmente contestabile se si
considera che negli atti di fondazione del monastero benedettino non figura alcun richiamo ad un
precedente status plebanale della chiesa di Moggio pur essendo nota la propensione, da parte dei
monaci, alla creazione di documenti di fondazione manipolati ed i benedettini di Moggio non hanno
fatto eccezione97.
Lo stesso G.C. Menis, pur trattando sulle origini dell'Abbazia, dedica poche righe all'età tardoantica
95 In Carnia nel XIII secolo le pievi erano undici così distribuite: 7 nella Valle del Tagliamento, 3 nella Valle del But e
1 nella Valle di Gorto.
96 BIASUTTI 1966, p. 59.
97 Si veda a questo proposito il decisivo articolo di HARTEL 1994, pp. 17-44.
sostenendo che «verosimilmente già nel V secolo e forse insediata nello stesso castrum, sorse
sicuramente la prima Pieve (intitolata con tutta probabilità a Santa Maria) che divenne il centro
d'irradiazione cristiana nel Canale e nelle valli afferenti dell'Aupa, di Resia, di Raccolana, di
Dogna»98 dissentendo evidentemente con quanto Biasutti aveva sostenuto in precedenza su una
premessa più convincente. Egli, infatti, ipotizzava che la pieve del Canale del Ferro fosse da
localizzare a Chiusaforte «al centro della valle...dove conosciamo sacerdoti pievani anche nel XIII
secolo»99. Si fa qui riferimento alla Cronotassi dei Rettori di cui si ha memoria conservata
nell'Archivio Parrocchiale di Chiusaforte (APC) in cui si ricordano -da fonti più antiche- nel 1259
Amalricus Plebanus de Clusa mon(aco) dell'Abb. di Moggio e nel 1271 Morandus Sacerdos
Plebanus Plebis Clusae100. Queste citazioni esplicite non sono sicuramente il frutto di trascrizioni
approssimative considerato che cronologicamente si collocano in un'epoca in cui, generalmente, era
chiara la distinzione tra plebanus e rector.
Naturalmente Clusa non era pieve nel secolo XIII, ma possiamo ipotizzare una permanenza
dell'antico titolo perdutosi poi progressivamente tanto che, nei secoli XV e XVI, per indicare il
sacerdote operante a Chiusa si usa il termine più corretto di rector o curatus101.
Del resto, identificando in Clusa un'antica pieve, troviamo soddisfatte alcune caratteristiche
ricorrenti nelle chiese plebanali quali:
RAPPORTO PIEVE VIABILITÀ
POSIZIONE BARICENTRICA RISPETTO
AL TERRITORIO IN CUI SORGE
Vi è la presenza di una via antica sicuramente attestata in
epoca romana pur prevalendo nella nostra valle l'elemento
viario rispetto a quello insediativo. Nel nostro caso
avremmo, inoltre, anche un elemento di continuità
insediativa attraverso la mansio/statio Larix se è corretta la
sua ubicazione a Campolaro. Si confermerebbe così anche
qui -come per tutte le pievi in Carnia- la vicinanza della
chiesa plebanale ad una strada102.
L'ubicazione a Chiusa soddisfa il criterio della centralità
nel territorio rispetto ai villaggi sorti lungo il Canale del
Ferro, caratteristica fondamentale riscontrabile in molte
pievi. La posizione centrale di Chiusaforte permette
l'accesso diretto da Dogna e, con passaggio del Fella, dalla
Val Raccolana.
98 MENIS 1994, p. 8.
99 BIASUTTI 1966, p. 59.
100 Libro storico.
101 Nel documento del 17 giugno 1515, che attesta la riconciliazione della chiesa di san Bartolomeo, l'edificio è
ricordato con l'espressione ecclesiam curatam. (Bollettino parrocchiale agosto 1994, p. 8). I documenti venivano
presentati da I. Pielli.
102 Che il fiume Fella sia custode di testimonianze epigrafiche che potrebbero rivelarsi preziose lo attesta CASELLI
2000 che annota: «Nel corso del seminario I percorsi del sacro tenuto a Chiusaforte il 20 maggio 2000 mi fu
segnalato il ritrovamento di un cippo con la scritta S.R.A., affiorato col maltempo dalle acque. Il reperto, ancora da
studiare, potrebbe testimoniare proprio l'esistenza di questo tratto della via Augusta. L'acronimo S.R.A., scioglibile
in Strada Regia Augusta, potrebbe essere di epigrafia ottocentesca» (p. 57 nota 34). Pur non essendo condivisibile la
proposta di lettura del reperto, rimane confermato che il letto del Fella custodisca nelle sue ghiaie preziose
testimonianze della via verso settentrione.
ATTESTAZIONE DI PIEVANI

1259 Amalricus Plebanus de Clusa 103 mon(aco)
dell'Abb(azia) di Moggio (APC)

1271 Morandus Sacerdos Plebanus Plebis Clusae
(APC)
Certamente l'ipotesi dell'ubicazione di un'antica pieve a Chiusaforte presenta anche delle criticità, in
particolare in rapporto con la chiesa dedicata a san Martino di Resiutta, poichè anche la sede
dell'antica statio Plorucensis offre non poche caratteristiche riferibili ad un'antica pieve:

la vicinanza alla strada romana verso il Noricum

la titolazione a san Martino che è culto che va affermandosi in età longobarda

la concessione del fonte battesimale ottenuta nel 1199104 tanto che l'edificio viene ricordato
come ecclesia baptisterii.
In verità, se ci riferiamo alla notizia del fonte battesimale, dobbiamo constatare che al di là della
registrazione del dato non si è andati. Non è chiaro, ad esempio, se la funzione battesimale sia stata
concessa dall'Abbazia di Moggio o se sia stata la restituzione di un diritto risalente ad un'epoca
anteriore. La distinzione non è di poco conto, poiché C. Violante ha dimostrato che, proprio in
quest'epoca (secolo XII) le fonti scritte testimoniano che alcune controversie tra pievi e cappelle
sottoposte si risolvevano con il riconoscimento di alcuni diritti alle filiali anche se «le semplici
cappelle dotate di battistero o almeno fornite del diritto di battezzare erano molto poche e per lo più
dovevano tale condizione a motivi particolari»105. Se il battistero fosse una concessione l'indagine
storica dovrebbe accertare il motivo di tale privilegio concesso alla chiesa di san Martino, ma ciò
non sarebbe prova certa di un'antica funzione plebanale di Resiutta; qualora il diritto di battezzare
fosse una restituzione, allora ci troveremmo di fronte, per il Canale del Ferro, all'unica controversia
tra chiesa filiale (Resiutta) e chiesa matrice (Moggio) per un diritto inerente ad uno status plebanale
evidentemente già in essere prima dell'erezione dell'Abbazia.
F. De Vitt riporta un caso simile anche se cronologicamente posteriore che risulta utile alla
comprensione di dinamiche analoghe:
nel 1339, un intervento pastorale dell'abate di Moggio portò all'erezione di una parrocchia in Carnia, nella Val Pesarina
che apparteneva al territorio della pieve di Gorto...l'abate affidò i laici della valle a un parroco, che li servisse in tali
necessità [battesimo a neonati in periculo mortis e confessione, eucarestia ed estrema unzione ad adulti moribondi e
103 Le espressioni Plebanus de Clusa o Plebanus Plebis Clusae dimostrano che gli officianti celebravano nella chiesa
di san Bartolomeo alla Chiusa. La chiesetta di san Sebastiano, anche nei documenti, viene correttamente ubicata a
Campolaro. (Cfr. Legami 2004, vol. 1, p. 215).
104 MARINELLI 1894, p. 219. Non aggiunge notizie nuove a riguardo il volume di NOT 2006 pur sostenendo che il
battistero fu restituito.
105 VIOLANTE 1977, p. 739.
sepoltura tempestiva] e disponesse di fonte battesimale e cimitero106.
Non stupirebbe se il provvedimento illustrato dalla studiosa fosse stato applicato sia alla chiesa di
san Martino di Resiutta, alla quale faceva riferimento la Val Resia, sia alla curazia di san
Bartolomeo della Chiusa alla quale, non va dimenticato, facevano riferimento anche i fedeli di
Dogna107 (fino al 1660) e della Val Raccolana, piuttosto distanti per raggiungere l'abbazia
mosacense.
Anche la chiesa di san Bartolomeo di Chiusa, secondo una testimonianza tarda 108, difendeva
energicamente contro Raccolana un tipico diritto plebanale/curaziale, quello di sepoltura, che
doveva essere piuttosto antico visto che il cimitero della chiesa di san Bartolomeo è esplicitamente
citato nel ricordato documento del 1515109. Tuttavia non conosciamo nulla sull'epoca della sua
origine che potrebbe essere simile a quella descritta per altre località dalla storica De Vitt.
Un ulteriore campo di ricerca dal quale trarre qualche dato utile per comprendere quale potesse
essere l'organizzazione ecclesiastica antecedente la fondazione abbaziale è l'indagine sulle
titolazioni delle chiese più antiche presenti nel Canale del Ferro ovvero, per dirla con G. Biasutti, la
Patronologia.
È noto che lo storico di Forgaria rivendicava grande importanza allo studio santorale e alla
Patronologia (Patrocinienforschung) che egli considerava
una disciplina analoga, in senso lato, alla Toponomastica. Come questa, infatti, attraverso la ricerca etimologica dei
macro o microtoponimi mira a evidenziarne l'humus etnico e storico, così la Patronologia, indagando sui titoli delle
chiese plebali o di quelle minori, tende a coglierne il significato teologico e folclorico e a indicarne, di conseguenza, il
momento storico110.
Chiaramente il Biasutti non ha mai avanzato la pretesa che questo approccio potesse essere uno
strumento datore di certezze assolute, tanto da intitolare -con l'umiltà che è propria delle
intelligenze più acute- Racconto il suo saggio dedicato all'argomento111.
Un'indagine di questo tipo applicata al Canale del Ferro risulta particolarmente interessante poiché
non ci si muove solamente nell'ambito delle titolazioni delle chiese presenti sul territorio, ma si
dispone di una fonte scritta fondamentale: gli atti di consacrazione e dedicazione dell'abbazia di
106 DE VITT 2002, p. 161. Altre dinamiche analoghe sono ricordate in DE VITT 2012, pp. 57-58.
107 Una tradizione riportata nel Libro storico dell'APC vuole che l'antica chiesa di san Bartolomeo sorgesse nei pressi
della Chiusa proprio per favorire il concorso degli abitanti di Dogna.
108 Siamo nel 1718 e ci si riferisce al permesso, concesso nel 1701 agli abitanti di Raccolana, di seppellire i propri
morti nel cimitero locale senza ricorrere a quello di san Bartolomeo, ma ne'soli casi dell'escrescenza dell'acque. Di
tale permesso i raccolanesi abusavano con pregiudizio dei diritti della chiesa di Chiusa. (Bollettino parrocchiale
novembre 1992, p.10).
109 Vedi sopra nota n. 98.
110 BIASUTTI 2005, p. 138. Lo studioso considerava un interessante saggio di applicazione di questo tipo di indagine la
ricerca di E. MARCON, Tituli e plebs nel Basso Isonzo (1958) pur dissentendo su alcuni passaggi interpretativi.
111 Nell'articolo citato del 2001 A. CAGNANA, pur riconoscendo stimolanti le argomentazioni del Biasutti, definiva il
suo assunto metodologico piuttosto tradizionale: l'impressione che dà la lettura del Racconto biasuttiano direi che è
esattamente opposta. Del resto tale metodologia, se utilizzata con discernimento, viene considerata di grande utilità
anche da BENATI 1994, pp. 85-88.
Moggio attribuibili ad un arco temporale che va dal 1119 al 1181.
Si può affermare come un dato acquisito che la fondazione dell'abbazia di Moggio rappresentò, da
un punto di vista giuridico, una riorganizzazione completa del nostro territorio in spiritualibus et
temporalibus, con la conseguente cancellazione del precedente ordinamento plebanale. Come
efficacemente ricorda F. De Vitt
la dipendenza di chiese da monasteri, capitoli, prepositure od ospedali rientrava nell'istituto dell'incorporazione. In
genere si trattava del trasferimento di una chiesa diocesana a un ente monastico o ecclesiastico al quale, di conseguenza,
essa apparteneva; ma l'appartenenza poteva anche essere la conseguenza della fondazione dell'edificio di culto da parte
dell'ente...I diritti degli enti incorporanti sulle chiese incorporate non erano uniformi: nell'ambito temporale, si poteva
avere il semplice controllo dell'amministrazione e la percezione di un censo, oppure l'incameramento del beneficio del
pievano o anche l'appropriazione di tutte le rendite della chiesa...nell'ambito spirituale, era di competenza dell'ente
incorporante la scelta del clero curato e la presentazione di esso al vescovo per la nomina, oppure l'assunzione della
titolarità della cura d'anime e il conferimento di vicario temporaneo a un monaco o a un prete secolare, amovibile a
giudizio dell'incorporante112;
nella lunga citazione sono riconoscibili i rapporti instauratisi tra le chiese del Canale del Ferro ed il
monastero benedettino.
Ma come poteva avvenire il riconoscimento, al di là del diritto canonico, della nuova chiesa-matrice
abbaziale da parte dei fedeli delle chiese soggette? Come fare percepire il rapporto filiale delle
chiese soggette con la nuova chiesa genitrice?
Sono convinto che una risposta la possa dare il prezioso elenco delle dedicazioni e delle reliquie che
vennero depositate nelle consacrazioni abbaziali avvenute tra il 1118 ed il 1181; anzi potremmo
anticipare che tali dedicazioni e reliquie si presentano come una vera e propria geografia santorale
documentata del Canale del Ferro del XII secolo113.
Lo storico P. Ochsenbein ricorda che «la chiesa abbaziale viene dedicata alla B. Vergine e a San
Gallo ma anche ai santi di cui si posseggono le reliquie. Si menzionano Giovanni Battista,
Crisogono, Taciano adorato nel patriarcato di Aquileia, Germano nonché Magno e Otmar, seguaci
del monastero di San Gallo»114.
Potremmo subito notare che la titolazione a Santa Maria (sancte dei genetricis Marie) ancora nel
secolo XII conferma quella che Biasutti definiva «la mariologia ecclesiale aquileiese così
incisivamente espressa da san Cromazio...: Non potest ergo ecclesia nuncupari nisi fuerit ibi Maria
mater Domini...Et tunc venimus ad domum Mariae, ad ecclesiam Christi, ubi Maria mater Domini
habitat»115.
Il Curzel, inventariando le titolazioni delle pievi, cappelle, fondazioni monastiche presenti nel
territorio trentino da lui studiato, nota che ben 47 istituzioni ecclesiastiche su 91 portano un titolo
mariano e conclude che «la quantità delle dedicazioni mariane sorregge l'ipotesi secondo la quale
112 DE VITT 2002, p. 161.
113 Mi sono limitato a considerare le località di Amaro, Ovedasso, la Val Resia, Resiutta, Chiusaforte, Raccolana,
Dogna e Pontebba.
114 OCHSENBEIN 1994, pp. 66-67.
115 BIASUTTI 2005, p. 146.
molte di esse sarebbero nate come chiese delle comunità, non come santuari in cui venivano
venerate le reliquie di un martire, e dunque in un primo tempo sarebbero rimaste prive di titolatura;
solo in un secondo momento (difficile dire quando) avrebbero acquisito il titolo mariano»116.
Per questa tesi rimane valida la domanda di G. Biasutti: ma è sostenibile che i cristiani non
dedicassero/nominassero i loro edifici sacri per contrapporsi alle varie divinità pagane?
Un ulteriore dato significativo per concludere: per la montagna bolognese «su un totale di 263
chiese con cura d'anime ben 45, vale a dire il 18% circa, sono dedicate alla Madonna, quasi sempre
con il titolo di Assunta. Seguono, con 22 dediche, san Michele Arcangelo, con 19 san Giovanni
Battista, con 18 san Lorenzo, con 17 san Pietro, con 15 san Martino, con 11 sant'Andrea, con 10
santo Stefano, con 7 san Giorgio...»117.
Nella terza notizia dedicatoria del 29 agosto 1119 troviamo la citazione di san Bartolomeo 118,
mentre la consacrazione della cappella di san Michele, nello stesso anno, presenta una lunga serie di
26 Santi (non pochi di influenza settentrionale, altri di tradizione aquileiese) tra i quali notiamo
subito «...sancti Georgii, Fabiani et Sebastiani,... Martini,... Nicolai»119; tali santi si collegano
immediatamente con le titolazioni di alcune chiese presenti nel territorio sulle quali esercitava la
giurisdizione in spiritualibus l'abbazia mosacense. Infatti riassumendo abbiamo:
Santo titolare
Località di ubicazione
dell'edificio sacro
Santo patrono della località
San Bartolomeo
Villa della Chiusa
San Bartolomeo
San Giorgio
San Giorgio di Resia
Santa Maria Assunta
Santi Fabiano e Sebastiano
Campolaro
San Bartolomeo
San Martino
Resiutta
San Martino
San Nicolò
Amaro
San Nicolò
Il 29 giugno 1136 viene consacrata la cappella di san Benedetto ed anche in questo caso troviamo
che essa viene dedicata, tra gli altri, in onore «apostolorum Petri et Pauli,...sanctorum confessorum
Martini episcopi et sancti Galli...120»; schematizzando:
116 CURZEL 1999, pp. 40-41.
117 BENATI 1994, p. 86.
118 HARTEL 1994, pp. 23-24.
119 OCHSENBEIN 1994, pp. 67 nota 7.
120 Ibidem nota 8.
Santo titolare
Località di ubicazione
dell'edificio sacro
Santo patrono della località
San Paolo
Raccolana
Santi Pietro e Paolo
San Martino
Resiutta
San Martino
Il 28 aprile 1181 si consacra in abbazia l'altare «in honore sancte et individue trinitatis et sancte
Marie dei genetricis...specialiter in honore sancte Marie Magdalene -all'interno del quale- hic
reliquie continentur: de ligno sancte crucis...Bartholomei apostoli...Laurencii martyris...Viti
martyris...Nicolai episcopi, Martini episcopi, ...Antonii monachi ...Leonardi confessoris...121»;
anche in questo caso riassumiamo con una tabella:
Santo titolare
Località di ubicazione
dell'edificio sacro
Santo patrono della località
Santa Maria
Prato di Resia
Santa Maria Assunta
Santa Maria
Pontebba
Natività di Maria
Santa Croce
Resiutta (Colle del Calvario)
San Martino
San Bartolomeo
Villa della Chiusa
San Bartolomeo
San Leonardo
Dogna
122
San Lorenzo
San Vito
Oseacco
Santa Maria Assunta
San Nicolò
Amaro
San Nicolò
San Martino
Resiutta
San Martino
Sant'Antonio abate
Ovedasso
Madonna della Salute
San Gallo
Questi sono i materiali tratti da documenti risalenti al XII secolo, fonti che sono da ritenersi
fondamentali per la storia religiosa del Canale del Ferro in quanto sanciscono il legame filiale delle
chiese sottoposte con la nuova chiesa-matrice abbaziale non a caso dedicata a Sancta Maria dei
genetrix, così come non è casuale che la stessa chiesa-matrice custodisca nei suoi altari le reliquie
dei santi, segno di appartenenza alla nuova chiesa abbaziale, delle chiese filiali ad essi dedicate.
Naturalmente tale documentazione santorale va interpretata al fine di comprendere cosa può
suggerirci sugli edifici ecclesiastici presenti nel territorio e sull'antichità delle loro titolazioni.
G. Biasutti, come è noto, si era chiesto se era possibile ricostruire «una trama ragionevole dei titoli
[dei] centri missionari o pievi dei secoli IV e V123» ed aveva proposto, per la plebazione
prelongobarda, il seguente schema: santa Maria Assunta (che rispecchia il titolo della chiesa
episcopale di Aquileia) seguita, al momento delle necessarie segmentazioni della pieve originaria,
dal titolo presbiterale di san Pietro e dal titolo diaconale di santo Stefano; in presenza di ulteriore
121 Ibidem nota 7.
122 In alcuni documenti la chiesa di Dogna viene detta di san Leonardo e san Lorenzo.
123 BIASUTTI 2005, p. 146.
cariocinesi si ricorreva al titolo di san Lorenzo «perchè questo martire -come canta Prudenzio (348405 ca.) nel suo Peristephanon- per i cristiani del secolo IV rifulgeva come simbolo della vittoria
del cristianesimo sul paganesimo, degno riscontro di santo Stefano, che era stato il protomartire
corifeo della quasi trisecolare lotta cristiana124». Questo schema, che potrebbe apparire astratto,
secondo il Biasutti trovava un'applicazione esemplare nella vicina Carnia con la presenza di santa
Maria di Gorto, san Pietro di Zuglio (in seguito sede vescovile), santo Stefano di Socchieve (elevato
nel 1212 a santa Maria Annunziata) e san Lorenzo di Tolmezzo (elevato a santa Maria d'Oltre But
forse nel secolo X).
Portandoci nel Canale del Ferro constatiamo una situazione completamente diversa. Intrecciando
l'elenco delle dedicazioni e reliquie mosacensi del secolo XII con le titolazioni degli edifici sacri
esistenti, solamente Moggio, Pontebba e Resia conservano chiese con il titolo di santa Maria che a
Prato di Resia assume l'attributo di Assunta. Nessun edificio presenta il titolo presbiterale di san
Pietro né quello diaconale di santo Stefano: troviamo invece san Lorenzo quale patrono di Dogna,
forse memoria di un antico titolo precedente.
L'unica santa Maria che ha attratto l'attenzione del Biasutti è quella di Prato di Resia poiché, come
dicevamo, ha assunto l'attributo di Assunta che secondo lo storico può essere indizio di dignità
plebanale se unito alla notizia della presenza, nel secolo XII, di pievani a Resia125. I suoi altari,
all'inizio del XVIII secolo, risultavano dedicati a santa Maria Assunta, a san Giovanni Battista, al
Crocifisso e santo Stefano126: oltre all'antichità del culto di santo Stefano va ricordato che anche san
Giovanni Battista è titolo di origine paleocristiana diffusosi, secondo il Biasutti, largamente in età
longobarda, per cui le dedicazioni degli altari potrebbero rafforzare l'ipotesi dell'antichità della
chiesa. Del resto lo stesso Curzel, riferendosi al territorio montano trentino, ricorda che
«l'organizzazione della cura d'anime per pievi viene infatti considerata tipica degli insediamenti di
tipo sparso, nei quali le chiese battesimali tendevano ad essere poste non nel villaggio più
importante di un territorio (ammesso che questo villaggio esistesse), ma in un luogo centrale,
facilmente raggiungibile e sovente isolato rispetto gli abitati 127» per cui ipotizzare un'antica pieve in
Val Resia (magari in attesa di qualche accertamento archeologico) appare tutt'altro che privo di
fondamento.
Inoltrandoci nell'età longobarda troviamo titolazioni attribuibili a quest'epoca nel titolo della chiesa
di san Giorgio di Resia e in san Martino di Resiutta.
124 BIASUTTI 2005, p. 147.
125 BIASUTTI 1966, p. 59. La titolazione mariana di Moggio, ricordata con quella di a san Gallo, non fa riferimento, nei
documenti, ad alcuna dignità plebanale precedente.
126 NAZZI 2008; l'articolo è disponibile on line sul sito wordpress.com; i dati sono tratti da ACAU-Resia. Nelle
dedicazioni e consacrazioni di Moggio ritroviamo puntualmente le «reliquie...sancti Iohannis baptiste»
(consacrazione della chiesa) ed il patrocinio «sancti Stephani protomartyris...» (consacrazione della cappella di san
Michele).
127 CURZEL 1999, p. 39.
Va ricordato che la memoria storica della Val Resia vuole che la chiesa di san Giorgio
(agiotoponimo), sia «la più antica della vallata e la borgata la prima sede dei Rettori128». Tre sono i
suoi altari dedicati rispettivamente a san Giorgio, alla Beata Vergine e a sant'Ulderico 129,
quest'ultimo “venerato in tutta la regione della Germania meridionale, il patrono che porta il nome
del patriarca [Vodalrico I]130». La chiesa di san Martino di Resiutta ospita ovviamente l'altare del
titolare, quello di san Giovanni apostolo, della Vergine del Rosario a cui si aggiunse più tardi san
Valentino. Anche di san Giovanni apostolo, ovvero del titolo più antico assieme a quello di san
Martino, troviamo citazione nella seconda notizia dedicatoria (consacrazione dell'altare abbaziale
della santa Croce) del 28 agosto 1119.
Certamente l'erezione del monastero e la conseguente dedica della chiesa a sancta Maria dei
genetrix e sanctus Gallus, oltre che a cancellare l'organizzazione ecclesiastica precedente del
Canale del Ferro, portò alla sostituzione della titolazione originaria dell'antica chiesa che sorgeva
naturalmente anche a Moggio, per cui è lecito domandarsi se, nelle dedicazioni delle cappelle
abbaziali, si sia anche voluto mantenere una continuità con la devozione dei fedeli sedimentatasi nei
secoli antecedenti.
Escludendo la cappella consacrata il 29 giugno 1136 «in honore sancti Benedicti abbatis131»
chiaramente volta a celebrare il prestigio dell'ordine benedettino, di sicuro interesse potrebbero
risultare le consacrazioni, nel 1119, della cappella dedicata a san Michele e nel 1181 dell'altare di
santa Maria Maddalena. L'importanza nasce dal fatto che queste due devozioni, in particolare la
prima, risultano assai diffuse in Friuli in età longobarda, in un'età precedente la fondazione
dell'abbazia (a titolo di esempio G. Biasutti ricorda «santa Maria Maddalena plebanale ad Invillino
e in Barbeano...san Michele plebanale in Cervignano...e titolare di san Daniele del Friuli nel secolo
X132») e potrebbero concorrere, assieme alle titolazioni di san Giorgio di Resia e san Martino di
Resiutta, a confermare nel nostro territorio una presenza longobarda, magari legata al castrum
mosacense ed anche alla nostra Clusa, in funzione di difesa dalle incursioni degli Avari che
prediligevano percorrere la Valle del Fella. Inoltre G. Biasutti non manca di sottolineare, citando G.
Barni, «che non raramente [in presenza di insediamenti arimannici di Longobardi ariani con edifici
sacri dedicati a san Michele e san Giorgio] vi troviamo una chiesa assai vicina dedicata invece a san
Martino, il malleus haereticorum...; la chiesa di san Martino era quella della comunità cattolica, in
contrapposizione ai dominatori ariani»133.
128 MARINELLI 1894, p. 229.
129 Nella consacrazione della cappella abbaziale in onore di san Michele troviamo «...sancti Oudalrici».
130 OCHSENBEIN 1994, pp. 67. La cappella di san Michele fu consacrata dal vescovo di Concordia Ottone alla presenza
del Patriarca Vodolrico I.
131 OCHSENBEIN 1994, pp. 67.
132 BIASUTTI 2005, p. 146.
133 BIASUTTI 2005, p. 151. Il testo al quale lo storico fa riferimento è BARNI 1987, p. 46.
Del resto l'archeologia stessa, in Italia settentrionale, documenta
una significativa accelerazione del ritmo della crescita numerica delle chiese rurali nel VII e, soprattutto, nell'VIII
secolo, in concomitanza con i mutati orientamenti devozionali e patrimoniali dell'aristocrazia longobarda del tempo fino
a giungere a una sorta di saturazione nel corso del secolo IX, durante il quale le nuove fondazioni si fecero più rare 134;
ma è anche vero che con i secoli VIII-IX si estese la territorializzazione delle strutture ecclesiastiche della cura d'anime
soprattutto a causa dell'intensa attività normativa del periodo carolingio 135.
Estendendo quanto detto sopra anche al nostro territorio, dobbiamo supporre che l'organizzazione
plebanale sulla quale si affermò in seguito la supremazia abbaziale, fosse andata precisandosi nel
secolo IX; del resto, come abbiamo visto, a fronte di scarse titolazioni paleocristiane, non mancano
titolazioni tipiche dell'età longobarda-carolingia (il culto di san Martino vescovo di Tours era molto
diffuso anche tra i Franchi) che potrebbero offrirci qualche elemento sulla trama plebanale di
quell'età.
Resta ora da realizzare una prima analisi sugli edifici di culto di Chiusaforte.
5. Le chiese di san Bartolomeo della Chiusa e dei santi Fabiano e Sebastiano di Campolaro.
Spostandoci a Chiusaforte, la cui collocazione al centro del Canale del Ferro e la presenza di
plebani plebis Clusae nel XIII secolo, quando già era in essere la supremazia in spiritualibus
dell'abbazia, aveva spinto Biasutti ad ipotizzare qui una delle prime pievi della valle, notiamo che
anche in questo caso i titolari delle due chiese più antiche sono citati nelle notizie dedicatorie di
Moggio. Come già ricordato precedentemente, nel 1119 nella trascrizione della dedicazione della
cappella di san Michele vengono nominati sancti Fabiani et Sebastiani mentre prima, nella terza
notizia dedicatoria del 29 agosto 1119, tra i patrocini si menziona anche san Bartolomeo, le cui
reliquie (reliquie..sancti Bartholomei) vennero poi depositate nell'altare dedicato a santa Maria
Maddalena il 28 aprile 1181.
Possiamo subito affermare che le titolazioni delle nostre due chiese più antiche non ci permettono di
formulare proposte cronologiche che possano risalire alle epoche individuate per i già ricordati
edifici sacri della Val Resia e di Resiutta, ma ciò non toglie che forniscano indicazioni assai
importanti per fare un po' di luce sulla storia del nostro territorio.
Potremmo partire da un dato demografico, tratto dal Fondo Moggio presente in ACAU136, che ci è
utile per avere il senso della consistenza abitativa dei nostri borghi:
ANNO/BORGO
1578
Villanova
Campolaro
1590
105
43
58
1595
1597
VARIAZIONI
88
-17
-16%
-42
-72,4%
137
16
134 AZZARA 2001, p. 10.
135 ZAGNONI 1999, p. 77.
136 FORNASIN 1995, p. 189.
137 Ritengo inesatta la trascrizione del dato poiché non è spiegabile un calo demografico così marcato rispetto alle altre
borgate. Credo il 16 sia da correggersi in 56.
Casasola
44
65
Raccolana
170
185
Chiusa
Totale
138
47
43
140
151
139
234
456
53
-12
-8.5%
160
-25
-13.5%
42
-1
-2,4%
359
I dati della fine del secolo XVI descrivono i nuclei abitati che G. B. Pittiano di san Daniele incontrò
nel suo viaggio dell'11 luglio 1577 lasciandocene un'interessante descrizione.
Nella piccola Campolaro e nella piccola Villa della Chiusa sorgevano i due edifici sacri di cui ci
stiamo occupando.
Campolaro, anche prescindendo dall'identificazione con la mansio/statio Larix romana, rappresenta
il nucleo antico del paese poiché, come abbiamo già ricordato, lì si sono effettuati recuperi sporadici
di materiali romani, mentre Chiusa, così strettamente collegata alla fortezza, ci porta in età
medievale e rappresenta una polo di attrazione insediativa del tutto nuovo, nonostante la scarsa
idoneità del sito che appare stretto tra la montagna incombente ed il fiume Fella rispetto agli altri
nuclei (Villanova e Casasola) sviluppatisi lungo la strada in direzione di Resiutta in un contesto
ambientale più adatto ad eventuali espansioni abitative.
Appare sufficientemente chiaro che i destini della chiesa dedicata a san Bartolomeo sono legati a
quelli della Chiusa. Il patrocinio del santo nella terza notizia dedicatoria di Moggio del 1119 e la
presenza delle sue reliquie depositate nell'altare abbaziale di santa Maria Maddalena nel 1181 ci
suggeriscono che l'edificio sacro fosse già esistente nei secoli XI-XII.
La devozione a san Bartolomeo conobbe grande impulso in seguito alla traslazione delle sue
reliquie nell'isola Tiberina, da parte dell'imperatore Ottone III nel 983 ma G. Biasutti ricorda anche
esse «erano venerate già da secoli presso i Longobardi cattolici del meridione141». Non apparirebbe,
dunque, senza fondamento un'ipotesi che collocasse l'erezione della chiesa tra i secoli XI e XII che
rappresentano, inoltre, l'arco temporale in cui si assiste alla progressiva crescita di importanza della
Clusa collegata all'aumentato traffico lungo la via della Valle del Fella.
Anche la citazione dell' «hospitale quod est ad Clusam...ab eodem patriarcha Wdalrico
constructum et ordinatum142» tra i beni di cui viene dotato il monastero di Moggio contribuisce a
rafforzare la convinzione che l'edificio di san Bartolomeo fosse già esistente nei secoli XI-XII lungo
la via alla Pontebba subito dopo il rio del Trotol.
138 È interessante sottolineare che i dati dell'anagrafe parrocchiale del 31 dicembre 1866 riportino 56 abitanti per il
borgo di Chiusa, una cifra che poco si discosta dai dati di fine secolo XVI e che dimostra la sostanziale impossibilità
per un'ulteriore espansione a causa della peculiarità del sito su cui sorgeva l'insediamento. (Cfr. FUCCARODANELUTTO 2011, p. 192).
139 La lettura di questo dato risulta poco chiara: forse la cifra somma solamente il numero degli abitanti di Chiusa e
Raccolana che, se ci riferiamo a cinque anni prima, ammontavano insieme a 228 anime.
140 Senza il borgo di Villanova.
141 BIASUTTI 2005, p. 149.
142 HARTEL 1994, p. 40.
Consideriamo che la funzione dell'ospitalità gratuita aveva tradizioni antiche ed era stata
dettata nel famoso Concilio di Aquisgrana dell' 816...Il testo conciliare, al paragrafo CXLI, riferendosi esplicitamente al
brano evangelico Hospes fui et colligistis me, prescrive che i praelati ecclesiae approntino un receptaculum dove
possano convenire i poveri e provvedano le risorse necessarie all'ospitalità secondo le possibilità della chiesa...Si
precisa anche che l'hospitale dovrà essere stabilito in un luogo dove con facilità i pellegrini bisognosi possano
raggiungerlo, quindi, presumibilmente, lungo le strade principali o in luogo ad esse vicino 143.
Anche a Resiutta, con una chiesa lungo la strada come alla Chiusa, vi è memoria di un Hospitale
omnium sanctorum.
Ulteriore documentazione utile sulla chiesa di san Bartolomeo la troviamo in due documenti già
noti conservati presso l'APC: il primo risalente agli inizi del secolo XVI, il secondo del 1547.
Il primo, datum Utini apud Sanctum Antonium di cui si conserva qui copia pergamenacea, redatto il
15 giugno 1515, attesta la riconciliazione della chiesa curata e del suo cimitero.
Oltre all'interessante notizia della riconciliazione dell'edificio sacro, per la nostra indagine risulta
importante l'attestazione dell'esistenza del cimitero il quale assolveva, dunque, già precedentemente,
la sua funzione per i diversi borghi della curazia. Ciò dovrebbe significare che l'erezione della
chiesa di san Bartolomeo, ipotizzabile nei secoli XI-XII, abbia avuto come corollario l'apertura del
cimitero che sorgeva attorno ad essa i cui muri lambivano il Fella.
Questa constatazione impone necessariamente l'interrogativo su dove fosse ubicato il sepolcreto
precedente: non abbiamo alcun indizio a riguardo, pur sospettando che la risposta potrebbe celarsi
sul Cuèl Moresc, sito ove sorgeva la chiesetta dei santi Sebastiano e Fabiano.
Il secondo documento pergamenaceo «fu redatto e rilasciato nella villa di Chiusa domenica 30
gennaio 1547144» in occasione della consacrazione della chiesa di san Bartolomeo e della santissima
Trinità. La fonte è importante perchè contiene una descrizione, di età pretridentina, degli altari
presenti all'interno dell'edificio sacro. Ne vengono attestati quattro:
l'altare maggiore dedicato a san Bartolomeo, alla ss. Trinità, a san Pietro apostolo e san Nicola vescovo; quello a latere
Evangelii a san Valentino prete e martire, quello a latere Epistolae a san Giovanni Battista, a santa Caterina e a santa
Orsola vergine e martire e il quarto in onore della Madonna. In ciascuno di essi ho inserito alcune reliquie appartenenti
ai santi martiri Stefano, Vitale e Marta145.
Di san Bartolomeo abbiamo detto; notiamo la dedica tarda a san Valentino che coincide con
l'erezione della confraternita documentata il 18 gennaio 1550 e l'altare dedicato a san Giovanni
Battista che, a detta di G. Biasutti, in origine è «titolo paleocristiano. In Friuli titolo in parecchi casi
di diffusione longobarda, che continuò sino al basso Medioevo»146. Delle devozioni ricordate in
questo documento della metà del secolo XVI osserviamo che san Bartolomeo, la santissima Trinità,
143 FOSCHI 1999 p. 53.
144 Bollettino parrocchiale ottobre 1993, p. 10.
145 Ibidem.
146 BIASUTTI 1966, p. 36.
santo Stefano, san Giovanni Battista, san Nicolò, santa Marta, san Pietro erano già presenti nelle
notizie dedicatorie, comprese tra il 1119 ed il 1181, dell'abbazia di Moggio e sono indicatori di una
persistenza degli indirizzi devozionali facenti capo alla chiesa abbaziale. I rimanenti appaiono, in
Friuli, generalmente attestati nel Basso Medioevo147 e quindi possiamo considerarli inserzioni
devozionali posteriori.
Nel 1846, poco prima dell'abbandono e della demolizione, la chiesa presentava cinque altari: l'altare
maggiore dedicato a san Bartolomeo, l'altare in cornu evangelii a san Valentino, l'altare nella
cappella della Beata Vergine del Rosario, l'altare del santissimo Crocifisso e l'altare della beata
Vergine del Carmine. Dunque tre secoli dopo ritroviamo, oltre al santo titolare, solo san Valentino
(comunque di età tarda come abbiamo visto) e vi è stato un incremento significativo della
devozione mariana sorretta dalla presenza delle confraternite del Rosario e del Carmine: ciò
testimonia quanto sia stata dinamica l'evoluzione delle devozioni nella nostra curazia: solo san
Bartolomeo testimonia la sopravvivenza di una devozione medievale che ha accompagnato
l'erezione dell'antica chiesa della Chiusa.
Se volgiamo la nostra attenzione alla chiesetta di san Sebastiano148 constatiamo che la tradizione
locale vuole che essa sia una delle più antiche della Valle. In verità la dedicazione ci aiuta poco,
perchè il Racconto149 biasuttiano ci informa che i santi Fabiano e Sebastiano, in Friuli, è titolo
basso-medievale e attestato solamente a Villafuori di Paularo150; più diffuso risulta il titolo san
Sebastiano ma sempre in un contesto basso-medievale. Tuttavia, come abbiamo già visto, la notizia
dedicatoria mosacense dell'altare di san Michele, risalente al 1119, riporta anche il patrocinio sancti
Fabiani et Sebastiani.
Questa fonte documentaria ci offre necessariamente tre possibilità:

la chiesetta di Campolaro era già esistente nel 1119 con la sua titolazione, in contrasto col
dato che vuole tale devozione diffusa nel Basso Medioevo;

dobbiamo ipotizzare che la chiesa di Campolaro sia stata eretta dopo il 1119 sotto l'influenza
e la promozione di nuove devozioni da parte dei monaci di Moggio, in contrasto con la
memoria storica che la vuole una chiesa sicuramente più antica di san Bartolomeo;
147 Molto poco diffusi risultano san Vitale e santa Marta.
148 La titolazione dell'edificio era ai santi Fabiano e Sebastiano, ma la memoria paesana e la toponomastica (Çuc di
Glèsie, Colle di san Sebastiano) hanno completamente cancellato san Fabiano.
149 BIASUTTI 1966, p. 34.
150 L'edificio di Villafuori nacque come oratorio privato della famiglia Calice nel 1688.

si potrebbe pensare che la chiesetta, di antica fondazione, abbia conosciuto un'esaugurazione
per influenza del patrimonio devozionale conservato nell'abbazia di san Gallo, considerato
che il patrocinio dei due santi è attestato nella chiesa-matrice.
La prima delle ipotesi è influenzata da quanto G. Biasutti riporta nel suo Racconto151: non possiamo
sottovalutare la notizia anche perchè la tesi della titolazione tardo-medievale è tutt'altro che
generica. Appare fondato credere, infatti, che lo storico fondasse il suo convincimento anche su
quanto accaduto nella pieve di Dignano che, non dimentichiamolo, era sottoposta all'abbazia di
Moggio. Questa antica pieve, intitolata al principio del secolo XI ai santi Pietro e Paolo 152, oggi è
visibile nel cimitero del paese, ma l'attuale parrocchiale, di età posteriore, risulta dedicata a san
Sebastiano: è possibile che questa titolazione più tarda sia stata influenzata dal patrimonio
devozionale conservato negli altari dell'abbazia mosacense.
E' molto difficile pensare che la fondazione della chiesetta di san Sebastiano sia posteriore a quella
di san Bartolomeo, considerato che l'insediamento di Campolaro è più antico della Villa della
Chiusa nata, come abbiamo visto, in conseguenza della cresciuta importanza della struttura
fortificata. Manca un'auspicabile conferma archeologica, ma non si dovrebbe essere lontani dal vero
se si sostiene che l'edificio sorto sul Cuèl Moresc, a ridosso dell'insediamento abitato più antico
(forse mansio/statio Larix), sia il primo edificio cultuale del nostro territorio. Ciò ci costringerebbe
a concludere che l'ipotesi più plausibile sia proprio la terza ovvero che san Sebastiano fosse una
chiesa di antica fondazione di cui si è perduta la titolazione originaria. Con la formazione della Villa
della Chiusa e la costruzione di san Bartolomeo, l'antica chiesetta diminuì progressivamente
d'importanza poiché il nuovo polo attrattivo Clusa -villa della Chiusa- san Bartolomeo aveva
spostato le sedi del potere laico ed ecclesiastico alla periferia dell'antico insediamento di
Campolaro.
La notizia generica di un incendio dà per perduti molti documenti riguardanti la chiesa di san
Sebastiano che, nel 1846, «aveva un solo altare dedicato ai santi Fabiano e Sebastiano ed era
costituita da quattro muri con coperto e senza soffitto; la sua area era molto ristretta e non giungeva
alla metà della chiesa parrocchiale153». Aggiungiamo che il disegno che la descrive testimonia come
ad essa si appoggiasse -anteriormente a destra della facciata- una torre campanaria e l'ingresso fosse
incorniciato da un arco a sesto acuto (ogivale) tipicamente medievale.
Al sito dell'edificio orientato, posto in posizione elevata ed eccentrica rispetto a Campolaro, si
accedeva sia attraverso la strada comunale interna di Campolaro sia attraverso la strada comunale
151 BIASUTTI 1966, p. 43.
152 Anche in questo caso il patrocinio dei titolari della pieve (...apostolorum Petri et Pauli...), dal 1119 dipendente
dall'abbazia di Moggio, viene ricordato nel 1136 durante la dedicazione dell'altare abbaziale di san Benedetto.
153 Legami 2004, vol. 1, p. 216.
della chiesa che sbucava nella zona dell'abside154.
In alcuni atti conservati nel Fondo Moggio dell'ACAU si fa menzione della chiesa di san Sebastiano
coinvolta in casi singolari. Nel 1601 viene istruita una pratica processuale super sacrilegio
commisso in ecclesia divi Sebastiani de Campolaro et in capsulis luminarie quae exigi solent in
capitellis Campolarii et Clause prope cemeterium ut intus mentre nel 1709 è certo che si officiava
in san Sebastiano (con decreto patriarcale su richiesta del curato Nicolò Sticotti155) poiché le
abbondanti nevicate avevano gravemente danneggiato la chiesa di san Bartolomeo.
Purtroppo l'unicità dell'altare non ci permette di raccogliere altre notizie di tipo devozionale, ma un
documento del 1588 ci dà testimonianza che «Pre Camillo Andriuso...per ducati trentasie allano...sia
obligatto dir le sue messe a tempo e logo ordenario il giorno delle feste et li altri zorni da lavorar
deba dir la messa lo luni a san Bastian et il sabo in Dogna et li altri zorni dela setimana alla gesia di
m(isse)r santo Bart(olome)o di Sclusa»156: veniamo così a conoscenza come fosse organizzata
l'assistenza spirituale nel territorio compreso tra Chiusaforte, Raccolana (con la valle) e Dogna (con
la valle).
La citazione di Dogna mi permette di ricordare che la titolazione della sua chiesa risulta
interessante: la devozione a san Leonardo diffusasi già dall'epoca carolingia e la deposizione delle
reliquie del santo nel 1181 nell'altare abbaziale di santa Maria Maddalena a Moggio portano ad
ipotizzare che l'edificio fosse esistente nei secoli XI-XII quale cappella sorta per le esigenze della
comunità di Dogna e della sua valle, mentre il patronale san Lorenzo potrebbe testimoniare
l'esaugurazione di un titolo più antico. Del resto va considerato che anche Dogna si trova lungo la
direttrice dell'antica via al Noricum ed è stata interessata da sporadici ritrovamenti archeologici
romani e preromani157; inoltre proprio a ridosso di Dogna si trova il punto più stretto dell'alveo del
Fella (tra Pontebba e le foci) che viene ancor oggi attraversato con un a passerella pedonale.
6. Alcune conclusioni ed alcune prospettive.
Detto ciò, qualche considerazione conclusiva si impone, sottolineando comunque che tale scrittura
ha voluto assolvere solamente lo scopo di una prima ricognizione ed introduzione per una storia
religiosa del Canale del Ferro nell'età precedente l'erezione dell'abbazia di san Gallo di Moggio,
nonostante l'estrema scarsità di fonti scritte e la sostanziale mancanza di esplorazioni archeologiche
finalizzate a trovare quegli indizi che le citate fonti ci negano.
Il periodo tardoantico ovvero l'epoca della plebazione prelongobarda risulta ben documentato dal
punto di vista archeologico sia per la limitrofa regione del Noricum sia per la Venetia et Histria
154 Si veda la mappa del Catasto napoleonico in Legami 2004, vol. 1, p. 163.
155 ACAU Fondo Moggio, Clausa IX.
156 Bollettino parrocchiale aprile 1993, p. 10.
157 MARINELLI 1894, pp. 154-155.
montana con Iulium Carnicum e ciò permette di inserire la Valle del Fella in un contesto territoriale
ben definito.
Tuttavia in tale contesto non sono stati effettuati accertamenti archeologici volti a stabilire
l'antichità di alcune nostre chiese e questa lacuna impedisce di andare oltre alcune ipotesi suggerite
dagli indizi che pure ci sono. Un caso esemplare: il funesto abbattimento della chiesa di san Martino
di Resiutta a causa delle lesioni del sisma aveva creato le condizioni per un'esplorazione
archeologica approfondita di uno dei siti più interessanti del nostro territorio che avrebbe permesso
di documentare e studiare alcune dinamiche classiche della storiografia plebanale quali, per
esempio, la continuità tra insediamento amministrativo romano (statio Plorucensis) ed
insediamento ecclesiastico, il rapporto tra chiese ed antiche vie di comunicazione, l'organizzazione
dell'ospitalità lungo i tragitti montani, l'eventuale organizzazione plebanale longobarda. Purtroppo
ci rimane solamente la sensazione di un'occasione mancata.
Per i secoli VI-X, definiti da Menis «l'età dello sviluppo e della maturazione dell'organizzazione
plebanale»158, abbiamo visto che alcune titolazioni sembrano rinviare a devozioni riferibili all'età
longobarda e potrebbero, se supportate dall'archeologia, concorrere a definire un quadro
dell'organizzazione plebanale che dovrebbe essersi mantenuto, definendosi con ancor maggior
precisione in età carolingia, sino all'erezione dell'abbazia di Moggio la quale segna una cesura nella
storia della pieve nel Canale del Ferro, ponendo in essere nuove dinamiche tra le istituzioni
ecclesiastiche del territorio ed il popolo cristiano che in esse vivevano e si riconoscevano.
Curzio Conti
158 MENIS 1984, p. 12.