Le notizie dedicatorie dell`Abbazia di Moggio
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Le notizie dedicatorie dell`Abbazia di Moggio
Le notizie dedicatorie dell'Abbazia di Moggio: una mappa santorale del secolo XII per il Canale del Ferro. 1. Il Cristianesimo antico nella bassa Valle del Fella: un primo approccio generale. Un indicatore utile alla ricostruzione di uno sfondo storico del nostro territorio -intrecciandosi con la strada al Noricum e la presenza della Chiusa1- risulta sicuramente il Cristianesimo. Una premessa va subito fatta: se si fa eccezione per l'abbazia di Moggio, che ha sempre attratto l'attenzione degli storici e sulle cui vicende non mancano ormai studi approfonditi e soddisfacenti2, per altre località del Canale del Ferro, in particolare Resiutta, Chiusaforte e Resia, scarsissimo è stato l'interesse3 verso la ricerca su quale potesse essere l'ordinamento plebanale tardoantico e altomedievale precedente la fondazione dell'abbazia; ciò non manca di sorprendere se si considera il fatto che gli edifici sacri di Resiutta e Chiusaforte4, oltre ad essere ubicati nelle immediate vicinanze dell'antica via al Noricum, sorgono su terreni che hanno restituito resti romani, senza contare che alcune antiche intitolazioni quali san Martino a Resiutta e santa Maria Assunta in Val Resia già avevano destato l'attenzione di monsignor G. Biasutti. Indubbiamente la ricerca risulta condizionata dalla mancanza di indagini archeologiche condotte nelle chiese citate e dall'assenza di fonti scritte per il periodo antecedente la fondazione dell'abbazia di Moggio Udinese. Tuttavia il Biasutti stesso denunciava l'inadeguatezza, nell'indagine storica sulla diffusione del Cristianesimo, dell'«astratto formalismo giuridico per il quale quod non est in chartis non est in mundo»5 proprio dell'approccio riduttivo positivistico e del resto non sono mancati importanti studi sull'architettura alpina6 degli edifici di culto e sulla diffusione del Cristianesimo nella zona settentrionale della Venetia et Histria e nel Noricum, che ci aiutano ad inserire -in un contesto storico documentato- anche il nostro territorio. 1 CONTI 2012 e CONTI 201.XXXX 2 Nel 2009 il Fondo Moggio in ACAU è stato inventariato dal L.Olivo che, oltre a dare l'elenco dei materiali cartacei presenti, ne ha descritto sommariamente il contenuto e lo stato di conservazione che in alcuni casi è tanto deteriorato da pregiudicarne la consultazione. L'inventario è preceduto da una chiara ed utile introduzione sulle caratteristiche della giurisdizione dell'abbazia. Si veda anche BIANCO (a cura di) 1995. Va ricordato comunque che già nel 1992 F. De Vitt aveva presentato un dettagliato inventario del Fondo Moggio: DE VITT 1994, pp. 121-136. 3 Monsignor G. Biasutti, acuto indagatore del Cristianesimo aquileiese, nel noto volume del 1966 Racconto geografico santorale e plebanale per l'arcidiocesi di Udine e nel recente (2005) La chiesa di Aquileia dalle origini alla fine dello scisma dei Tre Capitoli (secc. I-VI) edito a cura di G. Brunettin, offre alcune ipotesi che saranno utili nel prosieguo dell'analisi. 4 Si fa riferimento alla chiesa di san Sebastiano che sorgeva sul Cuèl Moresc sino al 1856, di cui si conserva il disegno eseguito poco prima della demolizione per costruirvi la parrocchiale attuale dedicata a san Bartolomeo. La chiesa medievale dedicata a san Bartolomeo, fortemente legata alla presenza della Chiusa, sorgeva pure lungo la via del Fella nelle vicinanze della fortezza. Venne abbandonata dopo la rovinosa piena del 1851, ma si conservano interrati- importanti resti oltre che una dettagliata riproduzione della metà del secolo XIX. 5 BIASUTTI, 2005, p. 5. 6 Mi riferisco in particolare al saggio di MENIS 1976, pp. 375-420 ed ai saggi di CUSCITO 1976, pp. 299-345, e di PAVAN 1991, pp. 395-436. Nel lontano 1972 G. C. Menis, intervenendo al III Congresso nazionale di Archeologia cristiana, diede una serie di indicazioni precise per definire una metodologia nello studio sul Cristianesimo antico nel territorio friulano. In primo luogo veniva sottolineato che un'indagine sulla diffusione del cristianesimo al di fuori della città di Aquileia, nel suo agro...non può metodologicamente giustificarsi anteriormente ai primi decenni del secolo IV; e ciò non solo perchè al 314 risale il primo documento relativo alla chiesa aquileiese, ma anche per la ragione che quanto possiamo ipotizzare sulla comunità cristiana locale in epoca precostantiniana conferma ampiamente la convinzione che essa costituisse allora un fenomeno spiccatamente cittadino7. Questa prima indicazione metodologica risulta confermata dalla recente mappa archeologica pubblicata nel saggio8 di A. Cagnana sulle chiese rurali in Friuli fra V e VI secolo: nessuno degli edifici di culto extraurbani oggetto di indagine archeologica risale ad un'epoca precedente il secolo IV9. Ciò naturalmente non preclude la possibilità, come ricorda il Biasutti, che «la naturale tendenza a denominarsi e la necessità pedagogica di proporre ai convertiti un valido sostituto ai molteplici geni o deità rurali fa ritenere che fin dal secolo IV siano sorti qua e là sacelli o analoghi simboli sacri di ispirazione cristiana, fin nelle ville o nei casolari, negli agri, sui pascoli, lungo le erte»10. Menis, dopo aver sottolineato la vitalità della chiesa aquileiese in seguito all'Editto di Costantino, vitalità ed attivismo incarnati dal vescovo Teodoro «realizzatore del grande complesso episcopale, con le due aule parallele e i meravigliosi pavimenti musivi»11, ipotizza «che già subito dopo la pace costantiniana la chiesa di Aquileia abbia iniziato la sua espansione evangelizzatrice ed organizzativa nell'immediato entroterra»12. Nel 314 si tenne il Concilio di Arles, assemblea alla quale partecipò anche il vescovo aquileiese Teodoro assistito dal diacono Agatone, Concilio durante il quale «si accenna già all'esistenza di chiese rurali»13 in quanto sono testimoniati diaconi urbani che vanno distinti dai diaconi delle chiese di campagna. A rafforzare tale ipotesi -meglio sarebbe dire quasi a capovolgere il rapporto tra città e campagna nell'analisi della diffusione del primo Cristianesimo- il Biasutti propone alcune considerazioni assai interessanti: ricorda in primo luogo «la rusticità del culto sabbatico ricordata nel Concilio di Cividale del 796 e certamente rimontante ai secc. I-II»14 e a ciò aggiunge «l'esigenza naturale per i perseguitati lungo i secc. I-III di riparare in luoghi agresti o boschivi di più sicuro recesso e la più che probabile esistenza di patrimoni colonici di alcuni cittadini aquileiesi ove i fratres potevano trovare modo e protezione per professare la nuova fede»15. Secondo lo studioso, quindi, l'ambiente 7 8 9 10 11 12 13 14 15 MENIS 1974, p. 49. CAGNANA 2003, pp. 217-244. CAGNANA 2003, p. 219. BIASUTTI 2005, p. 135. MENIS 1974, pp. 50-51. Ibidem. MENIS 1974, p. 51. BIASUTTI 2005, p. 140. Ibidem. aquileiese giudeo-cristiano, piuttosto chiuso, avrebbe prodotto uno scarso aumento di nuovi convertiti sino alla metà del III secolo, confermando quella che Menis definiva «l'irrilevanza sociale che il cristianesimo mostra di avere fino alla fine del III secolo nella stessa città di Aquileia»16; diverse sono però le conseguenze che i due studiosi traggono da questa comune constatazione: il Biasutti ipotizza comunque un'iniziale presenza cristiana rurale per i motivi visti sopra, mentre Menis sottolinea «l'assenza totale, in tutto il territorio regionale al di fuori di Aquileia, di ogni traccia o ragionevole indizio che possano farci sospettare una presenza cristiana anteriore al IV secolo»17. Sicuramente la pace religiosa costantiniana ha creato le premesse per uno sviluppo significativo dell'attività missionaria ed «i mosaici dell'aula meridionale aquileiese con le loro rappresentazioni simboliche del mare, della pesca, dei pescatori, della barca e dei pesci, costituiscono una palese dimostrazione dello spirito missionario che animava la chiesa di Teodoro»18. Le direttrici dell'evangelizzazione risultano definite dalle antiche vie che formavano la rete stradale della regione della Venetia et Histria ed una di queste, assai importante, è naturalmente la via diretta al Noricum sulla quale transitarono, quindi, non solo i mercanti e gli eserciti diretti a Settentrione ma anche i missionari cristiani. Del resto l'importanza dell'attività di propagazione della nuova fede e l'attenzione riservata agli abitanti delle zone rurali è dimostrata anche dal fatto che «il vescovo Fortunaziano (342-368) sentì la necessità di scrivere per loro (come ci informa san Girolamo) un breve commento ai Vangeli nel sermo rusticus da essi parlato»19. Anche il vescovo aquileiese Valeriano (371-388) diede grande impulso all'attività missionaria e proprio dal «cenacolo di clerici aquileienses che egli promosse, e di cui Girolamo esaltò la scienza e la pietà, uscì una schiera di missionari e di vescovi che si sparsero nelle regioni anche più lontane dell'Italia settentrionale, della Rezia, del Norico e della Pannonia»20. Si va delineando, quindi, uno sfondo storico documentato, risalente al IV secolo, che può essere di qualche aiuto per descrivere quanto andava accadendo nel nostro territorio che, come noto, risultava attraversato dalla fondamentale arteria stradale diretta al Norico sicuramente percorsa da quanti andavano predicando la parola di Cristo. Sempre allo scopo di ricostruire un quadro sufficientemente concreto della chiesa aquileiese, risulta interessante seguire il Biasutti che fa abbondantemente riferimento all'opera scritta del vescovo san Cromazio (335 ca. - 408): si incontrano critiche a sacerdoti simoniaci, ammonizioni sulla condotta di qualche rector di chiese locali, descrizioni di conversioni da parte di Ebrei e di apostasie da parte di cristiani, lodi al popolo dei fedeli. Tra tanti riferimenti attribuibili alla chiesa aquileiese, non 16 17 18 19 20 MENIS 1974, p. 50. Ibidem. MENIS 1974, p. 51. MENIS 1974, p. 53. MENIS 1974, p. 54. manca la citazione positiva di sanctos praedicatores che continuano la preziosa opera di evangelizzazione21 a cavallo dei secoli IV e V. Sul finire del secolo IV (390 circa), durante il governo episcopale di Cromazio, viene eretta la diocesi di Concordia poi, e qui il dato riguarda direttamente il nostro territorio alpino, anche il centro romano di Zuglio (Iulium Carnicum) viene elevato a rango vescovile probabilmente sempre per impulso di san Cromazio. Quando è avvenuto ciò? G. C. Menis ricorda che «quantunque le notizie scritte sicure sul vescovado di Zuglio non risalgano oltre il 490, gli scavi archeologici hanno messo in evidenza subito fuori le mura dell'antica città notevoli resti di una basilica rettangolare che può senz'altro essere datata agli ultimi decenni del secolo IV o al principio del V»22; il Biasutti, sull'erezione della diocesi di Iulium Carnicum, ipotizzava una datazione precedente a quella di Concordia (390) «poichè questo era esatto dalla lontananza e dal ben più gravoso accesso che ne consentissero la funzionalità»23. Entrambi gli studiosi trovano plausibile, quindi, che già nel IV secolo ci sia in territorio montano un'importante centro propulsore ed organizzatore per la cristianizzazione del territorio, tanto più importante per il Canale del Ferro che, come abbiamo già constatato in precedenza, non evidenzia la presenza di insediamenti di tipo urbano in epoca antica e quindi richiedeva un'opera missionaria particolarmente impegnativa volta a contrastare i culti pagani testimoniati sia dall'arula dedicata a Silvanus Silvester ritrovata a Resiutta24 sia dai resti, localizzati a Camporosso, attribuiti già nel 1982 ad un Mitreo25. 2. Il Cristianesimo tra Noricum e Venetia et Histria alpina: un contesto per la valle del Fella. A completare un quadro generale della penetrazione cristiana nella regione alpina possiamo guardare al Noricum ovvero alla regione settentrionale confinante col nostro territorio, collegata dall'importante via di cui abbiamo già trattato in precedenza26. Come ricorda G. Cuscito, riferendosi al prestigio della Chiesa aquileiese, «nel 442 troviamo un documento che ce ne dà esplicita testimonianza: la lettera in cui Leone Magno suggerisce al vescovo di Aquileia di indire un sinodo di tutti i suoi provinciales sacerdotes, cioè dei suoi vescovi suffraganei»27. A metà del secolo V esiste dunque un'organizzazione ecclesiastica dipendente da Aquileia ben sviluppata, tanto da poter suggerire la convocazione di un sinodo. BIASUTTI 2005, p. 142-144. MENIS 1974, p. 55. BIASUTTI 2005, p. 146. MAINARDIS 2008, p. 103. RIGONI 1983-1984, pp. 29-30. Per un riferimento alla presenza di culti dedicati a Mitra in zona alpina cfr. CUSCITO 1976, pp. 299-309. 26 CONTI 2012 27 CUSCITO 1976, p. 300. 21 22 23 24 25 Inoltre, da fonti del secolo VI28, apprendiamo che sedi suffraganee di Aquileia erano allora: Altinum, Bellunum, Concordia, Feltria, Iulium Carnicum (Zuglio), Opitergium (Oderzo), Patavium (Padova), Tarvisium (Treviso), Tridentum (Trento), Verona, Vicetia (Vicenza) nella Venetia; Cissa (Rovigno), Parentium, Pola, Tergeste nell'Histria; Sabiona (Saben), e Augusta (Augsburg) nella Retia II; Aguntum (Lienz), Celeia (Celje), Tiburnia (S. Peter im Holz) e Virunum (Zollfeld) nel Noricum; Scarabantia (Sopron) nella Pannonia I; Emona (Lubiana) nella Savia29. La nostra attenzione si sofferma sia sulla presenza delle sedi vescovili del versante italiano delle Alpi nordorientali (Trento, Belluno, Feltre e Zuglio) sia sulle sedi suffraganee del Norico, in particolare Aguntum, Tiburnia e Virunum i cui presuli, per partecipare ai sinodi citati sopra, avranno percorso le vie attraverso il passo di Monte Croce Carnico e la via lungo la valle del Fella, tracciati che possiamo quindi ritenere ancora efficienti alla fine del secolo VI, dopo l'invasione longobarda, un dato che dimostra una permanenza dell'organizzazione ecclesiastica dei secoli IV e VI nonostante la dissoluzione della compagine imperiale romana. Analizzando le tradizioni martirologiche che potrebbero fornire notizie importanti per la diffusione del credo cristiano nel Noricum, G. Cuscito si basa sulla passio di san Floriano di Lorch (antica Lauriacum sul Danubio) martirizzato durante le persecuzioni di Diocleziano. Questa narrazione «dimostra una conoscenza così immediata dell'ambiente e della società romana del Norico che ci è difficile poter supporre come autore un agiografo vissuto in epoca successiva all'invasione barbarica nella regione...Possiamo dunque essere certi di possedere una testimonianza attendibile relativa ai cristiani del Norico per l'inizio del secolo IV30». Anche la figura del vescovo di Poetovium31 (Ptuj) Vittorino32 risulta molto interessante per ricostruire un quadro del Cristianesimo alpino, in quanto «il commercio intellettuale di Vittorino con Origene e la sua cultura quasi esclusivamente ellenica poiché, stando a san Gerolamo, scriveva in un latino non molto elegante, ci obbliga a considerarlo uno dei rappresentanti più avanzati, in senso geografico, della propaganda cristiana orientale»33. Da ciò l'importante conseguenza che resta così attestato anche per questa via come il Norico e la Pannonia occidentale formassero un ambiente in cui si sono incontrati i due movimenti dell'apostolato cristiano attraverso i paesi alpino-danubiani: quello che risaliva il corso del Danubio assieme alle legioni34 dislocate dall'Asia per rinforzare la difesa dell'Illirico e quello che dal litorale adriatico 28 Ci si riferisce all'elenco dei vescovi partecipanti al Concilio provinciale di Grado del 579 ed alla lista dei partecipanti al Concilio di Marano del 590 assieme alla lettera del 591 inviata all'imperatore Maurizio dai vescovi provinciali aquileiesi. 29 CUSCITO 1976, p. 300. 30 CUSCITO 1976, p. 318-319. 31 L'importante città di Poetovium fu aggregata al Noricum, staccandola dalla Pannonia, durante le riforme dioclezianee. Inoltre il Noricum fu diviso in due circoscrizioni: «Ripense, a Nord, oltre lo spartiacque degli alti e bassi Tauri, con sede amministrativa ad Ovilava e Mediterraneum, a Sud, con sede amministrativa a Virunum» (PAVAN 1991, p. 407). 32 Martirizzato sotto Diocleziano e «primo esegeta che scrisse in latino parecchi commenti alla Bibbia» (CUSCITO 1976, p. 320). 33 CUSCITO 1976, p. 320. 34 Ci si riferisce all'episodio, avvenuto nel 174, del miracolo della pioggia della Legio XII Fulminata, uragano che permise ai legionari romani, assetati ed in difficoltà, di avere la meglio sui barbari Quadi e Marcomanni. Secondo i cristiani l'intervento soprannaturale fu conseguenza delle preghiere dei soldati seguaci della nuova fede. Ciò passava attraverso i passi alpini per dirigersi verso le regioni dell'odierna Austria e Ungheria, assieme ai funzionari romani e ai commercianti35. Lo stesso M. Pavan, nel ricostruire la presenza cristiana nella regione del Norico, constata che «tra la fine del III e gli inizi del IV secolo i castri militari -e quello di Lauriacum (Lorch), sede della legione II Italica, era colà il più importante- formavano luoghi di consistenti comunità cristiane»36. Naturalmente nel periodo compreso tra la fine del secolo IV e il VI la regione confinante con le nostre Alpi conobbe un progressivo degrado a causa delle invasioni barbariche, degrado che il Pavan ricostruisce con ricchezza di notizie analizzando anche le nuove dinamiche poste in essere dall'incontro/scontro tra provinciali romanizzati e barbari. Osserva infatti lo studioso che proprio quando nelle provincie il processo di romanizzazione e di relativa affermazione culturale e sociale, sia nei centri cittadini, sia nei castri militari, aveva finito col dare volto allo stesso ambiente indigeno, con una caratterizzazione delle peculiarità regionali, la debolezza del potere centrale, di cui quella caratterizzazione e quindi affermazione erano nel contempo causa ed effetto, costringeva al compromesso con le forze esterne che, interrompendo quel processo, dovevano dare un diverso destino alle regioni divenute terra di conquista. In ciò l'affermazione del cristianesimo e il conseguente ruolo che vi assunse l'organizzazione ecclesiastica appaiono al centro dello sforzo di conservazione politica, per un verso, e di efficace interlocuzione col barbaro, per l'altro 37. Se da un lato, quindi, l'ordine politico viene meno, non per questo si cancella la possibilità che il territorio in esame possa conoscere nuove forme di aggregazione che permettano, in qualche misura, di conservare un'identità minacciata: del resto le popolazioni barbariche, pur responsabili di scorribande e danni materiali, confessavano un fede cristiana pur nella forma eretica dell'arianesimo e ciò pare aver aperto qualche spiraglio di mediazione. Analizzando la figura di san Severino38 tratta dalla biografia redatta, nel 511, dal suo discepolo Eugippio il Pavan, infatti, rilevava una certa differenziazione tra il sentire di Severino, uomo d'azione, oltre che di preghiera, e perciò aperto alle esigenze stesse dei barbari e meno rigido nei confronti del loro arianesimo, e il suo biografo e allievo di religione, Eugippio, più intransigente nella professione romano-cattolica»39 e ciò, secondo lo studioso «riflette l'emergenza della dialettica delle forze storiche operanti nel tempo e nei luoghi, con relative ricerche di compromessi o di irrigidimenti 40. A completare il quadro della diffusione del Cristianesimo nel Norico del V secolo, G. Cuscito ricorda località, citate nella biografia di san Severino, come centri di comunità cristiane meno importanti: Iuvavum (Salisburgo), Cucullae (Kuchl), Boiotrum (PassauInnstadt), Ioviacum (Schlogen), Favianae (Mautern), Comagenae (Tulln), Asturae (Klosterneuburg). Tutto ciò fa 35 36 37 38 39 40 attesterebbe la presenza della religione cristiana tra i legionari (di origine orientale) stanziati in Pannonia nel II secolo. CUSCITO 1976, p. 320. PAVAN 1991, p. 407. PAVAN 1991, p. 415. Si veda anche il saggio di QUACQUARELLI 1976, pp. 347-374. PAVAN 1991, p. 430. Ibidem. supporre che ci fossero delle chiese un po' dovunque e che nell'ultimo quarto del secolo V il Norico fosse un paese ormai in buona parte cristianizzato41. Tali considerazioni ci permettono di comprendere meglio, nelle calamità dei tempi, come avvenisse il tramonto di ciò che Pavan definisce romanesimo nel Noricum, dandoci la possibilità di dare concretezza a quanto -le invasioni barbariche- in genere percepiamo sotto una categoria piuttosto astratta e magari fuorviante. Certamente, continua il Pavan, con l'emigrazione in massa dei provinciales dal Norico Ripense venne a cessare ogni effettiva presenza di tradizione romana colà: i castella, antiche sedi di guarnigione, e le cittadine fiorite sotto la loro protezione, mutarono per lo più anche il nome, o sotto l'influenza dei sopravvenuti o per il riaffiorare di sopravvivenze preromane mai del tutto eliminate, anche se nuclei sparuti, e tuttavia vivi, di provinciales rimasti, non faranno mai sparire del tutto né le tracce del romanesimo né quelle del cristianesimo, il quale invero ritroverà vigore, espansione ed affermazione, anche civile e politica, con l'assetto degli imperi barbarici e altomedievali 42. In questo contesto di grande fluidità politica ci si chiede quale potesse essere il destino del Cristianesimo alpino, considerato che proprio nel VI secolo si manifesta, nella Chiesa aquileiese, lo Scisma dei Tre Capitoli43 conseguente alla nuova condanna delle opere di Teodoreto di Ciro, di Teodoro di Mopsuestia e di Iba pronunciata dal Concilio di Costantinopoli nel 553. È noto che la Chiesa di Aquileia con i vescovi della Venetia, rifacendosi alle deliberazioni del 451 del Concilio di Calcedonia, si oppose energicamente alle decisioni prese a Costantinopoli, entrando in conflitto con papa Pelagio e proprio durante questo periodo i contatti tra le chiese del Norico Mediterraneo, ovviamente soggette al predominio franco 44 e quelle della Venezia, che risentivano certamente anch'esse di quel dominio franco e longobardo al di là delle Alpi, anche nei loro atteggiamenti di indipendenza verso il papa di Roma, sorretto a sua volta dall'imperatore [bizantino], erano quindi vivi, anche perchè le comunicazioni erano rimaste abbastanza efficienti 45. A rafforzare la tesi di un Cristianesimo vitale e coeso nel territorio alpino durante questo periodo, abbiamo già ricordato la partecipazione al Concilio di Grado del 579 di vescovi pannonici e norici precisamente il vescovo di Tiburnia (Teurnia) Leoniano, quello di Aguntum Aronne, quello di Celeia Giovanni, di Emona Patrizio, di Scarabantia Vigilio. Questi vescovadi d'Oltralpe, nonostante le traversie dovute ai passaggi e agli insediamenti barbarici, mantenevano quindi ancora saldi contatti con la Chiesa di Aquileia, fino al punto di partecipare 41 CUSCITO 1976, pp. 329-330. 42 CUSCITO 1976, pp. 329-330. 43 I cosiddetti Tre Capitoli sono gli scritti di Teodoro di Mopsuestia, di Teodoreto di Ciro e la lettera di Iba di Edessa; queste opere erano vicine all'eresia del teologo cristiano orientale Nestorio (IV-V secolo d. C.), dottrina condannata al Concilio di Efeso del 431. Tuttavia tali scritti, vertenti sulla natura di Cristo, furono accettati durante il Concilio di Calcedonia del 451. 44 Nel 539 i Franchi, in conseguenza della crisi del Regno dei Goti in Italia, occuparono la Venetia e l'alta valle della Drava nel Norico Mediterraneo. Durante la guerra tra Bizantini e Franchi (553-562) Vitale, vescovo di Altino, si rifugiò ad Aguntum (Lienz) in territorio controllato dai Franchi per sfuggire ai Bizantini. 45 PAVAN 1991, pp. 432-433. alle dispute dottrinarie e alle rivendicazioni nei riguardi del primato di Roma 46. Tale situazione sembra compromettersi gravemente con la presenza degli Avari e degli Slavi, anche se «scarse, ma tuttavia bene testimoniate sono le resistenze di qualche nucleo isolato, ancora nel corso del VII secolo, non solo a Iulium Carnicum, ma Oltralpe, sul colle di Lavant. Ma i resti della basilica cimiteriale di Tiburnia mostrano chiaramente i segni delle distruzioni avvenute in quest'epoca; e così ad Aguntum»47: tra le conseguenze più vistose, per il nostro territorio montano, la scomparsa della diocesi di Zuglio assorbita da quella aquileiese attorno al 740 durante il vescovado di Amatore. Ho già avuto modo di ricordare l'importante contributo di G. C Menis dedicato alla basilica in ambito alpino, un vero e proprio catalogo di quanto l'archeologia, indirizzata alla documentazione degli edifici di culto paleocristiani, aveva restituito fino a quel momento. Nelle regioni di nostro interesse, Noricum (Ripense et Mediterraneum) e Venetia et Histria montana, resti di basiliche48 paleocristiane sono testimoniati a Lienz, Stribach-Aguntum, Kirchbichl von Lavant, S. Peter im Holz-Teurnia, Duel, Laubendorf, Hoischhugel (tra Coccau e Arnoldstein entro castrum tardonatico), Grazerkogel (a nord di Klagenfurt non lontano da Virunum), Ulrichberg (vallata Zollfeld), Hemmaberg-Iuenna? (a oriente di Klagenfurt) Celje-Celeia, Rifnik tutte nell'ambito del Norico Mediterraneo, regione direttamente collegata alla nostra dal sistema viario che attraversava anche la nostra valle. Il Norico Ripense evidenzia testimonianze a Lorch- Lauriacum, Mautern-Favianis?, Klosterneuburg-Asturis?, Georgenberg mentre nella Venetia et Histria, in zona montana, troviamo basiliche a Bolzano, Altenburg, Dos Trento, Trento-Tridentum49, Zuglio-Iulium Carnicum, Invillino-Ibligo50. Aggiornando il catalogo per il territorio montano in Friuli, in Carnia va ricordata la recente campagna di scavi archeologici che ha restituito il complesso paleocristiano di san Martino di Ovaro con vasca battesimale esagonale51. Dopo aver elencato i dati archeologici il Menis ne dà anche una lettura storico-tipologica che risulta assai interessante per delineare un quadro più generale del cristianesimo in zona alpina. 46 Ibidem. 47 PAVAN 1991, pp. 435-436. 48 Il termine basilica «entrò nel linguaggio cristiano fin dal IV secolo col significato di sede destinata al servizio divino e in particolare ad indicare tutto ciò che non fosse la chiesa cattedrale...o quella parrocchiale. Solitamente si trattava di un luogo di culto sorto per iniziativa privata e posto sotto il controllo del fondatore, privo di battistero e di clero stabile. Erano suoi sinonimi oratorium (luogo destinato esclusivamente alla preghiera, chiesa minore, luogo di culto privato costruito nei campi o presso una villa) e titulus (insegna, iscrizione onorifica, spesso epigrafe sepolcrale e anche luogo in cui è conservata la lapide che ricorda qualche santo; quindi chiesa non pubblica, minore). A partire dal VII secolo tutti questi termini vennero progressivamente sostituiti da capella; basilica andò in disuso, in questa accezione, prima della fine del primo millennio, sopravvivendo solo nelle zone più periferiche» (CURZEL 1999, p. 288). 49 Per un quadro aggiornato sui ritrovamenti di chiese rurali tardoantiche nella zona trentina ed altoatesina si veda CAVADA 2003, pp. 173-187 e NOTHDURFTER 2003, pp. 191-216. 50 MENIS 1976, pp. 381-387. Oggi l'identificazione Ibligo/Invillino è fortemente messa in dubbio (Cfr. MAINARDIS 2008, p. 60). 51 CAGNANA 2003, pp. 231-235. Per san Martino di Ovaro in particolare si veda CAGNANA, 2010. In primo luogo l'esame critico della cronologia delle singole basiliche...ci porta a concludere che la fondazione della quasi totalità dei monumenti esaminati avvenne nel corso di un secolo circa, cioè dalla fine del secolo IV alla fine del secolo V, con un indice di maggior frequenza nella prime metà del secolo. Durante il secolo VI invece, fino alla soppressione definitiva del primo cristianesimo nella regione ad opera dell'immigrazione di nuove popolazioni, l'attività edilizia cristiana diventa irrilevante. Accanto all'erezione di qualche nuova chiesa si registrano prevalentemente lavori di ampliamento dei vani originari, restauri più o meno sommari, ammodernamenti o sostituzioni delle funzioni primitive 52. Tuttavia ritengo necessario integrare questo dato con quanto afferma per il Friuli A. Cagnana la quale, per il periodo compreso tra i secoli VII-VIII, rileva che sono diciassette le chiese con fasi di VII-VIII secolo attestate da resti archeologici. Fra queste quattro sono indiziate solo da lacerti murari (santa Maria di Gorto, san Giorgio di Nogaro, san Marco di Basiliano, san Giuliano a Grado). Per altre quattro la planimetria può essere ricostruita parzialmente (san Martino di Ovaro, san Pietro ad Osoppo, san Martino d'Asio, san Daniele), mentre per ben nove edifici i resti archeologici sono tali da consentire una ricostruzione pressoché completa della pianta (complesso di colle Zuca e santa Maria Maddalena a Invillino, san Silvestro a san Salvatore di Maiano, san Pietro di Ragogna, santi Gervasio e Protasio di Nimis, san Lorenzo di Buia, san Martino a Rive d'Arcano, sant'Andrea di Venzone, santa Maria in Sylvis di Sesto al Reghena)53. A questo significativo elenco vanno aggiunte le ventisette chiese attestate solo da resti scultorei e manufatti collocabili fra VIII e il IX secolo54. Tali dati suggeriscono, nonostante le criticità sottolineate da Menis alla fine del secolo VI, un quadro di notevole continuità, inserita in un'ottica di riorganizzazione territoriale della diocesi della chiesa di Aquileia che divenne, all'inizio del secolo IX, la più vasta d'Europa, pur con «una vistosa contrazione della giurisdizione metropolitica»55. Inutile sottolineare l'assenza totale di dati per la bassa valle del Fella mai interessata da esplorazioni archeologiche volte a definire il quadro dell'organizzazione ecclesiastica del territorio in epoca precedente la fondazione dell'abbazia di san Gallo di Moggio. Ritornando al quadro del cristianesimo alpino quale lo delinea il Menis, i resti archeologici documentano l'esplodere della fioritura basilicale dell'inizio del secolo V. Dovunque le numerose comunità che vanno ancora formandosi, fino nelle vallate alpine più interne, richiedono ambienti cultuali specifici, basiliche 56 appunto, come vengono chiamati da Eugippio. Occorrono vani adatti, capaci di accogliere le assemblee dei fedeli e consoni allo svolgimento delle sacre liturgie57. Non solo. L'archeologia ha permesso allo studioso di definire un'unità tipologica degli edifici messi in luce tanto da poter «usare l'espressione di architettura alpina. Si tratta infatti, nella maggioranza dei casi, di ambienti di culto sorti in zona montana, alle volte in alta montagna, per gente di MENIS 1976, p. 390. CAGNANA 2001, p. 97. Ulteriori notizie sulle basiliche sono reperibili in TAVANO 2004, pp. 57-69. Si veda l'elenco in CAGNANA 2001, p. 97, nota 29. CAGNANA 2001, p. 94. Tale giurisdizione fu ridotta a causa della presenza dell'autorità metropolitica di Grado e Salisburgo. 56 Per chi volesse approfondire il toponimo basilica veda le pagine dedicate al Friuli da SCHIAFFINI 1923, in particolare pp. 37-42. 57 MENIS 1976, p. 391. 52 53 54 55 montagna, con finalità rigorosamente funzionali, aliene quindi da ambizioni di stile o di monumentalità proprie dei grandi centri»58. Sono annotazioni molto interessanti poiché ci aiutano a ricostruire concretamente le caratteristiche di edifici di culto cristiani in un ambito montano quale il nostro: non è seriamente pensabile, infatti, che le comunità insediate lungo il Fella già in epoca romana non avessero provveduto a dotarsi di edifici di culto una volta diffusosi il Cristianesimo. Quali le caratteristiche costruttive di queste prime chiese? Anche in questo caso preziose risultano le indicazioni di Menis pur non dimenticando che «le planimetrie delle chiese paleocristiane della Alpi Orientali presentano una grande varietà di soluzioni, da cui appare chiaro che gli architetti agivano con estrema libertà inventiva»59. Analizzando le strutture murarie lo studioso annota che lo spessore medio dei muri è di 60 cm. (cioè due piedi romani). Il materiale impiegato è esclusivamente costituito da pietra levata da cave locali (come l'ardesia grigia o, in Carnia, il tufo porfiritico), mentre i laterizi sono generalmente assenti. Il pietrame è messo in opera allo stato di rottura; i massi hanno dimensioni e forme diverse e solo raramente appaiono più accuratamente dirozzati o squadrati (caratteristica delle murature d'epoca imperiale). Frequente è l'uso di pezzi marmorei di spoglio (colonne, soglie, trabeazioni). Si nota la tendenza ad eseguire i paramenti (secondo la buona tradizione classica) con corsi orizzontali di pietre, ma l'accentuata irregolarità del piano di posa e del materiale dà un risultato più simile all'opus incertum60. I letti di malta, caratterizzata dalla granulometria elevata ed ottenuta ad impasto magro e non molto tenace, variano nello spessore tra i 2 e gli 8 cm., sono cioè molto più spessi che nelle strutture classiche. Quasi regolarmente le fondazioni sono impastate con calce spenta in opera 61. Tali caratteristiche sono riconoscibili anche nell'edilizia paleocristiana dell'Italia settentrionale, in particolare ad Aquileia. Sempre dagli elementi forniti dall'archeologia, Menis è portato a concludere che «esiste una tipologia comune a tutte le chiese paleocristiane delle Alpi orientali finora note ed essa può essere classificata come alpina aquileiese»62: sono considerazioni di estrema importanza poiché forniscono indicatori costanti per il riconoscimento di una basilica cristiana alpina nell'eventualità di uno scavo archeologico. Per riassumere ed agevolare la lettura diamo una tabella riassuntiva di quanto esposto dal Menis: CARATTERISTICHE TIPOLOGICHE ORIENTAMENTO DESCRIZIONE L'orientamento che i cristiani diedero fin dalle origini alle loro chiese nella regione non fu casuale. Tutti gli edifici, infatti, risultano orientati con la loro parete presbiteriale verso il sorgere del sole, come ad Aquileia ed in tutta la Venetia et Histria e diversamente da Roma.63 58 MENIS 1976, pp. 392-393. 59 MENIS 1976, p. 394. 60 L'opus incertum consisteva in una disposizione sulla superficie a vista del muro dei coementa (schegge di pietra e sassi mescolati alla malta), facendo in modo che la loro superficie visibile fosse il più possibile piana. Successivamente la tecnica si è sviluppata, tendendo a livellare la superficie del muro, a ridurre lo strato di malta tra i conci e a scegliere pietre di forma e dimensioni più regolari, arrivando a spianarne la superficie a vista. 61 MENIS 1976, p. 393. 62 MENIS 1976, p. 394. 63 Una caratteristica dell'antica chiesa che sorgeva sul Cuel Moresc, è l'orientamento dell'abside. Anche l'antica chiesa di san Bartolomeo presso la fortezza risulta orientata stando al disegno di G. G. Spinelli del 1701. In Occidente UNICITÀ DELL'AULA ARTICOLAZIONE DEL PRESBITERIO L'aula non era divisa in più navate. Il motivo di questa costante è da ricercarsi senza dubbio nella elementarità di tale soluzione sotto l'aspetto tecnico e quindi nella modestia dei costi e nel fatto che la capienza delle aule, ottenuta con l'utilizzo nelle corde delle capriate di copertura delle normali travi reperibili in loco (mai più di 12 metri; larghezza minima dell'aula m. 7,15), era sufficiente per i bisogni delle non numerose comunità. Tutte le basiliche in oggetto presentano dunque in pianta uno sviluppo longitudinale rettangolare dove la proporzione tra la lunghezza e la larghezza è di 2 a 1 circa (modulo orientaleggiante tipico delle più antiche aule paleocristiane aquileiesi). La parete orientale poteva svilupparsi con abside esterna semicircolare oppure presentarsi come piana continua. Il presbiterio delle basiliche esaminate, sempre situato nel settore orientale dell'aula, a circa tre quarti della sua lunghezza, è costituito regolarmente da un banco semicircolare in muratura, disposto con la sua curva verso oriente e aperto verso occidente su un quadrilatero antistante sopraelevato (bema) all'interno del quale è collocato l'altare. Banco ed altare formano il fulcro di tutto lo spazio architettonico, il corredo indispensabile della celebrazione liturgica. Le varianti al sistema sono minime e marginali64. Con le osservazioni proposte dal Menis si completa il quadro della diffusione del Cristianesimo nella zona alpina: non sono mancate documentazioni storiche ed archeologiche che comprovano un'estesa diffusione della nuova fede anche in territorio montano, una diffusione capace di generare un forte impulso nell'attività costruttiva di basiliche al fine di offrire alla plebs cristiana il luogo ove riconoscersi e radunarsi per partecipare alla liturgia. Risulta dunque delineato il significativo contesto storico in cui inserire anche la Valle del Fella in generale ed il Canale del Ferro in particolare, un territorio che si estendeva tra la diocesi di Zuglio nella Venetia ed il Norico, particolarmente ricco di testimonianze cristiane ed attraversato da un'importante via romana sicuramente utilizzata per l'espansione della nuova fede in età tardoantica. La genesi della diocesi di Zuglio, della quale faceva parte anche il Canale del Ferro, avrà sicuramente assolto il compito sia di sostenere la fase missionaria del primo Cristianesimo sia di gestire ordinatamente la fase organizzativa conseguente al sorgere un po' ovunque di comunità di cristiani dotatesi, come abbiamo visto, di propri edifici di culto che richiedevano -necessariamenteun'amministrazione degli stessi tanto sotto il profilo giuridico quanto nell'ambito spirituale della cura delle anime. Si tratta, in fondo, di tentare di dare una risposta alla legittima domanda che G. Biasutti poneva dopo aver ricostruito la vivacità e maturità della Chiesa aquileiese così come emergeva dalle opere l'orientamento delle chiese divenne norma con il secolo XI. 64 MENIS 1976, pp. 394-403. del vescovo Cromazio: È mai possibile che ad una simile chiesa-diocesi di Aquileia, tanto composita e il cui territorio si estendeva dall'Adriatico alla Carinzia e dal Timavo alla Livenza e al Cadore, non soggiacesse in quel secolo IV una trama di centri missionari, opportunamente distribuiti, per la diffusione della nuova fede e per la vigilanza e il nutrimento spirituale dei nuovi fedeli?65. Naturalmente ciò ci pone immediatamente di fronte al problema dell'organizzazione territoriale del primo Cristianesimo e della comparsa di quella caratteristica istituzione conosciuta come pieve rurale. 3. La problematica plebanale nel Canale del Ferro: una prima introduzione . Affrontare il tema dell'organizzazione territoriale plebanale della bassa Valle del Fella significa confrontarsi con una problematica generale (l'origine delle pievi nell'Italia centro-settentrionale) assai difficoltosa e caratterizzata da una limitata disponibilità di fonti scritte per il periodo tardoantico e altomedievale. A questa difficoltà di ordine generale si aggiunge la peculiarità della storia religiosa del Canale del Ferro che, dal principio secolo XII, appare strettamente condizionata dalla fondazione dell'abbazia di Moggio che esercitò la supremazia in spiritualibus, con poteri di arcidiaconato, su tutte le chiese della nostra valle66 comprese tra il torrente Pontebbana e Venzone (che rimaneva escluso) ed Amaro (le cui chiese erano invece soggette) assieme alla Val Resia. Con la fondazione del monastero benedettino venivano creandosi nuovi rapporti tra Moggio e le chiese della valle, cancellando di fatto l'organizzazione plebanale che si era sicuramente venuta formando nei secoli precedenti sul modello di quanto era accaduto nella confinante regione carnica67 e nel resto del Friuli. Analizzando la diffusione del Cristianesimo tardoantico nel territorio friulano, sia Menis che Biasutti hanno formulato delle ipotesi sulla consistenza e profondità di tale espansione; in particolare Menis ritiene che verso l'anno 400 la popolazione della regione friulana era già largamente cristianizzata e la chiesa locale aveva già consolidato le sue strutture organizzative fondamentali, non solo al centro (dove si era ormai affermata, anche giuridicamente, la giurisdizione metropolitica della sede aquileiese), ma anche nella immediata periferia 68. Nonostante le difficoltà causate dalle invasioni barbariche lo studioso è convinto che esse «non arrestarono tuttavia il processo di cristianizzazione delle masse rurali e quindi l'infittirsi della rete organizzativa capillare delle chiese plebane»69; la documentazione archeologica ricordata 65 66 67 68 69 BIASUTTI 2005, p. 145. Mi limito a considerare questo territorio; l'elenco completo lo si può reperire in OLIVO 2009, p. 15. Si vedano a tal proposito gli studi di DE VITT 1984 assieme a DE VITT 2004, pp. 71-81. MENIS 1974, p. 56. Ibidem. precedentemente conferma abbondantemente questa vitalità missionaria e significativo risulta l'elenco delle 13 chiese rurali del V-VI documentate archeologicamente in Friuli Venezia Giulia che A. Cagnana riporta nell'articolo70 già citato. La Vita sancti Severini di Eugippio, già incontrata come preziosa fonte per il Cristianesimo nel Noricum, per indicare gli edifici sacri di questa età usa vocaboli quali ecclesia e basilica e l'interessante sacerdos castelli, mentre il Biasutti ricorda espressioni cromaziane (IV-V secolo) quali rector ecclesiae, doctor, sacerdos e il vocabolo plebs «dove, se non erro, si ha il senso di plebs christiana71 ma delimitata in una diocesi»72. Comunque anche la terminologia, nell'analisi del fenomeno delle pievi, richiederebbe prudenza; E. Curzel -infatti- riferendosi all'uso di vocaboli quali parrocchie e pievi nei secoli IV-VI afferma che andrebbero evitati non solo perchè anacronistici, in quanto scarsamente o assolutamente non in uso, i questo senso, nella tarda antichità e nel primo medioevo, ma soprattutto perchè implicano una concezione territoriale della cura d'anime (per cui esiste un territorio ben delimitato che fa riferimento ad una ben determinata chiesa) sconosciuta almeno fino all'VIII secolo73. Sulla stessa linea si esprime A. Vasina che sottolinea una netta preferenza per l'espressione ecclesiae baptismales che coglie, come non sarebbe possibile con più chiarezza ed efficacia, la tipologia funzionale delle realtà ecclesiali [le pievi] che sono oggetto di indagine...Un'espressione certamente univoca e quindi preferibile ai termini usuali di plebs, plebes o pievi che, come sapete, sono di significato polivalente, intendendosi con essi ora la comunità dei fedeli, ora l'edificio di culto, oppure il plebato o piviere, ovvero tutti questi aspetti fra loro congiunti 74. Di questa ambiguità terminologica, in verità, già era consapevole G. Biasutti il quale, nel ricostruire le dinamiche di formazione delle pievi più antiche in territorio aquileiese, usava l'espressione «centri missionari perchè da principio ci si sarà accontentati di chiamarli ecclesiae e solo a poco a poco sarà invalsa la denominazione plebes»”75 e forniva un ulteriore elemento di affinamento della ricerca quando ipotizzava, sulla base documentale di un'epigrafe sepolcrale concordiese dei secoli IV-VI, che il corpo dei fedeli, in quanto distinto dal clero, venisse detto fraternitas. L'osservazione -prosegue lo studioso- ha una grande rilevanza storica, poiché è noto a tutti che sino a dopo il Mille, o meglio sino a quando le chiese ebbero un solo altare, in ogni chiesa ci fosse una sola fraternitas sotto la denominazione del Titolare, istituto religioso-civico che gestiva la cura della chiesa attraverso la cameraria e ne tutelava la funzionalità, anche in rapporto al clero inserviente attraverso la vicinia76. 70 CAGNANA 2003, pp. 219. 71 «La cristianità nel suo insieme (plebs Dei) o la singola comunità e in special modo quella parte di essa che era distinta dal clero. A partire dall'VIII secolo il termine indica non solo la comunità cristiana governata da un sacerdote, ma anche il territorio in cui tale comunità risiedeva e l'edificio di culto stesso». (CURZEL 1999, p. 299). 72 BIASUTTI 2005, p. 132. 73 CURZEL 1999, p. 6. 74 VASINA 1999, p. 13. 75 BIASUTTI 2005, p. 145. 76 Ibidem. Un utile repertorio sulla terminologia legata all'organizzazione ecclesiastica dei secoli IV-VI lo si trova in Alla luce degli studi che si sono fatti sulle pievi dell'Italia centro-settentrionale, quali sono le caratteristiche delle pievi più antiche dette anche pievi matrici77? Uno degli indizi che la storiografia plebanale riconosce in maniera direi unanime è sicuramente la vastità del piviere: il Biasutti, che si rifaceva ai classici studi di G. Forchielli pur con delle riserve, sostiene che «la pieve ebbe, nel suo nascere, un carattere zonale o distrettuale e non locale»78, ma è praticamente impossibile definirne in maniera sicura i confini a causa delle incerte conoscenze sull'organizzazione politica-amministrativa del territorio in età tardoantica; tuttavia ritiene «che fattori determinanti per la configurazione plebanale dovettero essere la corografia -specie coi crinali montani- e l'idrografia, cioè fiumi e torrenti, che talvolta (non sempre) vanno intesi più acquiferi d'oggi e in certi casi con letto più o meno mutato»79. Anche R. Zagnoni, studiando la pieve montana in un ambito territoriale appenninico, sostiene che «le prime chiese battesimali risalirebbero dunque ai primi decenni del secolo V e furono caratterizzate come in tutta l'Italia centro-settentrionale dalla vastità del loro territorio e dalla presenza del fonte battesimale cosicchè vennero definite ecclesiae baptismales»80. Ritornando al nostro ambito regionale G. C. Menis, in occasione dell'Incontro di Studio incentrato sul tema La Pieve in Friuli tenutosi a Camino al Tagliamento nel 198481, introducendo i lavori proponeva uno schema cronologico «entro cui si colloca la storia delle singole Pievi friulane e nel cui ambito matura la struttura esistenziale e giuridica dell'istituto plebanale...che può essere così riassunto» IV-VI secolo Età delle origini della Pieve VI-X secolo Età dello sviluppo e della maturazione XI-XII secolo Periodo del maggior splendore XIII-XVIII secolo Età della crisi XIX-XX secolo Decadenza e fine82 CUSCITO 1974, pp. 211-253. 77 In Italia centro-settentrionale, secondo C. Violante, si diffuse il modello plebs cum capellis. «In tale sistema i centri dell'organizzazione sono le chiese battesimali (pievi) che vengono considerate matrici e hanno alle loro dipendenze una serie -più o meno numerosa e fitta- di chiese minori (cappelle). Le quali non assurgono a dignità parrocchiale simile a quella della pieve, ma anzi fino a un certo momento non acquistano alcuna funzione di parrocchia». (VIOLANTE 1977, p. 644). 78 BIASUTTI 2005, p. 133. 79 Ibidem. 80 ZAGNONI 1999, p. 67. È interessante effettuare analisi comparative sulle plebazioni tra le diverse zone montane comprese nel macro-ambito dell'Italia centro-settentrionale poiché, fatte salve le dovute differenze locali, molte dinamiche legate alle pievi si chiarificano e confermano vicendevolmente. Tale metodologia viene considerata con riserve da C. Azzara che non ritiene comparabili realtà diverse (Toscana e Nord del Po) come fatto da C. Violante (Cfr. AZZARA, 2001, pp. 9-16). 81 In tale occasione la Biblioteca civica di Camino al Tagliamento si fece editrice degli Atti dell'Incontro di Studio che con grande cortesia l'Amministrazione comunale si è premurata di procurarmi e di ciò ancora la ringrazio. 82 MENIS 1984, p. 12. Inoltrandoci verso l'Alto Medioevo A. Tagliaferri evidenzia come, nel secolo VI, «nei canoni del Concilio di Vaison (529) viene accolto con pieno e maturo significato il concetto di pieve, con la concessione ai sacerdoti, per l'edificazione di tutte le chiese e per il bene di tutto il popolo, della facoltà di predicare non soltanto nelle città, ma anche nelle singole parrocchie»83. La fonte è sicuramente molto importante perchè testimonia una realtà che si ritiene consolidata in Italia, per cui non si va lontani dal vero se si immagina che un'organizzazione tanto evoluta da poter assicurare la fondazione di scuole rurali collegate alle pievi possa risalire, nell'area di sviluppo della pieve, alla metà del secolo V. Tuttavia Menis ci ricorda che solamente nel sinodo di Cividale del 796 troviamo un'esplicita citazione che menziona un sacerdos plebis84 in Friuli: ciò conferma che tra i secoli VIII-IX -in età carolingia- l'istituto plebano raggiunge anche una compiuta definizione giuridica. Infatti la fonte friulana si armonizza con l'affermarsi piena del vocabolo plebs anche in altre zone dell'Italia centrosettentrionale; il Curzel aggiuge che esso «venne utilizzato...dapprima in Toscana all'inizio dell' VIII secolo, poi in Romagna nel 767 […]; nel 826, volendo screditare la sede patriarcale di Grado, si affermò che essa non era una diocesi, ma semplicemente una plebs; il termine comparve poi in diocesi di Verona nell'843 e in diocesi di Milano nell'846»85, mentre permangono delle riserve per la prima citazione trentina del 864. Così nell'860 «una lettera papale riportava la specificazione plebes, idest baptismales ecclesias; e nel capitolare pavese dell'876 si citavano le ecclesias baptismales, quas plebes appellant»86. Quindi in età altomedievale il sistema pievano risulta ormai compiuto e non si hanno più chiese battesimali decentrate in modo più o meno casuale, ma una completa ripartizione del territorio diocesano in distretti ecclesiastici minori, che magari riproducevano strutture civili preesistenti o rispettavano determinati confini naturali. In seguito i mutamenti demografici spinsero alla fondazione di nuove pievi, ma il sistema pievano non fu per questo scardinato87. Il passaggio dalle estese pievi tardoantiche al sistema plebanale altomedievale sarebbe avvenuto, 83 TAGLIAFERRI 1984, p. 18. «Hoc etiam pro aedificatione omnium ecclesiarum et pro utilitate totius populi nobis placuit ut non solum in civitatibus sed etiam in omnibus parochiis verbum faciendi daremus presbyteris potestatem»: Abbiamo deciso a edificazione di tutte le chiese e per il bene di tutto il popolo, che i sacerdoti abbiano il permesso di predicare non solo nelle città ma anche in tutte le parrocchie di campagna. La fonte, inoltre, attesta l'esistenza di scuole rurali -fiorenti in Italia- la cui conduzione è affidata ai presbiteri operanti nelle pievi: «Ut omnes presbyteri qui sunt in parochiis instituti, secundum consuetudinem, quam per totam Italiam satis salubriter teneri cognovimus, iuniores lectores, quantoscumque sine uxori habuerint, secum in domo, ipsi habitare videntur, recipiant et eos quomodo boni patres spiritalites nutrientes, salmos parare, divinis lectionibus insistere et eos in lege Domine erudire contenunt, ut sibi dignos successores provideant et a Domino praemia eterna recipiant»: Tutti i preti che svolgono il loro ministero nelle parrocchie, seguendo l'uso che a quanto ci consta vige molto opportunamente in tutta Italia, accolgano nella propria casa i lettori più giovani, che siano ancora celibi; educandoli spiritualmente come buoni padri si sforzino di insegnar loro i salmi, di farli applicare allo studio dei testi sacri e di istruirli nella legge del Signore. Si prepareranno così successori degni e otterranno il premio eterno da Dio. (Concilium Vasense, can. I, II, in Monumenta Germaniae Historica, Legum Lectio III: Concilia, tomo I, p. 56). 84 MENIS 1974, p. 58. 85 CURZEL 1999, p. 23. 86 CURZEL 1999, p. 7. 87 CURZEL 1999, p. 8. come spiegava G. Biasutti (facendo propria la tesi del Forchielli), secondo questa dinamica: «Entro la cellula plebana rurale si svilupparono tardi nuovi nuclei che dettero origine a nuove parrocchie 88 e ciò per un fenomeno di segmentazione che nella moderna istologia è detta cariocinesi»89. Se ci spostiamo in Carnia, territorio montano confinante con la Valle del Fella, F. De Vitt ci offre un'efficace sintesi su alcune caratteristiche significative delle pievi, undici in totale delle quali tre rimontano ad un'epoca assai antica rispetto ai noti elenchi delle Rationes del secolo XIII. In primo luogo la studiosa sottolinea come «tutte le pievi sorgevano lungo le antiche vie di comunicazione o nei pressi di esse»90 ovvero nelle valli del Tagliamento, del But e di Gorto; a questo dato si aggiunge anche che «in alcuni casi queste chiese si trovano nei centri abitati...Più spesso la loro ubicazione è eccentrica...»91. Il rapporto tra pieve e antica via di comunicazione è spesso analizzato dalla storiografia e il dato evidenziato dalla studiosa della storia plebanale carnica trova conferme in altri territori italiani; anche Curzel, per esempio, lo rileva introducendo lo studio sulle chiese battesimali in territorio trentino: l'asserita solidità nel tempo del sistema pievano, dal tardo antico all'età medievale, ha permesso ai continuisti92 di utilizzare la maglia delle chiese battesimali per individuare gli antichi percorsi stradali, visto che le pievi dovevano sorgere in luoghi facilmente raggiungibili (ubi facilior populi concursus esse videtur, come scriveva papa Adriano II nell'872 a proposito di una pieve romagnola)93. Del resto solo la presenza di una rete stradale efficiente poteva garantire le comunicazioni all'interno dei vasti pivieri tardoantichi. Anche in ambito appenninico tale fenomeno trova ampia documentazione94. Se ci portiamo nel Canale del Ferro, stando ai dati evidenziati sopra, potremmo ipotizzare con sufficiente sicurezza che le pievi presenti nel nostro territorio sorgessero nei pressi della via al Noricum. La particolare conformazione della valle, stretta e scoscesa dall'imboccatura di Stazione di Carnia sino a Pontebba, ha fatto sì che gli insediamenti abitativi sorgessero lungo il percorso stradale, contendendo al fiume un fondovalle poco fertile. Un altro fattore determina una sostanziale differenza tra il nostro territorio e quello carnico: la 88 «È noto che la storiografia italiana definisce parrocchie le nuove strutture, che sovente erano dotate di un ben preciso popolo di fedeli e che erano anche in grado di ottenere una parte dei redditi decimali. La loro diffusione provocò il frazionamento dei distretti pievani dell'Italia centro-settentrionale tra il XIII e il XIV secolo o al massimo nel Quattrocento, tanto che l'istituto pievano perse rilevanza molto prima del Concilio di Trento (il quale prese in considerazione, quanto a modalità organizzative della cura d'anime, solo la parrocchia)» (CURZEL 1999, p. 23). 89 BIASUTTI 1966, p. 65. 90 DE VITT 2004, p. 72. Le pievi della val Tagliamento erano: Cesclans, Verzegnis, Invillino, Enemonzo, Socchieve, Ampezzo e Forni di Sotto; nella valle del But troviamo San Floriano, Santa Maria d'Oltre But, San Pietro e nella valle di Gorto Santa Maria. 91 Ibidem. 92 I continuisti sono gli storici che sostengono che le pievi siano le eredi dell'organizzazione civile romana. Comunque Curzel sul rapporto pieve-strada romana si dimostra sostanzialmente d'accordo. 93 CURZEL 1999, p. 33. 94 Si veda ad esempio FOSCHI 1999, pp. 41-65. mancanza assoluta di un centro con caratteristiche urbane quali quelle di Iulium Carnicum che ne ha permesso l'erezione a rango di sede vescovile; ciò fa ipotizzare che la nostra via al Noricum fosse connotata più per l'aspetto viabilistico (non sono mancati infatti ospitali lungo in percorso) rispetto a quello insediativo con una presenza plebanale che ritengo limitata numericamente95. Il citato articolo di G.C. Menis dedicato alla Diffusione del cristianesimo, rifacendosi all'ipotetica geografia delle pievi di V secolo proposta da G. Biasutti, nel delineare le direttrici di espansione del Cristianesimo nella zona friulana, trascura completamente la Valle del Fella, mentre proprio monsignor Biasutti è stato praticamente l'unico a porsi il problema dell'organizzazione plebanale nel nostro territorio prima della fondazione dell'abbazia benedettina di Moggio. Quali erano le ipotesi da lui formulate? 4. Alcune ipotesi sull'organizzazione plebanale del Canale del Ferro. Sappiamo che, indagando la pieve in Friuli, una prima importante fonte sono le Rationes decimarum della diocesi di Aquileia, elenchi risalenti al secolo XIII che identificano le istituzioni ecclesiastiche, quindi anche le pievi, sottoposte alla decima. Tuttavia, essendo stata eretta l'abbazia di Moggio nel 1118/1119, le chiese sottoposte alla sua giurisdizione spirituale ubicate nel Canale del Ferro non sono riportate nell'elenco poiché la nuova organizzazione ecclesiastica venutasi a creare vedeva la chiesa abbaziale porsi come matrice e solo essa viene citata. Dunque allo stato attuale delle conoscenze non abbiamo documentazione, riguardante il Canale del Ferro, anteriore alla fondazione del monastero mosacense. Dobbiamo quindi raccogliere poche e frammentarie notizie che possano fornire qualche utile indizio per una ricerca e per farlo muoviamo da alcuni dati forniti dall'Archivio Parrocchiale di Chiusaforte. Perchè cominciare dalla sede dell'antica Clusa? Come ho già ricordato sopra, G. Biasutti delineando un quadro geografico-plebanale del Friuli, analizza anche il Canale del Ferro dove «mi pare ovvio che Moggio non sia diventata pieve (come lo qualifica lo Stato Personale e Laicale) se non quando e perchè divenne abbazia; anzi il titolo di pieve qui è improprio»96. La tesi di Biasutti, formulata nel 1966, è difficilmente contestabile se si considera che negli atti di fondazione del monastero benedettino non figura alcun richiamo ad un precedente status plebanale della chiesa di Moggio pur essendo nota la propensione, da parte dei monaci, alla creazione di documenti di fondazione manipolati ed i benedettini di Moggio non hanno fatto eccezione97. Lo stesso G.C. Menis, pur trattando sulle origini dell'Abbazia, dedica poche righe all'età tardoantica 95 In Carnia nel XIII secolo le pievi erano undici così distribuite: 7 nella Valle del Tagliamento, 3 nella Valle del But e 1 nella Valle di Gorto. 96 BIASUTTI 1966, p. 59. 97 Si veda a questo proposito il decisivo articolo di HARTEL 1994, pp. 17-44. sostenendo che «verosimilmente già nel V secolo e forse insediata nello stesso castrum, sorse sicuramente la prima Pieve (intitolata con tutta probabilità a Santa Maria) che divenne il centro d'irradiazione cristiana nel Canale e nelle valli afferenti dell'Aupa, di Resia, di Raccolana, di Dogna»98 dissentendo evidentemente con quanto Biasutti aveva sostenuto in precedenza su una premessa più convincente. Egli, infatti, ipotizzava che la pieve del Canale del Ferro fosse da localizzare a Chiusaforte «al centro della valle...dove conosciamo sacerdoti pievani anche nel XIII secolo»99. Si fa qui riferimento alla Cronotassi dei Rettori di cui si ha memoria conservata nell'Archivio Parrocchiale di Chiusaforte (APC) in cui si ricordano -da fonti più antiche- nel 1259 Amalricus Plebanus de Clusa mon(aco) dell'Abb. di Moggio e nel 1271 Morandus Sacerdos Plebanus Plebis Clusae100. Queste citazioni esplicite non sono sicuramente il frutto di trascrizioni approssimative considerato che cronologicamente si collocano in un'epoca in cui, generalmente, era chiara la distinzione tra plebanus e rector. Naturalmente Clusa non era pieve nel secolo XIII, ma possiamo ipotizzare una permanenza dell'antico titolo perdutosi poi progressivamente tanto che, nei secoli XV e XVI, per indicare il sacerdote operante a Chiusa si usa il termine più corretto di rector o curatus101. Del resto, identificando in Clusa un'antica pieve, troviamo soddisfatte alcune caratteristiche ricorrenti nelle chiese plebanali quali: RAPPORTO PIEVE VIABILITÀ POSIZIONE BARICENTRICA RISPETTO AL TERRITORIO IN CUI SORGE Vi è la presenza di una via antica sicuramente attestata in epoca romana pur prevalendo nella nostra valle l'elemento viario rispetto a quello insediativo. Nel nostro caso avremmo, inoltre, anche un elemento di continuità insediativa attraverso la mansio/statio Larix se è corretta la sua ubicazione a Campolaro. Si confermerebbe così anche qui -come per tutte le pievi in Carnia- la vicinanza della chiesa plebanale ad una strada102. L'ubicazione a Chiusa soddisfa il criterio della centralità nel territorio rispetto ai villaggi sorti lungo il Canale del Ferro, caratteristica fondamentale riscontrabile in molte pievi. La posizione centrale di Chiusaforte permette l'accesso diretto da Dogna e, con passaggio del Fella, dalla Val Raccolana. 98 MENIS 1994, p. 8. 99 BIASUTTI 1966, p. 59. 100 Libro storico. 101 Nel documento del 17 giugno 1515, che attesta la riconciliazione della chiesa di san Bartolomeo, l'edificio è ricordato con l'espressione ecclesiam curatam. (Bollettino parrocchiale agosto 1994, p. 8). I documenti venivano presentati da I. Pielli. 102 Che il fiume Fella sia custode di testimonianze epigrafiche che potrebbero rivelarsi preziose lo attesta CASELLI 2000 che annota: «Nel corso del seminario I percorsi del sacro tenuto a Chiusaforte il 20 maggio 2000 mi fu segnalato il ritrovamento di un cippo con la scritta S.R.A., affiorato col maltempo dalle acque. Il reperto, ancora da studiare, potrebbe testimoniare proprio l'esistenza di questo tratto della via Augusta. L'acronimo S.R.A., scioglibile in Strada Regia Augusta, potrebbe essere di epigrafia ottocentesca» (p. 57 nota 34). Pur non essendo condivisibile la proposta di lettura del reperto, rimane confermato che il letto del Fella custodisca nelle sue ghiaie preziose testimonianze della via verso settentrione. ATTESTAZIONE DI PIEVANI 1259 Amalricus Plebanus de Clusa 103 mon(aco) dell'Abb(azia) di Moggio (APC) 1271 Morandus Sacerdos Plebanus Plebis Clusae (APC) Certamente l'ipotesi dell'ubicazione di un'antica pieve a Chiusaforte presenta anche delle criticità, in particolare in rapporto con la chiesa dedicata a san Martino di Resiutta, poichè anche la sede dell'antica statio Plorucensis offre non poche caratteristiche riferibili ad un'antica pieve: la vicinanza alla strada romana verso il Noricum la titolazione a san Martino che è culto che va affermandosi in età longobarda la concessione del fonte battesimale ottenuta nel 1199104 tanto che l'edificio viene ricordato come ecclesia baptisterii. In verità, se ci riferiamo alla notizia del fonte battesimale, dobbiamo constatare che al di là della registrazione del dato non si è andati. Non è chiaro, ad esempio, se la funzione battesimale sia stata concessa dall'Abbazia di Moggio o se sia stata la restituzione di un diritto risalente ad un'epoca anteriore. La distinzione non è di poco conto, poiché C. Violante ha dimostrato che, proprio in quest'epoca (secolo XII) le fonti scritte testimoniano che alcune controversie tra pievi e cappelle sottoposte si risolvevano con il riconoscimento di alcuni diritti alle filiali anche se «le semplici cappelle dotate di battistero o almeno fornite del diritto di battezzare erano molto poche e per lo più dovevano tale condizione a motivi particolari»105. Se il battistero fosse una concessione l'indagine storica dovrebbe accertare il motivo di tale privilegio concesso alla chiesa di san Martino, ma ciò non sarebbe prova certa di un'antica funzione plebanale di Resiutta; qualora il diritto di battezzare fosse una restituzione, allora ci troveremmo di fronte, per il Canale del Ferro, all'unica controversia tra chiesa filiale (Resiutta) e chiesa matrice (Moggio) per un diritto inerente ad uno status plebanale evidentemente già in essere prima dell'erezione dell'Abbazia. F. De Vitt riporta un caso simile anche se cronologicamente posteriore che risulta utile alla comprensione di dinamiche analoghe: nel 1339, un intervento pastorale dell'abate di Moggio portò all'erezione di una parrocchia in Carnia, nella Val Pesarina che apparteneva al territorio della pieve di Gorto...l'abate affidò i laici della valle a un parroco, che li servisse in tali necessità [battesimo a neonati in periculo mortis e confessione, eucarestia ed estrema unzione ad adulti moribondi e 103 Le espressioni Plebanus de Clusa o Plebanus Plebis Clusae dimostrano che gli officianti celebravano nella chiesa di san Bartolomeo alla Chiusa. La chiesetta di san Sebastiano, anche nei documenti, viene correttamente ubicata a Campolaro. (Cfr. Legami 2004, vol. 1, p. 215). 104 MARINELLI 1894, p. 219. Non aggiunge notizie nuove a riguardo il volume di NOT 2006 pur sostenendo che il battistero fu restituito. 105 VIOLANTE 1977, p. 739. sepoltura tempestiva] e disponesse di fonte battesimale e cimitero106. Non stupirebbe se il provvedimento illustrato dalla studiosa fosse stato applicato sia alla chiesa di san Martino di Resiutta, alla quale faceva riferimento la Val Resia, sia alla curazia di san Bartolomeo della Chiusa alla quale, non va dimenticato, facevano riferimento anche i fedeli di Dogna107 (fino al 1660) e della Val Raccolana, piuttosto distanti per raggiungere l'abbazia mosacense. Anche la chiesa di san Bartolomeo di Chiusa, secondo una testimonianza tarda 108, difendeva energicamente contro Raccolana un tipico diritto plebanale/curaziale, quello di sepoltura, che doveva essere piuttosto antico visto che il cimitero della chiesa di san Bartolomeo è esplicitamente citato nel ricordato documento del 1515109. Tuttavia non conosciamo nulla sull'epoca della sua origine che potrebbe essere simile a quella descritta per altre località dalla storica De Vitt. Un ulteriore campo di ricerca dal quale trarre qualche dato utile per comprendere quale potesse essere l'organizzazione ecclesiastica antecedente la fondazione abbaziale è l'indagine sulle titolazioni delle chiese più antiche presenti nel Canale del Ferro ovvero, per dirla con G. Biasutti, la Patronologia. È noto che lo storico di Forgaria rivendicava grande importanza allo studio santorale e alla Patronologia (Patrocinienforschung) che egli considerava una disciplina analoga, in senso lato, alla Toponomastica. Come questa, infatti, attraverso la ricerca etimologica dei macro o microtoponimi mira a evidenziarne l'humus etnico e storico, così la Patronologia, indagando sui titoli delle chiese plebali o di quelle minori, tende a coglierne il significato teologico e folclorico e a indicarne, di conseguenza, il momento storico110. Chiaramente il Biasutti non ha mai avanzato la pretesa che questo approccio potesse essere uno strumento datore di certezze assolute, tanto da intitolare -con l'umiltà che è propria delle intelligenze più acute- Racconto il suo saggio dedicato all'argomento111. Un'indagine di questo tipo applicata al Canale del Ferro risulta particolarmente interessante poiché non ci si muove solamente nell'ambito delle titolazioni delle chiese presenti sul territorio, ma si dispone di una fonte scritta fondamentale: gli atti di consacrazione e dedicazione dell'abbazia di 106 DE VITT 2002, p. 161. Altre dinamiche analoghe sono ricordate in DE VITT 2012, pp. 57-58. 107 Una tradizione riportata nel Libro storico dell'APC vuole che l'antica chiesa di san Bartolomeo sorgesse nei pressi della Chiusa proprio per favorire il concorso degli abitanti di Dogna. 108 Siamo nel 1718 e ci si riferisce al permesso, concesso nel 1701 agli abitanti di Raccolana, di seppellire i propri morti nel cimitero locale senza ricorrere a quello di san Bartolomeo, ma ne'soli casi dell'escrescenza dell'acque. Di tale permesso i raccolanesi abusavano con pregiudizio dei diritti della chiesa di Chiusa. (Bollettino parrocchiale novembre 1992, p.10). 109 Vedi sopra nota n. 98. 110 BIASUTTI 2005, p. 138. Lo studioso considerava un interessante saggio di applicazione di questo tipo di indagine la ricerca di E. MARCON, Tituli e plebs nel Basso Isonzo (1958) pur dissentendo su alcuni passaggi interpretativi. 111 Nell'articolo citato del 2001 A. CAGNANA, pur riconoscendo stimolanti le argomentazioni del Biasutti, definiva il suo assunto metodologico piuttosto tradizionale: l'impressione che dà la lettura del Racconto biasuttiano direi che è esattamente opposta. Del resto tale metodologia, se utilizzata con discernimento, viene considerata di grande utilità anche da BENATI 1994, pp. 85-88. Moggio attribuibili ad un arco temporale che va dal 1119 al 1181. Si può affermare come un dato acquisito che la fondazione dell'abbazia di Moggio rappresentò, da un punto di vista giuridico, una riorganizzazione completa del nostro territorio in spiritualibus et temporalibus, con la conseguente cancellazione del precedente ordinamento plebanale. Come efficacemente ricorda F. De Vitt la dipendenza di chiese da monasteri, capitoli, prepositure od ospedali rientrava nell'istituto dell'incorporazione. In genere si trattava del trasferimento di una chiesa diocesana a un ente monastico o ecclesiastico al quale, di conseguenza, essa apparteneva; ma l'appartenenza poteva anche essere la conseguenza della fondazione dell'edificio di culto da parte dell'ente...I diritti degli enti incorporanti sulle chiese incorporate non erano uniformi: nell'ambito temporale, si poteva avere il semplice controllo dell'amministrazione e la percezione di un censo, oppure l'incameramento del beneficio del pievano o anche l'appropriazione di tutte le rendite della chiesa...nell'ambito spirituale, era di competenza dell'ente incorporante la scelta del clero curato e la presentazione di esso al vescovo per la nomina, oppure l'assunzione della titolarità della cura d'anime e il conferimento di vicario temporaneo a un monaco o a un prete secolare, amovibile a giudizio dell'incorporante112; nella lunga citazione sono riconoscibili i rapporti instauratisi tra le chiese del Canale del Ferro ed il monastero benedettino. Ma come poteva avvenire il riconoscimento, al di là del diritto canonico, della nuova chiesa-matrice abbaziale da parte dei fedeli delle chiese soggette? Come fare percepire il rapporto filiale delle chiese soggette con la nuova chiesa genitrice? Sono convinto che una risposta la possa dare il prezioso elenco delle dedicazioni e delle reliquie che vennero depositate nelle consacrazioni abbaziali avvenute tra il 1118 ed il 1181; anzi potremmo anticipare che tali dedicazioni e reliquie si presentano come una vera e propria geografia santorale documentata del Canale del Ferro del XII secolo113. Lo storico P. Ochsenbein ricorda che «la chiesa abbaziale viene dedicata alla B. Vergine e a San Gallo ma anche ai santi di cui si posseggono le reliquie. Si menzionano Giovanni Battista, Crisogono, Taciano adorato nel patriarcato di Aquileia, Germano nonché Magno e Otmar, seguaci del monastero di San Gallo»114. Potremmo subito notare che la titolazione a Santa Maria (sancte dei genetricis Marie) ancora nel secolo XII conferma quella che Biasutti definiva «la mariologia ecclesiale aquileiese così incisivamente espressa da san Cromazio...: Non potest ergo ecclesia nuncupari nisi fuerit ibi Maria mater Domini...Et tunc venimus ad domum Mariae, ad ecclesiam Christi, ubi Maria mater Domini habitat»115. Il Curzel, inventariando le titolazioni delle pievi, cappelle, fondazioni monastiche presenti nel territorio trentino da lui studiato, nota che ben 47 istituzioni ecclesiastiche su 91 portano un titolo mariano e conclude che «la quantità delle dedicazioni mariane sorregge l'ipotesi secondo la quale 112 DE VITT 2002, p. 161. 113 Mi sono limitato a considerare le località di Amaro, Ovedasso, la Val Resia, Resiutta, Chiusaforte, Raccolana, Dogna e Pontebba. 114 OCHSENBEIN 1994, pp. 66-67. 115 BIASUTTI 2005, p. 146. molte di esse sarebbero nate come chiese delle comunità, non come santuari in cui venivano venerate le reliquie di un martire, e dunque in un primo tempo sarebbero rimaste prive di titolatura; solo in un secondo momento (difficile dire quando) avrebbero acquisito il titolo mariano»116. Per questa tesi rimane valida la domanda di G. Biasutti: ma è sostenibile che i cristiani non dedicassero/nominassero i loro edifici sacri per contrapporsi alle varie divinità pagane? Un ulteriore dato significativo per concludere: per la montagna bolognese «su un totale di 263 chiese con cura d'anime ben 45, vale a dire il 18% circa, sono dedicate alla Madonna, quasi sempre con il titolo di Assunta. Seguono, con 22 dediche, san Michele Arcangelo, con 19 san Giovanni Battista, con 18 san Lorenzo, con 17 san Pietro, con 15 san Martino, con 11 sant'Andrea, con 10 santo Stefano, con 7 san Giorgio...»117. Nella terza notizia dedicatoria del 29 agosto 1119 troviamo la citazione di san Bartolomeo 118, mentre la consacrazione della cappella di san Michele, nello stesso anno, presenta una lunga serie di 26 Santi (non pochi di influenza settentrionale, altri di tradizione aquileiese) tra i quali notiamo subito «...sancti Georgii, Fabiani et Sebastiani,... Martini,... Nicolai»119; tali santi si collegano immediatamente con le titolazioni di alcune chiese presenti nel territorio sulle quali esercitava la giurisdizione in spiritualibus l'abbazia mosacense. Infatti riassumendo abbiamo: Santo titolare Località di ubicazione dell'edificio sacro Santo patrono della località San Bartolomeo Villa della Chiusa San Bartolomeo San Giorgio San Giorgio di Resia Santa Maria Assunta Santi Fabiano e Sebastiano Campolaro San Bartolomeo San Martino Resiutta San Martino San Nicolò Amaro San Nicolò Il 29 giugno 1136 viene consacrata la cappella di san Benedetto ed anche in questo caso troviamo che essa viene dedicata, tra gli altri, in onore «apostolorum Petri et Pauli,...sanctorum confessorum Martini episcopi et sancti Galli...120»; schematizzando: 116 CURZEL 1999, pp. 40-41. 117 BENATI 1994, p. 86. 118 HARTEL 1994, pp. 23-24. 119 OCHSENBEIN 1994, pp. 67 nota 7. 120 Ibidem nota 8. Santo titolare Località di ubicazione dell'edificio sacro Santo patrono della località San Paolo Raccolana Santi Pietro e Paolo San Martino Resiutta San Martino Il 28 aprile 1181 si consacra in abbazia l'altare «in honore sancte et individue trinitatis et sancte Marie dei genetricis...specialiter in honore sancte Marie Magdalene -all'interno del quale- hic reliquie continentur: de ligno sancte crucis...Bartholomei apostoli...Laurencii martyris...Viti martyris...Nicolai episcopi, Martini episcopi, ...Antonii monachi ...Leonardi confessoris...121»; anche in questo caso riassumiamo con una tabella: Santo titolare Località di ubicazione dell'edificio sacro Santo patrono della località Santa Maria Prato di Resia Santa Maria Assunta Santa Maria Pontebba Natività di Maria Santa Croce Resiutta (Colle del Calvario) San Martino San Bartolomeo Villa della Chiusa San Bartolomeo San Leonardo Dogna 122 San Lorenzo San Vito Oseacco Santa Maria Assunta San Nicolò Amaro San Nicolò San Martino Resiutta San Martino Sant'Antonio abate Ovedasso Madonna della Salute San Gallo Questi sono i materiali tratti da documenti risalenti al XII secolo, fonti che sono da ritenersi fondamentali per la storia religiosa del Canale del Ferro in quanto sanciscono il legame filiale delle chiese sottoposte con la nuova chiesa-matrice abbaziale non a caso dedicata a Sancta Maria dei genetrix, così come non è casuale che la stessa chiesa-matrice custodisca nei suoi altari le reliquie dei santi, segno di appartenenza alla nuova chiesa abbaziale, delle chiese filiali ad essi dedicate. Naturalmente tale documentazione santorale va interpretata al fine di comprendere cosa può suggerirci sugli edifici ecclesiastici presenti nel territorio e sull'antichità delle loro titolazioni. G. Biasutti, come è noto, si era chiesto se era possibile ricostruire «una trama ragionevole dei titoli [dei] centri missionari o pievi dei secoli IV e V123» ed aveva proposto, per la plebazione prelongobarda, il seguente schema: santa Maria Assunta (che rispecchia il titolo della chiesa episcopale di Aquileia) seguita, al momento delle necessarie segmentazioni della pieve originaria, dal titolo presbiterale di san Pietro e dal titolo diaconale di santo Stefano; in presenza di ulteriore 121 Ibidem nota 7. 122 In alcuni documenti la chiesa di Dogna viene detta di san Leonardo e san Lorenzo. 123 BIASUTTI 2005, p. 146. cariocinesi si ricorreva al titolo di san Lorenzo «perchè questo martire -come canta Prudenzio (348405 ca.) nel suo Peristephanon- per i cristiani del secolo IV rifulgeva come simbolo della vittoria del cristianesimo sul paganesimo, degno riscontro di santo Stefano, che era stato il protomartire corifeo della quasi trisecolare lotta cristiana124». Questo schema, che potrebbe apparire astratto, secondo il Biasutti trovava un'applicazione esemplare nella vicina Carnia con la presenza di santa Maria di Gorto, san Pietro di Zuglio (in seguito sede vescovile), santo Stefano di Socchieve (elevato nel 1212 a santa Maria Annunziata) e san Lorenzo di Tolmezzo (elevato a santa Maria d'Oltre But forse nel secolo X). Portandoci nel Canale del Ferro constatiamo una situazione completamente diversa. Intrecciando l'elenco delle dedicazioni e reliquie mosacensi del secolo XII con le titolazioni degli edifici sacri esistenti, solamente Moggio, Pontebba e Resia conservano chiese con il titolo di santa Maria che a Prato di Resia assume l'attributo di Assunta. Nessun edificio presenta il titolo presbiterale di san Pietro né quello diaconale di santo Stefano: troviamo invece san Lorenzo quale patrono di Dogna, forse memoria di un antico titolo precedente. L'unica santa Maria che ha attratto l'attenzione del Biasutti è quella di Prato di Resia poiché, come dicevamo, ha assunto l'attributo di Assunta che secondo lo storico può essere indizio di dignità plebanale se unito alla notizia della presenza, nel secolo XII, di pievani a Resia125. I suoi altari, all'inizio del XVIII secolo, risultavano dedicati a santa Maria Assunta, a san Giovanni Battista, al Crocifisso e santo Stefano126: oltre all'antichità del culto di santo Stefano va ricordato che anche san Giovanni Battista è titolo di origine paleocristiana diffusosi, secondo il Biasutti, largamente in età longobarda, per cui le dedicazioni degli altari potrebbero rafforzare l'ipotesi dell'antichità della chiesa. Del resto lo stesso Curzel, riferendosi al territorio montano trentino, ricorda che «l'organizzazione della cura d'anime per pievi viene infatti considerata tipica degli insediamenti di tipo sparso, nei quali le chiese battesimali tendevano ad essere poste non nel villaggio più importante di un territorio (ammesso che questo villaggio esistesse), ma in un luogo centrale, facilmente raggiungibile e sovente isolato rispetto gli abitati 127» per cui ipotizzare un'antica pieve in Val Resia (magari in attesa di qualche accertamento archeologico) appare tutt'altro che privo di fondamento. Inoltrandoci nell'età longobarda troviamo titolazioni attribuibili a quest'epoca nel titolo della chiesa di san Giorgio di Resia e in san Martino di Resiutta. 124 BIASUTTI 2005, p. 147. 125 BIASUTTI 1966, p. 59. La titolazione mariana di Moggio, ricordata con quella di a san Gallo, non fa riferimento, nei documenti, ad alcuna dignità plebanale precedente. 126 NAZZI 2008; l'articolo è disponibile on line sul sito wordpress.com; i dati sono tratti da ACAU-Resia. Nelle dedicazioni e consacrazioni di Moggio ritroviamo puntualmente le «reliquie...sancti Iohannis baptiste» (consacrazione della chiesa) ed il patrocinio «sancti Stephani protomartyris...» (consacrazione della cappella di san Michele). 127 CURZEL 1999, p. 39. Va ricordato che la memoria storica della Val Resia vuole che la chiesa di san Giorgio (agiotoponimo), sia «la più antica della vallata e la borgata la prima sede dei Rettori128». Tre sono i suoi altari dedicati rispettivamente a san Giorgio, alla Beata Vergine e a sant'Ulderico 129, quest'ultimo “venerato in tutta la regione della Germania meridionale, il patrono che porta il nome del patriarca [Vodalrico I]130». La chiesa di san Martino di Resiutta ospita ovviamente l'altare del titolare, quello di san Giovanni apostolo, della Vergine del Rosario a cui si aggiunse più tardi san Valentino. Anche di san Giovanni apostolo, ovvero del titolo più antico assieme a quello di san Martino, troviamo citazione nella seconda notizia dedicatoria (consacrazione dell'altare abbaziale della santa Croce) del 28 agosto 1119. Certamente l'erezione del monastero e la conseguente dedica della chiesa a sancta Maria dei genetrix e sanctus Gallus, oltre che a cancellare l'organizzazione ecclesiastica precedente del Canale del Ferro, portò alla sostituzione della titolazione originaria dell'antica chiesa che sorgeva naturalmente anche a Moggio, per cui è lecito domandarsi se, nelle dedicazioni delle cappelle abbaziali, si sia anche voluto mantenere una continuità con la devozione dei fedeli sedimentatasi nei secoli antecedenti. Escludendo la cappella consacrata il 29 giugno 1136 «in honore sancti Benedicti abbatis131» chiaramente volta a celebrare il prestigio dell'ordine benedettino, di sicuro interesse potrebbero risultare le consacrazioni, nel 1119, della cappella dedicata a san Michele e nel 1181 dell'altare di santa Maria Maddalena. L'importanza nasce dal fatto che queste due devozioni, in particolare la prima, risultano assai diffuse in Friuli in età longobarda, in un'età precedente la fondazione dell'abbazia (a titolo di esempio G. Biasutti ricorda «santa Maria Maddalena plebanale ad Invillino e in Barbeano...san Michele plebanale in Cervignano...e titolare di san Daniele del Friuli nel secolo X132») e potrebbero concorrere, assieme alle titolazioni di san Giorgio di Resia e san Martino di Resiutta, a confermare nel nostro territorio una presenza longobarda, magari legata al castrum mosacense ed anche alla nostra Clusa, in funzione di difesa dalle incursioni degli Avari che prediligevano percorrere la Valle del Fella. Inoltre G. Biasutti non manca di sottolineare, citando G. Barni, «che non raramente [in presenza di insediamenti arimannici di Longobardi ariani con edifici sacri dedicati a san Michele e san Giorgio] vi troviamo una chiesa assai vicina dedicata invece a san Martino, il malleus haereticorum...; la chiesa di san Martino era quella della comunità cattolica, in contrapposizione ai dominatori ariani»133. 128 MARINELLI 1894, p. 229. 129 Nella consacrazione della cappella abbaziale in onore di san Michele troviamo «...sancti Oudalrici». 130 OCHSENBEIN 1994, pp. 67. La cappella di san Michele fu consacrata dal vescovo di Concordia Ottone alla presenza del Patriarca Vodolrico I. 131 OCHSENBEIN 1994, pp. 67. 132 BIASUTTI 2005, p. 146. 133 BIASUTTI 2005, p. 151. Il testo al quale lo storico fa riferimento è BARNI 1987, p. 46. Del resto l'archeologia stessa, in Italia settentrionale, documenta una significativa accelerazione del ritmo della crescita numerica delle chiese rurali nel VII e, soprattutto, nell'VIII secolo, in concomitanza con i mutati orientamenti devozionali e patrimoniali dell'aristocrazia longobarda del tempo fino a giungere a una sorta di saturazione nel corso del secolo IX, durante il quale le nuove fondazioni si fecero più rare 134; ma è anche vero che con i secoli VIII-IX si estese la territorializzazione delle strutture ecclesiastiche della cura d'anime soprattutto a causa dell'intensa attività normativa del periodo carolingio 135. Estendendo quanto detto sopra anche al nostro territorio, dobbiamo supporre che l'organizzazione plebanale sulla quale si affermò in seguito la supremazia abbaziale, fosse andata precisandosi nel secolo IX; del resto, come abbiamo visto, a fronte di scarse titolazioni paleocristiane, non mancano titolazioni tipiche dell'età longobarda-carolingia (il culto di san Martino vescovo di Tours era molto diffuso anche tra i Franchi) che potrebbero offrirci qualche elemento sulla trama plebanale di quell'età. Resta ora da realizzare una prima analisi sugli edifici di culto di Chiusaforte. 5. Le chiese di san Bartolomeo della Chiusa e dei santi Fabiano e Sebastiano di Campolaro. Spostandoci a Chiusaforte, la cui collocazione al centro del Canale del Ferro e la presenza di plebani plebis Clusae nel XIII secolo, quando già era in essere la supremazia in spiritualibus dell'abbazia, aveva spinto Biasutti ad ipotizzare qui una delle prime pievi della valle, notiamo che anche in questo caso i titolari delle due chiese più antiche sono citati nelle notizie dedicatorie di Moggio. Come già ricordato precedentemente, nel 1119 nella trascrizione della dedicazione della cappella di san Michele vengono nominati sancti Fabiani et Sebastiani mentre prima, nella terza notizia dedicatoria del 29 agosto 1119, tra i patrocini si menziona anche san Bartolomeo, le cui reliquie (reliquie..sancti Bartholomei) vennero poi depositate nell'altare dedicato a santa Maria Maddalena il 28 aprile 1181. Possiamo subito affermare che le titolazioni delle nostre due chiese più antiche non ci permettono di formulare proposte cronologiche che possano risalire alle epoche individuate per i già ricordati edifici sacri della Val Resia e di Resiutta, ma ciò non toglie che forniscano indicazioni assai importanti per fare un po' di luce sulla storia del nostro territorio. Potremmo partire da un dato demografico, tratto dal Fondo Moggio presente in ACAU136, che ci è utile per avere il senso della consistenza abitativa dei nostri borghi: ANNO/BORGO 1578 Villanova Campolaro 1590 105 43 58 1595 1597 VARIAZIONI 88 -17 -16% -42 -72,4% 137 16 134 AZZARA 2001, p. 10. 135 ZAGNONI 1999, p. 77. 136 FORNASIN 1995, p. 189. 137 Ritengo inesatta la trascrizione del dato poiché non è spiegabile un calo demografico così marcato rispetto alle altre borgate. Credo il 16 sia da correggersi in 56. Casasola 44 65 Raccolana 170 185 Chiusa Totale 138 47 43 140 151 139 234 456 53 -12 -8.5% 160 -25 -13.5% 42 -1 -2,4% 359 I dati della fine del secolo XVI descrivono i nuclei abitati che G. B. Pittiano di san Daniele incontrò nel suo viaggio dell'11 luglio 1577 lasciandocene un'interessante descrizione. Nella piccola Campolaro e nella piccola Villa della Chiusa sorgevano i due edifici sacri di cui ci stiamo occupando. Campolaro, anche prescindendo dall'identificazione con la mansio/statio Larix romana, rappresenta il nucleo antico del paese poiché, come abbiamo già ricordato, lì si sono effettuati recuperi sporadici di materiali romani, mentre Chiusa, così strettamente collegata alla fortezza, ci porta in età medievale e rappresenta una polo di attrazione insediativa del tutto nuovo, nonostante la scarsa idoneità del sito che appare stretto tra la montagna incombente ed il fiume Fella rispetto agli altri nuclei (Villanova e Casasola) sviluppatisi lungo la strada in direzione di Resiutta in un contesto ambientale più adatto ad eventuali espansioni abitative. Appare sufficientemente chiaro che i destini della chiesa dedicata a san Bartolomeo sono legati a quelli della Chiusa. Il patrocinio del santo nella terza notizia dedicatoria di Moggio del 1119 e la presenza delle sue reliquie depositate nell'altare abbaziale di santa Maria Maddalena nel 1181 ci suggeriscono che l'edificio sacro fosse già esistente nei secoli XI-XII. La devozione a san Bartolomeo conobbe grande impulso in seguito alla traslazione delle sue reliquie nell'isola Tiberina, da parte dell'imperatore Ottone III nel 983 ma G. Biasutti ricorda anche esse «erano venerate già da secoli presso i Longobardi cattolici del meridione141». Non apparirebbe, dunque, senza fondamento un'ipotesi che collocasse l'erezione della chiesa tra i secoli XI e XII che rappresentano, inoltre, l'arco temporale in cui si assiste alla progressiva crescita di importanza della Clusa collegata all'aumentato traffico lungo la via della Valle del Fella. Anche la citazione dell' «hospitale quod est ad Clusam...ab eodem patriarcha Wdalrico constructum et ordinatum142» tra i beni di cui viene dotato il monastero di Moggio contribuisce a rafforzare la convinzione che l'edificio di san Bartolomeo fosse già esistente nei secoli XI-XII lungo la via alla Pontebba subito dopo il rio del Trotol. 138 È interessante sottolineare che i dati dell'anagrafe parrocchiale del 31 dicembre 1866 riportino 56 abitanti per il borgo di Chiusa, una cifra che poco si discosta dai dati di fine secolo XVI e che dimostra la sostanziale impossibilità per un'ulteriore espansione a causa della peculiarità del sito su cui sorgeva l'insediamento. (Cfr. FUCCARODANELUTTO 2011, p. 192). 139 La lettura di questo dato risulta poco chiara: forse la cifra somma solamente il numero degli abitanti di Chiusa e Raccolana che, se ci riferiamo a cinque anni prima, ammontavano insieme a 228 anime. 140 Senza il borgo di Villanova. 141 BIASUTTI 2005, p. 149. 142 HARTEL 1994, p. 40. Consideriamo che la funzione dell'ospitalità gratuita aveva tradizioni antiche ed era stata dettata nel famoso Concilio di Aquisgrana dell' 816...Il testo conciliare, al paragrafo CXLI, riferendosi esplicitamente al brano evangelico Hospes fui et colligistis me, prescrive che i praelati ecclesiae approntino un receptaculum dove possano convenire i poveri e provvedano le risorse necessarie all'ospitalità secondo le possibilità della chiesa...Si precisa anche che l'hospitale dovrà essere stabilito in un luogo dove con facilità i pellegrini bisognosi possano raggiungerlo, quindi, presumibilmente, lungo le strade principali o in luogo ad esse vicino 143. Anche a Resiutta, con una chiesa lungo la strada come alla Chiusa, vi è memoria di un Hospitale omnium sanctorum. Ulteriore documentazione utile sulla chiesa di san Bartolomeo la troviamo in due documenti già noti conservati presso l'APC: il primo risalente agli inizi del secolo XVI, il secondo del 1547. Il primo, datum Utini apud Sanctum Antonium di cui si conserva qui copia pergamenacea, redatto il 15 giugno 1515, attesta la riconciliazione della chiesa curata e del suo cimitero. Oltre all'interessante notizia della riconciliazione dell'edificio sacro, per la nostra indagine risulta importante l'attestazione dell'esistenza del cimitero il quale assolveva, dunque, già precedentemente, la sua funzione per i diversi borghi della curazia. Ciò dovrebbe significare che l'erezione della chiesa di san Bartolomeo, ipotizzabile nei secoli XI-XII, abbia avuto come corollario l'apertura del cimitero che sorgeva attorno ad essa i cui muri lambivano il Fella. Questa constatazione impone necessariamente l'interrogativo su dove fosse ubicato il sepolcreto precedente: non abbiamo alcun indizio a riguardo, pur sospettando che la risposta potrebbe celarsi sul Cuèl Moresc, sito ove sorgeva la chiesetta dei santi Sebastiano e Fabiano. Il secondo documento pergamenaceo «fu redatto e rilasciato nella villa di Chiusa domenica 30 gennaio 1547144» in occasione della consacrazione della chiesa di san Bartolomeo e della santissima Trinità. La fonte è importante perchè contiene una descrizione, di età pretridentina, degli altari presenti all'interno dell'edificio sacro. Ne vengono attestati quattro: l'altare maggiore dedicato a san Bartolomeo, alla ss. Trinità, a san Pietro apostolo e san Nicola vescovo; quello a latere Evangelii a san Valentino prete e martire, quello a latere Epistolae a san Giovanni Battista, a santa Caterina e a santa Orsola vergine e martire e il quarto in onore della Madonna. In ciascuno di essi ho inserito alcune reliquie appartenenti ai santi martiri Stefano, Vitale e Marta145. Di san Bartolomeo abbiamo detto; notiamo la dedica tarda a san Valentino che coincide con l'erezione della confraternita documentata il 18 gennaio 1550 e l'altare dedicato a san Giovanni Battista che, a detta di G. Biasutti, in origine è «titolo paleocristiano. In Friuli titolo in parecchi casi di diffusione longobarda, che continuò sino al basso Medioevo»146. Delle devozioni ricordate in questo documento della metà del secolo XVI osserviamo che san Bartolomeo, la santissima Trinità, 143 FOSCHI 1999 p. 53. 144 Bollettino parrocchiale ottobre 1993, p. 10. 145 Ibidem. 146 BIASUTTI 1966, p. 36. santo Stefano, san Giovanni Battista, san Nicolò, santa Marta, san Pietro erano già presenti nelle notizie dedicatorie, comprese tra il 1119 ed il 1181, dell'abbazia di Moggio e sono indicatori di una persistenza degli indirizzi devozionali facenti capo alla chiesa abbaziale. I rimanenti appaiono, in Friuli, generalmente attestati nel Basso Medioevo147 e quindi possiamo considerarli inserzioni devozionali posteriori. Nel 1846, poco prima dell'abbandono e della demolizione, la chiesa presentava cinque altari: l'altare maggiore dedicato a san Bartolomeo, l'altare in cornu evangelii a san Valentino, l'altare nella cappella della Beata Vergine del Rosario, l'altare del santissimo Crocifisso e l'altare della beata Vergine del Carmine. Dunque tre secoli dopo ritroviamo, oltre al santo titolare, solo san Valentino (comunque di età tarda come abbiamo visto) e vi è stato un incremento significativo della devozione mariana sorretta dalla presenza delle confraternite del Rosario e del Carmine: ciò testimonia quanto sia stata dinamica l'evoluzione delle devozioni nella nostra curazia: solo san Bartolomeo testimonia la sopravvivenza di una devozione medievale che ha accompagnato l'erezione dell'antica chiesa della Chiusa. Se volgiamo la nostra attenzione alla chiesetta di san Sebastiano148 constatiamo che la tradizione locale vuole che essa sia una delle più antiche della Valle. In verità la dedicazione ci aiuta poco, perchè il Racconto149 biasuttiano ci informa che i santi Fabiano e Sebastiano, in Friuli, è titolo basso-medievale e attestato solamente a Villafuori di Paularo150; più diffuso risulta il titolo san Sebastiano ma sempre in un contesto basso-medievale. Tuttavia, come abbiamo già visto, la notizia dedicatoria mosacense dell'altare di san Michele, risalente al 1119, riporta anche il patrocinio sancti Fabiani et Sebastiani. Questa fonte documentaria ci offre necessariamente tre possibilità: la chiesetta di Campolaro era già esistente nel 1119 con la sua titolazione, in contrasto col dato che vuole tale devozione diffusa nel Basso Medioevo; dobbiamo ipotizzare che la chiesa di Campolaro sia stata eretta dopo il 1119 sotto l'influenza e la promozione di nuove devozioni da parte dei monaci di Moggio, in contrasto con la memoria storica che la vuole una chiesa sicuramente più antica di san Bartolomeo; 147 Molto poco diffusi risultano san Vitale e santa Marta. 148 La titolazione dell'edificio era ai santi Fabiano e Sebastiano, ma la memoria paesana e la toponomastica (Çuc di Glèsie, Colle di san Sebastiano) hanno completamente cancellato san Fabiano. 149 BIASUTTI 1966, p. 34. 150 L'edificio di Villafuori nacque come oratorio privato della famiglia Calice nel 1688. si potrebbe pensare che la chiesetta, di antica fondazione, abbia conosciuto un'esaugurazione per influenza del patrimonio devozionale conservato nell'abbazia di san Gallo, considerato che il patrocinio dei due santi è attestato nella chiesa-matrice. La prima delle ipotesi è influenzata da quanto G. Biasutti riporta nel suo Racconto151: non possiamo sottovalutare la notizia anche perchè la tesi della titolazione tardo-medievale è tutt'altro che generica. Appare fondato credere, infatti, che lo storico fondasse il suo convincimento anche su quanto accaduto nella pieve di Dignano che, non dimentichiamolo, era sottoposta all'abbazia di Moggio. Questa antica pieve, intitolata al principio del secolo XI ai santi Pietro e Paolo 152, oggi è visibile nel cimitero del paese, ma l'attuale parrocchiale, di età posteriore, risulta dedicata a san Sebastiano: è possibile che questa titolazione più tarda sia stata influenzata dal patrimonio devozionale conservato negli altari dell'abbazia mosacense. E' molto difficile pensare che la fondazione della chiesetta di san Sebastiano sia posteriore a quella di san Bartolomeo, considerato che l'insediamento di Campolaro è più antico della Villa della Chiusa nata, come abbiamo visto, in conseguenza della cresciuta importanza della struttura fortificata. Manca un'auspicabile conferma archeologica, ma non si dovrebbe essere lontani dal vero se si sostiene che l'edificio sorto sul Cuèl Moresc, a ridosso dell'insediamento abitato più antico (forse mansio/statio Larix), sia il primo edificio cultuale del nostro territorio. Ciò ci costringerebbe a concludere che l'ipotesi più plausibile sia proprio la terza ovvero che san Sebastiano fosse una chiesa di antica fondazione di cui si è perduta la titolazione originaria. Con la formazione della Villa della Chiusa e la costruzione di san Bartolomeo, l'antica chiesetta diminuì progressivamente d'importanza poiché il nuovo polo attrattivo Clusa -villa della Chiusa- san Bartolomeo aveva spostato le sedi del potere laico ed ecclesiastico alla periferia dell'antico insediamento di Campolaro. La notizia generica di un incendio dà per perduti molti documenti riguardanti la chiesa di san Sebastiano che, nel 1846, «aveva un solo altare dedicato ai santi Fabiano e Sebastiano ed era costituita da quattro muri con coperto e senza soffitto; la sua area era molto ristretta e non giungeva alla metà della chiesa parrocchiale153». Aggiungiamo che il disegno che la descrive testimonia come ad essa si appoggiasse -anteriormente a destra della facciata- una torre campanaria e l'ingresso fosse incorniciato da un arco a sesto acuto (ogivale) tipicamente medievale. Al sito dell'edificio orientato, posto in posizione elevata ed eccentrica rispetto a Campolaro, si accedeva sia attraverso la strada comunale interna di Campolaro sia attraverso la strada comunale 151 BIASUTTI 1966, p. 43. 152 Anche in questo caso il patrocinio dei titolari della pieve (...apostolorum Petri et Pauli...), dal 1119 dipendente dall'abbazia di Moggio, viene ricordato nel 1136 durante la dedicazione dell'altare abbaziale di san Benedetto. 153 Legami 2004, vol. 1, p. 216. della chiesa che sbucava nella zona dell'abside154. In alcuni atti conservati nel Fondo Moggio dell'ACAU si fa menzione della chiesa di san Sebastiano coinvolta in casi singolari. Nel 1601 viene istruita una pratica processuale super sacrilegio commisso in ecclesia divi Sebastiani de Campolaro et in capsulis luminarie quae exigi solent in capitellis Campolarii et Clause prope cemeterium ut intus mentre nel 1709 è certo che si officiava in san Sebastiano (con decreto patriarcale su richiesta del curato Nicolò Sticotti155) poiché le abbondanti nevicate avevano gravemente danneggiato la chiesa di san Bartolomeo. Purtroppo l'unicità dell'altare non ci permette di raccogliere altre notizie di tipo devozionale, ma un documento del 1588 ci dà testimonianza che «Pre Camillo Andriuso...per ducati trentasie allano...sia obligatto dir le sue messe a tempo e logo ordenario il giorno delle feste et li altri zorni da lavorar deba dir la messa lo luni a san Bastian et il sabo in Dogna et li altri zorni dela setimana alla gesia di m(isse)r santo Bart(olome)o di Sclusa»156: veniamo così a conoscenza come fosse organizzata l'assistenza spirituale nel territorio compreso tra Chiusaforte, Raccolana (con la valle) e Dogna (con la valle). La citazione di Dogna mi permette di ricordare che la titolazione della sua chiesa risulta interessante: la devozione a san Leonardo diffusasi già dall'epoca carolingia e la deposizione delle reliquie del santo nel 1181 nell'altare abbaziale di santa Maria Maddalena a Moggio portano ad ipotizzare che l'edificio fosse esistente nei secoli XI-XII quale cappella sorta per le esigenze della comunità di Dogna e della sua valle, mentre il patronale san Lorenzo potrebbe testimoniare l'esaugurazione di un titolo più antico. Del resto va considerato che anche Dogna si trova lungo la direttrice dell'antica via al Noricum ed è stata interessata da sporadici ritrovamenti archeologici romani e preromani157; inoltre proprio a ridosso di Dogna si trova il punto più stretto dell'alveo del Fella (tra Pontebba e le foci) che viene ancor oggi attraversato con un a passerella pedonale. 6. Alcune conclusioni ed alcune prospettive. Detto ciò, qualche considerazione conclusiva si impone, sottolineando comunque che tale scrittura ha voluto assolvere solamente lo scopo di una prima ricognizione ed introduzione per una storia religiosa del Canale del Ferro nell'età precedente l'erezione dell'abbazia di san Gallo di Moggio, nonostante l'estrema scarsità di fonti scritte e la sostanziale mancanza di esplorazioni archeologiche finalizzate a trovare quegli indizi che le citate fonti ci negano. Il periodo tardoantico ovvero l'epoca della plebazione prelongobarda risulta ben documentato dal punto di vista archeologico sia per la limitrofa regione del Noricum sia per la Venetia et Histria 154 Si veda la mappa del Catasto napoleonico in Legami 2004, vol. 1, p. 163. 155 ACAU Fondo Moggio, Clausa IX. 156 Bollettino parrocchiale aprile 1993, p. 10. 157 MARINELLI 1894, pp. 154-155. montana con Iulium Carnicum e ciò permette di inserire la Valle del Fella in un contesto territoriale ben definito. Tuttavia in tale contesto non sono stati effettuati accertamenti archeologici volti a stabilire l'antichità di alcune nostre chiese e questa lacuna impedisce di andare oltre alcune ipotesi suggerite dagli indizi che pure ci sono. Un caso esemplare: il funesto abbattimento della chiesa di san Martino di Resiutta a causa delle lesioni del sisma aveva creato le condizioni per un'esplorazione archeologica approfondita di uno dei siti più interessanti del nostro territorio che avrebbe permesso di documentare e studiare alcune dinamiche classiche della storiografia plebanale quali, per esempio, la continuità tra insediamento amministrativo romano (statio Plorucensis) ed insediamento ecclesiastico, il rapporto tra chiese ed antiche vie di comunicazione, l'organizzazione dell'ospitalità lungo i tragitti montani, l'eventuale organizzazione plebanale longobarda. Purtroppo ci rimane solamente la sensazione di un'occasione mancata. Per i secoli VI-X, definiti da Menis «l'età dello sviluppo e della maturazione dell'organizzazione plebanale»158, abbiamo visto che alcune titolazioni sembrano rinviare a devozioni riferibili all'età longobarda e potrebbero, se supportate dall'archeologia, concorrere a definire un quadro dell'organizzazione plebanale che dovrebbe essersi mantenuto, definendosi con ancor maggior precisione in età carolingia, sino all'erezione dell'abbazia di Moggio la quale segna una cesura nella storia della pieve nel Canale del Ferro, ponendo in essere nuove dinamiche tra le istituzioni ecclesiastiche del territorio ed il popolo cristiano che in esse vivevano e si riconoscevano. Curzio Conti 158 MENIS 1984, p. 12.