Festa di San Giuseppe
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Festa di San Giuseppe
Festa di San Giuseppe A caratterizzare la festa di San Giuseppe c'e, in particolare, l'Altare dedicato a San Giuseppe, o "Avutari ro patriarca San Giuseppe", promesso a seguito di grazia ricevuta per sua intercessione. Gli altari si presentano come are votive addobbate con veli e altri preziosissimi decori, sui quali sono poste forme di pane lavorate, che rappresentano sacri simboli, vari tipi di pasta con condimenti diversi, frittelle di cardi e di finocchietti se1vatici, frutta, dolci e varie primizie. Giorno 18, a mezzogiorno, si aprono le porte del luogo in cui l’altare è stato allestito e si attende il Sacerdote per la benedizione fatta sul pane, sui dolci e, in particolare, sulle persone, vere destinatarie della benedizione di Dio. Nel tardo pomeriggio, all'Ave Maria, come per incanto, nello spazio antistante ogni Altare e, liberamente, nei crocicchi delle strade, vicoli e spazi aperti, vengono accese fascine di legna, accatastate per realizzare una grande fiammata - la "Luminaria" - , che favorisce l'aggregazione e la socializzazione di tante persone attorno al fuoco, che si sentono "popolo" protagonista della festa e di un'intesa religiosa in nome di "Uno" nel quale ci si riconosce e la cui grandezza è nota a tutti: San Giuseppe. La brace ricavata dal falò servirà anche per arrostire carciofi e salsiccia da offrire ai visitatori, in segno di partecipazione alla gioia della festa, anche con un positivo risvolto folkloristico. Suggestive sono le invocazioni - " Viva San Giuseppe" - , che si elevano al cielo insieme alle fiamme. Viste dall'alto queste "Luminarie" offrono uno spettacolo indescrivibile. Per tutta la sera e durante tutta la notte, incuranti del freddo invernale, così come il mattino seguente, gli altari vengono visitati. A sostenere ed alimentare la veglia notturna sono il pellegrinaggio, i canti, le preghiere e musica di vario genere. Conoscere il significato degli elementi costituenti la mensa è ciò che si definisce "lettura dell'altare" e che rende più significativa ed edificante la visita. L' Altare è composto da una tavolata a base rettangolare, costruita con una struttura di legno, ricoperta con lenzuola bianche ricamate. Il “cielo” ed i lati dell' Altare sono addobbati con veli, stoffa di raso, nastri e luci. In fondo all' Altare, vi è una gradinata ove, al centro di due candelieri, è posta la Sacra Bibbia, mentre al centro di quello in alto, l'immagine della Sacra Famiglia ("a Maronna ", "u Bamminu" e "u Patriarca") o un quadro di San Giuseppe. Il cibo diventa quindi l’elemento principale nei festeggiamenti dedicati al Santo e la preparazione della tavola richiede diverse settimane di lavoro prima della festa, soprattutto per i dolci tradizionali locali: turruni, giurgiulena, pastaforti, cicirata, pagnuccata, mastazzoli, formi ri mustata, cotognata e varie marmellate. Il cibo più importante e simbolico è il pane, che segue un rituale ben preciso, fino alla sua posa sull' Altare, che spetta per tradizione al capofamiglia, il ''pater familias''. Le forme di pane riproducono: il bastone, "u vastuni ro Patriarca", decorato con un giglio, simbolo di purezza; il pane di Maria, "a Maronna", con una rosa che rappresenta la verginità e un ramo di palma, simbolo di pace; il pane di Gesù, "u Bammineddu", con gelsomini, uccelli e simboli della sua Passione; i ''purciddati ", grandi forme di pani rotondi che sono disposti al centro in alto. Questi pani assumono un profondo significato sacrale, cui la festa di San Giuseppe allude esplicitamente, poiché è legata all' arcaico simbolismo agrario del rinnovamento della natura, che avviene proprio nel mese di marzo. Sull' Altare, oltre alle varie specialità di dolci e di pane, sono sistemati pacchi di pasta, frutta secca, ortaggi, tutte le primizie di frutta, di legumi, in particolare fave novelle ( " i favinuveddi" ), piselli novelli ( "a pusedda" ) e ogni altro ben di Dio. La mattina del 18 marzo, si preparano tutte le pietanze che verranno consumate l'indomani, ad esempio, tutti i tipi di frittate, "i pisci r'ova": di asparagi, di piselli novelli, di uova, di finocchi selvatici, di cuori di carciofo, di patate, di ricotta, di pesce, le polpette di carne e di patate. Poi vengono preparati diversi primi piatti con svariate qualità di pasta, condita con diverse salse e legumi. In quel giorno, si preparano anche i dolci caserecci facilmente deperibili, quali "i cassateddi" (panzerottini di ricotta), i cannoli con ricotta o crema, ecc. All' esterno della casa, ad ambo i lati, si appendono delle piante di carciofo ( "i carduna sittirrati" ) e delle piante di fave con baccelli teneri da potere essere mangiati crudi. Al centro della strada, viene collocata l'insegna "w S. G.", costruita su una base in legno con la scritta realizzata mediante delle lampadine. La preparazione dell'Altare di San Giuseppe esercita una forza aggregante e socializzante sull'intero gruppo familiare, fra i vicini, fra gli amici, i conoscenti del quartiere e del paese: nell'impegno ad aiutare ed aiutarsi, con un forte spirito di corpo, a completare l’Altare; quando sul grande braciere di fuoco, rimasto dopo il falò ( "a luminaria" ), c'è un momento di compartecipazione di tutto il vicinato e del crocevia di persone nell' arrostire carciofi e carne di ogni tipo, che vengono offerti ai visitatori che si avvicendano continuamente, creando un momento di condivisione e di convivialità. Durante la visita si socializza e si respira un clima di festa e di meraviglia. Anche durante la veglia notturna del 18 marzo si partecipa con gioia ai balli che si tengono nelle stanze attigue all' Altare, per vincere il sonno e per aspettare che qua1che "farfalla" di buon auspicio visiti l' Altare. Una forte aggregazione si ritrova, inoltre, nella partecipazione massiccia della popolazione, giorno 19 allo scoccare mezzogiorno, per assistere al pranzo dei "Santi": le tre persone, tre meno abbienti, che rappresentano Gesù, Maria e Giuseppe. I "Santi", presenti innanzi ad ogni Altare, sono serviti con tutti gli onori, con rispetto e devozione dai padroni di casa, sopra un palchetto, costruito di proposito per far godere la vista alla folla presente, incuriosita e divertita. Il pranzo, come di consuetudine, è consumato in un luogo prospiciente l'Altare. Nella persona di questi tre poveri si vuole solidarizzare con tutti coloro che sono segnati da un qualsiasi tipo di povertà. Terminato il pranzo, ai meno abbienti viene consegnato un cesto pieno di beni alimentari. E' significativa, nel primo pomeriggio, l' Asta dei doni votivi provenienti dagli Altari, che vede affluire masse di persone sul sagrato della chiesa, le quali partecipano alla "devozione" acquistando dolci o altre vivande, presentate dal banditore alle numerose persone presenti, con offerte superiori al loro valore ed il cui ricavato è destinato alla parrocchia, per il sostentamento e la manutenzione della stessa chiesa e per opere di carità. Scheda e testo a cura di Fernando Preti per spazioniscemi © Riproduzione riservata Bibliografia: Don Salvatore Pepi (Don Rosario Di Dio) - La festa di San Giuseppe – Tipografia Domus – Niscemi LA VITA DI SAN GIUSEPPE Giuseppe nacque probabilmente a Betlemme, il padre si chiamava Giacobbe (Mt 1,16) e pare che fosse il terzo di sei fratelli. La tradizione ci tramanda la figura del giovane Giuseppe come un ragazzo di molto talento e un temperamento umile, mite e devoto. Giuseppe era un falegname che abitava a Nazareth. All’età di circa trenta anni fu convocato dai sacerdoti al tempio, con altri scapoli della tribù di Davide, per prendere moglie. Giunti al tempio, i sacerdoti porsero a ciascuno dei pretendenti un ramo e comunicarono che la Vergine Maria di Nazareth avrebbe sposato colui il cui ramo avrebbe sviluppato un germoglio. "Ed uscirà un ramo dalla radice di Jesse, ed un fiore spunterà dalla sua radice" (Isaia). Solamente il ramo di Giuseppe fiorì e in tal modo fu riconosciuto come sposo destinato dal Signore alla Santa Vergine. Maria, all’età di 14 anni, fu data in sposa a Giuseppe, tuttavia ella continuò a dimorare nella casa di famiglia a Nazareth di Galilea per la durata di un anno, che era il tempo richiesto presso gli Ebrei, tra lo sposalizio e l’entrata nella casa dello sposo. Fu proprio in questo luogo che ricevette l’annuncio dell’Angelo e accettò: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Poiché l’Angelo le aveva detto che Elisabetta era incinta (Lc 1,39), chiese a Giuseppe di accompagnarla dalla cugina che era nei suoi ultimi tre mesi di gravidanza. Dovettero affrontare un lungo viaggio di 150 Km poiché Elisabetta risiedeva ad Ain Karim in Giudea. Maria rimane presso di lei fino alla nascita di Giovanni Battista. Maria, tornata dalla Giudea, mise il suo sposo di fronte ad una maternità di cui non poteva conoscerne la causa. Molto inquieto Giuseppe combatté contro l’angoscia del sospetto e meditò addirittura di lasciarla fuggire segretamente (Mt 1,18) per non condannarla in pubblico, perché era uno sposo giusto. Infatti, denunciando Maria come adultera la legge prevedeva che fosse lapidata e il figlio del peccato perisse con Lei (Levitino 20,10; Deuteronomio 22, 22-24). Giuseppe stava per attuare questa idea quando un Angelo apparve in sogno per dissipare i suoi timori: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in Lei viene dallo Spirito Santo" (Mt 1,20). Tutti i turbamenti svanirono e non solo, affrettò la cerimonia della festa di ingresso nella sua casa con la sposa. Su ordine di un editto di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutta la terra (Lc 2,1), Giuseppe e Maria partirono per la città di origine della dinastia, Betlemme. Il viaggio fu molto faticoso, sia per le condizioni disagiate, sia per lo stato di Maria oramai prossima alla maternità. Betlemme in quei giorni brulicava di stranieri e Giuseppe cercò in tutte le locande, un posto per la sua sposa ma le speranze di trovare una buona accoglienza furono frustrate. Maria diede alla luce suo figlio in una grotta nella campagna di Betlemme (Lc 2,7) e alcuni pastori accorsero per fargli visita e aiutarli (Lc 2,16). La legge di Mosè prescriveva che la donna dopo il parto fosse considerata impura, e rimanesse 40 giorni segregata se aveva partorito un maschio, e 80 giorni se femmina, dopo di che doveva presentarsi al tempio per purificarsi legalmente e farvi un’offerta che per i poveri era limitata a due tortore o due piccioni. Se poi il bambino era primogenito, egli apparteneva per legge al Dio Jahvè. Venuto il tempo della purificazione, dunque, si recano al tempio per offrire il loro primogenito al Signore. Nel tempio incontrarono il profeta Simeone che annunciò a Maria: "e anche a te una spada trafiggerà l’anima" (Lc 2,35). Giunsero in seguito dei Magi dall’oriente (Mt 2,2) che cercavano il neonato Re dei Giudei. Venuto a conoscenza di ciò, Erode fu preso da grande spavento e cercò con ogni mezzo di sapere dove fosse per poterlo annientare. I Magi intanto trovarono il bambino, stettero in adorazione e offrirono i loro doni portando un sollievo alla S. Famiglia. Dopo la loro partenza, un Angelo del Signore, in apparizione a Giuseppe, lo esortò a fuggire: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e sta la finché non ti avvertirò; perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo" (Mt 2,13). Giuseppe si mise subito in cammino con la famiglia (Mt 2,14) per un viaggio di circa 500 Km. La maggior parte del cammino si svolse nel deserto, infestato da numerose serpi e molto pericoloso a causa dei briganti. La S. famiglia dovette così vivere la penosa esperienza di profughi lontano dalla propria terra, perché si adempisse, quanto era stato detta dal Signore per mezzo del Profeta (Os XI,1): «Io ho chiamato il figlio mio dall’Egitto» (Mt 2,13-15). Nel mese di Gennaio del 4 a.C, immediatamente dopo la morte di Erode, un Angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi il bambino e sua madre e và nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino» (Mt 2,19). Giuseppe obbedì subito alle parole dell’Angelo e partirono ma quando gli giunse la notizia che il successore di Erode era il figlio Archelao ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si adempisse quanto era stato detto dai profeti: «Egli sarà chiamato Nazareno» (Mc 2,19-23). La S. famiglia, come ogni anno, si recò a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Trascorri i giorni di festa, si incamminarono verso la strada del ritorno credendo che il piccolo Gesù di 12 anni fosse nella comitiva. Ma quando seppero che non era con loro, iniziarono a cercarlo affannosamente e, dopo tre giorni, lo ritrovarono al tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati ti cercavamo». (Lc 2,41-48). Passarono altri venti anni di lavoro e di sacrificio per Giuseppe sempre accanto alla sua sposa e morì poco prima che suo figlio iniziasse la predicazione. Non vide quindi la passione di Gesù sul Golgota probabilmente perché non avrebbe potuto sopportare l’atroce dolore della crocifissione del Figlio tanto amato. Scheda e progetto grafico: Fernando .Preti – spazioniscemi - © Riproduzione riservata Torna indietro