2. Handout lezioni 9 segg - Università degli Studi di Siena

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2. Handout lezioni 9 segg - Università degli Studi di Siena
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
Anno accademico 2015/2016
Corso di laurea in Scienze storiche e del patrimonio culturale
Insegnamento di Storia romana A
p. ROMA ANTICA E LA SUA STORIA DALL’UMANESIMO A THEODOR MOMMSEN
1. Biondo Flavio, L’Italia restaurata, Prologo
A Papa Eugenio IV.
Molte cose mi spingono, Santissimo Padre, a sforzarmi di rinfrescare nella memoria degli uomini la
conoscenza degli antichi edifici; anzi le rovine, che ora si vedono nella città di Roma, già signora del
mondo. Ma quel che più mi spinge è l’essere nei secoli passati tanto grande l’ignoranza delle bonae litterae
che non solo sono poche le cose che si sanno degli antichi edifici – sia da parte degli ignoranti che dei
dotti – ma anche che ne sono molte, se non quasi tutte, che a causa di false e barbare voci sono state
sporcate e guastate, cosicché Roma, che fu già madre di grandi ingegni, e di ogni bella virtù, e uno
specchio di ogni eccellenza, e quasi il seminario e radice di tutte le cose belle […] pare che stia per
divenire a breve tenebrosa e indegna di nota, e che stia per perdere la fama che la rese grande.
2. Biondo Flavio, L’Italia restaurata, Libro III, 1
Continuando secondo l’ordine stabilito, parleremo dell’anfiteatro che altro non vuol dire che due teatri
affrontati, dove si possa vedere tutt’intorno. Secondo Cassiodoro, il primo che pensò di fare quel tipo
di edificio fu Tito l’imperatore, ma Tacito non è d’accordo perché dice che Gaio Cesare ne edificò uno
nel Campo Marzio; Svetonio dice però che Cesare aveva stabilito di farlo lì, ma Augusto, dovendo farvi
il suo mausoleo, lo fece abbattere e […] attribuisce l’anfiteatro prima a Vespasiano e poi a Tito.
3. Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1519), Libro I, cap. 2
[Voglio] adunque discorrere quali furono li ordini della città di Roma, e quali accidenti alla sua
perfezione la condussero. [… ] [Quando i re furono cacciati], quelli che li cacciarono, ordinandovi subito
due consoli che stessero nel luogo del re, vennero a cacciare da Roma il nome e non la potestà regia:
talché, essendo in quella republica i consoli e il senato […] restavale solo a dare luogo al governo
popolare […] e così nacque la creazione de’ tribuni della plebe, dopo la quale creazione venne a essere
più stabilito lo stato di quella republica, avendovi tutte le tre qualità di governo la parte sua. E tanto fu
favorevole la fortuna che, ben che si passasse dal governo de’ re e delli ottimati al popolo […]
nondimeno non si tolse mai, per dare autorità agli ottimati, tutta l’autorità alle qualità regie, né si
diminuì l’autorità in tutto agli ottimati, per darla al popolo; ma rimanendo mista, fece una repubblica
perfetta: alla quale perfezione venne per la disunione della plebe e del senato.
4. Montesquieu, Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani, e della loro decadenza
(1734), trad. it. Torino 1960: pp. 30-33.
Le intense esercitazioni, le mirabili strade che i Romani avevano costruito li mettevano in grado di fare
marce lunghe e rapide. […] Nei combattimenti d’oggi, il singolo confida soltanto nella moltitudine, ma
goni Romano, più robusto e più agguerrito del nemico, contava sempre su se stesso, era coraggioso per
natura, aveva cioè quella virtù che è la coscienza delle proprie forze. Poiché le loro truppe erano sempre
le meglio disciplinare, era difficile che nella battaglia più sfortunata non si ricongiungessero in qualche
luogo, o che n qualche luogo tra i nemici nascesse il disordine. Così nella storia li vediamo sempre,
sebbene all’inizio sopraffatti dal numero o dall’impeto dei nemici, strappare infine la vittoria dalle loro
mani. […] Le spade taglienti dei Galli, gli elefanti di Pirro, li colsero di sorpresa una colta sola. […] La
guerra era per loro meditazione, la pace esercizio. Se qualche nazione ebbe dalla natura o dalle proprie
istituzioni qualche particolare vantaggio, essi l’adottarono subito: non tralasciarono nulla per avere
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cavalli numidi, arcieri cretesi, frombolieri delle Baleari, navi rodie. Insomma, mai nazione preparò la
guerra con tanta prudenza e la fece con tanta audacia.
[…] I fondatori degli antichi Stati avevano diviso le terre in parti uguali: ecco ciò che faceva un popolo
potente, cioè una società ben ordinata e anche un buon esercito, giacché ognuno aveva uguale interesse,
e grandissimo, a difendere la patria. Quando le leggi non venivano più osservate rigidamente, le cose
giungevano al punto in cui sono attualmente tra noi: l’avidità di alcuni privati e la prodigalità degli altri
facevano passare la proprietà terriera in poche mani […]. La conseguenza era che non c’erano più né
cittadini né soldati, poiché la proprietà terriera, prima destinata al mantenimento di questi ultimi, veniva
impiegata per quello degli schiavi e degli artigiani, strumenti del lusso dei nuovi proprietari. […] Prima
della corruzione, le entrate primitive dello Stato erano divide tra i soldati, cioè tra i contadini: quando la
repubblica fu corrotta, finivano prima nelle mani di alcuni ricchi, che le passavano agli schiavi e agli
artigiani da cui infine, mediante i tributi, ne veniva ripresa una parte per il mantenimento dell’esercito.
5. Louis de Beaufort, Dissertazione sull’incertezza dei primi cinque secoli della storia romana
(1735), trad. it. Napoli 1786, Prefazione x-xi
Io spero che … non sarà riguardata come una temerità l’impresa di attaccare l’autorità di una Storia che
dovevano rendere rispettabili i tanti secoli nei quali è stata ricevuta per vera. A coloro che sono
prevenuti in favore di essa, parrà forse strano che alla fine di diciotto o venti secoli si pretenda di poter
giudicar meglio sulla certezza, o sull’incertezza della Storia romana, di quanto non abbiano fatto quelli
che erano a portata di consultare i monumenti [antichi]. [In verità] io non intraprendo a scuotere le
fondamenta, sulle quali è fabbricata la Storia de’ primi secoli di Roma, se non appoggiato all’autorità
degli scrittori greci e romani […]. Io non mi fondo se non sulle loro espresse testimonianze.
5.1 Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 6.1.1
Ho esposto nei primi cinque libri quei fatti […] che avvennero dalla fondazione della città alla sua presa [da parte
dei Galli] […]: fatti oscuri sia per la troppa antichità […] sia perché in quei tempi scarni e rari erano i documenti
scritti, unici sicuri testimoni della memoria, e per di più anche le notizie che erano contenute negli annali dei
pontefici e in altri documenti pubblici e privati per la maggior parte andarono perdute nell’incendio della città.
5.2 Plutarco, V ita di N uma 1
Anche sull’epoca in cui visse il re Numa esiste una fiera disputa tra gli studiosi […] . Un certo Clodio, in un
volume intitolato Indagine sulla cronologia, sostiene che i famosi antichi registri andarono perduti durante il sacco di
Roma da parte dei Galli, così che quelli esistenti ora sono dei falsi e furono composti da persone che volevano
far cosa gradita a certe altre, bramose di entrare a tutti i costi tra le prime famiglie e tra le più illustri casate della
città senza avere con esse alcuna relazione.
6. Louis de Beaufort, Dissertazione sull’incertezza dei primi cinque secoli della storia romana
(1735), trad. it. Napoli 1786, pp. 3-6
Non è particolare a’ Romani l’oscurità e l’incertezza sparsa su i tempi, che più si avvicinano ala loro
origine, ma è loro comune con tutti gli altri popoli. Roma è stata fondata in un tempo di cui abbiamo
pochissima cognizione, così per rapporto allo stato del mondo in generale, come per rapporto allo stato
d’Itala in particolare.
[…] Che mai area di fatti [l’origine di Roma]? L’abitazione di un popolo grossolano e ignorante, che
tutte le sue mire avea rivolte alla scorreria. Ma noi restiamo abbacinati da que’ fatti strepitosi, che
adornano la storia e’ tempi posteriori, e dall’alto grado di gloria e di potenza al quale s’innalzò dipoi
quel popolo: e restiamo abbacinati a segno che ci dimentichiamo di ciò che era nella sua origine. […]
Ma riflettiamo pertanto che questo popolo, poco considerabile nella sua origine, restò per quattro secoli
almeno rinserrato in un piccolo cantone d’Italia e che l’esercizio continuo delle armi e dell’agricoltura,
che erano le sole scienze di cui faceva professione, non gli fece nemmeno pensare a trasmettere alla
posterità quegli avvenimenti
7. C.-F. Volney, La legge naturale. Lezioni di storia (1795), a cura di J. Gaulmier, Parigi, 1980: p.
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Siamo piombati nell’adorazione superstiziosa dei Romani e dei Greci. […] La cosa bizzarra in questo
nuovo genere di religione è che i suoi apostoli non abbiano avuto una giusta idea della dottrina che essi
predicano, e che i modelli che essi ci hanno proposto sono diametralmente opposti al loro enunciato e
alla loro intenzione; ci hanno vantato la libertà, lo spirito di uguaglianza di Roma e della Grecia, e
hanno dimenticato che a Sparta un’aristocrazia di trentamila nobili teneva sotto un giogo orrendo
duecentomila servi […]. Guerre eterne, prigionieri sgozzati, massacri di donne e bambini, perfidie,
fazioni intestine, tirannia domestica, oppressione straniera: ecco l’immagine della Grecia e dell’Italia per
cinquecento anni, come ce la dipingono Tucidide, Polibio e Livio […]. Sì, più studio l’antichità e i suoi
governi tanto lodati, più mi persuado che i governi dei Mamelucchi d’Egitto e del dey di Algeri non
differiscono sostanzialmente da quelli di Sparta e Roma, e che quei Greci e quei Romani tanto vantati
siano in tutto, tranne che nel nome, agli Unni e ai Vandali.
8. Edward Gibbon, Storia del declino e della caduta dell’Impero romano. II (1781), trad. it
Torino 1967, pp. 1415-1423 passim
La fedeltà dei cittadini l’uno verso l’altro e verso lo stato era inculcata dall’educazione della religione.
L’onore e la virtù erano i principi della repubblica, i cittadini ambivano alla gloria del trionfo e la
gioventù romana s’infiammava di emulazione contemplando le immagini dei suoi antenati. Le
temperate lotte tra patrizi e plebei avevano finalmente stabilizzato l’equilibrio della costituzione, che
riuniva la libertà delle assemblee popolari con l’autorità e saggezza del senato e il potere esecutivo di un
supremo magistrato.
[…] Le vittoriose legioni, che in guerre lontane acquisirono i vizi degli stranieri e dei mercenari, prima
oppressero la libertà dello stato, poi la maestà della porpora.
[…] Poiché l a felicità di una vita futura è il grande oggetto della religione [cristiana], possiamo sentire
senza sorpresa o scandalo che l’introduzione, o quanto meno l'abuso, del cristianesimo ebbe una certa
influenza sulla decadenza e caduta dell'Impero romano. Il clero predicava con successo la pazienza e la
pusillanimità. Venivano scoraggiate le virtù attive della società, e gli ultimi resti di spirito militare
finirono sepolti nel chiostro. [...] La Chiesa e persino lo Stato furono sconvolti dalle fazioni religiose
[...]; il mondo romano fu oppresso da una nuova specie di tirannia, e le sette perseguitate divennero i
nemici segreti del paese. [...] Se la decadenza dell'Impero romano fu affrettata dalla conversione di
Costantino, la sua religione vittoriosa attenuò la violenza della caduta e addolcì l'indole crudele dei
conquistatori.
[…] Gli splendidi giorni di Augusto e di Traiano furono eclissati da nubi d’ignoranza e i barbari
rovesciarono le leggi e i palazzi di Roma; ma la falce … continuò a mietere annualmente le messi
d’Italia e i banchetti dei Lestrigoni, che si cibavano di carne umana, non si sono più rinnovati sulle coste
della Campania. Dopo la prima scoperta delle arti, la guerra, il commercio e lo zelo religioso hanno
sparso fra i selvaggi del vecchio e del novo mondo questi preziosissimi doni, che son stati
successivamente propagati e non si possono più perdere. Possiamo perciò convenire in questa
piacevole conclusione, che ogni epoca ha accresciuto e sempre accrescerà l’effettiva ricchezza, la felicità,
il sapere e forse la virtù della specie umana.
9. G. B. Niebuhr, Storia romana. Volume I (II ed. 1828), trad. italiana (rivista), Pavia 1832, p. 18
Rispetto ai primi tempi di Roma la fantasia che inventa ha diffuso sulla verità storica un velo screziato
di vari colori. Poi le finzioni non meno frequenti delle tradizioni popolari vennero a mescolarsi alle
indicazioni delle cronache e ai poveri frutti di uno o più storici che vi attinsero. Per lo più queste favole
si contraddicono in modo che sono facili a scoprirsi, ma talvolta sono applicate a meraviglia ai racconti
da cui sono tratte. Osservata una certa proporzione, forse non c’è storia in cui la verità indugi prima o
poi a svelarsi. Non se ne inferisce per questo che non si debba abbandonare la parte più importante
della storia stessa, ma che si deve piuttosto tralasciare l’inesattezza di certi particolari che sono di poco
conto per noi. A queste condizioni si potranno forse trovare nelle tenebre di quei tempi alcune cose
non meno sicure di quel poco che sappiamo circa le antiche origini della Grecia. Giungere a questo
scopo è il compito che mi sono proposto.
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10. Theodor Mommsen, Storia di Roma antica. Volume primo (18888), trad. it. Firenze 1960, p.
303
Il rigoroso concetto dell’unità e della onnipotenza del comune, in tutte le circostanze della vita
comunale, costituisce l, cardine delle costituzioni italiche. Esso dava in mano all’uno capo dello Stato,
eletto a vita, un’autorità quasi sconfinata, i cui effetti erano certo formidabili per i nemici esterni, ma
che pesava non meno duramente sui cittadini. Di qui gli abusi e gli eccessi, a cui seguivano come effetti
gli sforzi per segnare un limite a quel potere […]. Ma è ammirevole come non si pensò mai di limitare il
potere dello Stato […]. In Roma il grido del partito progressista dai tempi dei Tarquini sino ai tempi dei
Gracchi non è dunque la limitazione del potere dello Stato, ma solo la limitazione del potere dei
magistrati, e anche mirando a questo scopo, mai si dimenticò che il popolo non deve governare, ma che
deve essere governato.
11. Theodor Mommsen, Storia di Roma antica. Volume secondo (18888), trad. it. Firenze 1960,
pp. 1095-1100
Caio Giulio Cesare, il nuovo monarca di Roma, il primo signore di tutto il paese in cui si era diffusa la
civiltà romano-ellenica, aveva cinquantasei anni quando la battaglia di Tapso [46 a.C.], l’ultimo anello di
una lunga serie d’importantissime di vittorie, pose nelle sue mani l’avvenire del mondo. Pochi uomini
furono posti così alla prova come questi che fu l’unico genio creatore sorto in Roma, l’ultimo che
produsse il mondo antico, il quale percorse sino alla propria caduta la via da quello indicata.
[…] Egli poteva competere cin qualunque dei suoi sodati nel combattere e nel cavalcare e la sua bravura
nel nuto gli salvò la vita presso Alessandria; l’incredibile celerità di suoi viaggi, che per guadagnar tempo
era solito far di notte, - la vera antitesi della lentezza da processione con cui Pompeo si muoveva da un
luogo all’altro – era lo stupore dei suoi contemporanei.
[…] Cesare era un uomo di Stato nel più profondo senso della parola fin dalla prima giovinezza, e la sua
meta era la più alta che sia permesso ad un uomo di ripromettersi: la rinascita politica, militare,
intellettuale e morale della propria nazione profondamente decaduta, e quella della nazione ellenica
strettamente imparentata con la romana ed ancor più profondamente decaduta.
[…] In lui la parte del soldato è una parte puramente occasionale e una delle principali particolarità che
lo distingue da Alessandro, Annibale, da Napoleone è quella che il punto di partenza della sua attività
politica non fu quello dell’ufficiale, ma quello del demagogo. […] Era naturale che egli anche dopo [le
vittorie militari] rimanesse più un uomo di Stato che generale, come Cromwell il quale pure da capo
dell’opposizione divenne generalissimo e re democratico.
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