humour e persuasione. Il pubblicitario e l`avvocato

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humour e persuasione. Il pubblicitario e l`avvocato
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Humour e persuasione. Il pubblicitario e l’avvocato
Giovannantonio Forabosco
[email protected]
CRU – Centro Ricerca Umorismo (e-center)
www.ricercaumorismo.it
Suavis autem est et vehementer saepe utilis jocus et facetia; quae, etiam si alia omnia
tradi arte possunt, naturae sunt propria certe neque ullam artem desiderant.
(Marco Tullio Cicerone, De Oratore)
Detto con parole moderne, Cicerone afferma essenzialmente due cose: che battute e
motti sono cosa piacevole e utile e che lo humor non può essere imparato o insegnato.
Salvo poi contraddirsi fornendo utili suggerimenti su come creare battute di spirito e
come utilizzarle nelle arringhe. Vale a dire, per persuadere.
Le funzioni dello humour
La peste. In uno scenario apocalittico dominato da un flagello devastante è mai
pensabile che ci sia posto per un atteggiamento ilare?
Altri, in contraria opinion tratti, affermavano il bere assai e il godere e l'andar
cantando a torno e sollazzando e il sodisfare d'ogni cosa all'appetito che si potesse
e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male: e
così come il dicevano il mettevano in opera a lor potere...
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Prima Giornata, Introduzione)
Sullo sfondo scuro di una Firenze agonizzante Boccaccio illumina una delle più positive
funzioni dello humour, quella di costituire uno scudo protettivo contro i più duri attacchi
al benessere fisico e mentale.
Un anno dopo l’11 settembre, il San Francisco Chronicle titolava: “Lo humour ci ha
aiutati a guarire” (Daniel Kurtzman, 8 Settembre, 2002).
Oggi non abbiamo molti dubbi circa le qualità dello humour non solo come occasione
per divertirsi e far divertire ma anche come risorsa per molte importanti funzioni
(Gulotta e al., 2001)
La ricerca ha mostrato come possa avere un ruolo nel prevenire le malattie, anche se
vanno considerati condizioni e limiti (Martin, 2007). La gestione dello stress, dell’ansia,
della depressione, la psicoterapia in generale, sono alcune delle aree in cui lo humour ha
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mostrato il suo potenziale benefico. Tra le esperienze più recenti, effettuate in setting
controllati, si è rilevata anche l’efficacia dello humour nell’alleviare il dolore in bambini
ospedalizzati, compreso il consentire loro di affrontare interventi chirurgici in maniera
più sostenibile (Vagnoli e al., 2005).
Vi sono naturalmente anche alcune funzioni che possono essere considerate
problematiche. Le battute razzistiche, il sarcasmo crudele, le barzellette usate a scopo di
molestia sessuale, sono alcuni degli esempi di impiego discutibile in cui le persone
bersaglio possono sentirsi umiliate e offese. Negli ultimi anni un termine chiave per
designare un’area difficile connessa alla tematica dello humour è quello di gelotofobia
(ghelot, riso, ridicolo) la paura di essere oggetto di riso (Ruch, 2009). Questa
denominazione introduce una dimensione patologica in cui lo scherzare e il ridere
possono generare disagio e sofferenza anzichè piacere e divertimento (si veda anche
Forabosco, 1998 per le implicazioni psicopatologiche dello humour). In generale,
comunque, possiamo serenamente affermare che le ombre nello humour sono
minoritarie e che nella vita quotidiana è normalmente possibile apprezzare e godere la
luminosità di questo affascinante fenomeno.
La relazione tra humour e persuasione è una questione oggetto di discussione con una
sua particolare specificità. Per alcuni, che lo humour possegga forza persuasiva è
considerato un merito addizionale. Per altri, costituirebbe una qualità dubbia, se non una
macchia.
Humour e pubblicità
L’atteggiamento ambivalente che questa relazione appare in grado di indurre può essere
meglio compreso se consideriamo un’area particolare e notevole come quella della
pubblicità, di cui la persuasione è componente cruciale. Consideriamo le diverse
connotazioni che si accompagnano alle parole “humour” e “pubblicità”. Al termine
pubblicità vengono associati anche aspetti positivi, come quello di informare e quello
legato all’offrire possibilità di scelta tra prodotti. Altri però sono di percezione piuttosto
negativa, come il manipolare e la persuasione occulta. Allo humour invece accostiamo
di regola una lunga lista di caratteristiche essenzialmente positive, il divertimento, la
leggerezza, la spontaneità ecc.
I due concetti sembrano essere molto distanti, se non incompatibili. Eppure lo humour
ha una grandissima presenza nel mondo pubblicitario moderno. Il fatto sorprendente è
che se da un lato vengono investite in pubblicità umoristiche larghe somme di denaro
dall’altro la ricerca sull’effetto persuasivo dello humour non offre prove univoche e
conclusive (Gruner, 1978; Forabosco, 1994; Unger, 1996; Roma, 1997; Carraro e al.,
2004; Gulas e Weinberger, 2006; Pedrini, 2006; Beard, 2007). Sono molti gli aspetti
dello humour che possono essere elencati a sostegno dell’affermazione circa la sua
efficacia in pubblicità (per un’analisi si veda Dynel, 2009). Ma quando entra in campo
la ricerca empirica i dati non sono così univoci. A titolo esemplificativo, Pedrini (2006)
ha rilevato che in una campagna contro il fumo, la pubblicità umoristica non solo ha
avuto meno effetto di quella basata sul suscitare ansia ma ha addirittura ottenuto una
diminuzione del numero di soggetti che hanno manifestato l’intenzione di smettere di
fumare. Pedrini spiega questo risultato con l’idea del “comportamento tendente al
rischio” dei ragazzi. Sintomatico della controversa questione è quanto affermò Ogilvy
nel 1963 e cioè che lo humour “vende poco”, salvo ricredersi 20 anni dopo (Ogilvy,
1983). Comunque la questione dello humour e del suo potere persuasivo appare
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chiaramente aperta al dibattito. Molti sono gli aspetti presi in considerazione per
indagare le condizioni che possono determinare delle differenzialità. Il più ovvio è
legato alla qualità dello humour. Per esempio, i giochi di parole vengono spesso
impiegati ma si rivelano talvolta armi a doppio taglio rischiando di non essere
apprezzati. Tuttavia, una combinazione brillante e creativa di parole può avere un
notevole successo. Altri elementi implicati sono i diversi tipi di humour in rapporto ai
diversi tipi di prodotti, il target, i media impiegati, ecc. Sono aspetti importanti, anche se
è probabile che il più rilevante alla fine sia la capacità dello humour di attrarre e
mantenere un’attenzione positiva (curioso che in inglese il termine d’uso per
“pubblicità” sia “advertising”, dal latino ad-verto=attirare l’attenzione verso). La
ricerca, in particolare sulla pubblicità televisiva, si è occupata soprattutto di che cosa
succede dopo che il messaggio è stato ricevuto dal pubblico. Di non minore interesse (e
forse più informativo) sarebbe studiare che cosa succede nei primissimi secondi. Molti
spettatori semplicemente si distraggono o se ne vanno quando c’è la pubblicità. Uno
spot umoristico può essere abbastanza divertente da trattenere la mente e il corpo.
Ovviamente questo può avvenire con qualunque spot originale e ben fatto. Il punto è
che lo humour per sua natura si presenta come risorsa privilegiata per questo scopo. E’
un dato che i professionisti che producono i costosi video pubblicitari per il Super Bowl
conoscono molto bene, se si considera che nel 2010, ad esempio, 8 su 10 dei messaggi
pubblicitari sono stati di tipo umoristico 1.
La ricetta che regola una relazione funzionale tra pubblicità e humour può essere
descritta come la concorrenza di fattori che stabiliscono una sintonia a tre, marca (o
prodotto), pubblico e humour. Detto in termini semplici ed estremi, non si vendono
ghiaccioli in Alaska e non si raccontano barzellette sessuali alle suore. Nelle condizioni
più favorevoli, si racconta la battuta giusta alle persone giuste, inviando un messaggio
strutturato in modo adeguato. Questo comporta, in modo particolare, rivolgere
l’attenzione a come si formula il linguaggio umoristico/pubblicitario.
Essendo lo schiavo Shem fuggito dal suo padrone Hapu, il tessitore, questi invita
tutti i buoni cittadini di Tebe a trovarlo. E’ un Ittita, alto un metro e sessanta, di
carnagione sana e di occhi bruni; chi lo restituisce al negozio di Hapu, dove
vengono filati i più bei tessuti per il piacere di ognuno, riceverà un pezzo d’oro.
Questo è considerato il più antico messaggio pubblicitario del mondo occidentale. Ha
circa 3000 anni ed è riportato nel papiro XVI trovato nella città egiziana di Tebe e
conservato nel British Museum di Londra. L’elemento pubblicitario è collocato di
passaggio nel testo più ampio, che pure può essere considerato un avviso pubblicitario
visto che “pubblicizza” una ricompensa a chi riporta lo schiavo al padrone.
In questa pubblicità non vi è traccia di humour. Tuttavia si può osservare che
l’espressione impiegata, un superlativo (“i più bei tessuti”), prossima all’iperbole, è uno
dei più frequenti e tipici meccanismi di molti testi umoristici.
Possiamo assumere questo come esempio del primo parametro che descrive un legame
tra la pubblicità e lo humour, vale a dire quello di una similarità di linguaggio.
Entrambi impiegano dispositivi retorici in una varietà e quantità che solo la poesia
probabilmente supera.
Un migliaio di anni dopo vi è stata la distruzione di Pompei causata dall’eruzione del
Vesuvio. Tra i resti e le testimonianze che la tragedia ha lasciato della vita di quel
tempo, vi sono i cosiddetti “manifesti elettorali” per la nomina di magistrati locali che si
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possono vedere dipinti su muri delle case pompeiane. Questi manifesti erano opera degli
“scriptores”, e poteva accadere che nottetempo avversari del candidato cercassero di
cancellarli. Uno di questi dice:
Votate, o vicini, Lucio Stazio Recetto
come duoviro giusdicente,
(egli lo) merita.
Ha dipinto Giulio Celere che abita vicino.
Invidioso che cancelli
ti venga un accidente.
Non abbiamo modo di sapere se ci fosse una qualche intonazione umoristica in questa
minaccia conclusiva. Ma molti di noi, con occhi e cervelli moderni, vi possiamo leggere
un effetto spiritoso legato alla contrapposizione incongrua di due parti che di per sè
sono separate. Assumiamo questo come esempio del secondo parametro che può essere
identificato come contiguità: esiste una linea divisoria, ma il testo pubblicitario e il
testo umoristico sono adiacenti. Negli anni ’50 aveva grande successo la tramissione
televisiva “Carosello”, una sequenza di pubblicità per la quale valeva la regole che ci
doveva essere una breve storia e successivamente il messaggio pubblicitario: in generale
le due parti non erano in relazione, né per struttura né per contenuto (nella prima parte il
prodotto non doveva neppure essere menzionato).
Ne “Il racconto d’inverno” di Shakespeare, Autolico canta:
Venite, gente, venite a comprare;
gentili garzoncelli, su, venite,
se no, le vostre belle, impermalite,
si sdegnano, non fatele frignare:
Ragazzi, su, venite qui a comprare!
La ripetizione quasi ossessiva, la rima, i due script (opposti e parzialmente sovrapposti,
evocati dalle parole “comprare” e “frignare”) sono elementi che segnalano la presenza
di humour. Questo può costituire un esempio del terzo parametro, quello della
continuità: il testo nel suo insieme può essere percepito come spiritoso. Ma che questo
non sia il parametro finale è suggerito dal fatto che possiamo rimuovere le parole “se
no, le vostre belle, impermalite, /si sdegnano, non fatele frignare”, perdendo sì l’effetto
umoristico principale ma mantenendo il contenuto e la funzione di richiamo
pubblicitario.
Il quarto parametro, il più rilevante, è quello dell’integrazione. Humour e pubblicità
formano un testo unitario, integrato. La controprova dell’integrazione è che non
possibile rimuovere la componente umoristica senza disgregare il messaggio stesso.
Un esempio, datato e ormai classico, viene da uno degli spot di “Carosello”. Dopo il
consueto episodio simil-poliziesco, l’ispettore Rock (Cesare Polacco) al rituale
complimento: “Ispettore, lei non sbaglia mai!” replica togliendosi il capello e mostrando
la calvizie incipiente: “Anch’io ho commesso un errore, non ho mai usato la brillantina
Linetti!” Da notare che la sequenza è strutturate come una battuta a due fasi (Suls, 1972;
Forabosco, 1992) con una premessa narrativa e una conclusione incongrua (cosa c’entra
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la brillantina Linetti?); e il rispondente deve individuare l’elemento sottinteso - la regola
cognitiva - che dà senso al tutto (la brillantina previene la calvizie).
In linea con la dimensione integrativa può essere individuato un ulteriore parametro,
quello della totale integrazione (per analogia con la definizione televisiva, in HD – alta
definizione – e Full HD). Questa viene realizzata quando il prodotto risulta essere un
elemento sostanzialmente non separabile nella tessitura del messaggio. Un esempio, è la
pubblicità dell’acqua Ferrarelle, con la serie “Liscia, gassata o Ferrarelle?” (tra cui
celebre la Gioconda riprodotta in tre modi, con i capelli 1) lisci e schiacciati, 2) ricci e
sovrabbondati e 3) come li ha dipinti Leonardo). Molti, se non tutti gli spot del Super
Bowl del 2010 (ma anche degli anni precedenti) rientrano in questo parametro.
I video sono disponibile su Internet.
(http://www.nytimes.com/interactive/2009/02/02/business/media/20090202-businesssuperbowlads.html )
Questa integrazione risulta significativa non solo per conferire salienza al prodotto ma
anche per controllare un effetto collaterale negativo che l’ingrediente umoristico può
comportare. Nel riassumere i risultati della ricerca, Martin (2007) nota che “lo humour
può potenziare il ricordo del materiale umoristico ma diminuire quello di altre
informazioni contenute in una lezione o nella pubblicità” (p. 105).
La totale integrazione ha a che fare anche con altri problemi spesso sollevati, come
quello dell’attenzione che potrebbe focalizzarsi sulla componente umoristica e non sul
prodotto. Se non vi è una netta distinzione percepibile tra l’elemento umoristico e quello
relativo al prodotto pubblicizzato è meno probabile che l’attenzione sia sfocata, distratta
o scissa. Un approfondimento affidato alla ricerca futura riguarda una definizione più
dettagliata delle condizioni in cui il parametro della totale integrazione funziona
efficacemente. Suggerimenti utili vengono dallo studio di messaggi pubblicitari
effettuati sulla base della teoria semantica della Script Opposition di Raskin (1985),
applicata anche a materiale visivo (Allen, 1988). Inoltre, è utile esaminare il materiale
pubblicitario come “narrazioni” umoristiche brevi che vengono di frequente proposte in
modo ripetuto ma con variazioni (Attardo, 2001; Ermida, 2008).
Lo humour nell’aula del tribunale
La pubblicità non è l’unica area in cui la persuasione e lo humour mostrano di essere in
un rapporto complesso e ricco. L’osservazione più generale è che tutte le volte in cui è
in atto un processo di persuasione lo humour può esservi coinvolto. A riprova di questa
affermazione prendiamo in esame un contesto molto distante e diverso, quello che
riguarda il mondo legale e giudiziario. Si va dalle barzellette sugli avvocati, piuttosto
popolari negli Stati Uniti (Davies, 2008; Galanter, 2008) alle evenienze in cui lo
humour è esso stesso materia di azione legale, coinvolgendo questioni di diffamazione,
molestia sessuale, offese alla persona ecc. Si tratta di un caso particolare e notevole
perché viene richiesto ad esempio di analizzare e valutare una battuta, o insieme di
battute, per persuadere il giudice che si è o non si è configurato illecito o reato (per una
estesa trattazione relativa alla legislazione e casistica americana si veda Little, 2009; in
preparazione). In questa sede l’attenzione è primariamente rivolta allo humour come
rilevante dispositivo comunicativo nell’argomentazione forense (Hobbs, 2007; Gulotta,
2010).
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In un’aula giudiziaria la scena si presenta normalmente più che seria, a volte anche
tragica.
Nel Gennaio del 1998 una ragazza ed un ragazzo furono brutalmente assassinati e i loro
corpi furono seppelliti in un bosco. I cadaveri vennero ritrovati solo sei anni dopo e i
sospettati vennero perseguiti. Una storia che ha drammaticamente colpito l’opinione
pubblica e di cui i media hanno molto parlato. Gli assassini vennero chiamati “le bestie
di Satana”, con riferimento a rituali satanici, simboli demoniaci ecc. Sarebbe del tutto
fuori luogo pensare che in relazione a questa vicenda vi possa essere uno spazio
qualsiasi per atteggiamenti o espressioni in qualche modo spiritose. Tuttavia, un’analisi
dell’arringa finale dell’avvocato di uno degli accusati ha permesso di rilevare 19
occorrenze che possono variamente essere considerate di natura umoristica (Forabosco,
2009). Alcune sono delle “toccate” che mirano a introdurre una qualche leggerezza di
tono in contesto molto drammatico (jab-lines: toccate è il termine, innovativo, proposto
per tradurre l’espressione inglese a cui non corrisponde una parola italiana; fa il paio
con punch-lines, battute, di cui mantiene la metafora pugilistica). La funzione,
accettabile, se non necessaria, è di consentire dei momenti di respiro in un’atmosfera
altrimenti soffocante. Altre sono osservazioni di spirito intese a rendere alcuni punti del
discorso più convincenti. A illustrazione, può essere utile esaminare un particolare
passaggio che rivela in che modo alcune forme di humour possono avere un ruolo
chiave nell’argomentazione. L’imputato era accusato non solo di aver preso parte negli
omicidi ma anche di essere un leader della setta satanica. Quello che avvenne fu che
l’avvocato fece un’osservazione che metteva in ridicolo il suo cliente. Ciò può risultare
illogico, dato che in condizioni normali un avvocato cerca di presentare il suo assistito
nella miglior luce possibile, facendolo apparire affidabile, responsabile e serio. Questo
punto introduce la differenza tra tattica e strategia. E’ stato detto che nell’arte militare
tattica può voler dire conquistare una collina per guadagnare un vantaggio territoriale,
mentre strategia può significare lasciare che il nemico conquisti la collina, per poi
intrappolarlo e vincere la battaglia. L’imputato aveva detto a un certo punto di quella
infausta sera: “Io non resto a scavare, mi dispiace, devo tornare a casa presto se no mia
madre si arrabbia...” Con le parole dell’avvocato: “Cioè qui stiamo parlando di un capo
banda di una setta satanica che deve tornare presto perché la mamma sennò lo sgrida...”
(Forabosco, 2009). E’ piuttosto evidente che l’incongruità del fatto mostra come
l’assunto che sia un leader, e quindi abbia un più elevato grado di responsabilità, suona
implausibile e illogico.
Su una tonalità più lieve, un aneddoto ben noto tra gli avvocati italiani (Feroci, 1935),
descrive chiaramente come una tecnica umoristica possa aiutare ad affrontare una
situazione di difficoltà e risultare convincente.
In un processo tenuto in una cittadina di provincia viene chiamato un avvocato di
grande fama. Vi è molta preoccupazione al riguardo per via della sua grande abilità ed
eloquenza. Ma l’avvocato locale riuscì a trovare un modo per cambiare la prospettiva e
guadagnare dei punti:
“Signori del tribunale, quando in casa c’è una persona lievemente indisposta, ci si
rivolge semplicemente al farmacista; quando il malato ha la febbre, si chiama il
medico; ma se poi il caso è disperato, allora si fa venire una celebrità. Così nella
causa presente: la parte avversaria ha evidentemente ritenuto la sua causa
disperata; e ha chiamato ad assisterla il mio illustre contraddittore” (p. 102).
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L’impiego del registro umoristico nella comunicazione e nell’eloquenza forense può
anche costituire una tappa avanzata di un percorso evolutivo professionale. Una
testimonianza il cui valore va al di là dell’esperienza puramente personale è quella
offerta dall’avvocato Vincenzo De Michele. Nell’arena forense il dibattito può diventare
caldo e assumere toni accesi. Le obiezioni, le osservazioni critiche possono diventare
veri e severi attacchi. De Michele riferisce (comunicazione personale) che ad una
accusa rivolta da un rappresentante della controparte, diciamo, di mendacità e di
scorrettezza argomentativa avrebbe in passato reagito con toni e contenuti risentiti e
aggressivi. Questo fino a quando non ha “scoperto” che era più opportuno ed efficace
replicare in modo ironico.
In una nota di chiarimento al Giudice per l’Udienza Preliminare si è, ad esempio,
espresso nel seguente modo:
“... notoriamente sono un gran bugiardo ed il PM, in udienza, ha sostanzialmente
detto che il mio naso si allunga a vista d’occhio. Naturalmente, non è questa
deformità che mi interessa, poiché attribuisco rilevanza solo a quelle dell’animo.
Non è, quindi, per me che Le rivolgo la seguente richiesta, né perché sia
certificata la mia virtù di mentitore, a cui, peraltro, tengo molto”.
Il dispositivo comunicativo adottato è particolarmente mirato perché attraverso una
formula che suona autoironica viene in realtà effettuata dell’ironia sarcastica indirizzata,
nel caso, al Pubblico Ministero. Mostrando di prendere poco sul serio sé stesso rende di
fatto poco seria e poco credibile l’affermazione screditante di cui è stato oggetto.
Interessante notare che in questo meccanismo retorico-argomentativo viene rivitalizzato
un antico suggerimento ciceroniano. Tra i motivi elencati sul perché all’oratore può
convenire (se ne possiede la competenza) fare dello spirito e suscitare il riso, Cicerone
includeva:
...vel quod frangit adversarium, quod impedit, quod elevat, quod deterret, quod
refutat...
... perché mette in ginocchio l’avversario, gli crea difficoltà, lo indebolisce, lo
intimidisce, lo confuta...
(Marco Tullio Cicerone, De Oratore)
Modelli teorici sulla persuasione (e lo humour)
Dalla prospettiva della “Nuova Retorica” Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca nel
loro Treatise on Argumentation (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1969, or. 1958) hanno
discusso la differenza tra persuadere e convincere. Essi rilevano che per coloro che
sono interessati all’effetto finale dell’influenzare le persone e far sì che agiscano nel
modo desiderato, persuadere è più che convincere, perché convincere è solo il primo
passo che porta all’azione. Al contrario, per coloro che sono interessati all’aspetto
razionale dell’adesione, convincere è più che persuadere. Secondo Blaise Pascal il
persuadere si basa essenzialmente su ciò che è non razionale (immaginazione,
sentimenti, ecc.). Per Perelman e Olbrechts Tyteca quello che è cruciale è il ruolo
giocato dal pubblico, universale o particolare. Questo appare piuttosto chiaramente
definito se si prende in esame la distinzione tra dimostrazione e argomentazione. In
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linea con Aristotele, l’affermazione è che la dimostrazione parte da assiomi che sono
veri indipendentemente dall’approvazione del pubblico, e tali sono anche le conclusioni
che si ricavano dalle premesse. E’ come dire che quello che è vero è tale per un
pubblico universale. Invece un’argomentazioner parte da premesse che il pubblico può
accettare o no, oppure le accetta in una certa misura. Ne segue che la conclusione è solo
probabile ed è percepita come più o meno convincente da un particolare individuo.
Nelle loro parole: “... l’argomentazione è lo studio delle tecniche di discorso che
inducono o incrementano l’adesione della mente alle tesi presentate per
l’approvazione” (1968, p. 4).
Lo humour è da considerare, tra le altre cose, una forma di argomentazione che pure
mira all’”adesione della mente”. E possiamo aggiungere che, oltre alla mente, va a
coinvolgere anche altre dimensioni psicologiche. In questa direzione vengono utilizzati
sia mezzi razionali (cognitivi) che non razionali (emotivo-affettivi), in proporzioni che
possono ampiamente variare.
Sul versante del soggetto ricevente, l’effetto di un messaggio può essere rafforzato o
indebolito in relazione alla diversa modalità di elaborazione. Molti fattori possono
intervenire, essendo chiamate in causa variabili così diverse e generali come i tratti di
personalità (tra cui lo stesso tipo e grado di senso dello humour), le esperienze
pregresse, gli atteggiamenti e i convincimenti preesistenti, ecc. Uno schema teorico che
aiuta a comprendere gli effetti differenziali di un messaggio è il ben noto “Elaboration
Likelihood Model” (Modello di probabilità elaborativa) proposto da Petty e Cacioppo
(1986). Due sono le vie principali che possono essere seguite quando si elabora un
messaggio, quella centrale e quella periferica. La via centrale comporta coinvolgimento
personale, convincimenti definiti circa la questione e, in particolare, un’elaborazione
attiva da parte del ricevente. La persuasione viene più facilmente raggiunta se vengono
presentate argomentazioni logiche e razionalmente convincenti. La via periferica si basa
di più su umori ed emozioni, sulla dimensione affettiva (anche verso la fonte), frasi ad
effetto, slogan ecc. In generale, il ricevente è meno coinvolto e meno disponibile ad
avere a che fare con informazioni complicate o a investire tempo e attenzione (una
ragione è il risparmio di impegno cognitivo). Le decisioni sono spesso basate su
procedure euristiche facili e superficiali come “se è pubblicizzato costa di più”, oppure
anche “se costa di più deve essere di qualità migliore”.
Lo humour è più tipicamente soggetto a elaborazione per via periferica (Lyttle 2001), in
particolare producendo uno stato umorale positivo, favorendo una percezione positiva
della fonte e distraendo l’attenzione (evitando le contro argomentazioni). E’ il caso di
notare che quest’ultimo meccanismo è stato menzionato da Freud (1905) quando ha
osservato che la tecnica del motto è una forma di ricompensa/distrazione offerta alla
censura per consentire a un contenuto tendenzioso di venire liberamente espresso.
Distrarre l’attenzione del soggetto (o della censura) permette al messaggio di fare il suo
lavoro (che si tratti di fare pubblicità o di esprimere bisogni sessuali).
E’ bene rilevare ad ogni modo che in alcuni casi le due vie sono seguite in sinergia.
Questo è quanto avviene con un adeguato, possibilmente strategico, uso dello humour.
Ad esempio l’argomentazione basata sul ridicolizzare il cliente nel processo prima
richiamato fa appello sia a reazioni affettive ed emozionali sia a una valutazione
razionale dei fatti.
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Cautele applicative
Alcune persone hanno un talento naturale e maneggiano lo humour in modo tanto
spontaneo quanto raffinato ed efficiente. Per altre, più comunemente, occorrono
esperienza ed addestramento per evitare situazioni imbarazzanti e per migliorare le
prestazioni positive. Quando c’è di mezzo lo humour la complessità è normalità.
Immaginiamo un processo. Se un avvocato propone una battuta spiritosa, il giudice può
prenderla in tre diversi modi principali: può semplicemente ignorarla come irrilevante;
può esserne irritato, se percepisce che la battuta mira a distrarlo da questioni più serie o
a cercare una captatio benevolentiae in modo furbesco; in tal caso la battuta non solo
fallisce ma può costituire un boomerang. La terza possibilità è che il giudice apprezzi la
battuta di spirito. Quale sarà l’effettivo esito dipende tendenzialmente dall’interazione
di tre fattori: 1. la personalità e l’esperienza del giudice, e conseguente atteggiamento
verso lo humour in generale e l’uso dello humour in aula in particolare; 2. come la fonte
viene percepita (se l’avvocato è considerato affidabile, professionalmente serio, oppure
è noto per essere incline a trucchi ed espedienti); 3. la qualità dello humour; fa
differenza che la battuta sia o meno brillante, appropriata o, meglio ancora, rivelatrice.
Immaginiamo un politico che è avvezzo a dire barzellette in pubblico. La ricerca
pertinente (La Fave, 1972; Gruner, 1978; Priest and Swain, 2002) suggerisce che la
reazione dei rispondenti è, ovviamente, basata su molte variabili. Tra di esse una
cruciale è l’atteggiamento preesistente verso il politico stesso. Se è considerato una
figura positivo, una persona che agisce nell’interesse della gente, una persona credibile,
allora è probabile che il commento possa essere: “Com’è spiritoso e simpatico!” Se
invece è ritenuto una figura negativa, che agisce nel proprio inteesse, prendendo in giro
la gente come un ciarlatano, la reazione probabile è del tipo: “Non è furbesco e
malefico?” Per quanto riguarda gli indecisi la reazione è aperta a tutte le congetture. Ciò
che conta è che raccontare barzellette (belle o brutte) non dovrebbe influenzare la
valutazione, positiva o negativa che sia, dei politici e delle loro azioni. L’eccezione può
riguardare una battuta, appropriata alla situazione, che aiuti le parti coinvolte ad
affrontare conflitti o problematiche. Allo stesso modo, su un altro versante, le
barzellette e le vignette satiriche, se e quando aiutano ad avere una visione più chiara di
quanto avviene in politica, così come in altre aree della vita, possono essere
un’apprezzabile stimolo per la mente vigile e critica.
Tutto sommato possiamo asserire che lo humour non ha poteri magici per quanto
riguarda la capacità di persuasione, visibile o occulta che sia. Ma costituisce una risorsa
dalle molte qualità positive che adeguatamente sfruttate possono permettere di
perseguire diversi scopi, preferibilmente onesti. E’ quello che succede quando si
raccontano barzellette per ingraziarsi un partner durante il corteggiamento. Il che appare
essere una forma onesta e a volte efficace di pubblicità umoristica.
1
Fonte: Chuck Tomkovick and Rama Yelkur, University of Wisconsin-Eau Claire;
AdForum; Adland (www.commercial-archive.com)
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