Tecniche pubblicitarie e persuasione della mente

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Tecniche pubblicitarie e persuasione della mente
N.07 – Luglio 2015
Proprio a questa porzione di sistema nervoso “animale” si
rivolgono pubblicità e propaganda, non affidandosi
dunque alla logica e alla razionalità ma facendo leva sulle
reazioni emotive tramite il linguaggio dei simboli, delle
immagini, dei miti etc. Naturalmente noi tutti sappiamo
per esperienza più o meno diretta quale guida potente
possano essere le nostre emozioni e dobbiamo capacitarci
di quanto esse siano importanti nelle nostre scelte
quotidiane.
Tecniche pubblicitarie e
persuasione della mente
di Alessandro Polizzi
L’uomo moderno, che vive nell’attuale società
tecnologica e consumista, compie continuamente scelte
e acquisti che sente autonomi e spontanei, dovuti alla
sua natura di individuo evoluto, razionale e totalmente
impermeabile alle informazioni fornite attraverso la
televisione, la rete di internet o i semplici consigli
offerti da conoscenti e amici (anche se in realtà nella
maggior parte dei casi questo non avviene).
In ogni società umana si manifesta il naturale tentativo
di persuasione dell’altro al fine di raggiungere svariati
scopi, dall’ascesa sociale al conseguimento delle
migliori risorse di ogni genere. Nel corso della storia
tali tecniche di persuasione sono state perfezionate ed
oggi hanno raggiunto un’efficacia tale da suscitare in
taluni anche preoccupazione per via dei possibili effetti
collaterali su società, salute e ambiente.
Cos’hanno in comune uno spot pubblicitario, un
manifesto elettorale e una notizia da prima pagina?
Sono tutte delle informazioni compatte e cariche di
significati simbolici poiché puntano alle sensazioni, al
cosiddetto “cervello emotivo”, scavalcando la ragione.
Occorre ricordare che la gran parte dei neuroscienziati
ritiene che la graduale evoluzione del sistema nervoso
degli esseri viventi (uomo compreso) sia avvenuta per
stratificazione delle strutture nervose, con le più
recenti collegate alle precedenti; in altre parole, nella
scatola cranica umana sarebbero alloggiate parti più
evolute di sistema nervoso – preposto all’elaborazione
cognitiva, al ragionamento logico e alla consapevolezza
– che comunicano e si integrano con le parti
preesistenti, le quali continuano a loro volta a svolgere
le proprie funzioni di base – gli istinti primari quali la
sopravvivenza e la riproduzione, le sensazioni, le
emozioni.
Un’esposizione, chiara e sintetica, sull’aspetto
neurofisiologico è riportata in “Neuroeconomia,
Neuromarketing e Processi Decisionali” (di Babiloni,
Meroni e Soranzo).
Andando ad esaminare le tecniche pubblicitarie e la loro
storia più da vicino, salta subito agli occhi il fatto che
prime forme di essa risalgano già all’epoca classica (ad
esempio bolli nei laterizi romani) ma che solo nello scorso
secolo abbia assunto la forma avvolgente e pervasiva che
tutti conosciamo. Motivazione di ciò è individuabile nella
moderna produzione: dalla sempre maggiore disponibilità
di prodotti è derivata la necessità di facilitare in qualche
modo le vendite. Così nacque l’alleanza tra sistema
produttivo e pubblicità, la quale, per soddisfare le nuove
richieste, si è evoluta arricchendo i prodotti di significati
simbolici: un’automobile di fascia alta da semplice mezzo
di locomozione è stata elevata ad espressione dello status
sociale, così come una normale crema emolliente e
idratante è divenuta un ritrovato miracoloso in grado di
arrestare lo scorrere dell’orologio biologico.
L’influenza di queste campagne pubblicitarie è certificata
sia dai numeri relativi agli investimenti delle aziende per
esse sia dai ricavi ottenuti tramite esse.
N.07 – Luglio 2015
Tale smodato successo non si limita, come detto, alla
sola vendita di prodotti commerciali ma va anche a
tangere la sfera della politica con il mondo della
propaganda.
Dal punto di vista razionale, questo problema potrebbe
sembrare di scarso rilievo ma gli esperti del settore
concordano nel considerare di primaria importanza
questa scelta, dato il potere creativo insito nelle parole.
“Propaganda” è un termine latino entrato nel
linguaggio comune nel 1622, quando papa Gregorio XV
decise la creazione della “Sacra Congregatio de
Propaganda Fide”. All’iniziale connotazione positiva di
“educazione” è andato a sostituirsi, nel corso dei secoli,
il significato meno lusinghiero di “azione che tende a
influire sull’opinione pubblica” (definizione
dell’enciclopedia Treccani). Le tecniche
propagandistiche sono, da alcuni decenni,
sostanzialmente le stesse del marketing pubblicitario,
con unica differenza la merce, ovvero il candidato
politico aspirante all’elezione, e tale vicinanza è
sottolineata dal fatto che entrambi i settori sono riuniti
nella più generica definizione di “tecniche di
persuasione”.
In generale, l’individuo tende a “ricostruire” la propria
realtà sulla base di nomi ed etichette e numerosi studi di
psicologia sociale, ad esempio, evidenziano che l’etichetta
positiva assegnata dall’insegnante allo studente porti ad
un netto miglioramento negli studi di quest’ultimo così
come la felice intuizione del giusto nome risulta
direttamente collegata all’affermazione di un prodotto.
L’utilizzo sistematico di spot costruiti ad arte aggiunge
ulteriore forza al messaggio. Tra le tecniche più diffuse si
ricorda la “sessualizzazione” del prodotto, dove la bellezza
giovanile, tanto maschile quanto femminile, viene
accostata per indurre la reazione emotiva desiderata.
Altra tecnica diffusa è quella dell’uso sapiente della
“paura”: lo schema generale di questa tipologia di spot è
basato sulla presentazione di un problema
apparentemente irrisolvibile e sulla successiva
presentazione di una soluzione a dir poco “miracolosa” (si
pensi alle pubblicità di note marche di detersivi). Fine
palese di una simile tecnica è il circoscrivere il pensiero
del consumatore alle possibilità offerte, escludendone
ogni altra. Ulteriore protagonista della pubblicità è poi la
colpa, nel caso delle scene di povertà, emarginazione e
sofferenza proposte assieme alle nobili finalità di chi
opera (spesso dietro discreto compenso) per trovare delle
soluzioni. L’ovvio risultato è indurre chi possiede
ricchezza e/o salute a pagare una sorta di “risarcimento
scaramantico” volto ad attenuare il soffocante senso di
colpa suscitato dalle forti immagini proposte – peraltro
ciò avviene in genere in corrispondenza di festività, eventi
gioviali o in prossimità della dichiarazione dei redditi di
modo da sortire il massimo effetto sfruttando o
l’occasione per chiedere parte del reddito o i sensi di colpa
dovuti al contrasto tra la felicità provata e l’infelicità
manifestata.
Il “Manuale di teorie e tecniche della
pubblicità” (Ferraresi, Mortara, Sylwan) ben le
descrive: trasformare un prodotto in qualcosa di
indispensabile, da desiderare e da ottenere ad ogni
costo, è un processo graduale. In una prima fase si
provvede a delle indagini di mercato tramite test e
verifiche in collaborazione con specialisti, al fine di
ottenere elementi utili al raggiungimento
dell’obbiettivo fissato. Passo fondamentale di questo
processo è legato alla scelta dell’etichetta, del nome,
dello slogan, del messaggio breve che dovrà
racchiudere il contenuto ma al tempo stesso apparire
irresistibile al cervello emotivo.
L’elenco delle emozioni manipolabili dalle tecniche di
persuasione è ancora lungo e spazia dall’uso di
testimonials (attrici o calciatori) ai jingles immediati e
facili da ricordare, dalle storielle raccontate a puntate
all’uso di personaggi virtuali. La ripetizione quotidiana ed
ossessiva dello spot aiuta poi a fare breccia nella coscienza
dello spettatore: il prodotto più reclamizzato emerge
infatti nella miriade di analoghi prodotti ad esso affiancati
sugli scaffali (e altrimenti non si spiegherebbe il motivo
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per cui le grandi aziende investano continuamente
ampie fette di ricavi per finanziare imponenti
campagne pubblicitarie).
Come per le altre tecniche, anche la “teoria del
martellamento” risulta valida tanto per il mondo del
commercio quanto per quello della politica tramite la
costante presenza sui mass media di determinati
esponenti politici di spicco.
Oltre al “bombardamento” quotidiano palese vi è poi il
“product placement”, una forma di pubblicità meno
evidente consistente nell’inserimento di un brand
mostrato con insistenza in pellicole cinematografiche o
esibito durante una trasmissione televisiva. Non si
possono poi tralasciare i tentativi non convenzionali di
persuasione quali la pubblicità subliminale (dal latino
“sub limen”, cioè sotto la soglia, sottintendendo quella
della consapevolezza), dove l’inserimento occulto e
ripetuto del singolo fotogramma all’interno del film o
le frasi registrate al contrario all’interno del motivo
musicale potrebbero, a detta di alcuni, indurre un
collettivo lavaggio del cervello. Tale forma di
pubblicità, per altro proibita per legge, risulta però di
scarsa efficacia, secondo un’ampia letteratura
scientifica (S. Rogers, 1992-3, F.Danzig, 1962;
concorda invece solo in parte Clay Warren, 2009).
Se è vero che non esistono presunti pericoli occulti e
misteriosi derivanti da tali tecniche, bisogna comunque
considerare i risaputi effetti collaterali generati dal
riverbero che gli spot hanno sullo stile di vita. In
generale, si può affermare che i valori proposti dai
mass media suggeriscano il primato dell’apparenza
esterna sull’identità interna. Un esempio lo si può
ricavare dalle sponsorizzazioni delle bevande alcoliche:
tralasciando la bevanda “X” in questione, si può notare
che il contesto in cui essa viene promossa vede giovani
donne e uomini di bell’aspetto che felicemente
assumono tale bevanda all’interno di un opulento
contesto. La cornice che viene delineata ha infatti la
finalità di incrementare le vendite del prodotto
prestandosi a diverse associazioni: chi beve “X” è giovane,
sano, bello, ricco, felice, ha successo etc. Se poi altre
bevande alcoliche avranno simili messaggi pubblicitari e
questi si andranno a sommare alle scene di film in cui
famosi attori ripropongono identici scenari, una simile
associazione andrà gradualmente a consolidarsi fino a
radicarsi come convinzione personale, perlomeno in
quella parte della popolazione che in precedenza non
aveva sviluppato convinzioni “proibizioniste”. Sebbene un
simile scenario potrebbe apparire una forzatura, gli effetti
della televisione nelle isole Fiji dimostrano chiaramente
quanto esso sia reale. Ai nostri giorni l’equazione
“magrezza uguale successo” possiede un peso spropositato
al punto che nelle Fiji, per l’appunto, dopo solo tre anni
dall’arrivo della televisione satellitare (anni 1995-1998) si
è assistito all’affermazione della magrezza come valore
sociale e alla conseguente comparsa di diete restrittive e
vomito autoindotto nella popolazione di studentesse di
Nandroga, tutti comportamenti sconosciuti fino a quel
momento e lontani dalla preesistente cultura tradizionale
(il tutto documentato in uno studio scientifico al
riguardo).
L’elenco di ciò che nel tempo, a causa dei valori veicolati
dai mass media, è divenuto inadeguato è assai lungo e
comprende, fra le altre, molte parti del corpo (labbra,
seni, glutei, pene etc.) oramai percepite come inadeguate
e inaccettabili per i nuovi standard e per questo sempre
più frequentemente modificate con l’ausilio della
chirurgia estetica - per non parlare poi del “problema”
dell’invecchiamento, che necessita dei più sofisticati
mimetismi in quanto “motivo di vergogna”.
Il potere che pubblicità e propaganda esercitano sulle
persone sembra derivare dalla debolezza strutturale della
mente. Gli psicologi Pratkanis e Aronson sottolineano
infatti come in ognuno di noi ci sia un bisogno di
conservare l’energia cognitiva (essi usano l’espressione
“risparmiatori cognitivi”) e solo con discontinuità, in
occasione di eventi nuovi e inconsueti, si verifichi
l’aumento di attenzione ed elaborazione cognitiva con
conseguente analisi di ciò a cui si sta assistendo – e
spesso, d’altronde, l’uomo ragiona per automatismi
attraverso stereotipi e pregiudizi.
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Il pubblicitario, conoscendo questo meccanismo della
mente umana, altro non fa che attingere al patrimonio
culturale (e genetico, puntando agli istinti animali
presenti nell’uomo) adattandolo alle proprie esigenze e
riproponendolo infine tramite i mass media. Agendo in
questo modo viene però creato un meccanismo a
spirale in cui si va ad attingere al codice culturale ma al
tempo stesso lo si modifica, amplificando o sminuendo
certi comportamenti finora attestati.
Senza demonizzare le tecniche di persuasione, si può
affermare che è necessario prestare attenzione al
potenziale pericolo di cui sono portatrici, essendo
utilizzabili come mezzo di distrazione di massa se non
come strumento di livellamento verso il basso della
società.
L’unica difesa possibile consiste nello sviluppare un
forte senso critico tramite lo studio e l’esercizio
quotidiano della logica e dell’analisi di quello che
abbiamo difronte, trasformandoci progressivamente da
individui passivi che accettano un modello
preconfezionato calato dall’alto in persone
sufficientemente coscienti delle proprie scelte e capaci,
quando necessario, di andare contro i dettami
impostici.