L`EPISTOLA AL CONTE CARLO PEPOLI
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L`EPISTOLA AL CONTE CARLO PEPOLI
Pino Zanni Ulisse 59 IL MANIFESTO LEOPARDIANO: L'EPISTOLA AL CONTE CARLO PEPOLI ( 1826) N ella nomenclatura leopardiana (Vieusseux, Capponi, Colletta, Poerio, Puoti, Troya, Ranieri [...]) spicca il Pepoli, per la Lettera (Ep. CLXXXII) e per l'Epistola "dedicata" anche nel titolo, emulo in questo di Angelo Mai Cardinale e di Gino Capponi Marchese: "Questo affannoso e travagliato sonno/ che noi vita nomiam, come sopporti,/ Pepoli mio?" Senza essere pedanti, nella ricostruzione storica della biografìa leopardiana, quei personaggi non fanno solo da sfondo, ma furono occasioni di maturazione per l'uomo ed il cittadino Leopardi: dal Giordani a Ranieri. Carlo Pepoli (Bologna 1796-1881) Patriota letterato (Accademia dei Felsinei) partecipò ai moti del 1831. Fatto prigioniero dagli Austriaci, andò in esilio a Marsiglia, Parigi e Londra, dove sposò la scrittrice Elisabetta Fergus (1839). Nel 1848 tornò in Italia e fu Commissario a fianco del Gen. Durando e Deputato della Costituente Romana. In esilio dal '49 al '59, fu Deputato al Parlamento Italiano nella VII e VIII legislatura. Senatore dal 1862, Sindaco di Bologna. Amico del Leopardi che gli dedicò l'Epistola a lui intitolata. Scrisse il libretto dei Puritani per Bellini. Lasciò una raccolta di Poesie e Prose (1880). Vieusseux Giampietro (Oneglia 1779-Firenze 1863) Giornalista italiano di famiglia ginevrina. Nel 1819 a Firenze fondò il Gabinetto di Lettura (la Biblioteca annessa oggi conta 650.000 volumi). Nel 1821 fondò con Gino Capponi l'Antologia, il Giornale Agrario Toscano, la Guida dell'Educatore, l'Archivio storico Italiano. Il Salotto del Vieusseux fu frequentato dai più illustri letterati e studiosi del tempo: Manzoni, Stendhal, D'Azeglio, Dumas padre, Michelet, Tommaseo, ecc. Il Vieusseux non fu un creatore ma un energico organizzatore per una equilibrata diffusione della cultura. Pino Zanni Ulisse 60 Capponi Gino (1792-Firenze-1876) Pedagogista e uomo politico italiano, amico del Foscolo, Manzoni, Leopardi, Tommaseo, Colletta, Giusti. Presidente del Consiglio nel 1848, invano chiese al Granduca le riforme richieste dai tempi. Senatore del Regno d'Italia. Come storico pubblicò dei saggi: Sulla dominazione dei Longobardi in Italia, 1844; Cinque letture di economia toscana, 1845. Come pedagogista pubblicò a Lugano nel 1845, anonimo, il Frammento sull'Educazione, ispirato al pensiero di Padre Girard e di Albertina Necker de Saussure (l'attività sintetica precede l'analitica, il pensiero intuitivo del fanciullo, spontaneità del sentimento, non in libertà assoluta (Rousseau), ma regolata, tradotta in idea morale e religiosa, in un ideale di comunione tra gli uomini). Colletta Pietro (Napoli 1775-Firenze 1831) Ingegnere, Generale e scrittore napoletano. Nel 1815 fu a fianco di G. Murat, fino a Tolentino. Successe a Florestano Pepe, durante la secessione siciliana e ridusse la Sicilia all'obbedienza. Nel 1823 si stabilì a Firenze e appartenne al Cenacolo dì G. Capponi, strinse amicizia con G.-B. Niccolini, con Giordani, Leopardi, che lo incoraggiarono a scrivere la Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, libro di battaglia contro l'oppressione borbonica. Collaborò all'Antologia. Poerio Giuseppe (1755-Napoli-1843) Patriota, partecipò alla Repubblica Partenopea. Raggiunse alte cariche pubbliche sotto Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat. Fu a Firenze dal 1823 al '27.1 due figli Alessandro e Carlo furono anch'essi patrioti. Puoti Basilio (1782-Napoli-1847) Letterato italiano purista. Nel 1825 aprì a Napoli la Scuola di Lingua Italiana, di cui furono allievi L. Settembrini e Francesco De Sanctis. Superò i canoni del Padre Cesari (cultore degli scrittori "dell'aureo Trecento"), selezionando i Trecentisti ed includendo nel canone autori del Cinquecento e Seicento. Pubblicò: Regole elementari di lingua italiana (1833), Della maniera di studiare la lingua e l'eloquenza (Purismo), Dizionario dei francesismi (1845). Troya Carlo (1784-Napoli-1858) Storico. Esiliato per la partecipazione alla rivoluzione liberale del 1820-21. Nel 1844 fondò a Napoli la Società Storica. Neoguelfo e Al conte Carlo Pepoli 61 moderato esaltò l'azione dei Papi come fattore di civiltà, nella sua Storia d'Italia nel Medioevo (Voll. 4, 1839-55), in Il Veltro allegorico di Dante (1822), in Annotazioni agli Annali del Muratori (Voll. 2, 1869-71). Giordani Pietro (Piacenza 1774-Parma 1848) Scrittore italiano. Appena laureato si fece monaco benedettino, ma poi lasciò il monastero e fu anticlericale. Nel 1807 compose un Panegirico a Napoleone e ottenne l'uffìcio di prosegretario dell'Accademia delle Belle Arti di Bologna. Nel 1824, incolpato per uno scritto "irriverente" verso la duchessa Maria Teresa, lasciò Piacenza per Firenze. Là frequentò Leopardi, Manzoni, Capponi e Colletta. Per un provvedimento della polizia lasciò Firenze e si trasferì a Parma, dove morì inneggiando a Pio IX e Carlo Alberto. Epigrafi, Elogi e Discorsi testimoniano il suo stilismo, rivolto alla ricerca della parola eletta, del ritmo, del periodo musicale. L'Epistolario è prova della sua partecipazione al movimento letterario del tempo. Esercitò notevole influenza sugli scrittori contemporanei, anche su Leopardi. Leopardi fu a contatto con uomini d'azione. "Pensiero ed azione" furono anche i cardini delle convinzioni di Giuseppe Mazzini. In Leopardi l'azione fu del tutto assente, il pensiero "debole", il desiderio di vita possente. Patrioti, pedagogisti, puritani e puristi fecero da sponda ai tentativi di evasione del poeta, che restò tale, ritrovando l'ispirazione, ogni volta che tornava al "natio borgo selvaggio" [...] certo: il "buon selvaggio" di Rousseau. L'assenza di azione generò nel poeta il sarcasmo e la noia, evidenti nella Palinodia al Capponi: "un désaveu sarcastique des utopies illuministes" e nell'Epistola al Pepoli, che "marque la ruine des idéaux politiques" (Ν. Jonard). La vita come "affannoso e travagliato sonno" segna l'incipit dell'Epistola al Pepoli, premessa del Manifesto leopardiano. Il nome di Pepoli emerge dall'Opera di Leopardi, come una pietra miliare ο di confine tra le "conversioni " letterarie-fìlosofìche del poeta. La moglie del Pepoli era inglese, ispirò i Puritani al marito. Anche Manzoni subì l'influsso giansenista dalla moglie, come Tasso forse quello calvinista dalla Duchessa d'Este [...]. Ma troppe cose dividono "il sequestrato di S. Anna" dal poeta della Ginestra: il primo subì pesantemente i condizionamenti dell'Inquisizione, tanto da fare della Liberata la Conquistata (il latinista Card. Silvio Antoniano di Castelli fu tra i revisori del poema del Tasso), ma tra Silvia e Nerina Pino Zanni Ulisse 62 dell'Aminta e le omonime fanciulle di Leopardi c'è la differenza sostanziale che corre tra un paesaggio solare e lunare. "Leopardi puritano e laburista?" sarebbe una bella tesi. Alla conversione letteraria e filosofica bisognerebbe aggiungere quella "sociale-religiosa". Tasso trova la sospirata pace a Roma nel convento di S. Onofrio, testimoni gli sciolti del Mondo creato "tra i più belli del Cinquecento", che negli enjambements prelude "l'austera epopea del Paradiso Perduto (1667) del puritano John Milton" (N. Sapegno). Leopardi, pur avendo avuto la correttezza di rifiutare una carriera, tipo Angelo Mai, offertagli dal Card. Consalvi, rimase sul vestibolo della Chiesa, mettendo tra parentesi, da buon illuminista, l'intero problema religioso. Infatti dalla Lettera al Pepoli (Ep. CLXXXII), nel breve curriculum autobiografico accluso, apprendiamo che Leopardi "rifiutò la prelatura e le speranze di un rapido avanzamento offertogli dal Card. Consalvi" [...]. La signora Fanny Targioni Tozzetti inorridiva al pensiero di doverlo chiamare "Monsignor Leopardi". Invece dei Grandi Idilli avremmo avuto la corretta lettura di Palinsesti ebraici, greci e latini ο la composizione di Inni da Missale ο Breviarium, da far concorrenza al Dies Irae di Tommaso da Celano, al Pange Lingua di San Tommaso D'Aquino, al Fortem virili pectore, ritenuto dal Carducci "il più bello del Breviario Romano", capolavoro del Card. Antoniano, che fu autore delle scritte latine sugli Obelischi romani e nelle Stanze di Raffaello, come sulla modesta casa paterna :"Ostium non hostium", fine come le maioliche di Castelli. (A. Nicodemi, Il Card. S. Antoniano, Teramo 1949). Leopardi evitò di dover buttare la tonaca alle ortiche, come Giordani, o, come Panni, di dover lottare tra i doveri del celibato ed il "suo diritto di poeta e di uomo a vagheggiare e ammirare la bellezza, e in quell'ammirazione insinuare la nota accorata della sua nostalgia, del suo desiderio sempre vano e deserto d'amore" (N. Sapegno). La Silvia pariniana "veste alla ghigliottina!" La vita come "travagliato sonno" non è una concezione affine al Somnium Scipionis di Cicerone, "il primo viaggio spaziale dell'età romana", dove il protagonista coglie "l'armonia dei cieli tolemaici", né il sonno biblico di Giacobbe, "ponte tra gli uomini e gli Angeli". Leopardi anche nell'Infinito scopre la dolcezza del naufragar "in questo mare", per Margherita Guidacci "una delle più intense esperienze mistiche che siano mai state registrate. L'assenza di Dio finisce col Al conte Carlo Pepoli 63 diventare premente come la Sua presenza, il vuoto diventa la Sua capovolta presenza". Il Parere sul Salterio (1817), l'Inno ai Patriarchi (1822), gli Inni progettati (Al Redentore, Ai Solitari, Ai Martiri, A Maria) non costituivano un bagaglio culturale sufficiente per indossare la tonaca, ma giustificano le sue osservazioni sul "sublime" della Scrittura e spiegano le sue convinzioni sulla "vanitas vanitatum" delle cose, sul pessimismo esistenziale, riconducibile all'Ecclesiaste, Giobbe, Salomone. Epistola Al conte Carlo Pepoli Leopardi lesse questa Epistola davanti ad un pubblico selezionato ed "annoiato", a Bologna nel 1826, presso l'Accademia dei Felsinei, della quale il Pepoli era vicepresidente. Anche quella sera del 28 marzo bolognese fu una "noia" per gli amici ed una delusione per Leopardi. L'Epistola al Pepoli, per N. Sapegno, è "una prefazione postuma alle Operette morali [...] pura prosa" in 158 versi, che testimoniano la "conversione" di Leopardi alla filosofia. Tradotta in lettera privata suona così: "Caro Pepoli, che fai? come occupi i tuoi ozi? Gli operai passano il tempo lavorando "per campar la vita". Marinai, militari, mercanti si affaticano inutilmente, tra sudori, veglie e pericoli, per cercar di essere felici, ma inutilmente. Noi aristocratici, che abbiamo il privilegio di non lavorare (altri sudano per noi), abbiamo il problema di come occupare il tempo. C'è chi passa la vita, dedicandosi alla moda, al gioco, al ballo [...] ma, tra tanti sorrisi e convenevoli, cova "una noia immortale", non rimossa neppure dalle "nere pupille" dell'amante. C'è chi viaggia continuamente, ma "sotto ogni ciel" la felicità è solo tristezza. Tu, nel fiore degli anni, ti sei dedicato alla poesia e alla bellezza. Fortunato colui che, invecchiando, mantiene vigorosa la fantasia. Il cielo ti conceda di restare amante della poesia fino a quando avrai i capelli bianchi. Quanto a me, ormai sento venir meno "i dolci inganni" della giovinezza. E quando non sarò più sensibile agli splendori della natura, quando la luna silenziosa non mi commuoverà più, sotto un cielo limpido, quando ogni forma di bellezza naturale ο artistica mi lascerà indifferente, mi convertirò allo studio del Vero, che presiede alle umane cose, cercherò il perché del dolore, indagherò il mistero dell'universo. Così occuperò il mio ozio. In fondo la verità, anche se arreca dolore e tristezza, può procurare un suo piacere. Finirà, certo, in me il desiderio di gloria. Ma la gloria non solo è vana, ma è più cieca della fortuna, del fato e dell'amore. Stammi bene, tuo Giacomo". Bisogna risalire ai Dialoghi di Seneca per ritrovare il modello Pino Zanni Ulisse 64 classico. "L'ozio costituisce problema per Leopardi - scrive Luporini problema in cui egli si sente implicato personalmente, non senza accentuazione sociale e a cui vede legato il romantico tema della noia ('l'ozio che ti lasciar gli avi remoti / grave retaggio e faticoso' [...] e la contrapposta 'schiera industre' [...] e il lavoro, unica medicina 'cui natura apprestò'). [...] I principi democratici di Leopardi non sono nuovi e peculiari del suo ultimo periodo, anzi appartengono già alla sua prima formazione mentale. In questo ultimo periodo, che fu stroncato dalla morte, vi è qualcosa di nuovo: è lo sviluppo del valore positivo dell'operare umano, dell'energia umana, nell'elemento socialmente costruttivo dell'universale solidarietà degli uomini contro l'ostilità ο l'indifferenza della natura" (Leopardiprogressivo, op. cit., p. 90). Ozio, noia, poesia, vero, gloria sono i cardini del discorso leopardiano al Pepoli. Autocritica, autobiografia, estetica, sociologia, filosofia convergono in questo scritto, che crea un ponte tra la cultura settecentesca illuminista e quella romantica del pieno Ottocento. Vi si sente la Frusta letteraria del Baretti, divenuta "sociale e criptorivoluzionaria" nel Panni, che evade nel socialismo utopistico, senza attingere la carica destabilizzante di Marx. L'ozio è un privilegio nobiliare e borghese che va abolito, ma si può diventare staccanovisti ο luddisti e infine barboni, per reazione. La noia, da Leopardi a Moravia, è il sentimento fondamentale della gente sazia e ispirerà lo spleen e la verve di Baudelaire. La poesia, né classica né romantica, ma "respiro dell'anima", che non è del tutto "materia" né puro spirito", che deve purificarsi nel deserto, e conoscere, come in Giovanni della Croce e Teresa d'Avila, "la notte oscura dei sensi e dello spirito", per attingere il sublime in poesia come in religione: dimensione marsica e barocca. Il vero, che di fronte al dolore e alle poche gioie della vita, si attaccherà all'"abstine et sustine" stoico di Epitteto, senza obliare le ascendenze bibliche di Giobbe e di Salomone. La gloria, sì cara a classicisti e romantici, tipicamente francese: la Grandeur [...] (Bon Dieu de la France!), che tocca l'apice con Napoleone ("Fu vera gloria?" si chiederà Manzoni) è superata dal Vero e umanizzata dalla solidarietà ritrovata. Se Leopardi sia più "parente" di Nietzsche ο di Schopenhauer è pura disputa accademica (come pretendere che sia più piceno di Pico, amato-osteggiato da Circe, ο fanciullo prodigio come Pico della Mirandola). Non so se nella Biblioteca del bibliofilo Monaldo, tra testi gesuiti e Al conte Carlo Pepoli 65 domenicani, figurasse Giovanni della Croce ο Teresa d'Avila. "La notte oscura dei sensi e dello spirito", che aleggia nella Ginestra, avrebbe avuto un esito più positivo nella valorizzazione della contemplazione del Benverbello, che è un trascendentale globale, "vestigia Dei", tracce dell'opera di Dio, Clemente e Misericordioso, nella creazione della Natura. "Il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me". Anche per Kant i lumi dell'Illuminismo non vanno oltre le stelle. Ma mentre il filosofo di Königsberg, nella Critica del Giudizio, supera le antinomie tra Ragion Pura e Ragion Pratica, accontentandosi del "come se", così vicino al "quia" dantesco, il poeta di Recanati, pervenuto alla Illuminazione del terribile Vero, come Budda scende tra gli uomini a predicare, non la rassegnazione della relatività di Einstein ο della precarietà delle leggi scientifiche di Popper, ma la guerra santa contro la Natura, in una solidarietà titanica, che nulla ha imparato dalle sorti di Prometeo, di Ganimede, e di Ercole [...] fino ad Hiroshima e Nagasaki, per E. Fermi e gli amici di Via Panisperma a Roma, vigilia dell'Apocalisse, scatenata dalla Scienza dimentica della Fede, fino all'ingegneria genetica, canto del cigno dell'Homo Sapiens, e paradiso della Libertà, come il gulac "freddo arcipelago dell'Uguaglianza". Anche Goethe ammoniva l'antropotheismo dell'Illuminismo: "stirpe destinata a conoscere cose illuminate, non la luce" (Pandora, VI, 439), ripiegando sui "cari piccoli mondi / (che) hanno del magnifico davvero / (Poesie, I, 527), ben sapendo che: "le opere d'arte abbandonano l'artista come gli uccelli il nido in cui sono stati covati" (Affinità elettive, 2, 3). La Natura è "cerchio di distruzione-riproduzione", la Natura è "spietata", cioè "senza pietas", come i giochi dei fanciulli spesso "crudeli", come gli eroi omerici (Achille ed i prigionieri troiani, la fine di Ettore [...]), ma la guerra contro la Natura è anch'essa utopia, ridicola come una Batracomiomachia: non è ecologica. Se l'Epistola al Pepoli è "prefazione postuma" alle Operette morali, e giustamente "annota" Luporini: "un errore che ha impedito a lungo l'accesso al pensiero di Leopardi è stato quello di prendere come punto di partenza le Operette morali (De Sanctis, Gentile). Dalle Operette morali non si penetra nello Zibaldone, ma viceversa" ( Leopardi progressivo, op.cit. p. 4 1 , nota), Pepoli è il destinatario del Manifesto del pensiero leopardiano, che è forse più "produttivo" che "progressivo", contenendo in germe quel "plusvalore di cambio e di uso" di cui parlerà Marx, che Leopardi aveva orecchiato da Epitteto, traducendolo: "le pecore non portano al pastore erba, ma, smaltita la Pino Zanni Ulisse 66 pastura, danno di fuori la lana ed il latte" (Manuale, 63). Ma per Leopardi qual è il "plusvalore"? la vitalità della Natura da conciliare con la "solidarietà" dell'uomo, in una "contaminatio" non solo poetica, ma morale, superando le antinomie politiche. "Il giovane del ventesimo secolo" risponderà alla Lettera di Leopardi, prendendo atto che: "solo attraverso la porta aurorale del bello tu puoi penetrare nel paese della conoscenza" (Schiller, Gli artisti, 34, 1, 174), che non è il Paese di Bengodi, sensista e materialista, concludendo che: il grado più elevato della grazia (Bello) è il fascino, il grado più elevato della dignità (Bene) è la maestà, il grado più elevato della certezza (Vero) è l'ironia (e l'autoironia, diceva Steinbeck, arriva per ultimo, come il dente del giudizio), il grado più elevato del Benverbello è il gioco, ricordando l'iscrizione sul tempio di Iside ("Dea Mater sive Natura"): "Nessun mortale ha mai sollevato il mio velo", radice metafisica del "verginismo partenopeo". Come Virgilio e Lucrezio, Leopardi scopre a Napoli, pur lontano dai Circoli archeologici, il "verginismo partenopeo", senza pervenire alla naturale conclusione, apprezzata dagli antichi: il mito della "verginità" deve concludersi nella "maternità", come la Dea Mater, la Mater Matuta degli Italici, la cui sapienza era per G.-B. Vico "antiquissima" [...] (A. Mitterer). Leopardi verginista e scienziato "Fortunato colui che la caduca virtù del caro immaginar non perde per volger d'anni". A Napoli (Partenope) il culto della verginità affonda le radici archeologiche al tempo della fondazione da parte dei Greci immigrati. Gli Eunostidi avevano un tempio ed un cenobio ai Vergini (Rione Sanità) e praticavano il culto della verginità, sacro ad Arthemis Efesia, accanto al Sacro Gineceo delle Vestali di Cibele (Mater Matuta) (FiencoStrazzullo, B. Capasso, G. De Petra, G. M. Galanti). La Casa dei Missionari ai Vergini, opera grandiosa del Vanvitelli, conserva ancora oggi le tracce archeologiche di quel culto mediterraneo. Leopardi, nella sua ultima dimora napoletana (Salita Santa Teresa degli Scalzi), tra la Sanità e Capodimonte non lontano dal Museo Nazionale Archeologico, avrà visitato la Chiesa dei Vergini, riservata a soli uomini, che mantiene l'antica tradizione "verginista" dal poeta Lucrezio, al poeta Virgilio, al Sannazzaro (De partu Virginis), ad Alfonso de' Liguori, a Leopardi. Al conte Carlo Pepoli 67 Anche Croce sottolinea "la soavità, ritenutezza, modestia, castità, pallore" del poeta degli Idilli. In Leopardi la "verginità" virgiliana (giunta fino al contemporaneo Hölderlin), che gli fa sentire la Natura come Parthenos, non lo rende Iperion (titanico, superiore, solare), come Kant, Schiller, Fichte ο Hegel. Leopardi non si annulla, come Empedocle, nel fuoco primigenio dell'Etna, né, come Saffo, nell'acqua del Mediterraneo. Come Orfeo, vede svanire la sua Euridice, ancor prima delle nozze. Divenuto passero solitario, non canta, con melanconia partenopea un salterio giubilante dionisiaco, né una geremiade lamentevole cristiana, né un inno pindarico olimpico. La sua è una canzone esistenziale autobiografica, come il ritratto di Michelangelo sulla pelle di S. Bartolomeo alla Sistina. Un ritratto in filigrana, come quello dell'uomo della Sindone, dove la Religione è anche amore della bellezza, non apollinea, né dionisiaca, ma marsica. In fondo Euridice-Psiche non è Beatrice, né Margherita ο Elena di Faust, né Diotima, ma Nerina ο Silvia, sorelle nubili (se non nobili) di Laura. L'antropotheismo leopardiano non è prometeico, né ganimedico, né erculeo, né messianico, forse è stoico (Epitteto), ma con venature lucreziane. A Posillipo (dove la felicità è negativa, come "pausa del dolore") riposano Virgilio (forse Lucrezio), Leopardi, nonostante il "sunt lacrimae rerum", il De rerum natura, la "Ginestra, fiore del deserto", accanto alla Madonna di Piedigrotta, cara al Pontano, al Sannazzaro, amata dai Napoletani, Re ο Pulcinella che siano. E vero, i Napoletani, specie gli intellettuali ("I nuovi credenti"), dispregiavano "o ranaruottolo, il ranocchio", e Leopardi ricambiava feroce: "fuggire da questi Lazzaroni e Pulcinelli nobili e plebei, tutti ladri e baroni fottuti, degnissimi di Spagnoli e di forche", riecheggiando Franceschiello e la sua legge: "Feste, Farina e Forche". Se Leopardi avesse capito e apprezzato Pulcinella, avrebbe gustato il simbolo (comico-grottesco) più palese dell'umana esistenza: pellegrino, inerme, esposto ("Esposito") al ridicolo nel suo travestimento, come l'idiota di Dostoevskj, ο il Clown di Georges Rouault. Ma la sua "compassione" per l'uomo non si distacca dal Manuale di Epitteto, esempio di "tetra sapienza morale da parte di quelle rane gracidanti, che sono gli Stoici" (Erasmo da Rott. Enc. Moriae, 1509-1944, 126), senza raggiungere lo sconforto di Virgilio: "sunt lacrimae rerum", titolo del Clown con la testa reclinata all'indietro, nella serie del Miserere di Rouault. Pino Zanni Ulisse 68 "Il poeta deve entrare nudo nella vita, custodendo la purezza interiore, in verginità di spirito", raccomandava Hölderlin (Iperione, Lett. 144) e Leopardi si attenne al canone verginista. Né Monaldo, né Adelaide imposero la cintura di castità a Giacomino, né lo avrebbe fatto il galante Card. Consalvi. GiacominoBuccio restò tale sempre: dall'infinito ermo colle Tabor ("il naufragar m'è dolce in questo mare"), alle rocce vulcaniche della Ginestra: verginismo coatto. Se l'erotomane D'Annunzio sarà poeta "immaginifico" (Croce, Russo, Vecchioni), il casto (non "inceste") Leopardi è il creatore del linguaggio "lunare-soft", così attuale oggi nei computer "virtuali". Dallo Zibaldone ("brodo primordiale autobiografico") emerge la Storia di un'anima, incompresa dai contemporanei, tanto che gli venivano offerte Cattedre universitarie "scientifiche", regolarmente rifiutate. Senza nulla togliere alla preparazione scientifica del poeta, anche in quel campo "progressivo", risulta evidente da quegli appuntimemoriali l'antinomia tra le sue convinzioni scientifiche e le sue conclusioni poetiche. "Interessante è anche il dibattito familiare con il padre Monaldo, curioso avversario del sistema copernicano [...]. A complicare l'adesione al copernicanesimo di Giacomo si aggiunse negli ultimi anni della sua vita la violenta campagna condotta dal padre Monaldo contro il sistema copernicano sul periodico da lui diretto La voce della Ragione. Stampato a Pesaro dal 1832 al 1835, La voce della Ragione, con i suoi duemila abbonati, era una delle riviste italiane più diffuse" (Borgato-Pepe). Il settore scientifico e matematico della Biblioteca paterna abbondava di testi gesuitici: Clavio, Horvarth, Boscovic, Tacquet e Ximenes erano appartenuti alla soppressa Compagnia di Gesù, le cui biblioteche furono svendute. Ma l'epistemologia scientifica di Leopardi, non coincide con le fantasie della sua poesia: "Il credere l'universo infinito è un'illusione ottica" analoga "a quella dei fanciulli e dei selvaggi primitivi circa l'infinità della terra ο del mare ο circa il numero infinito delle stelle" (Zib. 4292, 20 sett. 1827). "L'infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia" (Zib. 4177, 2 maggio 1826). E conclude: "Chi vi ha detto che essere infinito sia una perfezione?" (Zib. 4274, 7 aprile 1827). Filone, Plotino, Lucrezio, Leibniz, Mondolfo avrebbero da dire. Lo scienziato illuminista taglia l'erba sotto ai piedi al poeta Al conte Carlo Pepoli 69 romantico? No, è il solito contrasto pitagorico tra il Numerus (numenverus) e la Mens (mensura), che colpita dal meraviglioso (classico), dal misterico (dionisiaco) e misterioso (romantico), evita il mistico (religione) per evadere nel mistagogico (marsico), per cui la storia diventa "un golgota dello spirito" (Hegel) e Leopardi non si trasfigura né risorge sul Tabor a contatto con l'Infinito, come Socrate non è risorto sull'Acropoli di Atene. La Verità? è aletheja=indimendicabile, il lethé è un fiume che non cancella la bellezza. E dal processo di Frine a Dostoevskj, "la bellezza salverà il mondo". Come ha evitato la "damnatio memoriae" al pessimismo di Leopardi. Luigi Illuminati scrisse al poeta di Recanati: "quod cantus vitae tibi cecinere dolores tot nobis reddit gaudia Musa tua" (1955). Leopardi poeta marsico "Il bel che raro e scarso e fuggitivo [...] a noi la vaga fantasia produce e il nostro proprio error". L'origine della distinzione tra Classico e Romantico, per Benedetto Croce, risale a Goethe e a Schiller. Ingenua ο sentimentale, soggettiva ο oggettiva, pura ο passionale, bella ο brutta, sana ο malata, primitiva ο civilizzata, accademica ο popolare, ideale ο reale, greco-romana ο celtico-germanica, la poesia per la critica tradizionale è l'espressione artistica dell'uomo Apollineo ο Dionisiaco. Come ribadì il filosofo Nietzsche, l'Apollineo è armonia, serenità e razionalità. Il Dionisiaco è diacronia, passione, irrazionalità. L'ultima definizione nel sec. XX del bello artistico e di poesia, fu di B. Croce: "intuizione lirica", confluenza dell'estetica vichiana e hegeliana. Forse migliore resta quella del filosofo E. Kant: "creazione fantastica così armonica e spontanea da sembrare naturale". Il Marsico è la media proporzionale tra l'Apollineo ed il Dionisiaco: "sobria ebrietas", e tien conto del bello sì, ma anche del brutto (Erasmo). L'arte, come la poesia, sta nel mezzo (in medio) tra la Ragione e l'Inconscio sentimentale (spirito di geometria e spirito di finezza, Pascal), è "armonia di opposte tensioni" (Eraclito). L'arte non è solo figlia della Yubris irrazionale e del Logos razionale, ma del Pensare Sfero, globale del poeta, che sente in modo individuale e universale, il bello ed il brutto, confluenza anche dell'inconscio collettivo (Jung), oltre che di quello individuale (Freud), condizionato dal proprio periodo storico, dal clima e habitat naturale e culturale, dal DNA Pino Zanni Ulisse 70 (fattori ereditari), dalle aspettative generazionali, tanto che il poeta diviene Vate, quando è profeta dei destini della stirpe e dell'uomo: poesia acronica ed eterna, se supera la memoria sincronica e la fantasia diacronica. In questo caso attinge il Sublime omericamente e Marsicamente. Infatti Omero, Ovidio, Ariosto, Shakespeare, Goethe, D'Annunzio sono gli esempi canonici del Marsico in poesia. Come il Gregoriano, Mozart, Bach, Beethowen, Armstrong, in musica. L'Apollo di Veio etnisca, il Laocoonte vaticano, la Gioconda leonardesca, la Venere di Dresda e la Tempesta di Giorgione, il Perseo di Cellini, la Sistina di Michelangelo, sono gli esemplari pittorici e plastici del Marsico, comunemente chiamato, con un termine non mitologico ma spagnolo: Barocco. I templi di Paestum, il Pantheon ed il Mausoleo di Adriano, la Basilica di S. Pietro, la Cattedrale di Reims, i Castelli della Loira, la Sagrada Familia del Gaudi a Barcellona, i Castelli di Scozia ο del Reno, i Palazzi Reali asburgici, i Templi indiani, cinesi ο giapponesi, sono il Marsico in Architettura. I film di Fellini, di Igmar Bergman, René Clair, Chaplin, Bunuel, Eisenstein, nell'arte cinematografica, sono il Marsico. Narra la leggenda che Marsia, in gara con Apollo in Apulia, fu condannato ad essere spellato vivo, ma fu salvato dai pastori abruzzesi in transumanza nella Puglia, e portato in "Marsica" [...] (C. Kerényi, Gli Dei e gli Eroi della Grecia, Milano: Il Saggiatore, 1962). Leopardi, come i poeti alessandrini, divorò famelicamente la biblioteca paterna ("calcentero" come Callimaco), per produrre pochi versi (epilli, idilli, distici, canti, e come Eroda e Teocrito dialoghi, ο come Epitteto pensieri didascalici). Si tratta di poche "istantanee" di sensazioni fisiche ο spirituali, indefinite, esistenziali, e per questo universali, mistiche-ecologiche, più laiche che cristiane [...]. Giacomo non è un'aquila, un albatros, un cigno, ma un passero solitario piceno, papalino, illuminista nella logica, romantico nel cuore, fino a diventare "marsico", capace di "spellare" ogni sensazione fisica ο fantastica, misurando le componenti, focalizzando le rimembranze, dopo averle vivisezionate fino a ridurle al nulla. Cicerone lo avrebbe bollato come uno della schiera dei "cantores Euforionis", Gellio lo avrebbe catalogato tra i "laudatores pulveris et fumi". Osserva il Croce: "Allora la sua parola acquista colore, il suo ritmo si fa dolce e flessuoso e pieno di armonie e di intime rime, la commozione trema riflettendosi nella pura e lucente goccia di rugiada della poesia [...] quell'intenerimento, quella soavità hanno quasi del furtivo [...] e si esprimono con la ritenutezza, la modestia, la castità di Al conte Carlo Pepoli 71 chi dice cose a lui non consuete. Donde il loro particolare incanto, il lieve incarnato nel pallore di questa poesia, che fa impallidire al confronto molta letteratura dai ricchi e vivaci colori [...]. La poesia del Leopardi è assai più travagliata di quanto non si sospetti ο di quanto non si creda. C'è in essa dell'arido, c'è della prosa, c'è del formalmente letterario, e c'è insieme poesia dolcissima e armoniosissima; forse quell'impaccio fa meglio sentire il miracolo della creazione poetica". Però Leopardi non piacque a Tommaseo: "Madre Natura con un pugno lo sgobbò, / poscia gli disse: canta! ed ei cantò". Epitaffio crudele di chi ebbe in comune col giovane Leopardi la tonaca a Spalato e sentì il poeta più vicino a Tersite che a Tirteo. Monti-Caro-Leopardi, come Pascoli e D'Annunzio e Saba, sono i nipoti dei Popoli del Mare, eredi di Omero illirico e degli aedi che l'imperialismo alessandrino dei Greci cancellò edipicamente, come i Romani cancellarono la memoria etnisca, civiltà-madre di quella di Roma. La brevità della vita non permise al conte Leopardi di frequentare a Napoli il Circolo culturale del Conte di Siracusa, dove convenivano gli Acquaviva, Giuseppe Fiorelli, Edoardo Brizio, Raffaele Garrucci, poi gesuita, antagonista di Mommsen e difensore dell'Asse atriano in Numismatica, Fausto Niccolini e Filippo Troisi ed il giovanissimo Felice Barnabei, che insieme al Fiorelli tanta parte avrà nella costituzione dei Musei Romani (Villa Giulia) e della Sovrintendenza alle Antichità, poi Ministero nell'Italia unita. Leopardi avrebbe visto Pompei con occhi diversi e la Ginestra sarebbe forse diventata il Manifesto dei Beni Culturali d'Italia. (F. Barnabei, "Memorie inedite di un archeologo", in Nuova Antologia XI (Roma: 17 luglio-16 settembre 1933) Quanti danni, Garibaldi! si è tentati di dire, vedendo Napoli passare dai Borboni ai Birboni, una capitale europea, ridotta come Roma quando i Papi erano ad Avignone [...] Leopardi come Tarcon "il vecchio-fanciullo-etrusco". Ma il Leopardi virtuale non può andare contro la Storia, anche se l'illuminista Melchiorre Delfico (meglio: Del Fico) illuministicamente, nel 1806, pubblicò i Pensieri sulla Storia e sull'incertezza e inutilità della medesima, omaggio agli economisti A. Genovesi, F. Galiani "l'Abbé charmant" di Chieti, T. Odazi di Atri, devoti del papa banchiere S. Callisto. L'Apollineo ha l'armonia classica dell'eptacordo, il Dionisiaco conosce la diacronia romantica dei semitoni, il Marsico è la coniugazione barocca dei frattali. Il marsico Leopardi ha indugiato talvolta, con gusto del truce e dell'orrido, in pagine da considerare apocrifi letterari d'appendice, da Pino Zanni Ulisse 72_ tener fuori del catalogo canonico del poeta: "Per una donna inferma di malattia lunga e mortale", "Nella morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano di un chirurgo", riverberi ancestrali della civiltà etnisca, che come Antigone, considerava la tomba come un talamo, ο nella "atra mors" legava il condannato ad un cadavere, ο nel Phersu faceva combattere un uomo bendato, con un cane a lui legato. Giustamente osservava Croce: "Di cattivo gusto sono da giudicare le edizioni, chiamate per giunta 'nazionali', che ora si son prese a fare dei poeti Leopardi, Manzoni e Carducci, unendo alle loro poesie tutti i loro aborti giovanili e tutti gli abbozzi e prime stesure delle opere loro. S'intende l'interesse storico-biografico [...]. S'intende anche lo zelo di mettere qualsiasi carta scritta da un uomo grande in salvo con lo stamparla; ma perché non chiamare consimili pubblicazioni "Archivi" del tale ο tal altro poeta, e chiamarle invece "Opere"? Questo non è solo offesa alla memoria dei poeti, ma è offesa al sentimento poetico dei lettori". (La Poesia, op.cit., p.335) "Offesa alla memoria dei poeti" e offesa all'intelligenza dei lettori è voler fare di un poeta "scettico" in politica "un poeta impegnato" (Timpanaro, Luporini, Binni, Toni Negri, E. Severino). Anche Carducci parla di "socialismo leopardiano", come Michele Scherillo: Prima di spegnersi sulle falde del vulcano inestinto quel vulcano di poesia ha dato un novissimo e più mirabile guizzo. E par ch'ei s'erga di mezzo alla solenne solitudine che il fiore del deserto rallegra, e ci additi, col braccio teso, nell'orizzonte lontano, un'era di fraterna concordia di popoli, di nazioni, di razze; un'era, in cui i più fortunati accorrano soccorrevoli dove ci sia da compiere un'opera di pietà, in cui, di fronte alla perfidia della cieca natura, gli uomini insorgano con nobile gara di carità. "Diciamocelo in un orecchio", mormora il pregiudizio delle Carducci: "il Leopardi si accostava al socialismo". No, gridiamolo invece a voce alta, e non ci sgomenti il suono e il parole. Tutti benediciamo a questo socialismo che incita gli uomini a porgersi "valida e pronta aita negli alterni perigli e nelle angosce della guerra comune", che "tutti abbraccia con vero amor". Quel che noi respingiamo è il socialismo che, tradendo la sua missione, muta in grido di guerra la parola che dovrebb'essere di pace; e della peggiore e della più incivile delle guerre, la civile". (M. Scherillo, Conferenza, "La solidarietà nel colore", Milano: 1906). Come in poesia così in politica Leopardi fu "marsico", capì subito la vanità degli "opposti estremismi". La delusione, della Rivoluzione Francese e di Napoleone, lo rese scettico anche sul problema del Risorgimento italiano, ancora velleitario, nonostante la tradizione Al conte Carlo Pepoli 73 dantesca, del Petrarca, del Machiavelli, fino alla Carboneria e ai primi falliti moti mazziniani. Forse apprezzava del Mazzini il discorso sui "Diritti e Doveri" [...]. Anche Mazzini del resto ebbe poche "affinità elettive" con Marx. Leopardi virtuale "Altri studi men dolci [...] eleggerò. L'acerbo vero [...] a quale ultimo intento [...] spinga il fato e la natura." La nostra età, che conosce l'ombra lunga di fine secolo e di fine millennio (Titanio sublimato), non poteva dimenticare il secondo centenario della nascita (1798-1998) di Giacomo Leopardi. Al poeta di Recanati "il caso e la necessità" fecero il primo "trapianto di cuore", e se a Julius Verne toccò in sorte il cuore di Leonardo da Vinci, a Giacomo Leopardi fu assegnato il cuore megalitico di Michelangelo Buonarroti. Il Giano moderno ha il volto di Verne che guarda nel futuro, il volto di Leopardi, vivo nella rimenbranza [...]. (Il benevolo lettore ci perdonerà lo stile immaginifico, ma l'uomo del 2000 se vorrà fantasticare scientificamente, dovrà cercare su Internet il sito di Verne, se preferirà sognare romanticamente il sito di Leopardi: Giac.Leo.l798.Recanati.Piceno.Italy.E.Mail.http.www.net way.). La Rinascita (pitagorica ο Bultmanniana) è il postulato di ogni Rinascimento ο Risorgimento "vichiano" ο hegeliano. Le Ere geologiche della Storia si svolgono con la lentezza dei Papiri di Ercolano, mentre il DNA è la clessidra cosmica della evoluzione creatrice della specie ("creavit omnia simul" Sir. 18, 1, contro l'Evoluzionismo di Darwin). Convegni e saggi critici hanno esaurito la vena d'oro della miniera Leopardi, per cui oggi un saggio sul poeta-pensatore non può essere che "virtuale". Dopo un simile viaggio lunare, non resta che una semplice "carota" da osservare al microscopio, ben lontani dalle consonanze, armonie, luci ed ombre, che durante la vita dell'autore, permisero la formazione di quelle stalattiti interiori, frutto di infiniti rivoli di acqua pura e di depositi calcarei, resi possibili dal passaggio di temperatura da 4 a 5 gradi, nell'animo adolescente del fanciullo-dagli-occhi-tristi di Recanati. Quel "nocciolo duro" dell'infanzia fu il primo by-pass nel trapianto Pino Zanni Ulisse 74_ di cuore da Michelangelo nel "natio borgo selvaggio". Nel 1898 Palazzo Leopardi accolse Carducci vecchio e cadente, pontefice della Letteratura Italiana, per le celebrazioni del primo centenario. Quest'anno chi accoglierà? forse papa Woytila, anch'egli poeta. In fondo Monaldo era Conte Pontificio, "l'ultimo spadifero dell'Italia" (un po' chisciottesco) che, quando Napoleone attraversò a cavallo Recanati "non volle affacciarsi alla finestra, giudicando non doversi a quel tristo l'onore che un galantuomo si alzasse per vederlo". Sarebbe una bella rivincita per Pio VII Chiaromonti da Cesena, il papa che restaurò i Gesuiti e creò la Pinacoteca Vaticana, sulla tomba del quale, in San Pietro, Thorwaldsen pose la Fortezza e la Moderazione, per volere del galante Card. Consalvi, che aveva rimbeccato il Corso imperiale, quando si vantava di aver ridotto il Papa a cappellano di corte e di avere ormai distrutto la Chiesa: "non ci siamo riusciti noi con 2000 anni di errori!" Il Bicentenario leopardiano si inserisce tra altri centenari, vere pietre miliari nella formazione della civiltà italiana e dello spirito europeo, per esempio: l'ottavo centenario dell'incoronazione di papa Innocenzo III (1198) mentre nel 1298 Bonifacio VIII in odio ai Colonna fa radere al suolo Palestrina, come nel 1498 Savonarola muore sul rogo a Firenze, ecc. Ma la vita breve di Leopardi conosce poche date "memoriali" e poche fughe dal "country life" di Recanati. La fanciullezza e l'adolescenza (è difficile immaginare Leopardi fanciullo in quel Palazzo di conservatori papalini) passarono presto tra le "sudate carte" di uno "studio matto e disperatissimo". Conobbe Niebhur, Vico, Voltaire: l'Illuminismo settecentesco, con la triade Natura, Fantasia, Ragione riuscì ad accendere nel giovane il "desiderio di gloria" preromantico. Poche le date significative, che si desumono dalle Lettere, dallo Zibaldone: 1815 - "Conversione letteraria" (dall'erudito al bello) 1817 - "conversione filosofica" (amicizia P. Giordani) 1819 - scopre la nullità delle cose 1822 - a Roma lo colpisce solo la tomba del Tasso 1825 - Editore Stella a Milano 1827 - a Bologna (C. Pepoli) 1828 - a Firenze nel Circolo Viesseux con gli esuli napoletani Colletta e Poerio, col fiorentino Capponi. I Ministro Prussiano offre a Leopardi una cattedra a Berlino. 1829 ritorno a Recanati. Al poeta viene offerta la cattedra di Al conte Carlo Pepoli 75 Minerologia e Zoologia dall'Università di Parma, dall'illustre clinico G. Tommasini. 1831 - amicizia con A. Ranieri (Memorie con pettegolezzi) 1833 - a Napoli (Poerio, Troya, Puoti, Platen, Schulz, Blessing, Bunsen, De Sinner) 1837, 14 giugno: il Poeta muore tra Torre del Greco e Torre Annunziata. Dal 1938 le ossa di Leopardi riposano a Napoli presso la Tomba di Virgilio a Mergellina. Per lui Posillipo (Riposo) è "nomen et omen". Il Corpus leopardiano consta di: 25 Operette Morali (Dialoghi), Epistola al Conte Carlo Pepoli(1826), 41 liriche dei Canti, 111 Pensieri, 4526 carte di appunti dello Zibaldone, 981 Lettere. Leopardi poeta ο pensatore? Per De Sanctis: "la forza dinamica della poesia leopardiana è il canto dell'amore e della morte, l'intelletto nega, il cuore afferma la vita". Per Sapegno: "la Quiete, il Sabato, il Passero solitario, le Operette morali, e le più belle che Leopardi abbia mai inventato, con quel sapore casalingo e quel dolore segreto e verecondo...una tenerezza di fantasie e di sogni che risolve in musica il pensiero (Pastore errante)". Un filosofo del nulla è per nulla filosofo. Accontentiamoci del poeta. E. Severino dimentica il "pensiero debole", la cui metafisica (meglio: metastasi) è il nichilismo, parente del daltonismo, dell'impotenza, della sterilità. La poesia e sorella della vita, non del nulla. Ogni Lucrezio dovrebbe avere il proprio Cicerone. Leopardi teme l'equivoco: "Se del vero / ragionando [...] fieno / ο mal grati i miei detti ο non intesi [...]". Di Leopardi si è indagato su quasi tutto: anche nelle pieghe "saffiche" della sua amicizia con Ranieri. Ma pochi ricordano che il recanatese fu tonsurato e fino a 20 anni portò l'abito ecclesiastico, che le Operette morali furono poste all'Indice nel 1850, che l'Imitazione di Cristo era una lettura gustata da Leopardi, che infine 18 giorni prima di morire, nella lettera al vecchio padre Monaldo, Giacomo scriveva: "Prego loro tutti di raccomandarmi a Dio", insolito per un "ateo e materialista [...] socialista e precursore di Marx". (Timpanaro, Luporini, Binni, Toni Negri, E. Severino). Certo gli influssi gesuitici, all'epoca della soppressione della Compagnia di Ignazio di Loyola, davano un tono chic ad una nobiltà tutta parrucche e cipria, per dirla alla Parini, e Monaldo impose una serie di nomi al figlio: "Giacomo, Taldegardo, Francesco, Sales, Pino Zanni Ulisse 76 Saverio, Pietro". La madre Adelaide Antici era una specie di Donna Prassede manzoniana, che chiamava il figlio Buccio (da Giacomo, Jacopuccio) e non pensava certo a Buccio di Ranallo poeta aquilano durante le 40 ore di doglie del parto, che preannunciavano i 40 anni di vita penosa del Poeta, omologate ai 40 mila volumi della Biblioteca paterna, alle 49 ricette al cuoco, alle 4526 carte dello Zibaldone, fino alle 1000 lettere e ai 1000 baci al Ranieri. Ma né la Statistica, né l'Ermeneutica, né l'Estetica possono esaurire la ricchezza dell'élan vital di un artista: sarebbe una autopsia, non autobiografica ("autopsia ο visione diretta dei fatti, per la Storiografia cara a G. Schepens); "Egli compose nei Canti la sua ideale autobiografia". (F. Barberini) Giustamente osserva H. U. von Balthasar (Gloria, I, 523): Su un'opera non si è detto tutto, forse nemmeno la cosa principale, dicendo tutto ciò che si conosce della vita e delle intenzioni dell'agente. L'opera, proprio quando è riuscita, ha una forma oggettiva propria, un senso separabile dall'agente [...] questo vale anche delle opere più personali, come una poesia, una sinfonia la cui armonia intima è qualcosa di totalmente diverso da 'l'accordo' soggettivo, dal sapere e dalla capacità del suo autore. La sua forza divinatoria forse è consistita proprio nel fatto di aver saputo cogliere e concretizzare in una forma simbolica adeguata, grandi connessioni oggettive del mondo, che rimangono nascoste ai piccoli spiriti. Per cui qualunque "lettura" di poesia è "virtuale". Come diceva Socrate, il poeta stesso, rileggendo la sua opera, talvolta si sente "estraneo" alla ispirazione "originaria", che l'ha "posseduto", anche se si riconosce padre dell'ispirazione "originale". L'ultimo Leopardi non è il primo, né fisicamente, né come "accordo interiore". Pepoli era, è stato, sarà? No, Leopardi era, è stato, sarà. Il povero lettore del 2001, nell'Odissea della relatività dello spazio e del tempo, sente Leopardi come una nenia gregoriana in una cattedrale nel deserto: Dio non abita nel deserto? La storia delle fonti, l'ermeneutica delle forme, l'analisi critica della Estetica, forniscono solo la prospettiva dell'opera d'arte, non la sua definizione, che è la ricapitolazione della ispirazione, invenzione, "intuizione lirica" (B. Croce), incanto (in-canto). Nella Repubblica delle Lettere, Omero, Virgilio, Lucrezio, ecc. rappresentano l'Antico Testamento, Dante, Petrarca, Ariosto, Goethe, Shakespeare, Cervantes ecc. il Nuovo Testamento: i poeti come Profeti di Apollo e delle Muse. La Critica, come l'Ermeneutica, può stabilire il Canone delle Opere Al conte Carlo Pepoli 77 d'arte, distinguere i Letterati dai Poeti, i Sinottici dagli Apocrifi, non può intaccare né la fede, né il fatto (storico) della poesia. La nascita di un poeta è un avvenimento "olimpico" apollineo... (1/250 milioni di concorrenti spermatozoi, per cui tutti quelli che nascono: sono stati campioni olimpici una volta nella vita!), mentre la nascita di un critico è un avvenimento dionisiaco (l'ebbrezza è garanzia di verità: in vino Veritas.). L'uomo comune che partecipa della natura del poeta (fanciullo) e di quella del critico (senilità saggia), ha il privilegio di sentire, vibrare commuoversi, godere dell'opera dei due, nell'armonia della fruibilità anagogica del Benverbello. Leopardi "precursore del pensiero debole" (P. Cidaga) come Feuerbach, Schopenhauer, Nietzsche, infatti la "volontà di potenza" si addice agl'impotenti, chi è potente non ha "volontà di potenza", è potente e basta. La rivista tedesca Hesperus insinuava che la filosofia di Leopardi fosse influenzata dalle sue sofferenze fisiche, tanto che il Poeta fu costretto a difendersi nella lettera a L. De Sinner, come all'inizio del Dialogo di Tristano e di un amico. Anche un mio professore di Liceo a Napoli scherzava sulle enterocoliti croniche di Leopardi, come ispiratrici del pessimismo leopardiano, ed, illustrando le rane ed i topi della Bratracomiomachia, definiva il Poeta come "Aesopus vel Epittetus dimidiatus", ma le analogie con Virgilio e Lucrezio ce lo rendevano simpatico. La lunga teoria dei "vinti", focalizzata dal Verismo del Verga, include anche il conte Giacomo Leopardi. Non solo i miseri pescatori di Acitrezza, né solo i nobili decaduti ο i nuovi ricchi di Mastro Don Gesualdo: da Leopardi al Gattopardo la musica resta la stessa. Il valzer di Donnafugata, fino alla Banda da circo di Fellini 8½. Nato agli sgoccioli della Rivoluzione Francese, che dimostrò come la Libertà sia spesso "libertina", la Fraternità sia "ghigliottina" e l'Uguaglianza "napoleonica", Giacomo restò un anarchico, deluso dai "falsi profeti dell'astuzia cuilturale". (L. Ruggeri) Leopardi è del Settecento: come Mosé sul monte Nebo vide la Terra promessa così il Poeta intravide l'Ottocento e ne subì le suggestioni romantiche, ma liberandosi dagli schemi classici e romantici, attinse la dimensione marsica. Per Mario Sansone: "la mitografìa filosofica leopardiana [...] è materialista [...] l'assuefazione è il cavallo di battaglia della gnoseologia sensistica del Leopardi, come l'altro della conformabilità (le idee si conformano a fattori geografici e climatici, sulla scia del Montesquieu e della Staël) Pino Zanni Ulisse 78 [...]. Edonismo, egoismo, individualismo e concezione antisociale, sono i cardini della morale leopardiana. Al Rousseau ci riportano gli atteggiamenti critici verso il cosiddetto incivilimento, col congiunto mito dello stato di natura. Ma al Leopardi mancò del Settecento la fede nel progresso, il senso fiducioso della costruzione di una nuova umanità, la fede nelle scienze, la filantropia [...]". Dallo Zibaldone apprendiamo la sua "delusione storica" succeduta al fallimento della Rivoluzione e al regime napoleonico, come incominciò a diventare filosofo, leggendo le opere della Staël (Zib. I, 11, 22), come dalla conoscenza dei filosofi e dei libri in genere non avesse tratto nulla che già non avesse pensato e ordinato nella sua mente (Zib. I, 94), la distinzione tra vita ed esistenza: la vita è dunque l'esistenza sentita, posseduta e goduta ο patita dall'uomo. La Natura provvede agli esistenti non ai viventi. Esistenza è vivere come sviluppo di una mera carica vitale. Vita è una nozione dell'essere percepita attraverso la categoria del sentimento: "gli esistenti esistono perché si esista, l'individuo esistente nasce ed esiste perché si continui ad esistere e l'esistenza si conservi in lui e dopo di lui" (Zib. II, 998). La tautologia di queste definizioni testimonia il "pensiero debole" di Leopardi: potrebbero piacere a Bergson, farebbero sorridere Kierkegaard ο Heidegger ("il linguaggio è la casa dell'essere") [...] "La rosa è senza perché [...] fiorisce perché fiorisce, non fa attenzione a se stessa, non si domanda se la si guarda". (Heidegger, L'essenza del fondamento, 68). Esiste una grammatica, ο una sintassi, ο una estetica leopardiana? Leopardi pone la distinzione (come teorizzarono Schiller, Sismondi, Bouterweck, gli Schlegel, la Staël) fra poesia di immaginazione e poesia di sentimento. Vera poesia (Vico) è quella di immaginazione (Omero), la sentimentale è più una filosofia. Di qui la condanna dei tentativi moderni di imitazione (Monti, Alfieri, Parini): "la poesia sentimentale è unicamente ed esclusivamente propria di questo secolo". Una poesia nutrita di affetti e di idee (vero), come l'omerica lo era di fantasie e di miti (falso). Puntualizza Sapegno: "Per Leopardi la poesia fa tutt'uno con l'infinito e la rimembranza. Le idee vaghe, le sensazioni indeterminate, le immagini remote, oscure, incompiute, caratteristiche del fantasticare fanciullesco [...]. I caratteri precipui del linguaggio poetico sono l'ardimento, l'estrosità, il peregrino, il vago, l'indeterminato. Lirica pura è anche libertà metrica." Tanto che: "L'Epistola a C. Pepoli (1826) è una prefazione postuma delle Operette, è pura prosa, in cui della poesia Al conte Carlo Pepoli 79_ resta viva soltanto la spoglia metrica e verbale" [...] "l'atteggiamento con cui il poeta si contrappone al destino, non rassegnato ma polemico, Prometeico [...] è romantico e trova rispondenze negli spiriti fraterni di Goethe, Hölderlin, Byron, Shelley, Vigny". La sua visione del mondo (Weltanschauung), il suo spazio cosmico interiore (Weltinnenraum), il paesaggio prevalentemente lunare (che in fondo è "uno stato d'animo" per B. Croce), il suo funzionalismo ο morfologia ci aiutano a comprendere di più il poeta ο la sua poesia? È giusto parlare di Ermeneutica leopardiana? La critica dei generi letterari e del testo (scomponendo i colori del quadro al microscopio) non genera forse la morte della fede nella poesia? in una sorte di protestantesimo letterario, tale da ridurre la "Resurrezione" della Poesia ad un fatto mitologico ο misterico? In Leopardi si incarna la Lirica "epinicia": la sua "vittoria" fu sulla noia, se non su la Natura Madrematrigna. La noia è il più grigio dei sentimenti, specie quando i lati brutti della vita sembrano il solo Vero. Ma giustamente osserva von Balthasar (il Cardinale "perinde ac cadaver"): "Anche l'estetica mondana non può mettere da parte il momento della bruttezza, della rottura tragica, del demoniaco, ma deve venirne fuori. Ogni estetica infatti che tenta semplicemente di ignorare questa dimensione tenebrosa, può essere fin dall'inizio ignorata come estetismo" In fondo: "L'ispirazione di un grande artista è inafferrabile e si mantiene indissolubilmente nell'opera che ne è nata. Essa resiste a tutte le analisi, giacché queste potranno sì mostrare la proporzione e l'armonia delle parti, ma non saranno mai e poi mai in grado di operare la sintesi a partire dai vari elementi".(H. U. von Balthasar, Gloria, I, 429, 457). Né bisogna dimenticare che Socrate ed Erasmo avevano teorizzato "il brutto fuori e bello dentro". Ma Leopardi non è un filosofo. Sofia è saggezza, figlia di AtenaDiana, uscita dalla testa di Giove. A Lei era sacro l'ulivo tortuoso, nodoso e secolare, non il salice piangente ο la ginestra, mentre l'alloro era il simbolo di Apollo e delle Muse [...] "odioso" a Zanella. La filosofia è meridionale: Pitagora in Italia, Parmenide ad Elea (Paestum) (Leopardi scopre Parmenide: "non può una cosa essere a un tempo e non essere" e se avesse visitato a Paestum la Tomba del cosiddetto Tuffatore, avrebbe apprezzato Eraclito: "nessuno può tuffarsi due volte nella stessa acqua del fiume"), giù, giù fino a Tommaso d'Aquino, Campanella, Giordano Bruno, Vico, Croce e Gentile. La filosofia è sistematica, totalizzante, a 360°, mentre le riflessioni di Leopardi-pensatore sono comuni in qualsiasi liceale di Collegio Pino Zanni Ulisse 80 gesuitico. Egli è antiplatonico quando nega "ai filosofi capacità d'azione", ignorando l'episodio dei frantoi di Talete, la strage pitagorica di Crotone, Platone venduto schiavo a Siracusa, fino ai pitagorici dell'età moderna: i Gesuiti, che, come gli antichi Acusmatici e Matematici, hanno espresso Santi, Missionari e Scienziati, i cui nomi "sono scritti nel cielo", sui crateri della luna, non del tutto evangelicamente [...] (W. V. Bangert). Leopardi orecchiava Rousseau, come D'Annunzio ammiccava a Nietzsche. Forse ha letto Vico, ma non è mai giunto all'equilibrio ed alla saggezza delle Degnità. Forse ha letto Pascal, ma non ha focalizzato la distinzione tra l'esprit di geometrie e l'esprit de finesse, forse ha letto le gazzette ed i manifesti del Socialismo utopistico, ma non ha concluso con Marx, neppure nella Ginestra, che: "il mondo non va conosciuto, ma trasformato". Forse ha conosciuto Schopenhauer senza pervenire al Nirvana. Il giovin-signore pariniano di Recanati preferiva pigramente il colle Tabor alle asperità di monte S. Marco ο dei Monti Sibillini, e quando provò a scalare il Vesuvio (forse ricordando Plinio), si fermò alla prima Ginestra, che non cresce sulle vette. Non aveva certo "la piccozza" di Pascoli, ma neppure intuì il "concetto dialettico", il saledella-società per Hegel e Marx. Quando Marx proclamerà nel '48 "uno spettro si aggira per l'Europa", non pensava alla Ginestra di Leopardi, né alla "donzelletta che vien dalla campagna", né ad "il zappatore", né al "pastore errante dell'Asia", anzi l'antinomia tra classe operaia e classe contadina ο studentesca, sarà alla radice del fallimento dell'utopia comunista, come quella tra Libertà ed Uguaglianza lo fu per la Rivoluzione Francese, come la Riforma luterana e calvinista metterà il "povero Lazzaro" sulla Croce Rossa del "ricco Epulone". "La mezza filosofia" è una filosofia mezzana (come la cultura "impegnata") dell'utile e dei comodi della vita. Un Dialogo tra Leopardi e Shaftesbury farebbe ridere anche Pulcinella: il primo, devoto di S. Vitale (vitalismo di un "escluso dalla vita"), il secondo devoto di Santa Prudenziana (tolleranza ed ironia) senza fanatismi, in un clima di "disperata speranza" ed in una "aspettativa grande e buona", come Colombo e Gutierrez, ο come il Venditore di almanacchi, scrutando "i segni dei tempi", ο del Sabato "la speme e la gioia". C. Luporini dovrà danzare sugli specchi per dare del "progressivo" a Leopardi. Progressivo sinonimo, aristotelicamente e tomisticamente, Al conte Carlo Pepoli 81 di "potenziale", non di potente ο reale. "L'armi qua l'armi: io solo combatterò; procomberò sol io", gridava Giacomino-Buccio per l'Italia, come un parrucchino metastasiano, D'Annunzio fu il poeta-soldato di Vittorio Veneto, Buccari, del Carnaro e di Fiume. Come gli studi recenti di Storia hanno smitizzato il Risorgimento Italiano (episodio marginale della politica estera inglese) ed i suoi eroi (Garibaldi, Mazzini, Vittorio Emanuele II, Verdi), scoprendoli come piccoli Massoni italiani al servizio della Massoneria Inglese, così in Letteratura forse è tempo di focalizzare i vari Manzoni, Leopardi, Carducci, eccellenti letterati della provincia italica, privi del respiro europeo di un Verga, D'Annunzio, Pirandello, Silone. Basta vedere quanti stranieri frequentano a Recanati la Fondazione Leopardi e quanti il Vittoriale. Nonostante la buona volontà di certa critica dì sinistra di fare di Leopardi " un premarxista", nessuna via ο piazza gli è stata intestata a Mosca ο Pechino, dove i nomi di Giordano Bruno e di Matteo Ricci figurano senza prosopopea. "In generale si ritiene che Leopardi neghi il progresso e combatta l'idea di esso. Ora questo non è esatto [...] Ciò che Leopardi nega è altra cosa, cioè la perfettibilità [...] Concetto legato all'antistoricismo dell'età illuministica [...] Al concetto di "perfettibilità Leopardi sostituisce quello di "conformabilità" e "assuefazione" (C. Luporini, Leopardi progressivo (Firenze 1947), Roma 1980, p. 61). Leopardi anticipa un punto del Decalogo del Materialismo di Stalin: "passaggio dalla quantità alla qualità per concentrazione", nello sviluppo della Materia, punto già intuito da Democrito e dagli Atomisti antichi, fino a Lucrezio, discepolo di Epicuro. Leopardi se avesse approfondito Lucrezio (De Rerum natura, IV), forse napoletano "verginista" e "partenopeo", come Virgilio, non avrebbe perso tempo dietro Ranieri, e superando le antinomie riscontrabili tra lo Zibaldone e gli Idilli (Natura-Ragione, azionecontemplazione, patria-individuo, amore-morte) sarebbe diventato il profeta della moderna Ecologia, senza gli eccessi feticistici dei Verdi. Nella "Lettera ad un giovane del ventesimo secolo" l'appello di Leopardi "alla grande alleanza degli esseri intelligenti contro alla natura" (delle scimmie?) potrebbe far sorridere Darwin-Hitler, certamente non riderebbe Erasmo, né Verne, né Swift con i Lillipuziani. Gulliver, come Pinocchio, non fa parte della Cappella Sistina letteraria. Ma i giovani del ventesimo secolo hanno preferito Luciano di Samosata a Lucrezio e Leopardi: se la Natura è matrigna crudele, Pino Zanni Ulisse 82_ perché rispettarla? La Natura va combattuta, come? distruggendola! Nuova illusione: come Tancredi vittorioso, nello scoprire il volto del nemico, vide Clorinda e "restò senza e voce e moto/ ahi vista! ahi conoscenza!" "L'aristocratico Leopardi non fu un liberale, ma un puro democratico e rimase fedele ai principi della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata" (Luporini, op. cit., p. 88). Certo, il volgo (popolo) è da redimere e liberare dal bisogno, dall'ignoranza, dalla malattia, non da disprezzare, come Voltaire: "populace". Ma forse la Rivoluzione, da Marx a Mao a Marcuse, decapitando i "cavalli di razza" (nobiltà francese, Zar e Principi russi, mandarini cinesi) ha lasciato solo muli ed asini, che impiegheranno 700 anni per diventare di nuovo Principi? Per fortuna la Natura seleziona e conserva (jus primae noctis) ed i Principi moderni sopravvivono, nonostante le rivoluzioni. B. Croce osservava: "Il Sabato del villaggio e l'ode A Silvia come manifestazioni sintomatiche dell'idropisia e degli altri malanni che affliggevano Giacomo Leopardi: le quali interpretazioni, ο simili a queste, si leggono nella relativa e dotta 'letteratura' dei critici, che si denominavano 'positivisti'" (Croce, La Poesia, Bari: Laterza (1936) 1966, p. 68). Certamente se Donna Adelaide, invece di soffrire (e di far soffrire a Giacomino) le doglie del parto per 40 ore, avesse avuto un parto "pilotato ο cesareo", Leopardi non sarebbe rimasto fermo alla "speranza e desiderio di vita", ma la sua "vitalità" avrebbe conosciuto le sciarade sentimentali e sessuali di un Foscolo ο di un D'Annunzio, ο quelle intellettuali di un Carducci ο di un Pirandello. La poesia è per Leopardi "un respiro dell'anima" (si avverte la difficoltà respiratoria del nascituro che lotta per 40 ore). Quel respiro, non "strozzato" (Croce), né "troncato" (Luporini), ma spontaneo-naturale-ecologico, sarebbe stato, non un epinicio saffico sulla "noia", ma un pindarico e virgilianooraziano Inno al sole, Croce e Positivisti permettendo. De Sanctis nel dialogo "Schopenhauer e Leopardi" anticipa, per così dire, il Leopardi "progressivo": "se il destino gli avesse prolungato la vita infìno al '48, senti che te l'avresti trovato accanto, confortatore e combattitore". E la Grammatica-Sintassi-Estetica leopardiana? In verità, per dirla col Carducci, mentre Manzoni divenne un classico da imitare nell'Ottocento (il "lesso manzoniano", al posto del "lessico"), Leopardi restò solo, non ebbe figli neppure in letteratura. Quel vivere ai margini della società, come il seduttore di Kierkegaard, lo privò della soddisfazione degli imitatori e discepoli. "Il bello è difficile" sentenziava Platone (Ippia, 304) e imitare Al conte Carlo Pepoli 83 Leopardi è impossibile. I critici hanno esaminato tutte le possibili fonti dell'ispirazione leopardiana, da Petrarca, per il Passero solitario ("vago augelletto che cantando vai / over piangendo il tuo tempo passato / se come i tuoi gravosi affanni sai, / così sapessi il mio simile stato / col membrar de' dolci anni [...] (Canzone 353, fonte non solo "omeopatica" e "onomatopeica"), fino a Schopenhauer e Viale Ambrogio (17701805), che con la Passera Solitaria "non figurava nella libreria di Monaldo" .(G. Paparelli) Forse Leopardi non ebbe pedanti imitatori, ma come osserva giustamente Luporini: "nell'anima moderna vi è una nota inconfondibile che è il momento leopardiano", anche nei "canti" melodrammatici del compaesano B. Gigli. Scrive B. Croce: "I saggi ο monografie sui poeti raggiungono il loro fine, quando non sono soltanto raccolte di sparse osservazioni e commenti estetici alle singole poesie, ma riescono a dare la caratteristica del motivo ο stato d'animo fondamentale del poeta, correggendo e arricchendo di qualche tratto quelle che si possedevano sullo stesso soggetto". (Croce, La poesia, op.cit., p. 137). Qual è dunque l'opzione ο il sentimento fondamentale dell'estetica leopardiana? Qual è la sua concezione dell'uomo? Sono convinto che come Michelangelo superò il Dionisiaco e l'Apollineo nel Barocco, così Leopardi conciliò il Classico ed il Romantico nel Marsico. Conclusione virtuale "Di due nere pupille il caro sguardo / la più degna del ciel cosa mortale". Von Balthasar facendo la storia dell'amore metafisico, scrive che: "il pio eros metafisico [...] si arresta al cosmo (Goethe) ο sprofonda in se stesso in una falsa malinconia (petrarchismo, fino al Leopardi e ai preraffaelliti). Ma quando comunque l'amore non asseconda più l'atto metafìsico universale, questo si spezza agnosticamente e scetticamente in se stesso e si circoscrive a ciò che gli si affaccia all'interno del mondo: la dimensione della gloria si perde in quella della bellezza". (H. U. von Balthasar, "La luce dell'essere e l'amore", in Gloria, V, 567). Già Euripide aveva sentenziato: "Non è un amante chi non ama per l'eternità". (Troad. 1051) A Leopardi mancò il coraggio del "seduttore" di Kierkegaard. Tra Democrito (Atomi), Parmenide (Essere) ed Eraclito (Divenire), egli preferì "l'abstine et sustine" di Epitteto. Giocare di rimessa con la Natura, la vita e il Destino. Pigrizia aristocratica? Difficoltà ancestrale delle 40 ore di doglie alla nascita? Gusto per la "durata" delle Pino Zanni Ulisse 84 occasioni, ο della "rimembranza" nella "ricerca del tempo perduto"? La risposta è nell'Infinito: " il naufragar m'è dolce in questo mare", naturalisticamente alla Robinson Crusoe, ο se si preferisce la tradizione classico-dantesca: il mito di Ulisse (vagheggiato nel Dialogo "Colombo e Gutierrez"), ma senza Circe, Calipso, Nausicaa, ο Penelope. Leopardi contestò il progresso, inteso come perfettibilità. Ma dopo la Riforma calvinista, il progresso è il privilegio del profitto. Il privilegio è il profitto del progresso. Il profitto è il progresso del privilegio. In fondo: il progresso, il profitto, il privilegio sono la proiezione sociale del Vero, del Bello, del Buono nell'Utile. Ma l'Utile fu aggiunto dal liberale Croce ai trascendentali: il Bello, il Vero, il Bene, meritandosi la critica di Gentile: "la filosofia delle quattro parole!" In verità l'arte, la religione, la filosofia non hanno quotazioni in Borsa. La simonia non riguarda solo la religione, ma anche l'arte ο la morale ο l'amore, che non si vende né si compra. A Leopardi mancò l'amore. Il Benverbello è trascendente e trascendentale e la sua unità trinitaria è il capolavoro. Mentre surrogati e accessori sono l'utile, il piacevole, il verosimile, che ispirano la tecnica, le belle arti, la mistica, l'economia. La sintesi del Benverbello è l'amore, il punto di convergenza dei tre trascendentali e dei trascendenti. In Leopardi l'amore fu virtuale. La dimensione trinitaria del Benverbello è esistenziale sia oggettivamente (fuori spazio-tempo) che soggettivamente (memoriafantasia-inconscio). È essenziale nel suo essere (forma-Gestalt-materia) e nel suo divenire (Filologia Sitz-im-Leben-critica storica delle forme). E universale (dà gioia a tutti) per gli amanti del classico (Apollineo), del romantico (Dionisiaco), del Barocco (Marsico). Il Benverbello è il trascendentale di Dio. E Leopardi non fu "ateo", se nel titolo della Ginestra pose il testo giovanneo: "E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce" (III, 19), luce ricercata anche da Goethe. Il suo scetticismo fu adiaforico: Dio è intravisto nell'enjambement poetico dell'Infinito. Sul vestibolo, come Ch. Péguy, apofantico-apofatico? Leopardi, come i socialisti utopistici ο rivoluzionari, più che il progresso (perfettibile), avrebbe dovuto combattere il Privilegio, che è il trascendentale destabilizzante della società, l'unico "fantasma rivoluzionario" che da sempre "s'aggira per l'Europa" e per il mondo, vero "oppio dei popoli" e del potere. Ricordando che tre valori affrettano il Grande Ritorno: le lagrime del Padre, il grembo della donna, il buio oltre le stelle. Il "giovane del secolo XX" ha sperimentato il titanismo sociale, Al conte Carlo Pepoli 85 politico e scientifico. L'iceberg non ha affondato solo il Titanic ("neppure Dio ti può affondare"), né l'atomica solamente il Sol Levante, né l'Aids la Statua della Libertà, né il Muro dì Berlino il Terzo Reich, né il Gulac l'arcipelago dell'Uguaglianza. Il "giovane del XX secolo" ha capito che: "il dio degli eserciti piange come Priamo nella tenda di Achille", direbbe Madre Teresa di Calcutta. Nella Epistola al Pepoli, Leopardi, oltre i concetti di ozio, noia, poesia, vero, gloria, postula l'oggetto teleologico della vitalità: la felicità, ma essa, come i postulati di Kant (Dio, anima, cosmo), resta postulato della Ragion Pratica. L'universalità di Leopardi ha le radici nelle sue letture bibliche (Genesi, Giobbe, Sapienza). L'infinito, l'amore, il dolore, la morte, lo rendono "umano", ma la sua concezione della vita è principesca. Pur vantando "il primato sociale della condizione baronale" (G. Galasso), meta sognata, non sempre raggiunta da Cenerentole, Trimalcioni, Cagliostri, il Conte Leopardi, come Giuseppe l'Egizio, sogna la concezione principesca della vita, che cresce nella selezione ed elezione, nonostante l'invidia dei fratelli, ben sapendo che "i nani restano nani anche sulle spalle dei giganti". Leopardi resta un principe, nonostante la "solidarietà" con gli uomini, certo, non con "le scimmie". "Per percepire la forma (del Faust di Goethe ο del Colombo di Leopardi), occorre interiorizzarsi in esso - scrive von Balthasar entrare nel suo cerchio incantato e nella sua zona di irraggiamento, pervenire allo stato nel quale soltanto esso diventa evidente nel suo essere-in-sé" (Gloria I, 580). Alle soglie del 2000 il "giubileo leopardiano" ci ammonisce sulla sacralità della vita, da rispettare e promuovere, evitando gli eccessi del ricco Epulone e del povero Lazzaro (reiterazione evangelica del convito omerico di Ulisse e dei Proci), "Lazzaro scendi dalla Croce Rossa del ricco Epulone!" Quando Napoli-Partenope accolse Leopardi-defunto a Posillipo, accanto a Virgilio, sapeva di venerare i Dioscuri della poesia italica. Il poeta grato poteva ripetere, come Edipo a Colono: ti reco in dono il mio corpo l'aspetto suo bello non è ma il bene che arrecar può vale ogni forma bella (576-78). PINO ZANNI ULISSE Atri-Recanati, 29 giugno 1798/1998 Pino Zanni Ulisse 86 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Abbagnano, N. Storia della filosofia, Torino: UTET, 1966 , Voll. 3. Arnaldi, F. L"Eneide' e la poesia di Virgilio, Napoli: 1932. Bacchelli, R. Giacomo Leopardi. 'Canti' e 'Operette morali', Milano: Garzanti, 1946. Balthasar, von H. U., Gloria, Milano: Jaca Book, 1971, Voll. 7. Bangert, W. V. 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