Valutazione della lattatemia nel paziente in stato di shock by F

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Valutazione della lattatemia nel paziente in stato di shock by F
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International Congress of
the Italian Association of Companion
Animal Veterinarians
May 19 – 21 2006
Rimini, Italy
Next Congress :
62nd SCIVAC International Congress
&
25th Anniversary of the SCIVAC Foundation
May 29-31, 2009 - Rimini, Italy
Reprinted in IVIS with the permission of the Congress Organizers
53° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC
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Valutazione della lattatemia nel paziente
in stato di shock
Fabio Viganò
Med Vet, SCMPA, San Giorgio su Legnano (MI)
Lo shock è una insufficienza circolatoria e della perfusione tali da non soddisfare i fabbisogni circolatori, di ossigenazione ed energetici del paziente. Indipendentemente dal
tipo di shock (ad. es. ipovolemico, cardiogeno, distributivo)
ai fini terapeutici e prognostici, è fondamentale identificare
il più precocemente possibile, la tendenza del processo morboso e la sua gravità. Riconoscerne la gravità con dati oggettivi ed adottare la strategia terapeutica più adatta costituisce
la chiave del successo terapeutico. La valutazione del
paziente attraverso il solo esame clinico è soggettiva e perciò più sensibile ad errori, soprattutto per quanto concerne la
perfusione periferica ed il metabolismo cellulare. Per questi
motivi si è cercato di identificare dei metodi di indagine che
fossero particolarmente sensibili alle alterazioni indotte dallo shock e poco influenzabili dall’operatore. Un indice molto sensibile in tale senso è rappresentato dal calcolo della
DO2 (disponibilità di ossigeno) e della VO2 (estrazione dell’ossigeno). Per calcolare la DO2 è necessario misurare la
gittata cardiaca ed il contenuto totale di ossigeno, per la VO2
è necessario misurare la gittata cardiaca e la differenza tra la
saturazione dell’ossigeno arterioso e venoso. La raccolta di
questi dati può essere effettuata grazie all’ausilio di un catetere a termodiluizione o di un catetere Schwan-Ganz posizionato in un’arteria polmonare. Purtroppo entrambe prevedono una metodica invasiva ed in particolare il posizionamento del secondo tipo di catetere prevede il passaggio dello stesso attraverso la vena giugulare, due camere cardiache
(atrio e ventricolo destro) e l’arteria polmonare fino ad una
sua diramazione, oltre all’utilizzo di una tecnologia di non
semplice utilizzo. Tali monitoraggi invasivi e non privi di
rischi, non possono essere applicati a tutti i pazienti; generalmente sono utilizzati a scopo di ricerca per valutare le
capacità del paziente di ossigenarsi e per monitorare alcuni
parametri emodinamici, pressori dell’ossigeno e della anidride carbonica. Per i motivi sopra citati la misurazione della lattatemia ha riscontrato l’interesse di molti reparti di
pronto soccorso e terapia intensiva veterinari ed umani.
Lo ione lattato prodotto in notevoli quantità durante l’acidosi lattica può derivare da una glicolisi anaerobica (acidosi lattica tipo A) o da una alterazione biochimica della glicolisi (acidosi lattica tipo B). L’acidosi di tipo A e B sono causate da una
fisiopatologia paragonabile, infatti in entrambe i casi l’incremento del lattato ematico deriva da una riduzione del potenziale red/ox (causato da un deficit del metabolismo aerobico).
Le cause di un’acidosi lattica di tipo A sono:
- shock, necrosi parete gastrica, ischemia di altri visceri,
tromboembolismo aortico, grave ipossiemia, grave anemia
(Hct < 15), attività muscolare eccessiva, epilessia, tremori.
Le cause di un’acidosi lattica di tipo B sono:
B1- sindromi - diabete mellito, grave malattia epatica, tumori maligni (es. linfoma), sepsi, feocromocitoma, deficit
di tiamina
B2- intossicazioni - da paracetamolo, cianuri, adrenalina,
etanolo, glicole etilenico, insulina, metanolo, morfina,
nitroprussiato, glicole propilenico, salicilati, terbutalina
B3- miopatia mitocondriale (congenita), alcalosi/iperventilazione ed ipocalcemia.
In entrambe i tipi di acidosi lattica, la capacità mitocondriale di produrre energia è notevolmente ridotta con conseguente riduzione nella produzione di ATP e di NADH (nicotinamide adenosina dinucleotide in forma ridotta) a favore
dell’NAD (NADH in forma ossidata). Quantità sufficienti di
NADH sono prodotte solo in condizioni di aerobiosi.
L’NADH è necessario per convertire il piruvato in lattato
secondo la seguente formula:
Piruvato + NADH ⇔ lattato + NAD + H+
La direzione della formula dipende dalla quantità di
NADH disponibile, maggiore è la quantità di NADH disponibile maggiore sarà la produzione di piruvato che entra nel
ciclo di Krebs producendo energia. Il lattato prodotto dal
metabolismo anaerobico non può essere riossidato a piruvato, di conseguenza si ha un incremento della concentrazione
di lattato rispetto al piruvato. Maggiore è la quantità di lattato prodotto, maggiore sarà la quantità di idrogenioni (H+)
presenti, che causano un’acidosi lattica. Le capacità dell’organismo di tamponare l’acidosi lattica dipendono dalla
quantità di basi disponibili. In condizioni normali (aerobiosi), il lattato prodotto è convertito in piruvato, ossidato ed
utilizzato nella gluconeogenesi nel fegato e nei reni consumando (diminuendo) gli H+ e producendo anidride carbonica tamponata od eliminata con la ventilazione.
Durante la glicolisi aerobica da una mole di glucosio vengono prodotte 36 moli di ATP, viceversa la glicolisi anaerobica produce soltanto 2 moli di ATP. In condizioni di anaerobiosi, si ha perciò una riduzione della produzione di ATP,
la quale stimola a sua volta la glicolisi anaerobica incrementando la produzione di lattato.
I tessuti che producono e rilasciano lattato sono: i muscoli, l’intestino, la midollare renale, il cervello, la cute ed i
globuli rossi (in questo ultimo caso per l’assenza dei mitocondri). Mentre i tessuti in grado di metabolizzare il lattato
sono: il fegato (in grado di consumare lattato formando
piruvato e sfruttandolo per la gluconeogenesi), la corticale
renale (in grado di consumare quantità significative di lattato) ed il tessuto muscolare (converte il lattato in glicogeno
solo in alcune particolari condizioni, vedi muscoli allenati).
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Valori di lattatemia compresi tra 0,5-2,5 mmol/L sono considerati normali, valori compresi tra 3-5 mmol/L sono considerati lievemente aumentati, valori compresi tra 5-7
mmol/L indicano una ipoperfusione moderata, mentre valori superiori a 8 mmol/L sono considerati indice di grave ipoperfusione. La difficoltà o l’impossibilità di correggere
valori elevati nel corso della terapia (almeno fluidoterapia
ed ossigenoterapia) sono indice di gravità del processo
morboso e di una prognosi sfavorevole.
Il lattato prodotto da visceri come lo stomaco e l’intestino
è riversato nel torrente circolatorio. Per questo motivo si
sono correlati gli incrementi della lattatemia con la gravità
delle lesioni a carico di tali organi. Un caratteristico esempio
del suo impiego è fornito dalla valutazione del lattato in corso di dilatazione torsione dello stomaco (GDV). Durante la
GDV, si è visto che valori inferiori a 6 mmol/L avevano una
prognosi migliore se confrontati con pazienti che avevano
valori maggiori di 6 mmol/L. Il 75% dei pazienti che aveva
valori elevati di lattatemia erano affetti da necrosi della parete gastrica. La lattatemia, in medicina veterinaria, è stata utilizzata come fattore prognostico e per stimare il grado di
alterazione del metabolismo anche in altre situazioni come
ad esempio: il tromboembolismo aortico felino, nei pazienti
ricoverati in terapia intensiva e nei cavalli con sindromi
gastrointestinali acute.
I campionamenti per la determinazione della lattatemia
possono essere sia arteriosi che venosi. Nei campionamenti venosi periferici (cefalica dell’avambraccio) i valori della lattatemia possono essere maggiori rispetto a quelli ottenuti prelevando il sangue dall’arteria femorale o dalla vena giugulare.
Da quanto sopra evidenziato si desume che nello shock
scompensato e terminale spesso si assiste ad una acidosi lattica causata da una insufficiente perfusione ed ossigenazio-
ne e che la sua gravità (quantificata come incrementi della
lattatemia) è indice di prognosi sfavorevole. La causa è da
ascriversi ad una insufficiente ossigenazione che inibisce il
metabolismo ossidativo mitocondriale con riduzione del
potenziale red/ox (conseguente diminuzione dell’NADH)
ed una minor quantità di energia disponibile sotto forma di
ATP. La compromissione della funzionalità epatica e renale, che possono essere presente in questi stadi dello shock,
riduce la capacità di tali organi di convertire il lattato in
piruvato aggravandone la già aumentata produzione. La
somministrazione di adrenalina e noradrenalina possono
incrementare l’acidosi lattica a causa di una stimolazione
della glicolisi ed alla eccessiva vasocostrizione che può
aggravare la già compromessa perfusione. In corso di sepsi
e shock settico oltre ad una insufficiente perfusione da
eccessiva vasodilatazione (ipovolemia) si verifica anche un
aumento di richiesta energetica da parte dell’organismo che
può aggravare l’acidosi lattica per incremento della glicolisi anaerobica. Nel cane e nel gatto, quando la terapia (almeno fluidoterapia ed ossigenoterapia) è efficace nel correggere lo shock si assiste ad una riduzione della lattatemia osservabile già dopo un’ora ma meglio riscontrabile entro le
quattro ore. La determinazione della lattatemia in pazienti
in stato shock è quindi utile nell’identificare tale sindrome,
ma soprattutto nel quantificare il deficit di perfusione e di
ossigenazione, inoltre può costituire un parametro guida per
quantificare l’efficacia della terapia adottata.
Indirizzo per la corrispondenza:
Fabio Viganò
Clinica Veterinaria San Giorgio
Via Roma, 54 20010 San Giorgio su Legnano (MI)
This manuscript is reproduced in the IVIS website with the permission of the Congress Organizing Committee