Migranti in Africa: Il campo di Daadab

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Migranti in Africa: Il campo di Daadab
Migranti in Africa:
Il campo di Daadab
Kenia_2016
Progetto sostenuto da KARTENIA
Fondazione AVSI – www.avsi.org
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Kenya _ 2016
Progetto sostenuto da KARTENIA
I profughi in Kenya: contesto e sfide attuali
613.844 sono le persone in Kenya con status di profugo o in attesa di ottenerlo (UNHCR, dicembre 2015).
445.000 provengono dalla Somalia, in maggioranza arrivati nel 1992 a causa della guerra tra clan e lo
sgretolamento del governo centrale a seguito dell’estromissione del presidente somalo Mohamed Siad
Barre nel 1991. Molte decine di migliaia sono scappati negli anni successivi sia per il protrarsi del conflitto
interno sia a causa di ripetuti periodi di siccità frequenti nel centro – sud della Somalia; e, ancora, diverse
migliaia sono nati qui in Kenya da genitori profughi.
Ci sono anche 125.000 persone che provengono dal Sud Sudan, scappate da conflitti e da avversità
climatiche in questi ultimi decenni. Infine, altri 40.000 sono scappati dal Burundi, l’Etiopia, l’Eritrea, la
Repubblica Democratica del Congo, il Rwanda, la Tanzania, l’Uganda. Hanno tutti percorso almeno 200 km,
a piedi, con sofferenze enormi lungo la strada, anche attaccati da animali feroci, molti non ce l’hanno fatta e
sono morti sulla strada.
Arrivano in Kenya, uno dei paesi più politicamente stabili ed economicamente in crescita dell’Africa,
sperando di trovare assistenza e un futuro migliore. Circa 60.000 profughi vivono nei quartieri informali di
Nairobi, come Eastleigh (conosciuta come la “piccola Mogadiscio”) mentre quasi tutti gli altri si trovano in
due grandi campi, Kakuma, nella Stato Turkana nel nord del Kenya, quasi al confine con il Sud Sudan,
aperto nel 1994, con 200.000 profughi, e a Dadaab, nello Stato di Garissa, al confine con la Somalia, aperto
nel 1992, attualmente conta 350.000 persone. Quindi ormai per i primi profughi Kenya è casa loro. Infatti, nei
campi, assieme alle tende e a baracche di lamiera, ci sono anche casette molto semplici, spesso
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costruite con legno e terra, ma hanno tutta l’impressione di essere case definitive. Nel campo si è
sviluppata anche un’economia locale; la gente si dedica all’allevamento, alla produzione di ortaggi, al
piccolo commercio anche con frequenti scambi di beni lungo il confine con la Somalia; queste attività
assieme anche alle rimesse dei parenti che hanno raggiunto località sicure in Europa e Nord America,
integrano gli aiuti alimentari donati dal World Food Programme.
Il 6 maggio 2016 qualcosa è cambiato. Il Ministero degli Interni del Kenya ha dichiarato di non essere più in
grado di gestire i profughi, di voler quindi chiuderei campi, in particolare Dadaab, entro l’anno e i profughi
dovranno rientrare nei loro Paesi d’origine. Il principale motivo dichiarato è dato dai costi, soprattutto in
termini di vite umane e di sicurezza. La causa è Al-Shabaab, il gruppo terroristico affiliato ad Al Qaeda che
periodicamente assalta militari e civili. Dal campo di Dadaab, secondo il governo keniota, è partito il
commando che il 2 aprile 2015, ha ammazzato 147 giovani dell’Università di Garissa, distante appena 100
chilometri. A Dadaab i miliziani trovano terreno fertile per il reclutamento di nuove leve. Questo attentato è
successivo a quello del settembre 2013al centro commerciale di Westgatedi Nairobi dove sono state
ammazzate 68 persone e quello di giugno 2014 a un hotel e un ufficio della polizia a Mpeketonicostato la vita
a 48 morti. Questi attacchi hanno avuto rilevanza sui mass media occidentali, ma in realtà sono più
frequenti gli attacchi sia in Kenya che in Somalia (dove i militari kenioti sono impegnati nella pacificazione
della Somalia nel contingenti multilaterale promosso dall’Unione Africana).
Il terrorismo in Kenya non è un fatto recente, già negli anni novanta ci sono stati attentati, come quello
contro l’Ambasciata USA che nell’agosto 1998 ha tolto la vita a 224 persone. E ormai gli affiliati ad Al
Shabaab non sono più solo somali, ma kenioti e non solo della tribù somala, ma anche della tribù kikuyo,
maggioritaria e sostenitrice dell’attuale governo. Nelle zone più marginali, dove più alta è la frustrazione
per la mancanza di lavoro e di una prospettiva per il futuro, come nel campo profughi di Dadaab, i
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miliziani di Al Shabaab rischiano di trasformarsi nell’unico modello di vita per molti giovani, spesso bambini;
questa attività di reclutamento inizia a vedersi anche negli slums di Nairobi. In realtà in cui solo un ragazzo
su due frequenta la scuola, l’estremismo diventa un ideale a cui afferrarsi, capace di offrire a chi ha
conosciuto solo miseria e umiliazione qualcosa in cui credere.
L’esperienza di AVSI nel campo profughi di Dadaab
Già nel 2013 il Governo del Kenya aveva dichiarato la volontà di trovare una soluzione sostenibile e certa al
problema dei rifugiati. Ne è seguito il Tripartite Agreement, un accordo tra Governo del Kenya, Governo
della Somalia e UNHCR (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) per favorire il rimpatrio
volontario. Il programma prevede sussidi e supporto logistico al rientro in 9 zone della Somalia. Nel corso
del 2015 circa 5.000 persone sono rientrate in Somalia e all’inizio del 2016 si contavano già 14.000 persone.
Èancora presto per tirare le somme di questo programma, certo che AVSI fin dal 2009 promuove interventi
a Dadaab volti a facilitare l’empowerment delle persone, in modo che acquisiscano capacità da poter
spendere sia in Kenya che al rientro nei paesi d’origine. In particolare AVSI si occupa di educazione: ha
ristrutturato e costruito 327 nuove classi di scuola primaria, ha costruito 25 strutture educative (biblioteche,
centri di formazione) edha formato 1.250 insegnanti.
Tra gli insegnanti si sono formate anche 200 donne: si tratta di un fatto eccezionale, infatti nel 2011 non
c’erano insegnanti donne, e quindi all’inizio i mariti seguivano le moglie nei primi corsi, curiosi e un po’
diffidenti rispetto a questa iniziativa. Attualmente AVSI sta formando 600 insegnanti della scuola
primaria attraverso corsi in lingua somala riconosciuti sia dal Ministero dell’Educazione del Kenya che
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della Somalia, per dare competenze per intercettare i profughi che intendono rientrare in Somalia. Non
verrà suggerito o promosso il rientro in Somalia, ma semplicemente si intendono fornire capacità che
possono essere utilizzate nel paese di provenienza e quindi starà ad ogni rifugiato valutare se aderire o
meno al programma di UNHCR per il rientro volontario.
Inoltre AVSI promuove progetti educativi come strumento imprescindibile di lotta al radicalismo. AVSI crede
nella cura dell’educazione integrale della persona come via attraverso la quale è possibile proporre un
modo di guardare alla realtà come a qualcosa di positivo, e promuovere quel desiderio di crescita, giustizia,
amore e verità che sono insiti in ogni persona. È da questo tipo di scuola che si può e deve ripartire se si
vuole ricostruire un modello di convivenza pacifica.
Inoltre, negli ultimi anni AVSI ha creato gruppi di scout a Dadaab, che è un’altra modalità per promuovere a
bambini e adolescenti valori di amicizia e fratellanza, oltre che un uso positivo del tempo libero, soprattutto
nei periodi di vacanza, quando il reclutamento di Al-Shabaab è più intenso. Un effetto positivo inatteso, è
stato che proprio questi ragazzi e ragazze scout hanno spinto loro coetanei, che avevano abbandonato gli
studi, a tornare a iscriversi e frequentare di nuovo la scuola, potendo pertanto proseguire il processo
educativo.
Khadija e Abdullahh sono due gemelli, di 14 anni, nati in Somalia, mentre Abdullahi di 14 anni e Lydia di 13,
sono due fratelli, nati in Etiopia. Le loro famiglie sono scappate diversi anni fa dai loro paesi e si trovano
adesso assieme nel campo di Dadaab. Questi 4 ragazzi assieme ad altri 82 di 40 scuole del campo di
Dadaab hanno passato per la prima volta 4 giorni fuori dal campo, si sono incontrati in un accampamento
scout. Qui hanno cantato e ballato, giocato e pregato assieme, hanno cucinato e hanno installato le
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tende. Abdullah ha detto al responsabile di AVSI Kenya (Andrea Bianchessi, che li ha conosciuti alcuni mesi
fa) “saremmo dovuti andare a Nairobi per partecipare ad un ritrovo nazionale scout, ma non è stato
possibile perché siamo rifugiati; però ho le mostrine degli scout del Kenya, allora perché non ci fanno
andare?”. Andrea aveva ben presente la situazione, le autorità hanno ristretto la possibilità di movimenti
fuori del campo e ritirato il permesso inizialmente concesso per un innalzamento del livello di sicurezza, ma
questa domanda lo ha colpito e commosso. Perché ragazzini dai 10 ai 14 anni sono considerati pericolosi
per la società?
A Dadaab le persone sono molto preoccupate per la dichiarazione del governo di voler chiudere il campo,
chiedono una valutazione, cercano la rassicurazione che non succederà niente e che potranno rimanere.
Le condizioni di sicurezza in Somalia sono ancora critiche, nonostante un embrionale governo e crescenti
investimenti nella ricostruzione, e i servizi forniti sono più bassi di quelli che i rifugiati possono trovare a
Dadaab.
Eppure la nostalgia resta forte. Come quella che anima Mohamed, di 15 anni, arrivato a Dadaab solo pochi
anni fa, che canta un pezzo scritto da lui dal titolo “What a lovelyPlace”.
Si riferisce alla sua patria, la Somalia,e il ritornello è un appello: “peace, peace, peace”!
È
rima
sto
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