In Kenya si diventa donne dopo botte, insulti e torture
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In Kenya si diventa donne dopo botte, insulti e torture
INCONTRI 7 24 agosto Il ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, a destra, con il portavoce del Meeting Robi Ronza La cooperazione italiana è in prima linea negli aiuti al continente nero: acqua, energia, lotta alla desertificazione. Piatti (Avsi): la grande emergenza è educativa Il grido dell’Africa “Guerre causate da povertà e accaparramento” E’ il paese dei safari, delle grandi foreste pluviali, dei ritmi tribali. L’Africa. Eppure, tra la savana e il mare, nelle foreste, lungo le strade solitarie, il sorriso d’avorio della sua gente è reso buio, smorzato dalla fame, dalla sete, da guerre assassine; i bambini si trastullano con fucili e bombe a mano, non conoscono l’odore dell’inchiostro o della carta dei libri appena stampati ma le sofferenze delle epidemie, l’ebola, la malaria, l’Aids. Le ragazze imparano presto come si porta sulle spalle il peso di un bambino non voluto, frutto del sopruso, della violenza. Bisogna allora che qualcuno si chini sulle ferite di questo continente, per dargli una nuova opportunità. E’ accaduto. Ieri, al Meeting. Le questioni pungenti dell’Africa, dei suoi Paesi, sono state affrontate in due tranche. La prima realizzata in collaborazione con il ministero dell’Ambiente; nomi importanti: il ministro Altero Matteoli e Alberto Michelini, rappresentante personale del presidente del Consiglio per l’Africa; Cherif Rahmani, ministro algerino della Gestione del territorio e Pathe Baldè, del Senegal. Al centro l’azione nei confronLe immagini scorrono lente, nel video, alle spalle del tavolo. “Sono suor Maria de Los Angeles. Lavoro in Kenya dal 1985”. La voce è tranquilla, quasi commossa. “Vi ringrazio per avermi invitata a condividere con voi la mia esperienza”. Mentre Suor Angela parla, i volti delle sue ragazze, nel filmato, appaiono chiaramente: turbanti colorati, lunghe vesti fiorate, sono della tribù dei Kipsiguis, nella loro lingua vuol dire “essere rinato”, vivono vicino alla Rift Valley, un posto meraviglioso. Le sembrava di buon auspicio, quando era arrivata, vent’anni fa, il nome della tribù dei suoi parrocchiani. “Essere rinati”, aveva un non so che di cattolico, qualcosa che ha a che fare con il Battesimo. Ben presto scoprì l’equivoco, “essere rinati, sì, nella propria tribù, attraverso il rito della circoncisione, praticato sulle donne tramite l’amputazione dei genitali”. E si trovò a litigare, a combattere con tutte le sue forze contro il nome stesso dei suoi, contro quel rito barbaro. “Le ragazze ignorano cosa le aspetti, nessuno, neanche i familiari, può dire loro cosa dovranno affrontare. Tutti parlano di prova, una prova dalla quale devono uscire vittoriose”. La missionaria messicana continua, è necessario che tutti sappiano quello che accade. A mezzanotte del giorno stabilito dal più anziano della tribù inizia il rito, con un coltello vecchio o un pezzo di lamina, sempre lo stesso, per tutte, Aids o non Aids; “le ragazze non devono piange- ti del continente in materia di sviluppo economico duraturo e di valorizzazione delle risorse umane e ambientali. “Oggi l’Africa ha una nuova opportunità”, esordisce Matteoli, e segue un elenco di iniziative, di punti cardine dell’azione italiana: gestione di acqua potabile in zone rurali, dove manca, e ancora energia, lotta contro la desertificazione, restauro e attenzione al patrimonio artistico. Ma l’immagine realistica che delinea il ministro algerino mette in luce una seconda questione: “Povertà e accaparramento delle risorse sono le cause dell’imperversare dei conflitti territoriali ed etnici”, dunque il problema dell’ambiente è salvaguardia e sicurezza dell’uomo. Nel pomeriggio un secondo incontro ha risvegliato il dibattito sulla solidarietà e la cooperazione nelle crisi umanitarie, ponendo l’attenzione sulla possibilità di un futuro dignitoso per l’infanzia africana. Al tavolo Giuseppe Deodato, direttore generale della Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Esteri; Suor Angela, missionaria in Kenya; Alfredo Mantica, sottosegretario agli Esteri e Ago- stino Miozzo del dipartimento nazionale della Protezione civile. Il dibattito si accende nella descrizione incisiva di Deodato degli interventi e dei programmi di emergenza attivati in Africa ed in tutto il mondo dal ministero attraverso il progetto “Cooperazione Italiano allo sviluppo”: in Nigeria come in tanti stati africani, in Srilanka, dopo lo Tsunami. Tutto nel tentativo di aiutare i bambini a “rinascere, ad assaporare il gusto per la bellezza della vita”. Mantica descrive la situazione dei ragazzi soldato, dei mutilati in Sierra Leone, “c’è bisogno di creare scandalo”, dice, “di denunciare queste cose, di dirle”. Eppure l’affondo più significativo è quello di Piatti, segretario generale di Avsi. Ricorda l’incontro con un ragazzo ruandese, scampato al genocidio del 1994, diplomato geometra grazie all’adozione a distanza di una famiglia italiana. “Il conflitto e lo sviluppo si compongono nella persona”, dice Piatti, “la grande emergenza è educativa, di dignità, di valore, senso di appartenenza. E’ un problema educativo. Perché un uomo educato si rapporta con tutto in modo diverso”. E.D.C. In Kenya si diventa donne dopo botte, insulti e torture Suor Angela salva le ragazze Kipsiguis dall’infibulazione rituale La missionaria messicana che lavora tra le donne di etnia Kipsiguis della Rift Valley. Suor Angela è in Kenya dal 1985 re e nemmeno chiudere gli occhi, devono mostrare di non sentire dolore, ciò significherebbe che non sono pronte per diventare donne”. Ma non è finita, la strada per fare di una bambina una donna rispettabile e da marito è ancora lunga. Le ragazze rimangono un mese recluse, tutte insieme, con una maschera di pelle di capra sul viso, finchè non guarisce la ferita: non pos- sono lavarsi, non possono farsi vedere o essere riconosciute dagli altri. Il tempo della reclusione è necessario perché imparino che essere donne significa servire l’uomo, rispettarlo e non parlare di fronte a lui. Per aiutarle si usa la forza: parole pesanti, umiliazioni, percosse. In cambio una vacca, una coperta e regali come dote. Nessuno può raccontare quello che accade, pena la morte o una punizione divina. Terminata la prigionia vanno al fiume, si lavano, si tolgono la maschera, adesso sono pronte, non hanno più bisogno che qualcuno dica loro cosa fare, dove andare. Sono donne, saranno spose e madri ma i loro uomini non sapranno mai cosa si prova quando si guarda negli occhi una donna, perché non si può alzare lo sguardo davanti Avsi, per il mondo Africa, America Latina, Europa dell’est, Medioriente, Sud est asiatico. Sono luoghi lontani, così come è lontana e spesso estranea per le persone comuni l’esperienza di chi proprio in quei luoghi porta il proprio aiuto. E’ anche per abbattere questa estraneità che AVSI ha deciso di essere presente al Meeting, con uno stand in cui è possibile conoscere i suoi progetti entrando in contatto con le persone che vi lprendono parte. Nel padiglione C1 è inoltre possibile visitare la mostra fotografica “AVSI sono io”, che illustra i vari settori di intervento dell’ong nel mondo, il suo metodo di lavoro e i suoi programmi. Nata in Italia nel 1972, AVSI è presente oggi in 35 paesi del mondo e conta oltre cento cooperanti impegnati in altrettanti progetti di aiuto allo sviluppo. AVSI opera nei settori della sanità, igiene, cura dell’infanzia in condizioni di disagio, educazione, formazione professionale, recupero delle aree marginali urbane, agricoltura, ambiente, microimprenditorialità, sicurezza alimentare, nuove tecnologie ed emergenza umanitaria. ad un uomo; i loro bambini non proveranno mai la sicurezza che si sperimenta in un abbraccio, perché non sanno abbracciare, nessuno gliel’ha insegnato. “Quando ho scoperto tutto questo” continua suor Angela, “ho pensato subito che dovevo fare qualcosa ma non potevo da sola affrontare tradizioni secolari, doveva accadere qualcosa perché capissero che potevano vivere un’esperienza più bella e più vera. Alle ragazze ho chiesto come volevano che io le aiutassi. Non volevano essere circoncise, tuttavia volevano essere rispettate come lo sono qui le donne circoncise: occorreva un rito. Ho spiegato alle mamme che dovevano dare alle loro figlie la possibilità di scegliere e che nella comunità cristiana il cammino alla maturità di fede, quello che rende adulto è la scelta di ricevere il sacramento della Cresima”. Il 16 dicembre del 1995 il primo gruppo di 25 ragazze entra in ritiro per due settimane e si prepara alla Cresima, sono le prime ad essere accettate come mature nella Chiesa. La voce si sparge. Da allora, ogni anno, a gennaio, il rito si ripete. La suora finisce il racconto, nel filmato, alle sue spalle, venti ragazze in abito rosa e velo bianco aspettano che il vescovo imponga loro le mani. La chiesa è gremita di gente, ondeggiano nella consueta danza che precede il rito. Ma questa volta è diverso: niente è tolto ma tutto è dato e in abbondanza. Elena De Carlini