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Pagina 1 “VOCI E VALORI DEL MIO TEMPO” Tutte le opere in vernacolo e in lingua di Salvatore Filocamo contributo di Vito Pirruccio Mi sono accostato alla poesia di Salvatore Filocamo più di 20 anni fa. Lavoravo allora con il preside Carmelo Filocamo e un giorno, alla presenza di un altro poeta di origine sidernese, don Salvatore Albanese, parroco di Marina di Gioiosa Jonica, il figlio del poeta mi consegnò copia di Ricchi e Povari. Desiderava che leggessi l’opera del padre e mi fece copia, pure, di alcune recensioni critiche di Saverio Strati e Giuseppe Falcone, uomini di cultura con i quali condivideva comuni interessi letterari e non solo. Verso il padre-poeta il preside nutriva, oltre che amore filiale, stima culturale e, dai racconti di vita familiare, si capiva che il diletto MELO (bella la poesia, che troviamo nella raccolta“VOCI E VALORI DEL MIO TEMPO”, dedicata al figlio in occasione del ventesimo compleanno!) aveva sostenuto il poeta nell’arte della rima e del racconto con consigli e con quell’acume critico di cui era ampiamente dotato. L’invito di leggere Ricchi e Povari non nasceva per caso. C’era in quella stanza della presidenza dell’Istituto Tecnico per il Turismo di Marina di Gioiosa Jonica invasa dal fumo delle sigarette un richiamo continuo a quei Catoja e Vinelli (titolo preso in prestito dalla bella poesia di Salvatore Albanese racchiusa nel volume “Dai Monti al Mare”) che sono stati, per quella generazione che si era nutrita di dignitosa povertà, luoghi di crescita umana e culturale. Quei protagonisti di fanciullesche scorribande, una volta divenuti finissimi cantori in vernacolo come il nostro Salvatore Filocamo, hanno assunto con loro stessi l’imperativo morale di restituire a quei luoghi, divenuti, purtroppo, silenti e abbandonati, i caratteri propri di una terra magnanima di valori condivisi: Doppu tant’anni tornu nta ‘sti lochi undi ‘na vota nc’era a casa mia, undi ch’i frati mei cu spassi e jochi senza nulla malizia mi criscia …. Mo non ci sunnu cchiù chilli famigghji, chilli genti sinceri, ponderati, chill’amonia tra genituri e figghji, chilla sincerità tra soru e frati … (A CASA I TUFFU E TAJU) Pagina 2 L’opera di Salvatore Filocamo, che gli eredi - figlia e nipote in primis - hanno voluto riordinare con l’attenta regia del prof. Ugo Mollica e dell’editore avv. Franco Pangallo, riporta l’orologio del tempo a un passato che, ormai, anche a chi è vicino nel ricordo diretto, è sfuggito di mano. Quella modernità testardamente inseguita se, da un lato, si è portata con sé la miseria descritta in U LIBRETTU DA SPISA (“… i chilli tempi no ndavimu sordi / e la spisa a facemu cu librettu …”), dall’altro, scomparsi i luoghi della socializzazione contadina (“Cu stu progressu tutti i cosi antichi / e tutt’i belli usanzi si perdiru, / i troppiti e i mulini scumpariru / e puru i foculari e li fandichi”) sono andati in soffitta, pure, i connotati positivi che hanno caratterizzato la società dei nostri avi dentro la quale è stato allevato l’uomo-poeta Salvatore Filocamo. Quel mondo arcaico, ma ricco di vincoli affettivi e solidali, ha segnato i cultori della parola come Salvatore Filocamo che hanno sposato la missione di trasferire ai posteri, oltre ai suoni e ai ritmi della lingua delle contrade natie, i tratti del mondo degli umili i cui simboli distintivi erano i calli e l’onestà. Questi i valori esaltati dal poeta nel suo impegno intellettuale e che “VOCI E VALORI DEL MIO TEMPO” amplifica per destare l’attenzione di una società che ha smesso, da tempo, purtroppo, di sognare e di raccontare. Forse, anche, di sperare. “VOCI E VALORI DEL MIO TEMPO” nel raccontare le ristrettezze economiche della fanciullezza e della gioventù del poeta, interroga il presente sulla povertà valoriale che lo attanaglia. Non lo fa salendo in cattedra, ma appellandosi alla forza persuasiva dell’esempio. Lo fa in diversi passaggi dell’opera, ma personalmente preferisco il quadro valoriale descritto nella lirica “MASSARU GIOMU TRICHILU U POJETA”: “… Nescimma tutt’i ddui avant’e Cruci, ma quando nescia jeu illu era anzianu; poi a Sanpranciscu ndi dàvamu a manu e ndavia i calli comu scorzi i nuci. Ma si nte mani ndavia i calli duri I intelligenza nullu u superava E quandu ch’i signuri ragiunava Era apprezzatu puru di dutturi…”