Position Paper ABI sul documento di consultazione della Banca d

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Position Paper ABI sul documento di consultazione della Banca d
Position Paper ABI sul
documento di consultazione
della Banca d’Italia
Liquidity Risk Management
Agosto 2010
POSITION PAPER
1/2010
POSITION PAPER
Introduzione e sintesi ................................................................ 3
Osservazioni di carattere generale ............................................... 3
Osservazioni specifiche .............................................................. 6
A)
Paragrafo 2.2 - Organo con funzione di gestione - pag. 11 ..... 6
B)
Paragrafo 3 - Soglia di tolleranza al rischio di liquidità ........... 6
C)
Sezione III - Processo di gestione del rischio – Paragrafo 3
Prove di stress .......................................................................... 7
D)
Sezione III - Processo di gestione del rischio – Paragrafo 2
Identificazione misurazione del rischio (modelli interni) e Paragrafo
4.1 Riserve di liquidità ............................................................... 7
E) Paragrafo 4.1 - box pagina 17 .............................................. 9
F) Paragrafo 4.3 - Diversificazione delle fonti di finanziamento e
delle scadenze di rinnovo ......................................................... 10
G)
Sezione III - Processo di gestione del rischio - Paragrafo 5 Rischio di liquidità derivante dall’operatività infragiornaliera .......... 10
H)
Sezione III - Processo di gestione del rischio - Paragrafo 7.
Sistema di prezzi di trasferimento interno dei fondi ...................... 10
I) Sezione III - Processo di gestione del rischio - Paragrafo 9.
Informativa pubblica................................................................ 11
L) Sezione IV - Sistema dei controlli interni – Paragrafo 3 - I
controlli di secondo livello: la funzione di risk management sulla
liquidità ................................................................................. 12
M)
Sezione IV - Sistema dei controlli interni – Paragrafo 3 - I
controlli di secondo livello: la funzione di risk management sulla
liquidità - Box pagina 25) ........................................................ 12
N)
Sezione IV - Sistema dei controlli interni – Paragrafo 4 Revisione interna .................................................................... 12
O)
Sezione V - Parte III paragrafo 2 – Ambito di applicazione .... 12
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POSITION PAPER
Introduzione e sintesi
L’Associazione Bancaria Italiana (ABI) ringrazia la Banca d’Italia per la
consultazione sul documento di giugno 2010 relativo al “Liquidity Risk
Management” 1 .
Si è consapevoli della rilevanza dei due scopi fondamentali di tale
consultazione. Da un lato recepire nell’ordinamento Italiano la Direttiva
Comunitaria di recente adottata (2009/111 CE) per le parti relative al
rischio di liquidità. Dall’altro prefigurare e indirizzare verso un sistema
organico di principi in materia di gestione della liquidità come quelli in via di
definizione nell’ambito del quadro normativo prudenziale internazionale.
Il presente Position Pater rappresenta la sintesi dei contributi pervenuti in
Associazione, nonché delle attività svolte da appositi gruppi di lavoro
interbancari competenti sulla materia.
L’elaborato si articola in due parti: la prima di osservazioni generali e la
seconda di commenti e richieste di modifica puntuali, presentati in relazione
ai singoli paragrafi del documento in consultazione.
Osservazioni di carattere generale
1)
Si chiede conferma che nelle parti del documento in cui si fa
riferimento a nuovi standard e a nuove regole ci si riferisce esclusivamente
al recepimento di quelle che entreranno in vigore nei tempi indicati nella
nota del Comitato di Basilea del 26 luglio scorso e che pertanto il contenuto
del documento in consultazione sarà reso definitivo ed entrerà in vigore non
prima di tale data (o di tali date prefigurandosi un rinvio maggiore per il Net
Stable Funding Ratio).
Ciò al fine di consentire ai singoli intermediari di pianificare e sottoporre ad
adeguata verifica gli interventi di allineamento dell’attuale sistema di
gestione del rischio di liquidità a quanto prefigurato dal nuovo quadro
Il titolo completo del documento è “Liquidity Risk Management - Disposizioni in materia di
governo e gestione del rischio di liquiditá delle banche e dei gruppi bancari e degli
intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale - Documento di consultazione integrativo
del documento di basilea su “international framework for liquidity risk measurement,
standards and monitoring”
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prudenziale sulla base di indicazioni definitive e possibilmente più
dettagliate e puntuali rispetto a quelle presenti nei documenti in
consultazione, anche a livello internazionale.
Tale considerazione assume maggior rilievo se dovessero essere confermate
le disposizioni previste in tema di informativa pubblica finalizzate a
garantire ai partecipanti al mercato di avere un giudizio informato sulla
posizione di liquidità e sui presidi di governo e gestione del rischio di
liquidità.
L’attuale contesto di elevata soggettività nella stima di alcuni elementi dei
modelli di misurazione della posizione di liquidità (es. definizione di
componente stabile della raccolta da clientela; ipotesi su roll-over degli
impieghi), potrebbe inoltre influire sulle analisi comparative della posizione
di liquidità dei singoli intermediari.
Considerazioni analoghe valgono anche per quanto riguarda il sistema dei
prezzi di trasferimento interno dei fondi, tenuto conto inoltre del livello di
complessità dell’implementazione di sistemi di misurazione e trasferimento
del costo della liquidità.
2)
Ai fini di contenere il rischio sistemico per quanto concerne la
liquidità, si ritiene corretto che il perimetro di applicazione della nuova
disciplina comprenda anche gli intermediari non bancari vigilati, prevedendo
l’applicazione del principio della proporzionalità e tenendo conto delle
specificità operative delle diverse realtà finanziarie rientranti in tale
fattispecie.
Al contempo si ritiene però opportuno che in relazione ai destinatari della
normativa in esame (cfr. Sezione I, paragrafo 2, pag. 8) le regole di
applicazione prevedano esplicitamente una deroga all’applicazione su base
individuale della nuova disciplina, ove risulti comprovata la sussistenza delle
necessarie condizioni di accentramento in tema di liquidità per singola
giurisdizione. Laddove pertanto, nell’ambito di un gruppo, sia dimostrata
una stretta dipendenza ed integrazione nella gestione della liquidità delle
singole banche e degli intermediari finanziari operanti quanto meno presso
la medesima giurisdizione paese, si richiede di applicare le nuove
disposizioni a livello sub-consolidato della capogruppo nazionale.
In linea con tale principio e in coerenza all’adozione di modelli organizzativi
di gestione accentrata della liquidità (pag. 22), il riconoscimento dei
perimetri
subconsolidati
dovrà
conseguentemente
esentare
dall’assolvimento di obblighi individuali [si citano ad esempio le prove di
stress da effettuarsi sia su base consolidata che su base individuale (pag 15
secondo capoverso) in capo alle singole entità facenti parte del perimetro].
3)
Quale primo contributo all’analisi dell’impatto organizzativo di una
esplicita attribuzione di ruoli in tema di misurazione e gestione del rischio di
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liquidità e di fissazione di un sistema di prezzi interni di trasferimento che
consideri tale rischio, si consideri che il modello che sembra destinato ad
avere maggiore diffusione vede il Risk Management generalmente
impegnato nella identificazione e misurazione del rischio e la Tesoreria nella
sua gestione anche con obiettivi di ottimizzazione del profilo di rischio, fatta
eccezione – come richiesto nel documento - al caso in cui essa sia
responsabile della determinazione dei prezzi interni.
Per quanto riguarda la fornitura dei TIT, in alcuni casi si ritiene debba
essere svolta da una struttura operativa sui mercati finanziari
(Tesoreria/Finanza), sia pure nell’ambito della condivisione degli aspetti
metodologici con le altre diverse strutture aziendali competenti
(Pianificazione e Controllo / Risk Management). In tal senso, vi sarebbe
comunque un contributo del Risk Management al sistema dei prezzi di
trasferimento interno dei fondi, ove si consideri tale apporto in relazione alla
ormai frequente necessità di sviluppare e adottare modelli di
rappresentazione dei rischi (e per riflesso dei relativi prezzi) finalizzati a
riflettere le caratteristiche comportamentali di determinate poste a utilizzo
incerto (es. poste a vista, chiamate su margini committed, ecc).
In altri casi, l’orientamento sembrerebbe essere quello di attribuire la
responsabilità della fornitura dei TIT non alla Tesoreria ma alla
Pianificazione e Controllo di Gestione.
Una gestione del rischio di liquidità da parte della Tesoreria è da ricondurre
nel quadro del rispetto delle indicazioni degli organi di vertice, in particolare
con riferimento alla coerenza con la propensione al rischio prescelta e con il
connesso sistema di limiti operativi, seppur per il secondo caso con delle
deleghe alla gestione di momentanei superamenti di tali limiti.
Il Risk Management, ovviamente, supporta attraverso la propria attività sia
la gestione operativa che il processo decisionale dei vertici rispetto al
quadro in cui la gestione del rischio di liquidità deve essere ricondotto.
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Osservazioni specifiche
A) Paragrafo 2.2 - Organo con funzione di gestione
- pag. 11
Si richiede di modificare come segue il secondo bullet:
“alloca le funzioni relative alla gestione del rischio di liquidità all’interno
della struttura organizzativa, tenendo conto del principio di proporzionalità e
dell’esposizione dell’intermediario a tale rischio. In particolare, nella
definizione della struttura e delle responsabilità dell’unità incaricata della
gestione della tesoreria quale fornitore o prenditore di fondi per le diverse
unità di business, tiene conto della circostanza che essa, limitatamente
all’incarico di cui sopra, opera prevalentemente come funzione di servizio;”
B) Paragrafo 3 - Soglia di tolleranza al rischio di
liquidità
Con riferimento al box di pagina 12 si fa presente che già attualmente le
banche adottano o prefigurano di adottare con l’entrata in vigore delle
nuove norme specifiche soluzioni in termini di soglia di tolleranza. Esse
variano da un allungamento del tempo di sopravvivenza - rispetto ai valori
prospettati a livello normativo o medi dell’industry - al rispetto di un ratio
più sfidante di quelli normativi (es. LCR al 105%) o, ancora, ad un
sostanziale rispetto di alcune delle regole di trasformazione delle scadenze
(non più in vigore), seppure rivisitate.
Ritenendo che vada comunque preservata l’autonomia dei singoli
intermediari nella determinazione delle tipologie e livelli di soglie di
tolleranza ritenute più adeguate, a livello Associativo ci si rende disponibili
ad approfondire la ricerca di principi di riferimento e best practices in questo
campo nel momento in cui la “base-line” normativa risulterà meglio
consolidata.
********
Per le Banche di Classe 1, come anche per quelle di Classe 2 che aspirano
ad essere validate sui rischi di Pillar 1, si chiede se è corretta
l'interpretazione che le attività di valutazione interna delle metodologie di
misurazione del rischio liquidità 2 (non soggette a validazione da parte dei
2
(cfr. Sez. 3 pg.13 e 14 - "Tali metodologie devono essere fondate e ben documentate e
sottoposte ad un processo di valutazione interna da parte di una funzione appositamente
incaricata, .....Il processo di valutazione, da condurre nella fase di primo impianto e
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Regulators) possano essere effettuate dalla funzione di convalida interna,
che effettua attività analoghe anche sui rischi di Pillar 1 di cui sopra.
C) Sezione III - Processo di gestione del rischio –
Paragrafo 3 Prove di stress
Tanto con riferimento alla conduzione delle prove di stress che, più in
generale, per quanto concerne il complessivo framework per la gestione del
rischio di liquidità, si ritiene che per i gruppi nei quali l’attività di tesoreria è
tipicamente “accentrata” presso la Capogruppo, un monitoraggio del rischio
e un’attività di reporting articolata per legal entity (in strutture
organizzative configurate in questa maniera le Controllate hanno
tipicamente una limitata autonomia decisionale e non hanno leve in materia
di gestione del rischio di liquidità) risultano poco significative ed
eccessivamente “onerose” soprattutto da un punto di vista della attività
operative da gestire.
Si condivide la proposta di circoscrivere l’ambito degli intermediari (gruppi o
stand alone) della classe 2 mediante l’introduzione di soglie di rilevanza.
D) Sezione III - Processo di gestione del rischio –
Paragrafo 2 Identificazione misurazione del rischio
(modelli interni) e Paragrafo 4.1 Riserve di liquidità
L’apertura verso modelli interni per la misurazione del rischio di liquidità è
stata accolta con favore.
Si ribadisce comunque quanto contenuto nel PP ABI dell’Aprile 2010
(sezione E, paragrafo 6.b) in relazione alla opportunità di permettere, nel
quadro di modelli standard, la stima interna anche solo di alcuni parametri
che determinano i ratio regolamentari.
Coerentemente il quadro sopra delineato trova completamento nel
paragrafo relativo alle riserve di liquidità.
Si accoglie con favore la filosofia di approccio che appare mutuata dalle
logiche di valutazione interna dell’adeguatezza patrimoniale per i rischi
diversi da quelli di liquidità. Ossia il consentire la costituzione di riserve di
liquidità connesse al rispetto alla soglia di tolleranza al rischio - prescelta
successivamente in presenza di significativi cambiamenti nelle ipotesi di costruzione, comprende
almeno: - la revisione dei principi, del processo di sviluppo delle metodologie utilizzate e degli
algoritmi per la misurazione del rischio di liquidita, ......; - l'analisi dei risultati anche attraverso l'utilizzo
di tecniche di validazione retrospettiva (c.d. “backtesting”) ed il ricorso ad analisi di sensitivity e
stress test che dimostrino la tenuta delle ipotesi sottostanti in un periodo lungo che incorpori almeno
una situazione di crisi; .......)
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autonomamente dalle singole realtà - che si differenzino per livello e per
composizione da quelle, comunque da detenere, per garantire il rispetto
delle regole prudenziali.
Con riferimento, allora, alla eligibilità delle diverse riserve per la tolleranza
al rischio pare opportuno ricordare ancora quanto in termine di wider buffer
si era già indicato nel PP ABI in risposta al documento di consultazione sul
rischio di liquidità del Comitato di Basilea dell’Aprile 2010 (sezione E,
paragrafo 3).
In particolare nel novero delle attività altamente liquide andrebbero
adeguatamente valutati i rischi connessi alla concentrazione delle
esposizioni su un numero troppo ristretto di categorie di emittenti. Le
recenti tensioni sul debito sovrano in Europa hanno inoltre dimostrato come
attività considerate tradizionalmente ad elevato grado di liquidità, possono
divenire repentinamente meno liquide oppure andare incontro a perdite di
valore e questo effetto può essere ulteriormente acuito dalla presenza di
elevati livelli di concentrazione su tali strumenti.
Si propone di includere (senza pretesa di completezza):
o
o
o
i titoli azionari quotati inclusi in indici di mercato ad elevata
capitalizzazione, (si noti che la perdita massima sull’orizzonte
temporale di un mese durante la crisi – settembre 2008 – dei
principali indici azionari è stata del 25/30% circa);
con riferimento ai titoli azionari di istituzioni finanziarie con i
medesimi requisiti di elevata capitalizzazione prima citati, non
si ritiene sussistano ragioni di ordine sistematico per
l’esclusione
di
tali
emissioni
che
hanno
dimostrato
caratteristiche di liquidità simili agli altri titoli azionari, salvo
una
maggiore
volatilità
che
potrebbe
eventualmente
giustificare un trattamento più prudenziale in termini di
haircut;
per quanto riguarda i titoli di debito non subordinati emessi o
correlati con l’andamento di istituzioni finanziarie con rating
investment grade - che pure hanno oggettivamente presentato
criticità in termini di liquidità - si ritiene che la previsione di
haircut eventualmente accompagnata da adeguati limiti di
concentrazione, in luogo di una completa esclusione dal buffer,
possa essere coerente con la rappresentazione di un
prudenziale valore di realizzo in condizioni di stress analoghe a
quelle sperimentate sull’orizzonte di riferimento del buffer.
L’applicazione di regole eccessivamente rigide, in particolare con riferimento
alla determinazione delle riserve di liquidità (collegate alla prescelta soglia
di tolleranza al rischio), potrebbe avere ripercussioni negative sulle banche
“del territorio” e, per tale via, sulle famiglie e sulle imprese locali, le quali
potrebbero essere penalizzate da un eventuale razionamento del credito
connesso alla contrazione della liquidità. Tale eventualità risulta ancora più
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critica se si pensa all’attuale situazione dell’economia reale che si trova ad
affrontare un prolungato periodo di estrema difficoltà.
In particolare si ritiene che, nell’ambito delle attività stanziabili, sia gli ABS
(anche derivanti da autocartolarizzazioni) che i covered bonds (di terzi o
emessi e sottoscritti dalla banca medesima) dovrebbero essere inclusi nelle
riserve di liquidità in quanto trattasi di strumenti adeguatamente garantiti,
nonché strettamente legati al business model caratteristico delle banche
radicate sul territorio (cfr. vedere anche paragrafo 5 del PP ABI di aprile
2010 in risposta alla consultazione del Comitato di Basilea). Considerazioni
simili valgono, mutatis mutandis, anche per i prestiti stanziabili.
Da ultimo, si richiedono chiarimenti in merito alla possibilità di prevedere la
inclusione nelle riserve di liquidità delle quote di OICR, inclusione seppur
parziale in termini di specifiche tipologie di OICR e/o di applicazione di
eventuali haircut ad hoc.
E)
Paragrafo 4.1 - box pagina 17
Una volta definite regole di natura quantitativa, agli intermediari con attività
di bilancio inferiori a soglie da definire potrà essere riconosciuta la
possibilità di rispettare solo queste regole; essi non sarebbero pertanto
tenuti ad effettuare valutazioni ulteriori circa le esigenze di liquidità attuali e
prospettiche.
Si chiedono commenti in merito a tale scelta, con particolare riferimento alle
modalità di determinazione della soglia in relazione alle dimensioni
dell’intermediario.
Si richiede una maggiore esplicitazione dei contenuti di tale ipotesi
regolamentare. A riguardo si ritiene comunque condivisibile limitarsi, per gli
intermediari che si collocano al di sotto di determinati parametri
dimensionali e operativi, a richiedere il rispetto delle sole regole di natura
quantitativa.
I citati parametri potrebbero essere determinati sulla base dei seguenti
criteri:
totale attivo ≤ X
ridotta esposizione al rischio cambio
wholesale funding inferiore a una determinata percentuale del funding
totale
modello di business caratterizzato da operatività di natura
tradizionale in prevalenza nei confronti di clientela retail.
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F) Paragrafo 4.3 - Diversificazione delle fonti di
finanziamento e delle scadenze di rinnovo
E’ impegno ed interesse primario per gli intermediari perseguire la
diversificazione delle fonti di finanziamento.
Mentre si condivide la necessità di limitare nel concreto la concentrazione
verso fonti maggiormente instabili (primo paragrafo di pagina 19), si ritiene
che la gestione della concentrazione su forme tecniche molto diffuse e
stabili debba essere non considerata necessariamente negativa posto che
l’intermediario si adoperi per individuare (ma non necessariamente attivare)
delle potenziali fonti alternative. Pertanto si ritiene non appropriato
l’inserimento nell’elenco a pagina 18 del riferimento a strumenti, quali i
pronti contro termine, in particolare se riferiti a sottostanti altamente liquidi.
Ciò a maggior ragione se nelle Disposizioni (posto che sia evidenziata
presso la banca/gruppo una concentrazione su tali strumenti) dovesse
essere necessariamente richiesta all’intermediario l’avvio di una politica di
riduzione della concentrazione medesima.
G) Sezione III - Processo di gestione del rischio Paragrafo 5 - Rischio di liquidità derivante
dall’operatività infragiornaliera
Si ritiene che l’implementazione di un processo di gestione della liquidità
infragiornaliera sia eccessivamente oneroso in termini di processo,
procedure e risorse per le banche di Classe 2 e 3.
H) Sezione III - Processo di gestione del rischio Paragrafo 7. Sistema di prezzi di trasferimento
interno dei fondi
L’introduzione, secondo le modalità descritte, del sistema dei prezzi interni
di trasferimento rappresenta una delle principali novità del nuovo quadro di
riferimento regolamentare.
L'evoluzione del sistema dei prezzi di trasferimento interno dei fondi,
integrato in tutti i sistemi di governo dell'azienda, che tenga conto di quanto
indicato nel documento di consultazione (ad es. costo del funding, rischio di
liquidità, etc.) comporta una serie di interventi organizzativi, funzionali e
tecnici.
In particolare, si tratta di ristrutturare integralmente l'attuale modello
interno dei tassi di trasferimento, unificando componenti che attualmente
possono operare secondo logiche disomogenee (modello dei TIT utilizzato
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per rendicontare le unità di business commerciali, modello dei TIT per la
rendicontazione della Finanza, modello di pricing per le operazioni di
scambio di fondi tra entità giuridiche infragruppo) per individuare un
denominatore comune e condivisibile dai differenti centri di responsabilità.
Interventi di tale portata necessitano dunque di un lasso temporale non
indifferente per consentire, oltre all'implementazione tecnica, anche un
adeguato periodo di test.
Si sottolinea, inoltre, la necessità di meglio definire principi di riferimento
del sistema di prezzi interni di trasferimento 3 che, pur nella flessibilità
necessaria alle singole implementazioni peculiari a livello di banca/gruppo,
lascino la possibilità di una qualche confrontabilità tra i singoli intermediari
(se gli obiettivi dell'informativa pubblica richiesta in tema di rischio liquidità
dovessero essere confermati) e fissino una sorta di livello di articolazione
minimale che riduca i possibili vantaggi/svantaggi competitivi legati a
eccessive divergenze del grado di evoluzione dei modelli adottati dai singoli
intermediari.
Infine, si richiede di poter approfondire se l’applicazione limitata ad alcune
classi di intermediari non generi, per via degli impatti che i prezzi interni
inglobanti il rischio di liquidità potrebbero avere sui prezzi finali, una sorta di
svantaggio competitivo nell’offerta al mercato. D’altra parte tale valutazione
deve essere condotta sulla base di un’appropriata analisi costi-benefici al
fine di considerare anche gli svantaggi competitivi, sugli intermediari minori,
legati
agli
impatti
organizzativi
e
procedurali
riconducibili
all’implementazione di tali sistemi.
I) Sezione III - Processo di gestione del rischio Paragrafo 9. Informativa pubblica
Si ritiene che l’obbligo informativo, per le banche di minore dimensione,
possa ritenersi assolto con le informazioni riportate nella parte E della nota
integrativa.
Al contempo e con validità generalizzata per tutte le banche, sarebbe
opportuna una revisione metodologica del prospetto quantitativo riportato in
suddetta parte E, al fine di rappresentare opportunamente la
counterbalance capacity generata dalla disponibilità di riserve di liquidità.
3
Per l’appunto un approccio Principle based è quello che caratterizza il documento CEBS Guidelines on
Liquidity Cost Benefit Allocation (CP 36).
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L) Sezione IV - Sistema dei controlli interni –
Paragrafo 3 - I controlli di secondo livello: la funzione
di risk management sulla liquidità
Nel documento si parla specificamente del ruolo del Risk Management quale
responsabile del controllo del rispetto dei vari indicatore e dell'apporto che
deve fornire nella redazione della Policy. In merito, dovrebbe competere alla
funzione di Risk Management – previa opportuna condivisione con le altre
funzioni aziendali competenti in materia - la responsabilità di redigere e
proporre i documenti di Policy e le loro successive revisioni. Al fine di evitare
potenziali fraintendimenti di interpretazione, si richiede di chiarire meglio al
riguardo.
M) Sezione IV - Sistema dei controlli interni –
Paragrafo 3 - I controlli di secondo livello: la funzione
di risk management sulla liquidità - Box pagina 25)
Con riferimento alle banche di minore dimensione, l’attività di risk
management sulla liquidità deve essere configurata tenendo in
considerazione che le caratteristiche organizzative e procedurali delle stesse
non sempre consentono di pervenire a una piena segregazione funzionale
delle attività di controllo. Questo comporta l’esigenza per tali banche di
declinare il principio di proporzionalità in modo da garantire il
conseguimento degli obiettivi di controllo definiti secondo modalità
specifiche e coerenti con i peculiari profili organizzativi, dimensionali, di
rilevanza economica e profilo di rischio.
N) Sezione IV - Sistema dei controlli interni –
Paragrafo 4 - Revisione interna
Si ritiene che la verifica complessiva, con cadenza almeno annuale, dei
presidi in essere per la gestione del rischio di liquidità sia uno degli ambiti di
analisi del più ampio processo di revisione dell’ICAAP.
O) Sezione V - Parte III paragrafo 2 – Ambito di
applicazione
In riferimento alla Parte III in cui viene affrontato il tema dell’ambito di
applicazione delle nuove regole quantitative di Basilea, si ritiene
condivisibile l’orientamento all’adozione delle due scelte indicate in proposta
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(cfr. Box Pagina 34 e Box Pagina 36). Di seguito, alcune considerazioni più
di dettaglio circa le diverse opzioni prospettate.
****
a) Filiazioni di banche estere e Filiali di banche extra-comunitarie: ambiti
di applicazione per il Liquidity Coverage Ratio (LCR)
La prima opzione (applicazione solo a livello consolidato), presupponendo la
piena trasferibilità dei fondi fra tutte le diverse giurisdizioni, sembrerebbe
avere limitate possibilità di applicazione e dunque scarsa possibilità di
imporsi.
Premesso quanto sopra, la soluzione intermedia prevista dall’opzione 3 (LCR
individuali con possibilità di livelli inferiori a quello ordinario) appare rispetto
all’opzione 2 (piena autosufficienza da parte delle legal entities dei vari
paesi), maggiormente flessibile ed orientata a riconoscere l’esistenza di
modelli di gestione accentrata a livello transfrontaliero, con particolare
attenzione all’ambito UE.
L’opzione 3 risulterebbe dunque preferibile rispetto alla 2, seppur nella
richiesta di riferire l’applicazione del “LCR ridotto” comunque e sempre a
livello sub-consolidato delle eventuali diverse filiazioni di un medesimo
Gruppo ubicate nel singolo stato di riferimento.
Rimarrebbe inoltre da chiarire se il “deficit di LCR” consentito ad una
determinata controllata nell’ambito dell’opzione 3
debba
essere
compensato da un commitment infragruppo a favore di tale controllata e,
in caso di risposta positiva, quali siano gli elementi formali che il
commitment dovrebbe rispettare per essere riconosciuto a compensazione .
Più in generale secondo quanto ad oggi proposto dal Comitato di Basilea
(che norma esclusivamente il calcolo del Liquidity Coverage Ratio a livello
consolidato e non gli obblighi individuali delle singole legal entity di un
Gruppo), i commitment ricevuti non rientrano nel calcolo del suddetto
indicatore. Passando tuttavia a regolamentare anche le posizioni individuali
o sub-consolidate di un Gruppo, si richiede di chiarire il trattamento di
impegni e/o linee di credito irrevocabili concesse in ambito infragruppo.
b) Filiazioni di banche comunitarie
Non si rilevano eccezioni alla scelta prospettata dell’opzione 1 (adozione del
principio dell’home country control).
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