la misura del lavoro di magistrato tra standard e carichi

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la misura del lavoro di magistrato tra standard e carichi
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Va segnalato, peraltro, un contrasto di opinioni sulla possibilità
di individuare un numero nazionale uniforme o unico di procedimenti definibili dal singolo magistrato, ovvero un carico di lavoro, differenziato per tipologie di uffici e per settori, che stabilisca
un minimo e un massimo della prestazione e che consenta, da un
lato, a ogni magistrato di conoscere preventivamente quanto da
lui esigibile in termini numerici e, dall’altro, permetta al capo ufficio di programmare realisticamente l’attività dell’ufficio, tenendo conto delle risorse disponibili (LEPRE, op. cit., 94). Diversa opinione (L. PERILLI, L’insostenibile illusorietà dei carichi esigibili. Il dibattito: i carichi esigibili e i livelli di servizio, ibid., 84) ritiene invece errato tale approccio, che condurrebbe a un livellamento verso il basso e all’abbassamento dei livelli di tutela. In
questo senso, dovrebbero essere definiti i livelli di servizio che
ciascun ufficio giudiziario è in grado di fornire, tenendo conto
non solo delle risorse disponibili ma anche della capacità di utilizzare tali risorse in maniera efficace adottando una prassi e modelli organizzativi virtuosi. L’enorme varietà degli uffici giudiziari, distinti per dimensione, misura dell’arretrato, complessità dei
processi, diversità delle materie e di livelli di assistenza del giudice, impedirebbe la fissazione di un numero nazionale uniforme.
Si tratta di temi delicati su cui sono impegnate, su fronti diversi, le varie anime che compongono la magistratura associata, e
che coinvolgono, su piani diversi, l’Associazione nazionale magistrati (Anm), a livello sindacale, e il Csm, sul piano istituzionale
(F. PICARDI, Carichi esigibili individuali: una reale esigenza organizzativa o solo un falso mito?, ibid., 82 s.).
Nelle date del 17, 18 e 19 gennaio 2016 si è tenuta tra gli iscritti all’Anm, ai sensi dell’art. 55 dello statuto, una consultazione referendaria il cui terzo quesito riguarda i carichi esigibili: «L’Anm,
considerata anche l’entrata in vigore della legge sulla responsabilità civile dei magistrati, dovrebbe richiedere al Csm di introdurre
entro sessanta giorni i carichi esigibili, da intendersi come misura,
determinata in cifra secca (come per i magistrati amministrativi),
del lavoro sostenibile dal magistrato in funzione degli obiettivi di
adeguata quantità e qualità del lavoro giudiziario?». Su 4.283 votanti, il quesito ha raccolto 3.580 sì e 583 no; 97 sono state le
schede bianche, 23 le nulle.
Riguardo ai giudici amministrativi vi è da rilevare che il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, da ultimo con
delibera del 18 gennaio 2013 e successive modifiche, al fine di garantire la qualità dell’esercizio della giurisdizione amministrativa,
ha provveduto a determinare il carico di lavoro massimo di ciascun
magistrato di Tar o del Consiglio di Stato, stabilendo il numero minimo e massimo di provvedimenti e di udienze. In dottrina, R.
CHIEPPA, Il processo amministrativo dopo il correttivo al codice,
Milano, 2012, 818 ss. Il metodo utilizzato dai giudici amministrativi, tuttavia, non è immediatamente trasponibile nell’ambito della
giurisdizione ordinaria, stante la diversità e la molteplicità delle
funzioni giudiziarie, sia in ambito giudicante sia requirente.
V. - L’arretrato che grava sugli uffici giudiziari, specie nel settore civile, e la durata irragionevole dei processi costituiscono
problemi obiettivi, di cui il legislatore dovrebbe farsi carico con
misure effettivamente risolutive. La questione organizzativa degli
uffici giudiziari rappresenta senz’altro una componente importante per trovare il bandolo della matassa ma non può essere l’unico
strumento per farlo. C’è bisogno di «buone prassi» metodologiche
e operative e di modelli efficienti, ma va evitato il rischio di trasformare l’organizzazione da mezzo a fine, deformandola in un
«Moloch» cui sacrificare la qualità del servizio giustizia. Va qui
considerata la peculiarità del «prodotto» degli uffici giudiziari e la
molteplicità dei singoli procedimenti che devono essere curati dai
giudici ordinari, anche rispetto ad altre giurisdizioni, tenendo presente che i magistrati italiani sono costantemente tra i più produttivi in Europa; cfr. dossier a cura dell’Anm, La verità dell’Europa
sui magistrati italiani n. 4, in <http://tinyurl.com/zlev7aw>, che
ha come fonte il rapporto della Commissione europea per l’efficacia della giustizia (Cepej) del 2014, in <www.coe.int/cepej>.
Il rilievo dei profili organizzativi ma, al contempo, le responsabilità dello Stato, sono evidenziati dalla giurisprudenza della
Cedu sull’art. 6, par. 1, della convenzione, secondo cui l’imposizione di un limite temporale di durata del processo non può prescindere dal considerare che l’obbligo di rispettarlo incombe in
primo luogo sugli Stati, sui quali è posto il dovere di dotare la
magistratura di strutture e personale efficiente, adeguati al rispetto
di quell’obbligo. Il principio è ripreso dalla giurisprudenza disciIL FORO ITALIANO — 2016.
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plinare; da ultimo, Cass., sez. un., 8 luglio 2015, n. 14268 (Foro
it., Le banche dati, archivio Cassazione civile), secondo cui la durata ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti non
comporta l’ingiustificabilità assoluta della condotta dell’incolpato, potendo il ritardo esser giustificato dalla ricorrenza di evenienze eccezionali e/o straordinarie, che escludano la punibilità
della condotta dell’incolpato.
Sulla riduzione della durata dei procedimenti civili e sull’abbattimento dell’arretrato, v. il progetto organizzativo «Arretrato
civile ultratriennale - Programma Strasburgo 2», elaborato dal
capo dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale
e dei servizi del ministero della giustizia, in <http://tinyurl.com/
jvejsca>. Sul «programma Strasburgo», finalizzato a ottenere
una significativa riduzione dell’arretrato giudiziario e l’accelerazione del trattamento delle cause civili, sperimentato a partire
dall’anno 2001 sulla base di un’idea dell’allora presidente del
Tribunale di Torino, Mario Barbuto, successivamente presidente
della corte d’appello e quindi capo del Dog, cfr. M. BARBUTO,
Court Management. Il programma Strasburgo. Prima esperienza
italiana di gestione responsabile del contenzioso civile, in G.
MICCOLI-M. SCIACCA-L. VERZELLONI (a cura di), Giustizia in bilico. I percorsi di innovazione giudiziaria: attori, risorse, governance, Roma, 2013, 555; G. OBERTO, Il «programma Strasburgo» del Tribunale di Torino e le direttive del groupe de pilotage
«Saturn» della Cepej: breve raffronto, in <http://tinyurl.com/
zsz5sr9>.
VI. - In dottrina, sul tema dei carichi esigibili e degli standard
di rendimento, oltre ai contributi citati apparsi su La Magistratura, cfr. A. PENTA, Fino a che punto si può pretendere da Gondrano?, in <http://tinyurl.com/j4t5rju>; G. MICCOLI-M. SCIACCA,
Managerialità giudiziaria e programmi di gestione dei procedimenti civili, in Riv. dir. proc., 2015, 174; C. CASTELLI, Standard, carichi esigibili, carichi sostenibili: discussione infinita o
indicazioni di lavoro concrete?, in <http://tinyurl.com/zggaede>;
A. LEPRE, Analisi della giustizia civile. Un’idea di riforma, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2013; V. PEZZELLA, Carichi esigibili e
produttività, ma anche qualità del decidere e rispetto del codice,
in Cass. pen., 2009, 2247.
Sui processi di innovazione negli uffici giudiziari legati all’organizzazione, G. MICCOLI-M. SCIACCA-L. VERZELLONI (a cura
di), Giustizia in bilico, cit.; D. PIANA, Il processo di innovazione
organizzativa nella realtà giudiziaria, in Arch. pen., 2012, 1097.
G. GRASSO
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La misura del lavoro del magistrato tra standard e carichi
esigibili. Problema nuovo? A che punto siamo.
1. - La percezione-ricostruzione storica del rapporto tra produttività del magistrato e celerità del giudizio. La mai abbastanza rimpianta lungimiranza di Beria d’Argentine gli consentì, sin
dagli anni in cui fu componente del Csm, di accendere un faro
sui problemi dell’organizzazione della giustizia con la istituzione, da lui voluta e realizzata, di un ufficio denominato «tempi e
metodi» nel corso della consiliatura del quadriennio 1968-1972.
Da allora tante sono state le riflessioni e le iniziative assunte per
affrontare uno degli aspetti negativi del nostro sistema giudiziario che, occorre prenderne atto con oggettivo pragmatismo, si è
sempre caratterizzato per un approccio della prevalente cultura
giuridica del nostro paese che ha privilegiato, in maniera eccessiva, l’approfondimento dottrinale e giurisprudenziale all’efficienza del servizio (1).
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(1) L’affermazione non va intesa a favore di una più ridotta professionalità, non essendo questa la sede per affrontare in maniera più completa
il tema e le cause, ma lanciare alcuni elementi di riflessione. Basti pensare a come nel processo civile il principio dell’oralità è sempre stato sopraffatto da una errata interpretazione del principio del contraddittorio,
improntato a controdeduzioni scritte secondo gli abusati schemi processuali dei «termini per esame». Ovvero alla ratio per cui l’art. 118 disp.
att. c.p.c. prescrive che deve essere omessa ogni citazione di autori giuridici.
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PARTE TERZA
Non meraviglia perciò se, proprio a conclusione degli anni sessanta, durante i quali il consolidarsi della ripresa economica dell’Italia si era accompagnato all’attuazione dei principî costituzionali mediante l’opera della Corte costituzionale e della più
avveduta giurisprudenza, si sviluppano i primi tentativi di confronto con i nodi organizzativi da sciogliere per rendere la nostra
giustizia più celere nella risposta alle nuove domande di tutela. È
significativo, ad esempio, che nel Csm successivo a quello di Beria, in occasione della visita del ministro della giustizia al consiglio nel 1976, si discute di questi temi e il ministro afferma che «i
dati statistici ... rivelano che non siamo vicini ai limiti di ciò che
ai giudici si può richiedere e, talvolta, ne siamo lontani» (2).
E non è un caso se negli stessi anni si introduce il nuovo processo del lavoro, che costituisce, e dovrebbe costituire, l’archetipo
del processo efficiente incentrato sulla concentrazione, oralità,
principio di non contestazione e potenziamento del ruolo del giudice nella risoluzione della controversia anche mediante la conciliazione (3).
E risale sempre agli anni settanta la circolare 2463/2 del 20
maggio 1977, a firma del vice-presidente Bachelet, che disponeva
l’obbligo dei dirigenti degli uffici di trasmettere, entro il 15 febbraio di ogni anno, l’elenco delle sentenze depositate in ritardo;
circolare abrogata solo con delibera del 10 settembre 2014.
2. - L’impatto della Cedu nel nuovo millennio. Nel trentennio
successivo, e sino agli inizi degli anni novanta, la magistratura è
impegnata, insieme a parlamento e governo, nel contrasto al terrorismo e, in rapida successione, alla «lotta» alla criminalità organizzata, dedicando le sue forze e le sue risorse più importanti in
via preponderante alla giustizia penale. Agli inizi degli anni novanta si ripropone, in maniera pressante e rilevante, il tema
dell’efficienza della giustizia civile nell’illusione che l’approvazione del nuovo processo penale, con la fissazione di termini
temporali alle indagini e la previsione dei riti alternativi, potesse
di per sé accelerare i tempi della giustizia penale.
È negli stessi anni novanta che si avvia la riforma del processo
civile, si realizzano importanti novità ordinamentali con una straordinaria stagione di riforme che conduce all’introduzione di diverse figure di magistrato onorario (giudice di pace e giudice onorario aggregato) ed all’istituzione del giudice unico di primo grado. Colpevolmente, e lo si capirà poi, non si prosegue con il potenziamento della definizione di strumenti di risoluzione alternativa della controversia. L’esigenza di deflazione della domanda di giustizia rimane senza risposta. Anzi, nel 2000 la circostanza che, dopo tanti anni, la «penosa» litania delle inaugurazioni dell’anno giudiziario si interrompa e faccia rilevare, a livello nazionale, un’inversione di tendenza positiva tra le definizioni e le sopravvenienze illude che si sia verificata la «svolta».
Così non era e così non è stato. È l’epoca delle riforme a «costo
zero». Uno slogan perfetto da accettare in un’ottica di «risveglio»
della filosofia dell’organizzazione del lavoro secondo principî e
criteri di scienza dell’organizzazione, ma non in grado di affrontare l’esplodere di nuovi diritti ed istanze di tutela che devono fare i conti con fonti normative multi-livello.
In quel momento manca un effettivo ammodernamento della
struttura amministrativa della macchina giudiziaria e della cultura
professionale di tutti gli operatori del mondo della giustizia. Il personale amministrativo anela, senza successo, ad un’effettiva riqualificazione, si bloccano il turn over ed i concorsi per assunzione di
personale amministrativo, si «investe» o meglio «si scommette»
su innovazione ed informatica (che nella stragrande maggioranza
delle sedi si realizza con un pericoloso «fai da te»), la cultura giuridica generale si rivela, nella sua generalità e con poche eccezioni, non pronta ad accettare la sfida dell’innovazione, la classe forense e la magistratura non sembrano in grado di accettare un dialogo fecondo e propositivo. Il risultato è una crescita abnorme e
spropositata del numero degli avvocati (4); un’onda anomala che
non trova argine in una magistratura che sembra già esausta.
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(2) Il Discorso del ministro dinanzi al Csm, in Foro it., 1975, V, 70, illustrativo di molti nodi di sistema ancora presenti.
(3) Mentre per il processo penale, fermo restando i limiti e gli abusi
della formalizzazione delle indagini, si deve attendere l’approvazione del
nuovo codice del 1989.
(4) Nel decennio 2001-2011 il numero degli avvocati raddoppia da
110.000 a 230.000.
IL FORO ITALIANO — 2016.
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L’introduzione del principio della ragionevole durata del processo in Costituzione e la connessa e necessitata approvazione
della legge Pinto, per far fronte alla responsabilità dello Stato per
i ritardi con cui è resa giustizia, costituisce davvero un triste risveglio. Per tutti, magistrati compresi.
I primi anni del nuovo millennio si caratterizzano per un faticoso confronto con la «irragionevole lentezza» del giudizio civile, che si vuole contrastare ma senza un reale progetto (5). Si
giunge alla riforma dell’ordinamento giudiziario degli anni
2005-2007 (tra legge delega del 2005 e riforma correttiva Mastella del 2007) (6).
3. - La riforma dell’ordinamento giudiziario. Gli standard di
rendimento ed i carichi esigibili nell’esperienza dei Csm 20062010 e 2010-2014. Una riforma che, a prescindere dalle diverse
letture e finalità attribuitele, ha una sua organicità e mostra di voler ridisegnare le competenze ed attribuzioni dei diversi protagonisti del sistema giustizia e del circuito del governo autonomo
della magistratura. Uno dei punti principali è la nuova disciplina
della valutazione di professionalità del magistrato e la volontà di
determinare «precisi» criteri ed indici di misurazione della produttività dei singoli magistrati. Alla luce delle sempre più pressanti esigenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, le cui
sentenze stabiliscono parametri di durata dei giudizi largamente
inattuati in Italia, si decide di accertare se all’inefficienza della
giustizia contribuisce anche il (non) lavoro dei magistrati. Accanto alla previsione di possibile responsabilità contabile dei magistrati, sono introdotte forme di illecito disciplinare per il modo ed
i tempi con cui il magistrato deposita i provvedimenti del suo ufficio (7). Inoltre, sono introdotti parametri oggettivi di valutazione della «laboriosità» la cui indicazione è rimessa al Consiglio
superiore. A differenza del sistema previgente, in cui la legge parlava solo di valutazione del «merito», la «laboriosità» è definita
dall’art. 11, 2° comma, lett. b), d.leg. 160/06 con riferimento «alla
produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in
rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché
all’eventuale attività di collaborazione svolta all’interno dell’ufficio, tenuto anche conto degli standard di rendimento individuati
dal Consiglio superiore della magistratura, in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni».
Mentre il 3° comma dello stesso articolo, nel demandare al
Csm il compito di disciplinare gli elementi sulla cui base andranno espressi i giudizi di professionalità, gli assegna anche il
compito di disciplinare 1) «i dati statistici da raccogliere per le
valutazioni di professionalità» (lett. b); 2) «l’individuazione, per
ciascuna delle diverse funzioni ... di standard medi di definizione
dei procedimenti ... articolati secondo parametri sia quantitativi
sia qualitativi, in relazione alla tipologia dell’ufficio, all’ambito
territoriale e all’eventuale specializzazione» (lett. e).
Compito non semplice, che si propone l’obiettivo concreto ed
oggettivo di accertare il rendimento del magistrato. Un obiettivo
ambizioso ma, nel contempo, «consapevole» (8) dell’estrema varietà delle condizioni di lavoro di ogni magistrato. Il Consiglio
superiore ha tentato da subito (consiliatura 2006/2010) di dare attuazione al disposto mediante l’istituzione di un gruppo di lavoro
— settembre del 2008 — con l’incarico di individuare nei quattro
macrosettori (civile, penale, minorile e sorveglianza) standard
medi di definizione dei procedimenti per gli uffici di primo grado
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(5) Per un’illustrazione delle attività, normative e non, realizzate in
quel periodo, R. FUZIO, L’efficienza del servizio giustizia al bivio: tra
un magistrato fai da te e un piano di ristrutturazione dei servizi di assistenza al giudice (nota a Cons. sup. magistratura 14 febbraio 2007), in
Foro it., 2007, III, 333.
(6) Su cui AA.VV., La legge di riforma dell’ordinamento giudiziario
e La riforma della riforma dell’ordinamento giudiziario, rispettivamente
in Foro it., 2006, V, 1, e id., 2008, V, 87.
(7) Il più comune degli illeciti disciplinari è quello dell’art. 2, lett. q),
che sanziona «il reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento
degli atti relativi all’esercizio delle funzioni; si presume non grave, salvo
che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei
termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto». In argomento,
cfr. A. IACOBONI, Rassegna di giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di cassazione in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati
(2006-2013) (parte prima), in Foro it., 2014, I, 1913, spec. 1923 ss.
(8) Come si rileva dai tanti indici contenuti nella norma.
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GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
sulla base dei dati resi disponibili dai sistemi informativi ministeriali. Sulle conclusioni del gruppo, con successive delibere del 24
luglio 2009 (Foro it., Le banche dati, archivio Merito ed extra,
2011.151) e 24 giugno 2010 (ibid., 2011.152), è avviata la sperimentazione che si è conclusa in coincidenza del termine di quella
consiliatura.
Il lavoro del gruppo e l’attività del consiglio hanno incontrato
difficoltà di vario genere. Assenza di programmi di analisi, elaborazione e rilevazione dei dati statistici, a livello ministeriale e
consiliare, per l’incompleta realizzazione dei sistemi di registrazione informatizzata dei registri degli affari (realizzata solo nel
2013 con il Datawarehouse ministeriale). I molti «mestieri» del
magistrato, pur all’interno della stessa funzione. Una diffusa diversità di situazioni tra uffici di grandi, medie e piccole dimensioni. La sempre affannosa copertura delle vacanze di organico
magistratuale. La «dissoluzione» del personale amministrativo.
Da ultimo, la crisi economica, che dal 2008 ha colpito anche il
nostro paese, ha frenato i necessari investimenti nel settore, tanto
emblematicamente manifestato dal ritardo della nomina dei vincitori di concorso per assenza di copertura finanziaria.
Il Csm (2010-2014) ha ripreso il lavoro del «gruppo standard» e, in stretta sinergia con il ministero della giustizia ed utilizzando fondi extra per l’informatizzazione, ha tentato di
completare ed aggiornare la base dei dati centralizzati e di estendere la metodologia ad ulteriori specifiche funzioni (magistrati fallimentari, delle esecuzioni, g.i.p.-g.u.p., di appello,
ecc.). Il lavoro, avviato con una costante attività di collaborazione con le varie articolazioni del ministero, si è presto scontrato con difficoltà tecniche di implementazione dei dati del
nuovo Datawarehouse della giustizia civile (9), con la necessità
di rivisitare i risultati raggiunti alla luce della nuova geografia
giudiziaria e, da ultimo, con l’introduzione del nuovo istituto
dei carichi esigibili (10).
La determinazione dei carichi esigibili si è rilevata non facile
per un doppio ordine di ragioni. Per limiti intrinseci all’istituto,
previsto solo per il settore civile ed inserito nei c.d. piani di gestione ex art. 37 voluti dal legislatore per un rapido smaltimento
dell’arretrato, ma con incidenza indiretta sulla produttività del
magistrato. Per la ancora scarsa attendibilità delle rilevazioni statistiche — parliamo degli anni 2011-2013 — e per la scelta del
consiglio orientata non certo alla semplificazione, ma ad una
troppo estesa ed ingiustificata (per le ragioni di cui infra) regolamentazione del procedimento di approvazione dei programmi di
gestione dei ruoli dei magistrati, aventi come obiettivo il rendimento dell’ufficio e, solo in maniera riflessa, del singolo magistrato.
La complessità del format proposto e le difficoltà incontrate
dagli uffici nell’elaborazione di concetti matematici e statistici,
tra l’altro senza un adeguato supporto di personale statistico, ha
trasformato un’occasione per formulare un’intelligente diagnosi e
prognosi sull’andamento dell’ufficio in un ulteriore mero adempimento burocratico da sommare ai già tanti numerosi adempimenti richiesti ai dirigenti degli uffici. Inoltre, la redazione dei
primi programmi di gestione ha fatto emergere la grande difficoltà di acquisizione ed utilizzazione dei dati statistici, la difformità
tra quelli rilevati dalle fonti ministeriali e quelli acquisiti nelle
cancellerie degli uffici, la mancanza di una concreta verifica di
merito sulla validità, concretezza ed affidabilità dei piani ed una
sostanziale irrilevanza dei carichi esigibili, determinati in ogni
singolo ufficio ma sganciati da ogni proiezione e comparazione
quanto meno a livello distrettuale.
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(9) Sulle difficoltà e sulle molteplici varianti si rinvia all’illustrazione
contenuta nella delibera 23 luglio 2014, in rassegna, oltre che al contenuto delle altre delibere in essa citate.
(10) È utile ricordare che l’inserimento dei «carichi esigibili» è avvenuto in maniera del tutto occasionale ed estemporanea nel corso dell’approvazione del d.l. n. 98 del 2011, convertito in l. n. 111 del 2011, «disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione
delle controversie», su cui il Csm espresse il parere 13 luglio 2011, nel
quale veniva espressamente criticato l’omesso coordinamento sistematico
della disposizione in esame con le altre vigenti norme di carattere primario precisandosi che introdurre altra e diversa categoria di «valutazione»
del lavoro dei magistrati rischia di interferire con il faticoso lavoro di determinazione degli standard di rendimento e standard medi di definizione
dei procedimenti che è attualmente in corso ad opera del Csm in attuazione dell’art. 11 nuovo ord. giud.
IL FORO ITALIANO — 2016.
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4. - L’attività del Csm in carica. Il consiglio 2010/2014 ha,
quindi, consegnato al nuovo Csm un gravoso testimone giacché,
nonostante il grande impegno profuso attraverso il comitato paritetico Csm-ministero, il neocostituito ufficio statistico del Csm, il
costante collegamento con la Digstat (11) e la prosecuzione dell’attività di determinazione degli standard di rendimento (solo per
una parte degli uffici e dei magistrati), il «sistema» non è ancora
in possesso di standard di rendimento né di programmi di gestione affidabili.
Le delibere Csm del 23 luglio 2014, in epigrafe sub II, e 10 settembre 2014 hanno stabilito di «utilizzare gli standard di rendimento predisposti dal consiglio per le valutazioni di professionalità solo per una fascia di magistrati e limitatamente a quelli
per i quali risultano acquisiti i dati statistici». Entrambe le delibere sono state ragionevolmente bloccate dal nuovo consiglio che,
con delibera 4 marzo 2015, sulla rilevata significativa difficoltà
pratica di compilazione delle schede statistiche da parte di alcune
tipologie di uffici, ha stabilito di «sospendere, allo stato, la previsione della circolare in tema di valutazione di professionalità per
il profilo relativo alla trasmissione semestrale delle nuove schede
statistiche in tema di rilevamento dei flussi statistici individuali».
Per i piani di gestione e relativi carichi esigibili, invece, il nuovo Csm con delibera del 5 novembre 2014 (ibid., 2014.622), sul
presupposto delle difficoltà che i diversi uffici giudiziari incontrano nell’acquisizione dei dati e nella redazione di programmi,
ha preannunciato un intervento di semplificazione della materia
dei programmi di gestione (poi attuato con la seconda delibera in
rassegna) e ha trasmesso un nuovo format per la predisposizione
dei programmi per l’anno 2015, «invitando i capi degli uffici ad
assicurare la collaborazione al fine del necessario raccordo tra i
dati estratti dai registri informatizzati (ministeriali) e quelli provenienti dalle tabelle di organizzazione».
Finora, quindi, l’obbligo, di determinare lo standard di rendimento, che è requisito indispensabile per una corretta valutazione della professionalità del magistrato sul piano della laboriosità, risulta — malgrado tanto impegno — disatteso. Nel contempo, si è attuato il disposto dell’art. 37, che è finalizzato «solo»
allo smaltimento dell’arretrato e vede come destinatari della redazione dei programmi di gestione i capi degli uffici ai quali il Csm
ha attribuito un obbligo esclusivamente procedimentale. Unici
beneficiari della realizzazione degli obiettivi da conseguire con i
carichi esigibili sono i dirigenti degli uffici. Solo essi, infatti, conseguono benefici attraverso l’inserimento dei piani di gestione nel
fascicolo personale quale «titolo» per la propria valutazione e
«carriera». Salvo rilevare che nessuna concreta verifica era prevista sul contenuto dei piani e sugli stessi valori dei carichi esigibili.
5. - A che punto siamo. Gli ultimi passi del Csm e del ministero. Nell’ultimo anno qualcosa si è «mosso». Il ministero della
giustizia ha proceduto ad un censimento selettivo della giustizia
civile avente ad oggetto tutti gli affari civili pendenti dinanzi ai
tribunali di primo e secondo grado, aggiornato al 31 dicembre
2014 (c.d. «targatura»). Si tratta di iniziativa lodevole, perché
sganciata dall’illustrazione dei dati in vista della giornata di inaugurazione dell’anno giudiziario, e direttamente funzionale alle attribuzioni ministeriali serventi e di supporto rispetto alle responsabilità ed attribuzioni dell’intero sistema di governo autonomo:
consiglio e dirigenti degli uffici. Un’attività conoscitiva indispensabile che ha condotto alla depurazione delle false pendenze ed
all’emersione della pendenza fisiologica, corrispondente a quella
in trattazione nel limite triennale di durata ragionevole del processo (12). Il censimento è finalizzato, nelle intenzioni ministeriali,
«all’azzeramento del rischio Pinto» con uno specifico progetto
denominato Strasburgo 2, articolato in due fasi: a) eliminazione
degli affari contenziosi del secolo scorso, b) definizione degli affari iscritti a ruolo sino all’anno 2005, così da neutralizzare il pregiudizio per il bilancio dello Stato derivante dalla persistente violazione della legge Pinto.
Il consiglio, da parte sua, ha preso atto dell’iniziativa ministeriale (in realtà senza esprimere una valutazione di merito) e con
delibera del 17 giugno 2015 ha inglobato il progetto ministeriale
nelle buone prassi approvate dal Csm, facendo rilevare che «oc-
________
(11) Direzione generale della statistica del ministero della giustizia.
(12) La relazione illustrativa può leggersi sul sito del ministero della giustizia, <www.giustizia.it>, cliccando la sezione «censimenti e Strasburgo 2».
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PARTE TERZA
corre rifuggire dalla tentazione di intendere l’organizzazione come sostitutiva delle risorse e non — invece — come un metodo di
ottimizzazione e di migliore gestione delle risorse che devono essere costantemente assicurate in maniera adeguata». Il consiglio,
con la delibera in rassegna, ha approvato una nuova risoluzione
per la redazione dei programmi di gestione per l’anno 2016. Essa
è sicuramente da condividere nelle sue cinque direttive: a) coordinamento con il documento organizzativo triennale approvato
con le tabelle degli uffici, b) valorizzazione del censimento del
ministero, c) valorizzazione dei criteri di priorità come strumento
per contemperare il dato quantitativo con quello qualitativo, d)
verifica degli obiettivi dichiarati nei piani, e) semplificazione ed
informatizzazione del format.
6. - Un maggiore pragmatismo e proposte concrete per dare
serenità e credibilità all’istituzione. Le prospettive future richiedono, però, una strategia ed un progetto chiaro e condiviso.
a) L’esame dei documenti e dell’attività sin qui compiuta rende
evidente la necessità di concentrare ogni sforzo sulla rilevazione di
un dato statistico attendibile ed omogeneo tra centro ed uffici di
cancelleria. Acquisire con intelligenza i flussi di lavoro richiede
molteplici opzioni da selezionare in base alle specifiche esigenze
ed obiettivi di valutazione, essendo ben consapevoli che, accanto
al dato oggettivo (sopravvenienze-definiti-pendenti), vi è la grande
difficoltà della misurazione del tempo lavorativo e della qualità del
servizio (13). È indispensabile dotare gli uffici di specifiche professionalità; gli unici statistici «disponibili» sono quelli presso il
ministero centrale, pur se utilizzati in varie forme temporanee,
presso il Csm o in alcuni distretti. Una richiesta chiara è quella di
assumere statistici assegnati in pianta stabile sul territorio.
b) Vanno privilegiate una metodologia di tendenziale unicità
nell’acquisizione dei dati e una consolidata sistematizzazione dei
prospetti statistici. Deve evitarsi la moltiplicazione di richieste di
dati attraverso un rapporto tra ministero e Csm non concorrenziale,
ma improntato ad integrazione e sussidiarietà. Occorre massimizzare il lavoro statistico per obiettivi diversi. Gli ultimi passi sembrano orientati in questo senso, si aspettano conferme.
La razionalità, che è alla base dell’uso delle scienze statistiche
ed informatiche, deve guidare l’acquisizione ed analisi dei dati,
sapendo distinguere le reciproche competenze, rifuggendo da esasperati perfezionismi e rigidità, non perdendo di vista l’obiettivo
finale che è quello di supportare scelte organizzative che richiedono semplicità applicativa. La realistica constatazione delle condizioni di estrema mutabilità delle condizioni degli uffici deve accompagnarsi alla consapevolezza della gravosità dell’impegno di
costante adattamento organizzativo. Accanto al carico di lavoro
esigibile dal magistrato, non si può obliterare di riconoscere una
soglia di «esigibilità» del carico di lavoro del dirigente.
c) La conferma è proprio la grande confusione che si è generata, a volte volutamente (14), proprio sulle modalità di determinazione degli «standard» e sul valore dei «carichi esigibili».
Riteniamo necessario il coordinamento degli istituti per realizzare un’unica attività di rilevazione che possa consentire di
centrare i due obiettivi.
Nell’ottica di un esercizio responsabile della giurisdizione, affinché il dibattito sui carichi di lavoro si converta in un percorso
concreto di miglioramento che coniughi gli obiettivi di efficienza
del servizio con una giusta valutazione della laboriosità del magistrato, riteniamo opportuno — in primo luogo — superare
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l’attuale dicotomia tra standard di rendimento e programmi di gestione degli uffici.
Già solo questa iniziativa, a normativa primaria invariata, sarebbe suscettibile di attivare un circuito virtuoso di miglioramento
del servizio, con incremento, allo stesso tempo, dell’assetto organizzativo di ciascun magistrato.
Se è vero che le basi normative dei due istituti indicano obiettivi
diversi, data la strumentalità degli standard alla specificazione di
un indicatore di laboriosità per fini di valutazione della professionalità, senza attingere il piano dell’organizzazione e gestione degli
uffici, è però evidente che la laboriosità di ciascun magistrato disegna — seppur indirettamente — anche la performance degli uffici che di queste attività è la risultante. La coerenza tra l’organizzazione e la valutazione del lavoro dei magistrati è quindi un
carattere necessario di un ordinamento giudiziario equilibrato.
Crediamo non appropriato né credibile rincorrere la definizione
di un numero salvifico, uguale per tutti, cui ragguagliare la produttività individuale attesa e la programmazione del lavoro degli
uffici in base ad una concezione astratta di lavoro «possibile». Tale soluzione, oltre ad essere attualmente priva di base normativa,
rischia di pervenire alla definizione astratta di obiettivi di produttività inaccettabili alla luce dell’imponenza della domanda di giustizia.
Un sicuro beneficio può scaturire da un’attività di coordinamento degli standard con i programmi di gestione, che il Csm potrebbe realizzare, con pochi mesi di attività, mediante un apposito
gruppo di magistrati esperti in collaborazione con i magistrati addetti alla struttura tecnica organizzativa in seno al consiglio.
L’individuazione dei criteri da utilizzare per «parametrare» le
prestazioni dei magistrati non appare più procrastinabile, oltre che
per garantire equità ed omogeneità alle valutazioni di professionalità, anche per restituire efficacia alla giurisdizione.
Si tratta, quindi, di definire e coordinare adeguatamente tra
loro i programmi di gestione ex art. 37 e gli standard di valutazione della professionalità, in modo da recepire e valorizzare le
caratteristiche maggiormente funzionali al raggiungimento dell’obiettivo.
In simile prospettiva, è necessario non soltanto stabilire un limite inferiore di quantità minima (standard), ma, altresì, delineare
un limite superiore di quantità massima (carico esigibile), oltre il
quale la prestazione rischia di perdere i livelli di indispensabile
qualità.
7. - Conclusioni. La valutazione del magistrato è compito primario che la Costituzione assegna al Csm. L’efficienza del servizio è responsabilità del ministro.
Ma l’efficienza del lavoro non può non riguardare anche i magistrati che sono le prime vittime del disservizio in termine di
immagine, ma anche in termini di responsabilità.
A stento, e in ritardo rispetto alla percezione che la magistratura già aveva, è stato riconosciuto che il lavoro dei magistrati
italiani non è inferiore, anzi è maggiore, a quello delle magistrature degli altri Stati. Ma questo è il vero nodo di politica giudiziaria:
questo dato, purtroppo, non può e non deve consolare.
Essere i protagonisti della giurisdizione e cioè rappresentanti di
un potere dello Stato impone alla magistratura di essere responsabile anche del modo in cui rende giustizia. Resta da affrontare il nodo della Corte di cassazione. Ma questa, forse, è
un’altra storia.
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(13) Sul tema rinviamo a F. BARTOLOMEO, Misurare la qualità del servizio giustizia, in questo fascicolo, parte quinta. L’autore è direttore generale della direzione generale di statistica del ministero della giustizia e
componente della Cepej presso l’Unione europea, istituto che provvede a
stilare i report sullo stato della giustizia nella Ue e sull’efficienza e produttività dei vari sistemi giudiziari. Il contributo si segnala per chiarezza
e completezza, fornisce a tutti gli operatori un importante quadro di riferimento nell’interpretazione dei dati statistici e, soprattutto, offre una corretta esposizione dei vari criteri utilizzati a livello internazionale.
(14) Indubbi effetti distorsivi sull’esatta percezione dei problemi e sulla concretezza delle risposte è, ad esempio, la forte contrapposizione esistente in ambito associativo all’interno del dibattito tra i vari gruppi rappresentati nell’Anm, e che ha condotto a promuovere un referendum sul
tema i cui risultati, pur segnalando una buona partecipazione dei magistrati e una valorizzazione dell’Anm e del suo statuto, potranno stimolare
ancor più il dibattito ma saranno di scarso rilievo istituzionale in mancanza di un rinnovato approccio al tema nei termini da noi auspicati nel testo.
IL FORO ITALIANO — 2016.
RICCARDO FUZIO
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