La tirannia degli idoli nella società contemporanea

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La tirannia degli idoli nella società contemporanea
La tirannia degli idoli nella società contemporanea
“Diciamo sì all’amore e no all’egoismo, diciamo sì alla vita e no alla morte,
diciamo sì alla libertà e no alla schiavitù dei tanti idoli del nostro tempo”.
Papa Francesco
Siamo fatti come lui. Possiamo mille volte tradire, tentare di cancellare questa
immagine di Dio che è in noi, ma rimane al fondo del nostro essere, la certezza che
solo donandoci possiamo trovarci. Chi si perde si trova. Ci porta a lambire tutta la
vertiginosa profondità dell’origine che sta all’inizio del nostro esistere nel mondo.
Il contrario della fede religiosa non è l’ateismo, bensì l’idolatria. L’ateismo è possibile
solo a parole, nelle filosofie, ma non nella pratica. Di fatto, all’uomo si apre una
alternativa: o l’adesione al Dio vivo e vero o la dipendenza da un idolo. Dopo la
ribellione a Dio, montato in superbia per istigazione di Satana, che è “menzognero e
padre della menzogna” (Gv 8, 44), l’uomo è permanentemente tentato di distogliere il
suo sguardo dal Dio vivo e vero per volgerlo agli idoli (I T s l , 9), cambiando “la verità di
Dio con la menzogna” ( R m 1, 25); viene allora offuscata anche la sua capacità di
conoscere la verità e indebolita la sua volontà di sottomettersi a essa. E così,
abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo, (G v 18, 38), egli va alla ricerca di
un’illusoria libertà al di fuori della stessa verità. (Veritatis splendor, n. 1) 1. Ma in che cosa
consiste questo «volgere lo sguardo agli idoli», questa idolatria così profonda?
Tradizionalmente si intende per idolatria l’adorazione d’immagini (dal greco eidolon,
immagine, e latreuo, servire, adorare) raffiguranti animali o altro. Di per sé non è
idolatrico servirsi d’immagini simboliche della divinità; lo diventa se si adora l’immagine in sé, come se fosse lo stesso dio. L’idolatria, in questo senso, è fiorita spesso
nell’antichità fra il popolo facilmente superstizioso. In termini rigorosi, la teologia
morale definisce l’idolatria come «culto indebito attribuito a una creatura». Quando
l’adorazione è cosciente, l’idolatria è peccato gravissimo, come si vede nell’Antico
Testamento per gli Ebrei che passavano al culto degli idoli sotto l’influenza dei popoli
circostanti.
Concupiscenza e Idolatria
La concupiscenza è un termine che possiede diverse sfumature a seconda degli ambiti
in cui viene utilizzato. Nella definizione più comune la concupiscenza indica la brama
di possesso e la debolezza intrinseca della natura umana che porta l'uomo a
commettere il peccato, di qualunque natura esso sia.
San
Giovanni
distingue
tre
tipi
di
smodato
desiderio
o
concupiscenza:
concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita.
1
la
(1 Gv
Maestro che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? (mt 19,16). Al giovane che gli
rivolgeva questa domanda Gesù rispose:”Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. Ed egli
chiese: «Quali?». Gesù disse: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il
falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Ho sempre
osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi
quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». Udito questo, il
giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze. Cosa sono i comandi che Gesù ricorda al
giovane? Essi non sono altro che i dieci comandamenti, cioè la Legge donata da Dio al popolo d’Israele
nel contesto dell’Alleanza mediante Mosè. Sono i comandamenti dell’Amore di Dio (i primi tre) e
dell’amore del prossimo (gli altri sette). Essi sono il cammino da seguire per vivere la nostra vita liberi
dalla schiavitù del peccato.
2,16);
il nono comandamento: “non desiderare la donna d’altri” proibisce la
concupiscenza carnale; il decimo la concupiscenza dei beni altrui.
Con parole chiarissime al linguaggio contemporaneo le tre concupiscenze si
riassumono nello slogan: potere (superbia della vita), denaro (l’avarizia con il bramare la
roba degli atri) e sesso (l’uso sfrenato del sesso), talmente emergenti oggi e anche
giustificate come conquista di civiltà da precipitare la ribellione dell’uomo in una
situazione peggiore di quella del tempo del diluvio. Come possiamo evitare di entrare
nel circolo perverso delle tre concupiscenze? Gesù ci ha consegnato le tre virtù
cristiane: castità, povertà e obbedienza, che trovano riscontro nelle tre virtù teologali
(amore, speranza e fede).
Con la virtù della castità combattiamo l’uso sfrenato del sesso. La castità
non nega l’amore e meno che meno la sessualità; invece lo esalta perché
coltiva nella persona il desiderio prioritario non del piacere, ma del farsi dono
all’altro. La virtù teologale della carità illumina il rapporto di amore tra un
uomo e una donna.
•
Con la virtù della povertà combattiamo non l’uso ma l’abuso dei beni di
questo mondo. La povertà tiene viva la virtù teologale della speranza.
•
Con la virtù dell’obbedienza si annienta la superbia come stile di vita,
l"io" al centro. L’obbedienza ci guida a mettere al centro di ogni nostra
decisione o azione, Dio e la sua volontà. L’obbedienza illumina la virtù
teologale della fede
Da un certo punto di vista concupiscenza e idolatria quasi si identificano, si danno
insieme; eppure, tra di esse v’è chiara differenza: la prima è una tendenza del cuore
che può essere convertita al vero bene dalla grazia; l’idolatria invece è sempre un
fatto negativo ed è il vissuto profondo di chi non contrasta le concupiscenze e finisce
per riporre il proprio amore soltanto su sé stesso, e trattare le altre persone come
mezzi e non come fine. I santi hanno sempre concupiscenza, ma trovano sempre più
la via per evadere dal carcere dell’idolatria, non con le loro forze, ma con il sostegno
indispensabile della “grazia” (forza trainante delle Spirito Trinitario nel cuore
dell’uomo), 2 che li rende capaci di smascherarla e portarla al Cristo redentore.
L’idolatria è invece operante quando si rimane chiusi al dono di Dio, riponendo, di
fatto, il fine ultimo in sé stessi; essa è pertanto incompatibile con un cammino di
santità.
L’idolatria indicata, nella Veritatis splendor prima citata può essere intesa in un senso
molto ampio: ◊ o come un’idolatria radicale ed esistenziale, consapevole o
inconsapevole, • o come un’idolatria della sicurezza, ‼ o come idolo della vittoria * o
come una idolatria della discriminazione che distrugge il genere umano, ♪ o come
idolatria del vivere quotidiano, che si può definire “della contingenza”, perché la si
rinviene in moltissimi modi di vivere e di lavorare di uomini e donne della società
contemporanea.
•
2
La grazia è l'azione assolutamente libera dell'amore di Dio per la salvezza degli uomini nella persona e
nell'opera di Gesù Cristo. Attraverso l'incarnazione del Figlio di Dio in Gesù, avvenuta per puro amore, la
grazia si manifesta come una persona storica concreta. Il Dio-uomo Gesù Cristo, che attua in sé la
relazione più stretta fra Dio e l'uomo, compie un'opera salvifica universale che è fonte di comunione: con
la sua morte e risurrezione egli media una remissione dei peccati e una nuova creazione, efficaci per tutti
gli uomini e capaci di stabilire una nuova comunione salvifica degli uomini con Dio. Per mantenere viva la
nuova comunione fondata tra Dio e l'uomo, il Padre e il Figlio inviano lo Spirito come amore e come
comunicazione personale nel cuore degli uomini: lo Spirito opera interiormente come forza trainante e
sostegno permanente, per portare a compimento la grazia di Gesù Cristo. Quale ausilio concreto per
mediare questa grazia, lo Spirito di Dio aduna tutti gli uomini che credono in Cristo nella Chiesa. Questa è
a sua volta inviata a trasmettere la grazia di Cristo mediante la parola salvifica efficace del Vangelo e
mediante i segni salvifici efficaci dei Sacramenti
Idolatria esistenziale
L’idolatria esistenziale è un esito negativo (come vedremo) della così detta dicotomia
esistenziale, con la quale s’intende un vissuto individuale che può subire tagli e
lacerazioni in qualunque momento della vita. I primi passi mossi sulla via
dell’individuazione di sé stesso in virtù dell’autoconsapevolezza, apportano all’uomo
indipendenza e razionalità, ma al tempo stesso lo rendono in grado di percepire la
propria solitudine, la propria separazione dai suoi simili e da un mondo nei confronti
del quale egli percepisce la propria impotenza.
L’insicurezza, l’ansia esistenziale che ne derivano, lo pongono di fronte all’alternativa
tra il rinnegare la propria umanità, barattando la libertà conquistata con nuove
dipendenze e costrizioni che si trasformeranno nei suoi idoli, ed il progredire sulla
strada intrapresa, quella dell’indipendenza e della libertà positiva, che sola può
permettergli la propria realizzazione 3. Il progressivo distacco dall’originaria unità con
la natura, il suo emanciparsi da quei legami che al tempo stesso lo opprimono e gli
danno sicurezza, conduce l’uomo alla conquista di una sempre maggiore libertà. Ma
tale libertà, come si può osservare nell’uomo moderno che può considerarsi
sommariamente emerso dalle costrizioni della società pre-individualistica, rimane una
libertà negativa, quella che Fromm definisce libertà da, che costituisce la
precondizione, ma non si identifica, con quella libertà positiva, libertà di, che sola può
consentire all’uomo il pieno sviluppo delle sue potenzialità.
Il peso di questa libertà negativa lo costringe dunque ad affrontare il paradosso della
propria esistenza. E le soluzioni che egli può dare sono riconducibili fondamentalmente
a due sole alternative: egli può relazionarsi attivamente al mondo attraverso le
proprie facoltà umane di ragione e di amore, oppure inseguire disperatamente la
sicurezza rigettandosi nella natura dalla quale è venuto, nelle sue origini di essere
animale e pre-individuato, e a spese della propria integrità fuggire dalla libertà
conquistata.
Se consideriamo il processo di individuazione come la via della libertà incontriamo le
“figure dell'alienazione” che predispongono alla idolatria.
Impedimento potente al processo di individuazione è la fissazione alla madre, che può
essere considerata secondo due punti di vista: da un punto di vista psicogenetico essa
è la prosecuzione nella vita adulta dell'attaccamento infantile; da un punto di vista
funzionale attuale essa costituisce "one of the 'spiritual' answers to human existence"
una delle risposte spirituali all’esistenza umana. 4 Cioè si può vedere la fissazione alla
madre anche come una risposta al problema dell'esistenza, un tentativo di risolvere la
sua dicotomia esistenziale. Non è solo il bambino impotente e indifeso che si trova
nella necessità che qualcuno provveda ai suoi bisogni, ma anche l'adulto, di fronte alla
complessità e difficoltà della vita, spesso cerca appoggio e aiuto, fino a sottomettersi a
qualcuno che gli prometta totale protezione.
Un adulto può sentirsi come un bambino, impaurito dalla solitudine e dalle
responsabilità, e può cercare rifugio nella fantasia di un "soccorritore magico (magic
helper" Ibid, p. 42) che si prenda cura di lui, che lo conforti e che si offra come figura
onnipotente e onnisciente, un idolo, in cui credere e in cui riporre completa fiducia.
L'anelito ad una figura onnipotente cui affidarsi e sottomettersi spinge ad una via
regressiva l'essere umano che tema il suo cammino di individuazione.
Il fenomeno del transfert rivela il tipo di strategia di sopravvivenza adottato da una
persona e il tipo di idolo a cui si rivolge. Il transfert (o traslazione) è un meccanismo
mentale per il quale l'individuo tende a spostare schemi di sentimenti e pensieri da
3
4
Erich Fromm. Dalle Origini alla Libertà. http://www.homolaicus.com
ERICH FROMM-L'Arte di Amare.-OSCAR-MONDADORI, 1992, p. 40
una relazione significante ‘passata’ a una persona coinvolta in una relazione
interpersonale ‘attuale’, con un processo largamente inconscio.
Vi fu un tempo in cui gli idoli erano animali, astri del cielo, fenomeni atmosferici,
manufatti umani. Nel secolo che si è chiuso si sono manifestati in varie figure di
dittatori e nel "culto della personalità" dei paesi comunisti.
Oggi essi sono il denaro, il potere, il successo e anche valori morali che vengono
alienati e poi proiettati, come l'onore, la famiglia, la patria. A livello privato possono
diventare idoli l'insegnante, il medico, il capufficio. Idoli del grande pubblico sono gli
uomini politici, i campioni dello sport, i cantanti, i divi dello spettacolo.
Il bisogno di idoli ostacola il processo di individuazione e favorisce il conformismo 5
sociale.
Idolatria della sicurezza
1. La sicurezza dei granai pieni: “Uno della folla gli disse: “Di’ a mio fratello che divida con
me l’eredità”. Ma egli rispose: “Uomo, chi mi ha costituito giudice o arbitro tra di voi? “. E disse
loro: “Guardatevi da ogni avarizia, poiché non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede che
è al sicuro la vita”. E disse loro una similitudine: “Il campo di un uomo ricco diede copiosi frutti
ed egli pensava tra sé dicendo: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse:
farò così: abbatterò i miei granai e ne edificherò di più grandi e porterò lì tutto il mio grano e i
miei beni e dirò alla mia anima: Anima mia, hai molti beni, riposati per molti anni; riposati,
mangia, bevi, godi. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa verranno a prendere la tua
anima, e quello che hai preparato di chi sarà?“. Così avviene a chi ammassa tesori per sé e
non è ricco presso Dio”. (Luca 12, 13-21)
Questo brano del Vangelo mette bene in evidenza la radice profonda di quella che
abbiamo chiamato “idolatria della sicurezza”. Questa radice consiste nell’illusione di
poter scongiurare attraverso il possesso dei beni l’insicurezza esistenziale della
condizione umana. Naturalmente, come dice Gesù, questa è un’illusione destinata
all’insuccesso, perché la morte arriva per tutti. Perciò questa illusione di sicurezza è
passata dal singolo individuo ad un gruppo di persone, ad una famiglia, ad una città,
fino a diventare il sistema economico sociale, che oggi chiamiamo capitalismo.
L’idolatria della sicurezza presenta queste due caratteristiche:
- l’illusione di esorcizzare l’insicurezza esistenziale della vita umana;
- la difesa di un benessere, del possesso di beni, di privilegi esclusivi, con tutti i mezzi
possibili compresa la violenza, da parte di una piccola parte di umanità contro tutti gli
altri considerati come nemici, ai quali non si riconosce nessun diritto.
Il culto del denaro, del potere, del privilegio ha sostituito il culto di Dio. Questa forma
di idolatria è stata organizzata all’interno di un sistema in cui il materialismo
consumista è messo sul trono come un dio. La sottomissione e il servizio al denaro
disumanizza le persone.
L’idolatria è la negazione di ogni speranza del futuro. Coloro che trovano la loro
sicurezza nello status quo si oppongono in tutti i modi a qualsiasi cambiamento e a un
futuro diverso.
L’idolatria è una menzogna e può perpetuarsi soltanto ingannando sempre più la
gente; presenta l’ordine esistente come l’ordine naturale delle cose ed ogni
cambiamento radicale come caos.
5
Con il termine conformismo si fa riferimento a una tendenza ad adeguarsi a opinioni, usi e
comportamenti già definiti in precedenza e politicamente o socialmente prevalenti. Questo atteggiamento
si può notare nei comportamenti più frequenti come nel modo di vestire o anche negli atteggiamenti
comportamentali, o anche nelle idee e nei modi di pensare.
L’ idolo della ‘vittoria’
Si racconta che Wellington, percorrendo la sera a cavallo il campo di Waterloo
cosparso di cadaveri, dicesse che «dopo una battaglia perduta, la cosa più orribile è
una battaglia vinta». Questa frase del vincitore di Napoleone ci fa sentire con forza
come, in tanti o forse nella maggior parte dei casi, la vittoria può e deve essere
sperata, perseguita e ove possibile ottenuta, ma non può essere mai amata. La
vittoria, più che un bene, appare come un male necessario, come un male minore
rispetto a mali più grandi che deriverebbero dalla sconfitta.
Una vittoria, in certi casi, può far cessare una minaccia di distruzione, porre fine a una
barbarie, difendere la libertà, ma non può mai dare la felicità. Quando la Seconda
guerra mondiale si conclude, grazie a Dio, con la disfatta del Terzo Reich, è ovvio il
senso di liberazione, di festa che prova l'umanità. Ma, proprio in quel momento, si
dovrebbe sottolineare l’esigenza di svalutare la vittoria; di non farne un idolo, di non
inebriarsene, perché nell'ebbrezza di vittoria, non a caso così coltivata e messa in
scena da tutti i regimi totalitari, è forte la seduzione e la tentazione del Male per
eccellenza, il Potere, l'istinto di dominare gli altri, piegarli, umiliarli e distruggerli; la
perversa strategia di sopravvivere agli altri. Ẻ la superbia della vita la terza
concupiscenza che riassume in sé tutte le guerre e gli stermini della storia umana. Il
dio che guida come auriga il cocchio dell'eroe può essere spesso il dio danaro.
Riguardo al rapporto tra la vittoria e la guerra, il più grande libro che sia mai stato
scritto sulla guerra, l'Iliade, racconta una guerra vittoriosa per i greci, popolo cui
appartiene l'autore di quel capolavoro. Nell'Iliade la guerra e la vittoria stessa sono
certo una celebrazione del valore, ma sono pure un grande lutto, una manifestazione
di morte più che di vita e questo vale per tutti, per i vincitori come per i vinti. Non solo
chi racconta la guerra e la vittoria, ma spesso anche chi la fa e la produce rivela
questa simbiosi di valore, necessità e volontà di vincere e malinconia di vincere.
Forse l'unico modo di essere vincitori è saper accettare la propria sconfitta, le proprie
sconfitte, pur continuando a combatterle senza compiacersi di esse. Non c'è nulla di
più pericoloso che ritenersi vincitori.
Ma la più vera e radicale risposta ai gridi di guerra l’ha data per tutti i tempi Gesù:
“amate e perdonate i vostri nemici”, “siate come me miti e umili di cuore”, “a chi ti
vuole togliere il mantello donagli la veste”, “a chi ti percuote su una guancia mostragli
l’altra guancia”.
Dal giusto divieto della “discriminazione” alla sua perversa “Idolatria”
La discriminazione consiste in un trattamento non paritario attuato nei confronti di un
individuo o un gruppo di individui in virtù della loro appartenenza ad una particolare
categoria. Alcuni esempi di discriminazione possono essere il razzismo, il sessismo e
l'omofobia. Di natura e contenuti specifici è la discriminazione etica.
Quello della discriminazione di genere è un problema ad oggi ancora molto diffuso a
livello globale, determinante per le politiche di progresso sociale. La distinzione
concettuale di genere fa riferimento ai comportamenti sociali determinati dalla
differenziazione sessuale e, per quanto possa apparire strano, il concetto di
uguaglianza fra i sessi è relativamente recente (in alcuni casi ancora allo stato
embrionale).
Il diritto all’uguaglianza tra uomo e donna, infatti, è stato sancito nel 1948 con la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma in molte parti del mondo è tutt’ora
inapplicato. Perché le donne, pur rappresentando oltre la metà della popolazione
mondiale e svolgendo i 2/3 del lavoro globale, ricevono solo 1/10 del salario mondiale
e usufruiscono delle risorse planetarie per un solo centesimo. In Cina, la tirannia della
politica del figlio unico, imposta con mezzi crudeli dal regime politico, ha causato fino
ad oggi la uccisione di 36 milioni di femmine con il risultato che ci sono trenta milioni
di maschi in cerca di una donna; ciò favorisce la tratta di schiave e la prostituzione
internazionale.
Se si parla di femminicidio, bisogna segnalare due notizie. La prima è che il fenomeno
- seppur diffuso - registra una diminuzione, nonostante possa sembrare il contrario
secondo l’attuale risonanza mediatica. La seconda, è ancora più sbalorditiva: la
rivoluzione sessuale iniziata nel ‘68 è complice del diffondersi della violenza sulle
donne. Esiste una correlazione tra industria pornografica - che ha avuto nella
rivoluzione sessuale il suo motore - e violenza sulle donne. Un recente studio
pubblicato sulla rivista Violence and victims, curato dall’Università della Georgia negli
Stati Uniti, riferisce che la pornografia procura nei maschi una spinta all’aggressività di
stampo misogino. La misoginia (dal greco μισεω miseo, io odio e γυνη gyne, donna)
indica l'odio o l'avversione nei confronti delle donne - generalmente da parte di
uomini, più raramente da parte di donne. La pornografia crea dipendenza e, con essa,
preoccupanti conseguenze.
«La visione continua e ripetuta degli organi genitali maschili e femminili porta
lentamente, senza che l’uomo/donna se ne accorga, ad una inibizione della capacità di
eccitarsi mentalmente: lo stesso stimolo sensoriale continuamente ripetuto se all’inizio
è eccitante, dopo un certo tempo non lo è più, e il cervello ha bisogno di stimoli
superiori». Perciò, il “salto” a un livello di perversione maggiore è breve. «Si deve
passare dai soliti film/giornali/siti pornografici “normali” a quelli per esempio con
stupri e altre violenze sessuali, o sado-masochisti, o con animali, con bambini ecc.». E
una volta che il cervello è assuefatto a certi abomini, in un’infernale viaggio dell’istinto
verso gli abissi, «alcuni possono cercare sfogo fuori da questo “ambiente” ed
esplodere in episodi di violenza, non solo contro le donne ma, cosa ancora più grave,
anche su bambini e bambine» 6.
L'omofobia è la paura e l'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di
persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (LGBT), basata sul pregiudizio.
Le lobby gay. L’égalité, gridata da Jean-Jacques Rousseau 224 anni fa in memorabili
discorsi e realizzata a colpi di ghigliottina dai giacobini, è diventato progressivamente
un dogma. Un dogma coattivo con il suo corollario: bisogna costringere l’uomo a
essere libero dalla sottomissione alla civilizzazione tradizionale, e per farlo va
idolatrato come soggetto razionale eguale, non in quanto creatura di Dio e titolare di
commisurati diritti della persona, ma come numero individuo nella catena seriale degli
altri numeri. E i numeri come gli angeli non hanno sesso.
La risonanza mediatica abilmente orchestrata dalle lobby gay 7 ha creato l’idolo
deleterio della discriminazione.
L’amministrazione Usa del presidente Barack Obama ha presentato una richiesta
formale alla Corte suprema per abolire una legge del 1996 che definisce il matrimonio
come un’unione esclusivamente tra un uomo e una donna e che aveva circoscritto il
matrimonio alle sole unioni eterosessuali. Si tratta del primo documento di un
presidente Usa che appoggia le nozze gay di fronte all’alta corte. Con la decisione
della Corte suprema americana (cinque a quattro, signori, è l’aritmetica del
progresso!) si timbra, con qualche riserva di metodo e timidezza giuridica, il
movimento che abolisce la differenza presente di genere tra le creature umane.
6
Vincenzo Puppo, violenza-contro-le-donne-tra-le-cause-anche-la-pornografia, medico-sessuologo del
Centro Italiano di Sessuologia (CIS), lastampa.it/2012/11/21/scienza/benessere/lifestyle.
7
Il fiume di denaro che sostiene in tutto il mondo le rivendicazioni contro natura e in spregio alle norme
morali e al bene comune delle lobby gay, provengono dalla fondazione di Bill e Melinda Gates. Bill Gates,
fondatore e già presidente di Microsoft, è l'uomo più ricco del mondo
Il matrimonio gay negli USA un errore di logica giuridica. 8
«La dichiarazione di incostituzionalità della Corte Suprema degli Stati Uniti del
Defense of Marriage Act in quanto “deprivazione di libertà eque” in contrasto con il
quinto emendamento sulla difesa delle libertà individuali, è un grave errore di logica
giuridica, oltre che una lesione dalle conseguenze difficilmente calcolabili ad un istituto
etico della società, prima ancora che giuridico, il matrimonio; istituto da sempre
fondativo e strutturante un’ordinata convivenza sociale, le cui basi “naturali” (il
legame eterosessuale orientato alla procreazione) riconosceva già il diritto romano,
alla luce della semplice ragione naturale, e al netto di ogni illuminazione religiosa.
[…] Nell’assunto che le coppie eterosessuali e le coppie gay non siano discriminabili in
base all’orientamento sessuale, nei loro diritti per accedere all’istituto familiare del
matrimonio, che ogni persona avrebbe diritto a metter su (e questa sarebbe la
presunta discriminazione da rimuovere), assistiamo ad un “uso ideologico e improprio,
in diritto e in fatto”, di una transitività analogica, cioè di una commistione continua, di
ciò che va riconosciuto a ‘coppia’, ‘famiglia’, ‘matrimonio’, che sono realtà affatto
diverse, e richiederebbero istituti giuridici diversi, anche quando si voglia riconoscere
a chi vi sia coinvolto (nella coppia, nella famiglia, nel matrimonio) una base comune,
più o meno ampia, di eguali diritti.
Al contrario, ciò che discende dalla pronuncia della Corte Suprema Usa è una sorta di
“neutralizzazione” familiare dell’orientamento sessuale nella e tramite la famiglia, al
fine di poter riconoscere eguali diritti ad eguali famiglie, riducendosi il legame alla
pura affettività. Il che appunto non è, perché il legame di coppia, nelle sue basi affettive e
sessuali, non è la famiglia. La famiglia è un legame sociale diverso dalla coppia affettivosessuale; tant’è che spesso fattualmente prescinde dalla presenza in essa di un
legame di coppia affettivo-sessuale. Facciano o no famiglia, la pregnanza della
differenza, anche per rispetto al dato esistenziale che vi si rappresenta, tra le coppie
gay e le coppie eterosessuali resta tutta in piedi.
E l’istanza di uno stesso istituto giuridico di protezione sociale, il matrimonio, per
legami di coppia differenti, non ha quindi quel fondamento antidiscriminatorio che
pretende. Né ci si può appellare per questa estensione del matrimonio alle coppie gay
ai diritti della persona singola, perché il matrimonio è istituto giuridico che tutela le
persone nella loro associazione in vista di un terzo, il figlio; cioè la loro naturalità
procreativa, non la loro singolarità desiderante.»
La pretesa di uniformare e rendere neutro ciò che neutro e uniforme non è, vuol dire
imporre un’equivalenza che non trova fondamento né antropologico né culturale. Non
possiamo condividere la deriva di una società che, avvalendosi ideologicamente della
teoria del gender, vuole garantire un’uguaglianza eliminando la differenza. Dopo tre
millenni in cui la famiglia è sempre stata quella tra un uomo ed una donna, oggi è in
corso una battaglia su scala mondiale per scardinare questo fondamento antropologico
della società.
È in atto una promozione organizzata a livello planetario della teoria del gender. Intanto
dobbiamo parlare di diverse teorie del gender, non ce n’è una sola, e questo può
confondere: ci sono teorie post-marxiste, o che vengono dal femminismo radicale, che
sostengono che le differenze tra uomo e donna dipendono dai canoni della società e
devono essere smantellate, mentre la comunità transgender sostiene che il genere è
semplicemente quello in cui una persona si identifica.
Il momento di svolta, si è verificato in occasione della Conferenza mondiale dell’Onu
sulle donne a Pechino, nel 1995. Nella seconda versione del documento preparatorio
8
Eugenio Mazzarella NOZZE GAY Un errore di ragione. (Professore ordinario di filosofia teoretica presso
l'Università degli Studi di Napoli Federico II.) 27 giugno 2013 www.il sussidiario.it
che fu diffusa a marzo di quell’anno, il termine gender compariva quasi in ogni
paragrafo. La cosa passò inosservata. I rappresentanti del mondo pro-life che
seguivano i lavori erano concentrati sul problema dell’aborto e non si accorsero del
fronte nuovo che si apriva. Mentre era già tutto chiaro, dall’assenza di riferimenti alla
maternità, al ruolo di moglie o marito. Tutto era già proiettato al di là delle definizioni
di uomo e donna. Da lì il concetto di gender, di identità di genere, è entrato
virtualmente in ogni politica delle Nazioni Unite.
L’ideologia del gender è una delle più grandi truffe che sono mai state architettate a
danni dell’umanità. Cosa recita in sostanza tale tesi, inventata negli anni ’90? Non si è
uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, ma lo si è solo se ci si riconosce
come tali. Quindi il sesso (sex) costituirebbe un corredo genetico, biologico e
anatomico, mentre il genere (gender), rappresenta una costruzione culturale, che può
essere anche contrario al sesso: se voglio sentirmi donna sarò donna e il giorno dopo
posso sentirmi uomo, e allora sarò uomo. Oppure se mi gira posso essere gay, lesbo,
trans, bisex e via con una scelta di ben altri “17 generi”, secondo la “Australian human
rights commission”.
E’ ovvio che tale sciocchezza sia una scheggia impazzita della rivoluzione
sessantottina, fa parte anch’essa della ribellione all’autorità, cioè verso tutto quello
che ci definisce e che però non è in nostro possesso, come appunto la nostra natura
umana. Così è nata questa favola per illudersi di decidere noi chi siamo veramente,
eliminando qualsiasi antecedente. La tesi del gender ha anche una chiara origine
ateista in quanto è ribellione anche contro Dio, non a caso recentemente Benedetto
XVI ha detto in proposito: «La Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza
del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna, e il
no a filosofie come quella del gender si motiva per il fatto che la reciprocità tra
maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore». 9
Le differenze tra femmine e maschi nel comportamento, nei gusti e nel modo di
giocare dei bambini, sono addirittura già presenti fin dalla nascita. Questi sono il
risultato della precoce esposizione del cervello agli effetti del testosterone secreto dai
testicoli (che determineranno la formazione anatomica degli organi sessuali maschili)
o alla sua assenza nelle femmine. L’azione degli ormoni sessuali ha un effetto
9
Philippe Ariño, omosessuale dichiarato da quando aveva 17 anni. Due anni fa, Philippe lascia il
compagno con cui stava dal 2009. Nel suo blog L'Araignée du desert, il “ragno del deserto” ci tiene a
precisare: “Da allora ho abbracciato la via della continenza che la Chiesa chiede alle persone
omosessuali”, in un mondo “sessocentrico” in cui i vocaboli “astinenza” e “castità” appaiono relitti di un
passato morto e sepolto alla maggior parte delle persone, qualsiasi sia il loro orientamento sessuale.
Racconta che che si è sentito pienamente accolto per quello che è, semplicemente come una persona.
Prima di iniziare il percorso che propone la Chiesa non ero felice, e vedevo che non lo erano nemmeno
molte delle persone che mi stavano intorno e ho deciso, per la prima volta, di obbedire a quello che la
Chiesa chiede alle persone omosessuali. Da quel momento ho scoperto non solo un'unità che non avevo
mai avuto prima, ma soprattutto mi sono sentito amato senza dover rinnegare quello che sono. Ho capito
che la mia vera identità è quella di uomo e di figlio di Dio, e questo è l'essenziale, poi viene il mio
desiderio affettivo, che non nego, perché esiste, ma la Chiesa, dividendolo dalla pratica, lo riconosce e
non mi forza a rinnegarlo. Ma non è più il fulcro attorno al quale ruota la mia vita: per la prima volta mi
sono sentito veramente felice e responsabile. . Mi sono accorto che quando una persona si riduce a
identificarsi nel suo desiderio omosessuale si annienta, allontanandosi da se stesso e dagli altri, mentre la
continenza permette di essere pienamente me stesso ma al contempo libero dalla violenza e dalla
schiavitù della pratica fisica. La pratica omosessuale è violenta perché annulla completamente la
differenza oggettiva tra i sessi che invece la Chiesa è ormai l'unica a far notare. La legge di Hollande è in
realtà violentissima, perché banalizza la differenza tra i sessi mettendo tutte le coppie allo stesso livello.
Paradossalmente, la legge contro l'omofobia per eccellenza è la più omofoba di tutte: è come se fosse un
“contentino” per le coppie omosessuali che ora possono scimmiottare qualcosa che loro, per natura, non
potranno mai essere. È una sorta di presa in giro che aggiunge una lacerazione alla ferita di quanti vivono
con coscienza la loro vita. Nell'ossessione di equiparare i diritti, si è cancellato con un colpo di spugna ciò
che non potrà mai essere uguale.
direzionale perché modifica la funzione cerebrale in modo permanente durante un
periodo critico delle sviluppo pre-natale e subito post-natale che si manterrà anche
nell’età adulta. 10 L’orientamento sessuale e l’identità di genere sono risultati essere
correlati a variazioni anatomiche dei nuclei dell’ipotalamo (alla base del cervello) che
sono risultati più piccoli negli omosessuali. 11 Questi reperti sono coerenti con il
concetto che l’orientamento sessuale e l’identità di genere dipendono da componenti
biologiche notevoli e sconfessano la concezione che il genere sia plasmato dalla
società.
«Discriminare non è sempre qualcosa di cattivo, poiché è semplice atto di giustizia
trattare in modo diverso cose diverse. Riconoscere le differenze non significa discriminare,
mentre ricorrere ai criteri di eguaglianza e non discriminazione in maniera assoluta
può giustificare qualsiasi esito, come quelli di cancellare le diversità di genere o di
inventare “nuovi diritti” quali il diritto al figlio, o a disconoscerlo dopo averlo voluto
con la fecondazione in vitro (parto anonimo). Definire discriminazione una qualsiasi
differenza è dunque un falso egualitarismo in cui non esistono più volti, ma tutto è
indistinto, amorfo, intercambiabile e funzionale. Cancellare le differenze reali non è
inclusione ma confusione». 12
”L’amore è amore”, ha detto il Presidente Obama. Non sappiamo quanto abbia
ragione, ma la famiglia, certo basata sull’amore, è altro, molto altro. Alla riproduzione
e alla cura dei figli l’amore da solo non basta, serve la complementarietà fisica e
spirituale di un uomo e di una donna. Di fronte a questo, i tanto invocati diritti
individuali contano più o meno del benessere dei figli? contano più o meno del futuro e
dell’equilibrio della società? A queste domande non rispondono né i giudici americani,
né i benpensanti di casa nostra. Di certo da ora in poi sarà chiesto alle famiglie di
tutto il mondo un surplus di impegno e di intelligenza per rispondere a questa
congiura contro il matrimonio.
La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti rappresenta l’approvazione ufficiale,
da parte di un’autorità civile, di un peccato morale contro natura che dovrebbe essere
invece pubblicamente condannato in nome del bene comune. Quando si arriva a
definire bene ciò che è male, normale ciò che è anormale, virtù ciò che è vizio, ci si è
davvero ormai inoltrati - come affermava Giovanni Paolo II nella sua enciclica
Evangelium vitae del 30 marzo 1995 – “sulla strada delle degenerazione più
inquietante e della sua più tenebrosa cecità morale”, i cui gravi effetti negativi nella
società dalla legittimazione di questo grave male morale, come il comportamento
omosessuale istituzionalizzato, non tarderanno a farsi sentire.
Discriminazione etica
L’Europa del 2013
Negli ultimi anni, diversi elementi testimoniano dei cambiamenti in corso nell’ambito
della politica, dell’economia e del diritto. Si assiste ad esempio a una moltiplicazione
dei diritti. I cosiddetti ‘nuovi diritti’ – i diritti individuali – che sono proprio il frutto di
una società in cui impera l’individualismo, ove tutto quello che è possibile, deve essere
reso lecito attraverso il diritto. Questi stessi nuovi diritti sembrano essersi sviluppati
parallelamente all’espansione della logica dell’economia nelle nostre società. Di fatto,
Doreen Kimura (psicobiologa della Simon Fraser University), Sex Differences in the Brain. Copyright
1999 Scientific American, Inc.
11
Nel 1991, Simon Levay del Salk Institute for Biological Studies in San Diego, e Jiang-Ning Zhou e coll.
del Netherlands Institute of Brain Research in Amsterdam riportavano che uno dei nuclei interstiziali
dell’ipotalamo anteriore, che in genere è più grande nei maschi che nelle femmine, è più piccolo nei
maschi omosessuali rispetto ai maschi eterosessuali.
12
Vittorio Possenti, (filosofo docente presso l’Università Cà Foscari di Venezia), Difesa della giusta
differenza. Avvenire, 11 dicembre 2012
10
l’attuale crisi economica e le sue risposte, mostrano chiaramente quanto molto spesso
l’economia sta diventando il metro di valutazione di norme e sottrae spazi di decisioni
alle persone (e alle democrazie): è spesso il programma economico (e non le
questioni di società) ad essere l’ago della bilancia nelle elezioni politiche. Insomma
l’economia è diventata l’autostrada attraverso la quale entrano i diritti individuali, il
cui paradigma di riferimento è un carattere che non prevede l’interrogativo su che
cosa sia la verità. Allo stesso tempo, questo stesso sistema mostra già ora i suoi limiti.
L’esperienza quotidiana mostra come questi stessi diritti non riescono a compiere
quanto promettono.
E’ particolarmente significativo notare come spesso si utilizzi un linguaggio ispirato al
diritto - il diritto alla salute riproduttiva per giustificare l’aborto o il diritto all’autodeterminazione o alla morte attiva assistita per giustificare l’eutanasia per
affermare una prassi, una cultura della morte che in definitivo è il tentativo dell’uomo
di sostituirsi a Dio nell’essere padroni della vita anziché semplici amministratori.
Idolatria mediatica. La correttezza politica e ideologica è un mostro dai molti tentacoli,
che ha afferrato e imprigionato, fino a soffocarla, l’intelligenza media del pubblico,
basta fare la prova Twitter. Mandagli 140 caratteri dotati di una qualche autenticità
psicologica, logica, morale, e vedrai quanto fiele sarà vomitato.
Certe verità, una volta affermate come idoli della piazza, non sopportano l’emergere
delle contro-verità. La reazione è di silenzio e nascondimento oppure di rigetto e odio.
Su Twitter compaiono molte cattiverie inutili e un’affermazione potrebbe scatenare un
universo di risposte negative. La rete talvolta può rivelarsi una trappola, può scoprire
oltre 2 mila scrittori ombra che invadono letteralmente il social network. E può anche
far capire quanto si è inadatti al suo linguaggio se decine di migliaia di follower
smettono di seguirti.
Le Forze di Difesa Israeliane, sono in questi giorni impegnate in una serie di azioni
militari contro Hamas - Ne abbiamo visto gli effetti sui giornali. Questa volta i militari
d’Israele hanno deciso di fare qualcosa di diverso dal solito per raccontare la propria
versione della storia: niente conferenze stampa, ma piuttosto tweet. L’uso degli
hashtag (termine della lingua inglese derivante dalla fusione delle parole hash,
cancelletto e tag, etichetta) accomuna in modo inquietante l’annuncio della campagna
militare alle migliaia di banali tweet dei fan degli One Direction, ed in effetti #Gaza,
#Hamas e #Israel sono puntualmente diventati trending topic per ore dopo la
pubblicazione del comunicato. L’uso del social media in questo caso è spregiudicato.
Tra i vari Tweet ci sono aggiornamenti in tempo reale sulle operazioni di
combattimento, descrizioni delle rappresaglie da parte di Hamas e dettagli sulle
misure difensive adottate.
Il web da, il web toglie. Rapidità e trasparenza, doti essenziali della comunicazione via
internet, ma se un pensiero anche storicamente corretto, pubblicato su Tweet è
sottoposto a strumentalizzazioni su una frase estrapolata, la persona è
inesorabilmente esposta al massacro mediatico della ‘macchina del fango’.
Idolatria della ‘contingenza’o della vita normale quotidiana
L’idolatria in senso altamente pervasivo si specifica nel suo riferimento a un idolo, cioè
a qualcosa di «intermedio» tra l’io e gli altri, atto a catturarne il consenso. Si può
identificare con una realtà materiale o spirituale; può essere legata all’agire o al
possedere, a quel che si fa per gli altri o a quello che gli altri fanno per noi.
Normalmente non c’è bisogno di disprezzare Dio per vivere aggrappati al proprio idolo,
ma se le circostanze impongono una scelta, l’idolatria rivela la sua vera faccia. Per
esempio, sono molte le ragazze contrarie al divorzio che, ormai non più giovanissime
e senza un fidanzato, circuite da uomini sposati, diventano divorziste, rompendo con
tradizioni e legami antichissimi.
Sant’Agostino percepisce bene che il fenomeno idolatrico va al di là dell’idolatria
cosciente. Parla infatti di gente che «adora i propri fantasmi», oppure «senza saperlo
amano le cose temporali fino al punto di attendere da esse felicità» (De vera religione, PL
34, 153). L’assoluto idolatrico è più che altro assestato nella superbia della vita, però
l’idolo, pur esigendo tutto, anche la vita, per quanto lo riguarda, lascia tanti campi
liberi alla soddisfazione delle altre due concupiscenze. Il vero Dio, invece, non lascia
spazio alle tre concupiscenze. Forse anche per questo l’idolatria ha sempre un seguito
di grandi masse, perché lascia una apparente libertà su tante brame e piaceri.
Gl’idoli più comuni sono il lavoro per l’uomo e il marito e i figli per la donna 13. Realtà
validissime, ma non ultime (nel senso che non sono quelle determinanti per la
salvezza dell’anima), diventano la molla che dà senso all’esistenza. Non dovrebbe
essere difficile percepire tutto ciò nella vita normale e quotidiana. La stessa Bibbia ci
dice che il lavoro per l’uomo porta le conseguenze della condanna: «Con il sudore del
tuo volto mangerai il pane» (Gn 3,19); e così l’uomo e i figli per la donna. «Moltiplicherò
i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai i tuoi figli. Verso tuo marito sarà
il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gn 3,16).
L’uomo per il suo lavoro è capace di qualsiasi sacrificio, così come la donna per i suoi
cari. Gli antichi sudavano fisicamente assai più di un professionista moderno, eppure
non è il sudore fisico che interessa considerare, bensì la fatica sempre precaria di
mantenersi al centro della considerazione altrui; se un professionista perde un cliente
sente un’inquietudine profonda, col timore di perderne altri e di fallire: è questo il
«sudore» indotto dal peccato originale. Dietro il lavoro c’è sempre il legame
significativo con gli altri, il problema del consenso radicale. Molti potrebbero pensare
di essere fuori da un problema idolatrico perché non vanno in cerca di successo.
Ma è pur vero che l’idolatria più comune nell’uomo — con tutto il suo corredo di
rapporti significativi — proviene dal lavoro, come fonte di consenso. È di somma
importanza scoprire che ogni lavoro o responsabilità, dalla più semplice e onesta a
quelle di alto richiamo, dal lavoro del professionista a quello dello studioso, del
teologo, del sacerdote, del giornalista, del politico, nasconde la propria idolatria, il
bisogno acuto di amore che lega in qualche «chiesa segreta».
Ogni idolo crea una gerarchia propria di valori.. L’adesione necessaria e imperiosa della
volontà al fine ultimo fa sì che tutto ciò che riguarda l’idolo si radicalizzi cioè diventi
assoluto, mentre il resto rimane relativo, marginale, anche se riguarda il vero Dio e si
tratta di un credente affetto da mediocrità spirituale. Così si caricano di assoluto i
dettagli del lavoro, o della casa, o, per i giovani, i rapporti di amicizia.
Tante divisioni familiari, o nel lavoro, sono dovute alla diversa polarizzazione degli
assoluti; ciò che è assoluto per la moglie è relativo per il marito. Per altro verso, tutti
possono sperimentare la tenacia e addirittura la frenesia e l’ossessione nel perseguire
alcuni obiettivi quando l’assoluto viene contrastato. San Paolo dice di mortificare la
parte di noi che appartiene alla terra, fra cui cita «quella avarizia insaziabile che è
idolatria» (Col 3, 5): l’idolatria non si ferma mai nel perseguire il suo obiettivo, anche
quando sembra momentaneamente appagata; basta un piccolo inconveniente che
viene a contrastare le sue pretese per vederla scattare immediata e imperiosa.
In quell’avarizia si possono mettere tante cose, più o meno nobili. Si può vedere la
dimensione idolatrica nella frenesia che a volte accompagna il bisogno di «successo»
che c’è in tutti noi, a ogni livello, anche apostolico. Per il successo si fanno sacrifici
immensi, non solo nello sport o nei massacri delle guerre, ma quotidianamente, dove
c’è un bisogno recondito di affermazione. Oppure, al contrario: finché il bisogno di un
consenso è soddisfatto si vive tranquillamente (una famiglia solida, un lavoro valido,
un apostolato fiorente), senza minimamente dubitare che ciò non basta davanti a Dio
13
Ugo Borghello, Liberare l’Amore, Edizioni Ares pp.65ss
e davanti agli uomini; il culto dell’idolo copre e sopporta molta indifferenza e molta
mediocrità; ma se l’idolo cade insorgono sofferenze inconsolabili.
L’idolo diventa così l’alleato dell’Anticristo. Infatti non c’è solo il problema del peccato,
ma di come esso dia origine alle iniziative di una malizia superiore. La Scrittura mette
in luce la capacità di ingannare propria dell’Anticristo, fino a farsi passare per
sacerdote: «Prima infatti dovrà venire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo,
il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che
viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando sé
stesso come Dio» (2 Ts 2, 3-4). Certamente la malizia che ci circonda si serve del
consenso radicale per ingannarci 14.
Angoscia. La frustrazione dell’uomo che non si sente profondamente amato da Dio, può
rimanere a livello di mediocrità se l’idolatria è ben compensata, oppure si trasforma in
ansia o addirittura in angoscia, con tentazioni di suicidio. L’uomo peccatore è sempre
esposto all’angoscia; l’idolo può sempre infrangersi, con conseguenze angoscianti. Se
fosse facile cambiare il fine ultimo idolatrico si metterebbe facilmente il cuore in pace
con una scelta alternativa, ma il fine ultimo non si cambia per una semplice scelta
della volontà.
Tanta gente che relega la pratica religiosa ai margini dell’esistenza, quando una
disgrazia o i casi della vita abbattono l’idolo, possono cercare consolazione nella fede,
ma in genere non la trovano: il cuore rimane legato a un interesse egoistico, senza
una vera ricerca di Dio. Chi cerca Dio per consolarsi non cerca Dio, ma sé stesso.
Chi invece in qualche modo, più genuino, ha cercato Dio già da prima, se
sopraggiunge la sventura può svegliarsi più facilmente a una reale conversione. Alla
fine si capirà meglio come la vera salvezza dall’angoscia, quando l’idolo si infrange, è
l’incontro con cristiani ben uniti che sappiano accogliere il malcapitato nella loro
comunione di amore 15.
Idolatria & responsabilità morale. Se ognuno capisse il fenomeno idolatrico attraverso la
consapevolezza della propria idolatria e quindi sperimentasse come ci sia impossibile,
nonostante mille tentativi, di uscirne perché, solo nello Spirito Santo si può dire «Gesù
è il Signore», (1 Cor 12, 3), allora capirebbe che in tanti casi non è questione di virtù o
difetti, bensì di idolatria o di amore vero. La presenza di un condizionamento ultimo,
spesso ignorato dagli uomini, ridimensiona notevolmente la responsabilità personale,
ma non la toglie. Sempre la Chiesa ha sostenuto sia la libertà e responsabilità
dell’uomo sia un asservimento esistenziale alla colpa, che rende necessaria l’opera
della salvezza. Tre elementi confluiscono in questa sintesi: la nostra prerogativa di
creature essenzialmente libere; la tristezza esistenziale del nostro asservimento alla
colpa; la gioia di essere stati affrancati in virtù dell’unico Salvatore di tutti.
Ciò appare anche dalle condanne di Lutero, Giansenio e Baio (che negano la libertà
dell’uomo) e di Pelagio (che nega la necessità della grazia per fare il bene); e anche
dall’illusione dell’illuminismo che presume di poter favorire una autentica moralità
senza ricorso a Dio. Ma tutto ciò non va contro l’evidenza massima della responsabilità
e della libertà; ed è importante che rimanga ben scolpito. «Nessuno, se sano di
mente, può dubitarne: il peccato suppone sempre una concreta ed effettiva libertà;
non può ritenersi reo di una cattiva azione chi non è realmente in grado di fare
altrimenti» 16. Giovanni Paolo II ribadisce questo aspetto della vita morale (Veritatis
splendor, nn. 57-60).
14
15
16
Ibidem, pp 67-70
Ibidem, pp. 71ss
G. BIFFI, «Liberti di Cristo», Jaca Book, Milano 1996, p. 40.
Inoltre è da evitare l’errore sempre più diffuso che fa pensare a una diminuita
importanza della moralità oggettiva 17. Sono molti i tentativi fatti dalla filosofia
moderna e dalla psicanalisi per rendere soggettivo tutto il valore delle azioni,
relativizzando i princìpi immutabili della morale. I cosiddetti «maestri del sospetto»
hanno fatto credere che tutte le nostre azioni sono ipocrite, riuscendo però soltanto a
non credere più nella verità oggettiva e anche a diseducare la vera soggettività,
scatenando l’«individualismo di massa» (l’obbligatoria «libertà» del conformismo
idolatrico). In realtà, il senso della verità oggettiva, l’educazione ai valori positivi,
rimane di primaria importanza. La responsabilità morale è legata alla coscienza 18, alla
presenza ‘innata’ dei primi princìpi del bene nel nostro intimo, e all’educazione, che,
per quanto possa essere falsata dalla cultura, mantiene sempre una misura oggettiva
della nostra responsabilità.
Tuttavia, il Signore vuole fare affidamento sulla nostra cooperazione nell'azione
evangelizzatrice: ciascuno deve sforzarsi quotidianamente di far conoscere nel suo
ambiente questo messaggio di salvezza e collaborare all’opera redentrice. Perché,
come rimarca san Josemaría, (Omelia Il fine soprannaturale della Chiesa, 28-V-1972). non
dobbiamo dimenticare che la coscienza può deformarsi colpevolmente, indurirsi nel
peccato e fare resistenza all’azione salvifica di Dio. Da qui deriva la necessità di
predicare la dottrina di Cristo, le verità della fede e le norme morali; ne deriva anche
la necessità dei Sacramenti, istituiti tutti da Cristo come cause strumentali della sua
grazia e come rimedi alle miserie proprie del nostro stato di natura decaduta (San
Tommaso d’Aquino, S. Th. q. 62, a. 1 e q. 61, a 2).
17
Riconoscere l’oggettività dei principi morali è di fondamentale importanza nell’ambito del
comportamento di una persona e delle sue responsabilità. I principi morali sono oggettivi, cioè uguali per
tutti gli uomini, perché sono dettati da Dio e sono impressi nel cuore dell'uomo come legge naturale e
sono gradualmente riconoscibili da una coscienza retta e bene informata. Questi principi sono anche
contenuti nei dodici comandamenti della Bibbia e sono stati completatati dalle beatitudini elencate da
Gesù nel discorso della montagna.
18
Benedetto XVI (Joseph Ratzinger) Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore. Editore
Cantagalli, 2008.