Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna (con particolare riferimento al

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Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna (con particolare riferimento al
Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna
(con particolare riferimento al territorio italiano)*
sorbe e noci e culóre e nespole e tò,
te scoppiassi, datteri e fighi secchi
Francesco Guccini, Cròniche epafániche,
Milano 1989: 85 (corsivo mio)
Se, nella denominazione scientifica del nocciolo, Corylus avellana, risulta chiara
l’origine del secondo termine1, abbastanza oscura resta l’etimologia del primo. Da
qui l’idea di dedicare uno studio alla parola corylus, alla sua origine e alla fortuna
che essa ebbe in latino e, in seguito, nelle lingue romanze.
1. Origini
Le origini di corylus sono alquanto dibattute e non è possibile trovare un fil rouge
che accomuni le varie proposte; affronterò pertanto la questione in due sottosezioni separate.
1.1 Il prestito
Parecchi dizionari della lingua latina mettono in relazione corylus con il gr. kórylos; anche fra questi, vi è però scarso accordo circa la natura di kórylos, che viene
da taluni segnalato come forma ricostruita (Georges/Calonghi 1957, s. corylus),
da altri come forma perfettamente attestata (Quicherat 1844, Klotz 1861,
Lewis/Short 1879, Bréal/Bailly 1898, Gaffiot 19342, LGL3, s. corylus). Bréal/Bailly 1898 è, tra i lessici consultati, il più esplicito e pone accanto a corylus la
dicitura «mot emprunté»; kórylos è tuttavia assente nei dizionari di greco (Rocci
1958, Liddell/Scott 1968, Montanari 2000, TGL4) e non viene menzionato in
* Ringrazio Alessandro Vitale Brovarone per l’attenta lettura della prima versione di questo
lavoro e per i preziosi suggerimenti che mi ha elargito.
1 «Abellanae ab abellano Oppido, ubi abundant, cognominatae sunt», annota Isidoro di Siviglia (Etym. XVII,7.24).
2 Questa indicazione non viene ripresa dalla nuova edizione del Gaffiot (ed. P. Flobert 2000,
s. cörulus).
3 Il LGL cita kórylos sotto la voce corylus, mentre non lemmatizza alcun kórylos nella sezione
greco-latino.
4 Che riportano però l’antroponimo Korélas, satrapo di Paflagonia; il TGL lemmatizza inoltre
Koréleion, città della stessa regione anatolica.
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opere dedicate espressamente all’apporto greco in latino (Jannaccone 1950) o con
sezioni significative dedicate a tale tema (Poccetti et al. 1999: 87-125). Il greco antico possedeva un termine generico, karéa, per indicare l’‘albero che produce vari
tipi di noce’ (Montanari 2000, s. karéa) e dei termini specifici, káryon leptón, k.
Pontikón e k. Erakleotikón (lett. e rispettivamente ‘noce minuta’, ‘noce del Ponto’,
‘noce di Eraclea’), e un diminutivo di káryon, karédion, per indicare la nocciola5.
Sappiamo per certo che il latino accolse come prestito dal greco il sostantivo caryon ‘noce (frutto)’, attestato in Plinio (Nat. hist. XV,24), e l’aggettivo caryinos ‘di
noce’, sempre in Plinio (Nat. hist. XV,28), ma sull’iter di *kórylos non possiamo che
addurre delle supposizioni. L’ipotesi del prestito manifesta alcuni vantaggi e alcuni svantaggi che ora andrò ad esporre.
I manuali di botanica sono concordi nell’affermare che il nocciolo è probabilmente originario dell’Asia Minore (DBot, Johnson 1974, Ferrari/Medici 1996),
come pure alcuni dei nomi del frutto greci (i già citati k. Pontikón e k. Erakleotikón) farebbero ipotizzare (il Ponto è infatti una regione storica dell’Asia Minore
che si affaccia sul Mar Nero; Eraclea è un’antica città fortificata della Ionia asiatica, nel golfo di Latmo6); in particolare, Ghisleni 1970: 383 delinea un percorso
dell’oggetto che ben si accorderebbe al viaggio compiuto dalla parola («in coltura, pare che esso [il nocciolo] si trovasse già all’epoca romana, nel Ponto, donde
sarebbe passato in Grecia, poi in Italia»). In secondo luogo, la terminazione -ylus
suona alloglotta per il latino, che la adottava proprio in alcuni rari prestiti dal greco (cf. dactylus ‘dattero, dattilo’)7.
Gli svantaggi sono purtroppo più numerosi e pesanti. Sembra innanzitutto di
comprendere che, se il greco antico conosceva vari nomi per il referente nocciola,
non ne conosceva uno specifico per il referente nocciolo; la qual cosa induce a credere che, in quella temperie culturale, il frutto fosse più importante della pianta8.
L’accento era sostanzialmente posto sulle motivazioni commerciali e, per traslato,
sulla nocciola. Ora, se volessimo dare credito all’ipotesi del prestito, ci aspetteremmo di trovare in latino una denominazione di origine greca per il frutto piut5 Il greco moderno presenta invece le forme fountoukì e fountoukìa, ‘nocciola’ e ‘nocciolo’ rispettivamente, prestiti di ritorno dal turco findik ‘nocciola’, a sua volta dal gr. káryon pontikón;
Brighenti 1912 valuta tuttavia fountoukì «pop[olare] o inelegante», preferendogli leptokáryon
(ma cf. GM, dove il solo turchismo è menzionato). Da connettersi con káryon pontikón sono pure
l’arabo búnduqa (‘nocciola’ e, più in generale,‘ogni tipo di oggetto che ricorda nella forma la nocciola’, ‘pinolo’; si veda lo sp. albóndiga ‘polpetta di carne’) e il persiano fandoq ‘nocciola’.
6 L’abitudine di designare con un etnico i frutti di origine straniera è d’altronde piuttosto consolidata: lat. armeniacum (pomum) ‘pomo dell’Armenia’ e quindi ‘albicocco’ ( it. armeniaca;
piem. armugnàn, etc.), lat. persicum (malum) ‘mela della Persia’ e quindi ‘pesca’ ( it. persica,
piem. persi), it. portogallo ‘arancia dolce’ (cf. cat. portogalla, gr. moderno portokálli, turco portukal e vari dialetti dell’Italia sett.), etc.
7 Resta peraltro vero che «[l]es morphèmes suffixaux latins . . . doivent au grec bien moins que
celui-ci ne leur doit» (Jannaccone 1950: 53)
8 Ma è anche vero che il greco non sembra avere una serie pianta/frutto compatta come il latino.
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tosto che una denominazione di origine greca per la pianta. La nocciola è detta genericamente nux9 e, solo più tardi, nux Abellana (o abellana)10. Il quadro denominativo latino ribalta quello greco; ai Romani, almeno all’inizio, interessa più la
pianta del frutto. Ciò trova conferma indiretta nel significato primitivo di corylus
‘nocciolo allo stato selvatico’ (Bertoldi 1925: 238), ‘wilder Haselnussstrauch’
(FEW 2/2, 1241b, s. corylus).
Il fatto poi che corylus venga ritenuto dal FEW (s. corylus) e da BlWtbg. (s. coudrier) una grafia ellenizzante per corulus mi porta a credere che la grecità del termine sia stata in qualche modo costruita o quantomeno accentuata; corylus è da attribuirsi probabilmente ad una tradizione grafica catoniana (Devoto/Oli 1972, s.
corilo: «dal lat. corulus, erroneamente corylus in Catone»; cf. anche DEI, s. corilo)11.
Considerando la grafia corretta corulus, ci si potrebbe chiedere se essa non sia un
ibridismo, una forma cioè ricavata dall’aggiunta di un suffisso latino (-ulus) ad una
radice lessicale greca (karéa o káryon): la parola greca originaria viene ritenuta imprecisa, eccessivamente vaga, e allora si decide di renderla più specifica mediante
un suffisso alterativo; il percorso è il medesimo che si registrerà in italiano nel passaggio da noce a nocciola, e poi a nocciolo. C’è una sostanziale consapevolezza, o
perlomeno un forte sospetto, dell’origine greca del morfema lessicale, e la si vuole
sottolineare, evidenziare, forse accentuare, attraverso la sostituzione di -ulus con
-ylus ( gr. -ylos: cf. Devoto 1967, s. corilo). Il problema è, a questo punto, di ordine fonetico: appare infatti difficile ipotizzare il passaggio di -a- greca, atona (karéa)
o tonica (káryon)12, ad -o-.
Questo mancato riscontro fonetico spiega la ragione per la quale i dizionari di
latino summenzionati mettano in relazione corylus con *kórylos, ma non citino
mai karéa o káryon; risultano altresì meno oscure le motivazioni che hanno spinto taluni a vedere un rapporto tra corylus e kórys ‘elmo’13. Che all’origine di cory«Nuces autem generaliter dicuntur omnia poma tecta corio duriore» (Etym. XVII,7.22).
Plinio (Nat. hist. XV, 88) chiama la nocciola anche nux Pontica, ma si tratta di un calco dal
greco káryon Pontikón, che non trova altro riscontro nell’opera pliniana né negli scriptores rei rusticae. L’Autore latino non era infatti estraneo a prestiti estemporanei dal greco, come dimostra
l’uso sopraccitato di caryon e caryinos. Sui grecismi in Plinio, si veda in particolare Biville 1993.
11 L’attribuzione di una grafia ellenizzante ad un autore che, come Catone, non era per nulla
filo-greco desta qualche perplessità; allo stesso modo, sembra improbabile che un profondo conoscitore di cose rustiche sia caduto in errore nel riferirsi ad una specie peraltro comune. Quanto
noi leggiamo oggi nell’edizione critica delle opere latine potrebbe d’altronde non riprodurre con
esattezza gli usi grafici di chi le vergò. La mediazione dei manoscritti è un fatto da non trascurare.
12 Nei prestiti che si riscontrano in latino, la -a- tonica resta tal quale o tutt’al più diventa -eo -i-: cf. gr. tálanton lat. talentum, gr. kamára > lat. camera, gr. trytána > lat. trutina (probabilmente mediato dall’etrusco), etc. (Palmer 1977: 62-63).
13 Spesso avvicinato a gr. kéras ‘corno’ (Frisk 1954-72, Chantraine 1968-80, s. kórys) e, per
conseguenza, alla radice indoeuropea *kDr-,*kerD-, *krñ, *kerei-, *kereu- ‘parte superiore del
corpo, testa, corno’ (Alinei 1996: 527; ma cf. IEW che, sotto la stessa radice, cita il solo lessema
greco krñnos, di uguale significato). Per Sihler (1995: 150, 204), kórys «is apparently a foreign
word», «of uncertain etymology»; per Semerano 1994 (s. kórys), il termine è affine alle basi accadiche qardu ‘guerriero’ e quarnu ‘corno, punta, pinnacolo, prua’ (si veda pure Semerano 2005: 72).
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lus possa esserci kórys viene proposto da due fonti lessicografiche: Canini 1925
lega l’it. corilo a kórys, addirittura senza citare il latino, «perché il frutto [del nocciolo] è ricoperto da una specie di elmo o di corona, avanzo del calice»; il VUI, sempre discutendo l’etimologia di corilo, rimanda al lat. corylus e al gr. kórylos, «così
detto dal greco corys elmo, perché a questa foggia è fatto il suo calice». Ne consegue che la derivazione di corylus da kórys sarebbe soddisfacente sui versanti
fonetico e morfologico (kór- + -ulus); i dubbi sono in questo caso circa la sua appropriatezza sul piano referenziale. La connessione con kórys è evidentemente
descrittiva e poggia sulla somiglianza esistente tra l’elmo e il guscio della nocciola; ora, se è vero che i nomi delle specie arboree sono spesso costruiti a partire dal
nome dei frutti rispettivi (si pensi all’it. nocciola, che genera nocciolo, o al fr. noisette, che porta a noisetier) e possono talvolta, nelle tassonomie popolari, identificarsi con essi (si veda l’uso dei continuatori di nux + suff. dim. sia per il frutto sia
per la specie, frequente nelle varietà dialettali presenti sul suolo italiano), bisogna
ricordare che in latino non abbiamo nessuna testimonianza dell’esistenza di una
forma riconducibile a corylus per indicare la nocciola. Ciò che rende poco difendibile anche questa seconda ipotesi di prestito, basandosi essa su una sorta di
relazione in absentia tra il frutto e la pianta.
Sembra quindi di poter concludere che l’ascendenza greca di corulus non è dimostrabile né sul piano della denominazione né sul piano del referente, mentre la
variante corylus va forse collocata all’interno dei falsi esotismi.
1.2 La radice comune
L’altra ipotesi che intendo qui esporre contrasta nettamente con la teoria del prestito; essa riguarda la presenza di una radice indoeuropea comune, la quale sarebbe alla base di una buona parte dei termini che erano, e talvolta sono ancora, in
uso nelle lingue d’Europa. IEW individua tale radice in *kos(e)lo ‘nocciolo’, da cui
discenderebbero il lat. corulus, l’antico ir. coll (anche ir. moderno), l’antico cimrico coll, l’aat. hasal(a), l’ags. hœsel, antico isl. hasl ‘id.’ e l’antico lit. kasulas ‘bastone da cacciatore’ (cf. Alinei 1996: 507); DEI (s. corilo) e DEL (s. corylus) congetturano *koselos; ODEE (s. hazel) registra, accanto a *koselos, *kosolos14; Devoto
1962 (s. 282) propone *kosilo.
Come si sarà notato, tra le lingue ritratte nel quadro di famiglia indoeuropeo,
non compare il greco: nessuno dei lessici consultati menziona infatti karéa o káryon, né, tanto meno, la forma *kórylos. Questo significa che, nel lavoro ricostruttivo degli indoeuropeisti, non soltanto il lat. corylus non può essere un prestito dal
greco, ma addirittura si deve supporre per le forme greche una trafila tutt’affatto
14 Sulla derivazione, da questa stessa base, delle forme germaniche si mostra meno convinto
l’EWD, che non fornisce l’etimologia del ted. Hasel (s. v.), ma si limita a suggerire un cauto avvicinamento al cimr. coll e al lat. corylus, corulus.
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differente. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che káryon, e di riflesso karéa,
abbia una relazione con un’altra radice indoeuropea, *kar- ‘duro’ (IEW, s. *kar-;
cf. Boisacq 1938, Chantraine 1968-80, Frisk 1954-72, s. káryon; Carnoy 1959, s. karéa), che sarebbe anche alla base del lat. carina ‘guscio di noce, carena’ (si vedano
sanscr. karakah ‘noce di cocco’, karka-h, karkata ‘gambero’, etc.: OLD, LEW, s. carina)15. Torna in primo piano la differenza di accento che, presso culture diverse,
veniva posta sull’albero o sul frutto. Ai Greci, che avevano precocemente intuito
le potenzialità commerciali dei frutti a guscio duro (siano essi noci, nocciole o mandorle), doveva sembrare naturale riferirsi a questi ultimi insistendo sulla durezza
dell’involucro; il nome della pianta era costruito su quello del frutto, per traslato
metonimico (si ricordi che il nocciolo non ha in greco antico alcuna denominazione specifica). Ai Romani, così come alle popolazioni celtiche e germaniche, interessava più che altro il nocciolo; l’importanza del frutto sarebbe cresciuta, e avrebbe superato quella della pianta, solo dopo che se ne fu introdotta la coltivazione,
nelle regioni del dominio romano dal clima più mite. Mentre le inferenze sopra
operate restano, per il mondo latino, vincolate al piano dei riscontri puramente
lessicali, non mancano, per Celti e Germani, evidenze etnografiche: ad esempio,
presso i Celti, si credeva che «bastasse percuotere le serpi con una verga di nocciolo, perché esse immantinente morissero» (Pedrotti/Bertoldi 1930, s. Corylus
avellana); sempre i Celti riconoscevano al nocciolo funzioni rituali, nelle cerimonie funebri e religiose, nonché la proprietà, attestata in Salento ma presumibilmente ubiquitaria, di far scoprire metalli nobili, tesori nascosti, sorgenti medicinali
(Bertoldi 1925: 247-48; IPLA 57)16; in Tirolo, è diffusa la leggenda che «la fresca
ombra di un cespuglio di nocciolo servì di rifugio alla Sacra Famiglia nella sua fuga
in Egitto» (Pedrotti/Bertoldi 1930, s. Corylus avellana) e che, da allora, il nocciolo goda dell’immunità contro il fulmine; ai Germani era vietato di far legna con
noccioli e querce, dal momento che le due piante erano protette da spiriti benefici a tutta la vegetazione (Bertoldi 1925: 238 N1)17, etc. Il nocciolo forniva inoltre
«un sostituto di grassi con le gemme precoci non ancora sbocciate, e anche un sostituto di pane» e «si trova in tombe individuali per l’alimentazione del defunto»;
con i suoi rami, molto flessibili, si ottenevano «cestini per la raccolta di bacche»
(Devoto 1962: 282-83). Non si dimentichi poi che il nocciolo è un legno da piccola costruzione (capanne, tende, argini), che doveva essere particolarmente utile a
popolazioni nomadi quali, almeno inizialmente, i Celti e i Germani; non è anzi da
15 Curiosa è l’etimologia che Plinio (Nat. hist. XV,87) fornisce di káryon, tratto evidentemente in inganno dalla somiglianza formale esistente tra questa parola e il gr. kára: «caryon a capitis
gravedine propter odoris gravitatem convenit dictum». Kára è in realtà forma da confrontarsi con
kéras (cf. N12).
16 In tempi non remoti, credenze del tutto simili sopravvivevano in alcune regioni della Francia (cf. Rolland 1896-1914/10: 198).
17 Alinei 1984: 101 ravvisa del resto tracce totemiche nell’appellativo tardo medievale Frau
‘signora’, dato nel mondo germanico al nocciolo e ad altre piante (quercia, sambuco, pino,
ecc.).
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escludere che la pianta venisse un tempo coltivata non tanto per i frutti, ma per gli
impieghi a cui il suo legno poteva prestarsi. Esistevano, è vero, anche credenze legate alla nocciola, nella tradizione gallica simbolo di fecondità e felicità coniugale
(Bertoldi 1925: 247; IPLA 57), ma non si ha contezza di un suo valore commerciale18.
Dovendo sposare una delle due teorie sull’origine del lat. corylus, chi scrive propenderebbe senz’altro per la via indoeuropea, che combina con successo dati linguistici e riscontri etnografici.
2. Riscontri
2.1 Dal latino alle lingue romanze
Ho poco sopra accennato al significato originario posseduto da corulus, corylus
(quello cioè di ‘nocciolo selvatico’); proprio da questo presupposto parte Bertoldi
1925: 238 per ricostruire la diffusione del termine latino, che sarà stato «più vitale
nel sermo provincialis che non nel sermo urbanus, fra i contadini e i boscaioli che
non fra i mercanti e gli artigiani, più vitale nelle regioni boscose e incolte dell’Imperium romanum che non nelle regioni a prato, a campo, a vigneto, a giardino». La
diffusione di corylus è parallela, in buona sostanza, a quella del gallico *collo (cf.
§2.2) e del germanico hasal.
Può essere a questo punto interessante mettere in rapporto corylus con le forme concorrenti abellana e nux + suff. dim.; queste ultime, indicanti all’inizio solo il
frutto, sono poi passate a designare contemporaneamente, nel basso latino e nelle
lingue romanze, la nocciola e il nocciolo (con o senza metaplasmi di genere, con o
senza suffissi derivazionali).
Per quanto attiene alle nocciole, già Catone (De agri cult. 8,2; 133,2) parla di nuces Abellanae e Praenestinae19 (ovvero di Preneste, oggi Palestrina); Plinio (Nat.
hist. XV,88; XVII,96) menziona più volte le (nuces) abellanae e Praenestinae e solo
in un caso le Ponticae; Columella (De re rust. XII,59; V,10), contemporaneo di Plinio, riferisce di nuces avellanae e di avellanae Tarentinae ‘nocciole di Taranto’20. Il
nocciolo è indicato con le due varianti conosciute: quella (pseudo-) ellenizzante,
corylus (De agri cult. 18,9; Nat. hist. XVI,74), e quella più propriamente latina, corulus (De re rust. XII,59)21.
Sulle denominazioni galliche della nocciola, si veda § 3.
Riproduco l’uso delle iniziali maiuscole e minuscole presente nelle edizioni consultate (cf.
bibliografia).
20 Che tuttavia, dalla descrizione che ne fa Plinio (Nat. hist. XV,90), parrebbero delle mandorle e non delle nocciole; Columella (De re rust. V,10) è ad ogni modo inequivocabile: «Nucem
Graecam et avellanam Tarentinam facere hoc modo poteris» .
21 Non è chiaro se corylus designi, in questi autori, il nocciolo selvatico oppure coltivato; si
tratta probabilmente di una voce generale, che può indicare all’occorrenza sia l’uno sia l’altro.
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Come sempre nelle testimonianze scritte, i dati a disposizione sono frammentari, ma ci permettono comunque di formulare alcune considerazioni. Innanzitutto,
il termine Abellana sembra possedere, negli autori esaminati, valori differenti: per
Catone, esso è ancora un etnico; per Plinio, un etnico22 e, nel contempo, un’antonomasia (abellana è spesso il nome della nocciola tout court, senza l’elemento
nux); per Columella, infine, un’antonomasia consolidata, che si presta già ad essere combinata con un nuovo etnico (Tarentina). In seconda istanza, tra la fine del
III sec. e la prima metà del II sec. a. C., la coltivazione della nocciola doveva essere a Roma parecchio diffusa, altrimenti Catone avrebbe omesso di scriverne. In
terzo ed ultimo luogo, corylus aveva già smarrito in epoca arcaica la connotazione
primitiva di ‘nocciolo selvatico’.
È senza dubbio problematico stabilire quali termini vi fossero in latino per i referenti nocciolo e nocciola, coltivati e no, prima dell’attestazione catoniana (collocabile tra la fine del III sec. e la prima metà del II sec.). Come ho avuto modo di
ricordare, la coltivazione del nocciolo è stata presumibilmente importata a Roma
dall’Asia Minore, attraverso la Grecia; mancano tuttavia riscontri cronologici precisi. Non sembra tuttavia essere stato tanto il passaggio semantico da ‘nocciolo selvatico’ a ‘nocciolo’ tout court, che abbiamo visto avvenire molto per tempo, a fare
entrare in crisi corylus, quanto piuttosto la trasformazione di abellana da etnico a
nome comune; si osservi, per inciso, che l’abellana è la sola qualità di nocciola che
si rivela costante da Catone a Columella e sarà infatti quella destinata, almeno a
livello di denominazione, a sopravvivere. Da quel momento incomincia, a mio avviso, la lenta erosione di corylus.
L’Impero Romano presenta, alla fine dell’epoca classica, un perfetto allineamento con l’antica Grecia: il frutto, dopo secoli di transizione, ha finalmente avuto
il sopravvento sulla pianta. Non sarà infatti un caso che le lingue romanze presentino oggi pressoché compattamente succedanei di abellana (cat. avellana, port. avelã,
sp. avellana, rom. alunù) e che, in queste varietà, il nome della pianta sia sempre costruito a partire dal nome del frutto (cat. avellaner, port. avelera, sp. avellano, rom.
alun). Solo in francese e in italiano le abellanae hanno conosciuto una nuova denominazione concorrente: nella prima lingua, avelinier ‘nocciolo’ e aveline ‘nocciola’
sono oggi molto meno popolari di noisetier e noisette; nella seconda, avellano ‘nocciolo’ e avellana ‘nocciola’ hanno parimenti ceduto il passo a nocciolo e nocciola.
Quanto si è appena notato ci introduce con naturalezza a quel nux + suff. dim.
che costituisce il tertium comparationis rispetto a corylus ed abellana. Benché nux
+ suff. dim. si configuri, tra quelli documentati, come lo strato recenziore, le tappe
del suo successo si rivelano difficilmente circoscrivibili dal punto di vista cronologico. Gardette 1962: 72 e 1964: 71 riporta, fra le attestazioni più antiche di una for22 Forse Plinio non vede una relazione tra abellana e Avella; egli sembra piuttosto considerare
abellana corruzione di un precedente Abellina ‘di Avellino’, quest’ultimo sì un etnico a tutti gli
effetti: «Ceteris quidquid est solidum set, ut in abellanis, et ipso nucum genere, quas antea Abellinas patriae nomine appellabant» (Nat. hist. XV,88).
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ma diminutivizzata di nux, la nucicla di Isidoro di Siviglia (VI-VII sec.); si tratta
tuttavia di un rimando non del tutto corretto, in quanto riferentesi alla mandorla
e non alla nocciola23. Bertoldi 1925: 239 e il FEW (s. corylus) annoverano tra le
fonti più antiche il Capitulare de Villis (VIII sec.), che, oltre ad indicare costantemente il nocciolo come avellanarius, impiega un nux minor per la nocciola24, e vari
glossari e inventari di epoca carolingia, che documentano la presenza di nocella,
nucilla, nucicla, nux minuta, nux parva ‘id’, etc. accanto a arbor abellanus e a nucis
abellanae arbor ‘nocciolo’25. Nessuna traccia di corylus; l’albero, quando viene
menzionato, è un semplice produttore di nocciole.
Sulla ragione per la quale oggi si trovino continuatori di forme diminutivizzate
di nux solo in francese (noisette) e in italiano (nocciola) si potrebbe dibattere a lungo. A me sembra che si tratti del meccanismo uguale ed opposto all’affermazione
di abellana come nome comune: se là si poteva supporre che l’innovazione fosse
partita dalle ultime propaggini dell’Impero, dove non risultava più del tutto trasparente la relazione tra abellana e il luogo di origine26, per poi raggiungere la Capitale, qui l’innovazione parte sicuramente dal centro (Aquisgrana o altri nuclei di
potere franchi) senza tuttavia riuscire più a irradiare la periferia, che ha ora altri
padroni (Arabi nella penisola iberica; Gepidi prima, Avari poi, in Dacia). La fortuna di nux + suff. dim. si arena nelle secche delle nascenti lingue romanze,
godendo le innovazioni del latino di una spinta propulsiva sempre più ridotta.
Rapida è la coniazione, nelle aree interessate, di una forma con desinenza -ariu a
partire dalla base nux + suff. dim.; si osservi che l’attenzione si mantiene, ormai
pervicacemente, sul frutto.
2.2 Le lingue romanze
Nel precedente paragrafo ho cercato di riprodurre l’iter percorso da corylus attraverso i secoli; ho provato altresì a rendere conto di come tale termine sia entrato
in crisi. Ci si aspetterebbe forse che, al momento attuale, il tipo lessicale corylus
risultasse comune soltanto nel sottocodice dei botanici27; in realtà, nelle pieghe
23 «Amigdala Graecum nomen, quae Latine nux longa vocatur. Hanc alii nuciclam vocant,
quasi minorem nucem» (Etym. XVII,7.23).
24 Considero forme diminutivizzate non solo quelle in cui compare un suffisso alterativo, ma
anche quelle in cui si registra un modificante volto a rendere le dimensioni della ‘piccola noce’
(minor, parva, etc.).
25 Un repertorio molto completo delle denominazioni della pianta e del frutto nel latino medievale è in Rolland 1896-1914/10: 182,184; la lista difetta nondimeno di compartimentazioni topografiche e cronologiche precise.
26 Come si è visto, dalle testimonianze di cui siamo in possesso, è l’ispanico Columella a sancire la definitiva indipendenza di abellana dalla città di Avella (o perlomeno a farne un deonimo,
non è dato sapere quanto consapevole).
27 Si ricordi infatti che la denominazione scientifica del nocciolo è Corylus avellana, e risulta
comune tra gli specialisti l’uso di corileto ‘insieme di noccioli’ al posto di noccioleto.
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delle varietà neolatine, qualcosa è riuscito a sopravvivere. Sono scampoli, resti, di
un’area un tempo molto più estesa.
Partiamo dalle lingue nazionali. In un quadro romanzo di totale abbandono di
corylus, francese e italiano costituiscono nuovamente l’eccezione. Della fortuna di
abellana e nux + suff. dim. nelle due lingue si è già trattato; di corylus non si è invece ancora detto che ha avuto come esiti, rispettivamente in francese e in italiano, coudrier (anche coudre: cf. GR) e còrilo. Mentre il termine còrilo è pervenuto
all’italiano per via dotta, continuando evidentemente il corylus latino, la parola
coudrier ha seguito un’altra via. È infatti opinione comune che l’antico francese
coldre, di cui coudrier è sviluppo seriore, non discenda direttamente dal latino classico corylus-corulus, bensì dal latino popolare *còluru. Il passaggio da corulus alla
forma metatetica *còluru si sarebbe maturato in territorio gallo-romano (Bertoldi
1925: 240) per influsso del locale *collos *coslo (DEI, s. corilo), *collo (BlWtbg.,
Dauzat et al., s. coudrier; FEW, REW, DEL, s. corylus), coetimologico ( ie.
*koselo) e di uguale significato. Secondo Bertoldi 1925: 255, la decadenza di
corylus viene in parte mitigata proprio da questo incontro fortuito. Corylus trae
forza dall’incontro con il gallico *collos (*collo) e diventa *còluru28; ma la nuova
stagione di fasti, che è in realtà il canto del cigno di un vocabolo ormai destinato
al tramonto, si consuma nel volgere del bellum gallicum: troppo forti sono le spinte commerciali legate ad abellana. La pervasività della forma metatetica deve comunque essere stata notevole, se il mantovano Virgilio (Georg. II,396) impiega
l’aggettivo colurnus ‘relativo al nocciolo’ e se, ancora oggi, le attestazioni linguistiche paiono ricongiungere idealmente la Gallia Transalpina con la Gallia Cisalpina e la Rezia.
In territorio francese, i succedanei di *còluru sopravvivono attualmente ai bordi
dell’antica zona di diffusione (Gallia Lugdunensis, poi Celtica, e porzione settentrionale dell’Aquitania; cf. FEW, REW e REWs, s. corylus), nella quale le forme
originarie hanno ceduto il passo a noisetier e, meno spesso, ad avelinier. I dati di
ALF 918 (noisetier) rivelano la persistenza di *còluru nel lembo nord-occidentale29
e centro-nord-orientale30 dell’Esagono; le due aree sono collegate da una fascia
centrale ormai piuttosto sbrindellata, dove le incursioni di nux + suff. dim. + -ariu31,
28 Utilizzerò, nel prosieguo del lavoro, *còluru come categoria metatetica sovraordinata, consapevole del fatto che esistono, nell’estrema frammentazione della Romània, continuatori diversi per genere (cf. frprov. cudra *còlura), per posizione accentuale (cf. bolognese clur *colúru;
ma cf. Bertoldi 1925: 258, che avanza l’ipotesi di una forma base *colureus) o per entrambe le
caratteristiche (cf. modenese culöra *colúra). Si tratta di una scelta coerente rispetto agli obiettivi di questo lavoro, che si propone di riflettere sulla concorrenza tra *còluru e gli altri lessotipi
(*abellan(e)ariu e nux + suff. dim. + ariu) più che sulle differenti realizzazioni fono-morfologiche
di *còluru.
29 In particolare, Manche, Calvados, Ille-et-Vilaine, Mayenne.
30 In modo speciale, Vosges, Marne, Haute-Marne, Meurthe-et-Moselle, Haute-Saône, Côted’Or, Doubs, Haute-Savoie.
31 A differenza dell’Italia centro-settentrionale, che conosce esiti suffissati di *nuceola (DEI,
s. nocciuòla), la Francia del centro-nord rivela talvolta succedanei di nucicula + -ariu (FEW, s. nu-
20
Riccardo Regis
e talvolta di abellan(e)ariu32, hanno spesso avuto ragione della voce più arcaica33.
Occorre tuttavia precisare che, anche nelle località in cui coudrier si mantiene, possono essere ravvisati segnali di sostituzione incipiente dell’antico lessotipo: non
sono rari i casi che vedono, accanto a coudrier e simili, un noisetier34 o un avelinier35, così come non mancano esempi di specializzazione semantica dello stesso
coudrier36.
Degno di riflessioni ulteriori è il dominio francoprovenzale transalpino, e più
precisamente la sua estremità orientale (Suisse Romande, Haute-Savoie, e parte
dello Jura e della Savoie); la buona concentrazione di cödr e cudra37, confermata
tanto dai dati dell’ALF quanto, per l’area elvetica, dai materiali del GPSR (s. coudre; cf. anche coudrier), è qui forse da spiegarsi come una reazione al tipo *abellan(e)ariu, proveniente da Sud e da Ovest, e nux + suff. dim. + -ariu, proveniente
da Nord. L’area francoprovenzale non fa che riflettere, per quanto attiene alle
denominazioni del nocciolo, la sua collocazione geografica tra dialetti provenzali
(tipo *abellan(e)ariu) e dialetti oitanici (tipo nux + suff. dim. + -ariu). I rilievi
dell’ALJA 480 (noisetier)38, condotti quasi settant’anni dopo le inchieste dell’ALF,
mostrano una situazione linguistica ancora non del tutto pacificata: in Haute-Savoie (14 punti indagati), il tipo *còluru ricorre in tre località, il tipo *còluru con
*abellaneariu in quattro, il tipo *abellaneariu nelle restanti sette; in Savoie (diciassette punti indagati), il tipo *còluru è attestato in tre località, il tipo *còluru con
*abellaneariu in due, il tipo *abellaneariu nelle dodici rimanenti; nello Jura (dieci
punti indagati), il tipo *còluru è registrato in cinque località, il tipo *còluru con
nux + suff. dim. + -ariu e *abellaneariu in una località rispettivamente, il tipo nux +
suff. dim. + -ariu in tre. Anche ALJA 480 manifesta, limitatamente a Haute-Savocicula) e, molto più spesso, forme da connettersi con noisetier; si osservi tuttavia che queste ultime sembrano essere di coniazione più tarda, e comunque già neolatina (la stessa base noisette è
generalmente valutata come un alterato diminutivo di noix: cf. BlWtbg, s. noix).
32 Il tipo *abellan(e)ariu sussume gli allomorfi abellana + -ariu e *abellanea + -ariu, diffusi, il
primo, in alcune zone della Francia meridionale, il secondo, nell’area francoprovenzale e in una
porzione ormai vasta del territorio occitanico (LEI, s. abellana; cf. anche FEW, s. *abellanea e
GPSR, s. alonyë, che suggerisce la mediazione di *aullania). Lo scambio tra -anus e -aneus avviene frequentemente nel tardo latino; in francoprovenzale, in particolare, il mantenimento di
-anea è stato forse incentivato dal significato collettivo che il suffisso già possedeva (FEW, s.
*abellanea).
33 Si vedano i Dipartimenti Loire-Atlantique, Allier, Nièvre, Yonne, Saône-et-Loire.
34 Cf. Haute-Marne (p. 28), Vosges (p. 59), Loire-Atlantique (p. 445, 466), Maine-et-Loire
(p. 433, 435), Indre-et-Loire (p. 408, 414), Loire-et-Cher (p. 316), Cher (p. 101, 103), Côte-d’Or
(p. 16), Indre (p. 303, 404), Jura (p. 21, 22, 23).
35 Cf. Savoie (p. 964).
36 Cf. Aube (p. 113, 114), Haute-Marne (p. 49), Loire-et-Cher (p. 306), Haute-Saône (p. 25),
Allier (p. 802), con noisetier per la pianta e coudrier per l’arbusto (nocciolo selvatico?).
37 Che lascerebbe intuire, come già si accennava, un antecedente *còlura. Questa interpretazione etimologica non compare tuttavia nel GPSR (s. coudrier), che riporta soltanto la base
metatetica sovraordinata *còluru.
38 Che, com’è noto, non riguardano la Svizzera romanda.
Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna
21
ie e Savoie, esempi di persistenza di coudrier (e simili) con significato diverso da
quello primitivo di ‘nocciolo’; si noti, in particolare, che esso vale ‘bois de noisetier’
in un punto della Haute-Savoie e in due punti della Savoie, dove il nocciolo è reso
con un succedaneo di abellaneariu, mentre compare nell’accezione di ‘nocciolo’,
ma solo limitatamente all’espressione buè de cudrè, in due località della HauteSavoie e in una località della Savoie39. I due casi citati sono in tanto significativi in
quanto palesano il graduale passaggio del termine cudrè a fossile linguistico.
Lo stesso movimentato contendere fra i principali lessotipi romanzi è dato di
cogliere non appena si attraversino le Alpi, e dalla Francia si passi in territorio italiano. Tornano qui utili i materiali di ALEPO I.I.80 (nocciolo), concernenti il Piemonte occidentale; com’è noto, si alternano nell’area l’occitano (valli alpine a sud
dell’Alta Valle di Susa), il francoprovenzale (valli alpine a nord della Bassa Valle
di Susa, fino ai confini con la Valle d’Aosta), il piemontese e, quale lingua di superstrato culturale, l’italiano. Le denominazioni del nocciolo riflettono, meglio di
altre, le correnti e i contrasti delle valli Cisalpine: i continuatori di *còluru, oggi
relegati in territorio francoprovenzale, nello spicchio occidentale del confinante
Canavese e in un punto isolato dell’Alta Valle Tanaro (930), risultano insidiati dai
succedanei di abellaneariu, che rivela ancora una certa solidità nel dominio occitanico, e di *nuceolariu, oggi proveniente dalla pianura. Per non portare che
qualche esempio, Traversella (p. 012) e Val della Torre (p. 016), di parlata pedemontana con tratti francoprovenzaleggianti, i continuatori di *còluru originario
sta gradualmente soccombendo sotto i fendenti di ninsola-linsola-linsulé. Se a ciò
si aggiunge che le denominazioni del frutto sono nella zona unicamente ninsolalinsola, si assiste, su scala molto ridotta, alla stessa dinamica che ho ipotizzato essere stata alla base della crisi di corylus in epoca romana: l’innovazione legata al
nome del frutto conquista rapidamente lo spazio lessicale circostante, tanto da invadere quello riservato al nome della pianta. Adesso come allora, il vettore economico-commerciale resta comunque il più forte; la strada per i continuatori di
*nuceolariu è ormai spianata.
Qualche parola occorre certamente spendere circa la Valle di Susa, territorio di
sutura tra i domini francoprovenzale e occitanico. Nella Bassa Valle, dove ancora
vi sono alcuni punti di lingua francoprovenzale, le denominazioni del nocciolo presentano maggioritariamente il lessotipo ulagnèr 40 di contro a cudra, che è attestato soltanto a Novalesa (p. 310) e Condove-Prato Botrile (p. 360)41.
‘Nocciolo’ è anche qui reso con alognè ( *abellaneariu).
La stessa intrusione ha interessato l’unico centro della Val Sangone indagato dall’ALEPO,
Coazze. Già Terracini 1981 [1937] metteva d’altronde in evidenza l’orientamento linguistico
della Val Sangone verso la Bassa Valle di Susa.
41 Il successo dei continuatori di abellaneariu è stato attribuito da Terracini 1981 [1937]: 318
alla presenza in Valle di un sostrato provenzale, che si spiegherebbe storicamente col fatto che
«la corrente discendente dal Monginevro, via romana, sia più antica di quella del Cenisio» (cf. anche Terracini 1969 e Buffa et al. 1970). L’annotazione di Terracini è molto problematica, in
quanto lascerebbe ipotizzare che i cudra registrati nei p. 310 e 360 non siano dei relitti di un pre39
40
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Riccardo Regis
Per restare al dominio gallo-romanzo, andranno poi esposti per sommi capi le
condizioni in cui versa *còluru in Valle d’Aosta. Chenal/Vautherin 1997 (s. coudra) attribuiscono ai continuatori di *còluru il significato arcaico di ‘nocciolo selvatico’, mentre riservano ai continuatori di abellaneariu il senso di ‘nocciolo coltivato’. Interlocutori sono invece i dati di AIS 1302 (nocciuola, nocciuolo), p. 123 e
p. 122, che offrono per ‘nocciolo’ i lessotipi *còluru e rispettivamente abellaneariu,
senza però attestare alcuna specializzazione semantica; confrontabili risultano i
materiali raccolti da ALF 918 ai p. 985 e 986.
Procedendo verso oriente e tornando di nuovo in territorio amministrativamente piemontese e linguisticamente gallo-italico, occorre soffermarsi sul Biellese e
sulla Val Sesia. Per il primo, Sella 1992 (s. Corylus avellana) attesta una molteplicità di usi che AIS 1302 (p. 135, 137) tace42: còller e varianti valgono ‘nocciolo selvatico’; aulana e varianti ‘nocciolo coltivato’; nisciola-nisciulè e varianti tanto ‘nocciolo selvatico’ quanto ‘nocciolo coltivato’. Per la seconda, Tonetti 1894 riporta sia
colòra ‘pianta del nocciolo’, che il FEW (s. corylus) fa risalire a *coluria, sia nicciòla ‘pianta e frutto del nocciuolo o avellano’; i dati di AIS 1302 (p. 124) confermano.
Il territorio gallo-italico lombardo registra occorrenze di succedanei di *còluru
soltanto nella sezione settentrionale43: Canton Ticino (AIS 1302 P. 53, Val Leventina; P. 50, Val Maggia, dove è sono pure attestate forme da ricondursi a *nuceolariu44), Canton Grigioni meridionale (AIS 1302 p. 45), Comasco (Monti 1848, s. còler), Valtellina (AIS 1302 p. 209, 218) e Val Camonica (AIS 1302 p. 229).
Dal dominio dialettale lombardo, l’esplorazione continua verso settentrione e
verso oriente. A nord, si trova l’estesa area grigionese romancia (AIS 1302 p. 5, 9,
10, 11, 13, 14, 16, 19: Surselva, Engadina), dove i continuatori di *còluru si conservano piuttosto stabilmente. Il DRG (s. coller, collera ‘Hasel, Haselstrauch, Haselbestand’, con il secondo di diffusione esclusivamente surselvana45) corrobora i dati
dell’AIS, ponendo tuttavia in evidenza: la prevalenza del significato di ‘cespuglio
cedente *còluru, bensì delle sostituzioni seriori di un abellaneariu un tempo diffuso in tutto il bacino della Dora Riparia.
42 AIS 1302 fotografa infatti una situazione in cui soltanto le forme da connettersi con
*nuceola e derivati sono presenti. Un utile raffronto, per l’area pedemontana, è Giamello 2004
(s. Corylus avellana), che compendia numerose varianti fonetiche e morfologiche dei lessotipi
ninsulé e ulanìe; il dizionario non offre tuttavia alcuna attestazione relativa ai continuatori di
corylus.
43 Il Novarese, benché Penzig 1924 (s. Corylus avellana) riporti per esso la forma colora, non
presenta testimonianze lessicografiche o atlantistiche in tal senso (cf. Belletti-Jorio 2001-03,
Ferrari s. d., Fortina et al. 1992, Oglino 1983, nonché AIS 1302 p. 129, 137, 138, 139).
44 La lotta tra i due lessotipi è d’altronde piuttosto viva nella Svizzera italiana, con còlar e culéra in Bregaglia, a Brusio e a Poschiavo, e nisciöla a Bellinzona e a Locarno (cf. LDSI, s. còlar, culéra e nisciöla). Mentre alcuni studiosi (von Wartburg, Bertoldi) sostengono la specializzazione del
continuatore di *còluru nel significato di ‘legname’ e l’uso di niciolér per indicare l’arbusto portatore di frutti, altri (Schaad) attestano l’impiego di còlar in entrambi i contesti (VDSI, s. còlar).
45 Che l’area del collettivo col(e)ra fosse un tempo più vasta si ricava dallo stesso DRG, che
cita i toponimi engadinesi Coldra (Ftan) e Coltra (Sent).
Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna
23
di nocciolo’ in Surselva; la sempre maggiore popolarità di nisciuler in Engadina. A
est della Lombardia, si segnalano alcuni riscontri trentini. Questi ultimi meritano
una riflessione più attenta, dal momento che, oltre ai dati di AIS 1302 (p. 320, 323),
vi sono per la zona altre fonti, che ci consentono di dipingere un quadro più minuzioso. Espressamente all’anaunico e al solandro è dedicato Quaresima 1964, che
attesta la discreta vitalità in loco di *còluru (s. còler), di contro al trentino del capoluogo noscelàr (che continua la base veneta, e di area meridionale, nucellariu:
cf. DEI, s. nocèlla); Pedrotti/Bertoldi 1930 (s. Corylus avellana) e Bertoldi 1925,
dal canto loro, forniscono un quadro topograficamente molto dettagliato del Trentino e della Ladinia dolomitica, restituendo al lettore una zona divisa tra còler e
ninsciulàr, con alcune intrusioni del tipo golanèr ( abellanariu46; cf. Bleggio, Iavré, Montagne, Pinzolo e AIS 1302 p. 330). Bertoldi 1925: 259-60 discute inoltre
con attenzione numerosi esempi di slittamento semantico a cui i continuatori di
*còluru sono andati incontro: in qualche centro della Valle di Non, còler è passato
ad indicare soltanto una parte della pianta (rami, pertiche, ceppaie)47; per un contadino di Ruffré, il legname di còler è presente nella bottega del falegname, mentre nel bosco vi sono unicamente i noshlari; per un informatore di Dovena, còleri
sono i cornioli e noshlari i noccioli, etc. Che il mutamento di significato, e la specializzazione «impropria» – non cioè nel senso di ‘nocciolo selvatico’, ma in altre
direzioni –, sia un sintomo di crisi profonda di *còluru si è già fatto notare per Savoie e l’Haute Savoie48; qui la disgregazione pare tuttavia aver compiuto un passo
ulteriore.
Più a sud, il tipo metatetico *còluru sparisce per poi riaffiorare nel Piacentino
(AIS 1302 p. 420, cölara: genere femminile), nel Modenese (AIS 1302 p. 464, culöra:
genere femminile con spostamento d’accento) e nel Bolognese (AIS 1302 p. 455,
clura: genere femminile con spostamento d’accento; p. 456, clur: genere maschile
con spostamento d’accento) sarà interessante rilevare che le attestazioni concernono la sola zona appenninica per Piacenza e per Modena (nel dialetto urbano di
Piacenza, Foresti 1882 non registra che ninsöla; per Modena città, Maranesi 1893
e Neri 1981 riportano parimenti l’unico lessotipo ninzóla, linzóla),Appenino e città per Bologna (si vedano anche Berti 1869 e Ungarelli 1901, s. clur).
Incontriamo poi alcune testimonianze liguri, limitate all’Imperiese (AIS 1302
p. 190 e 193, nel secondo in condominio con *nuceola; cf. anche Carli 1973 e DPL)
e in consonanza con l’attestazione di ALEPO I.I.80 a Briga Alta (p. 930), centro
Ma, a ben vedere, potrebbe trattarsi di un incrocio tra *còluru e abellanariu.
Mutamenti semantici non troppo dissimili sono stati rilevati in Engadina, Bregaglia, Vallonia e Lorena. L’uso di còler per fare riferimento al legno della pertica, in particolare, sembra
riconducibile alle proprietà miracolose riconosciute al legno di nocciolo, col quale, come si è
detto, era sufficiente toccare le serpi perché queste morissero (si ricordi anche l’antico lit. kasulas ‘bastone di cacciatore’).
48 Va da sé che il ragionamento pare funzionare per il nocciolo, ma risulta problematico per
altre specie. Basti citare, a questo proposito, la diffusione di arbra per Castanea sativa in alcune
zone del Piemonte, dove è per il resto ancora molto vivo l’uso dello stesso termine per Populus sp.
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di parlata perioccitanica con notevoli influssi liguri intemelici; nessun riscontro invece nel Genovesato e nello Spezzino, dove solo i continuatori di *nuceolariu sono
presenti (cf. Casaccia 1876, Plomteux 1975).
Il breve excursus compiuto all’interno della Romània pone in evidenza un fatto
importante: l’osservazione del FEW secondo la quale *còluru si sarebbe conservato in Francia ai margini dell’originaria area di diffusione (vale a dire la porzione della Gallia più profondamente celtizzata e meno romanizzata, quella Lugdunensis) è applicabile pure ai territori italiano ed elvetico. A partire dalla Liguria
occidentale, i continuatori di *còluru si distribuiscono infatti ai bordi della Pianura, alla quale solo *nuceolariu è conosciuto; essi interessano le zone periferiche
dell’area a sostrato gallico, e cioè, riassumendo, il Piemonte occidentale e settentrionale (Valli francoprovenzali, Canavese occidentale, Val Sesia), la Valle d’Aosta, la Lombardia settentrionale (Como, Valtellina, Val Camonica), il Ticino (Valli
Leventina e Maggia), i Grigioni (Surselva, Engadina), il Trentino occidentale (Val
di Sole,Val di Non,Valle di Rendena,Valle di Giudicàrie,Valle di Fiemme) e l’Emilia (Appennino, con l’aggiunta della città di Bologna).
2.3 La toponomastica
La convinzione che l’area odierna di corylus (e varianti) altro non sia che l’ossatura esteriore di uno scheletro un tempo ben più ricco di giunture è alimentata
dalla toponomastica49. Da una verifica condotta sull’indice dei nomi dell’Atlante
stradale d’Italia [Centro Nord (Touring Club Italiano, Milano, 2003) e Centro Sud
(Touring Club Italiano, Milano, 2004)], ho ottenuto i seguenti riscontri, che fornisco suddivisi per regioni amministrative (da nord-ovest a sud)50:
– Piemonte: Colleretto Castelnuovo e Colleretto Giacosa, entrambi in provincia di
Torino, Colloro (VB)51 e Rio Coloré (comune di Bra – CN);
– Lombardia: Cóllere (BG), Cólleri (PV), Colorina (SO);
– Canton Ticino: Coldrerio52;
49 Mi limito qui ad alcune annotazioni sulla situazione italo-romanza. Per il territorio francese, si rimanda ai dati contenuti in Rolland 1896-1914/10: 186.
50 La lista che qui si riporta non è da considerarsi esaustiva; essa mira semplicemente ad offrire una visione d’insieme della fortuna toponomastica di corylus e affini.
51 È credibile che anche i toponimi Cornale, Cornaletto, etc., diffusi in Piemonte, siano da ricondursi ad una base *corynale (cf. Raimondi 2003: 62).
52 Che è tuttavia di origine incerta, potendosi collegare tanto a *còlurus quanto a cal(i)daria
‘caldaia, calderone’ (VDSI, s. coldrée). Lo stemma del comune presenta la raffigurazione di un
ramo di nocciolo e di una caldaia affiancati. Secondo il DTS (s. Coldrerio) però, «nella sua forma attuale il toponimo Coldrerio risale senza dubbio al sostantivo latino cùl(ı̆)dñrı̆um ‘calderone, caldaia’ con ulteriore suffisso latino in -ñı̆us . . . Potrebbe però trattarsi pure di una rimotivazione popolare molto antica di un nome anteriore di un nome anteriore non più capito» (prima
attestazione 852 Caledrano, Caletrano).
Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna
25
– Trentino Alto Adige: Cóler (TN)53;
– Veneto: Colloredo (VI);
– Friuli Venezia Giulia: Colloredo, Colloredo di Monte Albano, Colloredo di Prato (tutt’e tre in provincia di Udine);
– Emilia Romagna: Coloreto (PR), Corleto (RA), Corletto (MO)54;
– Toscana: Coloreta (Monte) (FI), Coloretta (MS)55;
– Puglia: Corleto (FG);
– Campania: Corleto Monforte (SA);
– Basilicata: Corleto (bosco di) e Corleto Perticara, ambedue in provincia di Potenza;
– Calabria: Colloreto (Convento di) (CS)
– Sicilia: Corleone (PA)56
Un primo rilievo deve riguardare la distribuzione geografica dei nomi di luogo che
continuano corylus (o meglio coryletum ‘noccioleto’) e, soprattutto, come essi siano concentrati in forte maggioranza al Centro-nord; in secondo luogo, bisognerà
notare che nell’Italia centro-settentrionale i toponimi sono, in quindici casi su diciassette, da ricondursi alle basi metatetiche *còluru o *coluretum. Ciò che conferma, per un verso, l’antica popolarità di corylus nei territori celtizzati, per l’altro,
la nettissima prevalenza in queste aree della varianti *còluru, causate dall’interferenza con il gallico *collo ‘nocciolo’. Il fatto poi che si registri l’occorrenza di un
Colloreto in Calabria fornisce un’ulteriore evidenza: che la metatesi, sebbene sia
stata accolta più facilmente nelle zone celtizzate dove si affacciava *collo, è comunque possibile in latino e neolatino.
In buona sostanza, la sopravvivenza di nomi di luogo legati a corylus e simili
laddove mancano attestazioni dialettali riconducibili al medesimo lessotipo contribuisce a rimpolpare quel territorio che, a chi consulti atlanti linguistici e dizionari, appare oggi fin troppo scarnificato.
53 Tale riscontro isolato è però da incrementare con la folta schiera di microtoponimi trentini fornita in Pedrotti/Bertoldi 1930 (s. Corylus avellana).
54 In via cautelativa, escludo dalla lista Colorno, che è interpretato come Caput Lorni dal DT
(s. Colorno); scorgono invece una connessione con l’aggettivo virgiliano colurnus FEW (s. corylus) e Pellegrini 1990 (s. Colorno).
55 È possibile che la stessa etimologia abbia pure Quorle presso Poppi (AR).
56 L’origine del toponimo è in realtà dibattuta, essendo stata variamente attribuita all’arabo
oppure al latino. Se si sposasse la seconda ipotesi, Corleone sarebbe da collegarsi a corylus; non
si può tuttavia escludere la connessione con un antroponimo locale (cf. DT, s. Colorno).
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3. Fortuna
Ho insistito più volte sul ruolo giocato, nel ritrarsi di corylus, dalle nuove denominazioni legate alla nocciola.Ma è sufficiente il movente commerciale per giustificare
la morte quasi totale di una parola, per di più in un territorio vasto come l’Impero
romano57?
Si sarà osservato che la concorrenza di abellana e nux + suff. dim. nei confronti
di corylus è stata in qualche modo sleale: essendosi affacciati in un’epoca di forte
espansione della coltura della nocciola, e per conseguenza del suo commercio, i
primi hanno agito sul piano referenziale del frutto, laddove il secondo era particolarmente sguarnito58. I cenni alla pianta corylus si sono fatti via via più rari, fino
alla nascita dei tipi uscenti in -ariu (e -etu) su base abellan(e)a e nux + suff. dim.,
per indicare appunto la specie produttrice, a un tempo, di abellanae e di nuces +
suff. dim.
Il solo successo commerciale dei frutti avrebbe probabilmente causato una disgregazione di corylus simile a quella che possiamo notare oggi, ma forse meno repentina; ad accelerare il processo ha senz’altro contribuito l’asimmetria insita della voce latina, che designava una pianta fruttifera i cui prodotti erano privi di nome
(questo, abbiamo visto, per ragioni culturali). Se a difesa del nome della pianta vi
fosse stato un *corylum o una *nux corylana per la nocciola, allora la strada percorsa da abellana e nux + suff. dim. sarebbe stata forse meno agevole. Così invece
non è stato: dal campo referenziale del frutto, abellana e nux + suff. dim. hanno rapidamente invaso il campo referenziale della pianta, decretando la definitiva sconfitta di corylus.
Certamente, una volta mutato il quadro culturale e attribuito al frutto del nocciolo il valore che gli compete, si sarebbe potuta coniare per la bisogna una forma
derivata da corylus. Sulle ragioni che hanno impedito tale passaggio si possono ovviamente soltanto formulare delle congetture, che ora cercherò di esporre.
Bertoldi 1925: 258 parla di un «difetto di carattere organico» della voce latina,
soffermandosi in particolare sulla presunta «inattitudine fonetica» di corylus a ricevere il suffisso -ariu, tipico delle denominazioni arboree, se non al prezzo di produzioni cacofoniche del tipo *colerár o *corerèr. L’impossibilità quindi di operare
questa derivazione avrebbe obbligato corylus a conservare il suo valore originario
di albero, lasciando vacante il posto per il frutto (Bertoldi 1925).
Il ragionamento di Bertoldi suona difettoso per alcuni motivi. Innanzitutto, e su
un piano che esula dalle vicende di corylus, esso presuppone una serie di sposta-
57 Si osservi tuttavia che avvisaglie di crisi si scorgono già in epoca catoniana (incertezza nella
resa grafica et similia).
58 André 1956 (s. corulus) riporta soltanto due attestazioni di corilus con il significato (probabile) di ‘nocciola’ (si veda CGL IV,224,14; V,449,1). Un’altra interessante testimonianza è in
Ruel 1543: LV,40-41, che, tra i nomi dati in epoca romana alle nocciole, cita la forma acc. pl.
coryclos accanto a nucellas e ad auellinas.
Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna
27
menti di casella dei termini arborei latini, che passerebbero dal loro significato originario a quello del frutto relativo, e poi di nuovo a quello della pianta mediante
l’aggiunta del suffisso -arius. Il processo è schematicamente rappresentabile nel
modo che segue:
NOME ORIGINARIO
DELLA PIANTA (X)
→
NUOVO NOME
DEL FRUTTO (X)
X
↓
+ -ARIU
→
NUOVO NOME
DELLA PIANTA (Y)
Bertoldi afferma addirittura che tale iter «è in qualche regione così radicato nella
coscienza linguistica popolare che si applica persino a nomi di albero con frutti immangiabili, inutili ed anonimi» (Bertoldi 1925) e cita, per avvalorare la propria
tesi, le forme sambugaro ‘sambuco’ e onaro ‘ontano’, che però a me sembrano funzionare soltanto parzialmente. La derivazione illustrata da Bertoldi fila infatti
senza impedimenti soltanto se si riconosce ad -ariu il valore unico di suffisso
d’agente59; ma, nel caso di sambugaro, sarà consigliabile attribuire ad -ariu una differente funzione. Sulla scorta di Rohlfs 1969: 394, si può supporre che *sambucarius sottintendesse un arbor ‘albero’60 e che il suffisso -ariu servisse per trasformare
la base in aggettivo di relazione, e non in sostantivo d’agente; l’*arbor sambucariu
sarebbe quindi un ‘albero da riferirsi al genere dei sambuchi’, siano essi neri
(Sambucus nigra), rossi (S. racemosa) o ebuli (S. ebulus). Queste, in ultima analisi,
le due funzioni di -ariu che vorrei proporre, relativamente alle denominazioni
arboree:
a) -suffisso d’agente (applicato a nomi di frutti: pomum → *pomariu ‘che
produce mele’)
-ariu:
b) suffisso di relazione (applicato a nomi di piante non fruttifere: sambucus →
*(arbor) sambucariu ‘che è da riferirsi al genere dei sambuchi’)
Esiste, a mio parere, una restrizione che limita l’applicazione di -ariu agentivo ai
nomi di frutto (a), mentre destina l’aggiunta di -ariu relazionale ai nomi di pianta
non fruttifera (b). Per tornare all’argomento di questo contributo, non ho certamente alcun problema nel riconoscere ai più volte menzionati abellan(e)ariu e
59 Tekavciú 1972: 37 osserva infatti che, tra i valori semantici che i derivati formati con i continuatori del lat. -ariu (it. -aio, -aro, -ario, oltre al prestito dal fr. -iere) possono assumere, «il più
caratteristico è sicuramente il significato di nome d’agente».
60 Assumo che, in questa fase del latino, arbor sia già andato soggetto a metaplasmo di genere
(da femminile a maschile), come l’attestazione arbor avellanus nel Capitulare de Villis lascerebbe presumere. Si veda anche André 1956 (s. arbos), che riporta usi di arbor al maschile in Itala e
Oribasio (versione latina, VI sec.).
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Riccardo Regis
*nuceolariu il valore agentivo di ‘pianta che produce’, rispettivamente, ‘avellane e
nocciole’; nutro tuttavia qualche perplessità non solo nell’estendere tale proprietà ad un ipotetico *corylarius, ma nel credere che questa forma possa mai essere
stata concepita, tanto nell’accezione (a) quanto nell’accezione (b) (cf. oltre per fr.
coudrier). Due le motivazioni che mi sento di addurre: in prima istanza, entrambe
le derivazioni paiono anacronistiche, perché se ne dovrebbe supporre la formazione in un’epoca, quella del tardo latino, in cui corylus era già stato abbandonato
a favore di *abellan(e)ariu, nux + suff. dim. + -ariu; in secondo luogo, anche qualora non si considerasse anacronistico *corylariu, la derivazione agentiva sarebbe
stata impedita dalla mancanza di un *corylum per il nome del frutto.
La teoria di Bertoldi presenta un altro punto debole, che è legato non al campo
delle ipotesi, ma a quello ben più solido dei dati reali. Si può in effetti facilmente
notare che, anche nelle varietà in cui l’applicazione di -ariu a corylus avrebbe evitato gli esiti cacofonici prefigurati dal linguista, la derivazione non ha avuto luogo.
Osserviamo ad esempio che il francese, pur avendo conosciuto le forme coldre e
coudre per ‘nocciolo’ e presentando oggi la forma coudrier con lo stesso significato61, non ha mai avuto alcun coldre o coudre destinato ad indicare il frutto. La
stessa situazione è ravvisabile nel Piemonte occidentale, dove la forma cudra ‘nocciolo’ (costruita probabilmente sul tipo arbra ‘pioppo’), complice il genere femminile, avrebbe potuto facilmente scivolare nella casella del frutto, lasciando il
posto ad un cudrè per la denominazione della pianta; la qual cosa non è mai
avvenuta. ALEPO I.I.80 riporta nel p. 011 culèra per ‘nocciolo’, che però non ha,
e presumibilmente non ha mai avuto, nessuna forma «base» con il significato di
‘nocciola’62. L’italiano medesimo avrebbe potuto affiancare a corilo un *corila,
morfologicamente poco dispendioso, ma niente di tutto ciò si è mai verificato.
Per spiegare l’attaccamento di corylus al valore di ‘nocciolo’, occorrerà mettere in
relazione due fatti: da un lato, la coincidenza, più volte sottolineata, tra l’interesse per
il frutto, la sua coltivazione e la conseguente necessità di un nome commerciale, tale
da consentire un rapporto non ambiguo, biunivoco, tra denominazione e referente
(«mi riferisco alla noce di Avella, non alla noce di Preneste»); dall’altro lato, la potente restrizione semantica che doveva legare il termine corylus alla pianta. In un
contesto nel quale la nocciola acquista importanza proprio perché coltivata e oggetto di scambi sempre più frequenti, ai Romani pareva forse scarsamente economico
un *corylum o una *nux corylana per indicare la nocciola, in senso generico, o la nocciola selvatica, in particolare; più conveniente appariva loro l’impiego di nux Abellana o Praenestina per alludere alle specie commercializzate, lasciando innominata la
nocciola latamente intesa o la varietà selvatica. I due accidenti sopra ricordati hanno presumibilmente scoraggiato qualsiasi tentativo neologistico che avesse come
punto di partenza corylus.
Costruita per analogia su altre denominazioni di alberi fruttferi (poirier, pommier, etc.).
Forse anche perché l’ipotetica base *cula verrebbe a coincidere con il dimostrativo femminile singolare dei dialetti pedemontani.
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Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna
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Mi sembra di poter asserire che non qualche difetto fonetico o morfologico della
voce, ma un’asimmetria nel sistema referenziale latino (la presenta di un corylus
ma non di un *corylum o di una *nux corylana), assommata ad una scarsa incentivazione al porvi rimedio, avrebbe sancito l’uscita di scena di corylus dalla quasi
totalità della Romània.
Assumendo questo quadro di analisi, non è difficile credere alla scarsissima rilevanza numerica che hanno, nell’intero dominio neolatino, le forme indicanti la
nocciola da porsi in relazione con corylus. Se si compulsano dati atlantistici – ALF
919 (noisette) e AIS 1302 – e lessicografici, non si giunge a più di sei-sette attestazioni. Più precisamente, troviamo, in Francia63, cudret nelle Îles anglo-normandes
(ALF 919 p. 397, 39964) e in punto isolato del Calvados (ALF 919 p. 355)65; in Italia, còler nel Comasco (Monti 1848), clura nel Bolognese (cf. Berti 1869, Ungarelli 1901, Mainoldi 196766; AIS 1302 p. 455, 456) e due casi di sovrapposizione
tra il nome della pianta e il nome del frutto (cf. AIS 1302: còlaru, p. 190, Liguria occidentale, e colöra, p. 464, Appennino modenese).
Resta ora da capire se le forme appena citate siano dei continuatori effettivi di
corylus, estesisi, per qualche ragione che oggi sfugge, al referente nocciola, oppure no. Chi scrive ha l’impressione che si tratti di forme create a posteriori, e in epoca già neolatina, secondo tre modalità di attuazione morfologica: o imitando altre
denominazioni correntemente in uso per il frutto, o seguendo la trafila morfologica richiesta dai codici interessati, o praticando l’opzione «suffisso zero». La prima
modalità sembra essere tipica del dominio francese, dove le sparute attestazioni di
cudret palesano un debito nei confronti di noisette ‘nocciola’, a sua volta di probabile coniazione neolatina (cf. N30); vero è che l’applicazione di quel particolare
suffisso diminutivo è comune e potrebbe aver avuto luogo indipendentemente, ma
noisette deve aver costituito un richiamo molto forte. La seconda modalità, negli
esempi bolognesi almeno, prevede l’applicazione del morfema flessionale femminile -a al nome della pianta; l’opposizione clur ‘nocciolo’/clura ‘nocciola’ riflette
l’opposizione maschile per la pianta/femminile per il frutto tipica anche dell’italiano (cf. anche melo/mela, pero/pera, etc.). La terza modalità, che non ha costi dal
punto di vista morfologico, si esaurisce nel trasferimento del nome della pianta al
frutto; è il caso dell’Appennino modenese e della Liguria occidentale.
In questa veloce disamina, è stata volontariamente tralasciata la forma colöva
del Trentino occidentale (cf. Quaresima 1964 e AIS 1302 p. 320), che non manifesta un rapporto desinenziale evidente con il còler attestato per la pianta. Proprio
in virtù di questa sua anomalia formale e dell’accentuazione piana, essa è stata av63 Escludo i punti di ALF 919 in cui la nocciola è nuà de cudr (pp. 343, 349, 359, 367, 368, 378,
450, 461, 483).
64 Per i quali ALF 918 non riporta però le denominazioni del nocciolo.
65 Rolland 1896-1914/10: 185 attesta, per l’antico francese, le forme corette, corane, côrine,
coudrine, che sono però del tutto marginali rispetto ai continuatori di abellana e di nux (variamente diminutivizzati).
66 Che però non riporta, abbastanza curiosamente, la denominazione del nocciolo.
30
Riccardo Regis
vicinata da Bertoldi 1925: 246 ad una base gallica *cnova (cf. antico irl. cnú, antico cimrico cneven, corn. cnyfan, medio bretone knoenn, etc.), che avrebbe poi subito l’influsso del nome dell’albero *collo (cf. anche Pedrotti/Bertoldi 1930, s.
Corylus avellana e DIDE, s. colòva). L’interpretazione suggerita da Bertoldi è indubbiamente affascinante; e se pure non avesse rapporti diretti con corylus, la voce
trentina offrirebbe spunti significativi circa gli influssi culturali celtici nei territori
periferici. L’ascendenza prelatina di colöva parrebbe completare efficacemente la
tela fino a questo momento tessuta: mentre, in altre zone della Gallia, l’esistenza
del celtico *collo aveva incentivato il mantenimento del latino corylus, qui sono
stati forse la presenza congiunta di *collo e *còluru e la grande diffusione di noccioli selvatici67 a promuovere la conservazione del relitto gallico, formalmente non
troppo distante.
Va da sé che, per superare la lettura sostratica di colöva, sarebbe sufficiente una
sua interpretazione in chiave formale. La voce di presunta origine celtica potrebbe allora essere spiegata come variante di colòa (*colúra; cf. N27), attestata in
fiammazzo, dovuta ad epentesi di -v- per evitare lo iato.
4. Conclusioni
Il contributo congiunto di dati dialettali e attestazioni toponomastiche ci ha restituito una vasta area in cui, un tempo, il tipo corylus doveva essere diffuso: più,
abbiamo visto, nei territori a sostrato celtico, dove la parola latina ebbe modo di
incrociare la parola gallica *collo di uguale significato, meno al di fuori di quel territorio (ma vi sono comunque testimonianze toponomastiche significative nell’Italia meridionale).
La crisi di corylus, che oggi si conserva, sia in Italia sia in Francia, ai bordi dell’antica area di espansione, è da attribuirsi, in primo luogo, alla concorrenza sempre
più forte delle denominazioni commerciali abellana e, successivamente, nux + suff.
dim., in secondo luogo, alla debolezza che il tipo medesimo portava con sé. Debolezza, vale la pena di ricordare, non strutturale, non interna alla parola, ma relativa
alla mancata costituzione di una famiglia lessicale intorno a corylus: la presenza del
nome di una pianta fruttifera non accompagnato dal nome del frutto ha facilitato
l’invasione del nuovo tipo abellana, prima nel campo referenziale del frutto, poi nel
campo referenziale della pianta. Lo strato recenziore, rappresentato da nucicula*nuceola-nucella, interessa ormai soltanto Francia e Italia: il nuovo Impero (già costituito o costituendo) è più circoscritto e meno coeso del vecchio Impero.
Si aggiunga che le rarissime attestazioni di nomi di frutto legate a corylus non
paiono essere dei «continuatori genuini» del tipo latino, bensì dei «continuatori
67 Così Mattioli 1557: Cap. CXLIII, 17: «Copia infinita di saluatiche, di lunghe, & di tonde se
ne uede per tutte le montagne della giuridittione di Trento, oue con sacchi se le ricolgono i villani, quando son mature».
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Il tipo corylus: origine, riscontri, fortuna
mediati» oppure dei «continuatori apparenti»: «continuatori mediati», quando vi
sia stata soluzione di continuità rispetto alla matrice latina, e il nome del frutto sia
stato coniato a partire dal nome della pianta in ambiente ormai romanzo (i casi di
curet, clura, etc.); «continuatori apparenti», quando la relazione con la matrice latina non sia reale, ma dovuta soltanto ad una semplice affinità di significante (il
caso di colöva, qualora se ne volesse assumere l’origine gallica).
In ultima analisi, vi è più di una ragione per credere che la frana conosciuta da
corylus sarebbe stata ancora più rovinosa se i muri di contenimento, fortuiti, non
previsti, di una delle lingue dei vinti non l’avessero in qualche modo arginata. Il
che, in una prospettiva diffusa in cui le lingue dei popoli sottomessi sono soffocate dalla lingua dei vincitori, non sembra privo di interesse.
Torino
Riccardo Regis
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