Usa - Camere di Commercio
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Usa - Camere di Commercio
Camera di Commercio di Genova Ufficio E-commerce e Commercio Estero Sportello per l’internazionalizzazione In collaborazione con Italy-America Chamber of Commerce Southeast 1 SUPERFICIE POPOLAZIONE 9.826.630 km2 310.383.948 abitanti (2012) LINGUA Inglese 82.1%, spagnolo 10.7%, altre 7,2% Protestanti (51,3%), cattolici (23,9%), anglicani (9%), mormoni (1,4%), ebrei (1,7%) RELIGIONE CAPITALE FORMA ISTITUZIONALE Washington D.C. Repubblica Presidenziale Federale UNITA’ MONETARIA Dollaro USA (USD) TASSO DI CAMBIO 1 Euro = 1,38 $ (13 dicembre 2013) 50 Stati divisi in 3.141 contee SUDDIVISIONE AMMINISTRATIVA Fonte: Business Atlas 2013 – Assocamerestero 2 SITUAZIONE ECONOMICA GENERALE Nel 2012 l’economia statunitense ha registrato una crescita debole, ma stabile e nonostante la persistente fragilità dell’economia internazionale, i segnali provenienti dal comparto immobiliare e dall’industria manifatturiera sembrano incoraggianti. Secondo i dati del Dipartimento del Commercio USA, nel 2012 il PIL è cresciuto del 2,2% con un aumento di 605,8 miliardi di Dollari. La crescita è legata principalmente ai primi nove mesi del 2012 grazie agli investimenti in scorte da parte delle imprese e agli aumenti nella spesa federale per la difesa, al rallentamento nella contrazione della spesa pubblica e alla diminuzione delle importazioni. Si è verificata però nel corso del quarto trimestre una riduzione del PIL. Si è trattato della prima, inaspettata flessione dell'economia da quando gli Stati Uniti sono usciti dalla recessione, oltre tre anni fa. Il calo del PIL nel quarto trimestre riflette soprattutto una riduzione negli investimenti in scorte da parte delle imprese private, minori spese del settore pubblico, una diminuzione delle esportazioni e l’incertezza sulla politica di bilancio. La variazione negativa del PIL sarebbe stata maggiore ove non fosse stata attenuata da un incremento negli investimenti fissi non residenziali, da un ancor più marcato decremento delle importazioni e da un'accelerazione delle spese per consumi privati. La Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, ha attribuito l'interruzione della crescita economica negli ultimi mesi del 2012 in larga parte a fenomeni climatici, come ad esempio l'uragano Sandy, e ad altri fattori “transitori”. Pertanto non ha previsto di modificare l'attuale politica monetaria espansiva e ha lasciato inalterato il tasso sui finanziamenti federali entro un intervallo compreso tra lo zero e lo 0,25%, almeno finché il tasso di disoccupazione non scenda sotto il 6,5%, per continuare a sostenere la ripresa e ridurre la disoccupazione. L’inflazione, misurata sull’indice dei prezzi al consumo (CPI), nel 2012 è salita dell’1,7% rispetto all’aumento del 2,5% registratosi nel 2011. La Federal Reserve prevede che, a parte le temporanee variazioni che riflettono le fluttuazioni nei prezzi energetici, per i prossimi due anni l’inflazione non eccederà per più di mezzo punto percentuale l’obiettivo prefisso del 2%. Per quanto riguarda la bilancia commerciale, nel 2012 le esportazioni sono aumentate del 4,51% e le importazioni del 3,04% rispetto al 2011. Il deficit commerciale nel 2012 è aumentato di 514 miliardi di Dollari, rispetto al 2011, per un totale di 727,9 miliardi di Dollari. I dati del Bureau of Labour confermano il miglioramento del mercato del lavoro. Nel 2012 il tasso di disoccupazione è sceso a una media annuale dell’8,1%, in progressivo ma lento calo rispetto ai precedenti due anni mentre, nel corso dell’anno, sono stati creati 2,2 milioni di nuovi posti di lavoro, tra privati e pubblici. Dall'inizio della crisi il settore privato ha incrementato il livello occupazionale, creando 6,1 milioni di nuovi posti. Nonostante tale crescita, non è ancora stato raggiunto il livello di occupazione ante crisi. Il numero totale dei disoccupati è superiore ai 12 milioni. Nello stesso arco di tempo, invece, vi è stata una costante riduzione dei dipendenti delle Amministrazioni federali, statali e locali che, nel loro complesso, hanno ridotto l’organico di oltre 606.000 unità. 3 La tendenza positiva del mercato del lavoro è continuata negli ultimi mesi del 2012 e nei primi mesi del 2013. Il tasso di disoccupazione è nuovamente diminuito (al 7,8%), sono stati creati 157.000 nuovi posti lavoro e si sono sensibilmente ridotte le richieste di sussidi, che hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi quattro anni. A gennaio, febbraio e aprile 2013 sono stati aggiunti rispettivamente 215.000, 198.000 e 165.000 posti di lavoro. Nel 2012, negli Stati Uniti è stato evitato il fiscal cliff, grazie al compromesso raggiunto alla fine di dicembre. Secondo i dati elaborati dal Ministero degli Affari Esteri, la crescita reale del PIL è stimata al 2,2% nel 2012. Pur con le incognite legate all’equilibrio fiscale ed al tetto del debito, si attendono tassi di crescita del PIL del 2,1% nel 2013 e del 2,3-2,4% nel quadriennio 2014-17. La crescita economica nel periodo di previsione sarà guidata dall'aumento dei consumi privati, sostenuti a loro volta da occupazione e salari in costante espansione, e dalla relativamente alta crescita degli investimenti, soprattutto nel settore della costruzione residenziale. L’inflazione dovrebbe mantenersi su una media annua leggermente superiore al 2%. Il disavanzo delle partite correnti dovrebbe ridursi. Il Dollaro dovrebbe rafforzarsi leggermente tra il 2014 e il 2017. Le diverse visioni su come le forze politiche intendono affrontare le suddette questioni crea però incertezze. Infatti una mancata intesa in Congresso sulla riduzione automatica del deficit di bilancio federale, la cosiddetta sequestration, sull’eventuale aumento del tetto dell’indebitamento, ovvero il debt ceiling, e sullo sviluppo di un piano fiscale di medio periodo, potrebbero condurre a un default tecnico e ad una retrocessione da parte delle agenzie di rating. Inoltre, anche la crisi del debito dell’Eurozona potrebbe avere ripercussioni sull’economia USA attraverso i canali commerciali e finanziari. La contrazione della domanda nei Paesi del vecchio continente accompagnata dall’apprezzamento del Dollaro potrebbe avere conseguenze sui livelli di crescita degli USA. Nonostante la crisi comunque gli Stati Uniti restano la prima economia mondiale con un PIL pari a 12,9 trilioni di Dollari nel 2012 (stima EIU) e con quasi 50 mila Dollari annui di reddito pro capite, sono tra i primi Paesi al mondo, il primo di grandi dimensioni, per potere di acquisto. Principali indicatori economici 2010 PIL PIL nominale in (mln€) Variazione reale del PIL (%) Demografia e reddito Popolazione (m) PIL pro-capite (US$ a PPA) Tasso di disoccupazione (media %) Spesa sul PIL (% reale) Consumi privati 4 2011 2012 2013 10.934 2,4 10.838 1,8 12.294 2,2 12.840 2,3 309,4 46,85 9,6 311,8 48,35 9 314,3 49,79 7,8 317 51,17 7,6 2009a 2010a 2011b 2012b -1,9 2,0 1,8 1,8 Consumi del Governo 1,7 0,7 Investimenti lordi fissi -18,8 2,6 Export di beni e servizi -9,4 11,3 Import di beni e servizi -13,6 12,5 Origine del PIL (% reale) Agricoltura 2,0c 2,0c Industria -5,5c 3,3c c Servizi -3,1 3,0c Indicatori fiscali (% del PIL) Bilancio del settore pubblico -10,2 -9,0 Pagamenti dell’interesse debito settore 1,3 1,5 pubblico Bilancio primario del settore pubblico -8,8 -7,5 Debito netto pubblico 54,1 62,9 Prezzi e indicatori finanziari Tasso di cambio:US$ (fine periodo) 93,1 82,6 Prezzi al consumo (fine periodo; %) 2,8 1,4 Prezzi alla produzione (media; %) -2,5 4,2 Tasso di interesse di prestito (media; %) 3,3 3,3 Conto corrente (US$ mln) Bilancia commerciale -506 -646 Merci: export fob 1.069 1.289 Merci: import fob -1.575 -1.935 Bilancia dei servizi 125 146 Bilancia dei redditi 128 165 Bilancia dei trasferimenti di conto -123 136 Bilancia in conto corrente -377 -471 Riserve internazionali (US$ mln) Totale delle Riserve internazionali 131 132b a Attuale. b Previsioni Economist Intelligence Unit. c Stime Economist Intelligence Unit. d Governo federale, anno finanziario (Ottobre-Settembre). Fonte: Infomercatiesteri, Agenzia ICE -1,7 5,2 7,7 4,5 -0,7 4,6 7,3 4,0 2,0 1,7 1,8 2,0 2,5 1,9 -9,0 -7,5 1,3 1,0 -7,7 69,1 -6,5 72,5 81,8 2,9 6,2 3,2 81,0 2,1 2,3 3,2 -787 1.529 -2.316 151 194 -141 -583 -763 1.649 -2.413 165 222 -147 -523 INTERSCAMBIO COMMERCIALE CON L’ITALIA Gli Stati Uniti offrono un sistema politico e giuridico stabile ed imparziale, regole di diritto salde, una burocrazia snella, infrastrutture e servizi sviluppati, una logistica impeccabile ed un settore pubblico efficiente. Ciò li rende una destinazione privilegiata della produzione italiana. Il mercato statunitense, infatti, assorbe il 7% del totale delle nostre esportazioni, ed è per l’Italia il terzo mercato di sbocco in assoluto dopo Germania e Francia, nonché il primo tra i Paesi extra-UE. Il saldo commerciale attivo più consistente in termini assoluti dell’Italia è, storicamente, quello con gli Stati Uniti. Il saldo commerciale si conferma positivo per l’Italia (+ 13.988 milioni Euro) con un aumento di 4182,5 milioni di Euro rispetto al 2011. 5 Nel 2012, in base ai dati rilasciati dal Global Trade Information Services (GTI), è proseguito il trend positivo negli scambi tra i due Paesi. Nel 2012 le esportazioni italiane hanno raggiunto un valore di 26,7 miliardi di Euro, registrando un incremento del 16,8% rispetto all’anno precedente e superando i livelli precedenti alla crisi del 2008. Tra i Paesi dell’Unione Europea l'Italia è attualmente il quarto fornitore del mercato americano, superando l’Irlanda e seguendo Germania, Regno Unito, Francia. La dinamica positiva delle esportazioni italiane verso gli USA è continuata anche nel primo bimestre 2013. Sempre secondo i dati del GTI, l’Italia mantiene per ora la propria posizione al 13° posto tra i Paesi fornitori degli Stati Uniti, con una crescita pari circa all’ 8%, seconda solo alla Cina, che ha registrato il +9,5%. Nei primi nove mesi del 2013, tutti i settori hanno registrato una crescita sensibile. La meccanica continua ad essere negli anni il settore di maggiore rilievo, assorbendo circa il 20%, ovvero quasi un quinto del totale esportato dall’Italia. Il resto delle importazioni americane dal nostro Paese riguarda i settori: moda e accessori 15,8%, agroalimentari e vini 10%, chimica e derivati del petrolio 8%, veicoli terrestri 6%, farmaceutica 5%, macchine elettriche 4%, e arredamento e accessori 4%. I cosiddetti ATP, Advanced Technology Products, prodotti ad elevata tecnologia coprono il 11% del totale delle importazioni dall’Italia. In particolare, aerospazio, biotecnologie e life science sono i settori maggiormente significativi e stanno assumendo sempre di più una rilevanza strategica per l’Italia. Lo US Department of Commerce raccoglie e pubblica separatamente i dati relativi alle importazioni di tali prodotti, che hanno raggiunto, nel 2012, un totale di quasi 396 miliardi di Dollari rispetto ai 386,4 miliardi del 2011, pari al 17,41% del totale delle importazioni degli USA. In termini di crescita, il settore dei metalli è quello che fa registrare il maggior incremento rispetto al 2011, segnando un +36%, insieme ai prodotti petroliferi raffinati, +66,6%, frutto, in realtà, del “conto lavorazione” di majors petrolifere statunitensi operanti in Italia. Tra i settori che hanno mostrato segnali di rallentamento rispetto al 2011 si segnalano gioielleria e oreficeria, -5,73%, vini e bevande alcoliche, -1,24%, chimica e derivati del petrolio, -0,33%, farmaceutica, 4,50%, e macchine elettriche, -7,49%. Nonostante l’ottima performance del nostro export, diverse barriere non tariffarie soprattutto di carattere fitosanitario ostacolano alcune nostre esportazioni per esempio prodotti ortofrutticoli ed olio d’oliva mentre dal 28 maggio 2013 è stata in parte superata la barriera della malattia vescicolare del suino, per cui alcune aree geografiche italiane, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e le province di Trento e Bolzano, sono state considerate a rischio basso ed è permesso vendere negli USA l’alta salumeria di queste regioni che comprendono diversi prodotti DOP e IGP, come salame, pancetta, coppa, speck e cotechino. Nel 2012 c’è stato un progressivo rallentamento nelle importazioni italiane dagli Stati Uniti. Le importazioni di prodotti americani hanno raggiunto l’importo di 12.677 milioni di Euro, registrando una diminuzione percentuale del 2,7 % rispetto al 2011. Gli USA sono il 9° Paese fornitore per l’Italia, con una quota del 3,4 %. I prodotti americani maggiormente importati in Italia sono: prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio, 15,8%, preparati farmaceutici, 15,78%, macchine di impiego generale, 13,04%, attrezzature ottiche e dispositivi per medicina e chirurgia, 6,7%. 6 SALDO COMMERCIALE U.S.A-Italia Anno completo milioni di Dollari 2011 2012 IMPORT USA dall'Italia 33.950 36.931 Quota di mercato 1,54 1,62 EXPORT USA verso l'Italia 16.007 15.972 Quota di mercato 1,08 1,03 Saldo Commerciale - 17.944 - 20.958 Variazione % 12/11 8,78 -0,21 Fonte: Agenzia ICE su dati US Department of Commerce Nella versione completa della Guida sono, inoltre, disponibili informazioni dettagliate su: - Settori più promettenti - Partnership transatlantica - Sistema distributivo - Rischio Paese - Prospettive future 7 INVESTIMENTI Gli Stati Uniti continuano a confermarsi, oltre che il principale investitore a livello globale, anche il principale ricettore di investimenti dal resto del mondo. I dati rilasciati dalla United Nations Conference on Trade and Development, UNCTAD, a luglio 2012 confermano che è proseguita anche nel 2011 la ripresa dei flussi mondiali di investimenti diretti esteri, i cosiddetti IDE. Dopo un picco di circa un miliardo e mezzo di Euro raggiunto a fine 2007, i flussi di IDE mondiali in entrata avevano subito una forte diminuzione scendendo a 911 miliardi di Euro nel 2009, per poi iniziare una lieve ripresa nel 2010, raggiungendo i 997 miliardi, ripresa che continuata anche nel 2011, con un incremento del 16%, toccando i 1160 miliardi di Euro. Le prime stime per il 2012 rivelano un calo dei flussi del 18% rispetto all’anno precedente. INVESTIMENTI ITALIANI NEGLI USA Lo stock di investimenti italiani negli Stati Uniti ha raggiunto nel 2011 un valore di oltre 16 milioni di Euro, ovvero solo lo 0,9% del totale dello stock degli investitori esteri in USA. E’ evidente il distacco tra l’Italia e gli altri Paesi europei che investono in questo mercato. Se si esamina il totale degli investimenti italiani all’estero, che secondo le cifre della United Nations Conference on Trade and Development ammontavano a quasi 368 milioni di Euro a fine 2011, si può verificare che le entità italiane presenti negli Stati Uniti rappresentavano circa il 4%. La fDi Markets, che ha registrato i progetti di investimento greenfield tra il 2003 e il 2011, ha rilevato come la presenza italiana negli Stati Uniti sia di un certo rilievo. Nell’arco di tempo analizzato, l’Italia ha dato vita a ben 326 progetti di investimento, risultando in seconda posizione come Paese di destinazione degli investimenti italiani all’estero subito dopo la Cina. I progetti italiani nel Paese sono stati 46 nel 2011, 11 in meno rispetto ai 57 del 2010, ma con un valore di circa 1000 milioni di Euro, in crescita del 45%. Il numero di investimenti effettuati negli Stati Uniti rappresenta circa un terzo del numero totale (142) dei progetti italiani rivolti all’estero nel corso del 2011. Gli investimenti italiani di tipo greenfield tra il 2003 e il 2011 si sono concentrati prevalentemente nel settore del tessile e dell’abbigliamento, con il 30% del totale e hanno riguardato in particolare l’attività di retail. Al secondo posto il settore della meccanica strumentale la cosiddetta industrial machinery con il 12%. Per quanto riguarda la suddivisione territoriale, la maggior presenza di aziende italiane si registra nello Stato di New York, con 66 progetti, a seguire la California, con 34 progetti e in terza posizione la Florida, con 32 progetti. Inoltre le nostre aziende negli USA hanno creato circa 40.000 posti di lavoro. 8 I dati preliminari offerti dal BEA per quanto riguarda i primi 9 mesi del 2012, rivelano un totale di 1166 milioni di Euro di flussi italiani negli Stati Uniti in diminuzione del 40% rispetto allo stesso periodo del 2011. Gli ultimi dati resi disponibili dalla banca dati Reprint, in collaborazione con Politecnico di Milano e Agenzia-ICE, mostrano al 1° gennaio 2012 la presenza di 2408 imprese statunitensi a partecipazione italiana, anche minoritaria. Queste aziende occupano negli USA oltre 158.000 dipendenti e hanno un fatturato di circa 44 miliardi di Euro. Gli Stati Uniti sono attualmente il secondo Paese verso il quale si dirigono i nostri investitori, dopo la Francia. INVESTIMENTI USA IN ITALIA L’interscambio commerciale tra Italia e Stati Uniti si attesta su cifre ragguardevoli, ma i flussi di investimenti diretti esteri bilaterali continuano a essere al di sotto delle reali potenzialità. Infatti, secondo i dati del BEA, il Bureau of Economic Analysis, l’Italia nel 2011 si è aggiudicata 18.203 milioni di Euro in investimenti stock statunitensi, meno dell’1% del totale, collocandosi al 26esimo posto nella graduatoria dei Paesi che attraggono investimenti dagli USA, dopo diversi Stati europei come Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Spagna che attraggono quote di IED più consistenti. Gli investimenti USA però rappresentano l’8,7% di tutte le consistenze di investimenti esteri in Italia a fine 2011. Per quanto riguarda gli investimenti in flussi, nel 2011 l’Italia ha attirato 323 milioni di Euro dagli Stati Uniti, collocandosi al 43esimo posto nella classifica dei Paesi destinatari di IDE statunitensi. E’ l’industria manifatturiera il settore che assorbe la più grande percentuale di investimenti USA in Italia, circa il 32%, per un valore di 5.872 milioni di Euro, seguito dai comparti della chimica, elettronica, meccanica, finanziario e assicurativo e servizi di informatica. Secondo i dati fDi Markets sui progetti greenfield, gli Stati Uniti nel 2011 hanno realizzato in Italia 36 progetti, in diminuzione rispetto ai 48 progetti realizzati nel 2010. Dal 2003 a fine 2011 gli Stati Uniti hanno effettuato in Italia 353 progetti, percentuale minima rispetto a quella realizzata in altri Paesi e pari solo all’1,2% del totale. In otto anni, dal 2003 a tutto il 2011 secondo i dati fDi Markets, grazie agli investimenti realizzati da parte di aziende statunitensi, sono oltre 33.600 i posti di lavoro creati in Italia, a fronte di investimenti totali per oltre 12 miliardi di Euro. I settori merceologici nei quali si sono concentrati gli investimenti greenfield americani sono: i servizi di Information Technology e Software, corrispondenti a circa il 19%, a cui seguono il tessile e l’abbigliamento e i business services entrambi intorno al 10%. Importanti investimenti sono stati effettuati anche nei settori alberghiero e turistico, in quello dei servizi finanziari e delle energie rinnovabili. È la Lombardia, con 141 progetti, la regione d’Italia in cui si concentra la maggior parte degli investimenti seguita dal Lazio con 56 e dal Piemonte con 18. Viceversa gli Stati americani che hanno investito maggiormente sono stati: la California con un 9 totale di 72 progetti su 353 seguita da New York, Massachusetts, Washington, Illinois e Connecticut . Secondo le ultime statistiche della Banca Dati Reprint, ovvero Politecnico di Milano ed Agenzia-ICE, a gennaio 2012 erano 1.815 le imprese italiane partecipate da multinazionali statunitensi con oltre 236.000 dipendenti e con un fatturato di ben 111 miliardi di Euro all’anno. La partecipazione statunitense in aziende italiane è molto significativa ed ha un peso percentuale di oltre il 21% sulle 8.492 aziende italiane controllate da imprese estere. Nella versione completa della Guida sono, inoltre, disponibili informazioni dettagliate su: - Normativa sugli investimenti - Zone franche 10 NORMATIVA DOGANALE L’ente governativo statunitense che controlla il flusso internazionale delle merci, che provvede alla riscossione dei dazi e alla verifica dei requisiti fitosanitari dei prodotti provenienti dall’estero è lo US Custom Service del Department of Treasury. Le dogane svolgono anche funzioni di tutela delle frontiere dall’ingresso illegale di stupefacenti, materiale pedopornografico, armi e munizioni. Sdoganamento della merce e documenti di importazione Per l’importazione delle merci negli Stati Uniti è necessario presentare alcuni documenti entro 15 giorni dall’arrivo nel porto di sbarco. Questi servono per lo svincolo dei beni in Dogana, per il calcolo dei dazi ed anche per l’elaborazione di statistiche. I documenti possono essere inviati tramite il software della Dogana chiamato Automated Broker Interface, ABI. I documenti d’importazione necessari sono: I. Entry Manifest, il modulo numero 7533, oppure il modulo 3461 nel caso di Entry/Immediate Delivery o altra documentazione richiesta dalla direzione locale della Dogana II. Documentazione relativa al trasporto negli Stati Uniti. Solitamente, l’importazione è effettuata da una persona o ditta, la cui identità viene attestata dal vettore dei beni con il Carrier’s certificate che certifica ai fini doganali chi è il proprietario delle merci. In altri casi, è considerata una prova il duplicato della polizza di carico o della ricevuta d’imbarco. III. Fattura commerciale o fattura pro forma in lingua inglese in almeno tre copie con l’indicazione di: Nome e indirizzo di venditore ed acquirente Porto di ingresso Descrizione dettagliata della merce Indicazione di quantità e valore Paese di origine Nome dello spedizioniere Marchi, numero e natura dei colli IV. Bolla di accompagnamento V. VI. Polizza di carico e lettera di vettura rilasciata dal corriere Eventuali licenze e permessi speciali per alcuni prodotti, tra i quali i formaggi e i latticini, che necessitano di un certificato specifico, o dei tessili che necessitano di un codice di identificazione del fabbricante, il Manufacturere Identification Code, e ovviamente i certificati fitosanitari, per frutta e legumi, o il certificato sanitario per le carni. 11 Successivamente il servizio della Dogana effettua una valutazione e classificazione su un campione della merce a meno che le merci non appartengano a determinate classi o siano in quantità limitate, in tal caso l’ispezione riguarderà tutti i beni. Questa procedura è effettuata presso i terminal o i magazzini dell’importatore. I Dazi L’ammontare di un dazio, a cui sono soggette tutte le merci che entrano in territorio statunitense, dipende da una tabella che classifica le merci da importare in base al codice doganale ovvero la Harmonized Tariff Schedule. Il codice doganale è composto da 10 cifre, di cui le prime 4 indicano la macrocategoria, e le seguenti le varie tipologie di prodotti nell'ambito di quella categoria. Questo sistema tariffario armonizzato, prevede una tariffa generale (che va dal 3 al 5%) per i beni provenienti da Paesi membri del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, una tariffa ad valorem, una tariffa speciale o mista per i beni soggetti a trattamenti differenziati. Le tariffe speciali riguardano le merci provenienti da Paesi con cui gli Stati Uniti hanno stipulato accordi commerciali, bilaterali o multilaterali come nel caso di Israele, Giordania, Cile, Singapore, Australia, Marocco, Repubblica Domenicana, Bahrain, Oman, Perù, Colombia, Corea del Sud e dell’Unione Europea grazie al Transatlantic Trade and Investment Partnership, o se fanno parte del sistema preferenziale, il Generalize System of Preferences, che prevede l’esenzione da tariffe doganali per circa 4.000 tipi di merci, provenienti da un gruppo di Paesi in via di sviluppo e da territori protettorato degli USA. Se la merce che si intente esportare negli USA non è compresa nella Harmonized Tariff Schedule, è possibile rivolgersi all’US Customs Service, presentando: Una descrizione dettagliata dei beni Un campione accompagnato da scheda tecnica sulle caratteristiche Il riassunto del costo e la percentuale dei materiali usati per la produzione La destinazione d’uso del prodotto Allo stesso tempo, è possibile che le merci importate subiscano l’imposizione di ulteriori dazi: il dazio antidumping2 e il dazio compensativo. Questi dazi sono imposti dall’International Trade Commission, l'ente che si occupa di tutelare il pari trattamento di mercato tra importatori e industrie statunitensi, su segnalazione del Department of Commerce e dell’US Customes Border Protection. Le importazioni sono, inoltre, soggette alle tasse di vendita e all’Harbor Maintenance Fee, Canone di Manutenzione Portuale, che è pari allo 0,125% del valore del carico e va pagata al momento dell’ingresso. Dal 1998, le dogane USA hanno avviato un nuovo sistema, il ACS Reconciliation Prototype, che permette all'importatore di effettuare l'importazione anche se non sono disponibili tutte le informazioni richieste per una corretta determinazione del dazio, si fa quindi una stima del dazio dovuto basandosi sulla buona fede e si saldano i pagamenti in eccesso o in difetto entro 15 mesi. Importazioni temporanee Lo U.S. Department of Commerce permette l’importazione nel territorio statunitense, per un periodo determinato, di merce non consumabile, senza necessità di pagare 12 alcun dazio nel caso in cui l’importatore decida di partecipare ad una fiera. L’espositore può decidere nel corso dell’evento se importare le merci in modo permanente negli Stati Uniti, riesportarle alla chiusura della manifestazione o se utilizzarla sotto la supervisione della Dogana. I regolamenti doganali USA prevedono che le merci destinate alle fiere debbano essere registrate presso gli uffici doganali della città dove si svolge l’evento. La documentazione per questo genere di importazione è il Carnet ATA per la Temporary Admission. Il Carnet ATA è un documento doganale internazionale con una validità di un anno che autorizza la circolazione delle merci in temporanea importazione o esportazione verso i Paesi extra-comunitari che aderiscono alla Convenzione ATA, in questo caso gli Stati Uniti d’America, senza che i beni siano sottoposti a dazi doganali. Origine della merce Generalmente non occorre presentare un certificato di origine per sdoganare le merci negli Stati Uniti, esclusi i casi in cui queste siano state prodotte in Paesi a cui gli USA offrano un trattamento tariffario speciale, attraverso il sistema preferenziale, accordi commerciali, bilaterali o multilaterali. In questi casi, il formato del certificato e l'organismo emittente non sono uguali per tutte le importazioni, ma variano secondo quanto concordato tra i Paesi contraenti. Imballaggio ed etichettatura Tutti i prodotti che entrano negli USA devono obbligatoriamente essere etichettati in modo appropriato e in caso contrario, le Dogane possono o rifiutarne l’importazione o sequestrarli e farli distruggere. Per ogni prodotto ci sono norme e regolamenti particolari; tuttavia, quelli di maggior rilevanza, non solo per la loro severità, sono relative ai prodotti alimentari e tessili. Dal 1992, ai sensi del Fair Packaging and Labelling Act, gli Stati Uniti richiedono che tutte le etichette per tutti i prodotti riportino le indicazioni di misura espresse sia secondo il sistema internazionale di unità di misura sia secondo quello anglosassone. Tutti i beni importati devono riportare il Paese di origine, che può essere quello di produzione o quello in cui la merce ha subito l’ultima trasformazione sostanziale. Sui prodotti semilavorati deve essere indicato il Paese di origine solo sull’imballaggio. Da ricordare che le etichette dei prodotti alimentari devono riportare anche una tabella contenente tutte le proprietà nutrizionali ovvero contenuto lipidico, proteico, vitaminico e calorico. Speciali indicazioni e diciture sono richieste anche per le bevande alcoliche e altri articoli soggetti a normativa, come tabacco, sigarette, prodotti infiammabili e apparecchiature elettroniche. Restrizioni all’importazione Vi sono alcune categorie di prodotti la cui importazione negli Stati Uniti è assolutamente proibita: Oggetti dell’arte precolombiana proveniente da Paesi Sudamericani, Materiale che infrange leggi internazionali del copyright, Armi da fuoco non approvate dal Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms, Specie animali in via d’estinzione, Prodotti derivati da specie animali protette, Molti tipi di carni fresche, Narcotici e farmaci pericolosi 13 Merci provenienti da Paesi colpiti dall’embargo commerciale USA. Altre categorie, invece, sono soggette solo a restrizioni e in questi casi è necessario ottenere una licenza dall’agenzia federale preposta; le principali sono: Bevande alcoliche; Animali e prodotti da essi derivati; Medicinali; Piante; Frutta; Carne; Latte, latticini e prodotti caseari; Pollame; Ortaggi; Tabacco. Per i prodotti alimentari, la normativa di riferimento è la “The FDI Food Safety Modernization Act”, del 4/1/2011, che ha apportato modifiche significative alla legge contro il bioterrorismo del 2003. La regolamentazione prevede per le società straniere e americane l’obbligo di registrazione, telematica, presso la Food and Drug Administration (FDA), se impegnate nella catena agroalimentare (produzione, condizionamento, imballaggio o stoccaggio). Ai sensi della legge, gli alimenti commercializzati devono essere tali da non nuocere alla salute e sicurezza dei consumatori e prodotti in condizioni igieniche appropriate, inoltre il confezionamento non deve contenere sostanze velenose o pericolose per la salute. Gli alimenti importati devono essere puri, salubri, sicuri e prodotti in adeguate condizioni sanitarie. La FDA deve essere informata riguardo tutti i prodotti alimentari importati negli USA e decidere se il prodotto è o non è ammissibile. Se dopo gli accertamenti, la merce non viene considerata ammissibile dalla FDA, l’importatore è obbligato a riesportarlo nel Paese di provenienza o a distruggerlo presso la Dogana. Ulteriori restrizioni vengono applicate ai prodotti provenienti da alcuni Paesi, cosiddetti ‘sensibili’. Questa procedura, oltre che alla legge contro il bioterrorismo, è legata e al timore di trasmissione di malattie, come ad esempio la malattia vescicolare del suino o la mucca pazza. Gli Stati Uniti si sono però aperti verso i Paesi dell’Unione Europea stipulando accordi specifici come ad esempio lo US-UE Wine Trade Agreement che esonera le esportazioni di vino tra Stati Uniti ed Unione Europea dalla procedura di certificazione oppure concedendo, dal mese di maggio 2013, l’importazione dell'alta salumeria italiana come salame, pancetta, coppa, speck e cotechino da: Lombardia, EmiliaRomagna, Veneto, Piemonte e dalle province di Trento e Bolzano, ritenute dall’Animal and Plant Health Inspection Services zone non a rischio per la malattia vescicolare del suino. TUTELA DEL CREDITO Spesso viene trascurata dalle aziende straniere fornitrici di beni e servizi negli Stati Uniti la modalità di pagamento e di tutela del proprio credito. 14 Nel sistema statunitense per esempio non esistono strumenti come la fideiussione bancaria a garanzia del proprio credito nonchè dell’istituto procedurale del decreto ingiuntivo in ipotesi di mancato pagamento. E’ quindi importante che un fornitore di beni o servizi richieda ed ottenga prima della vendita, una garanzia reale di pagamento e può usare come strumenti di garanzia le lettere di credito commerciali o i Security Interest, una sorta di credito pignoratizio che attribuisce un “diritto di seguito” sul bene oggetto della garanzia. Un’altra differenza è la diversa connotazione di un fallimento per un imprenditore. La Chapter 11 Bankruptcy, una riorganizzazione fallimentare, negli Stati Uniti viene percepita ed utilizzata infatti come un modo di condurre gli affari che può far rinascere l’impresa, salvaguardarla dai creditori e permetterle di ridurre o persino eliminare le sue esposizioni creditizie. Nella procedura civile americana, ciascuna parte di un contenzioso per il recupero credito deve pagare le proprie spese legali, le quali non vengono rimborsate dalla parte soccombente a meno che ciò non sia stato pattuito contrattualmente in precedenza. Essendo la procedura legale per il recupero di un credito ordinaria, i costi legali sono di solito più elevati del credito stesso a meno che non si tratti di un importo molto rilevante. L’Uniform Commercial Code è la legge che riassume e compendia la giurisprudenza che regola varie materie quali la vendita di merci, i titoli di credito, il trasferimento di fondi, le lettere di credito, le ricevute di deposito, i titoli mobiliari e le transazioni assistite da garanzia ed è composto da undici articoli. Tuttavia ognuno dei cinquanta Stati dell’Unione ha adottato una qualche variante. Come già accennato in precedenza il Security Interest costituisce una sorta di credito pignoratizio sul bene prestato in garanzia attribuendo al creditore una sorta di “diritto di seguito” e tutela il venditore di merci o qualunque altro tipo di creditore in ipotesi di inadempimento o di fallimento da parte dell’acquirente/debitore, consentendo al venditore di rifarsi sul bene soggetto a garanzia. Con un Security Interest il creditore garantito può: 1. Far valere il proprio diritto in giudizio e pignorare il bene fornito come garanzia. 2. Ingiungere al debitore di effettuare un pagamento od una prestazione nei confronti della parte fornita di garanzia. 3. Prendere possesso del bene garantito o, comunque disporne anche senza rientrarne in possesso, tramite un procedimento giudiziale. L’interessato può altrimenti agire direttamente al rientro nel possesso del bene stesso. Ecco perché è fondamentale che i beni soggetti a garanzia reale, siano fisicamente distinti dai beni dell’acquirente e che siano prontamente identificabili come tali. 4. Vendere affittare, dare in licenza, o disporre differentemente di alcuni o di tutti i beni coperti da garanzia. 5. Acquistare il bene garantito in un’asta pubblica o in una vendita privata. 6. Percepire i proventi derivanti dalla vendita o disposizione del bene, qualora la vendita sia già stata effettuata dall’acquirente. Per prima cosa occorre perfezionare un contratto di garanzia tra le parti che evidenzi l’interesse sul bene offerto in garanzia. Le lettere di credito costituiscono uno strumento di garanzia piuttosto comune sia nelle operazioni commerciali nazionali statunitensi sia nelle vendite internazionali. Le 15 lettere di credito si suddividono in: commercial letter of credit e stand-by letter of credit. Le commercial letter of credit consistono in un impegno contrattuale da parte di una banca detta Issuing Bank, su ordine e per conto dell’Applicant ovvero il proprio cliente, con la quale autorizza un’altra banca, la Advising o Confirming Bank, ad effettuare un pagamento a favore del beneficiario contro presentazione da parte di quest’ultimo di determinati documenti attestanti l’avvenuta fornitura e spedizione delle merci in conformità a quanto stabilito nel testo della lettera di credito. La Issuing Bank s’impegna per conto del proprio cliente a pagare il venditore fino alla concorrenza di un determinato importo, contro la presentazione di determinati documenti attestanti l’avvenuta fornitura e spedizione. La stand-by letter of credit ha caratteristiche simili, ma è data maggior importanza alla funzione di garanzia. Il beneficiario presenta i documenti prescritti soltanto nell’ipotesi in cui la controparte non abbia adempiuto agli obblighi previsti nel contratto tra le parti. Garantisce non solo il pagamento della fornitura in contratti di vendita, ma anche l’offerta in gare d’appalto, il rimborso di pagamenti anticipati ed in genere l’adempimento di contratti. Le lettere di credito hanno durata limitata ad un massimo di 12 mesi. In mancanza di un Security Interest oppure di una lettera di credito, nell’ipotesi di mancato pagamento da parte del debitore, il creditore si vedrà costretto ad avviare un procedimento civile per recuperare il proprio credito. Considerati i costi e la durata dei procedimenti giudiziari, il creditore fa spesso uso di agenzie di recupero crediti chiamate negli Stati Uniti debt collection agencies che cercano di ottenere un pagamento in via transitiva. Nell’ipotesi in cui l’agenzia non abbia successo, riferirà la questione ad un legale specializzato. In caso di successo sia l’agenzia che suo avvocato di fiducia operano sulla base del 25-40% del pagamento. Nella versione completa della Guida sono, inoltre, disponibili informazioni dettagliate su: - Proprietà intellettuale - Legislazione societaria - Fusioni ed Acquisizioni - Normativa sulla concorrenza, tributaria, del lavoro e sull’immigrazione - Contenzioso civile ed arbitrato 16 ACCESSO AL CREDITO L‘iter per l’ottenimento di un credito negli Stati Uniti è analogo a quello esistente in Italia. La concessione del prestito è collegata alla valutazione del merito di credito del richiedente il fido e del fine che ha il credito stesso, per cui un istituto di credito dovrebbe concedere il prestito unicamente se considera il debitore in grado di poter restituire il fido, pagare gli interessi e le spese di gestione in un'ottica di creazione di valore per gli azionisti e di protezione dei depositanti e dei cosiddetti stakeholder ovvero i portatori di interesse, come ad esempio il fisco. Al fine di ottenere l’erogazione del credito, la società o il privato deve presentare una serie di documenti con complete informazioni su: richiedente fido, includendo, nel caso si tratti di una società, tutte le informazioni relative alla proprietà e alla struttura societaria; attività del richiedente; scopo del prestito che si sta chiedendo; fonti di reddito con le quali si prevede di ripagare il prestito; situazione finanziaria del richiedente; garanzie del prestito; prospettive economiche del richiedente; esposizione bancaria del richiedente e regolarità nei pagamenti. Questa documentazione serve all’ente erogante il prestito per valutare se il richiedente possiede tutte le caratteristiche per ricevere il credito ed una volta esaminata viene avviato il processo di elargizione. Un elemento che potrebbe ostacolare l’esito positivo dell’esame della documentazione è costituito da una carenza di credit history, nel caso di imprese o privati stranieri che si affacciano al mercato statunitense per la prima volta. La credit history è il rapporto storico fiscale e finanziario di ogni impresa o individuo che va a dimostrare la capacità o meno di onorare i propri debiti. Nell’erogazione di prestiti a clientela proveniente dall’estero la FED richiede inoltre che le banche definiscano limiti complessivi dell’esposizione, sulla base del Paese, in relazione alla situazione economico/congiunturale e più in generale sull’affidabilità del Paese di origine del richiedente. Nella versione completa della Guida sono, inoltre, disponibili informazioni dettagliate su: - Sistema fieristico 17 Ufficio E-Commerce e Commercio Estero Sportello per l’Internazionalizzazione C.C.I.A.A Genova Via Garibaldi, 4 16124 Genova Tel: 010 2704560 Fax: 010 2704298 E-mail: [email protected] Sito: www.ge.camcom.gov.it Dicembre 2013 La Guida Paese è stata realizzata in collaborazione con la Dott.ssa Alessia Schirru 18