Fulltext - Catalogo di Ateneo
Transcript
Fulltext - Catalogo di Ateneo
POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Architettura Dipartimento di Progettazione Corso di Dottorato in ARCHITETTURA, URBANISTICA, CONSERVAZIONE DEI LUOGHI, DELL’ABITARE E DEL PAESAGGIO XIV - Ciclo SHANGHAI VIRTUALE SCENARI E FONDAMENTI DI UNA MEGALOPOLI ASIATICA CONTEMPORANEA COORDINATRICE: Chiar.ma Prof. Arch. MARIAGRAZIA FOLLI RELATORE: Chiar.mo Prof. Arch. PIETRO DEROSSI TESI DI DOTTORATO DI: Daniele Piero Mario Antonioli Matr. D01171 Indice dell’elaborato INDICE Pag. 1 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE Pag. 3 1.1 – Metropoli asiatiche e nonluoghi Pag. 3 1.2 – Impostazione e obbiettivi della ricerca Pag. 11 Pag. 18 2.1 – The Comprehensive Plan of Shanghai: considerazioni preliminari Pag. 18 2.2 – The Comprehensive Plan of Shanghai: strategie Pag. 22 2.3 – The Comprehensive Plan of Shanghai: Struttura ed uso dei suoli Pag. 24 2.4 – The Comprehensive Plan of Shanghai: Trasporti Pag. 30 2.5 – The Comprehensive Plan of Shanghai: Tutela del verde e del costruito Pag. 38 Pag. 51 3.1 – The Comprehensive Plan of Shanghai: Considerazioni critiche Pag. 51 3.2 – Il Piano di sviluppo della Pudong New Area Pag. 62 3.3 – Il retroscena ed il substrato per il piano: dibattiti e studi Pag. 68 Pag. 77 4.1 – Primi insediamenti Pag. 77 4.2 – La nascita della Shanghai Coloniale Pag. 80 4.3 – La Taiping Rebellion e la Small World Society Pag. 84 4.4 – La svolta di inizio novecento Pag. 88 4.5 – Gli anni venti e trenta Pag. 91 4.6 – L’occupazione Giapponese Pag. 98 4.7 – L’epoca Maoista Pag. 101 CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA CAPITOLO 3 – SHANGHAI, CAPITOLO 4 – SHANGHAI, LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG MASTER PLAN E IL POST MAOISMO UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL 1 1978 INDICE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ Pag. 104 5.1 – Il delitto perfetto Pag. 104 5.2 – Lo scenario della Postmodernità Pag. 106 5.3 – La complessità e la scienza Pag. 111 5.4 – Geografie complesse: il Cyberspazio Pag. 113 5.5 – Il Virtuale Pag. 121 5.6 – Corpi virtuali: il Cyborg Pag. 128 Pag. 130 6.1 – Costruzione di un racconto Pag. 130 6.2 – Preliminari per un racconto: Delirious New York Pag. 137 6.3 – New York Raccontata Pag. 144 6.4 – Riflessioni per l’esportazione di un racconto Pag. 160 Pag. 163 7.1 – Impostazione di un racconto comparativo Pag. 163 7.2 – Racconto comparativo: Le Geografie Pag. 164 7.3 – Racconto comparativo: La Struttura Pag. 174 7.4 – Racconto comparativo: I Livelli Pag. 177 7.5 – Racconto comparativo: La Crescita in altezza e le emergenze Pag. 181 7.6 – Racconto comparativo: Le Icone Pag. 188 7.7 – Racconto comparativo: Cultura Pop e Substrato Pag. 191 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE Pag. 196 BIBILIOGRAFIA Pag. 206 CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE E IL VIRTUALE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: DI UN RACCONTO: NEW YORK SHANGHAI 2 Shanghai Virtuale Capitolo 1 - Introduzione - 1.1 - Metropoli asiatiche e nonluoghi Riuscire a predire come si configurerà, nel prossimo futuro, una città, è un tentativo che sembra oggi destinato a ricorrere alla sfera armillare più che a strumenti disciplinari, in un momento storico in cui, da un lato l'accelerazione, dall'altro il moltiplicarsi delle informazioni, rende vano qualunque tentativo di astrazione. Soprattutto se la città in esame esce dai parametri riconoscibili e rassicuranti della città europea storica, o delle città americane, che con le loro strutture cartesianamente ordinate e positiviste sono ormai un fatto consolidato, studiato e compreso grazie a un secolo e mezzo di dissertazioni, ed entra nello scenario delle metropoli asiatiche, con le loro complessità e incoerenze apparenti, e con lo sviluppo vertiginoso che sta portando, negli ultimi anni, scenari urbani, sottesi da dinamiche culturali così differenti, a mutare aspetto, forma e struttura in maniera radicale. Purtuttavia è vero il fatto che, più la complessità investe la metropoli e ne rende tanto difficoltosa la lettura quanto affascinante il tentativo di venirne a capo, più nascono e si sviluppano, maggiormente nel novero delle scienze umanistiche, tentativi di ricreare un racconto, uno scenario, che possa venire a capo delle dinamiche e offrire immagini dei cambiamenti e del background che la metropoli potrà offrire nel prossimo futuro. Se alla fantascienza, da gran tempo, non è alieno questo fenomeno (valga l'esempio dell'ultimo libro di Giulio Verne1 , che scrisse sulla Parigi del ventesimo secolo circa cento anni prima, e che, ironia della sorte, fu pubblicato nel 1995 per la prima volta, dopo essere stato ritrovato in un 1 G.Verne, Parigi nel XX secolo, Tascabili Economici Newton, Milano 1995. 3 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE baule dove era rimasto nascosto per circa cent'anni), da dopo gli anni ottanta quel filone denominato Cyberpunk ha posto al centro dei suoi racconti proprio la metropoli, rendendola uno dei protagonisti della sua poetica2. Il cinema, i fumetti e la letteratura Cyberpunk offrono innumerevoli esempi di scenari urbani e metropolitani, dalla Geisha giapponese ammiccante da uno schermo ai cristalli liquidi in Blade Runner, passando attraverso il caotico traffico della città di New York descritta ne Il Quinto Elemento, a Coruscant, pianeta città, capitale dell'impero in La giapponese ammiccante nel film Blade Runner, Scena ormai considerata una pietra miliare dell’iconografia urbana fantascientifica Guerre Stellari, per finire con il mondo completamente dissolto in una intelligenza artificiale figlia dell'elaborazione di computer intelligenti nel film The Matrix. Anche il mondo delle illustrazioni e dei fumetti non è alieno da questa fascinazione, negli scenari bui e pestilenziali delle città criminali e violente disegnate dalla matita di Enki Bilal, negli scenari mutogeni e virali delle immagini di Giger, o nella città virus in cui gli abitanti non hanno mai visto il cielo nel fumetto Blame! Del giapponese Tsutomu Nihei, per citare solo alcuni esempi eclatanti. Flussi di traffico nella città americana del futuro nel film Il Quinto elemento Ben consapevoli che questo genere di rappresentazioni ha valore solo se considerato per quello che è - puro esercizio di fantasia senza pretesa di tematizzare la metropoli del futuro, se non creando uno scenario 2 La fantascienza Cyberpunk nasce nel 1980 dopo la pubblicazione del libro, considerato una pietra miliare, The neuromancer di W.Gibson, riunendo sotto tale nomenclatura un novero di scrittori che condividevano tematiche comuni, fra cui anche Sterling, Rucker, Shirley e Stevenson. Questo nuovo filone letterario è lontano dai rassicuranti mondi di Asimov, padre della fantascienza classica, che, a fronte di uno scenario catastrofico, rappresentava comunque una visione positiva del futuro, in cui l'eroe di turno riusciva a mettere ordine nel caos, e in cui la contrapposizione classicamente edipica di bene e male vedeva una redenzione (In ambito cinematografico vale la pena di citare la saga di Guerre Stellari come esempio). Nell'opporsi a questa poetica, la fantascienza Cyberpunk propone mondi corrotti e insalubri, in cui il bene e il male vivono in simbiosi, in cui l'eroe stesso vive ai margini di una legalità superimposta e si muove in un contesto che non lascia spazio a nessuna redenzione. Alla saga di Gorge Lucas si oppone ora un nuovo tipo di cinema, che vede il film Blade Runner come suo capolista, in cui parte dominante è retta dal contesto urbano, spesso fatiscente e virale, spesso scuro notturno e piovoso, in cui si svolge un intreccio dai risvolti poco rassicuranti, come spiega il replicante di Blade Runner, non mosso dalla Forza come i Jedi di Guerre Stellari, che alla fine accetta il fatto che deve morire con una rassegnazione che non ha nessun senso di liberazione. Non muore per una causa, semplicemente muore, come lui stesso dice nelle ultime battute: Io ne ho viste di cose, che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi beta balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser, e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. 4 Scenario urbano dall’alto, nella città pianeta di Coruscant, nel film Guerre Stellari CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE verosimile di ambientazione per il racconto - tuttavia due ordini di riflessioni sembrano emergere da una prima lettura. Da un lato è singolare come la maggior parte della fantascienza contemporanea, quando pensa ad una città, sia legata da infiniti dettagli alla metropoli asiatica in generale, sia perché la scelta ricade in questa area geografica del mondo (in gran parte delle ambientazioni sono riconoscibili particolari di Hong Kong, Seoul, Shanghai, Taiwan o Tokyo), sia attraverso infiniti riferimenti che riportano a queste località, dove, anche Interno Urbano interpretato dall’intelligenza artificiale nel film The Matrix quando, come ne Il Quinto elemento, la città è dichiaratamente americana, i riferimenti all'Asia sono preponderanti in numerosi dettagli. Dall'altro lato si può delineare un tratto comune a tutte le metropoli descritte dalla fantascienza contemporanea: entità buie e grigie in cui qualunque riferimento ad una idea di città tradizionale è totalmente annullato dietro una successione di luoghi senza caratterizzazione. In tutti questi esempi si legge una città sobborgo universalmente estesa, senza che in alcun punto vi sia possibilità di tracciare ordini o gerarchie, con una tecnologia tanto potente quanto deviata e corrotta che fa da sfondo: ambientazioni rese magistralmente dalla penna di Gibson già nell'esordio di The Neuromancer: Il cielo sopra il porto aveva il colore di Mondi virali interpretati dalla matita dell’illustratore Giger un televisore sintonizzato su un canale morto. Coruscant è una città-pianeta, che vive non solo infinitamente estesa a livello del suolo, ma anche infinitamente estesa in altezza, in cui tutti i luoghi sono tali solo per il fatto che esistono, con flussi di traffico e di racconti che si sovrappongono senza soluzione di continuità, affastellati e costruiti come un virus gli uni attorno agli altri senza nessuna identità possibile se non nell'esser-ci heideggeriano: ambienti che paiono rimanere relegati in quello che Marc Augè definisce Nonluogo. Il sociologo francese, nel libro che lo ha reso famoso3 sostiene, citando Starobinsky, che l'essenza della modernità sia una Presenza del passato nel presente che lo supera e lo rivendica […] la possibilità di una polifo- 3 M.Augè, Nonluoghi. Introduzione ad una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano 1993. 5 Blame! di Tsutomu Nihei CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE nia in cui l'incrociarsi virtualmente infinito dei destini, degli atti, dei pensieri, delle reminiscenze poggia su un "basso continuo"di fondo che ritma le ore del giorno terrestre e che segna il posto che occupava l'antico rituale. Basso continuo, l'espressione usata da Starobinsky per evocare i luoghi e i ritmi antichi è significativa: la modernità non li cancella ma li pone sullo sfondo. Essi sono come il tempo che passa e che sopravvive. Perdurano come le parole che li esprimono e che li esprimeranno ancora. […] Il luogo si compie con le parole, con lo scambio allusivo di qualche parola d'ordine, nella convivenza e nell'intimità complice dei locatori. Se lo scenario sembra andare in questa direzione, ci si trova di fronte alla nascita di un nuovo concetto: se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale né storico, definirà un nonluogo. Un mondo in cui si nasce in clinica e si muore in ospedale, in cui si moltiplicano, con modalità lussuose o inumane, i luoghi di transito e le occupazioni provvisorie, in cui si sviluppa una fitta rete di mezzi di trasporto che sono anche spazi abitati, in cui grandi magazzini, distributori automatici e carte di credito riannodano i gesti di un commercio "muto", un mondo promesso alla individualità solitaria, al passaggio, al provvisorio e all'effimero, propone all'antropologo un oggetto nuovo del quale conviene misurare le dimensioni inedite prima di chiedersi quale sguardo sia possibile. Il nonluogo, non esiste mai sotto una forma pura […] Il luogo e il nonluogo sono piuttosto delle polarità sfuggenti: il primo non si è mai completamente cancellato e il secondo non si compie mai totalmente, i nonluoghi rappresentano l'epoca - con qualche conversione tra superficie, volume, distanza - le vie aeree, ferroviarie, autostradali e gli abitacoli mobili detti "mezzi di trasporto"(aerei, treni, auto), gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali e, infine, la complessa matassa di reti cablate o senza fili che mobilitano lo spazio extraterrestre ai fini di una comunicazione così peculiare che spesso mette l'individuo 6 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE in contatto solo con un'altra immagine di se stesso. E' indubbio che, pensando alle immagini cinematografiche, letterarie e fumettistiche sopra menzionate, la descrizione di nonluogo di Augè, ad una prima lettura, risulta adatta a spiegare il colpo d'occhio che si ha giungendo a Shanghai, o in qualunque altra metropoli asiatica per la prima volta: questi aggregati urbani sembrano un caos senza nessuna caratterizzazione, se non quella di sporadiche oasi felici, episodi misura di turisti, che più che alla complessità della metropoli rimandano alla giocosità ludica e fantastica di Disneyland4 , volte ad incentivare un flusso di persone che ne determinino la rinascita e lo sfruttamento commerciale. Prendendo in prestito la definizione di Augè relativa ai nonluoghi come entità in cui non sono presenti contemporaneamente le tre caratteristiche di identità, relazionalità e storia, è possibile esprimere alcune considerazioni: per quanto riguarda la storicità, intendendo questo termine come la tradizione che caratterizza uno spazio e che ne determina la temporalità e, di conseguenza, la continuità di uso e di destinazione, è innegabile che qualunque città possieda questa caratteristica anche laddove, essendo di nuova fondazione, la sua storia diviene cronaca. Per quanto riguarda il secondo concetto, la relazionalità, ovvero la capacità di creare uno spazio che permetta lo scambio di informazioni e merce favorendo i rapporti tra le persone, è ancora innegabile che qualunque città, presa nel suo complesso, possieda questa caratteristica, tanto più metropoli quale Shanghai, che attualmente annovera 8 milioni di abitanti, e che prevede di arrivare a 12 milioni nel giro di vent'anni, o gli altri centri asiatici che mostrano fenomeni di agglomerazione analoghi. Quello che tuttavia crea non pochi problemi è la terza caratteristica, l'identità, per due differenti motivazioni: da un lato si riscontra, infatti, una difficoltà insita nella complessità del fenomeno urbano, che per la sua endemica poliformità poco si presta alla chiarificazione mediante un con- 4 E' singolare che il libro di Marc Augè seguente il suo Nonluoghi, tratti proprio di questa tematica, titolando Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Torino 1997. 7 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE cetto tanto generico, dall'altro invece si riscontra una impossibilità di fondo, per motivi legati alla complessità, nel costruire un archetipo univoco ed assoluto del concetto di identità, e questa situazione è estremizzata, in generale, nelle metropoli asiatiche, in cui la complessità è a livelli massimi. A fare chiarezza è poco utile la definizione di identità che fornisce il DSM IV5 , l'organo mondiale di censimento e di descrizione delle patologie psichiatriche che la definisce, nel capitolo sulle problematiche dell'identità di genere, come il fattore identificativo socio politico culturale in grado di creare una differenziazione in un ambiente massificato, in quanto non contempla che un caos, mancando di gerarchie, per quanto estremamente differenziato, sia di per sé identitario, ma vede solo un'accozzaglia di elementi che a poco vengono in aiuto quando si parla di metropoli e della sua specificità. Al di là infatti di "quadretti", che sono ovviamente differenti in ogni luogo del mondo e che si differenziano enormemente in qualunque metropoli, da Parigi a Londra a Sidney a New York, il problema è leggere alcune dinamiche, e uno scenario di fondo, che sottendano le differenziazioni permettendo di ricreare un senso che in altro modo mancherebbe6 . Se quindi la prima impressione sulle metropoli asiatiche si rivelasse corretta, se, ovvero, esse fossero solo un'accozzaglia di "quadretti" senza nessun filo conduttore, ci si troverebbe di fronte ad un nonluogo, perfettamente calzante nella definizione di Marc Augè, che ospita circa dieci milioni di abitanti, e si sarebbe costretti a concludere che tutta la parte orientale del mondo stia sviluppando fenomeni urbani caotici che hanno scarso interesse disciplinare… ma dire che l'uomo, dopo circa diecimila anni di costruzione di civiltà, sorpassi le soglie del terzo millennio sviluppando a caso circa un terzo della sua estensione geografica, sarebbe 5 Aa.Vv. American Psychiatric Association (a cura di), DSM IV, Masson, Milano 1994, pag. 582 e seguenti 6 Lungi dal voler entrare in una trattazione specifica che riguardi il senso e le sue caratteristiche, quanto la sua oggettività e i suoi fondamenti, si prende in prestito per Senso l'accezione che Venturi ha investigato e concluso attraverso il suo studio Learning From Las Vegas. 8 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE come ammettere la sconfitta di quella ragione che da sempre ha decretato, secondo i filosofi, la differenza tra l'uomo e l'animale. Ma sono così differenti Shanghai, Hong Kong, Taipei, Seoul, Singapore o le altre metropoli asiatiche dalla città di Blade Runner o de Il Quinto Elemento? Perché se la risposta dovesse essere negativa si dovrebbe concludere che proprio di nonluoghi si tratta, e non c'è redenzione per un nonluogo, né nella fantascienza né nel mondo fisico; non c'è possibilità di pianificare un nonluogo, proprio in quanto accozzaglia di eventi differenziati e non relazionati, e, se di nonluoghi si stesse parlando, non solo un terzo del mondo vivrebbe in realtà deliranti ancora di più di quanto potesse delirare la New York di Rem Koolhaas7, ma anche non vi sarebbe possibilità alcuna di mutare questi luoghi deliranti in qualcosa di strutturato. Considerato il fatto, apparentemente universalmente condiviso, che la pianificazione e la disciplina urbanistica stiano attraversando un momento di crisi, lo scenario non è affatto roseo: fare i conti con queste realtà infatti non sembra essere cosa facile. Questo ha un risvolto progettuale immediato nel fatto che, se le città asiatiche non hanno una specificità, non è possibile neppure ipotizzare un intervento architettonico all'interno delle metropoli, il che decreterebbe la sconfitta di tutta una disciplina nel suo complesso, dal fare città al creare gli elementi alla base della sua immagine fisica. Per dirla in termini psicanalitici, sempre in linea con il DSM IV, il problema è quello di trovare un equilibrio, stabile anche se non oggettivo (il concetto stesso di oggettività è oggi in crisi), in cui queste dinamiche possano svilupparsi, prima che una presunta malattia psichiatrica, eventualmente sopravvenuta, possa cronicizzarsi e non lasciare spazio alla costruzione di un sé coerente e strutturato, ma solo a contenimenti tem- 7 Alcuni critici hanno evidenziato l'intenzione, in pieno boom psichiatrico e psicanalitico, di R.Koolhaas, in Delirious New York, di mettere la città stessa sul lettino dello psicanalista. In questo il titolo, mai ripreso e dichiarato nella trattazione, sembrerebbe magistrale: New York è una città delirante, e, l'unico modo per capirla, è entrare nel suo delirio come si entra nel delirio di un folle. Si potrebbe azzardare forse l'ipotesi che la partenza di questo autore e del suo saggio sia nel concetto di schizofrenia che cita Jameson parafrasando Lacan, di cui si parla meglio più avanti (vedi il capitolo 5). 9 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE poranei del suo delirio. Lungi dal pensare di poter rifondare una disciplina, tuttavia questo lavoro ha il suo punto di partenza in questo genere di riflessioni. Non è possibile, probabilmente, definire oggettivamente cosa crei identità, è interessante capire, tuttavia, quali dinamiche si celino dietro un apparente caos, perché solo evidenziando questo scenario, forse, si riesce a non rientrare nella definizione di luogo e nonluogo di Marc Augè, e si può pensare di poter prevedere, e soprattutto controllare, uno sviluppo che permetta, ad un organismo urbano, una sincronicità non casuale nei suoi nessi di sviluppo. Definita la schizofrenia come un disturbo che annullando i nessi logici temporali fa sì che il soggetto viva in un magma in cui presente passato e futuro si trovano a convivere senza logiche alcune, secondo la accezione lacaniana del termine, questa sequenzialità permetterebbe di uscire dall'aporia dei nonluoghi. Il proposito di questo lavoro, quindi, è quello di evidenziare lo scenario su cui si impostano questi interventi urbani, leggere le dinamiche che sottendono mutamenti di tali dimensioni e complessità, e trovare il fil rouge che si cela nelle spire di queste metropoli mostrando come, forse, siano figlie di uno spirito dei tempi che, proprio perché attuale e complesso, nonché investito da infinite variabili, è, apparentemente, di difficile riscontro in una prima e superficiale analisi. L'intento è quello di vedere, quindi, come lo spirito dei tempi attuali possa influire sulla pianificazione di questi organismi metropolitani, e come esso possa essere mutato negli ultimi anni; il proposito è leggere come il pensiero filosofico contemporaneo possa avere attinenze con questi fenomeni e, d'altro canto, comprendere se sia possibile trovare un filo conduttore che possa, senza ricreare una metanarrazione, portare alla conclusione che c'è un senso di venturiana concezione, e che queste metropoli sono dei luoghi ove, pertanto, è possibile prevedere una operatività e un controllo disciplinare, sia nello scenario di base, sia nelle sue manifestazioni fisiche. 10 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE - 1.2 - impostazione e obbiettivi della ricerca Nel novero delle metropoli asiatiche che presentano le caratteristiche summenzionate una fra tutte, per due ordini di riflessione differenti, sembrerebbe destare particolare interesse: la città di Shanghai nella Repubblica Popolare Cinese. Da un lato infatti Shanghai sta vivendo, in questo momento storico, un forte fenomeno di sviluppo che vede la Cina, con la capitale, Pechino (Beijing), e Shanghai appunto, come le due capofila, in un periodo di massima esplosione che interessa qualunque campo, dopo gli anni di torpore e di stasi determinati dal regime comunista e dalla crisi post seconda guerra mondiale. Il mondo, oggi, guarda a questa realtà come ad un fenomeno unico nel campo della cultura, del sapere, dell'economia e del costume, che desta interesse e, talvolta, preoccupazione, poiché nel suo mutamento investe tutto il mondo asiatico e occidentale in generale, e nei prossimi vent'anni accentuerà questo fenomeno in maniera esponenziale. Dall'altro lato invece è interessante notare come, oggi, Shanghai dichiari e pianifichi uno sviluppo che la riporti in auge e ne faccia brillare ancora i suoi fasti, dopo anni di politica Maoista che l'aveva relegata in secondo piano rispetto alla capitale in quanto la considerava, per motivazioni prevalentemente di carattere storico, che vedono Shanghai molto legata al mondo occidentale e alla comunità internazionale, una antagonista prima di tutto culturale. Oggi tuttavia questa metropoli sta rinascendo, e sta pianificandosi per raggiungere il massimo del suo sviluppo in una ventina d'anni (il Master Plan, definito nel 1999, prevede che le strategie di fondo vengano totalmente attualizzate entro il 2020) investendo economia e sociale, e creando un polo culturale forte sia per la Cina sia per l'estero. 11 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE La vecchia perla dell'oriente, come veniva definita a cavallo tra l'inizio del novecento e gli anni trenta, vuole oggi creare un centro che la riporti ad essere, secondo le parole della stessa municipalità, una delle capitali del ventunesimo secolo, un po' quello che è stata New York nel mondo occidentale a cavallo degli anni ottanta, visione espressa da Deng Xiaoping già all'inizio degli anni ottanta. Se il punto di partenza dovesse essere quello esposto poc'anzi, sarebbe ben curioso capire su quali presupposti si possa pensare che un nonluogo possa diventare addirittura una delle capitali culturali e identitarie del ventunesimo secolo, e, sebbene la partenza e l'immagine della città, sporca, polverosa, inquinata e caotica, possa far sorridere e pensare ad un delirio di onnipotenza di un popolo che sta rifondando se stesso politicamente e socialmente, una serie di dati sembrano comunque suffragare questa ipotesi. Dal 1995 infatti, anno in cui la municipalità di Shanghai ha iniziato ad impostare metodicamente il piano dello sviluppo futuro, capitali economici e risorse dall'estero sono confluite in questa metropoli rendendo possibile l'edificazione, in tempi brevissimi, di 4300 grattacieli e un numero impressionante di opere pubbliche. Sono aumentati gli investimenti su questa città a tal punto che il divario economico tra Shanghai e Hong Kong, uno dei centri più avanzati dell'estremo oriente, stimato nel 1997, anno in cui Hong Kong è passata da protettorato inglese a regione a statuto speciale della Repubblica Popolare Cinese, in circa trent'anni, si è dimezzato nel 2001 passando a quindici anni8 . Lo scenario della città cambia di continuo, i tempi di edificazione e di sviluppo sono rapidissimi, e tutto il mondo guarda a questa metropoli con curiosità, chiedendosi quanto possa spingersi avanti per questa strada, ma la realtà è che tutto pare confermare l'affermazione che Shanghai diventerà una delle capitali del ventunesimo secolo compiendo lo stesso passo che New York ha mosso a cavallo degli anni ottanta. 8 I dati qui presentati sono dichiarati nei bollettini ufficiali sia cinesi che esteri, divulgati da enti pubblici e dalla Municipalità di Shanghai. 12 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE Shanghai ha imparato dalle cinque tigri (Malesia, Hong Kong, Singapore, Taiwan e Corea), le ha studiate e le ha imitate, ne ha compreso logiche e dinamiche e le ha messe in pratica nel suo proprio scenario sviluppando una sua linea. Paradigmatica di tutte le metropoli asiatiche in quanto sta rifondandosi completamente in questo momento, sembra che Shanghai sia, oggi come oggi, l'esempio migliore per capire le dinamiche che muovono le città di quest'area del mondo, e per cercare di capire, scopo dichiarato di questo lavoro, gli scenari e le dinamiche che sottendono fenomeni metropolitani di tale entità. Guardando, in questa sua operazione di sviluppo, la realtà americana, New York in prima battuta, come uno degli esempi verso cui tendere, riconosce a questa metropoli un ruolo chiave nell'ambito dello sviluppo di dinamiche analoghe a quelle che può riscontrare in se stessa. Una prima parte di questo lavoro, quindi, si prefigge un'analisi della realtà in formazione di questa metropoli, partendo dal Master Plan attualmente in uso, che prevede una finestra di sviluppo lunga circa vent'anni (dal 1999 al 2020), oggi alla fase iniziale del suo percorso. Lo scopo è quello di cercare di comprendere, attraverso approfondimenti storici, le tematiche che possano mostrare come lo sviluppo passato di questa città abbia delle ripercussioni nella sua attuale configurazione. Dai tempi della Guerra dell'oppio (1842), infatti, la città ha subito un forte incremento rispetto al piccolo centro che era sempre stato, sia per influsso delle forze coloniali che hanno creato, ex novo, una parte di città, l'International Settlement, che ne ha determinato un primo grande ampliamento, sia per effetto della cosiddetta Dominazione Giapponese prima, e dell'avvento del Maoismo poi, che hanno condizionato la sua crescita. L'interesse della sua configurazione attuale, secondo le strategie impostate dal Master Plan, e la problematicità di schematizzazione di un organismo urbano tanto ampio, infatti, hanno radici ben più profonde che affondano nel suo passato sia per quanto riguarda il rapporto dell'attuale 13 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE con la sua storia, sia perché, dopo il 1976, anno della morte di Mao e dell'ascesa di Deng Xiaoping, hanno determinato una riapertura della Cina nei confronti della comunità internazionale, rendendo possibili una serie di ragionamenti che, attraverso lo sviluppo dell'area di Pudong, prospiciente il fronte coloniale di Shanghai, hanno portato alla definizione delle strategie che vengono perseguite oggi. Ma se il fenomeno Shanghai appare come un momento epocale di differenziazione tra le logiche che tradizionalmente hanno mosso l'organizzazione delle metropoli in generale, una sola lettura del suo attuale Piano Regolatore risulta insufficiente ad esprimerne tutte le sue sfumature, e, già da una prima analisi, crea non pochi problemi nella comprensione dei fenomeni e delle dinamiche che sottendono il proposito di realizzare una identità tanto forte quanto quella che la metropoli si prefigge di costruire. Se, quindi, da un lato, il problema delle metropoli asiatiche in generale, e del caso studio preso ad esempio, si configura come la possibilità che queste realtà possano divenire nonluoghi, dall'altro non basta mettere in luce le strategie di sviluppo per comprendere la vastità del fenomeno. Le dinamiche tradizionali non bastano ad offrire una spiegazione convincente, questo è chiaro fin dal primo momento in cui si approccia a questa realtà, il problema è ben più radicato ed è da ricercarsi in una mutazione generale dello spirito dei tempi, scenario sociale, culturale e politico che sottende aggregati urbani di dimensioni spropositate. Una seconda fase di questa ricerca quindi vuole prendere in considerazione il pensiero attuale e comprendere i risvolti filosofici che sottendono l'idea di complessità, che sembra essere il problema che maggiormente investe, oggi, il fare città, specialmente in aggregati di tale portata. In un'epoca in cui tutto si velocizza e in cui le variabili di qualunque sistema sono in numero enorme, infatti, il tentativo di ricreare un modello da perseguire appare fallace in partenza, e, a questo fatto, si aggiunge il dibattito contemporaneo sul fenomeno della virtualizzazione che 14 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE investe con la forza di un fiume in piena qualunque fenomeno fisico, creando un tale cambiamento di prospettive che qualunque realtà sembra esserne investita. Se la complessità postmoderna sfocia nel virtuale, una lettura di questi processi può forse aiutare a fare chiarezza sul caso studio mettendo in luce alcune dinamiche. Poiché, tuttavia, il presupposto dell'analisi del pensiero e della filosofia del virtuale ha presupposti operativi, cercare di vedere, cioè, come e in che modo questa filosofia si rifletta nella metropoli di Shanghai mutandone le logiche, sembra utile cercare di comprendere questi aspetti confrontandola con altre realtà che siano particolarmente significative. Un ultimo passo, quindi, sarà quello di cercare di evidenziare, attraverso un racconto non metanarrativo, come tali dinamiche possano avere una ricaduta sul caso in esame e quali possano essere le ingerenze di tale sistema di pensiero sull'organismo urbano. Se l'ultima parte di questo lavoro sarà un'analisi sul campo, è chiaro fin da subito che non potrà avere pretesa di oggettività aprioristica, non foss'altro per il fatto che questo tipo di sicurezza, proprio per le ricadute pratiche che la filosofia postmoderna e il fenomeno della virtualizzazione hanno sulla realtà, è, oggi, imperseguibile. L'intento quindi è, attraverso un esempio paradigmatico, nel complesso dei giochi linguistici che verranno analizzati in filosofia e nel pensiero, cercare di rendere commensurabili due fenomeni, in maniera tale che, fuori da una pretesa di oggettività di stampo illuministico, dalla dialettica tra i due casi possa scaturire una considerazione generale che metta in luce i rapporti tra Shanghai e questi concetti. Per i motivi accennati sopra, e per una serie di riflessioni che faremo in seguito, l'esempio più lampante e che meglio si presta ai fini di quest'ultima parte del discorso, è rappresentato proprio dalla città di New York. Questa considerazione ha due fondamenti: da un lato, infatti, questa metropoli ha raggiunto un apice universalmente condiviso negli anni ottanta, e ha sviluppato un senso di identità proprio come nessun altro 15 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE luogo del mondo nello stesso periodo. Dall'altro invece il fatto che le dinamiche di New York sono state studiate e descritte numerose volte, il che facilita la costruzione di un discorso condivisibile attorno ad essa trovando una serie di esempi paradigmatici basati su un consenso generalizzato. Non ultimo è da considerare il fatto che, accanto alla sua storia e alla sua costruzione strategica e metodologica, la città di Shanghai dichiaratamente vede, in questa metropoli, un esempio a cui fare riferimento e un paradigma da seguire. Attraverso il confronto tra le due realtà, quindi, con alla base un approfondimento sui temi della complessità e del virtuale dal punto di vista filosofico, è forse possibile trarre parte di quello scenario, ed alcune di quelle dinamiche, sulle quali Shanghai fa leva nella costruzione della propria identità. Dalla differenza di approccio e di impostazione tra le due metropoli è forse possibile arrivare a quella matrice filosofica che, lungi dal voler essere esaustiva, tuttavia potrebbe aiutare a risolvere l'aporia citata in precedenza, ossia che Shanghai, e con lei le metropoli asiatiche, siano un nonluogo, una accozzaglia di "quadretti" casuali che non hanno alcuna possibilità di costruire niente, tanto meno il forte senso di appartenenza che dovrebbe sottendere una città il cui proposito è quello di ospitare al suo interno dodici milioni di abitanti. Lette queste dinamiche a confronto con il Master Plan, inoltre, potranno forse trovare una risposta alcuni dubbi che emergono da quest'ultimo, definendo come una disciplina, quella urbanistica, possa affrontare un problema tanto grande con l'ausilio di una filosofia di fondo che ne muta alcuni caratteri. Queste riflessioni, qualora fossero avvalorate nel loro sviluppo, si configurerebbero come preliminari per definire una strategia operativa che, da un lato, potrebbe rendere chiaro come si stanno muovendo le popolazioni asiatiche nella costruzione dei loro scenari urbani, e, dall'altro, potrebbe essere utile per comprendere, in parte, come il mondo occi- 16 CAPITOLO 1 - INTRODUZIONE dentale possa fare tesoro di questi fenomeni e, studiandoli approfonditamente e nel dettaglio, trarne esempi e strategie che, lungi dall'appartenere solo ad una parte del mondo e alla sua delirante configurazione spaziale e sociale, possano essere esportate e possano contribuire a rifondare una disciplina, che attraversa oggigiorno un momento di crisi. 17 Capitolo 2 - Shanghai, una lettura del suo percorso: L'attuale Mastre Plan - 2.1 - The Comprehensive Plan of Shanghai: considerazioni preliminari Il precedente Piano Regolatore per la Regione Metropolitana di Shanghai era stato approvato dallo State Council nel 1986, dopo che la Cina, che nel periodo di governo comunista, dal 1949, aveva decretato una chiusura al mondo capitalista, con la morte di Mao Tse-Tung nel 1976, grazie al nuovo primo ministro, Deng Xiaoping, cercò di mutare la sua politica radicale e progettò una nuova apertura al mercato e alla cultura internazionale. Mutati gli obbiettivi politici ed economici, Shanghai, importante centro a vocazione internazionale sin dal 1842, quando aveva iniziato lo sviluppo coloniale, a seguito del Trattato di Nankino, successivo alla Guerra dell'oppio che aveva visto protagonisti il Governo Cinese, che si opponeva alla vendita dell'oppio proveniente dall'india britannica, e la Gran Bretagna, poteva ora iniziare a rifiorire. Questa propensione ad un mercato internazionale decretò, infatti, una certa diffidenza da parte del Primo Ministro Mao Tse-Tung, che attuò una politica più conservatrice penalizzando la città e assoggettandola alle decisioni di un potere centrale, Beijing, che ne bloccò per quasi cinquant'anni lo sviluppo portandola alla decadenza che la configurava alla fine degli anni settanta. Grazie alla nomina dell'area di Shanghai a Distretto Autonomo, in grado di autogestirsi nel rispetto del potere centrale, la rinascita culturale ed economica non tardò ad arrivare, e a decretare un aumento di popolazione, forza lavoro e terziario che rendevano inadeguate le strutture urbane sorte in precedenza con una scarsa pianificazione per lo più strategica e poco operativa. 18 CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE Di qui la necessità di un Master Plan che fosse in grado di predirne e controllarne lo sviluppo, incentivando la propensione della città alla crescita fisica, economica e sociale, attraverso un primo piano, definito nel 1992, che portò allo sviluppo dell'area di Pudong, prospiciente il vecchio porto coloniale, Waitan (The Bund nella sua nomenclatura britannica), considerato fino ad allora il granaio di Shanghai in quanto sede di pochi quartieri residenziali fatiscenti, industrie navali, risaie, magazzini, e, nella maggior parte del territorio, paludi e aree non bonificate. Tuttavia la rapida crescita ed il continuo cambio di panorama urbano e dello scenario che lo sottendeva, hanno sancito la necessità di creare un piano che sviluppasse tutta l'area di Shanghai, sul banco prova rappresentato dallo sviluppo rapidissimo della Pudong New Area, trasformata, in meno di dieci anni, da terrain vague a nuovo distretto economico e commerciale grazie al raggruppamento di ingenti capitali esteri e Cinesi. L'obbiettivo del nuovo piano, espresso dalla Municipalità, era quello di creare un solido fondamento fisico e una rete di sviluppo che potesse creare una forte impronta all'ingresso della città nel ventunesimo secolo. Il quattordicesimo congresso del Partito Comunista, nel 1992, definì le strategie del nuovo piano come: con lo sviluppo e l'apertura di Pudong come inizio, alla futura apertura delle città lungo il fiume Yangze, costituire Shanghai come uno dei centri mondiali economici, commerciali e finanziari nella maniera più rapida possibile e di attuare una nuova politica economica nel Delta dello Yangze così come nell'intera valle del fiume. Con lo scopo di riflettere i cambiamenti che si erano configurati e raggiungere gli obbiettivi prefissati, lo Shanghai Municipal People's Government decretò una revisione del piano esistente, compilato nel 1992, per l'intera area di Shanghai, delineando, nel 1993 e nel 1994, due momenti di revisione generale, al termine delle quali venne lanciato il piano di sviluppo per il Master Plan attuale, definendo le linee guida di quello che venne formalizzato ufficialmente nel 1999, così come votato 19 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE dalla Quinta Sessione Plenaria del Settimo Congresso del Comitato Centrale del Partito. Il nuovo piano fu inviato all'approvazione di un gruppo di esperti del Ministero delle Costruzioni il 7 dicembre 1999, che lo modificò e lo rifinì e, nel gennaio 2000, fu presentato per l'approvazione finale della Municipalità, che lo approvò in via definitiva l'11 maggio 2001. L’ultima versione presenta un organo pianificatorio a sei livelli gerarchici, di cui il Comprehensive Plan of Shanghai è il documento strategico operativo alla base, che definisce le linee guida che investono l'intero organismo urbano delineandone le strategie e le interazioni. Questo primo documento è composto di nove tavole generali, che si occupano organicamente dell'area centrale e dell'area suburbana regionale definendone le interazioni e le differenziazioni, e fornendo una visione generale delle problematiche: 1. The Comprehensive Plan of Shanghai Metro-Region (1999- 2020) - Land Use 2. The Comprehensive Plan of Shanghai Central City (1999-2020) - Land Use 3. The Comprehensive Plan of Shanghai Metro-Region (1999- 2020) - Urban Structure of Cities and Towns 4. The Comprehensive Plan of Shanghai Central City (1999-2020) - District Structure 5. The Comprehensive Plan of Shanghai Metro-Region (1999- 2020) - Major Road System 6. The Comprehensive Plan of Shanghai Central City (1999-2020) - Road System 7. The Comprehensive Plan of Shanghai Metro-Region (1999- 2020) - Mass Rapid Transit 8. The Comprehensive Plan of Shanghai Metro-Region (1999- 2020) - Greenery System 9. The Comprehensive Plan of Shanghai Metro-Region (1999- 2020) - Conservation of the Famous Historic Cities 20 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE Queste tavole presentano una prima differenziazione, e possono essere lette secondo tre ordini di problematiche differenti, connesse a formare l'idea globale che si sviluppa in parallelo in due scenari distinti, lo Urban Development e il General Plan, comprendenti il primo l'area metropolitana denominata Central City, mentre il secondo la Metropolitan Area (i centri periferici e le New Towns): una prima parte comprende la problematica dei suoli, della loro destinazione e delle loro interazioni sia per quanto concerne l'area metropolitana regionale che quella centrale (punti 1, 2, 3, 4), una seconda parte include le problematiche relative ai trasporti, per quanto riguarda le due aree ed è compendiata da un altro documento, che delinea le strategie nello specifico, lo Shanghai Metropolitan White Paper (punti 5, 6, 7), e una ultima parte prende in esame le problematiche di tutela sia dell'ambiente naturale (punto 8) e di una sua implementazione, che vede Shanghai agli ultimi posti nel rapporto verde superficie, sia del patrimonio storico esistente (punto 9). Accanto a questo primo organo (compendiato, come abbiamo detto, dal piano dei trasporti, o White Paper come viene normalmente denominato), nel rispetto di quanto previsto dalla regolamentazione generale sullo sviluppo delle aree urbane della Cina, sono stati creati altri sei livelli gerarchici di piani che arrivano ad una definizione via via più dettagliata delle singole zone, e che servono ad entrare nello specifico delle situazioni espresse dal General Plan e fungono da strumenti attuativi. Il General Plan, il Comprehensive Plan of Shanghai compendiato dallo Shanghai Metropolitan White Paper, viene in questo modo diviso in 7 Development Controlled Plan, per ognuno dei quali esistono dei Detailed Construction Plan a loro volta differenziati in tre sottopiani: Development Controlled Area, Plan e Urban Design Plan. 21 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE - 2.2 - The Comprehensive Plan of Shanghai: strategie In accordo con una volontà di sviluppo sostenibile, e con l'obbiettivo di costituire Shanghai come un dragone con tre teste, il Master plan è basato su cinque punti di importanza strategica: 1. Servire l'intero paese creando un affaccio sul mondo, attra- verso una pianificazione che veda tre aree di sviluppo distinte (la Central City, la Urban Area e la Megalopolis Zone, nel delta dello Yangze) con Shanghai come epicentro, e lo sviluppo di aree industriali, produttive e infrastrutturali che, espandendosi in tutta l'area, mantengano la città come suo centro. 2. Un simultaneo sviluppo delle aree urbane e dei sobborghi, per rafforzarne la loro competitività in maniera integrata. Coprendo un'area di 6340 Km quadrati il piano enfatizza un carattere di sviluppo che sia "multicentrico, multi livello e multi assiale", in cui la Central City miri a rafforzare le sue funzioni rifiorendo e mostrando la sua prosperità, mentre i sobborghi tendano a velocizzare lo sviluppo riflettendo la forza economica della città. 3. Unità Organica e sviluppo coordinato. Il Comprehensive Plan tende ad enfatizzare, a sviluppare organicamente e ad integrare maggiormente lo spazio urbano, con lo sviluppo economico sociale e paesaggistico, per collegare le funzioni urbane e il centro economico che esse rappresentano. 4. Avviare la città ad uno sviluppo sostenibile, con lo sviluppo paesaggistico come parte fondamentale: l'intenzione è quella di costruire una nuova immagine metropolitana di Shanghai in cui il verde e le problematiche ambientali giochino un ruolo di primo piano. 5. Una oculata politica di vincolo degli edifici e dei quartieri tradizionali, ereditati dal contesto storico di Shanghai, in modo da favorire l'insorgere delle architetture contemporanee, che possano riflettere la storica tradizione di sviluppo legato alle più moderne tecniche e 22 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE tecnologie, che la città di Shanghai ha sempre avuto. A proposito di queste strategie definite dal piano, numerosi colloqui con vari urbanisti della Tongji University ha messo in luce una serie di dinamiche sociali che caratterizzano questo contesto urbano, che sono riflesse nelle linee guida. Questo continuo puntare il dito verso Shanghai come specchio della Cina verso il mondo ha, infatti, precipuamente, una ragione storica ed una sociale: da un lato lo sviluppo coloniale, unitamente allo sviluppo e alla grandeur che Shanghai raggiunse negli anni venti e trenta, vengono considerati dai suoi abitanti come l'epoca d'oro di questa metropoli, che ne ha determinato una vocazione internazionale in quanto sede delle principali compagnie che stipularono affari di import export con l'intera Cina. Dall'altro il fatto che, proprio per la sua multietnicità, che vedeva la popolazione autoctona e quella internazionale (inglese dapprincipio, ma a stretto giro francese, tedesca, olandese, americana, russa, italiana, ebraica e giapponese) vivere a stretto contatto in un International Settlement, decretò tanto la sua prosperità quanto la fusione di culture. I cittadini di Shanghai all'epoca delle colonie, pur mantenendo intatta la loro identità e il loro legame con le tradizioni cinesi, presi dagli occidentali usi e costumi, iniziarono a viaggiare all'estero e a formarsi presso scuole britanniche ed internazionali, ne assorbirono la cultura e la lingua, soprattutto dopo che fu revocato il veto, per la popolazione cinese, di risiedere nella città coloniale, che godeva del diritto di extraterritorialità offrendo, di conseguenza, una certa versatilità e una certa possibilità di movimento sconosciuta in qualunque altro luogo della Cina. Fenomeno alquanto diverso da quello di tutte le altre città cinesi (con l'esclusione, forse, degli avamposti coloniali che svilupparono una certa commistione, comunque blanda), se si esclude il caso di Hong Kong che è rimasta protettorato britannico fino al 1997 e, da allora, è una Regione a Statuto Speciale sotto il controllo del Governo Centrale, che batte ancora la propria moneta, il dollaro di Hong Kong, e che ha un regime economico autonomo che garantisce parecchie facilitazioni negli scambi con 23 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE l'estero, quali la possibilità di usufruire capitali depositati nelle sue banche dall'estero, cosa impossibile da qualunque altra filiale cinese sul territorio. Come spesso viene sostenuto se Beijing, la capitale, rappresenta il legame con la tradizione e vive ancora di dinamiche e manifestazioni culturali propriamente autoctone, Shanghai rappresenta storicamente il punto d'unione con la comunità internazionale, fattore non particolarmente ben visto nel momento dell'ascesa al potere del Partito Comunista che, per ideali politici conservatori, vedeva in questa caratteristica un pericolo che in tutti i modi cercò di scongiurare. Attraverso politiche repressive, infatti, che tolsero tutta l'autonomia e l'intraprendenza che la città aveva acquisito, in virtù di un vassallatico rapporto con il potere centrale che ne prendeva il capitale riallocandolo in tutta la Cina, Shanghai vide minata gran parte della possibilità di operare su se stessa per continuare quelle politiche economiche che la avevano portata a prosperare. E' un fatto condiviso dalla maggior parte delle persone che questa intraprendenza e questa capacità di dialogo con la comunità internazionale sia una caratteristica che, sebbene sopita dagli anni di regime, sia rimasta invariata nei cittadini shanghainesi, il cui sistema sociale è sempre stato più flessibile e liberale di quello degli altri centri della Cina, tanto da essere il primo ad assorbire la ventata di novità portata da una recente distensione, andando ad operare in dinamiche simili a quelle degli anni venti e garantendo una più forte capacità di adattarsi al cambiamento dei tempi. - 2.3 - The Comprehensive Plan of Shanghai: struttura ed uso dei suoli La regione amministrativa di Shanghai copre un'area di 6430 Km quadrati, la popolazione prevista per il 2020 sarà di 16 milioni di abitanti, di 24 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE cui 13,6 milioni saranno impiegati in settori non agricoli, e il tasso di urbanizzazione della regione sarà l'85 percento. L'obbiettivo che il piano si pone di realizzare, entro il 2020, è quello di creare un importante avamposto commerciale e per la produzione industriale, che divenga uno dei principali nodi di scambio a livello mondiale, che abbia pieno titolo sia per i rapporti internazionali che nazionali funzionando come un punto nodale e generatore di tendenze che si riflettano sia sull'estero sia sulla realtà locale cinese, ma che funzioni anche come nodo per lo sviluppo del Delta dello Yangze e dell'intera area del fiume. Su questa base la struttura della regione si configura secondo un sistema "multiasse, multicentrico e ad anelli concentrici", come si legge dalle dichiarazioni della Municipalità. La multiassialità è quella impostata sulla linea Shanghai-Nanjing, Shanghai-Hangzhou e sull'asse che congiunge il centro di Shanghai con il litorale sia marittimo che del fiume Yangtze. La concentricità di più anelli si riferisce ad un sistema a cinque gradi di differenziazione impostato dalla Central City, le New Towns, le Central Rural Towns, le Ordinary Towns e i Central Villages, una struttura di distribuzione dello spazio urbano secondo una gerarchia multilivello che vede la Central City come sua parte principale, supportato da un complesso infrastrutturale di reti di relazione rappresentate dal sistema dei trasporti, compendiate da aree di influenza razionale rappresentate dalle città e dai centri di ogni scala, bilanciati da un layout di integrazione di città e centri di grande, media e piccola scala (vedi Tavola 1). Il sistema della multicentralità è comunque basato sulla Central City centro politico economico e culturale di Shanghai, circondato da un raccordo anulare esterno, e undici New Towns, che gravitano su di essa, dove per New Town si intende un distretto (contea) in cui sia localizzato un Governo di Distretto Locale, o una città di medie dimensioni basata sullo sviluppo di importanti fabbriche e di mega-strutture urbane (quali aeroporti, porti o importanti nodi di relazione). 25 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE Le 11 New Towns sono: Baoshan, Jiading, Songjiang, Jinshan, Minhang, Qingpu, Nanqiao, Huinan, Chengqiao, Airport New Town e Harbour New Town. Le Central Rural Towns, 22, fiancheggiate da sistemi di industrie, sono città di piccole dimensioni organizzate su un sistema di città rurali relativamente grandi, organizzate sistematicamente attraverso un layout razionale, e condizioni di sviluppo economico e geografico particolarmente favorevoli. Le Ordinary Towns, 80 centri, si mescolano in numerose città a vocazione commerciale esistenti, in accordo con i loro sistemi di trasporto, localizzazione, risorse e condizioni di altra natura. Create dall'accorpamento di numerosi villaggi naturali, i Central Villages sono insediamenti o comunità di nuovo tipo che si distinguono per caratteristiche locali, contesti particolarmente significativi, collegate da servizi e infrastrutture impostate su un layout razionale e capillare. Adottando il concetto di sviluppo per cerchi metropolitani, il layout esterno di Shanghai è pianificato tenendo in considerazione i fabbisogni dell'intero complesso di aggregati urbani dell'area del fiume, proponendosi di utilizzare in maniera razionale le risorse del suolo, di costruire in maniera rapida centri suburbani secondari, di formare una struttura integrata di sviluppo urbano e rurale, di rinforzare le strutture composte della Central City, mantenendone sotto controllo sia la crescita demografica sia le destinazioni d'uso, permettendo alla popolazione e alle industrie di disperdersi in maniera graduale nei sobborghi e all'esterno. L'area di sviluppo urbano si estende sino al mare, da un lato, e alle rive del fiume, dall'altro, per sviluppare insediamenti lungo i medesimi, che siano atti alla produzione così come all'insediamento di persone. Lo sviluppo delle funzioni, e la costruzione dell'immagine della nuova area di Pudong, sarà attuato dando priorità alle New Towns e alle Rural Cities, mentre l'isola di Chongming rappresenterà un punto strategico per lo sviluppo sostenibile della città nel ventunesimo secolo. Osservando la tavola The Comprehensive Plan of Shanghai Metro-Region 26 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE (1999-2020) - Land Use (vedi Tavola 2) si distingue la localizzazione di importanti nodi infrastrutturali quali l'aeroporto di Pudong (sul mare) e altri porti, così come gran parte delle aree di utilità per la Municipalità, unite da una striscia a verde che lambisce l'acqua del fiume e del mare, e una zona a verde che circonda la Central City e una serie di insediamenti abitativi e commerciali, le New Towns. Gran parte di queste nuove città ha carattere industriale, favorendo l'uscita delle attività a carattere terziario dalla Central City: le industrie, infatti, vengono collocate in prossimità delle New Town, e in una cintura circolare che lambisce il perimetro della città, ad esclusione di due grandi insediamenti che si situano a estremo nord, sullo Yangtze, di fronte all'isola di Chongming e a sud, sul mare, in corrispondenza di un nodo importante per i trasporti. Un'area di interesse ecologico crea una corridoio che costeggia il fiume Huangpu e, quando questo entra nella Central City, si allarga a formare una cintura di salvaguardia attorno ad un'altro anello circolare a verde che cinge il raccordo anulare della circonvallazione più esterna. Scendendo di scala ed esaminando la Central City (vedi Tavola 3), le dinamiche e le logiche espresse dal Comprehensive Plan of Shanghai sono analoghe a quelle descritte, pianificate per adottare una struttura multicentrica aperta. In questa area ha sede il cuore politico, amministrativo, economico e culturale della città e della regione di Shanghai: compresa tra i limiti di una cerchia interna di circonvallazione copre un'area di 667 Km quadrati di estensione, di cui l'area edificata è pari a 600 km quadrati, con una popolazione di 8 milioni di abitanti. Scandita da strade principali, fiumi e aree a verde, con una distribuzione ottimale dei centri pubblici, una ottimizzata allocazione delle risorse, e in accordo con gli odierni requisiti dei distretti amministrativi, la Central City è divisa in sei distretti multifunzionali: 1. il Central District, comprendente le aree comprese all'interno del limite della prima circonvallazione: il distretto ha sede delle maggiori 27 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE funzioni in ambito finanziario, commerciale, delle informazioni e dei servizi, unitamente ad una vocazione residenziale, turistica e ricreazionale. L'area di Lujiazui a Pudong e Waitan (the Bund) a Puxi sono pianificate per distinguersi come il Central Business District (CBD). 2. Il North District, comprendente le aree di Yangpu, Hongkou, Zhabei e Baoshan, tra la prima e la seconda cerchia di circonvallazioni: vede una dominante presenza di piccole industrie a scala urbana, aree per la ricerca scientifica, stoccaggio e distribuzione di beni e residenza. 3. Il West District, comprendente le aree di Putuo, Changning, Zhabei e Jiaiding tra la prima e la seconda cerchia di circonvallazioni: è separato dal Northern District da Hutai Lu e dal Southern District da Yan'an Zhong Lu, ha funzioni prevalentemente commerciali, commercio di generi di prima necessità, commercio di beni stranieri, industrie chimiche, meccaniche, stoccaggio e residenza. 4. Il South District, comprendente le aree di Xuhui, Minhang, Luwan, Nanshi e il distretto di Changning tra le due circonvallazioni: ha funzioni prevalentemente commerciali, espositive, nuove industrie di alta tecnologia, scienza, istruzione e residenza. 5. Il Northeast District, area a Pudong tra le due circonvallazioni fino alla zona di Zhangjiabang: le sue principali funzioni sono relative a processi di esportazione, residenza e stoccaggio. 6. Il Southeast District, area a Pudong tra le due circonvallazioni a sud di Zhangjiabang: le sue funzioni sono legate all'industria di alta tecnologia e residenza ad alto livello ambientale e di qualità. La priorità della Central City è quella di sviluppare e rifinire le moderne funzioni della città, implementare il Central Business District (CBD), e gli altri livelli di attività pubblica cittadina, incentrati nella zona di People Square (Renmin Park) e circoscritta dalle quattro vie commerciali più importanti: Nanjing Lu, Huaihai Lu, Xizhang Xi Lu e Sichuan Lu, fiancheggiate dallo Yu Yuan Garden, e la stazione di Shanghai, che hanno una compresenza multifunzionale che vede caratteri amministrativi, ufficiali, di commercio al dettaglio, e di luoghi di interesse turistico culturale e 28 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE ricreazionale. Vi è la presenza di quattro aree che rappresentano quattro sub-centri denominati Xujiahui, Huamu, Jiangwan-Wujiaochang, e Zhenru e di altre 3 aree che rappresentano i centri distrettuali. Passando ad analizzare le funzioni previste per la Central City (vedi Tavola 4), la logica di sviluppo pare ancora simile a quella attuata per l'intera regione: un sistema a cerchi concentrici che unisca a livello superiore i distretti garantendo una equa distribuzione delle risorse e una logica che non prediliga nessun centro rispetto agli altri puntando ad una integrazione di tutte le aree cittadine. La priorità nella distribuzione delle funzioni, all'interno della Central City nelle aree interne alla prima circonvallazione, è data allo sviluppo del settore terziario composto principalmente di impianti per la finanza, il commercio, scambio, informazione e servizi e, nonostante non sia facilmente riscontrabile attraverso le immagini del piano, che, specialmente nel CBD dove la loro presenza è ingente (Sichuan Nan Lu, Fuzhou Lu), tende ad amalgamarle al commercio, una discreta presenza di industrie a carattere artigianale urbano che si potrebbero ipotizzare come un retaggio del passato. Piccoli insediamenti industriali spesso fatiscenti e obsoleti, il cui futuro, tuttavia, secondo le indicazioni di massima, dovrebbe essere quello di venire migliorate, anche se non è chiaro se l'intenzione sia la dismissione in virtù di un'industrializzazione più pesante verso l'esterno creando grossi centri (che in tal modo, tuttavia, perderebbero la vocazione artigianale) o se l'obbiettivo sia quello di dare il via ad un ammodernamento, che le porti ad un livello tecnologico più elevato lasciando intatto il loro orientamento di base. Le aree tra i due anelli di circonvallazione saranno principalmente utilizzate per sviluppare industrie di alta tecnologia, industrie produttrici di beni ad alto valore aggiunto e industrie a basso tasso di inquinamento, nonché a rinnovare e perfezionare le industrie esistenti. Verranno edificate, e concentrate tra i due anelli di circonvallazione, circa 29 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE 20 grandi aree residenziali entro il 2020, e grande enfasi è riposta nella conservazione e protezione degli edifici storici e delle aree ad alto interesse artistico e ambientale. Verranno potenziate le viste lungo l'asse est ovest nella Central City e verrà creato un corridoio naturale di verde lungo L'Huangpu River e Shuzhou Creek, così come verranno protetti molti scenari urbani. Con lo sviluppo di un anello di verde che circonda la Central City, assieme a parecchi parchi, viali alberati e giardini, verrà coordinato il layout del verde pubblico e verrà migliorata la condizione esistente. Una indicazione totalmente assente nel piano, a fronte di una dichiarazione che sembrerebbe puntare sulla crescita in altezza, suffragata dallo scenario urbano in attuale configurazione, riguarda le strategie che si vorrebbero attuare in tal senso. Se la Shanghai del passato, infatti, viveva di Lilong, quartieri comunità a caratteristica semiprivata, non è chiaro quanto di questa tipologia voglia essere mantenuta nei nuovi centri residenziali e quanto, invece, si voglia creare aggregazioni verticali, fattore che andrebbe ad influire sia sulle residenze, sia sul commercio, sia sulla tutela del costruito e della storia. - 2.4 - The Comprehensive Plan of Shanghai: trasporti Il sistema dei trasporti a Shanghai ha avuto un fortissimo sviluppo sia per quanto concerne la viabilità automobilistica, sia per quella ferroviaria e la rete dei mezzi pubblici. Nonostante il mezzo di trasporto privato più diffuso in Cina sia costituito dalle biciclette - sono presenti sul territorio circa 23 milioni di unità, visibili ovunque in un numero tale da far dire a Richard Rogers, quando preparò il piano di sviluppo della Pudong New Area, che è curioso come la Cina possieda già di base un requisito su cui le città europee stanno lavorando enormemente negli ultimi anni: la bicicletta - la diffusione di 30 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE automobili ha avuto negli ultimi dieci anni un enorme spinta, sia per motivi pratici, sia per motivi sociali. Rappresentando un elemento di status symbol auspicabile e ambito, l'automobile privata rimane uno dei fattori di ammodernamento su cui la Cina spinge maggiormente, considerandola come primo indicatore di benessere, nonostante i costi enormi da sostenere sia nell'acquisto della licenza di guida che, per essere ottenuta, necessita di una scuola molto impegnativa, sia nell'acquisto del mezzo, in quanto, producendo la Cina circa 510 mila pezzi all'anno a fronte di una popolazione di 1 miliardo e 300 milioni (Il Giappone, solo a titolo di confronto, è il primo produttore mondiale con 8 milioni di pezzi l'anno, mentre l'Italia, l'ottavo, produce circa tre volte le vetture della Cina), la maggior parte dei veicoli sono di importazione. Se tuttavia è vero questo è vero anche il fatto che, proprio perché importati dall'estero, questi beni presentano il primo fattore di ricchezza dei cittadini che, appena riescono a guadagnare, si appropriano di auto costosissime e all'avanguardia. Solo alcuni dati per dare la dimensione del fenomeno: a Gennaio 2002 a Shanghai ha aperto il primo rivenditore Ferrari, e dopo soli sette mesi erano state vendute una decina di vetture, in un paese in cui il reddito medio di una famiglia che possa considerarsi benestante arriva a stento a 600 USD al mese, secondo fonti dell'ICE. Vero è che grazie all'impulso economico che la Cina ha avuto negli ultimi anni questo genere di beni è ambitissimo anche se non è tanto lussuoso quanto una Ferrari: la Volkswagen, unica azienda europea ad avere uno stabilimento che produca vetture direttamente in Cina, ha invaso il mercato con alcuni modelli considerati di basso costo e prodotti solo per il mercato Cinese, ambitissimi allo stesso modo delle auto sportive. Il numero di vetture computate dalla Cina è di 1.048 milioni, ma le stime prevedono che questa cifra aumenterà fino a 2.2-2.5 milioni di vetture nel 2020. Le condizioni del traffico cittadino, migliorate notevolmente tanto da aver 31 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE aumentato la velocità media da 12 a 15 km/h nelle strade non ad alta velocità, risultano comunque caotiche, ma i capitali investiti e i lavori di costruzione e di miglioramento stanno mutando notevolmente il sistema del traffico. Al movimento veicolare, in crescita, un altro fenomeno sta crescendo notevolmente e ha subito delle migliorie enormi nell'ultimo periodo, con il programma di migliorare ancora l'esistente: il movimento mediante mezzi pubblici, metropolitana, ferrovia e autobus, nonché quello relativo ai taxi, che negli ultimi due anni ha subito una forte crescita. Le stime contano un movimento mediante il sistema pubblico di 35 milioni di viaggi al giorno, che nel 2020 raggiungerà il numero di 48 milioni. E' chiaro che questi presupposti necessitino di un forte sviluppo sia a livello di miglioria della rete di mezzi pubblici, sia a livello di creazione di nuove strade atte ad assorbire tali flussi, sia a livello di una capacità di gestione del traffico e delle problematiche connesse, parcheggi e nodi di interscambio, nonché integrazioni con il sistema esistente, flusso pedonale e ciclabile. Il Comprehensive Plan of Shanghai prevede tre livelli differenti di pianificazione per quanto riguarda il problema dei trasporti, che si configurano in tre tavole, e che, tuttavia, sono compendiate da uno studio, Shanghai Metropolitan Transport White Paper, che affronta il problema nel dettaglio definendo strategie e problematiche specifiche. La prima tavola (vedi Tavola 5), The Comprehensive Plan of Shanghai Metro-Region (1999-2020) - Major Road System, analizza le arterie per i collegamenti su gomma, e i loro nodi di interscambio per quanto concerne l'intera area della provincia di Shanghai, tracciando il collegamento con la Central City, considerando tre differenziazioni gerarchiche: 1. le Expressways, strade a scorrimento veloce il cui limite previ- sto di velocità è di 80, 120 km/h, hanno una sezione di 50-100 metri e ad entrambe le estremità è realizzata una linea di protezione a verde che ha una profondità di circa 50 metri 2. le Arterial Highways, hanno un limite di velocità previsto di 50, 32 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE 80 km/h, una sezione di 45-50 metri e ad entrambe le estremità una linea di protezione a verde che ha una profondità di circa 20 metri 3. le Sub-arterial Highways, hanno un limite di velocità previsto di 40, 80 km/h, una sezione di 35-40 metri e ad entrambe le estremità una linea di protezione a verde che ha una profondità di circa 10 metri. Il layout della rete viaria è sviluppato secondo due differenti sistemi: il primo, che si sviluppa radialmente, a cerchi concentrici uniti da una griglia a scacchiera, le Expressways, mentre un secondo, a scacchiera, rappresentato dalle Arterial Ways, con maglia relativamente più regolare, e dalle Sub-Arterial Highways, a maglia meno regolare. Le Strade sopraelevate cittadine sono composte di 4 Highway, 3 Arterial Highway e 12 Sub-arterial Highways che connettono la città con la regione. Il sistema viario si estende per circa 2500 km di cui le Expressways si estendono per 650 km, le Arterial Highways per circa 740 km e le Sub-Arterial Highways per circa 1110 km con una densità media di circa 0,43 km/km2. Per quanto riguarda la Central City ci sono due modelli differenti di rete viaria che incidono su di essa: uno è concentrico, costituito da arterie che formano due circonvallazioni , l'altro è ancora una volta costituito da un sistema a griglia. Le strade urbane si dividono in 4 categorie: 1. Expressways, a sezione di 50-100 metri, in cui la velocità pre- vista è di 60, 80 km/h, principalmente strade a scorrimento veloce urbane, le arterie che entrano nella città e le circonvallazioni. 2. Arterial Roads, a sezione di 42-60 metri, in cui la velocità pre- vista è di 50, 60 km/h, connettono i distretti della città e portano alle circonvallazioni. Le Arterial Roads esistenti all'interno della prima cerchia sono sostanzialmente tre strade longitudinali e tre trasversali, a cui si sommano alcune altre nelle aree locali. Quelle fuori dalla cerchia sono le strade che portano dai sobborghi sino al centro. 3. Sub-Arterial Roads, a sezione di 32-40 metri, in cui la velocità prevista è di 40, 50 km/h, sono strade per il transito locale. 33 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA 4. LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE Local Roads, a sezione di 24 metri circa, in cui la velocità pre- vista è di 20, 40 km/h, sono specifiche per il traffico locale e uniscono il sistema delle strade maggiori con le varie stradine che raggiungono le singole case addentrandosi anche nelle varie unità di vicinato (Lilong). La lunghezza totale delle strade in progetto fino alla circonvallazione più esterna è di 3630 km, e la densità della rete stradale è di circa 5,5 km/km2 di cui circa 1440 km sono costituiti dalle grandi arterie con una densità di 2,14 km/km2. Per connettere le due sponde del fiume Huangpu, che divide in due la città di Shanghai nella sua zona storica separando Waitan e Pudong, sono in progetto 16 ponti di attraversamento. Accanto alla pianificazione di una consistente maglia stradale che favorisce lo sviluppo della comunicazione veicolare su gomme è progettata una altrettanto fitta rete di mezzi pubblici, costituita da servizi di treno, metropolitana, metropolitana leggera e monorotaia che, da un lato, permetta il collegamento e il rapido flusso di persone all'interno della Central City, e dall'altro favorisca l'accessibilità al centro dall'esterno della città. Anche in questo caso (vedi Tavola 6), come nei due precedentemente esposti, il livello è gerarchico organizzato attorno a tre differenti layer: un primo livello, costituito da ferrovie, unisce Shanghai alle province e città adiacenti, un secondo livello è rappresentato dalla metropolitana urbana, e un terzo livello è costituito da un sistema di metropolitane e metropolitane leggere all'interno della Central City. La metropolitana consiste di 4 linee di carattere regionale, e di 8 linee urbane e 5 linee urbane di metropolitana leggera. La costruzione di una linea di metropolitana sopraelevata, lunga 35 km, di progettazione tedesca, di cui un primo tratto è stato inaugurato a febbraio dello scorso anno, si svilupperà da Longyang Lu nel Central District all'aeroporto internazionale di Pudong, e sono in fase di studio progetti che prevedano la possibilità di creare altre linee che connettano le città esterne e il centro. 34 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE Il sistema ferroviario copre invece la parte più esterna della città e i sobborghi, garantendone un interscambio di persone rapido e funzionale. Nell'isola di Chongming inoltre il sistema ferroviario si trasformerà in un treno locale che possa connettere le varie città che sorgono su tale isola. Ad accompagnare il Master Plan, per quanto concerne i trasporti, è stato redatto un ulteriore studio, Shanghai Metropolitan Transport White Paper, il cui scopo sia quello di definire le strategie e le attuazioni, scendendo nello specifico in tutti quei punti in cui il piano, e la sua relativa scala urbana e territoriale, si dimostrasse inadeguato per fare chiarezza e definire nello specifico le questioni inerenti la mobilità. Il nodo del traffico, infatti, viene evidenziato come un problema chiave nel futuro sviluppo urbano, e la situazione al momento in cui il piano è stato redatto era ben lontana da standard di efficienza e qualità che potesse supportare l'enorme crescita cui la città sarebbe andata incontro. Alla fine del 1997 Il Governo Municipale cercò di lavorare per focalizzare le strategie di sviluppo, promuovendo uno studio specifico che divenne pronto tre anni dopo, nel 2000, intitolato Study of Shanghai Urban Transport Policies. In quell'anno la municipalità invitò due gruppi di esperti stranieri, che facessero uno studio approfondito a partire da quello del 1997, durato sei mesi al termine del quale venne definitivamente redatto lo Shanghai Metropolitan White Paper. Il proposito era quello di mettere in luce obbiettivi, strategie, compiti e calcoli, con la costruzione di un integrato sistema dei trasporti per la metropoli di Shanghai come tema dominante, cercando di assorbire tutte le nuove tendenze e idee integrandole con una possibilità operativa per la città. Diviso in quattro sezioni, Strategy, Facility, Operation e Administration è una sorta di linea guida per la municipalità finalizzata al lavoro pratico. Il soggetto della prima parte è quello di delineare le strategie per lo 35 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE sviluppo previsto dal piano sino al 2020, prendendo in considerazione una pianificazione a breve termine che avrà un momento di verifica nel 2005, considerando le specifiche problematiche che investono tale argomento sia da un punto di vista fisico (il numero di strade, taxi, bus ecc.) sia da un punto di vista manageriale (ad alto livello, attraverso una politica di sviluppo, e a basso livello, attraverso la gestione del traffico mediante semafori o altri espedienti). Vengono delineati quattro problemi di base: 1. L'integrazione del sistema dai trasporti, che appare ancora inadeguata come dimostra, per esempio la combinazione tra i trasporti pubblici e privati, tra il trasporto su linee dedicate (ferrovie o metropolitane) e le auto: l'interscambio tra le linee pubbliche o tra le differenti modalità di trasporto appare debole e scomoda. 2. L'insufficiente capacità delle linee di trasporto pubbliche, che determina una altissima densità di passeggeri, unita ad un sistema gerarchico delle strade ancora imperfetto. 3. Un basso livello di gestione e servizi scadenti, come l'inaf- fidabilità dei mezzi e dei tempi di percorrenza, e l'insufficiente capacità di far fronte ai problemi inerenti alla sicurezza. 4. L'insufficiente ordine nei trasporti e il basso livello di qual- ità ambientale che si concretizza in un caotico amalgama tra i vari flussi di traffico che si riflette sul disordine e, soprattutto, sulla sicurezza. Lo scopo è quello di costruire un sistema di buona qualità, alta efficienza e piena integrazione per soddisfare la domanda di crescita, dove l'integrazione risiede nella caratteristica che i trasporti siano incentrati sulla scala umana, sulla rapidità, sulla chiarezza di utilizzo e sull'ecologia. I trasporti integrati provvederanno inoltre ad essere accessibili, sicuri, comodi e puliti, e la relazione tra i trasporti integrati e gli elementi esterni giace principalmente nella mutua combinazione tra i trasporti e l'uso dei suoli, l'economia, l'attenzione al contesto e la società, sviluppata secondo tre punti principali: 1. L'equilibrio delle facilitazioni, che consideri la costruzione di 36 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE nodi di interscambio funzionali, attraverso la gestione e la costruzione di parcheggi e luoghi appropriati. 2. La coordinazione delle operazioni di sviluppo, in modo che il sistema dei trasporti sia ben coordinato sia tra un differente mezzo e l'altro, sia a livello di sicurezza e comfort. 3. L'unificazione delle amministrazioni, tutti i vari enti preposti alla gestione delle varie tipologie di mezzi devono essere coordinate per evitare disguidi e difficile cooperazione. La seconda sezione del White Paper si occupa di individuare e definire le facilitazioni che interessano il problema dei trasporti attraverso un'analisi che prenda in considerazione le strategie di miglioramento per quanto riguarda: il sistema delle strade, il sistema delle ferrovie e dei trasporti su rotaia, i nodi di interscambio, i parcheggi e la gestione. La base per una perfetta costruzione di un sistema integrato di trasporti infatti è caratterizzata dalle facilitazioni disponibili che interessano un sistema a scala enorme, che deve essere massimamente funzionale, affidabile e sicuro, accanto allo sviluppo delle strade e delle linee, quindi, è necessario rinforzare ed implementare anche questi fattori. Nella terza sezione vengono prese in considerazione una serie di strategie che, a livello pratico, possano influire sulla sicurezza e sulla sistematizzazione sia dei sistemi di interscambio, sia nei sistemi di traffico, cercando di considerare quei fattori che incidono sulla sicurezza e sulla congestione del traffico. L'ultima sezione, infine, prende in considerazione le amministrazioni e gli enti preposti alla pianificazione, al controllo e alla gestione di flussi di traffico delineando gli obbiettivi e le attuazioni che possano rendere il sistema più agevole e facile nella gestione, configurando il documento come un lavoro ottimale che possa essere di grande aiuto nello sviluppo di quei meccanismi che si prefigge il Master Plan. 37 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE - 2.5 - The Comprehensive Plan of Shanghai: tutela del verde e del costruito In accordo con i principi del fare città che sottendono il piano, che prevedono che gli insediamenti futuri coesistano armoniosamente con un verde strutturato e di qualità, il layout di Shanghai viene concepito, per quanto riguarda il sistema del verde pubblico, in maniera da prevedere un forte sviluppo e un miglioramento dell'esistente (vedi Tavola 8). La priorità del piano per il verde è concentrata sulla costruzione di un complesso che vede cooperare sostanzialmente quattro tipologie differenti: gli anelli verdi, i giardini di piccole dimensioni, i parchi e le aree corridoio nella Central City, e i sistemi a larga scala di boschi e foreste nella regione metropolitana estesa, in maniera tale da organizzare e formare un coerente scenario naturale e, contemporaneamente, migliorare i fattori ambientali della città. Le previsioni di piano anelano ad arrivare, entro il 2020, ad ottenere il 25 percento del territorio coperto di verde, sviluppando l'area di verde pubblico pro capite di più di 10 metri quadri per persona, arrivando a oltre 21 metri quadri. Con questa finalità verrà data forte priorità alla forestazione di quella striscia prospiciente il mare e il fiume, in modo tale da creare un'area cuscinetto tra l'entroterra e la parte a contatto con l'acqua, attraverso un bosco di profondità media di 100 metri: gli sforzi saranno attuati maggiormente nel costruire un parco forestale nell'area di Shenshan e del lago Dianshan, oltre ad alcune foreste ad ampia scala nell'entroterra e nei sobborghi. Una striscia protettiva di verde sarà disposta lungo il corso di ogni canale e ogni strada di flusso maggiore, mentre una cintura di 500 metri di profondità cingerà la cerchia più esterna di circonvallazione, e uno spazio per strisce di 500-1000 metri di profondità e di 50-100 metri verrà proposto in corrispondenza di entrambi i lati delle Expressways e delle Suburban 38 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE Green Roads. Sarà inoltre preservato e controllato un filtro di verde tra i 100 e i 200 metri a salvaguardia dei canali e dei bacini d'acqua rispettivamente dello Huangpu River e del lago Dianshan, mentre un bosco diaframma di 50100 metri sarà messo a protezione dei corsi d'acqua minori nella città, come i fiumi Dianpu, Dhazi, e Chyuanyang. 8 cunei di verde saranno creati tra le due cerchie di circonvallazioni, a Sanchagang, Zhangjiabang, Sanlintang Dachang e Wuzhong Lu. Un'altra cintura di verde, della profondità di 60-140 metri, verrà ricreata in entrambi i lati dello Huangpu River in corrispondenza del Nanpu Bridge e dello Yangpu Bridge, così come una area di salvaguardia a verde sarà considerata durante la realizzazione del progetto di riqualificazione del Shuzhou Creek. Alcune aree a verde verranno costituite nella Central City, ciascuna delle quali coprirà un'area di circa 1 ettaro, con un raggio di servizio di circa 500 metri, e alcuni spazi verdi a larga scala, di oltre 20 ettari, serviranno da spazio cuscinetto. Almeno un'area di verde pubblico che copra una superficie territoriale di circa 3 ettari sarà impostata in tutte le Urban Sub-Town e, attorno a ciascuna di esse, troverà spazio una cintura di verde di almeno 50 metri. Per quanto riguarda la tutela del costruito (vedi Tavola 9), Shanghai individua al suo interno innumerevoli luoghi di valenza storica, sia per quanto riguarda i singoli edifici, sia per quanto riguarda intere aree che si sono differenziate nella storia. La principale eredità storica, culturale e architettonica include 13 unità, che necessitano di tutela in quanto retaggio di una cultura storica nazionale, 113 come retaggio di una cultura storica regionale, 337 come luoghi regionali di interesse architettonico contemporaneo, e 82 centri di interesse locale che si riferisce ai distretti e alle zone, così come 21 luoghi commemorativi e 15 siti archeologici. Nel pianificare un corretto discorso inerente alla tutela degli edifici e delle aree di interesse il piano prevede la definizione di una strategia che 39 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE definisca una relazione tra conservazione e sviluppo del nuovo, tra demolizioni e lo sviluppo di una tutela, ma riconosce come fondamentale non soltanto conservare i caratteri di retaggio del passato, ma anche venire incontro alle esigenze di una metropoli contemporanea. Il rinnovo delle vecchie aree sarà, di conseguenza, effettuato nel rispetto e nella tutela delle sue caratteristiche, mediando questa esigenza con quella di un riutilizzo degli spazi e delle aree secondo nuove e mutate esigenze di una città contemporanea in formazione e ridefinizione delle sue caratteristiche principali, cercando di integrare nel miglior modo possibile i due requisiti. Nelle aree all'interno della Central City che hanno valore storico e culturale, 11 aree vengono inserite nella lista dei luoghi da conservare, mentre per quanto riguarda i sobborghi, che hanno natura completamente differente ed esigenze diverse, 4 unità vanno preservate in quanto famose città storiche, 3 come siti di interesse turistico e scenografico, e 2 come aree di riserva naturale. Con lo scopo di mantenere unità e integrità di queste aree, è necessario pianificare una strategia particolare e alcune caratteristiche di base per un controllo atto alla protezione in termini di scopo e natura delle aree indicate, così verranno governati rigidamente la densità, l'altezza e lo stile delle architetture, corridoi visivi atti a creare scorci prospettici, organizzazione del traffico e fattori ambientali. A fronte di tali predisposizioni in ambito di tutela del verde e del costruito è d'uopo tuttavia fare alcune riflessioni: se da un lato infatti gli standard qualitativi del verde spesso non rispecchiano quelli descritti dalle linee guida del Master Plan, è vero che numerosi sforzi evidenti vengono compiuti nella creazione delle aree a verde summenzionate, sia a livello di attenzione alla progettazione e al landscape delle aree verdi, sia in termini di manutenzione dell'esistente. In una città ancora caotica e genericamente poco pulita, ogni parco vede l'impiego di parecchie persone che ne tengano pulito il contesto e curino le piante e il verde in maniera tale che sia sempre perfetto. 40 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE Non trovano tuttavia riscontro tutte le aree di corridoio che dovrebbero lambire le maggiori arterie di traffico se non in sporadici tentativi (ogni strada sopraelevata ha effettivamente una serie di vasi in cui sono coltivate piante e fiori) che tuttavia sono lontani dalle dimensioni dichiarate. Se è vero che la città ha iniziato da poco il suo percorso di sviluppo, e quindi verosimilmente alcuni aspetti verranno col tempo, è altrettanto vero che, soprattutto nell'area della Central City, dove le strade a scorrimento veloce sono state superimposte spesso con scarsa attenzione alla situazione dell'esistente, come nel caso dell'innesto di una delle radiali che da Waitan va a Hunqiao, secondo uno studio effettuato da alcuni Professori della Tongji University, le nuove strade passano in alcune situazioni a solo 1,5 metri dall'edificato. Sembra inoltre improbabile che vengano effettuate demolizioni per 20 metri per lasciar spazio a corridoi di salvaguardia a verde, soprattutto per il fatto che il primo passo per lo sviluppo di Shanghai, accanto alla costruzione di nuovi edifici in altezza, è stata quella dello sviluppo delle infrastrutture, che ormai ha raggiunto un buon livello di definizione. Per quanto riguarda la tutela del costruito vale un discorso analogo: le aree preservate sono curate e mantenute in maniera pedissequa, ma la dichiarazione di intenti che voleva integrare conservazione delle caratteristiche con il riutilizzo degli spazi ha finito, in molti dai casi realizzati (Xintiandi e la Lu Xun Area), per prediligere la seconda subordinando la conservazione all'utilizzo. La conseguenza di questo è un restyling urbano ben tenuto che tuttavia poco ha a che fare con l'originario spirito del luogo, mantenendone e ripulendone intatti alcune caratteristiche esteriori, ma cancellando spesso e volentieri la loro identità, e trasformando queste aree in sorta di piccoli quartieri in stile Disneyland a misura di turisti. 41 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 1 42 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 2 43 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 3 44 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 4 45 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 5 46 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 6 47 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 7 48 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 8 49 MASTER PLAN CAPITOLO 2 - SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: L’ATTUALE TAVOLA 9 50 MASTER PLAN Capitolo 3 - Shanghai, una lettura del suo percorso: Pudong e il post Maoismo - 3.1 - The Comprehensive Plan of Shanghai: considerazioni critiche Alla luce di un'attenta lettura del Master Plan di Shanghai appaiono emergere alcuni dubbi e alcune considerazioni su cui è necessaria una riflessione: se, infatti, apparentemente, il Master Plan è un organismo coerente e ben pianificato per definire le linee strategiche di sviluppo, analizzandolo nel dettaglio appaiono alcuni punti che non rendono giustizia di una complessità di fondo riscontrabile sia a priori, Shanghai è un organismo metropolitano che ha 8 milioni di abitanti se si considera la città, che raggiunge i 13 se ci si allarga a tutta la regione di Shanghai, sia se si entra nello specifico e si osserva la metropoli immergendosi nel sistema. Una prima perplessità colpisce a proposito della decisione di Shanghai di puntare ad essere pianificata secondo un organismo multiasse, multicentrico e ad anelli concentrici, decisione che trova solo parziale riscontro nella realtà: il concetto di multicentralità, infatti, sembra interpretato in maniera apparentemente anomala. Se si prende in analisi il territorio, per esempio, facendo riferimento alla tavola Urban Structure of Cities and Towns, il sistema è suddiviso secondo un centro maggiore, la Central City, e vari centri satellite che gravitano attorno alla sua orbita, le New Town. Ad una prima analisi la strategia perseguita, proprio per le dinamiche che presenta, si trova più vicino ad un concetto di spazialità monocentica che non multicentrica: presupposto, infatti, è che esista un centro più importante, la Central City, appunto, attorno a cui sono organizzati una serie di satelliti. La presenza di un centro maggiore e altri minori inficia il classico con51 CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: cetto di multicentricità, infatti, in cui tutti i centri hanno uguale importanza a formare il tutto. Se si scende nel dettaglio dei singoli centri minori, tuttavia, si riscontra che essi sono organizzati allo stesso modo: un centro commerciale e direzionale, un'area industriale, e una cintura verde che garantisce un ambiente salubre, negando il concetto di centro e periferia nella misura in cui ogni sub-centro non è importante per caratterizzare un singolo aspetto del centro, ma ne risulta un distaccamento che rivede, in scala minore, le stesse dinamiche, creando, di conseguenza, un rapporto di uguaglianza a scale differenti, processo non tipico del concetto classico di multicentralità in cui il centro si suddivide in tutti i subcentri, che lo ricostruiscono soltanto nell’unione delle parti. Ancora, se si legge in maniera più approfondita il City Center, si vede come esso stesso viva delle stesse dinamiche: non si potrebbe sostenere che le città satellite siano, per esempio, la parte industriale, allocata fuori dal centro, che lo sostenga e lo sostenti essendo questa caratteristica presente in egual modo anche nel centro. Un'ulteriore considerazione sembrerebbe mettere ulteriormente in crisi l'asserto che Shanghai sia un sistema multicentrico a livello regionale: il proposito, infatti, che l'intera area verrà, entro il 2020, urbanizzata per una superficie pari all'85 percento renderà i confini tra i vari centri, che sulla carta sembrano netti e separati, un continuum urbanizzato che sembrerebbe avvicinarsi più al Sistema Tokyo-Kyoto-Yokohama, con la sua diffusione a macchia su tutto il territorio, che non ad un sistema multicentrico classico. E' verosimile pensare infatti che la città che nascerà dall'applicazione del piano sarà un aggregato di edificazione e parchi, in cui il sistema del verde sarà tanto artificialmente progettato quanto il sistema edificato, molto più simile come immagine a Coruscant, il pianeta città di Guerre Stellari, che non ad un sistema di centri maggiori e minori che incidono sulla stessa area territoriale. Se, quindi, il sistema risulta poco consistente, in quanto non simile ad un 52 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: sistema multicentrico, dove tutti i centri hanno eguale peso nel si-stema e regolamentano lo spazio circostante in maniera che i flussi di informazione che lo sottendono possano subire riconfigurazioni differenti a seconda della chiave di lettura, creando gerarchie interne differenti senza che nessuno predomini sugli altri, non è neppure simile ad un classico esempio di geografie monocentriche, che vedono il centro compendiato da satelliti che svolgono funzioni differenziate in maniera tale che, se al primo si togliesse un sub-centro, il sistema funzionerebbe ad un regime minore, e se si eliminasse il centro il sistema collasserebbe su se stesso. Ma se si prova ad abbandonare il sistema regionale e si cerca di leggere la muticentralità a livello della Central City, il sistema non si presenta più chiaro: ogni distretto ha ufficialmente una serie di centri principali, ma, è chiaro come questa differenziazione, che ben funziona sulla carta, ha problemi applicativi nella realtà fisica. Le dimensioni dei distretti, unitamente alla scarsa perimetrazione di quelli che dovrebbero essere dei sub-centri, crea una lettura che potrebbe evidenziare altri infiniti centri minori che fungano da nodo principale di micro sistemi urbani a carattere specifico. Significativo, a questo proposito lo studio di Zhongmin Yan1, Professore presso la Eastern China Normal University, che prende in considerazione la creazione del Central Business District (CBD) di Shanghai, che, attraverso una analisi durata dal 1991 al 1994 ha investigato ogni strada del CBD con lo scopo di trarne alcune considerazioni strategiche. Lo sviluppo economico di Shanghai, dice l'autore, necessita urgentemente di un CBD che sia il centro finanziario della Cina oltre che della stessa città, ma in cui si possa sviluppare anche il terziario, mentre quello esistente rimane troppo giovane ed immaturo, ed il livello di modernizzazione è troppo basso, come dimostrano il fatto che la densità di popolazione è altissima, gli edifici sono troppo vecchi, e le infrastrutture 1 Zhongmin Yan, Planning and developing of the Shanghai CBD under Socialist Market Economy, in Gar On Yeh, Xuequiang Xu, Xiaopey Yan (a cura di), Urban Planning and Planning Education Under Economic Reform in China, Centre of Urban Planning and Environmental Management University of Hong Kong, Hong Kong 1997. 53 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG E IL POST MAOISMO sono di standard inadeguato. Il CBD tra Puxi e Pudong ha al suo interno funzioni estremamente variegate, principalmente per motivazioni storiche e geografiche che portano la città ad essere divisa in una serie di differenti distretti, ma, per diventare una metropoli internazionale, è necessario che Shanghai si allinei alle correnti esperienze della maggior parte dei grandi centri internazionali che vedono una dispersione del CBD. Se si osservano queste esperienze si può ricavare che la scala dei vari Sub-CBD che vengono creati è solitamente minore di quella del CBD, e il suo grado di aggregazione di funzioni risente di questo fenomeno: un Sub-CBD di una divisione in dieci parti ha solitamente un piccolo distretto, che presenta una o due differenti funzioni, prevalentemente di vendita al dettaglio, senza tuttavia escludere altre funzioni. Una differenziazione di questo tipo, secondo l'autore, potrebbe trasformare e rimodellare l'originale CBD dando sviluppo ad una serie di zone collegate portando Shanghai ad assestarsi allo stesso livello dei grandi centri internazionali. Secondo questo studio quindi la multicentralità di Shanghai, per riuscire a fare il salto di qualità che la divide da altre metropoli internazionali, dovrebbe suddividersi in un ulteriore gruppo di Sub-Centri, che diminuirebbero le problematiche frazionandole e, al contempo, aumenterebbero la sua versatilità. A questo livello il sistema multicentrico sembra esteso all'infinito, in un modello di creazione di centri, che a loro volta si dividono in altri centri, che a loro volta compiono lo stesso percorso, che sembrerebbe ricalcare il sistema residenziale tipico shanghainese rappresentato dai Lilong. Questo sistema abitativo infatti, mostra come, a livello residenziale, anche a scala di quartiere le dinamiche siano particolari: questi complessi, nati nel 1850 a seguito della prima grande ondata di immigrazione, si presentano come isolati a forma rettangolare, cinti da muri, con porte che permettono di accedere all'interno dalle strade principali2 . Lo spazio interno si configura come sistema costruito su una giustappo- 54 Tre esempi del sistema degli isolati tipici di Shanghai, chiamati Lilong CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG E IL POST MAOISMO sizione di case private, che si differenziano a seconda dell'importanza delle persone che vi abitano, ricreando microcomunità autonome in cui un sistema sociale basato sul vicinato rende lo spazio interno ai Lilong semiprivato, in comunicazione con lo spazio pubblico delle strade attraverso le porte, e con lo spazio privato delle singole abitazioni attraverso vie di accesso alle medesime, minute e capillari. Più Lilong formano una zona, ma ogni Lilong è una zona a sé, con dinamiche sociali sue, accentuate dal fatto che per ragioni politiche il sistema comunista cinese ha sempre basato il suo sistema di controllo e governo su questo primo stadio di aggregazione delle persone. Se scendiamo di scala passando dal Lilong alle sue abitazioni il sistema non cambia: le abitazioni sono case famigliari, sullo schema delle abitazioni contadine, in cui convive una microcomunità formata da genitori, figli e nipoti organizzati ancora una volta in scala gerarchica, a seconda dell'importanza (banalmente, in questo caso, l'età dei componenti del gruppo famigliare), in maniera che la grandezza degli spazi rifletta questa gerarchia. La definizione degli spazi interni ha una organizzazione che ricorda quelle descritte sinora a scala maggiore: la casa, solitamente su due livelli, vede le stanze raggruppate attorno allo spazio antistante, affacciate su una loggia interna, mentre i servizi sono raggruppati sul retro. Anche in questo caso ogni abitazione ha dinamiche sue che paiono "multicentriche" e che si ripetono con poche caratterizzazioni, quindi è impossibile definire quale sia il centro del Lilong, ogni cellula al suo interno è un centro senza che vi sia nessuna gerarchia, e la stessa cosa può essere detta a proposito degli spazi interni delle abitazioni, in cui alcuni servizi sono comuni anche se ogni singola unità (la parte dei genitori, la parte dei figli o la parte dei nonni) ha una serie di caratteristiche autonome rispetto al resto della casa. 2 Un chiaro e completo studio su queste tipologie abitative è riscontrabile nell'articolo scritto da Françoise Ged, Insediamento e Morfologia Urbana a Shanghai fra ottocento e novecento, in Storia Urbana, n°70, 1995, pagg. 99-118, e nell'altrettanto esplicativo scritto di S.Novelli, Shanghai: trasformazione urbana e nuove architetture, in Spazio e società, n°88, 1999, pagg.100-107. 55 Esempio di cellula di abitazione tradizionale cinese, così come si configura all’interno di un Lilong CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: E' pur vero, tuttavia, che l'infrastrutturazione e la progettazione di servizi è costruita secondo logiche multicentriche con finalità gerarchica, ma se si analizza un singolo sistema non si riscontra l'organizzazione intorno a vari centri differenziati come si potrebbe riscontrare per esempio, nella città di New York. In questa metropoli infatti il sistema dei sub-centri, molto meno esteso territorialmente che nel caso di Shanghai, arriva alla definizione di zone che hanno una identità comune e che si organizzano al loro interno: così Harlem, quartiere Ghetto, ha una sua parte direzionale, una sua parte commerciale, una sua parte residenziale, un sistema di verde e di architetture di pregio, che sono, in scala minore, comparabili allo scenario globale, ma che tuttavia creano uno scenario locale ben definito e netto. Questo non succede a Shanghai, il Central District, per esempio, è a sua volta suddiviso secondo tre centri minori, che, secondo quanto detto, sottendono a loro volta centri ancora minori, e in via di questo passo sino alle singole abitazioni, e in nessuno di questi casi il centro vive di dinamiche che si relazionino con la sua sub-periferia e lo caratterizzino, principio che invece sembra alla base di un sistema multicentrico classico come quello newyorkese. Se il sistema multicentrico presenta alcune perplessità, non è da meno la definizione di multiassialità della città: è vero che alcuni assi di sviluppo, sottesi di solito da strade a maggior flusso di traffico, sono predominanti, sia prendendo in considerazione la pianta, sia analizzando i principi che ne sottendono la progettazione, ma presentano alcune problematiche. Prendiamo ad esempio il caso di Pudong: significativo per due motivi, il primo dettato dal fatto che si tratta dell'ultima grande urbanizzazione che Shanghai ha effettuato prima di varare il Comprehensive Plan of Shanghai del 1999, e il secondo per la ragione che la sua progettazione ha, se-condo quanto è stato deciso, una forte assialità che congiunge i due centri, da un lato la sede del Business District di Pudong, e dall'altro 56 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG E IL POST MAOISMO il centro di Huamu, importante catalizzatore di funzioni di ricerca e di terziario. L'assialità della direttrice che congiunge i due centri, è negata per due motivi: il primo inerente al tipo di strada, che, secondo dinamiche consuete, sembrerebbe presupporre un grande viale verde che permetta il flusso veloce al centro e capillare nei controviali, come sarebbe deducibile dal desiderio di creare un asse importante, in realtà sembra più simile ad una autostrada urbana a quattro corsie per senso di marcia dove il flusso pedonale è quasi impossibile, separando i due centri in maniera netta sebbene li renda in rapporto diretto e veloce. Ma se una certa assialità è comunque sottesa dalla relazione dei due centri, essa è completamente negata dal fatto che la parte del Business District di Shanghai affacciatesi sull'Huangpu River, ha un suo punto di vista principale più che verso l'asse summenzionato, verso il lungofiume e l'altra riva, Waitan, a cui si contrappone come un "centro moderno e tecnologico opposto ad un centro storico". Se valesse il concetto di multiassialità il sistema bicentrico descritto avrebbe un punto di vista principe nella loro interazione, questo, tuttavia, è negato dal fatto che la parte principale di Pudong giace in relazione con un altro sistema, al quale non è legato da una direttrice stradale poiché, il passaggio da Waitan all'altra costa del fiume, avviene tramite flussi pedonali provenienti dal sottopassaggio esistente tra le due rive dello Hunagpu River, o tramite il sistema di traghetto, che si scontra con un asse viario che presuppone che il traffico veicolare possa arrivare a Pudong da due ponti, che si trovano rispettivamente molto più a nord e molto più a sud, su altri sistemi di flusso che poco hanno a che fare con la direttrice summenzionata. La riprova di quanto questo sistema dialoghi con Waitan è riscontrabile in due riflessioni: da un lato la rappresentazione di Pudong è progettata per affacciarsi verso il fiume, e gli edifici si guardano, filtrati da una striscia di verde, in questa direzione, come si riscontra dalla maggior parte delle fotografie che si possono ritrovare, dall'altro lato il lungofiume 57 Una dei più comuni punti di vista di Shanghai: Pudong come si può vedere da Waitan CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: in corrispondenza di Waitan ha una passeggiata, il cui scopo è quello di offrire una visione di Pudong, con sedie e punti panoramici con binocoli, che tanto somiglia in stile e colpo d'occhio al lungofiume di Kowloon ad Hong Kong, il cui scopo è quello di offrire una cartolina dell'isola di fronte, dove sorge il Business District, e che, di conseguenza, nega qualunque tipo di assialità che esca dal rapporto tra i due lungofiume. D'altro canto queste contraddizioni possono essere riscontrate anche in altre situazioni: se si considera Nanjing Lu, la Fifth Avenue di Shanghai, che da Waitan parte per dirigersi all'interno, costeggiando il parco e proseguendo verso il territorio interno, questa mancata assialità appare chiara. La prima parte, che prosegue rettilinea da Waitan a Renmin Park, ha vocazione commerciale prevalentemente turistica, con negozi e grandi magazzini che vendono beni non di lusso. E' completamente coperta di insegne luminose, che di notte si illuminano come Times Square, e ha la caratteristica che per la maggior parte della sua estensione è pedonale, le macchine possono solo attraversarla verticalmente. La seconda parte ha ancora carattere commerciale, ma cambia il tipo di offerta, caratterizzata da beni di lusso per lo più occidentali, mista a uffici di grandi holding internazionali. Anche l'immagine che si può osservare nei due tratti è completamente differente: la seconda parte non è coperta di luci e le architetture che vi si affacciano sono prevalentemente alte (grattacieli) e di nuova edificazione, nulla confronto al primo tratto dove si affacciano prevalentemente edifici storici. Potrebbe essere un caso che questa direttrice, che è lunga parecchi chilometri, e che si spezza in due ambiti distinti proprio in corrispondenza del parco, nella stessa zona cambia nome, passando da Nanjing Lu (via Nanjing) a Nanjing Xi Lu (via Nanjing ovest). Il flusso di persone che parte da Waitan e si addentra in Nanjing Lu, arrivato in corrispondenza del parco, per continuare a trovare le stesse caratteristiche del primo tratto, viene ripiegata su sé stessa e ridirezionata, mentre l'altra parte di Nanjing Xilu è in relazione a sua volta con 58 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: un altro sistema di vie che si ritorcono su loro stesse e, di conseguenza, portano ad una negazione dell'assialità della strada dividendola in due sistemi che vivono di dinamiche differenti e relazionate ad altri punti, che nulla hanno a che fare con l'assialità viaria riscontrabile sulle carte. Anche se è vero che ad una prima analisi, quindi, si può leggere una certa multiassialità, nella città questo non si verifica sino in fondo, le direttrici che si evidenziano in pianta sono sempre subordinate ad una realtà locale differente che ne muta conformazione, e che, spesso, fa utilizzare differenti percorsi anche ai flussi di traffico esistenti. A questo va aggiunta una considerazione relativa al terzo punto, il fatto che Shanghai si autodefinisca a cerchi di traffico concentrici: è pur vero che due sistemi di circonvallazione circoscrivono la città, ma il resto del sistema è costituito da una griglia molto irregolare che, tuttavia, ragiona a scacchiera, senza presentare quelle componenti tipiche di una struttura radiale, che vede alcune direttrici che portano il flusso verso un centro spezzate da strade che garantiscono un flusso trasversale (Milano ha un andamento di questo genere per esempio). Da un punto di vista dei flussi di traffico, inoltre, anche la griglia, che viene spesso citata come uno dei sistemi di traffico previsti dal piano, ha una sua immediata lettura in pianta, ma riscontrare nel dedalo di strade, vie e viuzze Shanghainesi una reale attinenza con un sistema ordinato e cartesiano è difficoltoso: la città si dipana attraverso un sistema di strade gerarchizzate, ma ancora caotiche; il traffico, che prevalentemente si sposta in bicicletta e poche automobili, non ha un reale governo, e l'unica considerazione che può avere valore, attraversando la città, è che in alcuni punti le macchine non passano perché non sono abbastanza piccole, ma qualunque altro mezzo, dalle moto ai pedoni, non ha problemi a mischiarsi. Il fatto poi che le strade si perdano all'interno del complesso sistema semiprivato dei Lilong, complica ulteriormente la situazione, rendendo possibile passare all'interno di isolati chiusi e semiprivati, concezione assolutamente differente di flusso di traffico come viene concepito, soli- 59 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG E IL POST MAOISMO tamente nell'occidente. Le strade, spesso e volentieri, passano all'interno dei blocchi di edifici, anche sopra il terreno, con sopraelevate che passano dentro ad un edificio al quarto piano come si vede nell’immagine di Hong Kong accanto, o con incroci che passano sotto un edificio rubandogli un angolo a piano terreno come nell’immagine di Shanghai, rendendo la rappresentazione in pianta spesso troppo schematica e poco rispondente alla reale configurazione dei flussi di traffico. La rappresentazione cartografica non è, secondo esperienza pratica, mai strada che si inserisce al terzo piano di un edificio ad Hong Kong: il sistema delle strade è sempre di difficile comprensione, in Asia, se si considera la pianta molto rispondente alla realtà, o meglio ne è una interpretazione spesso utile per capirne le gerarchie e le dinamiche, ma poco utile per spostarsi da un punto all'altro: individuata una strada sulla carta, infatti, se si cerca di percorrerla, ci si trova di fronte, spesso, a un sistema di mercati in mezzo alla strada che non sono temporanei anche se, in realtà, sono basati su strutture precarie e di fortuna, come il mercato che attraversa la Chinese Shanghai, dove pescivendoli con catini di plastica che prendono acqua da rubinetti pubblici vendono la loro merce in mezzo alla strada, o situazioni quali quella dell'immagine, in cui una sarta lavora in mezzo alla strada con una macchina da cucire a pedale, a fianco di un parrucchiere altrettanto precario e improvvisato3. 3 Questa situazione è normale in quasi tutte le grandi metropoli asiatiche, anche nella composta e ricca Singapore che, a fronte del soprannome la Svizzera d'Asia, presenta zone non dissimili in quanto a difficile razionalizzazione dei percorsi. Anche Seoul, Hong Kong, Kuala Lumpur hanno le stesse caratteristiche, per non parlare delle metropoli dei paesi non considerati emergenti (le cinque tigri) come Bangkok e Manila. mercati permanenti basati su sistemi improvvisati, tipici di Shanghai strada che si inserisce in un blocco edificato nel centro di Shanghai, Strada a scorrimento veloce che passa vicinissima alle abitazioni a Shanghai 60 CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG E IL POST MAOISMO A questo va aggiunto il fatto che, proprio per la differente concezione di spazio pubblico, semipubblico e privato che l'Asia, nel suo complesso, manifesta, molto spesso per andare da un punto all'altro esistono infinite scorciatoie non presenti sulle mappe, che passano all'interno dei Lilong o degli edifici, facendo leggere lo spazio fisico, dal vivo, in maniera completamente differente da quello riscontrabile nelle rappresentazioni cartografiche. Un'ultima considerazione, che crea perplessità a proposito del piano, è riscontrabile a proposito della concezione di tutela, sia per quanto riguarda il paesaggio, sia per quanto concerne il costruito, che, fuori dalle dinamiche espresse dal piano, si manifestano in maniera completamente differente. Il sistema del verde prevederebbe una serie di strisce a bordo strada, che oggi si riduce ad una fila di vasi appesi ai lati delle superstrade ma che in futuro, secondo quanto espresso, dovrebbe estendersi in maniera differente. Accanto ad una problematica dovuta al fatto che il piano è oggi all'inizio della sua attuazione e che ha di fronte ancora sedici anni per completarsi, appare comunque evidente che, per come è strutturato il sistema viario, e per come la Municipalità si è mossa per realizzarlo, sarebbe problematico pensare che le fasce descritte siano rispettate, a meno di non dare corso a una forte demolizione di edifici che, attualmente, distano, in alcuni punti, non più di pochi metri dalle superstrade. Questo renderebbe l'operazione di creazione del verde totalmente antieconomica e assurda se si pensa che già, per realizzare la maglia viaria esistente, sono state effettuate non poche demolizioni: la suddivisione di queste opere in due tranche non ha ragione, sia per motivi economici che per motivi logistici, lasciando presupporre che non verranno mai rispettate le fasce di tutela previste dal piano, quantomeno nella Central City. Anche la tutela del costruito presenta alcuni dubbi: se infatti è vero che il piano prevede la salvaguardia di molte zone storiche, è pur egualmente 61 Retro degli edifici storici di Waitan, tutelati in facciata dal Master plan CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: vero che questa salvaguardia è subordinata, per dichiarazione esplicita, alla funzione che verrà inserita all'interno delle abitazioni e degli edifici, che attualmente ha principale importanza, portando spesso gli edifici ad essere trattati con riguardo sull'esterno, rifacendo nuove le facciate, ma ad essere vissuti, sul retro e sull'interno, in maniera non consona al valore storico dell'edificio, anche per una mancanza culturale e disciplinare del concetto di restauro. - 3.2 - Il Piano di sviluppo della Pudong New Area Se, come si vede, ad una rigorosa e scientifica organizzazione del piano, fa seguito una tale problematicità nella reale configurazione del sistema metropolitano, vale la pena analizzare nello specifico quali siano, nel dettaglio, le logiche e le dinamiche che hanno influenzato questo organismo e che sottendano il suo sviluppo. Un momento importante nella definizione di tali principi, è probabilmente da ricercare negli studi e nelle dissertazioni che sono state effettuate prima dell’attuale piano, e che hanno portato alla sua compilazione. Un momento chiave di tale background è, come già accennato, nel piano dello sviluppo della Pudong New Area, che è considerato come il banco di prova per la compilazione del piano attuale, nel senso che, tale intervento, è figlio di una serie di elaborazioni che hanno preso concretezza, in un secondo momento, nella definizione del Master Plan. Alla morte di Mao Tse-Tung, nel 1976, venne eletto presidente della Repubblica Popolare Cinese Deng Xiaoping, che rilanciò enormemente lo sviluppo della Cina con l'obbiettivo di ottenere, nell'anno 2000, un paese che fosse in linea con i più avanzati del mondo, sia per quanto concerne l'economia, sia per quanto riguarda la cultura e l'immagine. Shanghai, dopo anni bui passati sotto il totale controllo del potere centrale di Pechino che ne aveva limitato lo sviluppo relegandola, da centro 62 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: più importante dell'Asia per quanto riguarda il commercio e gli scambi, ad una propaggine della capitale perdendo molta della sua verve e del suo fascino, fu la prima città interessata a questo sviluppo. Punto di riferimento principale, per stessa ammissione sia di Deng Xiaoping sia della Municipalità shanghainese, era la metropoli di New York, che in quel contesto storico rappresentava un punto di arrivo di uno sviluppo che, al di là della crescita fisica della città, aveva creato un sentimento identitario enorme non solo a livello nazionale ma anche a livello mondiale. Lo skyline della metropoli americana, o gli skyline dal momento che non è facile decidere una gerarchia tra le infinite panoramiche che vengono proposte, infervorava il mondo e la portava ad essere considerata, per fattori culturali, sociali, artistici ed economici, una delle mete più ambite sia per i viaggiatori che per i pianificatori di tutto il mondo. Non scevra da questo entusiasmo la metropoli cinese, all'inizio della sua rinascita, guardava a questo esempio e ripensava al suo passato, quando cioè era considerata il corrispettivo asiatico di quello che nel 1980 era la città di New York, sognando di tornare a splendere. Le descrizioni della città dei primi anni del dopo maoismo sembrano immagini in bianco e nero di altre epoche se comparate a quanto si può vedere oggi: una città senza neon, con poche fatiscenti sistemazioni per i turisti, caotica e sporca non poteva certo fare presagire quello che oggi è diventata4 . A fronte di anni di studi, nel 1992 venne deciso lo sviluppo di un'area, che storicamente aveva poco influito sulla grandeur della metropoli: l'area di Pudong, prospiciente il lungofiume , Waitan o The Bund, sede delle prime edificazioni coloniali nonché considerato il cuore economico della città. Pudong si presentava, agli inizi degli anni 80, come un terrain vague: 4 Innumerevoli descrizioni della rinascita di Shanghai possono essere citati a testimonianza di quanto sia forte il salto che, in questo trentennio, abbia affrontato la città. Uno dei più significativi è rappresentato dal libro di P.Yatsko, New Shanghai. The rocky rebirth of China's legendary city, John Wiley & sons Inc., Singapore 2001. 63 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG E IL sede di poche abitazioni e, soprattutto, di magazzini, cantieri navali e campi coltivati (era chiamata il granaio di Shanghai) che ben si prestavano ad essere edificati trovandosi in diretta prossimità del centro. Il suo sviluppo venne preso in considerazione già negli anni '30, e successivamente nei piani del '46, e del '53, senza che tuttavia si fosse mai potuto fare molto perché, dopo la seconda guerra mondiale, sia per problemi politici, sia per problemi economici, la Cina ha attraversato una crisi enorme da cui ha iniziato ad uscire solo alla fine degli anni '70. Nel 1985 la municipalità realizzò un primo piano ipotetico di sviluppo per la città, sulla base di una serie di considerazioni preliminari dovute alla consulta di numerosi studiosi, che aveva un forte valore strategico: lungi dal fornire linee guida e orientaIl Master Plan del 1985 menti generali per chiarificare lo sviluppo futuro della città, si configurava piuttosto come una mappa per mostrare le intenzioni generali per l'utilizzo del territorio, accompagnato da una serie di mappe settoriali per delineare nello specifico altre funzioni, come, ad esempio, quella dei trasporti. Tre aspetti appaiono fondamentali in questa prima ipotesi strategica per la futura pianificazione: 1. lo sviluppo dell'asse Est-Ovest che aveva preso forma attra- verso numerose realizzazioni, come il quartiere ad attività di terziario di Hongqiao, le nuove edificazioni sull'asse Nanjing Xi Lu ed altri. 2. Lo sviluppo dell'area di Pudong, dell'estensione di 200 km2 con la previsione di allocare una presunta popolazione di 2 milioni di abitanti nel 2015, distinta in quattro settori distinti: Lu Jia Zui/Hua Mu, (28 km2) un distretto per affari internazionali, con le funzioni principali come la torre per la televisione, e un grande shopping center; Zhou Jia Du/Liu Li (39 km2) un settore composto essenzialmente di abitazioni e com- 64 POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG E IL POST MAOISMO mercio; Zhang Jiang (30 km2) residenziale e con attività relazionate alla ricerca e all'istruzione; Wai Gao Qiao/Yao Qiao (73 km2) un settore a carattere prevalentemente industriale e portuario. 3. la necessità di reintegrare molti elemen- ti disomogenei in virtù di creare un insieme omogeneo. Nel 1992 fu tracciata una prima mappa strategica che prevedesse entro il 2015 lo sviluppo di alcuni degli elementi previsti dal piano strategico del 1985, che mostra alcune sostanziali differenze con il precedente Master Plan: da un lato infatti viene dato maggior spazio all'analisi del presente e degli orientamenti di sviluppo, dall'altro invece viene prodotta una mappa più elaborata degli sviluppi previsti entro il 2015, compreso lo sviluppo di progetti a lungo termine, in mappe dettagliate. Il Master Plan del 1992 e il Detailed Plan per lo sviluppo della Pudong New Area La strategia del nuovo intervento prevedeva uno sviluppo dell'agglomerazione in virtù di 250 km2 sia a Pudong che nella area ovest e, contemporaneamente, una attenzione maggiore alle problematiche ambientali, attraverso una cintura a verde che costeggiasse la circonvallazione esterna e alcune strisce di verde in corrispondenza delle direttrici, nonché una grande attenzione alla protezione attiva degli spazi a verde agricolo. Per fare fronte allo sviluppo di Pudong venne indetta una consulta internazionale, al termine della quale fu bandito un concorso che prevedesse 65 CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: PUDONG E IL POST MAOISMO un primo momento di sviluppo sull'altro lato dello Huangpu River rispetto a Waitan. Parteciparono vari protagonisti internazionali tra cui Richard Rogers, che vinse la competizione, Massimiliano Fuxas, Charles Perrault e Toyo Ito. Il progetto vincitore era, secondo Rogers, in perfetta armonia con la topografia e si collegava nell'ansa del fiume, realizzata con un sistema radiale attorno ad un grande parco circolare delle dimensioni di Central Park a New York, circondato da edifici a destinazione mista dotato di un sistema di trasporti di massa, piste ciclabili e percorsi pedonali. Concorso per lo sviluppo della Pudong New Area, il vincitore, Richard Rogers Uno degli obiettivi principali, secondo Rogers, era quello di superare l'isolamento delle città appena fondate stabilendo una relazione più stretta possibile con la parte storica di Shanghai, e rendere la nuova area suggestiva di quello che dovevano essere le pretese del nuovo sviluppo: un luogo fortemente riconoscibile e molto futuribile, illuminandolo la notte e rendendolo un faro che brillava da lontano fruibile dal lungofiume prospiciente contenente il centro storico. L'attenzione di Rogers alle vie ciclabili deriva dal fatto che, in Cina, uno dei mezzi di locomozione maggiormente diffuso è la bicicletta, e, sebbene Concorso per lo sviluppo della Pudong New Area, La proposta di Carles Perrault la municipalità volesse passare ad una larga diffusione delle automobili, Rogers volle tenere presente questa realtà in quanto fortemente identitaria e, allo stesso tempo, auspicata da molte città europee, che, al contrario di Shanghai, vorrebbero puntare su un maggior utilizzo di quel mezzo. Altro elemento caratterizzante la proposta di Rogers, così come le altre in gara, è un'edilizia che punti sullo sviluppo in altezza, per due motivi: Concorso per lo sviluppo della Pudong New Area, La proposta di Massimiliano Fuxas il primo è che dopo New York, e con questa città come punto di paragone, la crescita in altezza è spesso considerata sinonimo di contemporaneità, soprattutto per una città che "ha i soldi e vuole spenderli nella migliore tecnologia possibile"; il secondo per il fatto che gli edifici in altezza sono fortemente evocativi, creando icone che rappresentino lo sviluppo, come effettivamente dimostra la Jinmao Tower, grattacielo progettato a Pudong dal gruppo SOM, liberamente ispirato alle torri nei templi Confuciani, 66 La proposta di Toyo Ito CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: Il master plan finale della Pudong New Area magistrale interpretazione in chiave occidentale di elementi tipici dell'architettura cinese con riferimento alle filosofie del Feng Shui. Il Sindaco di Shanghai tuttavia, a fronte della giuria che elesse vincitore il progetto di Rogers, decise che le altre tre ipotesi non dovevano essere scartate, e sancì che venissero tenute in considerazione dall'ufficio pianificazione nel redarre internamente il piano finale. Il risultato è chiaramente differente infatti dal progetto vincitore, liberamente ispirato alle proposte presentate, contempla un po' di elementi di tutti i progetti mischiando quello che, a parere della municipalità, c'era di buono in ogni progetto. Lo sviluppo di Pudong, dal 1992 a oggi, è stato impressionante, stupisce tuttavia veder edificare grattacieli con impalcature in canne di bambù, che devono essere smontate dalla stessa squadra che le ha montate per non attirare l'ira degli spiriti negativi, ma stupisce ancora di più, a parte il fatto che l'oriente è sempre, anche nella tecnologia estrema, legato alle 67 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: leggende e alle tradizioni, il prezzo che si è pronti a pagare per lo sviluppo. Il Construction Manager della Jin Mao Tower, per esempio, nel piano delle tempistiche e delle risorse per costruire la torre, ha inserito la voce "morti" dichiarando che per portare a termine l'opera sarebbe stato necessario il sacrificio di almeno un centinaio di operai, che sarebbero morti nei lavori di edificazione. Al termine dei lavori la stima si dimostrò esagerata, perché le morti furono circa la metà di quelle previste, e il Construction Manager è stato premiato dalla municipalità per aver eseguito le opere con tanta perizia5. Ma ancora, a fronte di una dichiarata attenzione per le problematiche ambientali e del verde, nonostante le numerose riunioni e convegni svolti per cercare di preservare l'ambiente in una città che sta completamente mutando faccia, al momento l'inquinamento e la polvere sono massimi, comprensibile visto il numero enorme di cantieri aperti contemporaneamente, tanto che il lungofiume di Pudong, distante dall'altra sponda qualche centinaio di metri, è spesso offuscato da una nebbia tanto fastidiosa quanto insalubre. - 3.3 - Il retroscena ed il substrato per il piano: dibattiti e studi Per meglio comprendere la situazione che ha generato e ha permesso lo sviluppo del piano di Shanghai è necessario tuttavia comprendere la situazione che, a partire dal 1978, si è caratterizzata in un paese che stava pianificando uno sviluppo vertiginoso: La Third Plenary Session of the Eleventh National Congress of the Chinese Communist Party, del dicembre 1978, organizzò un Meeting on National Urban Affairs che riconobbe nelle città un nodo chiave dello sviluppo economico nazionale incentivando i governi locali a preparare Master Plans e Detailed Construction 5 La notizia è stata riportata in un colloquio privato con uno dei dirigenti occidentali del cantiere. 68 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: Plan basati sui piani di sviluppo economico nazionale. Dopo quasi due anni di studi, nel 1980, la State Planning Commission promulgò due documenti, che sono alla base della moderna concezione di pianificazione Cinese: la Provisional Regulation of Preparing and Approving City Plan e la Provisional Standards of City Planning, che definirono vari argomenti, dalla classificazione delle città, agli obbiettivi dello sviluppo urbano, alle politiche di preparazione, approvazione e istituzione degli Urban Plan, accanto a chiarire tutte le procedure necessarie per istruire qualunque lavoro edilizio. Contestualmente le municipalità annunciarono le loro regole gestionali per portare a compimento le regolamentazioni e, alla fine del 1986, il 96 percento delle città e l'85 percento delle contee prepararono i loro Urban Master Plan. Nel 1989 fu varato il City Planning and Environmental Protection Acts, e, nel 1990, furono promulgati altri due documenti, il Provisional Regulations on the Granting and Transferring of the Land Use Right over State-owned Land in Cities and Towns, e il Provisional Measures for the administration of Foreign Investors to Develop and Operate Plots of Land. Il City Planning and Environmental Protection Acts del 1989 fu sicuramente un documento fondamentale per definire le regole della pianificazione in Cina, che, non solo consolidò e ordinò le varie regolamentazioni legate alla pianificazione, ma anche razionalizzò vari livelli di piano, che facevano riferimento alle autorità locali e provinciali, mutando la consuetudine in voga fino ad allora che vedeva l'esistenza di due soli piani: lo Urban Master Plan e il Detailed Construction Plan. Nel nuovo sistema, invece, esiste una gerarchia di piani, al cui livello più alto trova posto lo Urban System Plan, di competenza congiunta dello State Council, assieme ai governi provinciali e alle municipalità, sotto diretta giurisdizione del governo centrale, responsabili di preparare il piano che dia le guide locali per le varie municipalità. Basato sulle strategie di sviluppo nazionali e regionali, deve predire il li- 69 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: vello di urbanizzazione e i cambiamenti nelle strutture industriali, stimare grandezza e distribuzione delle città per determinare la localizzazione delle attività produttive e la rete dei trasporti, designare le funzioni delle città, pianificare i nuovi insediamenti, stabilire la priorità dello sviluppo urbano e stimare il suo impatto su popolazione, estensione e domanda dei suoli per sviluppare infrastrutture regionali, il loro layout e le opportune politiche di implementazione. I responsabili per la stesura del piano sono la China Academy of Urban Planning and Design, i dipartimenti di geografia nelle università e nelle istituzioni accademiche e la Academy of Social Sciences. I governi municipali sono responsabili per la produzione degli Urban Master Plan e dei Detailed Local Plan ma, prima che tali documenti vengano prodotti, è necessario che siano sviluppati due tipi di piano: lo Urban System Plan for the City Region e lo Strategic Outline Plan for the Urban master Plan, il primo usato per guidare future direzioni dell'espansione urbana, la costruzione di nuovi insediamenti e, la distribuzione, la specializzazione funzionale e la taglia delle città, il secondo 70 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: invece dovrebbe connettere i piani di sviluppo nazionali a lungo termine con lo sviluppo della regione e fornire le basi per la compilazione del Master Plan. Basate su questi piani le amministrazioni locali compileranno il piano che coordini lo sviluppo dei suoli e delle infrastrutture richieste dai vari settori, con una previsione ventennale, in scala 1:10000 e 1:25000 nei grossi insediamenti e 1:5000 o 1:10000 negli insediamenti di ridotte dimensioni. La gerarchia più bassa di pianificazione comprende due organi differenti: il Detailed Development Control Plan e lo Urban Design for Detailed Plan, usati per controllare l'uso dei suoli e per sviluppare una intensità, e con periodo di sviluppo presunto quinquennale. Gli Urban Master Plan compilati dalle municipalità sotto diretto controllo del governo centrale sono approvati dallo State Council, mentre i Master Plan per le capitali delle province, o per città con oltre un milione di abitanti, sono esaminati dalle rispettive province e regioni autonome, e approvate dallo State Council; gli altri piani invece vengono approvati dalle rispettive municipalità. Le riforme politiche ed economiche in Cina, iniziate nel 1978, hanno portato a grossi cambiamenti, dapprincipio, nelle riforme del sistema rurale, che ebbero un grande successo e che contribuirono a incentivare nuove riforme che interessassero non solo le aree contadine ma anche quelle urbane, che si trovavano in stato di grande arretratezza. Nel 1984 si passarono a prendere in considerazione i sistemi urbani nel loro complesso, investendo tutti i campi, dall'economia, all'insegnamento, alla scienza, alla tecnologia e alla cultura. Nel quattordicesimo National People's Congress, 1992, Deng Xiaoping diede un nuovo e vigoroso segno di apertura verso un cambiamento radicale. Il principale obiettivo, focalizzato in questa riunione, fu la presa di coscienza che la volontà di cambiamento si fondava su un sistema economico socialista allo scopo di liberare e sviluppare la forza produttiva, 71 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: dove, per sistema socialista, si intendeva un sistema economico basato sulla legge del valore, adottando i cambiamenti in virtù della domanda e dell'offerta. L'allocazione delle risorse, in un sistema di tal genere, può essere controllata capillarmente da un governo centrale che, tuttavia, attraverso una rigida legge di controllo a feed back, può coordinare le strategie in modo legato al mercato, grande passaggio da una politica comunista che, invece, svincolata dal valore, tendeva a riallocare le ricchezze in maniera omogenea6. Unitamente a questo controllo capillare e riallocazione delle risorse, però, venne definito che il governo di un sistema socialista deve, usando il potere economico, pianificare e governare le amministrazioni in maniera da rafforzare e guidare il mercato verso lo sviluppo. Per raggiungere questo scopo diviene indispensabile una apertura totale verso le esperienze estere, secondo grande cambiamento di rotta della politica cinese che, in periodo Maoista, era totalmente chiusa. Questo cambiamento di rotta, accanto a riformare il mercato, prevedeva ovviamente un fortissimo sviluppo urbano e metropolitano che vedeva investire numerosi centri, e, assieme, prevedeva un forte sviluppo industriale che portasse le strutture del paese ad essere competitive con quelle degli altri centri internazionali. Dalla primavera del 1992 al 1997, sono state effettuate innumerevoli opere che potessero sottendere questo grande cambiamento, e, se si guardano le statistiche, sono stai evidenziati e iniziati 2700 interventi, in varie aree del paese, oltre 6000 se si includono le zone di sviluppo attinenti a centri e paesi. Le decisioni di riforma del sistema economico del quattordicesimo National People's Congress, si scontra con un grande potenziale ancora intrappolato nell'economia urbana, sulla quale è indispensabile inter- 6 Vedi, a proposito di queste considerazioni, Jianshang Sun, Preliminary Discussion on National Economic Reform and City Planning, in Gar On Yeh, Xuequiang Xu, Xiaopey Yan (a cura di), Urban Planning and Planning Education Under Economic Reform in China, Centre of Urban Planning and Environmental Management University of Hong Kong, Hong Kong 1997. 72 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: venire per sviluppare il paese che deve muoversi attorno ad alcuni concetti base: 1. espandere l'autonomia delle imprese, che in un sistema econom- ico di mercato socialista devono essere in grado di prendere autonomamente alcune decisioni strategiche. 2. Mettere in pratica un sistema di gerarchizzazione delle aree che veda il territorio subordinato ad un centro maggiormente sviluppato, attraverso una rete economica e infrastrutturale. 3. Sviluppare il pieno potenziale delle Città leader attraverso la creazione di megalopoli ben sviluppate dal punto di vista della comunicazione sia fisica sia di informazioni, sottesa da condizioni geografiche particolarmente favorevole. 4. Rinforzare la costruzione di un contesto ecologico favorevole allo sviluppo, tenendo in gran conto le problematiche ambientali. 5. Sviluppare le città attraverso strette relazioni con le aree cir- costanti, sia nel caso dei grandi centri che in quello delle città rurali. 6. Dare un forte sviluppo alle infrastrutture delle città. 7. Portare avanti una riforma legata al pagamento dell'uso del ter- reno pubblico nella città attraverso una razionalizzazione nell'uso dei suoli legato al loro valore di mercato, fattore che, storicamente, vedeva un grande spreco di risorse. 8. Riformare il sistema delle abitazioni nei centri urbani, che in pas- sato venivano edificati dallo stato, legandole ad un sistema economico che ne garantisca il possesso e la compravendita, fattore che in passato era impensabile, in uno stato che doveva tutelare il bisogno base di avere una casa attraverso la sola cessione in utilizzo delle unità. Con l'intenzione di creare uno sviluppo del sistema economico e delle città, sono sorte un gran numero di imprese e compagnie che hanno reso le città, da organismi pubblici che tendevano a garantire lo status sociale dei cittadini, a organismi orientati al profitto. In tale logica di cambiamento, pertanto, è necessario dare corpo ad opere fisiche ma anche costruire figure di City manager, che potessero 73 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: governare tale cambiamento secondo alcune logiche fondamentali: 1. Rafforzare e creare studi strategici per lo sviluppo urbano, attra- verso strategie rispondenti e ben congegnate 2. creare seri e meticolosi piani di sviluppo che prendano in consid- erazione la maglia di città e centri importanti sul territorio 3. Riconfigurare la raccolta di informazioni sui sistemi urbani, iniziando dal calcolo della popolazione realmente residente, che è uno dei primi parametri in gioco nella configurazione della grandezza di un centro 4. Dedicare grande sforzo nello studio e nella pianificazione delle proprietà immobiliari 5. Regolamentare la struttura e le funzioni dell'area cittadina 6. Rinforzare e pianificare la creazione di amministrazioni di ogni tipo nelle zone di sviluppo 7. Stabilire un perfezionato sistema di pianificazione 8. Velocizzare la modernizzazione della pianificazione seguendo le leggi dell'economia di mercato. Se, nel caso di Shanghai, lo sviluppo della Pudong New Area è uno dei momenti più significativi per quanto riguarda il tentativo di creare una linea di pensiero coerente, che possa governare il passaggio auspicato da Deng Xiaoping, è proprio sulla scia di queste riflessioni che si è mossa la Cina, e Shanghai nel particolare, sin dagli anni '80, per costruire un impalcato teorico a questo cambiamento. Concretamente questa ricerca di fondamenti si espleta in una serie di studi e convegni, di pubblicazioni e di progetti ricerca, che Shanghai e la Cina hanno elaborato nel periodo '80-'95, che ha investigato tutti i campi che potevano influire nel fare città. Molte ricerche sono state compiute analizzando le altre realtà asiatiche, partendo dal Giappone che, anni prima, aveva governato uno sviluppo vertiginoso, per arrivare a casi più recenti di sviluppo, come la Corea del Sud, Taiwan, Singapore, ma anche guardando realtà meno economicamente sviluppate come Manila, Giava o Bangkok, cercando di includere 74 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: in questi studi un Know How differenziato che si avvalesse di contributi di varie nazioni. E' un esempio di questa attenzione il convegno dal titolo Information System and technology for Urban and Regional Planning in developing countries, che contempla vari interventi in cui molti paesi asiatici espongono le loro esperienze sia in generale che in casi specifici. Questi studi vertevano su molteplici temi, partendo da problematiche ambientali come per esempio quelle affrontate nel simposio Shanghai environment project, Shanghai environmental Master Plan studies, aperto a Shanghai il 31 Maggio 1993 che vedeva, tra gli organizzatori, anche alcuni enti australiani, in cui vengono analizzate le problematiche inerenti l'ambiente, dallo smaltimento dei rifiuti al controllo dell'aria, delle acque e del verde, per passare alle problematiche dei trasporti come nel Proceeding of the a Sectoral Meeting of Experts and Policy Makers on Energy-Environment Strategies for Urban Transport System, Energy Transport and the environment in Asia, del Maggio 1994, alla cui organizzazione hanno partecipato anche le Nazioni Unite. Un occhio di particolare riguardo ha interessato principalmente la città di Hong Kong, come esempio di realtà che è riuscita a risolvere grandi problematiche analoghe a quelle di Shanghai, e questa stessa città ha giocato un ruolo chiave in gran parte degli studi, come si evince dalla pubblicazione Hong Kong: Ideology, space and power. Functionalist economic imperatives and the devolution of urban formes, del 1984 o dal complesso di studi Planning Hong Kong for the 21st century, o ancora da Modern transport in Hong Kong for the 21st century. Ancora, approfondito e sviluppato è stato il tema degli insediamenti umani e delle loro caratteristiche in un momento di grossi cambiamenti, tema del convegno Human Settlements towards the 21st century - Issues and challenges, svoltosi a Beijing 15-21 Settembre 1994. Tutti questi studi hanno portato alla costruzione di una serie di nodi problematici che la città di Shanghai si è poi trovata ad affrontare, in piccolo, nella pianificazione di Pudong New Area e, susseguentemente, nella 75 PUDONG E IL POST MAOISMO CAPITOLO 3 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: pianificazione dell'intero centro urbano. Indipendentemente dai vari interventi che vertevano sui temi più disparati, sembra comunque interessante osservare come un cambiamento radicale della forma urbana abbia mosso così tante investigazioni e così tanto sapere, a considerazione inoltre del fatto che i piani precedenti per la città erano spesso localizzati in singole aree di sviluppo (come il piano del 1953) e investigavano le problematiche generali in maniera non radicale, mentre con il Comprehensive Master Plan il tentativo è rifondare una città partendo dalle sue radici e dalla sua complessità a tutto tondo. 76 PUDONG E IL POST MAOISMO Capitolo 4 – Shanghai, una lettura del suo percorso: dalla fondazione al 1978 - 4.1 – Primi insediamenti E’ interessante, a questo punto del discorso, cercare di ripercorrere, brevemente, i tratti salienti del percorso della metropoli di Shanghai, al fine di riuscire a comprendere meglio quanto, nell’Impero Cinese prima, e nella Repubblica Popolare Cinese poi, questa città sia stata, grazie ad una serie di concause, un punto importantissimo del sistema, e, di conseguenza, quali siano le motivazioni e le speculazioni che hanno creato e reso Shanghai, assieme alla capitale Beijing, sia uno dei luoghi su cui maggiormente stia puntando la Cina per una sua rinascita. Sebbene sia verosimile che alcuni insediamenti esistessero sin dal settimo secolo avanti Cristo, come sembrano dimostrare alcuni ritrovamenti archeologici, si hanno notizie certe della città solo in epoca medievale, sia attraverso una prima descrizione cinese sia, poi, quando Marco Polo che, durante la sua permanenza in oriente, si reca in questa città e ne fornisce alcune descrizioni. Vero è che, strategicamente parlando, il delta del fiume Yangze era un luogo molto importante per i commerci marittimi che univano tutte le città costiere della Cina orientale, e a questo va aggiunto il fatto che la sua confluenza con il fiume Huangpu, offriva protezione e possibilità di difesa dai pirati provenienti dal Giappone che, battendo quelle coste, facevano razzia di merci e navi, rappresentando una minaccia per le città direttamente prospicienti il mare. Probabilmente furono queste caratteristiche che portarono Shanghai a prosperare, e ad imporsi come centro importante, come suggerisce il suo nome Shan=sul e Hai=mare, tanto che durante la dinastia Yuan (1279-1368) venne tracciata una prima pianta della città che metteva in evidenza i canali e gli edifici importanti, anche se dalle prime descrizioni 77 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL Una rappresentazione cartografica della città di Shanghai come doveva presentarsi durante la dinastia Yuan 1978 Shanghai in Epoca Ming, (1554 circa), circondata da una cinta muraria sembrerebbe che Shanghai non dovessedifferire grandemente da tutte le altre città costiere. Lontana dai fasti e dai lussi di Pechino, e non fiorente come altre città, il suo sviluppo principale avvenne lungo i cosi d’acqua che percorrevano i suoi territori, senza caratteri di nota, tanto che le cronache riportano solo due fatti salienti nella storia dello sviluppo di questo centro: l’edificazione di una cinta muraria che contornava l’insediamento per difenderlo dai già citati pirati che risalivano il corso del fiume Yangze nel 1554, durante la dinastia Ming, e l’arrivo dei coloni Britannici nel diciottesimo secolo. Dalla mappa di Shanghai dell’epoca Ming si possono forse trarre alcune informazioni su come doveva essere la città in quell’epoca: la carta mostra una cerchia muraria della forma circolare in cui l’interesse principale è presentato dai canali che corrono all’interno della città, molto simili anche se un po’ più regolamentati di quelli di un secolo prima, mentre nella rappresentazione viene data grande importanza ai ponti, censiti e nominati con cura, ad alcuni edifici importanti, e al sistema viario. La carta rappresenta circa la stessa immagine che doveva offrirsi nel diciottesimo secolo quando i Britannici sbarcarono su queste terre e 78 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL diedero inizio a quel fenomeno di colonizzazione che ebbe il suo apice circa un secolo dopo, negli anni venti del 1900. Furono proprio interessi economici e commerciali, unitamente alla posizione strategicamente importante, a portare la Compagnia delle Indie Orientali ad inviare, nel 1832, una nave che, dopo aver esplorato le coste meridionali della Cina in cerca di un luogo propizio ai commerci dove insediarsi, giunse a Shanghai, vedendo in questo luogo uno scenario di interesse per fondare un avamposto coloniale che potesse favorire le rotte mercantili in transito dall’Asia all’Europa. Unica punta negativa di una situazione apparentemente ottimale era il sistema governativo cinese che, centralizzando ogni forma di scambio, prevedeva che i mercantili non solo pagassero grandi dazi per la merce che passava per Shanghai, ma inoltre prevedeva che il permesso per passare fosse concesso dall’Imperatore a Pechino, costringendo i commercianti a viaggi e perdite di tempo che, da un lato, rendevano il commercio più lento, e dall’altro lo rendevano economicamente poco vantaggioso. Dall’altro lato, tuttavia, non scevra di problemi si dimostrava la situazione cinese, che covava parecchi malumori, dovuti al fatto che i Britannici importarono grosse quantità di cotone proveniente dagli Stati Uniti, rifiutando di commerciare attraverso moneta locale, e prediligendo la divisa Britannica o Statunitense, il che portò la Cina a dover affrontare problemi interni di cambiamento di mercato trovandosi, da maggior esportatore di cotone lavorato, a maggior importatore di prodotto finito. Su un malcontento generale si innestò un’altra problematica rappresentata dal commercio dell’oppio, importato dall’India britannica e rivenduto sul mercato cinese, suscitando malcontento del governo centrale che a più riprese tentò di impedire e controllare l’arrivo e la vendita di questa merce, fattore che suscitò dissenso nelle flotte mercantili ricavanti, da questo tipo di scambio, un forte profitto. 79 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL 1978 - 4.2 – La nascita della Shanghai Coloniale L’impossibilità di trovare un accordo, e la determinazione del governo cinese nel fermare questo tipo di commercio, tanto da boicottare e bruciare interi carichi di questa merce, portò la Compagnia delle Indie Orientali, il cui fiorire aveva portato alla creazione di un esercito privato, a entrare in conflitto con la Cina scatenando quella che viene definita la Guerra dell’Oppio. Al termine di questo conflitto, che portò le forze britanniche a primeggiare su quelle cinesi, fu imposto un trattato, il trattato di Nankino del 1842, che sancì, accanto ad un rimborso che la Cina dovette pagare all’Inghilterra per far fronte alle spese della confisca dell’oppio e delle spese di guerra sostenute, l’apertura di cinque porti sotto protettorato Inglese, Guangzhou, Fuzhou, Xiamen, Ningbo e Shanghai, in cui la potenza vincitrice poteva creare un insediamento atto alla permanenza di persone. Si trattava di cinque porti franchi fuori dal controllo diretto dell’imperatore, basati su un diritto di extraterritorialità che faceva riferimento ad un Console, che avrebbe conferito con le autorità cinesi regionali invece che, come veniva imposto precedentemente, con l’Imperatore stesso. Accanto a questi cinque porti franchi e ad alcune facilitazioni commerciali, quali l’abolizione di una tassa fissa sull’import export e, l’istituzione di compensi che la Cina non poteva ritoccare senza il consenso della Corona inglese, la garanzia che la Gran Bretagna avrebbe goduto di tutte le concessioni che la Cina avrebbe garantito a qualunque altro paese. L’ultimo punto del trattato di Nankino prevedeva la cessione dell’isola di Hong Kong alla Corona Inglese ad eternum, a cui si aggiunse nel 1860 il territorio di Kowloon e, nel 1898 l’usufrutto per l’area chiamata New Territories per un periodo di 99 anni. 80 Uno scorcio da Waitan verso Pudong (1862 circa), come doveva presentarsi agli emissari della Compagnia delle Indie Orientali durante la loro prima supervisione CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL Il Parlamento Inglese, l’anno successivo, revocò alla Compagnia Delle Indie il monopolio sul commercio, divenendo in questo modo direttamente responsabile dello sviluppo di nuove colonie in Cina, e, nel 1843, mandò una delegazione capeggiata dal capitano Gorge Balfour che insidiò il primo protettorato inglese a Hong Kong. Nel 1847 lo stesso Console riportò che, a suo parere, la città di Shanghai, grazie alla sua posizione strategica sia per quanto riguardava il traffico via mare, sia per quanto riguardava quello via terra, aveva un certo interesse, e asserì la necessità di creare un secondo avamposto commerciale che si affiancasse ad Hong Kong. La predisposizione della città ad ospitare traffici internazionali creava la possibilità di non avere problemi con gli autoctoni, abituati a trattare con gli stranieri e, di conseguenza, ben predisposti verso i nuovi arrivati, considerazione che portò ad insediare un primo ufficio coloniale all’interno delle mura dell’insediamento cinese. Fu il Console Balfour che stese il layout per il primo insediamento coloniale, all’interno del quale venne presto spostato il consolato stesso, garantendo che i due insediamenti fossero il più possibile autonomi. Il piano era in linea con gli altri avamposti coloniali: non il risultato di una pianificazione a forte influsso militare, la maglia tracciata era di una semplicità estrema e teneva presente dell’uso del terreno precedente, proponendo un sistema di tre vie parallele che incontravano la linea di costa del fiume e alcune vie perpendicolari, a formare lotti di dimensione quasi rettangolare adatti a contenere i nuovi insediamenti. La prima urbanizzazione coloniale, secondo una carta cinese del 1848 81 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL Unica nota interessante, la previsione di un’area per la costruzione di un ippodromo, svago in voga alla Corte Inglese e unico lusso che il nuovo avamposto coloniale si concesse costituendo, assieme all’ambasciata, alla chiesa e al cimitero, le uniche presenze di edifici pubblici. E’ interessante notare come que- Immagine di Waitan (The Bund) come si presentava nel 1850 circa sta prima pianificazione rimarrà visibile ed invariata fino ai giorni nostri. Unita alla città autoctona da una sola strada, vi si contrapponeva per ordine e geometrizzazione regolare, paragonata all’insediamento cinese che le cronache dell’epoca descrivono come un agglomerato di case poco ordinato, caotico e sporco. I confini della parte Britannica si estendevano sino al canale Yangjing, lasciando spazio ad un’ampia parte di terra vergine e non inclusa nel primo piano che fu ben presto occupata da abitazioni. Il fatto che nell’area si trovavano numerose tombe di famiglie cinesi fu tenuto in poca considerazione dai nuovi coloni, creando non pochi motivi di attrito con la popolazione locale, situazione che determinò una non facile convivenza, tanto che nel 1855 venne promulgata la prima Land Regulation, che sanciva definitivamente i confini dell’insediamento nonché le regole di compravendita dei terreni e il sistema giuridico ed amministrativo di base, e le regole per l’ancoraggio delle navi mercantili. Nella mappa conseguente alla prima Land Regulation si possono riscontrare su per giù le stesse caratteristiche del primo insediamento, ancora separato dalla città cinese, e alcune indicazioni di terreno di proprietà degli Stati uniti, che avevano acquisito il diritto di commercio nei porti internazionali nel 1844, subito seguiti dai francesi. Questi ultimi avevano stipulato rapporti commerciali con la Cina sin dal 82 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL Mappa di Shanghai conseguente alla Land Regulation del 1855 1776, e, nel 1843, firmarono una convenzione al seguito della quale venne insidiata una colonia francese, approfittando dei vantaggi degli Inglesi conseguenti al trattato di Nankino. Accanto agli accordi diplomatici e commerciali venne stipulata la clausola che proteggeva e tutelava tutte le missioni e le chiese francesi, che offrì l’opportunità di usufruire di un numero cospicuo di siti cattolici fondati in epoca Ming attorno alla città cinese, ed includevano il possesso di un piccolo lotto all’interno della città cinese e un largo appezzamento nella parte sud, siti di missioni Cattoliche. Nei primi anni del suo sviluppo le popolazioni coloniche vivevano in un regime di autotassazione e ogni cittadino contribuiva alla costruzione della città con le proprie forze, due eventi tuttavia contribuirono a normare i nuovi insediamenti: la Taiping Rebellion e la Small Sword Society, 83 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL che portarono Shanghai ad un boom economico e sociale nel ventennio successivo. - 4.3 – La Taiping Rebellion e la Small Sword Society Il leader della Taiping Rebellion era Hong Xuiguan, nato da una famiglia indigente e formatosi presso le scuole pubbliche a Guangzhou, ricevendo un’educazione di stampo Protestante, e si distinse per la sua lotta religiosa che iniziò con la predicazione opponendosi strenuamente al proliferare delle altre divinità. Data la sua umile origine e la sua lotta religiosa iniziò ben presto a far affiliati tra i monasteri e nello strato più povero della popolazione, gli Hakka, di cui condivideva l’etnia, fino a raggiungere un numero di fedeli pari a 30000, motivo per il quale iniziò a sviluppare idee politiche sovversive che lo portarono, nel 1851, a sostenere che da lui discendeva una nuova stirpe imperiale, che si opponeva alla dinastia regnante, Qing. Promuovendo idee legate alla religione anche in campo politico, come il fatto che i coltivatori possedessero la terra che coltivavano e che cibo danaro e vestiti venissero ripartiti in maniera eque tra i fedeli, si assicurò la benevolenza delle masse più povere. Nel 1853, formata una milizia consistente, i Taiping mossero verso Nankino e la conquistarono, cambiandole nome in Tianjing, e, circa due anni dopo, controllavano circa 600 città nella regione di Shanghai, evento possibile anche grazie al fatto che la religione e le idee dei Taiping erano vicine ai concetti occidentali, il che portò a questo movimento vari aiuti economici da parte dei coloni, e una generale predisposizione positiva verso la setta religiosa, sebbene ufficialmente non fosse appoggiata. La successiva politica antimperialista e sovversiva del movimento, divenuto incontrollabile, iniziò a preoccupare tuttavia tanto l’Impero 84 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL quanto le popolazioni internazionali che risiedevano a Shanghai, che consideravano il tentativo di sovvertire la dinastia Qing come un pericolo per gli affari e gli accordi stipulati con questi ultimi, tanto che nel 1860 venne creata una forza armata imperiale capeggiata e coadiuvata da occidentali con lo scopo di rovesciare i Taiping. La lotta per il controllo della regione di Shanghai perdurò per oltre quattro anni e terminò con la capitolazione della setta a Nankino, nel 1864, che si lasciò alle spalle circa trenta milioni di morti, secondo le cronache del tempo. Durante lo stesso periodo della Taiping Rebellion, Shanghai si trovava di fronte ad un altro accadimento importante: la Small Sword Society, una coalizione nata dalle Triadi locali nel 1850, che si ribellò all’amministrazione della dinastia Qing. Formata per lo più da marinai e capeggiata da Lui Lichuan, la società iniziò un giro di affari con la comunità internazionale e professò un interesse alla religione Cristiana, che garantì la simpatia e la benevolenza degli occidentali. Negli anni della Taiping Rebellion la triade conquistò la Chinese Shanghai e alcune città vicine, alleandosi con i Taiping, pur non andando mai a minacciare né intaccare le proprietà degli insediamenti coloniali, che favorirono questa società attraverso aiuti economici privati, anche per il fatto che tra gli impiegati della neonata società figuravano 40 stranieri. Il governo Cinese richiese l’intervento delle colonie attraverso la costruzione di una cinta intorno all’avamposto, pur non vedendo mai un grande sforzo né interesse da parte di questi, ma nel 1855 una forza mista cinese e francese marciò contro la Small Sword Society nella parte cinese di Shanghai. La setta, tuttavia, venne aiutata da numerosi marinai britannici, fatto che impose agli Inglesi di prendere posizione a loro volta portandola a scendere in campo accanto alla milizia sino francese, facendo capitolare la città. Entrambi questi eventi influirono fortemente nella struttura della città, 85 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL infatti la presa di potere di parte dell’area della provincia di Shanghai, nonché la presa della stessa città cinese, favorirono una forte immigrazione cinese verso la parte internazionale che, se da principio non permetteva che popolazioni autoctone risiedessero dentro le concessioni, abolì questa regola, portando la stretta divisione tra parte cinese e parte internazionale a divenire più labile. Questo evento portò a confluire all’interno di Shanghai un numero ingente di persone che si addensarono nei sobborghi e nelle concessioni, creando un vero e proprio boom dell’economia della città grazie al fatto che venne sancito il diritto di affitto, anche se la terra non era di proprietà degli occidentali che vi risiedevano, portando all’edificazione di numerose zone di abitazione economiche e speculative, in cui in spazi ridottissimi si ammassavano un numero impressionante di persone. Questo creò malcontento nelle popolazioni occidentali delle concessioni, che videro nei rifugiati cinesi i principali autori di eventi di microcriminalità, tanto da rendere necessaria l’istituzione di un corpo permanente di polizia, formata principalmente di Sikh provenienti dalle Indie. Da un punto di vista della regolamentazione delle colonie, la Small Sword Society impose alle colonie di istituire un ispettorato che avesse il compito di raccogliere e regolamentare le entrate relative alle tasse delle imbarcazioni che arrivavano nel porto di Shanghai, e questa istituzione, che dopo la capitolazione della società interagì con la dinastia Qing, mutò la colonia da un insediamento sostanzialmente a carattere commerciale in un’amministrazione autonoma riconosciuta dall’impero. Dal punto di vista insediativo, invece, lo sviluppo e la crescita della popolazione, unitamente alla necessità di creare alloggi a basso costo, favorirono la nascita di una tipologia di isolato figlia della commistione tra concetti occidentali e tradizionali cinesi: i Lilong. Proprio per la necessità, infatti, di creare la maggior urbanizzazione possibile in un lotto di forma pressoché rettangolare, e tenuta presente la necessità di ricreare un ambiente propizio per i rifugiati che chiesero il diritto di extraterritorialità a seguito delle due rivolte, si impose la 86 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL necessità di trovare un tipo di abitazione nuova, che costasse poco, e che potesse essere realizzata velocemente, e questi requisiti vennero ritrovati nella tipologia di abitazione contadina cinese, che si configurava come uno spazio chiuso da un recinto all’interno del quale due, tre o quattro edifici si affacciavano su una loggia, mentre altri locali, adibiti a magazzini o servizi, si affacciavano su una corte più piccola sul retro, con uno schema costruttivo semplice e quadrato basato su un sistema di travi e pilastri che dividevano lo spazio in campate, in numero maggiore tanto più la famiglia era ricca. Su questo schema di base venne creata la nuova tipologia urbana chiamata Lilong, formata da un muro esterno, diviso all’interno da un complesso di vie a grandezza gerarchica, di cui le maggiori uscivano sulla strada principale sotto portoni riccamente decorati, che garantivano accesso alle varie case. Il termine Li, evocava nella cultura cinese un piccolo villaggio composto da 25-100 famiglie rette da un capo, mentre Long sta per strada, facendo riferimento alle strade che garantivano i flussi interni. Questa tipologia veniva a creare in tale maniera un isolato chiuso, a dinamiche di microcomunità, che aveva rapporti con l’esterno mediante le porte, mentre all’interno viveva di dinamiche e relazioni semiprivate, organizzate secondo una gerarchia basata sulle relazioni sociali e di pa- La tipologia dei Lilong rentela. Ad un inizio povero e speculativo fece seguito un affinamento di questa tipologia che, secondo gli autori, può essere divisa in quattro momenti differenti corrispondenti ai materiali e alle modalità costruttive usate1, pur mantenendo intatta la conformazione di edifici a uno o due piani che si affacciano su una corte anteriore e una posteriore dove si trova un edificio di servizio. L’abitazione interna ospita geniMappa di Shanghai del 1862 87 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL 1978 tori, figli e nipoti, e, ogni nucleo domestico, ha a disposizione una stanza scelta secondo il rango della famiglia. - 4.4 – La svolta di inizio novecento Il movimento delle popolazioni locali a seguito delle rivolte, portò a Waitan come si presentava nel 1880 Shanghai un numero ingente di intellettuali e di artisti che, entrati in conflitto con il nuovo potere politico, chiesero extraterritorialità e il diritto di risiedere all’interno delle concessioni straniere, influendo sullo sviluppo di una città che, fino a quel momento, si era mantenuta grazie a scambi e commerci. I nuovi abitanti che arrivarono, infatti, cercarono di integrarsi con l’occidente e dare vita a un nuovo approccio al sapere che vedesse le culture tradizionali e quelle occidentali mischiate, sviluppando quindi ricerca in campo scientifico e culturale secondo parametri occidentali. I nuovi intellettuali si formarono in scuole straniere, ne appresero le discipline e la lingua tanto che questa cultura multietnica non tardò a comprendere le classi più alte della società cinese che iniziarono a dare istruzione ai propri figli in scuole inglesi o francesi, promuovendo un amalgama culturale che, sebbene non riuscisse ad entrare nelle classi politiche imperiali, ancora legate ad una cultura e ad una tradizione locale, iniziò quel processo di internazionalizzazione che portò Shanghai ad essere descritta come Mappa di Shanghai del 1904 1 Una chiara catalogazione e una spiegazione esauriente di questa tipologia edilizia può essere trovata nell’articolo di F.Ged dal titolo Insediamento e Morfologia Urbana a Shanghai fra ottocento e novecento, in Storia Urbana: rivista di studi sulle trasformazioni della città e del territorio in epoca moderna, n°70 1995. 88 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL città cosmopolita e legata all’occidente. Se negli anni venti e trenta del secolo scorso, questi eventi, la portarono ad uno splendore massimo meritandole appellativi quali La perla d’oriente, con l’ascesa del regime comunista le valsero una pessima fama e la subordinazione a Pechino, che vedeva in queste caratteristiche un pericoloso segnale politico, le determinò di essere relegata in secondo piano decretan- Immagine di Waitan nel 1908 done un periodo buio e di recessione che terminò solo dopo la morte di Mao Tse-Tung nel 1976. Altro fattore sociale importante riguardava invece le popolazioni occidentali delle concessioni: una grande attenzione alle architetture e alle nuove edificazioni fecero fiorire edifici in stile classico vittoriano, rendendo la città un posto molto rappresentativo (Waitan, oggi, è ancora costituito come una passeggiata lungo il fiume in cui edifici rappresentativi e riccamente decorati si susseguono). Degna di nota a questo proposito è l’attenzione a una serie di infrastrutture che vennero modificate e costruite: chiese edifici rappresentativi ma, soprattutto, il Racerhorse. Questo appezzamento di terreno, previsto sin dalla prima ipotesi di urbanizzazione fatta dal Console Balfour, era all’inizio poco più che un prato che garantiva l’esercizio dei giovani, ma ben presto si trasformò, a cavallo del novecento, in un vero e proprio ippodromo dove allenamento dei cavalli e corse rappresentavano un vero e proprio fenomeno sociale. Appannaggio dei ricchi e degli aristocratici in Europa, soprattutto in Inghilterra, l’hobby dei cavalli rappresentava per i nuovi ceti emergenti a Shanghai, che provenivano da una classe medio borghese, la possibilità di elevare il proprio tenore di vita garantendo una serie di facilitazioni che in patria sarebbero state impensabili. 89 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL Case ricche e grandi, vita pubblica e sociale molto intensa e la possibilità di accesso alle migliori scuole sia a Shanghai che in patria favorirono la crescita di una classe abbiente e benestante che vedeva di buon grado il fiorire della città e la sua maestosità: molti lavori e molti palazzi vennero pertanto edificati nel trentennio che seguì i moti insurrezionali, cambiando faccia alla città e rendendola all’avanguardia anche dal punto di vista dei servizi, con tramvie che coprivano il suo territorio, acqua potabile, gas ed energia elettrica, facendo fiorire il nuovo centro. Accanto a questo sviluppo della città c’era la parte cinese, che non mutò il suo aspetto e visse sempre accostata alle concessioni, mantenendo una forte autonomia nel costruito anche se, a livello sociale, la commistione tra coloni e autoctoni era al massimo. La città subì nell’ultimo decennio dell’ottocento una fortissima espansione, che vide una crescita vertiginosa della superficie delle concessioni che divenne, nel 1900 circa, quattro volte maggiore della Native Shanghai, che manteneva sostanzialmente immutate le caratteristiche che l’avevano delineata per circa cinquecento anni. Shanghai arrivò, ad inizio secolo scorso, a circondare l’insediamento cinese facendo fiorire il proprio porto oltre ogni misura, fattore che relegò la parte mercantile cinese in secondo piano, attracco per flussi di navi locali mentre i grandi mercantili, e i conseguenti grandi commerci, prediligevano la parte occidentale per i loro affari. Sebbene questo fenomeno creò malcontento nelle classi sociali autoctone, il tentativo di commistione rese accessibile la città fiorente e benestante anche ai Cinesi, che, di conseguenza, cercarono di prendere il più possibile dall’occidente mischiando con le concessioni usi costumi e istruzione. A questo fatto va aggiunto che anche il Giappone creò un avamposto a Shanghai, che, competitivo e aggressivo in economia e politica, favorì ed aiutò lo sviluppo di quel centro cosmopolita e fiorente all’inizio del novecento. Accanto a numerosi edifici di pregio e ai Lilong, che passavano da 90 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL dimore a basso costo a centri dotati di una propria identità architettonica, lo sviluppo urbano non seguiva tuttavia l’ordine e la magnificenza che farebbe supporre la sua ricchezza: figlio di logiche speculative legate all’usufrutto dei suoli (che non venne mai reso di proprietà delle concessioni) la crescita urbana che investì la città fino agli anni dieci del novecento era ben lontana da quella prima idea di griglia regolare impostata da Balfour settant’anni prima. Sviluppandosi in modo irregolare e caotico anche se ben curato, attorno alle vie originarie e ai corsi dei canali che attraversavano il territorio della città, vennero create ricche missioni e grandi insediamenti spesso a scapito di siti Cinesi come templi e cimiteri, fattore che creò non pochi Piano di espansione della città di Shanghai del 1919 dissapori tra gli autoctoni e le colonie, anche se l’attenzione alla parte pubblica e privata della città, strade e architetture, era sempre massima e spettacolare. - 4.5 – Gli anni venti e trenta Ad una situazione fiorente quale quella in cui si presentava Shanghai all’inizio del 1900 subentrarono una serie di problematiche, principal- 91 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL 1978 mente legate all’epilogo della dinastia cinese regnante, la dinastia Qing, il cui potere e la cui capacità di reagire e svilupparsi, non essendo in grado di reagire agli eventi, decretò la sua fine. Già alla fine del 1800 infatti una serie di guerre indebolirono l’ultima famiglia Imperiale: le guerre sino francesi del 1884-1885 tolsero dal controllo della Cina il Vietnam, conquistato dalla Francia che in una spedizione navale distrusse la flotta cinese stanziata a Fuzhou e le Immagine di Waitan come si presentava nel 1925 difese cinesi a Taiwan, e nel 1894-1895 la guerra sino Giapponese tolse il controllo della penisola coreana e dell’isola di Formosa dal dominio cinese, prima volta nella storia dell’Impero che una nazione asiatica riuscì a vincere le forze imperiali in battaglia. I giapponesi costituirono una colonia in Corea nel 1910 e stanziarono una base in Manchuria, che fu teatro di scontri tra i Giapponesi e i Russi nel 1905, ma l’Impero, indebolito e inefficiente, non poté far niente per impedire il suo declino e la sua disgregazione, nonostante la fondazione di un Movimento Riformista che sottopose all’imperatore una petizione contenente quaranta decreti di riforma per la macchina politica. Questo scatenò una serie di conflitti interni che portarono l’Imperatrice Cixi, informata che il figlio aveva in piano di farla imprigionare, a ordire un colpo di stato mettendo agli arresti il giovane imperatore e prendendo il controllo dello Stato, alleandosi con società segrete di stampo mafioso con tendenze antioccidentali, portando, di conseguenza, ad una alleanza fra otto potenze straniere e la Cina, che determinò una rivolta che rovesciò l’imperatrice reinsaturando la vecchia monarchia imperiale. Nel 1905 Sun Yatsen, un intellettuale cinese, organizzò una forza rivoluzionaria che decise di sovvertire il potere della dinastia Qing e instaurare una repubblica, anche se i tentativi andarono più volte falliti. Mentre l’Impero promulgò molti dei decreti presentati dal Movimento Riformista, tra cui una nazionalizzazione delle ferrovie, che indebolì il potere delle province che, nel 1911, grazie alla milizia del gruppo rivo- 92 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL luzionario di Sun Yatsen, la Alleanza Rivoluzionaria, insorsero a Wuchang e dichiararono indipendenza da Beijing, seguite da altre 14 delle 15 province dell’Impero Cinese. Sun Yatsen, precedentemente esiliato negli Stati Uniti, tornò in Cina e fu nominato primo Presidente del Governo Provvisorio della Repubblica Cinese, e a Shanghai, ormai centro coloniale più importante della Cina, le concessioni chiesero ed ottennero dalla neonata repubblica che fosse demolito il muro che cingeva la città autoctona, in maniera tale da organizzarla e rimodernarla. Nel 1912 Sun Yatsen divenne Presidente della Repubblica Cinese, spostò la capitale da Pechino a Nankino, e si appoggiò per il controllo della parte nord dello stato all’aiuto di Yuan Shikai, che convinse l’Imperatore ad abdicare, pur rimanendo nella Città Proibita, che, nel 1917, dopo un colpo di mano, fu rimesso sul trono per un limitato periodo essendo poi definitivamente cacciato ed esiliato in Manchuria dove divenne un burattino nelle mani dei Giapponesi. Dopo questi fatti Sun Yantsen e Yuan Shikai riportarono la capitale a Pechino e fondarono il Partito Kuomintang (KMT), il cui scopo era quello di portare la Cina in una Repubblica moderna, che divenne la principale forza politica. Il nuovo presidente Yuan Shikai, tuttavia, si oppose strenuamente al partito esiliando lo stesso Sun Yatsen e altri membri e reinstaurando un tentativo imperiale, basato sulla sua persona. Alla sua morte seguirono problematiche legate alla successione, decretando un nuovo periodo di instabilità, denominato The Warlord Period, teatro di lotte e colpi di stato, che durò fino al 1928. Shanghai rappresentò la possibilità di riunione dei nuovi capi del partito KMT, Sun Yatsen e Chang Kai-Shek, grazie alla sua extraterritorialità, e grazie al fatto che, al suo interno, confluirono molti affiliati al partito per evitare ripercussioni e persecuzioni, rendendo la città il teatro di movimenti popolari con ambizioni politiche che confluirono nella formazione del Partito Comunista Cinese, avvenuta nel 1921 in una riunione in un 93 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL dormitorio femminile a Shanghai, ora nella zona di Xintiandi. L’intenzione di coalizzare le classi lavoratrici, sfruttate in ambienti di lavoro decrepiti e che subivano turni di 14 ore in fabbrica, convogliò in una serie di scontri il cui inizio avvenne nel 1925, quando un imprenditore giapponese uccise un lavoratore cinese, scatenando una serie di proteste che, il 30 maggio, confluirono in una marcia in Nanjing Lu, cuore della Shanghai coloniale. Teatro di scontri cruenti tra la polizia locale e i dimostranti, questo evento portò ad indire uno sciopero generale il 1 giugno, a seguito del quale il Consiglio Municipale di Shanghai decise di non fornire elettricità alle industrie cinesi nella città, portando il ceto industriale a condividere il sentimento antioccidentale e mostrando l’inadeguatezza dei Signori a Pechino. Nel 1925 Sun Yatsen morì a Pechino, appena dopo aver concordato, tra il KMT e il Partito Comunista, una coalizione e un’unione di forze che portasse ad un rovesciamento del signore di Pechino, decretando la fine della tradizione imperiale e la nascita di un sentimento repubblicano condiviso. Il primo periodo di cooperazione tra il KMT e il CCP portò ad una attenzione enorme alla crescita del paese, e nel 1928 riuscì finalmente a rovesciare i Signori di Pechino ed instaurare la democrazia, retta dal CCP, riuscendo a riprendere il controllo di molte colonie britanniche. Nell’ottobre 1926 Il CCP organizzò un movimento a Shanghai che si schierasse contro le triadi cinesi che governavano la città, ma la rivolta non riuscì dando la scusa per un periodo di governo occulto del terrore sulla città da parte di questi organismi, e le differenti vedute dei due partiti non tardarono a farsi riconoscere, decretando l’alleanza tra Chang Kai-Schek e gli affiliati alla Green Secret Society con l’intento di rovesciare l’altro partito. Nel marzo 1927 l’Armata Nazionale del CCP entrò nella città, incontrando una strenua opposizione del KMT, aiutato dalle potenze coloniali, cui venne offerta la garanzia che le colonie continuassero nei loro commerci, ma, successivamente, colta di sorpresa dalle legioni della Green 94 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL 1978 Secret Society, capitolò. Sebbene le persecuzioni del KMT furono sanguinarie e cruente, tanto da decretare un richiamo per Chang Kai-Schek, considerato reo di aver agito da solo e senza preventiva autorizzazione de KMT, il proposito di rovesciare i comunisti era stato raggiunto, e la colonia poté continuare indisturbata i suoi commerci. Il massacro di Shanghai, tuttavia, animò le classi lavoratrici e decretò la continuazione degli scontri sino a circa vent’anni dopo quando i comunisti riuscirono a prendere il potere. Nel mezzo di questo periodo politicamente sanguinoso e difficile iniziò a prendere corpo l’intenzione di costruire un piano cinese della città, che potesse mostrare la magnificenza e la grandezza della neonata Repubblica Cinese anche nei confronti della Shanghai coloniale. Tra il 1927 e il 1929 Il Governo Nazionale iniziò gli studi per il primo Master Plan della città di cui vi sia documento, anche se il progetto prendeva in considerazione solo un’area a ovest, e non l’intera città. Il proposito di questo primo piano era, da un lato, quello di accompagnare lo sviluppo della città all’interno del ventesimo secolo gettando le basi di una città moderna, dall’altro quello di entrare in competizione Master Plan del 1929 95 Modello del Master Plan del 1929 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL con le colonie che, attraverso numerose opere ed edifici, stavano cercando di rendere Shanghai la capitale asiatica dell’Europa. Il desiderio di creare una Shanghai moderna e fiorente dalla perte cinese era basato sulla constatazione che i Britannici stavano creando un forte sviluppo per la città di Nuova Delhi, con un piano della città che esprimesse tutta la magnificenza di una capitale soprattutto nella monumentalità del suo centro. Il piano del 1929-31, era basato su un accurato rilievo della vita urbana esistente da molti punti di vista, e aveva l’intento di ridimensionare l’interesse del centro coloniale e di entrare in competizione con lui, soprattutto dopo che fu concesso alle colonie di espandersi a nord bloccando in tal modo qualunque possibilità di espansione per la parte cinese. In prima analisi fu pianificata la costruzione di un sistema di strade che si muovessero attorno al nuovo insediamento da est a ovest e una grande direttrice nord sud, secondariamente venne ipotizzata la costruzione di una estensione della città a nord est degli insediamenti coloniali, che avesse i requisiti di una nuova città moderna: prima di tutto un traffico basato sulle autovetture e secondariamente veniva a collocarsi sul fiume Yangze con un grande porto che, in tal modo, si trovava prima di quelli delle concessioni molto fiorenti. Il piano, come si può subito notare, ha un grande sforzo razionale di rappresentatività e subisce le influenze del piano per Washington D.C. e di quello per Nuova Delhi. L’elemento centrale forma un grande spazio commerciale alla confluenza delle direttrici nord-sud e est-ovest, che crea la figura di una croce, in cui l’asse nord-sud è predominante. All’estremità sud una serie di strade circolari formano una quinta scenografica dove trova posto una torre, un memoriale, mentre nella parte nord si trova una pagoda a vari piani. Una grande piazza centrale infine, che le descrizioni indicano essere una piazza per manifestazioni militari, è racchiusa da una quinta di edifici di pregio ospitanti importanti istituzioni cittadine come il municipio e vari altri dipartimenti di stato: tutto viene progettato alla perfezione soddi- 96 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL 1978 sfacendo anche le regole del Feng Shui. Una concezione simmetrica con al centro un monumento a Sun Yatsen, mentre alle estremità est e ovest trovano posto la biblioteca e il museo. Sulla base del fatto che in quegli anni la città di Shanghai era la capitale economica e commerciale dell’intera Cina, la decisione di costituire un centro estremamente rappresentativo sembra scontata, tuttavia è interessante il fatto che per rappresentare la grandezza di uno dei centri più moderni e importanti, in contrapposizione con le colonie Waitan nel 1929, nei suoi anni d’oro, quando la municipalità cinese decise di creare una alternativa autoctona che rivaleggiasse con lo splendore coloniale occidentali, venisse scelta una forma che, come già detto, fosse fortemente influenzata sia da Washington, centro occidentale e, peraltro, capitale di una delle potenze coloniali presenti sul territorio, sia da Nuova Delhi, che rappresentava i fasti di una città asiatica attraverso la celebrazione di quelle potenze coloniali contro cui voleva schierarsi Shanghai. Unica spiegazione di questo fatto, forse, è riscontrabile nel fatto che, proprio per i motivi che presupponevano l’intervento, Shanghai volesse contrapporsi a Nuova Delhi per quello che rappresentava, cioè una colonia, creando uno scenario simile ma molto più rappresentativo, a cui va senza dubbio aggiunto il fatto che la Cina, nella sua storia, non ha nessun esempio urbanistico a cui rifarsi per rivendicare una cultura locale. Nel 1930, col crescere delle ambizioni della Cina, il piano fu esteso da piano per la zona centrale a Bigger Shanghai Plan, che incorporava tutte le ricerche condotte in tre anni a proposito di storia, geografia, clima, popolazione, stato delle strade e delle ferrovie e dei sistemi di irrigazione, mentre una prima regolamentazione su funzioni pubbliche inizia a prendere corpo. Lo studio per il piano continuò sino a circa il 1937, quando i Giapponesi, dichiarando guerra alla Cina, bloccarono lo sviluppo della città, lasciando solo una traccia dell’intervento urbano in una serie di strade radiali e 97 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL qualche edificio. - 4.6 – L’occupazione Giapponese Dopo l’invasione della Manchuria da parte dei Giapponesi nel 1931, Shanghai prese una forte posizione di contrasto nei confronti di questa popolazione, attuando una politica di boicottaggio di tutti i beni e gli indirizzi commerciali di questi, compreso la non concessione di attracco ai mercantili provenienti da questo paese. Gli episodi di mal sopportazione ebbero tuttavia un apice in giugno, quando la folla attaccò un gruppo di monaci giapponesi uccidendone uno e ferendone due gravemente, episodio che portò i Giapponesi alla richiesta di perseguire i colpevoli, e chiunque fosse reo di boicottare il Sol Levante. Presto fu chiaro, tuttavia, che questo era solo il pretesto per garantire azioni militari alla città da parte dei Giapponesi. Chang Kai-Shek tentò di risolvere il problema per vie diplomatiche, ma le armate cinesi si schierarono contro quelle giapponesi, e questo provocò un’azione di rappresaglia da parte dei secondi che, per cinque giorni, attuarono un bombardamento a tappeto della città (prima volta nella storia che venne intrapresa una azione che provocò vittime civili), e a nulla valsero le sanzioni che la comunità internazionale pose nei confronti del Giappone. Il conflitto tra i due partiti, il KMT e il CCP, non contribuì a fronteggiare e prevenire le azioni del nuovo nemico, nonostante il CCP si schierò al fianco del KMT per liberare Chang Kai-Shek, rapito dal Signore della Manchuria. Questo episodio, dopo poco tempo, decretò che il Giappone dichiarasse guerra alla Cina, con il pretesto di liberare un soldato giapponese rapito dai Cinesi. A Shanghai i Giapponesi raddoppiarono le forze di terra, evacuarono i 98 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL 1978 civili, e dichiararono il controllo di tutto l’International Settlement, motivo per cui Chang Kai-Shek inviò due contingenti,che furono tuttavia sconfitti, contro questi, mentre alcune navi da guerra giapponesi attraccarono nel porto di Shanghai. Per paura di atti di rappresaglia, come successo nel passato, i Cinesi si spostarono in massa verso la parte internazionale. Nel 1937 i Giapponesi mossero in forze in Cina e ne conquistarono la parte Nord, e, nello stesso anno, compirono atti di estrema crudeltà nei confronti della popolazione civile, assumendo il controllo della città, tanto che l’8 dicembre fu autorizzata una marcia trionfale giapponese all’interno della città. Nonostante i bombardamenti e gli scempi subiti per mandare in Giappone il metallo da riforgiare per costruire apparati bellici, la città di Shanghai riuscì a tornare alla normalità molto presto, ricostituendosi e rifiorendo, ma dovette far fronte ad una grande ondata di immigrazione di Ebrei provenienti dalla Germania, dall’Austria e dalla Polonia, che optarono per questa meta per sfuggire alle persecuzioni Naziste, in virtù del fatto che per entrare a Shanghai non era richiesto nessun tipo di Visto. Nonostante vittime di forti discriminazioni, che li portarono a vivere in condizioni di estrema indigenza, la comunità ebraica di Shanghai fu pronta ad aiutare i nuovi arrivi, e la popolazione, in quegli anni, aumentò di oltre tre volte, passando da 36000 abitanti stranieri nel 1930 a oltre 150000 circa dieci anni dopo. L’8 dicembre 1941, nello stesso momento del bombardamento a Pearl Harbour, i Giapponesi arrestarono tutte le autorità dei paesi nemici e li richiusero all’interno degli appartamenti del Cathay Hotel, sostituendo le loro cariche con persone sotto il loro totale controllo. Nell’agosto 1943 un governo fantoccio giapponese fu insediato nella città, che venne unificata sotto il controllo di quest’ultimo. Dall’inizio del ventesimo secolo i Giapponesi avevano gli stessi poteri delle altre nazioni coloniali, ma assunto il controllo iniziarono un pro- 99 Visione aerea di Shanghai nel 1937, dove si può notare il Racerhorse, momento di socializzazione e vanto per la città CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL 1978 gramma di degrado morale della città portando al suo interno ogni genere di attività illecita, e rovinando le abitazioni per inserire al loro interno altre funzioni, come case da gioco e postriboli. Il piano del 1929 fu comunque preso in considerazione dall’amministrazione giapponese, che ne sfruttò i presupposti cercando di trasformare Shanghai nel centrale strumento della sfera di influenza giapponese in Asia. L’influsso di Nuova Delhi e di Washington fu Il secondo classificato al concorso, indetto dai Giapponesi, per la creazione di un nuovo piano, nel 1937 grandemente riconsiderato, più per motivi metafisici che funzionali, optando per un ordine più giapponese. Fu indetta una gara per creare un nuovo piano regolatore, e il risultato fu più che altro una speculazione e un trampolino per lanciare nuovi giovani urbanisti, che non un tentativo riuscito di risolvere i problemi, fattore dovuto soprattutto al tentativo, da parte del Giappone, di rivaleggiare con la magnificenza Hitleriana che vedeva in Berlino una nuova Roma. Il primo atto che venne preso in considerazione fu quello di demolire e radere al suolo tutta la parte Inglese, lasciando intatta la parte Francese. Il piano per Shnaghai creato dai Giapponesi nel 1937 100 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL L’influsso è quello delle speculazioni urbanistiche di Le Corbusier più che quello degli esempi presi in considerazione nel piano precedente: omogeneo, razionale, autoritario, prevedeva un lungo asse di sviluppo che attraversasse il fiume sino a raggiungere l’area di Pudong, creando due centri simbolici sui due lati del fiume. Il tracciato del piano prevedeva che il cuore amministrativo fosse organizzato in lotti quadrati e racchiusi da edifici, lasciando intravedere le grandi piazze interne alle corti, mentre il lato di Pudong, risanando l’esistente, composto per lo più da baracche malconce ed insalubri, avrebbe visto la collocazione un museo e una serie di edifici che mostrassero i fasti dell’Asia e, soprattutto, del Giappone. Dopo l’applicazione di severe reggi razziali, conclusesi con la concentrazione degli Ebrei in un ghetto nella parte est della città, la vittoria della guerra da parte degli alleati, tuttavia, riuscì a rovesciare i Giapponesi che, grazie al controllo sulla città da parte degli Americani, riuscirono a scappare portando con sé gran parte dei beni rubati durante la guerra. - 4.7 – L’epoca Maoista I Comunisti tentarono di prendere il potere in Cina dopo la guerra, ma grazie all’appoggio americano Chan Kai-Shek ebbe la meglio assumendo il controllo, tuttavia presto rovesciato grazie all’invasione della Manchuria da parte delle truppe comuniste, e la successiva capitolazione pacifica di Pechino nel 1949. I primi anni del dopoguerra videro tuttavia forti scontri e tensioni tra i due gruppi politici, tanto che la principale spesa dello stato era in campo bellico, il che lasciava libero solo il venti percento delle risorse per gli altri fabbisogni, cifra irrisoria ed insufficiente, tanto da far precipitare la Cina in un periodo di forte crisi economica in cui l’inflazione era ai mas- 101 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL simi livelli. In questo scenario non esisteva la possibilità di spendere soldi, e la pianificazione, di conseguenza, subì una battuta di arresto: nel 1946 fu iniziato lo sviluppo di un piano regolatore per la città che, tuttavia, fu sempre ben al di là di essere effettivo. Ispirato ai concetti dei CIAM, tenendo presente molti fattori quali la popolazione, il trasporto e il controllo delle nascite, relazionato alla definizione di funzioni integrate da un piano dei trasporti. Nella rielaborazione del piano da parte dei comunisti, la prima caratteristica che salta all’occhio è quella di una mancanza di tutte le sovrastrutture ideologiche usualmente riscontrabili nei principali centri marxisti europei. Il piano del 1953 fu sviluppato da pianificatori di scuola Inglese e tedesca (prevalentemente formatisi nel Bauhaus) capeggiato da Richard Il Master Plan del 1953 Pomlik, tedesco di origini russe, mantenendo le considerazioni dei precedenti piani, dando un forte influsso all’attraversamento del fiume in virtù dell’espansione verso Pudong. Le abitazioni furono il principale obbiettivo della municipalità, che creò un numero ingente di complessi in forme pragmatiche e basiche, alte quattro piani e relazionati alle strade. La nuova tipologia che ne risultò può, per certi versi, essere paragonata ai vecchi Lilong, sebbene la densità fosse meno accentuata. Molti pianificatori guardarono alla Scandinavia come un esempio di architettura marxista cinese: di semplici caratteristiche, a scala umana e aperta su tutti i lati; niente a Shanghai richiama l’architettura sovietica, è distante dalla monumentalità rappresentativa utilizzata in Russia. 102 1978 CAPITOLO 4 – SHANGHAI, UNA LETTURA DEL SUO PERCORSO: DALLA FONDAZIONE AL La domanda di nuove abitazioni, tuttavia, era enorme, e Shanghai, presto, si riempì di nuovi complessi residenziali che passarono dai quattro piani ai sei, bianchi e orientati nord sud. Un fattore importante per il rilancio dell’economia fu rappresentato dal tentativo di spostare il porto nell’area prevista prima delle ormai ex colonie, tentativo che ha origini forse più politiche, dovute alla volontà di creare finalmente una alternativa marxista e locale agli avamposti delle colonie, che non commerciali. Dagli anni sessanta agli anni ottante stupisce la mancanza di pianificazione, e Shanghai ebbe una forte battuta di arresto fino alla morte di Mao Tse-Tung, nel 1976, e alla seguente nomina di Deng Xiaoping alla carica di Primo Ministro, che, nel 1978, decise di rilanciare quella che definì la seconda rivoluzione, che si proponesse di costruire una forza politica ed economica cinese entro l’anno 2000. 103 1978 Capitolo 5 – La complessità e il Virtuale - 5.1 – Il Delitto perfetto Tanto angosciante quanto singolare è il fatto che uno dei sostantivi più usati per spiegare l’epoca attuale, sia quello di morte: se, infatti, il postmoderno, secondo Jencks, nasce ufficialmente il 15 luglio 1972 con l’abbattimento del complesso residenziale di Pruitt Igoe di Minoru Yamasaki (architetto decisamente sfortunato, visto che anche le Twin Towers erano una sua opera), sono morte le matanarrazioni diceva Lyotard ne La condizione postmoderna, è morta la storia faceva eco Vattimo in La fine della modernità circa dieci anni più tardi, e dieci anni dopo ancora Baudrillard si interrogava se si trattasse di delitto perfetto nel suo libro dal titolo, appunto, Il delitto perfetto. Che sia questo motivo a spingere Jameson a interpretare Lacan sostenendo che l’epoca attuale sia denotata dalla schizofrenia è difficile a dirsi, ma se i grandi omicidi nascondono il fascino del male, per dirlo con parole psichiatriche, dall’altro è pur vero che forse è opportuno lasciare il compito di trovare l’assassino a chi è più esperto di noi nell’arte poliziesca e interrogarci sulle motivazioni e sulle implicazioni di uno scenario siffatto. Una riflessione, tanto curiosa quanto insignificantemente paradigmatica: nel 1998 la rivista BA di British Airways pubblicava un articolo dal titolo Reality Vs Virtuality, in cui si leggeva che i simulatori di volo a computer, oggi, sono più efficaci di un volo reale nell’addestramento dei piloti, perché il loro grado di verosimiglianza, e la loro conseguente capacità di creare stimoli, è talmente perfetta che riescono a simulare incidenti e situazioni di emergenza (un aereo che va in stallo e precipita per esempio) che nessun pilota potrebbe verificare in nessuna delle ore di prova necessarie a prendere un brevetto. 104 CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ E IL VIRTUALE Nel 1996, ancora, la Hori-pro, una multinazionale giapponese1, comunicava al mondo che aveva dato vita al primo Aidoru, che W.Gibson, padre della fantascienza contemporanea, insegna essere un idolo virtuale, una persona che non è reale ma che interagisce con persone reali in un mondo, che è quello dei media digitali. Kyoko Date è una ragazzina di 16 anni, un idolo da teenagers come Brithney Spears, che ha realizzato una canzone, Love communications, in testa alla hit parade giapponese per svariate settimane. Kyoko, si può leggere nella sua biografia, è nata a Fussa vicino a Tokyo, i suoi genitori gestiscono un Sushi bar e adora i fiori, è un po’ miope e, nel prossimo futuro, ha in programma di condurre una trasmissione televisiva. Ma Kyoko Date ha una peculiarità: non esiste, quanto meno non esiste Kyoko Date, il cui nome per esteso è DK-96, Aidoru progettato dalla multinazionale giapponese Hori Pro nel mondo reale, è un personaggio creato dai computer della Hori-Pro per essere assolutamente e totalmente verosimile. Il suo nome in codice è DK-96, ed è stata realizzata mediante la tecnologia del Motion capture, interagisce col mondo ma non ne fa parte, o meglio è un essere che non ha fisicità, è totalmente virtuale, e il suo interesse va un po’ oltre il mondo degli adolescenti giapponesi, tanto che anche Umberto Eco ne è rimasto affascinato e ne ha curato alcuni studi2. “Il prototipo è passato dall’essere una cosa all’essere un’idea” Diceva Phil Patton attraverso un editoriale della rivista Wired, “l’hardware vive in maniera sempre crescente nel software, oggi sempre più prototipi vivono dentro i computer. Quando diventano la cosa da vedere i prototipi sono cresciuti abbastanza per adombrare i prodotti finiti. La sfida in atto oggi per i prodotti attuali è quella di vivere secondo i prototipi”3. A proposito di eventi come quelli descritti Baudrillard, filosofo francese che nel suo percorso ha analizzato appunto le problematiche del virtuale 1 A proposito di Kyoko Date qualunque informazione può essere facilmente reperita su internet, tra gli altri siti che ne parlano vedi http://www.muntaners.com/kyoko/index.html 2 A tale proposito vedi F.Guerrini, Kyoko Date sintesi di un idolo sintetico, tesina presentata all’università di Bologna nell’Anno Accademico 1997 1998 e reperibile su internet al sito http://xoomer.virgilio.it/fguerrin/frmain01.htm 3 L’editoriale è contenuto nella raccolta a cura di J.Plunkett e L.Rossetto, Mind Grenades. Manifesos From the future, Hardwired, USA 1996 105 Rivista giapponese per Teen-agers che riporta in copertina Kyoko Date CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ e come questo, interagendo col reale, ne determini un nuovo modus essendi, sostiene che questa è la storia di un delitto: l’uccisione della realtà. E dello sterminio di un’illusione: l’illusione vitale, l’illusione radicale del mondo. Il reale non scompare nell’illusione, è l’illusione che scompare nella realtà integrale. E ancora Il delitto perfetto consiste in una realizzazione incondizionata del mondo attraverso l’attualizzazione di tutti i dati, mediante la trasformazione di tutti i nostri atti e di tutti gli eventi in pura informazione. Insomma: la soluzione finale, la risoluzione anticipata del mondo tramite la clonazione della realtà e lo sterminio del reale col suo doppio4. Ma andiamo per gradi: il fenomeno di virtualizzazione, all’origine, secondo Baudrillard, dell’uccisione del reale, ha origini strutturali più profonde, ed è necessario vedere come, al di là di curiosi fenomeni di costume, esso si configuri e da quali presupposti abbia origine dato il suo peso oggi. - 5.2 – Lo scenario della postmodernità Se lo scenario del periodo attuale, l’epoca postmoderna, è quello della morte della storia, delle metanarrazioni e di quant’altro, come gli autori contemporanei tendono a concordare, è pur vero che all’origine di tutto questo sta un concetto chiave: il concetto di complessità. In ogni campo, tranne che nell’architettura, – scriveva Venturi5 Complessità e contraddizione sono state acquisite come principi; dalla prova di Gödel della definitiva incoerenza della matematica all’analisi di T.S.Eliot della poesia “difficile” e alla definizione di Josef Albers della qualità paradossale della pittura. È un fatto riconosciuto da molti autori: il postmoderno per sua stessa 4 J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà? Raffaello Cortina Editore, Milano 2000 5 R. Venturi, Complessità e contraddizioni nell’architettura, Dedalo edizioni, Bari 1980 (prima edizione 1966) 106 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ genesi è un’epoca complessa, dove tutto si fonde con tutto, dove non esiste più una oggettività che, pertanto, permette a tutti gli opposti di conciliarsi e di convivere, una società in cui si può indossare un abito italiano, un profumo francese, un orologio svizzero mangiando in un McDonald’s a Singapore. Era questo il tema chiave che portava Lyotard, in La condizione postmoderna, a decretare che, proprio per un aumento della complessità del reale, nelle società postindustriali la comunicazione e la produzione del sapere determina un ruolo fondamentale di una collettività, e una collettività non è più geograficamente circoscrivibile nell’era della comunicazione informatica. Semplificando al massimo – diceva Lyotard6 – possiamo considerare “postmoderna“ l’incredulità nei confronti delle metanarrazioni. Si tratta indubbiamente di un effetto del progressivo scientifico; il quale tuttavia presuppone a sua volta l’incredulità. Al disuso del dispositivo metanarrativo di legittimazione narrativa corrisponde in particolare la crisi della filosofia metafisica. La tesi di Lyotard si basa su una ipotesi: dalla fine degli anni cinquanta il Sapere cambia di statuto, si deve riconfigurare, e questo fatto è leggibile partendo dagli studi sulla linguistica e sulla cibernetica che più di tutte le altre discipline tentano di costruire una scienza sistematica sulla comunicazione e sui suoi sviluppi. La circolazione delle informazioni, infatti, diviene legata a nuovi media che, se da un lato ne accelerano l’accesso, dall’altro spingono gli istituti in una competitività/cooperazione che non si era mai vista in precedenza, con relativa problematica di creare un sistema di comunicazione che non generi fraintendimenti. Quindi ruolo chiave è nella legittimazione e nella comunicazione, con una prima importante presa di coscienza che i nuovi mezzi di trasmissione del sapere creano una serie di problematiche che mettono in crisi il sapere stesso alle radici. 6 J.F.Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1980 107 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ Attraverso un’analisi del processo comunicativo, a partire da un punto di vista linguistico, Lyotard afferma che nella società e nella cultura contemporanee, società postindustriale, cultura postmoderna, il problema della legittimazione del sapere si pone diversamente. La grande metanarrazione ha perso credibilità, indipendentemente dalle modalità di unificazione che le vengono attribuite: sia che si tratti di racconto speculativo, sia di racconto emancipativo. Questo declino del narrativo può essere interpretato come un effetto del decollo delle tecniche e delle tecnologie a partire dalla seconda guerra mondiale, che ha posto l’accento sui mezzi piuttosto che sui fini dell’azione. Il sapere scientifico entra in crisi proprio perché ha un’esigenza di legittimazione che finisce per delegittimare i fondamenti disciplinari della scienza stessa, come pensa anche il filosofo Karl Popper7 quando sostiene che non esiste una metodologia scientifica, sviluppando un paradosso: un enunciato scientifico è vero solo se è possibile trovare all’interno del problema un ambito in cui esso sia falsificabile. Sulla scia di queste riflessioni si schiera anche il filosofo Vattimo8, concentrando la sua dissertazione attorno all’oggettività della storia e alla sua dissoluzione contemporanea, arrivando a concludere che la storia è morta. La storia, spiega Vattimo, è nata con Guttemberg, quando, con l’invenzione della macchina da stampa, una persona poteva uscire dal ristretto ambito locale, dove le notizie e il sapere venivano comunicati da persona a persona, in un meccanismo lento e che generava spesso processi errati di mala interpretazione. Prima della stampa si era a conoscenza della propria realtà circoscritta e della realtà limitrofa, l’impero era nella capitale e comunicava poco con i paesi periferici, solo per questioni di importanza vitale, mediante araldi che, a cavallo, percorrevano in tempi lunghissimi l’impero per promulgare editti e gride. In questo modo la storia era quella del proprio luogo di residenza, che per lo più era il luogo natale, ed era difficilmente possibile uscire da 7 K.Popper, Verità e metodo, Longanesi, Milano 1990. 8 G.Vattimo, La Fine della modernità, Garzanti, Milano 1991 108 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ questa dinamica, il mondo fuori da questo schema era composto da racconti esotici di mercanti che raccontavano di luoghi e di esseri che appartenevano più ad un immaginario medievale che non alla realtà. Con la stampa e la diffusione dei testi scritti la situazione cambia radicalmente: non diviene ora solo possibile leggere e comunicare notizie di luoghi lontani e sconosciuti, ma la cosa diviene accessibile alla maggior parte della gente. L’uomo, grazie alla macchina da stampa, esce dal ristretto sistema proprio paese/paese limitrofo per entrare in un sistema più grande: quello dell’impero, rappresentato da notizie certe e oggettive. L’impero, a sua volta, acquisisce finalmente gli strumenti per costruire la sua storia ufficiale e oggettiva facendo sì che i sudditi si sentano parte di un’idea più ampia, e si identifichino con il potere sopra di loro, che, non avendo più origini divine, è ora fondato sul consenso generale e oggettivo. Grazie alla stampa infatti la storia diviene la storia stampata, e ogni suddito può essere al corrente della storia dell’impero grazie ad una sua trascrizione, e partecipare agli eventi e alla res pubblica pur vivendone ai margini territoriali; ogni persona può fare parte del sistema e conoscerlo, e il potere storico può comunicare oggettivamente i suoi saperi e i suoi accadimenti. Tuttavia la storia, secondo la tesi di Vattimo, muore quando, con una esponenziale crescita delle informazioni, la comunicazione perde questa oggettività - fenomeno che caratterizza l’epoca attuale -: infatti non è più possibile leggere una storia, unica ed oggettiva, e la realtà si divide in una infinità di storie equivalenti che sono rappresentate da un singolo aspetto del reale. Così non si può più parlare, oggi, di storia dell’impero: bisogna restringere il campo: esiste infatti una storia dell’economia dell’impero, una storia della legge dell’impero, una storia dei costumi dell’impero… Il moltiplicarsi delle storie annulla quell’oggettività tanto ricercata, che era alla base della stampa, e fa precipitare la realtà in una sorta di diamante di cui è possibile solo vederne poche facce per volta, che possono 109 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ o meno avere una coerenza con le altre, ma che rimandano ad un organismo, il diamante, che non può più essere contemplato in un solo sguardo. E’ sulla base di questi concetti che, probabilmente, si può comprendere la relazione tra il disturbo mentale della schizofrenia e l’epoca attuale, o postmoderna, cui si faceva cenno sopra. Jameson9, infatti, parte dalla descrizione di Lacan di schizofrenia come disturbo linguistico, interruzione sulla catena significante che crea una semplice frase, ed asserisce che, se la catena significante si spezza, abbiamo schizofrenia sotto forma di un mucchio di significati distinti e non collegati. Se l’identità di un soggetto si forma attraverso una certa unificazione temporale di passato e futuro con il presente davanti, e se le frasi si muovono lungo lo stesso percorso, allora l’incapacità di unificare passato e futuro nella frase denota una impossibilità di unificare il passato, il presente e il futuro della nostra esperienza biografica o psichica. Tutto questo trova riscontro nel fatto che, l’epoca postmoderna, pone l’attenzione sul significante piuttosto che sul significato, creando un immenso melting pot in cui qualunque brano del discorso può essere legato a qualunque altro senza apparente giustificazione. E questo fenomeno è la base di partenza del pensiero di un’altra linea filosofica quanto mai attuale, il Decostruttivismo, che vede il suo padre nella figura del filosofo francese Derrida10 che delinea un processo di decostruzione linguistica di un testo al fine di comprendere e trovare nuovi significati che rimangono latenti tra le righe di un autore senza essere esplicitate. 9 F.Jameson, Il Postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano 1984 10 il testo chiave della dissertazione sulla decostruzione è J.Derida, Della grammatologia, Jaca Book, Milano 1968, ma un panorama chiaro e meno criptico delle parole di questo filosofo, che analizza il dibattito filosofico sorto attraverso le sue parole, può essere trovato in J.Culler, Sulla Decostruzione, Bompiani, Milano 1988 110 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ - 5.3 – La complessità e la scienza Appare chiaro da quanto fin ora esposto che, se l’epoca postmoderna, per sua stessa ammissione, si fonda sul concetto di complessità, essa è un problema linguistico che legge, nella perdita di possibilità di trovare un fondamento oggettivo e predeterminato, l’impossibilità di costruire un sistema di pensiero condivisibile senza dubbio alcuno: tanto la storia quanto la scienza entrano in questo modo nella crisi fondativa che caratterizza la contemporaneità. E’ interessante, a questo proposito, come il problema linguistico e metodologico esposto da Popper trovi un vario campo di studi, la fisica della complessità appunto, che, lungi dal voler trattare esaustivamente in questa sede, merita comunque una menzione perché mostra le stesse problematiche filosofiche in campo scientifico e, soprattutto, in campo delle nuove geometrie di rappresentazione. Tra i vari studiosi che si occupano di questa disciplina uno, Mandelbrot, sembra essere particolarmente significativo. Matematico dell’IBM, Benoit Mandelbrot si occupa della comprensione dei sistemi complessi e inizia il suo percorso di ricerca con un articolo dal titolo How long is the Coast of Britain? Sostenendo che ogni linea di costa in realtà è infinitamente lunga, essendo legata in maniera indissolubile con lo strumento di misura che si usa per misurarla: se infatti misuriamo le coste con un righello lungo un metro e confrontiamo il risultato con un righello lungo dieci centimetri noteremo che le due misure variano, essendo la seconda più lunga della prima. Questo avviene perché le misure euclidee non riescono a cogliere l’essenza di forme irregolari, se la costa fosse una sfera perfetta avrebbe una misura esatta, ma essendo questa composta da infinite baie e sottobaie a qualunque scala si guarda la costa ha una complessità maggiore che, un filtro alla scala precedente, inevitabilmente semplifica11. 11 Per una dissertazione divulgativa di queste tematiche, che non sia troppo tecnica e, quindi, troppo per addetti ali lavori, pur conservando il rigore e la serietà di un’opera scientifica vedi J.Gleick, Caos, Sansoni editore, 1987 111 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ E IL VIRTUALE Mandelbrot allora si rifà al concetto di dimensione, sostenendo che, vivendo in un mondo tridimensionale, abbiamo bisogno di tre numeri (vettori) per definire un corpo nello spazio, anche se questo non può rendere conto della complessità del reale. Esistono tuttavia altre infinite dimensioni, dimensioni fratte o frattali, che è un modo per misurare qualità che non hanno altrimenti una dimensione chiara: il grado di rozzezza o di interruzione o di irregola- Immagine suggestiva di un frattale rità in un oggetto. La linea di costa, per esempio, nonostante la sua non misurabilità data dalla sua sinuosità, ha comunque un grado di rozzezza che Mandelbrot arriva a calcolare. Nasce da qui il suo precorso di definizione della geometria frattale, che il matematico dimostra essere presente ovunque in natura, e che è la descrizione di un fenomeno complesso attraverso figure geometriche che, lungi dall’essere apriori e archetipi come le forme della geometria euclidea, hanno una caratteristica in comune che è quella della autosomiglianza. Il processo di autosimiglianza dei frattali: ad ogni scala inferiore le dinamiche della figura sono simili 112 CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ Perso il concetto di proporzionalità un frattale è una figura che a qualunque scala la si guardi non è mai identica alla scala superiore o inferiore, ma le sue dinamiche sottendono le stesse regole. Questo esempio è particolarmente significativo per un motivo: la complessità investe la comunicazione, la storia, e di conseguenza la descrizione di un fenomeno, ma la sua importanza non si riferisce solo ad una dissertazione filosofica, abbraccia il reale nel suo complesso, in qualunque disciplina. Un ulteriore motivo di interesse è rappresentato dal fatto che le tecniche e l’informatica hanno giocato un ruolo chiave nella definizione di questo problema, gli studi di Mandelbrot infatti sono basati su una serie di intuizioni matematiche precedenti (fatte ad inizio novecento) che tuttavia non furono mai approfondite perché la mancanza di metodi di calcolo adeguati rendeva impossibile risolvere equazioni complicate e contenenti un numero di variabili enorme da calcolare simultaneamente a Feed back, quali quelle alla base di una figura frattale. Se quindi Mandelbrot affronta il problema della complessità in matematica attraverso una tecnologia informatica, una ricaduta principale di questo tipo di dissertazioni in campo linguistico è riscontrabile nel fenomeno di Internet e della comunicazione in rete. - 5.4 – Geografie complesse: il Cyberspazio Il World wide web infatti ha aumentato la velocità di scambio e il flusso numerico di informazioni che già i fenomeni mediatici (radio e televisione) avevano amplificato, con una complicazione in più rispetto ai precedenti media: l’interattività. Se la macchina da stampa permetteva di leggere la storia oggettivamente e di intervenire nel suo sviluppo mediante un processo che, comunque, era ancora lento e subordinato all’approvazione del potere centrale, già la radio prima e, la televisione poi, hanno la stessa valenza. 113 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ Questi due media presentano, infatti, una differenza sostanziale rispetto alla stampa: riducono le distanze e sovvertono le geografie. Attraverso i mezzi di comunicazione di massa è possibile vedere in tempo reale quello che succede dall’altra parte del mondo, rompono il concetto di sequenza temporale così come veniva percepito in precedenza. Non più infatti le informazioni sono subite passivamente, e l’unico governo sul flusso è quello di cambiare canale, ma è possibile interagire e comunicare in maniera biunivoca, ricevere e trasmettere segnali che, di conseguenza, crescono e mutano forma e sostanza in tempo reale, seguendo una logica oggettiva/soggettiva in continuo feed back di stimoli. Negroponte in Essere digitali12 affronta il problema definendo l’era postindustriale l’epoca dell’informazione, e asserendo che stiamo entrando in un periodo successivo che definisce della post-informazione. L’era industriale, considerata sostanzialmente come un’era di atomi, ci ha dato il concetto di produzione di massa, basata sull’uniformità e ripetitività dei processi produttivi. L’era dell’informazione, quella dei computer, ha utilizzato ancora il concetto di economia di scala, ma con minori vincoli di spazio e di tempo. La fabbricazione dei bit può avvenire dappertutto, in ogni momento; per esempio, la si può spostare dalla borsa di New York a quella di Londra o di Tokyo, come si farebbe in una fabbrica con tre macchine utensili poste una accanto all’altra. Nell’era dell’informazione, i mass media sono diventati più grandi e più piccoli allo stesso tempo. Nuove forme di comunicazione, come CNN e USA Today, hanno raggiunto un pubblico più ampio e allargato il sistema di telediffusione. Riviste di settore, vendita di videocassette e servizi via cavo erano esempi di comunicazione focalizzata, diretta ad aree ristrette di utenti. I mass media sono diventati più grandi e più piccoli allo stesso tempo. Nell’era della post-informazione, il pubblico spesso si riduce a una persona sola. Ogni cosa viene fatta su ordinazione e l’informazione 12 N.Negroponte, Essere digitali, Sperling & Kupfer, Milano 1995 114 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ è strettamente personalizzata. Le nuove tecnologie, e la tendenza occidentale del sapere, come la vede Negroponte, aumentano le velocità di scambio e, come diretta conseguenza, permettono la costruzione di una informazione personalizzata. La struttura che permette questo è la struttura della rete, il World Wide Web che struttura lo scambio con modalità particolari: la digitalizzazione del segnale. Il fatto di essere digitali – dice sempre Negroponte – consente di inviare, insieme al segnale, delle informazioni aggiuntive per correggere gli errori, come i crepitii del telefono, i sibili della radio o la “neve” del televisore. Questi inconvenienti possono essere eliminati dal segnale digitale usando pochi bit supplementari, coi quali si possono impiegare tecniche sempre più sofisticate per la correzione di errori. La trasmissione televisiva è un esempio di sistema di comunicazione in cui tutta l’intelligenza è concentrata nel punto d’origine. Chi trasmette definisce ogni cosa e chi riceve rende ciò che gli viene dato, la maggior parte dei responsabili dei media pensa che l’uso della tecnica digitale significhi un modo migliore e più efficiente di erogare quello che già esiste, tuttavia la versatilità di un segnale digitale rispetto ad un segnale analogico permette un passo in più: oltre a inviare stringhe aggiuntive per la correzione degli errori infatti, il segnale digitale ha la possibilità di essere facilmente frammentato in stringhe, di dimensioni ridotte, a cui verranno legate stringhe che, come etichette, permetteranno di ricucire il segnale nel suo complesso una volta arrivate a destinazione. I bit si possono mescolare facilmente. Si possono usare e riusare, insieme o separatamente. L’insieme di audio video e dati viene chiamato multimedia; sembra complicato ma non è altro che una mescolanza di bit. Nasce un nuovo tipo di bit – un bit che ci parla di altri bit. Questi nuovi bit hanno tipicamente la funzione delle “etichette”, usate dai giornalisti per identificare i loro appunti. Esse sono normalmente usate anche dagli 115 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ E IL VIRTUALE autori scientifici ai quali si chiede di fornire, insieme all’articolo, alcune parole chiave. Questi bit supplementari possono costituire un indice del contenuto o una decisione sintetica dei dati che seguono. Il frazionamento in stringhe di dimensione limitate assieme all’ampiezza di banda generano un nuovo panorama: se il segnale, secondo la semiologia classica13, segue una linea retta per giungere al ricevente, il segnale digitale invece, proprio perché frammentato, utilizza nel suo spostarsi qualunque frangia di banda disponibile, e due frammenti possono compiere percorsi totalmente differenti prima di arrivare a destinazione dove, grazie alle “etichette” si ricompongono nel segnale di partenza. Nel loro percorso, bit di differente natura possono condividere canali comunicativi per un certo perio- Il sistema di scambio dei flussi informativi in una rete Web do, in modo da ottimizzare la loro corsa, e mutano le logiche di scambio dell’informazione nel passaggio da analogica a digitale14. Se questo concetto, da un lato, influisce e semplifica il processo di passaggio di un segnale dalla fonte al ricevente, pone comunque due problematiche che paiono interessanti. La prima osservazione incide sui processi di comunicazione: il segnale, in un sistema con logiche siffatte, non è un complesso di bit che, ai soli fini di spedizione, viene preso alla fonte, frazionato in piccole parti, e spedito ottimizzando i flussi comunicativi utilizzando via via le frange di banda disponibili; esso si trova già frammentato alla fonte e, quando un ricettore lo richiede, i dati che riceve vengono presi nella rete secondo necessità in un complesso già frammentato a priori. 13 vedi U.Eco, La struttura assente, Bompiani, Milano, 1968 14 a questo proposito vedi V.G.Cerf, Reti, in P.Capiluppi (a cura di), Reti informatiche, Le Scienze Quaderni, n°95, aprile 1997, pagg. 7-9 116 CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ Se brandelli di informazione si trovano già in rete in luoghi differenti, e, grazie ai bit istruzione per ricostruire l’informazione nel suo complesso, vengono ricomposti, è chiaro che l’emittente non è collocabile geograficamente, non è un punto nel sistema, ma è un complesso di punti che si organizzano secondo necessità. I programmi di file sharing funzionano proprio in questo modo: nel momento in cui si compie una ricerca il sistema guarda tutti i frammenti liberi e la loro possibilità di essere inviati con minor spreco di risorse e, attraverso i pezzi di informazione facilmente disponibili organizza il segnale in modo completo e ne inizia il download. In un sistema di questo tipo qualora sopravvenisse un problema per cui una parte di bit non dovesse rendersi disponibile subito il software aggira il problema reperendo un’altra fonte con le stesse caratteristiche (la stessa stringa di informazioni). Internet funziona in questo modo per sua stessa natura, nasceva dal tentativo militare di trovare un sistema che garantisse la comunicazione in caso di attacco, senza gerarchie, che, di conseguenza, abbattuto un nodo, garantisse il flusso informativo senza lasciare, di conseguenza, spazio a luoghi più o meno strategici che, “conquistati”, garantissero un controllo sulle comunicazioni del nemico. Il sistema di comunicazione web, quindi, determina un nuovo tipo di configurazione geografica che riflette il discorso schematizzato nell’illustrazione15 a pagina seguente, dove si può intuire la ricaduta del passaggio di informazione in tre sistemi: il primo ha un centro che eroga informazioni alla periferia, il secondo crea una gerarchizzazione multicentrica, che vede la presenza di due tipi di nodi, quelli primari, connessi tra loro, e quelli secondari, connessi ai primari. Nei primi due esempi alcuni nodi sono strategici: nel primo caso conquistato il centro il flusso di informazioni è bloccato all’origine e il sistema collassa, nel secondo caso, invece, conquistato un nodo primario 15 Tra i vari autori che hanno affrontato il problema delle nuove geografie uno tra gli altri, particolarmente significativo in questa trattazione, è C.Giorda, Cybergeografie. Estensione, rappresentazione e percezione dello spazio nell’epoca dell’informazione, Tirrenia, Torino 2000 117 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ sistemi di organizzazione geografica è compromessa una parte del sistema, ma il resto continua a funzionare. Nel terzo esempio, quello decentralizzato, invece non esiste più gerarchia, tutti i nodi sono in relazione con tutti gli altri e, conquistato un nodo, il sistema vive senza di lui riconfigurandosi. Se nel primo caso tutta l’informazione è contenuta nel nodo centrale, nel secondo preso un nodo primario si parzializza l’informazione, essa è ridotta a tutte le informazioni dei nodi primari (in relazione coi propri secondari) eccettuato uno. Nel terzo caso, essendo l’informazione incollocabile geograficamente, la soppressione di un nodo garantisce accesso all’informazione completa a tutti gli altri nodi. Si riconfigurano i flussi sulla base di un accidente e muta la loro direzione, ma l’informazione, elemento fondamentale, non viene intaccata, essa vive virtualmente nella rete e finché non si abbat- 118 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ tono tutti i nodi continuerà ad essere presente per chiunque nel suo complesso. Ma al di là di un discorso prettamente tecnico un altro indizio colpisce certamente l’attenzione: si è detto che uno dei fondamenti dell’epoca attuale, la postmodernità, sia evidenziabile nel concetto di complessità. Si è visto come la complessità investa, come campo principe, la comunicazione, con conseguente crisi della storia come tradizionalmente veniva intesa, e come la comunicazione abbia subito un cambiamento radicale nell’epoca attuale passando da analogica a digitale. Ora è possibile, forse, definire il luogo, la scena del crimine, che sottende questo processo: il cyberspazio, ossia quello “spazio”, spesso definito virtuale, in cui i segnali si rincorrono e si mescolano per poi riconfigurarsi in maniera coerente arrivati a destinazione, e in questo sicuramente un ruolo chiave è giocato dal computer e dagli elementi tecnologici. La parola cyberspazio è stata coniata recentemente, da W.Gibson, che, a cavallo degli anni ottanta, ha mutato i parametri della fantascienza tradizionale inaugurando un nuovo genere nato dal precedente, La fantascienza Cyberpunk. Nel suo primo romanzo, Il neuromante16, impiega per la prima volta la parola cyberspazio identificando questa entità come l’universo delle reti digitali sopra descritto, luogo di incontri e avventure, oggetto di conflitti mondiali, nuova frontiera economica e culturale. Il cyberspazio designa meno i nuovi supporti dell’informazione che le modalità originali di creazione, di navigazione e di scambio nella conoscenza e di relazione sociale che questi rendono possibili. Il cyberspazio costituisce un campo vasto, aperto, ancora parzialmente indeterminato, che non bisogna ridurre a una sola delle sue componenti. È votato a interconnettere e mettere in interfaccia tutti i dispositivi di creazione, registrazione, comunicazione e simulazione. Il cyberspazio è un’architettura dell’interno, spiega Lévy17, un sistema 16 W.Gibson, Il neuromante, Editrice Nord, Milano 1986 119 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ incompiuto delle strumentazioni collettive di intelligenza, una volteggiante città di tutti i segni. La pianificazione del cyberspazio, ambiente di comunicazione e di pensiero dei gruppi umani, è uno dei principali traguardi etici e politici del prossimo secolo. Sono tre le caratteristiche, sempre secondo Lévy, che caratterizzano il cyberspazio: sono i messaggi di qualsiasi ordine, richiamati, imposti, allontanati, rinviati, avvicinati, messi in scena in tale o in tal’altra maniera secondo i gusti e le occasioni, a gravitare intorno ai ricettori, ormai situati al centro (inversione dell’immagine tratteggiata dei mass-media). Le distinzioni stabilite tra autori e lettori, produttori e spettatori, creatori e interpreti si confondono a favore di un continuum di lettura scrittura che va dagli ideatori di macchine e reti fino ai ricettori finali, ciascuno dei quali contribuisce ad alimentare di riflesso l’azione degli altri. La separazione tra i messaggi e le “opere”, intesi come microterritori attribuiti ad autori, tendono a cancellarsi. Ogni rappresentazione può diventare oggetto di campionamento, missaggio, riutilizzo ecc. Secondo la pragmatica emergente di creazione e comunicazione, distribuzioni nomadi di informazioni fluttuano su un immenso piano semiotico deterritorializzato. La geografia dell’impero, tema di grande importanza in un periodo “storico”, nell’attuale periodo “post-storico”, di conseguenza, cambia: non c’è più la possibilità di considerare una parte periferica ed una centrale, così come non è più possibile tracciare una mappa chiara ed aprioristica di come sia la sua configurazione spaziale, che appare in continua mutazione e riconfigurazione dei flussi che lo caratterizzano. Le distanze nel cyberspazio vengono annullate, è possibile creare comunità che non abbiano più in comune il senso di appartenenza al luogo fisico che contraddistingueva le comunità del passato, ma un differente tipo di appartenenza ad una comunità legata da giochi linguistici comuni. 17 P.Lévy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1998 120 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ La possibilità di interazione diretta, all’interno del cyberspazio, è la prima delle caratteristiche che hanno interessato gli esperti, che hanno visto nelle “piazze virtuali” tra le pieghe di internet luoghi di incontro che sovvertivano i vecchi concetti di politica e sociologia. Il termine “piazze virtuali” non è scelto a caso, poiché l’aggettivo virtuale legato ai fenomeni mediatici contemporanei è riscontrabile nella quasi totalità degli autori, e addirittura si parla di cyberspazio come di ambiente sotteso da una Realtà Virtuale. - 5.5 – Il Virtuale Ma il concetto si complica: virtuale è ciò che sottende il cyberspazio, non il cyberspazio stesso, come troppo spesso si legge in gran parte della divulgazione non scientifica, che tende semplicisticamente a considerare il virtuale come quello che c’è nel computer, un mondo reale, non fisico, come se la differenza tra organismo reale e organismo virtuale fosse riscontrabile nella contrapposizione tra carne e bit: questa era la tesi dell’articolo Reality Vs Virtuality citato all’inizio di questo discorso. E’ pur vero che le nuove tecnologie, internet banalmente, hanno un legame con il termine di virtuale, ma non sono due sinonimi, e, al fine di comprendere il momento attuale, il concetto di virtuale diviene fondamentale. Una tecnologia infatti, anche se innovativa e dirompente a livello filosofico, non può sostituire la realtà; potrà ucciderla forse, ma dalle ceneri della morta realtà rinasce qualcosa che fa un salto in avanti. Sarebbe ben strano se il computer, un elettrodomestico evoluto, bastasse per metter in crisi la filosofia occidentale e rifondarla. Se la scena del crimine è il cyberspazio, diviene fondamentale capirne le sue dinamiche, e sono proprio queste ultime che potranno aiutare a creare una nuova visione del mondo che, come abbiamo detto, è sottesa dal concetto di complessità. 121 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ Virilio, filosofo francese, ci offre una interessante interpretazione della complessità del problema mettendo in luce come i concetti di informazione, spazio, tempo e virtuale18 siano fra loro collegati. L’accelerazione della storia recente si scontra col muro del tempo reale, questo tempo mondiale o universale che soppianterà, un domani, l’insieme dei tempi locali che erano stati capaci di fare la storia. Dopo la scoperta, nel XVIII secolo, del tempo profondo, dei milioni di anni necessari alla concrezione geologica dell’astro che ci porta, oggi c’è l’invenzione di questo tempo superficiale. Al tempo-materia della dura realtà geofisica dei luoghi succede allora il tempo luce di una realtà virtuale che modifica persino la verità di ogni durata, causando così con l’incidente del Tempo l’accelerazione di ogni realtà: quella delle cose, degli esseri, dei fenomeni socio-culturali… Che dire per esempio delle “comunità virtuali” organizzate in reti intorno a internet? Vi sono già settanta milioni d’internauti sparsi per il mondo, comunità di credenti “telepresenti” gli uni rispetto agli altri grazie all’istantaneità. In sostanza l’idea di virtuale di Virilio parte dal presupposto che l’accelerazione del tempo reale, ai limiti della velocità della luce, annulla l’estensione spaziale agendo sulle dimensioni spaziali, avvicinando o allontanando i luoghi in un processo che più che geografico è cronologico: non vale la distanza fisica in quanto successione cronologica dei tempi locali, ma il tempo siffatto viene soppiantato da una contemporaneità di eventi in continua regolazione e riconfigurazione, in modo da identificare un luogo virtuale come il cyberspazio. Passato, presente e futuro, questa vecchia tripartizione della durata cede allora il suo primato all’immediatezza di una telepresenza che ha a che fare con un nuovo tipo di Rilievo… Rilievo dell’evento e non più della cosa, in cui la quarta dimensione temporale si sostituisce improvvisamente alla terza dimensione. Il fatto, continua Virilio, è che se fino a poco tempo fa la dimensione era 18 P.Virilio, La bomba informatica, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998 122 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ caratterizzata da tre vettori in uno spazio cartesiano, già dal secolo scorso si era aggiunta una variabile, quella temporale, che crea una complicazione. Un oggetto, ma questa tematica era già espressa dalle avanguardie di inizio novecento, non ha una sua manifestazione oggettiva nello spazio, in quanto il tempo e la successione di eventi ne mutano la sua natura in maniera determinante. E se, da un lato, il lavoro artistico delle avanguardie operava in tal senso, dall’altro in campo scientifico si arriva alla stessa aporia (Gödel, Bohr, Heisenberg, Freud…): tre soli vettori non bastano per descrivere il reale. Alla massa come identificazione di un essere si aggiunge il tempo, e lo sviluppo temporale di tale massa, ovvero l’energia. Per questa prima riconfigurazione materia e energia formano il nuovo assetto esplicativo del reale, ma nei tempi attuali una terza variabile si aggiunge alle prime due: l’informazione. La tesi di Virilio, quindi, vede, alla base del processo di virtualizzazione del mondo, materia energia e informazione, e spiega le problematiche che questo genera: lungi dall’opporre la prospettiva attuale della presenza ottica del quattrocento alla prospettiva virtuale della telepresenza elettroottica, la prospettiva del tempo reale delle telecomunicazioni congiunge le due, realizzando così un “effetto di campo” in cui l’attuale e il virtuale producono, insieme, un nuovo genere di rilievo analogo all’”effetto sonoro” dei suoni gravi e di quelli acuti dell’alta fedeltà. Al volume materiale e geometrico di un oggetto si lega anche quindi quello materiale ed elettronico dell’informazione, e la realtà diviene una stereorealtà, dove l’informazione agisce sul fattore dimensionale amplificandolo o riducendolo mediante la sovrapposizione istantanea dell’immagine attuale e dell’immagine virtuale. Al conflitto della distanza geometrica degli opposti della destra e della sinistra succede l’asse di simmetria stereoscopica della prospettiva del tempo reale, che rivoluziona il tempo storico e la cultura delle nazioni tramite la messa in onda di 123 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ ogni realtà presente. Come il rinascimento europeo è inimmaginabile senza l’invenzione della prospettiva dello spazio reale e senza quella del cannocchiale di Galileo, così la mondializzazione geopolitica sarà inseparabile dall’unificazione tra questa prospettiva del tempo reale e questo rilievo spaziotemporale sorto dall’irragiamento elettromagnetico delle telecomunicazioni. La grande ottica cibernetica è in grado di farci vedere il mondo intero, grazie a questa trasparenza delle apparenze istantanee trasmesse a distanza. Sicuramente più catastrofista è l’analisi di Baudrillard19: il suo punto di vista è che il virtuale dissolva qualunque binomio classico in un continuum in cui la realtà soccombe per lasciare spazio ad una realtà mediatica in cui non vi è differenza tra attore e spettatore, e tutto vive in simbiosi. La sfera della realtà – dice il filosofo – non è più scambiabile con quella del segno. Essa diventa sempre più tecnica e performante e tutto si realizza incondizionatamente ma senza più significare nulla, e i metalinguaggi della realtà si sviluppano anch’essi in ordine eccentrico, a immagine del loro oggetto. […] Qualsiasi sistema s’inventa un principio di equilibrio, di scambio e di valore, di causalità e di finalità, che gioca su opposizioni regolate: quelle del bene e del male, del vero e del falso, del segno e del suo referente, del soggetto e dell’oggetto […] è quando questa relazione bipolare non interviene più, quando il sistema cortocircuita su sé stesso che esso genera la sua massa critica e avvia una deriva esponenziale. Quando non c’è più un sistema di riferimento interno, né di equivalenza “naturale”, né di finalità con cui scambiarsi allora si entra in una fase esponenziale e nel disordine speculativo. Finora tutti i sistemi hanno fallito. I sistemi magici, metafisici, religiosi che in passato ci hanno provato sono caduti in disuso. Ma questa volta, sembra proprio che abbiamo trovato la soluzione finale, l’equivalente 19 J.Baudrillard, Lo scambio impossibile, Asterios, Trieste 2000 124 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ definitivo: La realtà virtuale in tutte le sue forme […] la messa in opera di un artefatto perfetto, virtuale e tecnologico, tale che il mondo si possa scambiare con il suo doppio artificiale. Se il mondo si è dissolto nel suo doppio qualunque tradizionale analisi è inattuabile secondo Baudrillard. Siamo oltre la crisi, che presuppone tensioni e contraddizioni, siamo arrivati a un sovvertimento totale delle regole del gioco in cui non c’è nulla di contraddittorio o irrazionale, semplicemente tutto è paradosso, e in cui le cose si sviluppano non più in modo lineare ma sono precipitate nella turbolenza di un frattale in cui la autoogrganizzazione del sistema avviene ad ogni scala con dinamiche autosomiglianti senza ripetersi mai identica alle scale precedenti. Una spiegazione meno drammatica viene data da Lévy, filosofo francese che forse più di ogni altro cerca di sistematizzare il concetto di virtuale trovandone le sue matrici filosofiche20. Una sua riflessione preliminare esporta il concetto di virtuale al di fuori del cyberspazio come lo abbiamo definito allargandone gli orizzonti: un movimento generale di virtualizzazione investe oggi non solo l’ambito dell’informazione e della comunicazione, ma anche il corpo, il sistema economico, i parametri collettivi della sensibilità e l’esercizio dell’intelligenza. La virtualizzazione si estende persino alle modalità della convivenza, alla costruzione della collettività, del “noi”. Benché la digitalizzazione dei messaggi e l’estensione del cyberspazio svolgano un ruolo fondamentale nell’evoluzione in atto, si tratta di una tendenza di fondo che travalica ampiamente l’informatizzazione. La tesi di Lévy è che, generalizzando, la filosofia occidentale, fino circa a Nietzsche e Heidegger, ha sempre portato i suoi ragionamenti sull’onda di un binomio dialettico: quello di possibile contrapposto a reale. Il possibile è il mondo delle idee, un mondo di concetti in potenza che aspettano di essere rivestiti di fisicità per compiere il passaggio e divenire reali. L’essere era a priori, esisteva come archetipo, e lo sforzo del pensiero 20 P.Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, Milano1997 125 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ era quello di compiere un’astrazione passando dal qui e ora del mondo fisico ad un mondo fatto di forme pure e vice versa. Tuttavia, come mette in luce Deleuze in Differenza e ripetizione21 il possibile è già interamente costituito ma rimane in un limbo, realizzandosi senza cambiare nulla della sua determinazione e della sua natura: è un reale latente. Se tuttavia l’essere diviene Essere nel mondo22, con conseguente dissoluzione della metafisica, a questo binomio, basato su un concetto aprioristico, se ne affianca un altro: quello composto dalla coppia Virtuale/Attuale. Il processo che lega questi due binomi è semplificato da Lévy attraverso un esempio: quello del seme e della pianta. Sapere che un seme è una pianta in potenza è un primo livello conoscitivo, ma la domanda si sposta su che pianta sarà questo seme. Mentre il concetto ontologico di seme e pianta non danno informazioni sulla reale situazione (questo seme e questa pianta) se si pensa la domanda in termine di virtuale e attuale si può fare un salto logico in più: il processo che porta questa pianta alla sua configurazione nel qui e ora è un processo che tiene conto di tutti gli accidenti che intervengono tra quel seme e quella pianta nel suo sviluppo, cristallizzandosi nel momento attuale. Se la pianta come la si guarda è attuale, il processo che l’ha portata ad assumere questa configurazione è un processo virtuale, che ad ogni stimolo specifico ha risposto in un preciso modo, che ha determinato questa pianta con tutte le differenza dalle altre piante che ne condividono il genere o il tipo. Il processo di virtualizzazione è un sistema fluido, in cui le informazioni si riconfigurano continuamente e all’infinito in una attualizzazione continua. Tutte le forze agiscono e intervengono in questo processo, così, se la terra è più o meno secca, se la pianta era isolata o sola, se il vento l’ha piegata o un uragano l’ha spezzata, sono tutte attualizzazioni di un 21 G.Deleuze, Differenza e ripetizione, Il Mulino, Bologna 1972 22 M.Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1927 126 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ processo di virtualizzazione che ha portato un essere alla configurazione che si ha di fronte in questo luogo e in questo momento. Cos’è la virtualizzazione? – si chiede Lévy – Non il virtuale come modo di essere ma la virtualizzazione come dinamica? La visrtualizzazione può essere definita come il movimento contrario all’attualizzazione. Essa consiste nel passaggio dall’attuale al virtuale, “nell’elevare a potenza” l’entità considerata. La virtualizzazione non è una derealizzazione, ma un cambiamento di identità, uno spostamento del centro di gravità ontologico dell’oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (una “soluzione”) l’entità trova ora propria consistenza essenziale in un campo problematico. Virtualizzare una qualsiasi entità consiste nello scoprire una problematica generale a cui essa si rapporta, nel far evolvere l’entità in direzione di questa domanda e nel ridefinire l’attualità di partenza come risposta a una precisa richiesta. Una grande differenza tra il reale e il virtuale è che quest’ultimo non è localizzabile con precisione, i suoi elementi non hanno una precisa posizione geografica: un singolo testo è una stringa che occupa una precisa posizione fisica, è qui, l’ipertesto invece, o testo virtuale, occupa qualunque punto della rete. Ubiquitario nel cyberspazio, l’ipertesto contribuisce a produrre qua e là degli eventi di attualizzazione testuale. Solo questi eventi sono situati in senso proprio […] Esser-ci è la traduzione letterale dal Tedesco Dasein , che significa notoriamente Esistenza nel tedesco filosofico classico ed esistenza propriamente umana in Heidegger. Ma essere svincolati da qualunque –ci, occupare uno spazio inafferrabile, prodursi solo tra le cose situate chiaramente ossia non essere soltanto nel –ci, tutto questo non impedisce di esistere. […] una comunità virtuale può organizzarsi sulla base di affinità di vario tipo attraverso l’intermediazione di sistemi di comunicazione telematica. La virtualizzazione mette a dura prova la narrazione tradizionale: all’unità di luogo si sostituisce la sincronizzazione e all’unità di tempo si sos- 127 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ tituisce l’interconnessione. Altro aspetto fondamentale della virtualizzazione è il passaggio dall’interno all’esterno e dall’esterno all’interno. Questo “effetto Moebius” si manifesta a più livelli: quello delle relazioni fra pubblico e privato, proprio e comune, oggettivo e soggettivo, carta e territorio, autore e lettore ecc. […] Solo nel reale le cose sono nettamente delimitate. La virtualizzazione, passaggio alla problematica, spostamento dell’essere sull’interrogazione, è necessariamente una rimessa in discussione dell’identità classica, pensata servendosi di definizioni, di determinazioni, di esclusioni, di inclusioni e di terzi esclusi. Per questo la virtualizzazione è sempre eterogenesi, divenire altro, processo di accoglimento dell’alterità. Lévy inoltre verifica e spiega come il concetto di virtualizzazione possa essere legato ad altri campi che non siano semplicemente quello di internet e delle nuove tecnologie. Vede, tra gli altri, come uno dei campi principalmente coinvolti, quello del corpo e della sua fisicità. Noi ci troviamo al contempo qui e altrove grazie alle tecniche di comunicazione e della telepresenza. L’iconografia mediatica rende trasparente la nostra interiorità organica. I trapianti di organi e le protesi ci mescolano agli altri e agli artefatti, oggi inventiamo centinaia di modi di ricostruirci, di rimodellarci. - 5.6 – Corpi Virtuali: il Cyborg A questo proposito è interessante vedere come questi processi e queste dinamiche servano a Donna Haraway23 a definire un organismo che sia espressione fisica delle logiche descritte: il cyborg. Un cyborg – dice la Haraway – è un organismo cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla finzione. La realtà sociale è costituita dalle relazioni 23 D.Haraway, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano1991 128 E IL VIRTUALE CAPITOLO 5 – LA COMPLESSITÀ E IL VIRTUALE sociali vissute, è la nostra principale costruzione politica. Sicuramente la fantascienza è piena di cyborg: animali e macchine insieme, creature che popolano mondi ambiguamente naturali e artefatti, ma il fenomeno investe anche il mondo di tutti i giorni: anche la medicina moderna, secondo la Haraway, è piena di cyborg, di accoppiamenti tra uomo e macchina che vivono in simbiosi tale per cui tracciare il confine dialettico tra le due parti diviene un fatto inattuabile. Un cyborg è un organismo pre-edipico, non ha niente a che spartire con la lotta tra due concetti, è una immagine condensata di fantasia e realtà I Gynoidi di Sorayama, esempio di organismu cyborg materiale, i due centri congiunti che insieme strutturano qualsiasi possibilità di trasformazione storica. Sono in atto tre cedimenti di confine che hanno determinato la nascita dei cyborg: da un lato il confine tra umano e animale, che con le nuove tecnologie è stato annullato rendendo impossibile tracciare una linea di confine, secondariamente è stata abbattuta la distinzione tra organismo e macchina che oggi sono sempre più in simbiosi l’uno dell’altra, e in terzo luogo scompare la distinzione tra fisico e non fisico. Se marxismo e psicanalisi si basano su concetti di lavoro, individuazione e formazione del genere su una trama prodotta nel dramma della sopraffazione tra donna e natura il cyborg è per sua stessa natura dedito alla parzialità. Il cyborg si preoccupa delle relazioni che uniscono le parti in un tutto, è in atto una perdita di identità intesa come contrapposizione classica tra due concetti a favore di una identità ibrida, mutante, in continua riconfigurazione. Questa identità è una identità che si attualizza in un processo di continua virtualizzazione in cui il tutto e la parte sono in relazione. La scrittura è in primo luogo la tecnologia dei cyborg, la politica dei cyborg è la lotta per il linguaggio contro la comunicazione perfetta, contro il codice unico che traduce perfettamente il linguaggio. Marylin Manson, un esempio di identità virtuale che gioca sull’ibridazione (uomo donna o alieno) 129 Capitolo 6 – L’impostazione di un racconto comparativo: New York - 6.1 – Costruzione di un racconto Se il Master Plan relativo alla città di Shanghai risulta inadeguato ad esprimere la complessità che si nasconde dietro le trame di questa metropoli, è pur vero che esiste una ragione più profonda, che investe l’intera disciplina nella sua operatività, alla base di questa difficoltà. Da un lato, infatti, appare complesso creare una città di siffatte dimensioni, intendendo per dimensioni non soltanto la sua estensione territoriale e il numero di abitanti, che già di per sé giustificherebbero una problematicità elevata nell’approccio operativo, quanto la dimensione dei flussi che la investono; dall’altro la difficoltà è strutturale, investe il sapere attuale nel suo complesso, alle radici, determinando apparentemente la sconfitta di qualunque operatività possibile, che rende le metropoli contemporanee a più di dieci milioni di abitanti un episodio caotico e disordinato in cui qualunque approccio, fin dai suoi fondamenti, pare fallimentare. Oltre infatti ad una problematica del caso specifico e delle metropoli in genere, vi è, come esposto nel capitolo precedente, una problematica del sapere che, nell’epoca postmoderna, vede definitivamente minata la propria oggettività e la propria capacità di giudizio portando autori come Virilio1 e Baudrillard2 ad un catastrofismo senza apparenti vie di uscita. Se la strada tracciata in origine da Lyotard3 sembra aprire il campo ai giochi linguistici come caratteristica saliente dell’epoca attuale, questo porta, di conseguenza, non pochi problemi nel campo operativo del fare la città, non a caso, infatti, sin dalle sue prime dissertazioni, il post- 1 P.Virilio, La bomba informatica, Raffaello Cortina Editore, Milano 1998. 2 J.Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996. 3 J.F.Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1979. 130 CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: moderno si occupa del problema della metropoli leggendo in questo organismo uno dei nodi chiave della traslitterazione operativa della sua filosofia. Jane Jacobs4, per esempio, centra il tema della sua riflessione su questo campo, descrivendo la crisi delle città americane e mettendone in luce i nodi chiave, e, allo stesso modo, Peter Blake5 descrive la sconfitta del sapere moderno nelle sue applicazioni pratiche, sebbene il suo discorso sia relativo all’architettura nel suo complesso generale: quello che aveva mosso la poetica e la pratica degli architetti del movimento moderno, sia in ambito dei singoli edifici, sia a livello urbano, è ancora legato ad un sistema culturale, quello del positivismo, che parte da un punto di vista oggettivo a priori: è convinto di poter individuare caratteristiche oggettive che determinino un indubbio concetto di qualità da perseguire. Sebbene la trattatistica americana sia troppo poco sensibile, spesso, ai mutamenti e alle sfumature europee, traendo conclusioni spesso affrettate, e sebbene sia poco incline a leggere il movimento moderno nel suo insieme identificandolo con quell’International Style promosso da Philip Jonshon alla mostra del 1929, dal titolo appunto International Style, non leggendo invece un’altra grande parte di questo movimento (l’opera di Sharoun o Mendelshon per esempio), che lavora su questioni forse più vicine alla soggettività dell’inconscio (basato su presupposti Freudiani), che non all’oggettività (presunta) del reale, il loro punto di arrivo è in gran parte condivisibile. A questo proposito D.Harvey6 spiega come l’assunzione della consapevolezza che il principio illuminista di progresso, e cioè che attraverso il cambiamento secondo regole predeterminate si possa arrivare ad una uguaglianza, una libertà e una ragione universale, venga messa in crisi dal fatto che l’idea di universale di per sé non è perseguibile. 4 J.Jacobs, Vita e morte delle grandi città americane. Saggio sulle metropoli americane, Torino 1969. 5 P.Blake, La forma segue il fiasco. Perché l’architettura moderna non ha funzionato, Alinea, Firenza 1974. 6 D. Harvey, La crisi della modernità. Alle origini dei mutamenti culturali, Il Saggiatore, Milano 1990. 131 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: Si può sostenere che, se il cambiamento della città è determinato da un modello applicato, che porta al mutamento tanto auspicato è, infatti, proprio il concetto di modello che viene messo in crisi dall’epoca postmoderna: esso infatti è un predeterminato oggettivo, aprioristico, che aspetta solo materia per divenire reale7, ma è chiaro che se, per dirla con Heidegger, l’essere collassa nel reale, non vi è possibilità alcuna che un’operazione di tale portata possa avere il risultato sperato. La costruzione di un modello, infatti, è di per sé una schematizzazione: deve per forza circoscrivere un argomento tralasciandone le sfumature e concentrandosi su un nucleo problematico, ridotto e stereotipato, che ha spesso poche attinenze con la multiformità del reale. L’astrazione di un complesso di elementi, infatti, che possano avere valore universale per essere applicati, principio chiave della metodologia scientifica di stampo Galileiano, implica la possibilità di ritrovare una oggettività che permetta al modello di essere esportato, con dovuti adeguamenti, a qualunque situazione abbia gli stessi presupposti narrativi di fondo. L’atomizzazione del sociale in una rete elastica di giochi linguistici, tuttavia, implica che ciascuno può ricorrere a una serie completamente differente di codici a seconda della situazione in cui ci si trova, e in questa situazione assume massima importanza il concetto di alterità o, come viene definita da Foucault, l’eterotropia, cioè la coesistenza in uno spazio di un gran numero di mondi frammentari o, più semplicemente, di spazi incommensurabili giustapposti e contrapposti, che è in contrasto con la costruzione di un modello aprioristico e oggettivo, aprendo il sistema a qualunque tipo di contaminazione. In questo contesto risulta molto chiaro il concetto di morte delle metanarazioni cui si accennava in precedenza: la presa di coscienza della frammentazione e della caducità come punto di partenza, porta a negare l’esistenza di una metateoria attraverso cui mettere in relazione 7 Sul concetto di possibile/reale vedi P.Lévy, Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997, pagg. 7-20. 132 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: o rappresentare tutte le cose. Lyotard pone l’attenzione sui giochi linguistici, e afferma che il legame sociale è certo linguistico, ma non composto di un’unica fibra, bensì di un numero indefinito di giochi linguistici al cui crocevia noi viviamo senza la possibilità di formare combinazioni stabili. Tutto questo ha un riflesso immediato nel campo della metropoli: anch’essa è composta di giochi linguistici ed è il prodotto di alterità che si confrontano, tanto che è impossibile darne una lettura univoca e coerente. Non è possibile in questo scenario costruire un modello predeterminato che possa unire tutte le metropoli del globo senza forzarne la lettura ad aspetti poco rispondenti di una situazione specifica: se si privilegia il modello non c’è attinenza, se non labile, con gli innumerevoli casi specifici, mentre se si privilegia un esempio non sembra esserci possibilità di costruire un discorso coerente che vada oltre il caso per caso, sia dichiarando che ogni metropoli funziona come monade a sé, sia asserendo che la città è fatta di episodi slegati ed incoerenti che non sono commensurabili. Se infatti concetti classici, come la viabilità o il sistema del verde pubblico, in una città fatta di nodi linguistici tanto differenti quanto variegati, trova una difficoltà insita nella lettura di insieme, che dovrebbe sottendere questo livello di pianificazione, su questa problematicità si innestano una serie di fenomeni “socio-culturali”, normalmente relegati in secondo piano, che non possono più essere scartati in virtù del monitoraggio della complessità senza compiere una forzatura. Già Venturi8, infatti, mostrava come una città fatta di luci, insegne, cartelloni pubblicitari, fosse un fenomeno epocale di passaggio, e come anche fenomeni effimeri contribuissero, con il loro valore iconico e simbolico, a creare una realtà urbana variegata e interessante anche se non aulica e dotta. In Imparando da Las Vegas questa dichiarazione è menzionata in prin8 R.Venturi, Imparando da Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma architettonica, Cluva, Venezia 1972. 133 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: cipio: il problema, scrive Venturi già nell’introduzione, che questo trattato vuole affrontare è quello della simbolicità, e come essa sia un evento chiave nell’architettura contemporanea in quanto caratteristica predominante nella creazione di Senso, tema che ha interessato fortemente il dibattito postmoderno sull’architettura tanto che Portoghesi, curatore della biennale di Venezia del 1980, ha riproposto lo stesso concetto di fondo nella Strada Novissima. Proprio alla luce di questi ragionamenti sembrerebbe opportuno leggere il Master Plan della metropoli di Shanghai, cercando di capire quei fenomeni sociali e quotidiani che possono aiutare a fare chiarezza del suo intricato sistema fisico completando una lettura e, forse, favorendo una riflessione su alcuni dei punti che, ad una prima analisi, sembrano tanto incomprensibili quanto aleatori. Per meglio comprendere un organismo di tale entità, infatti, nel complesso di giochi linguistici che sottendono il suo sviluppo, sarebbe interessante, ai fini di questa trattazione, vedere se le sue dinamiche di sviluppo possano rispecchiare, a livello concettuale e filosofico, uno scenario intelligibile che possa essere di ausilio a comprendere come operare sia su questa realtà, sia sulle equivalenti realtà esistenti oggigiorno. Sulla base di quanto esposto sino ad ora, tuttavia, è indispensabile una premessa: costruire un discorso oggettivo su tali fenomeni è impossibile, a rischio di ricadere in una logica metanarrativa la cui fallacità è il nodo chiave del problema; potrebbe essere di aiuto, comunque, costruire un racconto della città di Shanghai che possa svelarne le filosofie che la sottendono, tentando di superare il cerchio ermeneutico attraverso una delle infinite narrazioni possibili. Attraverso la faccia del diamante che si è scelto di analizzare, equivalente forse alle infinite altre, come sembrano concordare vari autori (Vattimo e Gadamer per citare solo due esempi), è possibile leggere una parte dei nodi linguistici sottesi arrivando, per analogia e autosomiglianza, a capire le logiche che governano il frattale. Se, tuttavia, il fulcro chiave dell’epoca postmoderna è, secondo Lyotard, 134 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: una lettura del sistema di nessi linguistici che sottendono una realtà attraverso una dialettica che giunga al consenso, non è possibile tentare un approccio solo alla realtà in esame senza correre il rischio di essere fuorviati da eventi che, letti nel quadro specifico cui si fa riferimento, portano ad una conclusione, mentre inseriti in un discorso più ampio vengono ridimensionati o acquistano altre valenze. Il concetto stesso di dialettica infatti implica un confronto che fornisca una lettura in parallelo di due realtà per giungere ad una conclusione che, se anche sancisca una differenza di fondo, possa far progredire il sapere attraverso una sintesi di due premesse commensurabili. L’intento è quello di costruire uno scenario che abbia risvolti applicativi, e di per sé il concetto stesso di scenario implica una ipotesi di fondo che può risultare smentita o verificata, che tuttavia crea un ambiente all’interno del quale sia possibile ipotizzare dei momenti applicativi che possano, a feed-back, fare mutare lo scenario o gli scenari stessi. Ma ancora: se il problema è il consenso non composto di un’unica fibra, bensì di un numero indefinito di giochi linguistici al cui crocevia noi viviamo senza la possibilità di formare combinazioni linguistiche stabili9 quello che sembrerebbe un buon punto di partenza è costruire un’analisi comparativa che possa, attraverso il confronto, metterne in luce le relative differenze e similitudini. A questo scopo ben si presta un esempio, la metropoli di New York, per due motivazioni: primo fra tutto il fatto che, come spiega molto bene Rem Koolhaas10, le dinamiche che hanno reso questa città una delle più imitate e osannate del mondo dagli anni ottanta ad oggi, sebbene affondino le proprie radici in un processo lungo e complesso, trovano un apice proprio in quella cultura postmoderna cui si fa riferimento raggiungendo, negli anni ottanta, il massimo esempio di metropoli complessa in grado di creare un senso di appartenenza e di identificazione in cui il fattore determinante è svolto, più che da concetti di pianificazione 9 Lyotard, La condizione postmoderna 10 R.Koolhaas, Delirious New York, . A Retroactive Manifesto for Manhattan, Oxford University Press, New York 1978. 135 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: rigorosi, da fenomeni che dimostrano quanto questo sistema abbia ben imparato da Las Vegas. Secondariamente la città di New York è interessante perché è presa come punto di paragone, come esempio verso cui tendere, dalla gran parte delle metropoli asiatiche che si sono sviluppate vertiginosamente negli ultimi anni, dichiarando nella maggioranza dei casi la loro volontà di tendere a questo esempio nel loro sviluppo sia concettuale che fisico, e, nello specifico del nostro caso, è dichiarata come punto di vista principale da Deng Xiaoping quando, nel 1978, ha delineato le strategie di rinascita dell’intera Cina. L’appellativo New York d’Asia viene esibito con orgoglio da tutte le municipalità che tentano uno sviluppo vorticoso delle città asiatiche tanto che Seoul, Kuala Lumpur, Singapore, Taipei e non ultima la stessa Shanghai, nelle pubblicazioni e dissertazioni che le riguardano, vedono in New York un esempio paradigmatico11. Diventa interessante quindi vedere come questa realtà venga relazionata alla metropoli asiatica in esame e come questo raffronto possa avere risvolti operativi, poiché forse un’analisi siffatta potrebbe fare chiarezza su alcuni di quei punti sui quali il Master Plan di Shanghai appare debole e non in grado di rendere quella complessità di fondo che sottende questo insediamento. Inoltre attraverso questo confronto, e attraverso la similitudine o la differenza tra le strategie e le logiche che sottendono i sue esempi, è possibile leggere quanto, in un clima postmoderno di base, il pensiero contemporaneo relativo alla complessità e alla virtualizzazione del reale delinei delle linee strategiche che sottendono questi fenomeni urbani. 11 Uno dei numerosi colloqui con esponenti della municipalità e del mondo accademico avuti nel periodo trascorso immerso nella realtà Shanghinese è stato particolarmente significatovo in tal senso: quello con il Dottor He Cheng, Comprehensive Information Division Director presso il Shanghai City Development Research & Information Center, il quale spiegava che, nel prossimo anno, il suo lavoro (che a giugno 2003 era a livello preliminare) sarebbe stato proprio quello di creare un confronto tra New York e Shanghai per definire una serie di esempi da cui trarre ispirazione nello sviluppo futuro della città di Shanghai. 136 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: - 6.2 – Preliminari per un racconto: Delirious New York La prima similarità presentata tra la città di New York e quella di Shanghai è la loro simile estensione territoriale e il numero degli abitanti: New York ha una estensione di circa 6200 Kmq per un numero di abitanti pari a circa 8 milioni nella municipalità, e di circa 20 milioni nell’agglomerato urbano12, riunisce quattro distretti New York, Brooklyn, Bronx e Manhattan mentre un quinto, Staten Island, si è recentemente staccato dal controllo municipale, pur rimanendone sotto diretta influenza. Il cuore politico amministrativo è rappresentato dall’isola di Manhattan, che è anche la parte a maggior riferimento iconico dell’intera città, filmata cantata e rappresentata in infinite opere che hanno reso questo luogo uno dei più importanti del mondo dal punto di vista identitario. Poiché l’interesse di questa metropoli è, come abbiamo detto in precedenza, quello di costruire una delle possibili storie al fine di tracciare un ipotetico scenario della città attuale, non interessa creare un discorso esaustivo sulle vicissitudini storiche che si sono susseguite per formare la metropoli di New York come oggi la vediamo, tuttavia pare opportuno accennare a qualche evento determinante, relativamente al suo sviluppo, che permetta di fare chiarezza sul contesto13. Descritta per la prima volta da Giovanni da Verrazzano nel 1524, venne acquisita da Henry Hudson, per conto della Compagnia delle Indie Occidentali, nel 1609, da un gruppo di abitanti locali divenendo un avamposto coloniale solo nel 1624, data in cui gli Olandesi istituirono il primo insediamento con il nome di Nieuw Amsterdam. Il tentativo di una prima ipotesi di pianificazione con l’edificazione di un forte nella parte sud della città, un canale che attraversa la parte urbanizzata e una serie di abitazioni per i contadini e i loro orti, a fronte di 12 I dati statistici sono aggiornati al 2002 e provengono dalle pubblicazioni ufficiali dei singoli paesi. 13 Una breve storia di Manhattan è ritrovabile in R.Koolhaas, Delirious New York, . A Retroactive Manifesto for Manhattan, pag 17. e seguenti. 137 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK un disegno rigoroso e assennato creato a tavolino in Europa, sarà tuttavia ben diverso nella pratica. Le asperità del suolo fanno sì, infatti, che la città si realizzi in maniera disordinata e casuale, mentre, unica parte in cui l’ordine olandese permane a ricordare Amsterdam, era costituita dai due lati del canale dove venivano edificate abitazioni con tetto a doppia falda tipicamente olandesi. Nel 1664 la città passò in mano agli Inglesi che ne cambiarono il nome in New York e ne iniziarono lo sviluppo urbano. Le prime mappe della città di New York che possono essere osservate, riportano una si- L’ordinato disegno della città di new York, non differente dalle altre città coloniali (1646) tuazione non dissimile da quella di qualunque altro avamposto mondo, che coloniale riflette più esistente una al mentalità improntata al commercio mercantile che non all’intenzione di creare un insediamento urbano articolato e che funzioni secondo logiche studiate e applicate ai centri europei. L’aumento vertiginoso della popolazione, e la crescita di importanza della città come avamposto coloniale, aumentò però tanto rapidamente che ben presto l’originario muro difen- L’ordinato disegno della città di new York, ben differente da quanto poteva presentarsi nella realtà (1776) sivo venne abbattuto e, nell’ottocento, si cominciò a pensare ad un possibile sviluppo urbano che investisse tutta l’isola di Manhattan, per far fronte alle esigenze che la città stava sviluppando. Nel 1807 Simenon DeWitt, Governour Morris e John Rutherford ricevettero l’incarico di redigere una proposta per regolare l’occupazione definitiva di Manhattan e, quattro anni più tardi essi proposero, oltre la vec- 138 CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK chia linea del muro di divisione tra colonia e campagna, una divisione effettuata mediante 12 avenue e 155 street che creano 2028 isolati di uguale dimensione: La griglia di Manhattan. Questa scelta si dimostra di grandissimo interesse per due motivi: da un lato la pianificazione che viene fatta condizionerà la città nel suo sviluppo futuro fino ai giorni nostri, secondariamente la scelta è quella di creare una griglia di strade orizzontali e verticali parallele, atte a La griglia concepita nel 1811, che, da allora, condizionerà qualunque sviluppo della città regolarizzare i lotti di terreno in virtù del minor spreco possibile di spazio e, di conseguenza, di una ottimizzazione massima degli sforzi edilizi sia in termini economici che in termini costruttivi. L’argomentazione contenuta nel rapporto della Commissione spiega, infatti, la strategia perseguita: Fra le prime questioni che richiamarono la loro attenzione vi furono la forma e il modo in cui l’operazione dovesse essere condotta; ovvero se si dovessero limitare a un impianto di strade rettilinee, o se dovessero adottare presunti miglioramenti, quali cerchi ovali o stelle, che certo abbelliscono una pianta, indipendentemente dalla loro convenienza e utilità. Nel considerare questo problema, non poterono fare a meno di tenere presente che una città è composta principalmente dalle abitazioni degli uomini, e che le case con facciate lisce ed angoli retti sono le più economiche da costruire e le più comode da vivere. Come la maggior parte delle città americane per New York viene scelto di utilizzare questa matrice identica ed espansibile potenzialmente all’infinito, contenuta solo dal fatto che, essendo Manhattan un’isola, i due fiumi ne determinano una barriera fisica insormontabile; il fatto che vengono creati isolati di egual dimensione, tuttavia, invalida in un solo momento qualsiasi sistema di articolazione e differenziazione che abbia guidato la pianificazioni delle città storiche tradizionali. New York all’inizio del novecento si presentava come un terreno non del tutto edificato, marcato rigidamente da strade perpendicolari e parallele 139 CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: che potessero ospitare gli insediamenti futuri in maniera ottimale, lasciando grandi spazi vuoti ove allocare complessi figli di logiche speculative in cui, trovato un numero adatto di investitori, si poteva dar luogo alla costruzione di grandi complessi: partendo da questo primo evento la griglia - la città determina che ogni insediamento debba crescere in maniera totalmente autonoma, dagli altri: La città diventa un mosaico di episodi, ciascuno con la propria specifica durata, contrapposti l’uno all’altro attraverso il medium della griglia14. Questo fattore costituisce un primo punto molto interessante: dall’ottocento agli inizi del novecento infatti in Europa gran parte degli stati si interrogava su come governare lo sviluppo urbano. Eventi storici quali lo sviluppo tecnologico in campo bellico, rendevano obsolete le barriere difensive, le cinte murarie, che avevano contornato gli insediamenti fino a quel periodo, e, accanto al problema dello smantellamento delle mura esistenti e ad un incremento demografico coniugato alla migrazione continua verso i grossi agglomerati, le nascenti metropoli cercavano di darsi un modello di sviluppo. Parigi, come Barcellona, Vienna, Londra e le altre capitali europee lavorarono per cercare di normare la loro crescita tanto che proprio nella seconda metà dell’ottocento si tentò una codificazione dell’urbanistica come disciplina. Il Barone Haussmann, Prefetto della Senna, uno dei pionieri che lavorarono in tal senso, creò una nuova immagine per la città di Parigi, una immagine moderna e al passo con i tempi che rispecchiasse la grandeur parigina e ne risolvesse le problematiche con un approccio illuministico. Il concetto di fondo dietro a questa teorizzazione, così come per le altre città europee, era quello che esistesse una città modello, che poteva essere letta, esemplificata e schematizzata, e che, evidenziati i problemi della città reale potesse, attraverso un’operazione rigorosa, raggiungere una perfetta approssimazione alla città ideale. Il modello della città di Parigi era ben chiaro al Barone Haussmann, era 14 R.Koolhaas, Delirious New York. A Retroactive Manifesto for Manhattan. 140 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK una città fatta di gente per le strade, di luci e colori, di storia e tradizione che poteva essere tradotta nel reale quasi comportandosi da Demiurgo: evidenziate le variabili del sistema era possibile, mediante una equazione ben specifica, risolvere le problematiche riscontrate nel migliore dei modi possibili. Questa operazione, nel pieno rispetto della metodologia scientifica galileiana, partiva da una osservazione, creava un Pianta di Parigi con, desgnati, gli interventi del Barone Haussmann esperimento che investisse la città e lo verificava mettendolo in pratica, e questa operazione investiva tutti i livelli di pianificazione, da quello “macrourbanistico” che operava nella città nel suo insieme, fino ad occuparsi dei minimi dettagli, arrivando addirittura a stabilire la sezione tipo delle abitazioni parigine. Accanto a vie e piazze, poi, gran interesse era rappresentato da quegli spazi rappresentativi che New York, per sua stessa ammissione, aveva scarto a priori, tanto che anche la progettazione, in questa metropoli, di un “polmone verde”, resa necessaria dall’aumento vertiginoso della popolazione urbana che iniziò a far temere che la griglia venisse ben presto completamente riempita, venne effettuata tagliando lo spazio degli isolati per creare un “buco”, nel cuore dell’isola, totalmente artificiale: le dinamiche progettuali di Central Park sono simili a quelle della progettazione dei lotti, il parco è un episodio a sé, un rettangolo che vive giustapponendosi al fronte del costruito senza dialogare con esso, se non nel contrasto tra una cortina edificata e uno spazio verde di fronte. Se Haussmann a Parigi, per rendere qualità urbana alla metropoli, arrivava a definire le sezioni tipo degli edifici, i fronti delle vie, gli impianti delle piazze e delle strade, nulla di tutto questo veniva fatto a New York, che già da subito suppliva alla mancanza di pianificazione con la propensione per lo scenografico e il fantastico, come se la mancanza 141 Parigi Haussmanniana: Intervento di sventramento per creare un migliore disegno urbano CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK di una qualità urbana di fondo potesse essere risolta da uno spazio che aveva dinamiche teatrali e di messa in scena, come mette in luce Rem Koolhaas in Delirious New York. Accanto ad un concetto abbastanza banale di divisione del territorio un altro evento ha determinato l’esordio dello sviluppo di New York come metropoli globale: lo sviluppo in altezza, che ha come concause una definizione più approfondita delle Scienze delle costruzioni e l’invenzione dell’ascensore presentato da Elisha Otis alla Esposizione di New York del 1853, che garantiva la possibilità di raggiungere livelli elevati mediante una piattaforma mobile in verticale che garantisse, attraverso un sistema di elementi frenanti, in caso di incidente (ovvero se i cavi si fossero spezzati, di non precipitare nel vuoto). Già la scuola di Chicago aveva sviluppato il tema dello sviluppo in altezza, creando una nuova tipologia di edifici che avessero un numero di piani impensabili fino a pochi anni prima, atti a collocare le attività di ufficio e direzionali che vedevano impiegate un sempre maggior numero di persone. A New York questa tipologia fu assunta e sviluppata anche grazie alle grandi estensioni dei lotti nelle maglie della griglia, che permettevano interventi in tal senso, coniugando l’altezza e la maglia regolare con la sua poetica. Mediando tra queste invenzioni tecnologiche, all’inizio del 1900, New York trovò il suo elemento distintivo nel grattacielo e nella crescita in altezza: se la pianificazione basata sui lotti era banale ma funzionale, e non teneva conto di tutti quegli episodi che in Europa venivano considerati alla base dello sviluppo di una città che funzionasse, il grattacielo offriva la possibilità di uscire da questa povertà: ogni lotto, potenzialmente, può essere estruso in altezza all’infinito. Ma ancora, è fondamentale nello sviluppo della città di New York l’introduzione dell’energia elettrica, la cui attuazione all’interno della metropoli americana risale circa al 1890, determinando un ulteriore elemento fondamentale per la poetica di New York che si svilupperà negli anni a venire: il fenomeno della teatralizzazione, che, a partire dai primi parchi 142 Parigi Haussmanniana: la sezione tipo di una abitazione CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK per divertimento (il Luna Park a Coney Island), creati per la prima volta in questa metropoli, investirà poi tutta la città divenendone un elemento chiave. E’ l’episodio dell’Equitable Building, che con la sua ombra oscurava la zona circostante creando un forte deterioramento sia finanziario sia ambientale al contesto circostante, a far comprendere, tuttavia, che uno sviluppo in altezza doveva conciliarsi con necessità igieniche e di accesso alla luce e alla ventilazione naturale. La risposta è la Zoning Law del 1916, che definisce per ogni isolato di Manhattan un involucro immaginario che traccia il massimo volume costruibile consentito creando così un altro livello di pianificazione: quello della griglia in altezza. I grattacieli, tuttavia, devono avere una linea tale da permettere, mediante arretramenti man mano che si sale, che un minimo di luce e di aria sia garantita a tutti i piani, tanto che i primi grattacieli vedono nascere una polemica sull’impossibilità di costruire edifici alti che non fossero una pedissequa traduzione di tali arretramenti, differenziati solo nella parte più alta. Come si può vedere si è di fronte, per qualunque situazione, a una crescita urbana legata a un evento speculativo e di mercato: la rappresentatività, il divertimento, lo stupore e il senso di teatralizzazione sono la risposta americana alle stelle, agli ovali e ai cerchi che fanno bella una città, descritti nel 1807 dalla commissione che decretò la griglia, che si costruisce in funzione di questi e in funzione delle logiche commerciali che soggiacciono ad una raccolta di capitali immensi allo scopo di realizzare tutto questo. La New York degli anni ottanta, il “centro del mondo” che Frank Sinatra descrive nelle sue canzoni o che Woody Allen ritrae nei suoi film, ha il suo fondamento su questa base concettuale: l’e- 143 La griglia newyorkese,ormai consolidata (1920 sopra e 1916 sotto) permette lo sviluppo in altezza CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: sordio è uno dei più speculativi e poveri che possano essere concepiti, ben lontano dagli studi europei sulle città e sulla loro identità; ma se è vero che New York è figlia di speculazioni e spettacolarizzazioni è anche vero che negli anni ottanta è uno dei posti più affascinanti e identificativi che esistano al mondo. Su questa base è interessante leggere alcune delle dinamiche che, generate da questo background, hanno determinato il suo apice identitario e la sua configurazione urbana. - 6.3 – New York raccontata Se, come si è visto, il sistema di pianificazione newyorkese è basato su una schematizzazione semplice e banale, nata più da esigenze speculative legate al valore dei suoli e alla possibilità di edificazione veloce ed economica al contempo, che non da un desiderio reale di creare identità, quello che tuttavia appare incomprensibile ad un primo sguardo è come sia possibile che una tale partenza abbia potuto determinare il successo di questa metropoli, che, negli anni ottanta arriva all’apice della costruzione di una sua iconicità, diventato uno dei luoghi simbolo e uno degli esempi più discussi e imitati oggigiorno. Si può, forse, comprendere la capacità di New York di creare, per se stessa, un forte concetto di identità parafrasando il DSM IV15, l’organo mondiale che censisce e descrive le patologie psichiatriche: identità è Il fattore identificativo socio politico culturale in grado di creare una differenziazione in un ambiente massificato. New York negli anni ottanta è il posto del mondo dove maggiormente l’espressione personale di differenziazione culturale trova un ambiente che si costruisce sul dialogo delle differenze, dove cioè l’identità del singolo si unisce senza dissolversi all’identità del complesso e ne garantisce la sua riuscita, una città, altresì, dove l’alterità e il novero dei giochi linguistici al suo inter- 15 Aa. Vv. American Psychiatric Association (a cura di), DSM IV, Masson. Milano 1994. 144 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: no sono massimamente diversificati. Se da un lato i newyorkesi sono fieri di essere tali, dall’altro la città vive di queste differenze e le fonde secondo il fenomeno di messa in scena ben descritto da Rem Koolhaas come il fondamento del suo essere metropoli: vi è una simbiosi massima tra la città e i suoi abitanti in quanto ogni singolo evento costituisce la ricchezza dell’alterità di quel luogo, arricchendone proprio quel processo di scambio descritto sopra a proposito della complessità postmoderna. La definizione Delirious New York, titolo che Rem Koolhaas ha voluto dare ad un libro che cercasse di investigare questa città, non può descrivere meglio la sua realtà: se schizofrenia, ricordando Lacan, è caratterizzata dal crollo dei legami linguistici il delirio di New York ha la sua origine in questo evento. Non può essere costruito un discorso oggettivo ed univoco su questa metropoli, è il risultato della convivenza della molteplicità, il perfetto connubio tra locale e globale in cui chiunque è newyorkese anche se le sue origini e la sua storia vengono da altrove, e New York è chiunque nella sua declinazione specifica, l’identità del singolo e dell’insieme convivono in reciproca interazione e costruzione coerente. Uno dei fattori chiave di questa caratteristica è rispecchiato e mostrato da una differente concezione geografica di riferimento che sottende la metropoli americana: la città storica europea è monocentrica, o al più bicentrica quando il potere temporale e quello religioso hanno un peso forte nello sviluppo, New York, dall’inizio del secolo scorso, complice anche un forte fenomeno di immigrazione che la investe alla fine dell’ottocento e ai primi anni del novecento, come si può vedere al museo dell’immigrazione ad Ellis Island, muta questa caratteristica e si costruisce come un organismo multicentrico in cui ogni nazionalità ha una sua area geografica di appartenenza. Prima ancora che sviluppare altre caratteristiche che definissero l’identità dei suoi centri New York ha costruito una serie infinita di città nella città per accogliere i suoi cittadini, i nuovi newyorkesi che giungevano 145 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK nelle sue terre. Paris C’est la France dicevano i Francesi all’inizio del novecento, intendendo che il modello della Francia era rappresentato da Parigi e che tutto tendeva verso quel centro, ma, si potrebbe aggiungere, la Francia non è Parigi, ha dinamiche differenti che vivono all’ombra della sua capitale, vive succube della sua forza di richiamo, politica e culturale ma è periferica rispetto alla capitale francese. New York è i newyorkesi così come i newyorkesi sono New York, nessuno adombra nessuno in questo sistema e lo scambio identitario è reciproco. Ancora, New York non è gli stati uniti, se ne distacca formando un unicum a cui si può partecipare solo essendo protagonisti o non facendone parte: al pari di Manhattan New York è un’isola, assolutamente autoincentrata nelle sue dinamiche identitarie. New York si riflette nella sua alterità, così si configura come un sistema non gerarchico di centri distintivi: Manhattan è divisa in zone che raggruppano persone e situazioni dalle medesime caratteristiche, e ogni zona ha una sua identità ben precisa che ne permette una immediata distinzione all’interno del sistema pur collaborando all’unità del sistema stesso in simbiosi reciproca. Chinatown, Little Italy, Harlem, Upper West Side sono facilmente perimetrabili all’interno della città, è facile camminando per New York percepire il passaggio dall’una all’altra zona semplicemente attraversando una strada, e in qualunque posto di New York ci si trovi si può com- L’attuale Master Plan di New York con segnati i vari subcentri 146 CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK prendere, attraverso innumerevoli fattori, che zona sia: e questa specificità è normata nel master Plan della città di New York che denomina e divide le varie zone in maniera netta e precisa16. Ogni zona ha le sue peculiarità, che si riflettono nell’architettura e nel sistema sociale in maniera differenziata: il rapporto degli spazi a Manhattan è costituito in modo tale che, piuttosto che una relazione tra centro e periferia vi è una gerarchizzazione tra vari centri e relativi subcentri, in relazione con sistemi autosomiglianti, che si sviluppano in un numero limitato di blocchi divisi dalle strade ortogonali che fanno da filtro tra un centro e l’altro. Le stesse dinamiche si riscontrano anche fuori da Manhattan negli altri distretti newyorkesi, che creano altrettante entità autonome in relazione non gerarchica le une con le altre, dove, per esempio, è possibile passare da Willoghby Avenue a Brooklyn, strada abitata da una comunità ebraica rigorosa ed osservante in cui tutte le persone che si incontrano hanno le medesime caratteristiche, alla zona accanto, abitata da gruppi di ispanici che esprimono la loro specificità all’interno del sistema in maniera completamente differente, e la linea di confine è rappresentata da una strada che, da un marciapiede all’altro, muta radicalmente ogni aspetto. Questa separazione netta è resa possibile dalla struttura di New York: in questo complesso di subsistemi multicentrici uno dei punti cardine è dettato infatti dalla griglia e dal sistema dei flussi di trasporto pedonale, veicolare e pubblico che ne consegue, nella misura in cui non c’è possibilità di confusione tra l’inizio di un centro e l’altro. Il tessuto viario della città di New York, proprio per la sua scansione in isolati regolari che si presentano come eventi autonomi, permette anche un salto molto netto tra un lotto e l’altro, la strada è una barriera fisica enorme, una sorta di terra di nessuno che divide due luoghi a matrice totalmente differente senza contaminarsi con alcuno dei due luoghi, 16 Master Plan di New York 147 New York, 3 subcentri:Upper West Side, Chinatown e il Greenwich Village CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK Altri due sistemi autonomi di subcentro, dove l’identità e l’appartenenza sono riscontrabili immediatamente. Central Park e Little Italy quasi si trattasse di un vero e proprio confine geografico e politico: i manager di Wall Street sono come turisti stranieri ad Harlem e viceversa, ogni zona ha il suo sistema sociale e i newyorkesi sono attenti e fieri di questo fenomeno tanto da costruire racconti specifici e narrazioni particolari delle loro singole zone: il recente Musical presentato all’Apollo Theater ad Harlem racconta la storia di un quartiere e delle sue dinamiche all’interno della città, così come il Chinese who’s who, redatto a Chinatown, considera le persone importanti della comu- Il sistema a griglia alla base della gererchia spaziale newyorkese nità di Mott Street e dintorni senza uscire dai limiti geografici di Chinatown. Se le strade - la griglia - determinano un punto importante per la struttura che sottende il multicentrismo della città di New York, non sono certo l’unica parte strutturale della città, che si configura in maniera più complessa, come spiega lo studio Urban Design Manhattan17 evidenziando questo fenomeno nel dettaglio. Questo studio individua tre differenti Layer di flussi di movimento, che cooperano per creare un sistema organico di orientamento spaziale, e che costituiscono quello che si può definire lo scheletro della metropoli. Alla base è sempre matrice regolare del sistema street-avenue, che 17 Regional Plan Association a cura di, Urban Design Manhattan, Studio Vista, London 1969. 148 CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK rimane sostanzialmente quella concepita nel 1811, cioè un sistema orizzontale e verticale che procede idealmente all’infinito in maniera identica, finché la realtà fisica dell’isola, le sue coste, non ne fermano il percorso per ripetersi con dinamiche analoghe fuori dall’isola di Manhattan. Il sistema è rigidamente predeterminato, e fornisce un primo livello di organizzazione spaziale del sistema multicentrico, che permette l’orientamento dei flussi di movimento delle persone: espressioni quali one block down e Downtown, nella città di New York, hanno un significato letterale, significano proprio un blocco in basso e la parte inferiore di Manhattan, prima di traslitterarsi nel significato, esportato altrove, di un isolato più in là o nel centro storico. Percorrere l’isola di Manhattan, infatti, permette di con- Il secondo layer di flussi previsto dallo studio Urban Design Manhattan cepire la scansione dello spazio a blocchi: il movimento si articola su piani orizzontali e verticali, le matrici di due vettori distinti che determinano lo spostamento spaziale di un punto nello spazio bidimensionale garantendo capillarità nei flussi di traffico secondo una logica cartesiana di distribuzione geografica. A questo primo Layer se ne sovrappone un altro, che garantisce un secondo livello di flussi di movimento rapido, rappresentato dalla metropolitana e dai movimenti spaziali nel sottosuolo, e che presenta dinamiche uguali alla maglia rigidamente ortogonale del sistema street-avenue in superficie: la capillarità, e il numero consistente di linee di metropolitana che percorrono il sottosuolo di New York, permette un secondo livello di movimento spaziale, più rapido del primo, che sostituisce alla capillarità delle strade la possibilità di coniu- 149 Interazione dei due sistemi: il sistema street-avenue e il sistema rapido CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK gare punti sulla griglia a grande distanza. Il secondo livello si integra nel primo in maniera tale che tutti i punti o incroci della struttura possano essere raggiunti in tempi rapidi, e, una volta arrivati ad un nodo, cambiando di Layer e uscendo a livello della strada, è possibile raggiungere qualunque incrocio subordinato al nodo di movimento veloce del secondo Layer. Se, infatti, nel caso del sistema street-avenue, il movimento in diagonale è garantito da percorsi orizzontali/verticali continui, i nodi rappresentati dalle fermate della metropolitana garantiscono al vettore in movimento di spostarsi velocemente da un incrocio ad un Il terzo livello di flussi di movimento che caratterizzano il sistema newyorkese:i movimenti verticali e il mezzanine level altro, situato a vari blocchi di distanza. Il numero di nodi di interscambio tra le linee, inoltre, permette di ricalcare lo spostamento spaziale vettoriale anche nella circolazione veloce cosicché, per arrivare velocemente da uptown a downtown il movimento è sempre a scacchiera: tre fermate in una linea e due in un’altra così come tre blocchi in orizzontale e due in verticale. Come spiega lo studio Urban Design Manhattan, Avendo New York scartato l’idea di uno sviluppo monocentrico che focalizzasse la sua attenzione sulla sola area di Manhattan, il fallimento di concepire il Central Business District come una entità sia funzionale che visiva sottende lo sviluppo del centro in tre livelli strettamente collegati denominati Access Tree. Questo sistema di organizzazione spaziale lega e gerarchizza i due Layer del suolo e del sottosuolo creando un terzo livello di orientamento spaziale, sia visivo sia funzionale, in cui un terzo Layer, definito Mezzanine Level, garantisce la relazione tra flussi locali e flussi di movimento creando uno spazio di applicazione ed evidenziazione delle relazioni dei tre flussi di movimento nell’esempio di Bryant Park 150 CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK relazione, spesso a carattere commerciale, che sottolinea l’importanza di un nodo in cui le due griglie entrano in relazione. La piazza al centro del Rockfeller center è significativa come esempio di queste dinamiche: situata nel cuore del complesso di uffici e commerciale che è rappresentato dalle torri del Rockfeller Center, tra Fifth Avenue e 48th Street, da un lato garantisce attività di commercio al dettaglio e di svago, mentre dall’altra fornisce accesso a due linee di metropolitana differenti. In questa maniera gli spazi pubblici rappresentati dalle Lobby degli edifici sono allo stesso modo luogo di transito e di sosta, configurandosi come piazze coperte, in cui si sviluppa commercio al dettaglio, e servizi, che si collocano sia nei primi due piani degli edifici alti, ipotesi di organizzazione già teorizzata dalla Scuola di Chicago, sia nel piano interrato allo stesso livello della rete di trasporti sotterranea. Oltre a questi due Layer tuttavia il Mezzanine level garantisce l’unione con un altro layer molto importante: quello determinato dai collegamenti verticali, che garantiscono che lo spazio semipubblico arrivi agli ingressi dei vari uffici negli edifici alti. Gli edifici più alti, infatti, secondo il Master Plan, sono collocati in punti di facile accessibilità come l’interscambio di più linee di metropolitana, mentre allontanandosi da questi punti nevralgici gli edifici si abbassano Il sistema distributivo verticale della città di New York 151 Il Rockfeller Center CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: raggiungendo un duplice scopo: da un lato vengono in tal modo minimizzate le distanze pedestri tra il Layer di spostamento rapido, rappresentato dal sottosuolo, e quelli dei vari collegamenti verticali, dall’altro si permette che gli edifici alti possano essere visti da lontano, favorendo la localizzazione a distanza dei punti nevralgici e garantendo una immagine coerente al contesto urbano. Se il sistema street-avenue e quello delle metropolitane sotterranee permettono il movimento di un vettore in uno spazio bidimensionale, ben rappresentato e riscontrabile nella pianta della città di New York, l’Access Tree, con lo sviluppo dei nodi chiave, garantisce un movimento lungo il terzo asse, quello dell’altezza, in maniera non dissimile dagli altri casi: come è facile intuire, infatti, a New York, il movimento è sempre all’interno di un piano che comprende due sole delle tre coordinate spaziali. I livelli coesistono e sono collegati senza mai sovrapporsi e senza creare gerarchie, rimanendo cioè tre entità separate che lavorano distinte in sezione, e questo evento, intuibile dall’esempio della 42nd Street, deter- I livelli coesistono sovrapposti, come si vede in questo esempio, una sezione della 42nd street 152 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK una sezione della 48th street mina la possibilità di tracciare un numero infinito di sezioni, skyline, che caratterizzano la città di New York. La sezione di New York può essere effettuata lungo qualunque Street o Avenue mediante un piano bidimensionale che riflette le stesse dinamiche del piano orizzontale: guardare la sezione sulla 42nd street, per esempio, è equivalente a guardare la pianta o qualunque altra sezione esistente. I flussi si muovono in verticale regolandosi in nodi di scambio che permettono il raggiungimento di qualunque postazione, con movimenti panoramici a scacchiera orizzontale, come è orizzontale il movimento della telecamera nel film Manhattan di Woody Allen che descrive con una panoramica una delle infinite sezioni, quella da Central Park verso skyline da Central Park Downtown presa dal Reservoir. Ed è curiosamente sintomatico il fatto che, proprio mentre la telecamera descrive lo skyline dal parco, la voce fuori campo di Ike, lo scrittore protagonista, che cerca di iniziare a scrivere un libro su New York, voglia partire da un racconto che prende forma da alcune scene tanto insignificanti quanto paradigmatiche, organizzate e descritte come alcune delle possibili sezioni (sociali questa volta), senza riuscire a trovare un esordio convincente che non fosse “New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata”18, a dimostrazione che nessuna descrizione possa descrivere New York meglio di una soggettiva. 18 W.Allen, Manhattan, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1982. 153 skyline di Battersea Park CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK E’ altrettanto interessante come Matteo Pericoli, illustratore e fumettista, dipinga lo skyline visto dai fiumi che lambiscono l’isola di Manhattan, attraverso un altro degli ipotetici racconti visivi che possono essere concepiti attraverso lo sviluppo del fronte sul fiume, sviluppato come fosse una carta di Mercatore rendendolo un piano, nel suo libro Manhattan Svelata19. Ma un’altra caratteristica della configurazione dell’Access Tree sembra essere di fondamentale importanza, poiché va ad integrare e a configurare meglio il proposito della crescita in altezza: la corrispondenza tra i punti nevralgici della griglia e degli edifici alti crea di fatto un ulteriore fattore di orientamento che esce dai processi planari orizzontali e verticali della struttura a Layer sopra descritta. Se infatti lo studio Urban Design Manhattan asserisce che i grattacieli risultano disposti in maniera che da terra sia possibile notare quali siano i punti nevralgici di intenso traffico, è altrettanto vero che le emergenze di New York lavorano in maniera non dissimile dagli obelischi della Roma barocca descritti da Richard Sennet20. A Roma, infatti, spiega questo autore, gli obelischi furono voluti dal potere ecclesiastico in modo che, ad un tessuto di retaggio medievale, svettando sopra le altezze delle case esistenti, potessero creare un punto di riferimento visivo che trascendesse quello urbano esistente, a ricordare percettivamente che un potere superiore sottendeva la trama della città storica, dandole un nuovo senso. Così, in qualunque luogo di Roma, era possibile alzare lo sguardo dalle tortuose strade del centro medievale e, mediante la vista degli obelischi, orientarsi spazialmente e, congiuntamente, vedere un ordine superiore nel governo dello spazio. Allo stesso modo i grattacieli newyorkesi se, da un lato, alzando lo sguardo, permettono di individuare le connessioni tra i livelli della città, creando un orientamento che trascenda dal sistema a griglia che rigida- 19 M.Pericoli, Manhattan svelata, Leonardo International, Milano 2001. 20 R.Sennet, La coscienza e l’occhi: progetto e vita sociale nelle città, Feltrinelli, Milano 1992. 154 sistemi di grattacieli che creano orientamento come gli obelischi della Roma barocca CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: mente ordina lo spazio circostante, dall’altro permettono un’identificazione con l’idea di città nella sua globalità congiungendo anche idealmente l’aspetto globale e quello locale. Non solo rompono quello che la Jacobs definiva la tragedia della monotonia nelle metropoli americane21 attraverso una distorsione percettiva dello spazio circostante, ma creano un quarto livello di Layer che riorganizza il disegno urbano sia marcando i punti di interscambio, sia rompendo il movimento verticale orizzontale del sistema street-avenue. Ad un movimento quale quello descritto in precedenza, in cui per andare da un punto ad un altro bisogna muoversi a scacchiera, si definisce una nuova griglia di punti, che si sviluppano in altezza, per cui si ha subito un riferimento spaziale e di orientamento in uno spazio che si presenta sempre uguale: da qualunque punto, osservando il sistema dei grattacieli, è possibile dire dove si trova non solo un nodo di interscambio ma, data la riconoscibilità degli edifici alti, qualunque altro posto sito sulla griglia. Questo fattore identificativo e di orientamento è unito ad un altro aspetto chiave: i grattacieli di New York funzionano già di per se stessi come punti focali in quanto emergenze architettoniche, che, attraverso il loro valore culturale e iconografico, sono facilmente distinguibili ed identificabili. I grattacieli di New York sono distinti e distinguibili da lontano, contrariamente agli obelischi che sono distinguibili nelle decorazioni solo da una breve distanza, mentre da lontano sono solo dei marcatori di un punto nello spazio, per cui, attraverso un solo colpo d’occhio, è possibile riconoscere di che edificio si tratti e, di conseguenza, gerarchizzare lo spazio in funzione dei grattacieli. La percezione di questi elementi, proprio in quanto emergenze differenziate e riconoscibili le une dalle altre, è a sua volta molteplice: da un lato infatti si possono osservare come elementi a sé, svincolati dal contesto 21 J.Jacobs, Vita e morte delle grandi città americane. Saggio sulle metropoli americane, Torino 1969. 155 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK urbano in cui sono calati, dall’altro è possibile guardare la città attraverso di essi, vedendo il complesso di edifici alti che dialogano assieme sopra il sistema della griglia. Questo fattore dialettico tra gli edifici alti si riflette, allo stesso modo, sia nella pianta della città, sia nella lettura di qualunque ipotetico skyline si consideri, fatto di un fronte rettilineo (quello che insiste sulla strada che si prende come linea di sezione) dietro a cui, su un secondo piano percettivo, si collocano gli altri obelischi che creano una sorta di fondale scenografico riportando al concetto di messa in scena che, secondo la lettura di Rem Koolhaas, caratterizza la città di New York. Ma questo sistema di orientamento sub-griglia ha un riscontro oltre che in altezza, con questi edifici, anche a livello del suolo. Qualunque carta di New York, da quelle tecniche a quelle turistiche, infatti, mostra la struttura rigida della griglia con i suoi giochi orizzontali e verticali e una serie di punti (Cheif Points of Interests) che, nel sistema geografico descritto all’inizio del racconto, formano i sub-centri e riguardano le differenti aree nello specifico, dai teatri, alle opere di architettura contemporanea, ai negozi di Park Avenue. Ogni differente argomento viene riportato nello spazio bidimensionale delle carte creando infiniti quinti Layer che, al pari del racconto proposto, descrivono New York attraverso una differente storia locale, proprio come faceva Woody Allen all’inizio del film Manhattan. Accanto alle emergenze dei grattacieli quindi, che fanno parte oramai dell’immaginario collettivo della città di New York, esistono altre entità ad elevato livello iconico, che sottendono lo spazio urbano e generano senso, contribuendo anch’essi a garantire un forte fattore identitario che, data la partenza banale e sottesa a logiche speculative che la città ha per sua stessa scelta, sostituisce in questa maniera le stelle, gli ovali e i cerchi che criticava la commissione del 1807, quando presentò lo sviluppo a griglia della città. In maniera analoga alle insegne di Las Vegas vi sono, a New York, una serie di edifici che creano senso e che permettono di immedesimarsi e 156 sistemi iconici a livello del suolo CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK orientarsi, che definiscono a livello dei subcentri la scansione delle varie zone: il Guggenheim, come il ponte di Brooklyn, come la Statua della libertà, per citare solo alcuni esempi, fanno tutti parte di questo modo di generare senso che, scartate le modalità dell’urbanistica tradizionale, contribuiscono a creare quella forte identità che caratterizza New York, e che sembrava inspiegabile dati i presupposti di partenza. Times Square: New York che impara da Las Vegas Questi edifici funzionano a livello iconico in maniera non dissimile dalle emergenze, ma ad un livello inferiore: se i grattacieli permettono, grazie alla loro visibilità da lontano, di creare una gerarchia spaziale alzando semplicemente lo sguardo, gli edifici icona fanno altrettanto a livello del terreno definendo, di conseguenza, una referenza alla zona della griglia in cui sono collocati. Come Spiegava Venturi in Learning from Las Vegas il problema delle icone è il senso: esse sono dei riferimenti che hanno radici in qualunque livello di cultura, quindi non specialistica, e che creano, appunto, un senso, ma, al contempo, dando una dimensione sensoriale e creando una gerarchia, esse sono anche generatori di spazio, come le insegne degli alberghi e i cartelloni pubblicitari di Las Vegas. New York, quindi, affonda le radici della sua identità in un complesso di fenomeni urbani strettamente legati a fattori sociali e architettonici insieme, e in questo la descrizione di Woody Allen citata sopra è esemplare: non è possibile pensare New York senza il ponte di Brooklyn, anche se il ponte di Brooklyn non è New York, così come qualunque altro edificio o architettura della grande mela, che vive di rimandi tra un senso di città che si svolge nei suoi particolarismi e narrazioni singole, aspetti importantissimi di una visone che, non potendo essere metanarrativa, ricorre al consenso in questo modo. A New York, come a Las Vegas e in tutte le metropoli postmoderne, 157 Altri fenomeni iconici cche producono senso: le limusines CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: NEW YORK scompare il riferimento aulico, il referente metafisico, facendo collassare le icone nel mondo: così Times Square è un luogo di luci, di neon, di colori che diviene altrettanto importante quanto era importante, per esempio, la Tour Eiffel per la Parigi di inizio secolo scorso. Parigi era la ville Lumière: la luce e l’illuminazione erano fondamentali, ma rappresentavano una sottolineatura di un modello divenuto reale che usava per rappresentare sé stesso, espedienti scenografici. A New York come a Las Vegas manca il referente, la messa in scena è fine a sé stessa, non è la sottolineatura di qualcosa che abbia rimandi aulici: l’unico rimando che New York ha è al denaro e al capitale, che peraltro è anche l’unico concetto dichiarato che ne sottende il suo sviluppo urbano. Se a Parigi il flanneur era parte di qualcosa, la città borghese, che aveva, dopo la rivoluzione, animato il mondo con nuovi concetti di portata tale da cambiare la storia e il costume del mondo, a New York si è parte della città, è una rappresentazione non rappresentata, una pièce teatrale senza copione che si nutre delle luci e della sua manifestazione, così come le persone che animano questo teatro si nutrono della città in sé stessa, e l’unica escatologia che c’è sono i famosi dieci minuti di celebrità di warholiana memoria, magari nel megaschermo a Times Square che, dall’ultimo piano, trasmette uno spot il cui protagonista ha applicata la faccia di un passante che si reca in un negozio sotto il megaschermo per lasciare una sua foto digitale, che sapienti mani di pittori digitali della contemporaneità scontornano per inserire in un cortometraggio di animazione che, secondo quanto promette lo spot all’inizio, garantisce di essere protagonisti del centro del mondo per quarantacinque secondi. Non c’è misticismo a New York, non ci sono riferimenti metafisici in quello che è considerato l’emblema della metropoli postmoderna, proprio perché tutto si risolve nell’heideggeriano esser-ci: così se nei centri della vecchia Europa la cattedrale è un segno importante, che si contrappone al potere economico in un sistema dialettico di riferimenti, a New York 158 I Tipi newyorkesi: il dog Sitter su park avenue, venditori di Hot Dog e i lustrascarpe di Wall Street CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: alle luci delle vetrate gotiche vengono sostituiti i LED di Times Square. Non c’è spazio per la meditazione in un luogo dove l’essere diviene esser-ci, e il misticismo diviene mercificazione: in tutte le zone si trovano persone che leggono tarocchi, sfera, mano, e praticano scienze occulte, così come si trovano venditori di ogni genere di bene di consumo. New York vive di immagine, ed è l’immagine stessa che crea senso, le sue luci sono luci della ribalta, è un immenso organismo atto a creare i dieci minuti di celebrità, ma, ironia della sorte, non sono dieci minuti di celebrità personale, sono dieci minuti di pellicola per la città che descrive Woody Allen nell’esordio di Manhattan, senza che nessuno possa di per sè essere più importante degli altri: la celebrità è essere parte di lei, esser-ci. Questo porta direttamente ad un altro punto importante, costituito dal substrato che popola la città: una metropoli, quando si mette in scena e diviene rappresentazione, lo fa anche attraverso personaggi che popolano il suo contesto e si muovono nel suo interno, al pari dei caratteri di un brano teatrale. Come la commedia e la tragedia greche avevano una serie di tipi, personaggi rappresentati con maschere che ne interpretavano i tratti caratteristici e che ne permettevano una immediata collocazione all’interno dell’intreccio, così anche New York è popolata di tipi, assolutamente diversificati e differenziati che, al contempo, sono elementi chiave che favoriscono il sentirsi parte di una realtà. Esistono tipi che appartengono alla città di New York e che si muovono nelle sue maglie favorendo l’immersione nella scena, che vengono descritti nelle immagini, nei film e nelle canzoni. Sarebbe difficile pensare a New York senza pensare ai chioschi di Hot Dog lungo le sue strade, così come i dog sitter, o i camion dei gelati, o i lustrascarpe a Wall Street; senza questi personaggi senza personalità, dietro queste maschere, stanno le infinite immagini che tutto il mondo, grazie alla diffusione operata dal cinema, dalla fotografia, dalla televi- 159 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: sione e da qualunque tipo di rappresentazione che ha parlato di New York, la città sarebbe diversa, perché l’identità di questa metropoli è fatta anche di questo, gente che cammina guardando a terra, correndo per recarsi a fare affari e sentirsi in questo modo parte di una realtà che è collassata nel mondo. - 6.4 – Riflessioni per l’esportazione di un racconto Una prima riflessione scaturisce da quanto detto riguardo a New York: l’unico modo per entrare nella sua complessità è descriverne alcuni suoi episodi, perché è solo attraverso di essi che è possibile comprendere le sue dinamiche. Non a caso, Ike, lo scrittore protagonista di Manhattan di Woody Allen, ha lo stesso problema: l’esordio voleva decantare la città, ma dopo averne percorse le strade ripensando a episodi tanto insignificanti quanto paradigmatici, nessuno di questi risulta essere il più significativo, ma l’insieme dei racconti portano alla conclusione che New York è tutto quello e di più ancora. Se, d’altro canto, New York è una città che vive nel mondo non esiste un punto di vista principale, l’unico modo per guardarla, non potendo creare una astrazione, è entrare nel suo flusso, e questo sembra avvallare il proposito di partenza di costruire un racconto, uno dei possibili, per comprendere lo scenario. Ma lo scopo di questa trattazione è, come dichiarato in partenza, quello di creare un racconto che evidenzi una serie di caratteristiche che possano essere verificate in Shanghai, per creare un dialogo che sia commensurabile, che, cioè, possa, attraverso un raffronto dialettico, portare ad alcune riflessioni che aiutino a fare chiarezza del Master Plan di Shanghai, che appare inadeguato come strumento rigido di controllo di una realtà tanto complessa e tanto grande. 160 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE DI UN RACCONTO COMPARATIVO: Semplificando al massimo, quindi, possiamo dire che, nel racconto effettuato, vi sono otto punti, otto racconti che, attraverso il loro intreccio, danno un’idea di quello che è una metropoli postmoderna all’apice del suo sviluppo identitario. Tracciare un elenco dei punti non è certo un tentativo di cercare otto dogmi che abbiano finalità operativa, chiunque potrebbe obbiettare che a questi se ne potrebbero aggiungere infiniti altri anche più importanti e significativi, ma lo scopo non è tanto di fare chiarezza di un organismo tanto complesso su cui, peraltro, sono state scritte migliaia di pagine da innumerevoli studiosi, quanto quello di fare parlare questa realtà con un’altra, in maniera tale che, in un novero di giochi linguistici comuni, sia più semplice comprendere le simili o differenti dinamiche che sottendono le due realtà. Schematizzando, quindi, si potrebbe dire che i racconti qui considerati portino alla conclusione che le dinamiche investigate siano: 1- La concezione geografica alla base della città, che ben si spie- ga nel multicentrismo tipico della città di New York. 2- La struttura, che sottende l’organismo newyorkese attraverso una rigida rete di strade e di flussi di relazione. 3- I livelli che caratterizzano la metropoli, diretta conseguenza del fenomeno della griglia rigida a livello del piano stradale e a livello del sottosuolo, mediate dallo spazio superiore al suolo, pubblico nei nodi di unione tra le due strutture, e semipubblico (uffici) nella parte superiore. 4- La crescita in altezza, il fenomeno dei grattacieli e la loro importanza strategica per la città di New York e il loro rapporto con le vicinanze, moderatamente alte e non identificative. 5- le emergenze, diretta conseguenza della crescita in altezza, intesa come la creazione di punti di riferimento identificativi a livello del cielo. 6- Le icone, ovvero quegli edifici e quei punti di interesse che per- mettono di compiere lo stesso passo concettuale delle emergenze pur rimanendo nascosti allo sguardo fino a che non si giunge in prossimità. 161 NEW YORK CAPITOLO 6 – L’IMPOSTAZIONE 7- DI UN RACCONTO COMPARATIVO: La componente pop, legata al fenomeno della messa in scena e della spettacolarizzazione, nonché fortemente connessa alla matrice postmoderna della metropoli che si evidenzia attraverso luci, i colori e i riferimenti alla cultura popolare creando un senso nell’esser-ci. 8- il substrato di gente, tipi, situazioni che appartengono al bagaglio collettivo e che contribuiscono a creare l’unicità e la particolarità di New York, come viene descritta nei film, nelle canzoni e in tutti i racconti di questa metropoli. 162 NEW YORK Capitolo 7 – L’esportazione del racconto: Shanghai - 7.1 – impostazione di un racconto comparativo Una certa attinenza con le dinamiche postmoderne descritte in precedenza, può già essere riscontrato sulla base del racconto descritto a proposito della città di New York, è interessante, ora, comprendere, attraverso il confronto dialettico tra le due realtà, se e come queste dinamiche possano trovare attinenza con Shanghai, e quanto le due città abbiano uno scenario comune. Se, da un lato, infatti, la città di New York è stata descritta e raccontata infinite volte, non si può dall’altro asserire la stessa cosa relativamente alle realtà asiatiche e, nello specifico, al caso di Shanghai, che sono episodi piuttosto nuovi. Non da molti anni, infatti, hanno subito un percorso di crescita vertiginosa, non essendo tuttavia ancora arrivate ad esprimere una identità e una poetica altrettanto forte quanto quella della città di New York al suo apice, avvenuto intorno agli anni ottanta. Proprio per questi motivi il confronto può essere utile per comprendere le attinenze e le differenziazioni della realtà asiatica, da un lato, superando il problema di approccio ad una realtà più sconosciuta, mentre dall’altro impostando una metodologia, un linguaggio comune che, attraverso la commensurabilità dei due fenomeni, metta il luce un racconto comparativo sul quale sia possibile tracciare una conclusione che, decaduto ogni principio metanarrativo, trovi valore nella legittimazione che ne consegue. Quello che è interessante, e ciò di cui si cerca riscontro ora, è, attraverso il racconto, vedere se le dinamiche evidenziate in questo genere di lettura abbiano attinenze, e quale tipo di inerenze trovino, con il discorso filosofico affrontato in precedenza, a proposito del virtuale e della 163 CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE complessità. Se, infatti, è possibile riscontrare alcune analogie tra New York e la complessità postmoderna, è pur vero che l’influenza filosofica su questa metropoli non prende in considerazione, se non marginalmente, certi aspetti (quelli trattati da Lévy, Baudrillard e Virilio principalmente), l’intento quindi è capire se sia vero che, invece, tali principi trovino relazione nella metropoli di Shanghai e come possano influire nella fisicità di una metropoli contemporanea. L’obbiettivo è cercare di trarre alcune riflessioni che mettano in luce come, mutato lo spirito dei tempi, possa essere differente l’approccio fisico del pensare e, di conseguenza, fare una città, e come, dopo vent’anni circa di dissertazioni riguardo al postmoderno, gli avanzamenti del sapere possano relazionarsi con la realtà fisica in un modo nuovo e adeguato allo spirito dei tempi contemporaneo. L’obbiettivo è vedere come Shanghai sia una metropoli attuale, non reale, in cui il processo di virtualizzazione che la sottende è fondamentale. - 7.2 – racconto comparativo: le Geografie Già da un primo approccio alla città di Shanghai, così differente, per certi aspetti, dalle metropoli americane (New York in prima battuta), e dalle metropoli europee in generale, è immediatamente riscontrabile che, la metropoli asiatica, muti totalmente le dinamiche geografiche, come descritte a proposito dell’esempio precedente. Si è visto come, in generale, ad un sistema sostanzialmente monocentrico, (o al più bicentrico quando il potere politico e religioso si trovavano a contrapporsi a livello urbano) riscontrabile nella maggioranza delle città storiche tradizionali, si sostituisca sempre di più, dal secolo scorso, una tendenza al multicentrismo che, nelle città grosse, mette in relazione subsistemi a matrice comune relazionandone i centri principali 164 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI e gerarchizzando una serie di sub-centri secondari a quelli di livello maggiore. Il Master Plan di Manhattan è esemplificativo da questo punto di vista: Little Italy, Chinatown, Soho, Upper West Side per citarne alcuni, sono tutti centri in relazione tra loro, che subordinano la realtà che li caratterizza, mantenendo intatta la relazione tra le varie zone. Centri maggiori, a forte caratterizzazione, organizzano la realtà territoriale in cui sono calati in maniera tale da vivere di dinamiche proprie che, sommate, formano l’identità del centro. Il principio di fondo è che ogni sub-centro è una sfaccettatura del diamante d’insieme, che si organizza autonomo nelle dinamiche di base per ricongiungersi agli altri centri e partecipare al tutto. Ma osservando il Master Plan di Shanghai, la differenza è immediata: è pur vero che, ad una prima lettura è riscontrabile come anche la metropoli asiatica sia divisa in distretti, che lascerebbero intendere sottese dinamiche multicentriche (come sembrerebbero confermare le tavole District Structure e Urban Structure of Cities and Towns). Da un lato, tuttavia, vi è un problema dimensionale: i Distretti indicati dal piano sono immensi, basti pensare che il cuore della città (il CBD), il corrispettivo di Manhattan per New York, è circa un quarto della dimensione dell’intero distretto di cui fa parte. In nessuna rappresentazione, inoltre, è riportata una sua eventuale suddivisione in zone di minore vastità che abbiano caratteristiche comuni, e che, di conseguenza, possano far tornare all’idea di multicentra- 165 le due tavole del Master Plan di Shanghai che presuppongono di chiarificare la gerarchizzazione di centri e sub-centri per la metropoli CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE lità riscontrata riguardo alla realtà newyorkese sopra descritta, che già nel master plan dava indicazioni al riguardo (denominando le aree subcentrali che si sviluppano poi autonomamente nell’insieme, come Upper east side, Lower Manhattan, ecc..). Nel caso di Shanghai invece due cerchi rossi, che nella tavola sono denominati Urban Subcenter, rendono la rappresentazione ancora più singolare, non essendo chiaro se il bollo indichi un centro fisico o se sia una indicazione metaprogettuale, ma, in entrambi i casi, l’indicazione non può, di per sé creare dinamiche che, analizzate possano dirsi multicentriche. Da un lato, a Pudong, un sub-centro si trova dove il governo e la municipalità stanno edificando laboratori e industrie che sviluppano ricerca scientifica, come la Shanghai Scienceland progettata dal gruppo RTKL, o la Information Tower di Arquitectonica, dall’altro, a confine sud ovest alla confluenza tra Huaihai Lu e Fuxing Xilu, è la parte amministrativa sede di consolati, uffici stranieri e della Shanghai Library. Entrambe queste aree sono solo due delle funzioni che insistono nella parte centrale (e lo stesso può essere detto a proposito degli altri distretti), semplicemente sono due tra le funzioni presenti, considerando che nello stesso Central District è presente anche la sede della municipalità di Shanghai, centro, di conseguenza della vita amministrativa della metropoli, anche se non segnato tra gli Urban Subcenter. A differenza di New York, quindi, i distretti non sono gerarchizzati, non sono centri minori con una loro autonomia identitaria, sono insiemi di eventi autonomi differenziati e con differenti caratteristiche che insistono su un’area che è circa quattro volte quella di Manhattan. Questo fa scartare anche l’ipotesi che dietro una multicentricità dichiarata, si nasconda invece una monocentralità di fatto: non è riscontrabile infatti il binomio centro-periferia che sottende il concetto classico di monocentricità. Se è possibile, infatti, a New York, una prima comprensione dello spazio in cui ci si trova guardando le caratteristiche del costruito, così, per 166 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE L’area di Xintiandi a Shanghai esempio Chinatown ha una identità cinese, riscontrabile dalle persone che si incontrano in strada, dalle scritte in caratteri cinesi, dall’architettura che riprende elementi tradizionali cinesi, la città di Shanghai si organizza differentemente. Xintiandi, per esempio, la zona in cui si riunì la Prima internazionale del Partito Comunista Cinese, è un quartiere ricostruito e rinnovato, a prevalente attività commerciale diventata un polo attrattivo per il divertimento. Uno dei tanti Lilong costruiti all’interno di una delle aree coloniali, è stato restaurato in modo tale da perdere ogni caratteristica legata alla sua storia: se il Lilong infatti è una microcomunità chiusa, fisicamente, da muri perimetrali che si aprivano solo in pochi punti per permettere l’accesso dalla strada, Xintiandì ha perso questa caratteristica (non è più chiuso da muri) pur mantenendo una certa uniformità e identità autonoma, che inspiegabilemete tuttavia ha unito anche Lilong attigui in un microsistema autonomo ma estremamente permeabile ai flussi dell’esterno. Si organizza, al suo interno, in maniera simile alla Strada Novissima della Biennale di Venezia del 1980: è formato da una serie di vie, che si aprono in piccoli isolati di edifici di due piani, che vive sostanzialmente per strada di commercio di beni di lusso. La percezione del quartiere è comparabile ad un set cinematografico: 167 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI quello su cui, la municipalità, ha puntato nel caso di Xintiandi, è costruire una immagine trendy, in cui la cartolina offerta da un restauro poco rispettoso della realtà caratteristica dei Lilong e della loro specificità, per ricreare un’immagine che ricorda Disneyland sia per come è concepita, sia per come è vissuta (è una delle vetrine di Shanghai dove chiunque, del who’s who shanghainese deve passare). Al di fuori di quei quattro isolati tuttavia la città è completamente differente, a dimostrazione che questa zona può essere un subentro solo di se stessa, non organizza l’intorno gerarchizzandolo e non dialoga con questo, né da un punto di vista architettonico, né da un punto di vista sociale. Usciti dal piccolo set ci si ritrova in altre dinamiche, in altri subentri autoreferenziati che poco spartiscono gli uni con gli altri senza tuttavia che la differenza sia netta come nel caso di New York: il passaggio tra lalle spalle di Xintiandì è visibile l’area di Hong Kong Plaza, ambiente urbano limitrofo con dinamiche completamente differenti una microzona e l’altra non è quasi mai radicale, e le caratteristiche che sottendono ogni realtà sono spesso ibride. Da Xintiandi muovendosi verso ovest si incontra una parte di edifici tradizionali, Lilong, che sembrano far tornare indietro ai tempi delle colonie, mentre a est una zona di uffici (Hong Kong Plaza) tecnologicamente all’avanguardia in cui colossi di acciai vetro e cemento fanno da protagonisti. Entrambe le realtà limitrofe tuttavia hanno una limitatissima estensione territoriale, come la stessa Xintiandi, pochi isolati percorsi in entrambe Waitan, il lungofiume più famoso di tutto il lontano oriente: un fondale dipinto che, sul retro è completamente differente 168 CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI le direzioni e la città muta ancora, senza che sia possibile tracciare una linea netta di demarcazione tra una specificità e l’altra come invece era lampante nel caso di New York. Xintiandi è una via che si arrotola su sé stessa, un filo rosso di ordine nel caos che predomina apparendo in quei quattro isolati per scomparire subito al di fuori di essi e ricomparire, senza logiche apparenti, in altre aree della città. Come Xintiandi anche Waitan, il lungofiume più famoso di tutto l’estremo oriente, come lo definiva la protagonista della pellicola di F.Trueba El embrujo di Shanghai, riflette le stesse dinamiche: è un fondale piatto di edifici rappresentativi costruiti tra il 1850 e il 1930 dalle nazioni coloniali, percepibile dall’esterno camminando lungo la via e, in alcuni punti, entrando nelle lobby di vari edifici, per lo più banche o consolati. La logica parrebbe suggerire che questo possa essere un sub-centro, non foss’altro per l’innegabile valenza storica che gli edifici presentano, tuttavia, se solo si passa alla via retrostante Waitan, dove si affacciano i retri degli edifici, la situazione cambia radicalmente, si trasforma in un differente ambiente urbano, che nulla ha a che fare con il precedente, a riprova di quanto, anche in questo caso, la zona (o la presunta subzona) in realtà viva solo di dinamiche autoreferenziate. Stesse riflessioni si possono fare a riguardo dello Yu Yuan Garden: zona sede della più famosa casa da The shanghainese, nonché di uno degli migliori esempi di arte dei giardini e del paesaggio di tutta la Cina, che risale al 1500. Anche in questo caso è stato ricostruito un villaggio tradizionale Cinese, come fosse una parte di Disneyland, un altro coriandolo che crea un evento da gustare nella sua attrattiva turistica, più che una reale configurazione spaziale e arcitettonica che predilige la parte ludica a quella filologica, come dimostra la Lo Yu Yan Garden, area commerciale sorta accanto a un sistema tradizionale storico 169 CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: scarsa attenzione ai dettagli in contrapposizione con lo smodato uso di decorazioni con dragoni e stucchi: lo scopo è, ancora una volta, riprodurre un’idea, in tutto e per tutto analoga all’idea dell’impero romano che viene riprodotta all’interno del Caesar’s Palace a Las Vegas, che vive di dinamiche scenografiche e teatrali. Ma ancora Nanjin Lu, considerata la Fifth Avenue di Shanghai, è poco più che una Strada Nanjin Lu Nova di cui sono percepibili le facciate ma non crea spazio, e, tantomeno, presenta le dinamiche gerarchiche che caratterizzano un centro o un sub-centro. O ancora Renmin Park, ex ippodromo coloniale, oggi parco che vuole imitare il concetto occidentale di parco aperto senza, tuttavia, comprenderlo: il giardino cinese infatti è solitamente piccolo e chiuso da alti muri, più che uno spazio arioso e aperto, è uno spazio introiettato e meditativo che non permette di vedere oltre il suo ristretto confine perché al suo interno si meditava. E’ una sorta di chiostro espressione di una cultura sostanzialmente laica quale quella cinese, in cui le tradizioni familiari sostituivano il misticismo che, anche nei templi, non viene mai vissuto come una cerimonia pubblica per una divinità, quanto come un mercato che favorisse le relazioni e i commerci1. Se a New York il misticismo non esiste perché l’essere è essere nel mondo, a Shanghai il misticismo si trova proprio nella meditazione Zen che sottende i giardini o l’arte in generale, è un sentimento profondissi- 1 La mancanza di misticismo è un fatto caratteristico della cultura cinese che è difficile da comprendere per un occidentale abituato ad una chiesa ed un sistema religioso molto presente nelle dinamiche fisiche e sociali della città. Il sistema culturale cinese è fatto spesso di regole non scritte ma universalmente condivise che sono di difficile riscontro sui testi ma che qualunque cinese potrebbe facilmente spiegare. Questa considerazione è derivata da numerosi colloqui avuti con varie persone durante il mio soggiorno in Cina, che hanno tentato di farmi vedere le differenze tra la mia cultura e la loro spiegandomi spesso usanze e codici di comportamento che non avrei mai potuto trovare in un “galateo” sempre che esista un corrispettivo cinese di questo libro. Nello specifico di questo caso due persone sono state particolarmente utili nella comprensione: Lu Yongyi, professore della Tongji University e gli studenti del suo Master di Specializzazione. 170 SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: mo ma privato, legato ad una cerimonialità non dissacrante ma sostanzialmente sociale e laica, profondamente meditativa e introspettiva, tanto quanto basata sulla contemplazione e l’osservazione della realtà circostante. Renmin Park nel suo tentativo di ricreare un parco con standard occidentali, aperto e distinguibile, è comunque un’area che non ha relazioni con l’intorno, è autoreferenziato e Renmin Park introiettato come lo erano i giardini tradizionali cinesi, è più simile a Central Park di New York, un polmone verde che non dialoga con l’intorno se non attraverso le sue enormi dimensioni, che non al Jardin Du Luxemburg, ma le sue dimensioni non hanno nulla a che vedere con il primo esempio. Una considerazione ulteriore a suffragio di questa ipotesi è riscontrabile nella tradizione cinese: il concetto di piazza non esiste nella tradizione, i Cinesi vivono lungo le strade e i negozi che si affacciano su di esse sono uno spazio a metà tra il pubblico e il privato: non esistono vetrine o setti di separazione con l’esterno e il padrone del negozio spesso cucina, mangia e, in alcuni casi, dorme nello spazio espositivo, configurazione dello spazio tipicamente asiatica e riscontrabile anche in altre metropoli. La piazza come spazio di aggregazione è stata introdotta dal Maoismo, che teneva in questi luoghi i comizi politici; di conseguenza la piazza cinese è uno spazio di forma regolare e atto al raduno di persone con un fronte predominante per allocare gli oratori e vuoto quando non viene utilizzato per questo scopo2. Questa concezione è rispecchiata in Renmin Park, sostanzialmente un 2 Anche in questo caso sono stati provvidenziali colloqui con varie personalità, nello specifico la concezione di piazza nella cultura cinese mi è stata spiegata dal Professor Zheng Shiling, vive Preside della Tongji University, profondo conoscitore dell’architettura cinese tradizionale. Gli stessi concetti tuttavia hanno trovato riscontro in vari colloqui avuti con l’architetto Cagnardi, amministratore delegato della Gregotti e associati, nonché responsabile dei lavori che questo studio ha effettuato in Cina, che spiegava le stesse caratteristiche relativamente al progetto della città di Pujiang, uno dei nuovi centri progettati nei dintorni della città di Shanghai. 171 SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE immensa area vuota al cui confine orientale sono posizionati in linea tre edifici imponenti (lo Shanghai Grand Theater, l’edificio del Centro Direzionale, sede degli uffici della Municipalità, e il Urban Planning Exibition Hall, edificio che contiene varie mostre sulla città di Shanghai e il suo sviluppo previsto, nonché esibizioni temporanee) senza nessuna coerenza pianificatoria o tentativo di relazionare edifici e spazio aperto se non quella di dare una direzionalità alla piazza-parco3, in ogni caso ben poche cose possono far pensare a questo luogo come ad un subcentro Ovunque, anche luoghi che potrebbero avere una certa autonomia identitaria, non sono circoscrivibili come le zone centro newyorkese, ma come una serie di punti di una o poche vie, immerse in un sistema in cui ogni angolo di strada presenta un’immagine differente, in maniera tale che si può descrivere la città di Shanghai solo percorrendo un itinerario, come quello tracciato, in cui ci si muove da un punto all’altro senza nessuna preferenzialità. Se si considera quanto detto a proposito del concetto di scala, che vede tutto diviso in sistemi di minore entità, a loro volta divisi in sistemi più piccoli sino alle singole abitazioni, come evidenziato a proposito del CBD dallo studio di Zhongmin Yan4, si può asserire che Shanghai presenta un numero infinito di ricombinazioni, di percorsi, che passano da un punto all’altro mentre il resto, non incluso nel movimento, rimane tessuto connettivo generico e di difficile differenziazione e circoscrivibilità. Se, quindi, è impossibile parlare di multicentralità per la città di Shanghai, sembrerebbe che la schematizzazione dello spazio web ben si presti a capirne le dinamiche: non centri che subordinano sub-centri, ma nodi in una rete web, in cui non esiste gerarchia se non quella data dal passaggio di informazioni da due arbitrari punti della rete, che creano 3 Anche relativamente a queste considerazioni, come nel caso delle precedenti, la fonte deriva da colloqui con vari professori di urbanistica della Tongji University, nonché da colloqui avuti con l’Architetto Luigi Novelli, che vive a Shanghai da quindici anni e che ha studiato l’architettura e lo spazio Shanghainese, autore di varie pubblicazioni, una fra le altre L.Novelli, Shanghai. Architecture and the city, between China and the West, Dedalo edizioni, Roma 1999. 4 Si veda a tal proposito quanto già detto nel capitolo 3 172 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI un flusso in continua riconfigurazione. Leggendo con questa chiave due mappe del Master Plan District Structure e Urban Structure of Cities and Town è chiaro che esse non hanno altra pretesa se non quella di essere due mappe concettuali, in cui vengono creati un raggruppamento ed una localizzazione degli spazi indicativi, una schematizzazione fin troppo riassuntiva di una realtà non descrivibile se non attraverso una geometria decentralizzata, e percepibile solamente attraverso un itinerario, in cui lo spazio fisico e il tempo di percorrenza non sono scindibili: non è possibile parlare di una zona senza sconfinare nelle limitrofe perché ogni area ha in comune con le vicinanze una serie di caratteristiche non isolabili che determinano il percorso continuo delle informazioni. Posto questo fattore, cioè che le dinamiche dell’organismo urbano siano in realtà simili a qualunque scala le si guardi pur non essendo mai gerarchizzabili, è opportuno ricordare che già comparando le tavole Land Use e Urban System of Cities and Town l’impressione è quella che le due carte vivano delle stesse dinamiche, non sono differenziate se non nella scala e nella configurazione fisica dell’uso dei suoli, che tuttavia appare simile nella strategia da una tavola all’altra. Il nesso tra le due carte, infatti, è che scendendo di scala, pur presentandosi situazioni differenti, le dinamiche che stanno dietro al disegno sono simili le une alle altre, seguendo una logica simile a quella di un frattale che cambiando di scala si presenta simile nella diversità. Non c’è intento di offrire una possibilità operativa data da una maggior specificità da una scala maggiore ad una minore, ma quello che, alla luce di quanto visto, si può supporre supporre, è che le carte abbiano un valore strategico: più che dimostrare e indicare come operare nello specifico, infatti, le due carte individuano una strategia, che è quella della complessità e della Dinamiche frattali che spiegano l’autosomiglianza alle differenti scale 173 CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE sua rappresentazione. E’ come se queste carte cercassero di mostrare quanto è lunga una linea di costa, descrivendo tutte le asperità che ne determinano l’impossibilità di determinare una lunghezza ma mostrando, a scale differenti, come il sistema si comporti arricchendosi di dettagli: descrivendo cioè logiche e dinamiche che, a qualunque livello, hanno una matrice comune che le rende simili e che, attraverso il livello precedente, opera su quello successivo. Se ad una scala il risultato fisico della realtà è quello descritto esso proviene da una interpolazione delle dinamiche e delle variabili del livello precedente e fa conseguire, attraverso un processo di feed back, le dinamiche del livello successivo. Lontano da un piano che ad ogni livello prenda in considerazione solo gli aspetti che interessano quella scala, tutte le scale del sistema contengono, ricalcolate, tutte le variabili, e l’unico modo per comprenderle è paragonare le dinamiche per trarne le logiche di sviluppo. Il proposito del piano è di governare il cambiamento della metropoli dal 1999 al 2020, un tempo relativamente enorme considerata la velocità con cui cambiano gli scenari oggigiorno, ma il Master Plan si definisce non cercando di costruire il modello della città che nel 2020 diventerà reale, quanto di descrivere le dinamiche in gioco, il processo di virtualizzazione che si attualizza di continuo. - 7.3 – racconto comparativo: la struttura Come nel caso precedente anche la struttura della città di Shanghai ha alcune peculiarità che la differenziano enormemente dalla struttura di New York: se, infatti, nella metropoli americana, la griglia e la maglia dei trasporti sotterranei, unite secondo l’Access Tree, rappresentavano un tentativo di mettere ordine a priori nell’organismo urbano, una sorta di scheletro pianificato prima dello sviluppo, attorno al quale crescono gli 174 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE organi della metropoli, Shanghai si comporta in maniera differente. La diversità ha come sempre una matrice culturale alla base: la pianificazione in Cina non esiste come è intesa nell’occidente se non negli ultimi anni. La pianificazione, blanda, che veniva utilizzata prima, o, da un lato, è inadeguata all’attuazione del caso specifico concentrandosi sulla sua possibilità strategica, come è riscontrabile nel piano di Shanghai degli anni cinquanta, o, dall’altro, si concentra su troppi dettagli a scapito del tutto, come mette in luce il piano degli anni trenta. Nel creare una città, come un’architettura, si faceva riferimento al libro di tradizione imperiale del buon costruire, secondo i cui insegnamenti sono stati edificati i grandi palazzi (sia nella Città Proibita di Beijing in Cina, sia nei palazzi imperiali di Seoul, o di tutta l’Asia che ha subito l’influsso dell’impero cinese, questi insegnamenti sono stati attuati con pochissime varianti, solitamente legate alle decorazioni, mentre per i concetti generali la regola è applicata pedissequamente), legati a concetti più inerenti a forze occulte, metafisiche o naturali come il Feng Shui, che non a reali fabbisogni di un organismo urbano5. La difficoltà di lettura e di pianificazione è, probabilmente, ancora da leggere nel fatto che in Cina tutto accade in strada, tutto è flusso, e non esistono gerarchie di utilizzo: se il percorso, infatti, è sempre lineare non può esistere un luogo di aggregazione come la piazza occidentale, di conseguenza lo spazio urbano, che in Europa è diviso in momenti di passaggio e momenti di interscambio, mescola le due componenti nello spazio della strada. Ma a questo si aggiunge che la maglia strutturale definita nello Shanghai Metropolitan Transport White Paper, è un esoscheletro, un organismo imposto ad una realtà già formata e consolidata, che si è integrato con essa crescendole attorno e determinando mutamenti reciproci nell’interazione, a differenza di New York dove la maglia è stata pianificata a priori. 5 Anche in questo caso valga quanto detto nella nota 2. 175 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI La griglia di Shanghai non permette nessuna sezione, lontana dalla ortogonalità rassicurante della struttura newyorkese, è un groviglio di strade che si sormontano e si compenetrano di continuo, sovrimposte alla città, tanto che, secondo uno studio della Tongji University, esistono punti in cui strade a scorrimento veloce di tre corsie per senso di marcia, passano a un metro e mezzo dalle abitazioni al terzo piano. L’esempio del ponte Nanpu Bridge sul fiume Huangpu è particolarmente significativo per comprendere la logica della maglia di Shanghai: come un attrattore strano, nella fisica della com- La rappresentazione di un attrattore strano plessità, rappresenta le orbite di un sistema, contenute in una figura (l’attrattore strano), che determina lo spazio all’interno del quale sono racchiuse le possibilità di un movimento che, nelle loro orbite, non usciranno dall’attrattore e, contemporaneamente, non percorreranno mai lo stesso itinerario due volte, così Nanpu Bridge è un attrattore strano per i flussi di traffico verso Pudong, in cui, in uno spazio limitato, sono possibili un numero enorme di possibilità di movimento, che non si ricalcano mai giocando tra le curve e le sovrapposizioni delle strade di Nanpu Bridge questo ponte. Se questo vale per le strade a scorrimento veloce si ripete autosimilmente per ogni tipo di circolazione: le strade pedonali e i marciapiedi spesso diventano sovrapassaggi o sottopassaggi, che a loro volta si sormontano e passano sopra o sotto alle strade a livello del suolo, accanto alle facciate degli edifici, parallele le une alle altre, passando attraverso le lobby di alcuni grattacieli il cui spazio semipubblico di esposizione e commercio al dettaglio si commistiona con il flusso di passaggio in modo da rendere incomprensibile se si stia osservando una strada o un grande magazzino. Ma ancora spesso e volentieri le strade passano all’interno degli edifici, tagliando un corridoio che possa congiungere due strade passando in mezzo al lotto edi- 176 Sottopassaggi che si sovrappongono CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE ficato, per continuare il loro percorso al di là, tanto da rendere impossibile la definizione di un blocco-isolato come a New York, e, non ultimo, da rendere difficoltosa una lettura in pianta della città che, in realtà, vive su tutti i livelli contemporaneamente. Esistono strade che hanno sei corsie per senso di marcia dalle quali si accede a strade della larghezza di un metro e mezzo o poco più, che servono interi quartieri chiusi e introiettati in vie semiprivate (i Lilong), tuttavia teatro di movimento di qualunque mezzo sia abbastanza stretto per poterci passare (motociclette o biciclette, assieme a carretti a pedali su cui viene trasportato ogni genere di bene). Lontana dall’essere un elemento generatore e organizzatore dello spazio la struttura della città di Shanghai ha dinamiche caotiche e frattali in cui la complessità è massima, motivo per cui mentre nel caso di New York una lettura della pianta della città può essere esemplificativa e chiarificatrice dei suoi livelli di flusso (come l’Access Tree), nel caso della metropoli di Shanghai la difficoltà e la sovrapposizione dei flussi rende la pianta solo una schematizzazione della realtà, una rappresentazione metaprogettuale che ne descrive le strategie, ancora una volta lontana da una descrizione del reale. Non è possibile tracciare una sezione per Shanghai come poteva essere fatto per New York: anche in questo caso non esiste un punto di vista principale che gerarchizzi lo spazio, nessuna delle dimensioni spaziali di Shanghai è mai preponderante rispetto all’altra, essendo gli spazi totalmente autoreferenziati. - 7.4 – racconto comparativo: i livelli L’impossibilità di tracciare una linea di sezione privilegiata, legata al fatto che la struttura della città, lontana dall’essere una ordinata griglia ortogonale, è un caotico dedalo di strade e vie che si sovrappongono, si riflette nello spazio tridimensionale della città: se New York viveva su 177 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI livelli paralleli che si congiungevano mediante sistemi verticali ibridi (mezzanine level), Shanghai, invece, si muove su dinamiche tridimensionali, in modo tale che venga annullata la scansione in livelli crescenti o decrescenti, che si sviluppano a qualunque altezza all’interno dello spazio racchiuso dall’attrattore strano che lo sottende. Se a New York, infatti, l’Access Tree determinava che i livelli si sovrapponessero in maniera lineare creando, in corrispondenza delle sovrapposizioni, una giunzione verticale che traslava il piano di riferimento di 90 gradi portandolo da orizzontale a verticale, a Shanghai il meccanismo si differenzia da questo schema: non esistono punti di risalita tanto quanto non esiste una griglia rigida, lo spazio si conforma in maniera tridimensionale determinando orbite di flusso irregolari che, di conseguenza, abbracciano lo spazio allo stesso modo in orizzontale e verticale. La risalita e la discesa è una linea continua ed impercettibile che nelle sue spire frattaliche cambia di quota o viaggia in orizzontale senza che un osservatore se ne renda conto. E’ il percorso che determina la gerarchia superiore o inferiore: scelto un punto di partenza ed uno di arrivo la strada si svolge con un logico ordine. Se New York l’altezza poteva essere percepita in tutti i livelli con una semplice considerazione di tipo più in alto più basso con riferimento al piano terreno come punto fisso, a Shanghai lo stesso piano zero si trova talvolta ad alzarsi ed abbassarsi rispetto al geoide generando fenomeni di orientamento strani. La Jinmao Tower, per esempio, è uno dei grattacieli più famosi e più descritti di Shanghai, esso ha all’interno gli uffici di una banca, che occupano i primi 32 piani, e un albergo che copre i rimanenti 52 piani. L’accesso alla banca avviene dal piano sotterraneo attraverso un edificio giustapposto al grattacielo che piega verso il primo livello sotterraneo i flussi che si dirigono all’istituto di credito, mentre la Hall dell’albergo è il momento di spazio semipubblico che porta a quella struttura ed è situata al cinquantaduesimo piano. Sezione della Jin Mao tower che mostra i flussi semipubblici (giallo) e semiprivati (rosso 178 CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI Considerando la Hall dell’albergo o la Hall di una banca come spazio semipubblico che garantisce, come a New York, il movimento orizzontale e verticale dei flussi a piano terreno e dei flussi in salita, in questo grattacielo abbiamo la compresenza di due momenti di spazio semipubblico, a 53 piani di distanza l’uno dall’altro, che insistono sulla stessa area in pianta senza tuttavia creare commistione. L’interno dela Jin Mao Tower Se il presupposto dell’Access Tree è una gerarchia ad albero, essa non trova riscontro a Shanghai, creando disorientamento. Ma ancora le camere dell’albergo si affacciano su un immenso spazio cavo centrale a tutta altezza mentre un belvedere in cima all’edificio permette di guardare sia all’interno dell’albergo che all’esterno. La Jinmao Tower ha la compresenza di due momenti di spazio semipubblico distinti, e considerando che la banca ha uffici che non hanno relazione con il pubblico, la Lobby semipubblica si trova al cinquantaduesimo piano, e ha un punto di vista totalmente interno guardando solo verso il vano centrale, equilibrio spaziale che muta solo all’ultimo piano quando il belvedere riporta il punto di vista verso l’esterno. Questo fenomeno di ibridazione tra spazio aperto e spazio chiuso, è un’altra componente presente nella metropoli di Shanghai che trova largo riscontro nelle metropoli asiatiche in generale: a Seoul la Seun Arcade è un mercato interno ad un edificio lungo circa 5 chilometri e alto sette piani, nel quale la gente vive e si muove in perenne ambiguità tra ciò che è interno ed esterno, dipanandosi tra un piano e l’altro attraverso scale e rampe che fanno sì che il percorso espositivo abbia un andamento che abbraccia più livelli contemporaneamente, percorsi anche da motociclette o biciclette, in cui non si può vedere un piano alla volta come in un normale centro commerciale ma si continua a salire e a scendere fino a perdere il senso dell’orientamento. Il Flower Market di Shanghai, nella parte francese dell’International 179 Il Flower Market CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE Settlement, è realizzato dentro al vecchio cinodromo e si configura come uno spazio su tre livelli in cui le dinamiche interne sono le stesse descritte per Xintiandi: una strada su cui si affacciano un numero enorme di negozi, che sviluppano la loro esposizione all’interno in viuzze che si muovono tra i singoli negozi, il tutto moltiplicato per tre piani per cui è possibile muoversi tra un punto vendita e l’altro pur rimanendo all’interno dell’edificio senza mai percepirne il confine fisico tra interno ed esterno, la sensazione, se non si guarda il tetto tre piani più in alto, è quella di un qualsiasi altro mercatino all’aperto che affolla le strade della metropoli asiatica in cui il percorso, ancora una volta, piuttosto che essere una linea si configura come una spira frattalica che si piega e si ripiega su se stessa in tre dimensioni contemporaneamente. Il naturale livello del suolo scompare anche in questo caso per lasciare spazio ad un continuo sovrapporsi ed intricarsi di strade che passano di livello e si abbassano in maniera naturale: il livello terra non sempre coincide con il piano zero e vi sono negozi il cui ingresso è al terzo piano e l’esposizione continua in basso, dove si trovano gli ingressi di altri negozi che hanno il secondo livello espositivo all’altezza dell’ingresso del primo. A Shanghai lo spazio è talmente ibridato da determinare l’impossibilità di tracciare un netto punto di separazione, tutto rimane sospeso e vive lo spazio nel suo interno: sotto a Renmin Park, descritta in precedenza, c’è un enorme centro commerciale che occupa l’intera area del sottosuolo dove arrivano anche due linee di metropolitana: arrivando da Nanjing Lu, per raggiungere il parco, bisogna attraversare mediante dei sovrappassi strade a quattro corsie per senso di marcia, che arrivano esattamente nei punti di uscita del centro commerciale/metropolitana, cosicché la continuità tra Nanjing Lu e Renmin Park è garantita sia che esso venga fruito in superficie come parco sia che esso venga fruito nel sottosuolo come mercato coperto. Spesso i collegamenti pedonali tra i vari edifici sono collocati svariati piani sopra la strada, cosicché è possibile passeggiare dall’uno all’altro 180 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE senza mai toccare il suolo, fenomeno riscontrabile in modo analogo in altre metropoli asiatiche come, per esempio a Hong Kong, dove i collegamenti del Business District sono tutti in quota mentre a livello del terreno c’è un grande parcheggio, e non esiste la possibilità di muoversi se non per raggiungere scale e ascensori di risalita come se ci si trovasse nei parcheggi collocati nei basement americani, due o tre livelli nel sottosuolo. Parlare di livelli in senso newyorkese a Shanghai è impossibile: se infatti la metropoli americana permetteva il movimento di un punto nel piano, sia che il piano di riferimento fosse quello xy che quello xz o yz, sempre mediante scarti orizzontali e verticali combinati, nella città cinese un punto nello spazio segue una traiettoria non lineare, che presenta molte analogie con le geometrie non euclidee, come il moto di una particella nell’aria, che è uno dei campi più investigati dalla fisica del Caos. Ma non sono solo queste caratteristiche a presentarsi in maniera anomala rispetto alle città storiche europee, altro fattore interessante è, infatti, proprio quella rottura dei rapporti tra interno ed esterno, o centro minore centro maggiore che caratterizzavano ancora una città complessa quale New York in cui, il pensiero postmoderno, ne aveva già modificato alcune dinamiche. - 7.5 – racconto comparativo: la crescita in altezza e le emergenze In uno scenario siffatto, è facile intravedere delle riverberazioni anche per quanto riguarda un altro punto, la crescita in altezza, che, nel caso precedente, era di grande importanza. Ma dopo una prima occhiata che parrebbe accomunare le due realtà quello che succede nei due esempi è molto diverso: a New York l’edificio alto è distintivo e crea orientamento spaziale al di sopra della griglia 181 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI strutturale, che si configura in maniera ortogonale e molto rigida. Nell’Access Tree i grattacieli infatti sono posti in punti di confluenza tra i diversi sistemi di flusso in modo tale da permettere una comunicazione tra i due, aprendosi a livello del terreno in uno spazio commerciale che fa da cuscinetto tra l’andamento orizzontale e quello verticale, secondo uno schema ancora fortemente legato alla lezione della Scuola di Chicago. Il bosco di grattacieli fa da sfondo a edilizia tipica cinese Shanghai ha 4300 grattacieli6 e il loro sviluppo è continuo e vertiginoso in una città che nel giro di vent’anni ha pianificato di creare abitazioni per 13 milioni di abitanti incrementando di circa un terzo in la situazione attuale. Lungi dall’essere punti focali nello skyline i grattacieli di Shanghai dominano l’ambiente nel suo insieme, sono ovunque e sottendono qualunque realtà più bassa, formando un complesso urbano dove non esistono punti di riferimento: il risultato finale degli edifici alti nella città di Shanghai è quello di creare un paesaggio naturale di cemento acciaio e vetro, che, come definiva l’architetto Cagnardi, Amministratore Delegato della Gregotti e Associati, sembra un bosco di grattacieli7. La definizione sembra appropriata: i grattacieli sembrano ricalcare un evento naturale, una foresta, e in molti momenti a Shanghai la sensazione che si ha è molto vicina al concetto romantico di sublime, di 6 Le stime sono state effettuate dalla municipalità di Shanghai, anche se colloqui con il dottor He Cheng, Comprehensive Information Division Director allo Shanghai City Development Research & Information Center sembrerebbero evidenziare, nelle strategie della municipalità, una perplessità in questo genere di edifici per molteplici ragioni sia di carattere sociale e di rischio, dopo l’11 settembre infatti si pone la domanda di quanto possano essere sicuri edifici di questa possanza, sia di carattere economico: il costo dell’abbattimento degli edifici nelle zone che si sviluppano con edifici a torre, e il costo di realizzazione, contrastano con la politica cinese che vuole garantire una abitazione a ogni cittadino a livello pubblico. La realtà e le stime non sembrano supportare tuttavia la scelta di creare una alternativa che non si sviluppi in verticale. 7 Anche in questo caso la considerazione è stata espressa in un colloquio privato avuto con l’architetto Cagnardi che descriveva le problematiche che lui e lo studio avevano dovuto affrontare affrontando il tema del concorso, da loro vinto, di costruire una delle nuove città, nella fattispecie Pujiang. 182 CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI Liujiahuzi a Pudong, dove si può sedersi e percepire la Sinfonia metropolitana fronte a paesaggi naturali-artificiali che tolgono il fiato. Una ulteriore considerazione sembrerebbe suffragare questa riflessione: nel Liujiazui Park a Pudong, nel centro del nuovo Business District, sede tra gli altri edifici del Shanghai Trade and Commercial Center (la borsa della città di Shanghai) è stato creato un giardino tradizionale cinese immerso in mezzo ai grattacieli, in cui tutto l’ambiente naturale riflette le regole del paesaggio della tradizione in maniera pedissequa. Al centro del parco vi è un’area, il Panorama Sail, da cui è possibile sedersi e fronteggiare i grattacieli delle vicinanze. La lastra di bronzo che offre una spiegazione della zona di sosta spiega in maniera molto significativa la filosofia dietro questa area verde: ”I visitatori possono sedersi e godere della vista dell’area circostante – l’acqua he si increspa nel laghetto azzurro contornato dal verde, e la linea degli edifici che si stagliano in altezza – che formano in fronte a lui una sinfonia urbana: e la loro vista può essere troppo intensa per essere abbracciata da una sola occhiata”. Questo approccio nei confronti del paesaggio naturale è tipico di alcune forme di arte tradizionale cinese come quella della disposizione di sassi su un basamento, che vuole, attraverso la sistemazione oculata di pietre sopra una lastra di marmo, ricreare una sorta di giardino zen attraverso la cui “sinfonia” è possibile meditare sull’ambiente naturale e sulle sue dinamiche Arte cinese di disporre le pietre su un basamento di marmo 183 CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI sentendosi tutt’uno con l’universo. Tipico delle arti tradizionali cinesi è il concetto introspettivo, in cui il fruitore entra in sintonia con le energie dell’opera astraendosi dalla contingenza, e vivendo di rimandi a sistemi più alti, ricercati e riprodotti con estrema cura grazie alla meditazione. La pittura tradizionale, per esempio, elabora una serie di temi molto limitati, e la perizia del pittore è quella di entrare nel soggetto, sintonizzarsi con esso per vivere dei suoi flussi: il bamboo, per esempio, uno dei temi più difficili, da ricreare attraverso una pennellata unica per il fusto ed un solo gesto per ogni foglia, è, a detta dei più, uno dei temi più complessi perché è difficile riuscire non tanto a rendere l’arbusto, quanto ad entrare in sintonia con le sue forze, ed esprimerle con gesti così semplici in tutta la sua potenza, La lapide nel parco richiede proprio questo esercizio di astrazione e di immedesimazione. L’importanza, in entrambe le forme d’arte citate, è non tanto quello di rendere pittoricamente i dettagli di un tema, quanto quello di creare un oggetto che ne esprima, in piccolo, le stesse energie e la stessa potenza, che permetta cioè di sedersi di fronte e leggere la sinfonia dell’opera. Ma ancora uno dei pochi temi espressi dalla pittura tradizionale cinese è costituito da un ambiente naturale in cui piccoli villaggi di case tradizionali con i tessi a falde curve che guardano verso l’alto sono collocati tra enormi montagne ripidissime che, come le Meteore greche, incombono sui villaggi. E’ curioso vedere come l’effetto di questi quadri, di cui una delle due più grandi raccolte si trova al Shanghai Art Museum, ricordi in maniera molto forte i grattacieli di Shanghai all’interno del sistema urbano. Lontano dal concetto di edifici alti come obelischi che attraggono l’occhio, i grattacieli shanghainesi sono un sistema di montagne che crescono ad altezze diverse lasciando spazio a luoghi come i Lilong, che si inseriscono bassi come i villaggi dei quadri di pittura tradizionale. Se c’è una caratteristica assolutamente cinese in una città che, guardando per sua stessa ammissione alle metropoli americane come paradig- 184 Quadro tradizinale cinese su carta di riso CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE ma per il suo sviluppo, è inserita in logiche di globalizzazione che spesso le vengono contestate, è forse in questa continua introspezione che permea ogni aspetto della metropoli. Non si può, quindi, parlare di emergenze: i grattacieli di Shanghai sono raggruppati in sistemi montuosi naturali nella loro artificialità, e anche i numerosi edifici frutto di famose firme internazionali, presenti in numero ingente in tutta la metropoli, sono, salvo rari esempi, assolutamente indistinguibili nel contesto. D’altro canto la struttura, lontana dalla cartesiana e stereometrica griglia di New York, non permette di evidenziare luoghi specifici né da un punto di vista gerarchico né da un punto di vista funzionale, lo schema dell’Access Tree non avrebbe nessuna attinenza con un sistema che si sviluppa secondo un attrattore strano in cui non esiste una parallela sovrapposizione di livelli, né tanto meno avrebbe significato in un luogo dove le geografie sono a rete web: in un sistema multicentrico esiste infatti una gerarchizzazione indotta che permette di definire il centro e differenziarlo dal sub-centro, in una geometria decentralizzata, invece, ogni punto diviene importante e gerarchizzato a seconda dell’infinito numero di flussi che possono essere creati in corrispondenza di esso, e a seconda del punto di vista locale del fruitore e della sua linea di flusso motorio. Non essendo possibile attribuire a priori una freccia vettoriale, derivante dal moto a scacchiera tipico del sistema newyorkese, essa va calcolata reiteratamente sulla base del percorso effettuato. Le energie che influiscono sul movimento nel qui ed ora, sono espresse dall’intenzione (banalmente, da questo puntodevo andare in quell’altro, quindi la mia freccia di spostamento tenderà verso quel quadrante di spazio) subordinata a tutte le forze accidentali che incidono sul qui ed ora in esame, dalle più semplici (devo attraversare ma passano le macchine quindi attraverso al semaforo successivo), alle più complesse, (prendo quel sottopassaggio che mi porta un po’ più a sud, ma poi posso tornare indietro evitando di attraversare una strada a scorrimento 185 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE veloce). Se il movimento, a New York, era quello descritto nella famosa opera di Natalini, Movimento di un punto da A a B, predeterminando il punto di partenza e quello di arrivo, e subordinando lo spazio tra i due punti attraverso una matrice orizzontale verticale, nel caso di Shanghai non esiste matrice se non quella che si riconfigura in ogni momento. Analizzando il problema in termini semiotici è possibile fare chiarezza: esiste un’emittente e un ricettore, in mezzo sta il segnale che si sposta da un polo all’altro in maniera univoca, anche se sporcato dal rumore. Applicato questo sistema ad un itinerario newyorkese, sono in Union Square e devo andare Times Square, per esempio, lo spazio tra i due punti diviene ininfluente in termini di spostamento, e il rumore è dato dagli accidenti che si incontrano lungo il percorso, come i semafori rossi o le strisce di attraversamento pedonale: esse incidono fortemente sul tempo di trasferta ma in maniera poco influente per quanto riguarda l’itinerario. Supponiamo che tra i due punti in esame ve ne sia un terzo, l’Empire State Building, tale per cui sia possibile la scelta di passare accanto, o di tagliare appena prima e tornare sull’itinerario precedente appena dopo, lo spazio, arrivati in prossimità dell’Empire State Building, avrà valenze differenti che si definiscono solo nel momento in cui uno dei due itinerari viene scelto scartando l’altro. Un segnale arriva dritto fino al bivio, si configura secondo una delle due deviazioni scelte, e ritorna sul percorso dato, oltrepassata la deviazione. Supponiamo ora che si scelgano due punti, ma che il segnale possa passare da infinite direzioni equivalenti, supponiamo cioè che il rumore, gli accidenti che si possono incontrare lungo il tragitto, siano talmente tanti da rendere impossibile la definizione a priori di un itinerario, lasciando spazio ad infinite ricombinazioni che formeranno l’itinerario scelto via via che lo si percorre. Shanghai è un sistema che, per le logiche esposte, ricalca in tutto e per tutto il secondo esempio, creando uno spazio in continua riconfigu- 186 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE Skyline di Hong Kong vista da Kowloon razione, per cui le emergenze che si potevano evidenziare a New York sono in numero talmente elevato da non svolgere più la funzione di emergenza, ma da sottolineare tutti i punti della città. Potremmo dire che tutta la città di Shanghai è una emergenza nella logica dell’arte tradizionale esposta prima: quello che conta infatti non è la sottolineatura di un punto, quale riferimento visivo o geografico, quanto la Sinfonia urbana, ovvero quel fenomeno di rimando in cui, attraverso il complesso dell’opera d’arte nel suo insieme, e alle sue dinamiche naturali “bonsai”, permette di immedesimarsi in un ambiente naturale, e attraverso la percezione della sinfonia creare un orientamento spaziale. E’ caratteristico come questo fenomeno sia similmente riscontrabile in gran parte delle metropoli asiatiche: un esempio tra i tanti è offerto dallo skyline di Hong Kong guardato dalla prospiciente isola di Kowloon, in cui la linea frastagliata delle montagne di sfondo si mischia con la linea Skyline di Shanghai a Hongqiao 187 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE frastagliata dei grattacieli, in maniera tale che diviene impossibile comprendere dove inizi la parte naturale e dove quella artificiale. Se Shanghai, per l’architetto Cagnardi, è come un bosco di grattacieli, Hong Kong è come una catena montuosa, e il discrimine su quale sia la parte costruita dall’uomo e quale quella totalmente naturale è rintracciabile. E anche ad Hong Kong, quando da Kowloon si guarda lo skyline, non si riesce subito ed evidenziare i punti più noti, la Hong Kong and Shanghai Banking Corporation di Foster scompare quasi nel complesso di edifici alti, e la Bank of China di Pei è solo un picco più alto in un sistema di montagne, così come si potrebbe differenziare il Cervino dalle alpi in cui è immerso: il sublime, sentimento romantico di fronte a paesaggi naturali, viene percepito attraverso l’insieme di cui il Cervino fa parte, non attraverso la contemplazione estatica della montagna slegata dal sistema in cui è immersa, e lo stesso discorso vale per i grattacieli di Shanghai come di Hong Kong. - 7.6 – racconto comparativo: le icone Anche Shanghai, come New York, ha un consistente numero di riferimenti iconici di edifici che permettono una immediata riconoscibilità, ma ancora una volta con delle differenze sostanziali. Se a New York il fenomeno è reso più immediato da altri accadimenti concorrenti, quali il cinema, che permettono immediato riconoscimento di alcune parti perché vengono mostrate in svariati contesti, questo fenomeno è sicuramente più appartenente al mondo occidentale che non a quello asiatico: gran parte della filmografia cinese, infatti, quando descrive Shanghai la mostra negli anni trenta, il suo periodo di massimo sviluppo, ed è ben distante da quella mercificazione dell’immagine tipicamente capitalista che la Cina, per ragioni storiche e culturali, non persegue. 188 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI Sono tuttavia presenti numerosi edifici e luoghi che, oggi, vengono pubblicizzati e mostrati come icone della città, con la pretesa che questi complessi possano dare un senso alla città. Un esempio è rappresentato dal modello ligneo custodito a piano terreno della Urban Planning Exibition Hall, logo che la città ha creato in previsione dell’Expo 2006. Questo modello è molto interessante perché riflette le dinamiche descritte sopra in una cristallizzazione che contiene numerosi spunti: primo fra tutti è il fatto che, in un modello che dovrebbe essere rappresentativo della realtà urbana, venga menzionata la struttura, che riporta anche i cavalcavia. Se il mondo occidentale tende a dimenticare questi elementi, considerati necessari ma non da esporre con orgoglio in un logo, tranne quando si tratti di importanti opere di ingegneria (come il ponte di Brooklyn per New York per esempio), la città di Shanghai li considera talmente parte del suo contesto, da dare a loro un posto di rilievo al pari di altri edifici storici e contemporanei nel suo logo. Un secondo spunto interessante di questa scultura è il fatto che non venga scelto un edificio solo ad immagine della città (come invece viene fatto per esempio da Parigi con la Tour Eiffel o da San Francisco con la Transamerica Piramid) ma opta per un affastellamento di vari edifici esistenti e in fase di edificazione (come il grattacielo di KPF di cui, ad oggi, si stanno compiendo gli scavi e le palificazioni di consolidamento), secondo logiche che venivano usate in Europa nelle stampe seicentesche, in cui ad una volontà di rappresentazione di tutti gli edifici che caratterizzavano una città venivano sacrificate le loro reali localizzazioni, rappresentando gli edifici di pregio in maniera tale da “farli stare nella stampa”. Il modello ligneo di Shanghai risulta un affastellamento di edifici, esistenti e non, secondo una logica che sembrerebbe riflettere le dinamiche descritte sopra a proposito dell’arte tradizionale: anche qui infatti la scelta è, piuttosto che mostrare un oggetto fortemente indica- 189 Logo per l’EXPO di Shanghai 2006 CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE tivo per la città, ricreare una sorta di opera che possa mostrare la sinfonia urbana, di fronte a cui è possibile fermarsi e riflettere entrando in sintonia con le energie proprie dell’organismo urbano. E’ curioso, inoltre, riscontrare come le dinamiche che sottendono un elemento identificativo per l’intero organismo urbano, siano ancora legate a logiche di contrapposizione che sembrano le stesse che sottendono l’intera città: gli edifici a Shanghai sono giustapposti con le stesse dinamiche, caotiche, che riflettono una forma figlia di un attrattore strano. Se New York esibiva le sue icone attraverso edifici di particolare pregio, vuoi perché progettati da grandi nomi, vuoi perché situazioni descritte da film, canzoni o immagini che le hanno rese famose, Shanghai si comporta in maniera differente: anche questa metropoli presenta infatti dei luoghi iconici, ma si tratta per lo più di facciate piatte, vie o sistemi di vie, descritti sopra, che sembrano più simili a Disneyland che non nate da progetti coerenti e complessi. Nella logica della messa in scena che caratterizza entrambe le metropoli New York punta su un edificio o un evento che caratterizzi un contesto: la zona del Guggenheim ne gravita attorno, anche quando non si può vedere quello specifico edificio è immediata la percezione che si è nella sua zona di influenza, e questa icona crea un senso per l’area in cui è immersa. A Shanghai il fenomeno è differente: la zona di Xintiandi, descritta sopra, è caratterizzata dal fondale piatto formato dagli edifici prospicienti le quattro vie che la formano, ma finisce lì, passate quelle strade si è già in un contesto differente. Se a New York è possibile parlare di area del Guggenheim come di una zona subcentrale, di cui il museo è uno degli edifici, il più importante, che insistono sullo stesso territorio, nel caso di Shanghai, Xintiandi è la zona, tutti gli edifici iconici sono Xintiandi, e basta attraversare la strada per entrare in un altro sistema, per esempio la Hong Kong Plaza, che ha altri riferimenti iconici a creare senso. 190 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: In questo senso le icone di Shanghai ricordano la Strada Novissima della Biennale di Venezia del 1980: ogni facciata di edificio era stata realizzata da una grande firma, tanto che non era possibile definire la strada Novissima, per esempio, come la via di Gehry, ma come una strada il cui senso veniva espresso più che dal singolo progettista, dall’accostamento dei progettisti. Ma ancora è interessante che, in un luogo in cui le geografie sono decentralizzate la loro presenza non funziona come polo di attrazione per un centro, non si può inserire in un discorso di gerarchie, ma rimane un fattore isolato nel tessuto connettivo della città di Shanghai, che, ancora una volta, trae senso da gerarchie personali e assoggettate al segnale specifico, così come la strada Novissima potrebbe essere la via di Gehry se si intendesse andare in quella zona per vedere quell’edificio o la strada di Aldo Rossi in caso si concentrassero le attenzioni su quest’altro progettista. - 7.7 – racconto comparativo: cultura Pop e substrato Se New York ha imparato da Las Vegas utilizzando Le luci e le insegne di Nanjing Lu luci e insegne per farne parte della sua architettura creando un fenomeno particolare, Shanghai ha assorbito la lezione e l’ha fatta propria. Se le luci di Times Square, infatti, hanno fatto storia e hanno creato un precedente tanto apprezzato quanto copiato, anche le metropoli asiatiche applicano questi concetti e ne fanno parte integrante del loro scenario urbano: Nanjing Lu, considerata dai cinesi la Fifth Avenue Shanghainese, di notte si illu- 8 Una delle cronache dei cambiamenti di Shanghai da un punto di vista sociale è P.Yatsko, New Shanghai.The Rocky rebirth of China’s Legendary City, John Wiley & sons ed., Singapore 2001 191 SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI mina a giorno grazie ad infinite insegne luminose, fenomeno degli ultimi anni perché fino agli anni ottanta non esistevano neon a Shanghai, come riportano alcune cronache8, e l’illuminazione pubblica era effettuata mediante poche lampade fioche mentre oggi, non solo alcune strade sono letteralmente coperte di insegne, ma basta guardare la città dall’alto per comprendere come alcune zone, come per esempio Hongqiao, zona residenziale dove vive gran parte della Cavi della luce scoperti accanto a Xintiandi comunità internazionale, sono illuminate quasi a giorno. Pudong stessa, creata ex novo, ha come presupposto quello di brillare come un diamante contrapponendo alla parte storica un polo moderno e all’avanguardia. Ma la lezione più interessante che Shanghai ha imparato da Las Vegas è proprio in quelle dinamiche descritte in precedenza: creando vere e proprie vie che vivono solo di facciate, in cui l’edificato forma un fondale da cartolina, che sembra costruito ad hoc per una rappresentazione teatrale, mentre spostandosi sul retro la realtà cambia totalmente. Se alcune zone come Xintiandi sono talmente curate da sembrare finte, in cui nulla ha più la polvere e lo sporco che caratterizza la maggioranza degli spazi pubblici shanghainesi, basta voltare un angolo per trovarsi di fronte a uno scenario completamente differente, come ben mostra il contenitore dei cavi elettrici che fa angolo con una delle vie più commerciali e al contempo turistiche di Shanghai. Se, da un lato, la Cina vive orgogliosa e rispettosa delle proprie tradizioni, seguendo ancora ritualità vecchie di millenni, dall’altro interpreta questa tradizione nell’architettura in maniera da renderla a misura di turista: la Sala da Thè al centro dello Yu Yuan Market è uno dei posti più vecchi e più fotografati di Shanghai da sempre. Esistono foto di questa sala da The che risalgono alla fine del secolo scorso, e non ha mai cambiato né forma né configurazione da allora, 192 Yu Yuan Market CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE sorgendo in una delle zone più vecchie della Chinese Shanghai, accanto allo Yu Yuan Garden, giardino le cui origini risalgono fino al 1500. Accanto a questi due luoghi è stato creato, oggi, un intero quartiere con case costruite con le fattezze delle abitazioni cinesi di trecento anni fa, senza peraltro l’intenzione di creare un falso storico perché l’attenzione per i dettagli è minima, e fa largo uso di soluzioni che non solo sono attuali ma neanche sono anticate (Un esempio è rappresentato dalla pavimentazione, realizzata con formelle in cemento colorato regolare, posate a formare un gioco di orizzontali e verticali). Considerato che tutto ciò che circonda la sala da the e il giardino è un grande mercato dove si vendono souvenir di ogni genere (da ninnoli di giada a the cinese per finire con quadri di pittura tradizionale e gioielli in oro e preziosi) si può forse ipotizzare che il proposito della municipalità fosse quello di creare un parco dei divertimenti, ma siamo ben lontani dalla cura e dalla attenzione che si può vedere in alcuni centri europei (come Mont St. Michel in Francia), che, pur avendo lo stesso proposito commerciale, tendono a creare un ambiente che sia il più possibile vicino all’atmosfera che si respirava un tempo, includendo anche le insegne dei negozi (è curioso, a tale proposito, vedere come, per esempio, anche Mac Donald’s, emblema della globalizzazione, sia molto attento a questa differenziazione tanto che, a Salisburgo, entrambi i fast food che hanno ingresso sulla strada principale, hanno insegne realizzate su scudi di ferro anticati come fossero le insegne di vecchie taverne Tipi shanghainesi: giocatori di mahjong e biciclette 193 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE DI UN RACCONTO: SHANGHAI medievali). A lato di queste aree che sono state pianificate per fornire la nuova immagine della città al mondo, nel proposito che Shanghai possa divenire, nel 2020, la New York del ventunesimo secolo, esistono moltissimi altri contesti urbani che sottendono la città e che, attraverso infinite variabili, in un tentativo di costruire una metropoli globale, mantengono inalterate caratteristiche tipicamente asiatiche. A cominciare da biciclette e carretti su cui Cinesi in abito tradizionale trasportano qualunque genere di oggetto, di qualunque dimensione e peso, per continuare con gruppi di persone che giocano a Mahjong su tavoli improvvisati per strada, ogni episodio di colore riflette la vita e la Neoclassici Palazzi coloniali a Waitan cultura di un paese asiatico. Così, se a New York una peculiarità può essere rappresentata dai venditori di Hot Dog per strada, a Shanghai è pieno di improvvisati ristoranti che vendono Noodles o altre specialità della cultura cinese, come nella prima metropoli era interessante guardare le evoluzioni e i giochi degli artisti di strada a Central Park, nella seconda è assolutamente ammaliante il gioco di aquiloni che colora il cielo di Renmin Park nelle giornate di sole, a dimostrazione che ogni posto, benché miri ad una globalizzazione del suo ambiente, rimane fortemente radicato a Dettagli di architettura tradizionale fenomeni locali. Questo fenomeno rispecchia in maniera più interpretativa anche l’architettura: la Jinmao tower di Owings Skidmore and Merrils viene, per esempiio, dalla reinterpretazione della torre campanaria dei monasteri buddisti e confuciani. Dichiaratamente i progettisti hanno reinterpretato le forme e le geometrie di questi elementi per creare un grattacielo che mostri le stesse caratteristiche, sia attraverso la pianta esagonale che attraverso la scansione in altezza, andando a guardare uno degli elementi simbolici più rappresentativi, a loro parere, di un sistema di pensiero riproponendolo in chiave contemporanea e tecnologica. Ancora elementi legati alla cultura popolare con i rimandi alla specifica 194 Aquiloni a Renmin Park, un divertimento diffuso, oltre che a Shanghai, in tutta l’asia CAPITOLO 7 – L’ESPORTAZIONE provenienza asiatica, possono essere ritrovati ovunque, ad iniziare dagli edifici a Waitan, che sono descritti come edifici in stile neoclassico, ma in cui le decorazioni non hanno nulla a che vedere con quelle del neoclassicismo come può essere osservato in Europa, e dove le decorazioni floreali su volte e balconi rimandano a fiori e piante locali, dalle forme bizzarre, che stonano con l’imponenza e la pretesa di neoclassicismo degli edifici coloniali. 195 DI UN RACCONTO: SHANGHAI CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE Capitolo 8 – Conclusione Una sedia, è una sedia, è una sedia, dichiarava Kossuth nel titolo del quadro che viene considerato la prima opera di arte concettuale, esponendo tre oggetti: una sedia reale, con accanto la copia di una pagina di dizionario alla voce sedia, accanto ad una foto di una sedia. L’intento era quello di esprimere quanto, un oggetto semplice, avesse alle spalle una serie di costruzioni mentali complesse, che ne esprimevano in maniera differente alcuni aspetti, nascosti nelle altre due immagini: la realtà non è mai ciò che sembra, o meglio, ciò che vediamo è sempre solo una parte del messaggio, che poi tuttavia può essere compendiato e spiegato attraverso altre rappresentazioni. Così potremmo dire allo stesso modo che Shanghai, è Shanghai, è Shanghai, un fenomeno complesso che può aprirsi in infiniti giochi linguistici che ne sviscererebbero ogni volta sfumature celate in precedenza. Alla luce del racconto narrato, e sulla base di quanto investigato a proposito del pensiero contemporaneo, a riguardo delle tematiche della complessità e del virtuale, sorgono alcune riflessioni che, sulla lettura del master plan, possono spiegare e chiarire alcuni concetti che appaiono di difficile comprensione e condivisione nel piano. Una riflessione preliminare sembra rivestire un certo interesse: se Lévy vede il tema del virtuale, incentrato nella contrapposizione dialettica di due termini, Virtuale-attuale, che compendiano il classico binomio filosofico basato sulla contrapposizione di Possibile-reale, decretando, collassato l’essere nel mondo, l’impossibilità di costruire un modello aprioristico e predeterminato di un evento, questo ha una ricaduta immediata nel campo urbano. Quello che ha mosso la pianificazione occidentale tradizionale, infatti, fino alla postmodernità, è il tentativo di creare un modello di città, per196 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE fetta e funzionale, che possa, rivestita di materia, diventare reale e risolvere le problematiche che si prefigge. Anche New York, seppure con logiche banali e speculative, si propone di teorizzare un modello che possa divenire reale, e dichiara questo intento sin da quando inizia la progettazione della maglia, che, tutt’oggi, è l’elemento chiave della città. Scartando Ovali cerchi ovali o stelle, che abbelliscono la pianta, decreta la funzionalità , o meglio la funzionalità per la speculazione, alla base del suo modello, e, in tutte le sue teorizzazioni, cerca di raffinare il modello e di renderlo meno grezzo, pur arrivando ad un concetto di spettacolarizzazione che poco ha a che spartire con questi concetti di partenza. Lungi dall’essere sostitutiva del binomio possibile-reale la seconda coppia la chiarifica, ne determina un ulteriore aspetto togliendole ogni anelito metafisico, così anche Shanghai, forse, tenta di costruire il suo modello, ma è singolare come subito lo neghi a favore di uno sviluppo che ha solo una strategia pianificatoria di fondo, basata sulla combinazione di informazioni di varia natura. L’attuale, lungi dall’essere statico, acquisisce, nella concezione di Lévy, una dinamicità sottesa dal processo, quello di virtualizzazione, che non ha nulla della staticità metafisica di un modello aprioristico, è un continuo flusso di informazioni che si configura in una cristallizzazione che ha valore nel qui ed ora. Se l’esempio è quello del seme, pianta in potenza, informazione forse scontata e poco significativa per comprendere questa pianta, il processo di virtualizzazione meglio si presta ad avvicinarsi ad una verità, risultato non più di un archetipo, quanto di un momento che ha valore solo se considerato in sé e per sé. Shanghai ha piantato il suo seme, città in potenza, e ora sta operando sulla sua crescita in modo da governarne lo sviluppo mentre accade, lontana dal definire disegni precisi e predeterminati, bada spesso molto di più alle strategie di sviluppo, che hanno momenti di feed back molto più brevi che i vent’anni dichiarati a priori. 197 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE Il sistema di gestione del traffico è emblematico a questo proposito: è stato prodotto un disegno che ne traccia gli andamenti, ma il documento più importante, il White Paper, è quello che ne regola le modifiche e gli adattamenti futuri in modo che il processo sia dinamico nella sua realizzazione. Alla materia, secondo Virilio, è stata aggiunto il tempo, in epoca moderna, e l’informazione, e Shanghai si nutre di continua informazione e la riconfigura continuamente. Per questo motivo, forse, orientarsi a Shanghai è un problema dinamico, in cui non esiste un punto di vista principe e altri subordinati, ma tutto è tessuto connettivo che si ordina sulla base di un catalizzatore rappresentato da una scelta che, attraverso le sue gerarchie, si riflette nello spazio circostante creando una possibilità di movimento e di sviluppo che, uscendo dalle infinite possibilità, crea una rosa di scelte finita e computabile. Più che definire un piano, sembra che Shanghai definisca uno scenario alla base del suo sviluppo, e il concetto stesso di scenario implica un sistema aperto e dinamico costruito sulla base delle informazioni raccolte: uno scenario è verosimile, non vero, che presupporrebbe l’esistenza di una verità oggettiva alla base, quanto più le sue infinite informazioni riescono a collimare e si articolano in un discorso legittimato dalla condivisione più che dall’attinenza ad un modello. Il battito delle ali di una farfalla a Tokyo poco può operare sulla griglia cartesiana alla base di New York, e questa sua rigidità di fondo rende problematico operare su una sua riconfigurazione, come pare dimostrare la tragedia dell’11 Settembre che mette in evidenza quanto questa città sia poco capace di staccarsi dal modello: tutte le proposte progettuali che sono state consegnate infatti presentano una perplessità insita nel fatto che vogliono ricreare un evento nel modo il più possibile vicino a quello che c’era, senza riconfigurare nulla tranne la forma dell’intervento, senza meditare su se stesso sostituendo semplicemente un pezzo mancante con un altro che ha le stesse caratteristiche. 198 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE Shanghai, per la sua continua mutazione che la rende una città sempre diversa e sempre in mutazione, parte proprio dalle problematiche specifiche, rendendo da un lato impossibile definire un punto di vista principe, e dall’altro operando sul suo contesto prediligendone il movimento, senza porsi il problema di demolire edifici vecchi magari di cinque anni mutate le caratteristiche e le necessità di una determinata zona. New York è un palcoscenico su cui si muovono flussi di persone e di cose a creare un intreccio, la sua parte affascinante, che rende questa città tanto rappresentata e descritta: è un basamento di marmo che permette un gioco delle parti di cui si nutre di continuo. Shanghai non è un basamento di marmo, è la scultura creata con le pietre su un piano di marmo, in cui la messa in scena ha caratteristiche differenti: non è una pièce teatrale in cui si muovono attori inconsci, è una cristallizzazione nell’attuale che mantiene viva e percepibile la sinfonia urbana che la sottende. Shanghai è una stereorealtà in cui il reale collassa nel modello e vice versa in un continuo processo dialettico di virtualizzazione come lo descrive Lévy, nulla ha rimandi metafisici a dogmi aprioristici quanto, forse, alla sincronicità dell’I Ching, il libro cinese dei mutamenti, insita nel pensiero cinese sin dai tempi remoti. Metodo divinatorio simile ai tarocchi occidentali il libro dei mutamenti basa le sue predizioni sul lancio di tre monete che permettano l’individuazione di un esagramma che, lungi dallo spiegare e fotografare una realtà o una risposta, fornisce una serie di riflessioni filosofiche che sono alla base del quesito nel momento in cui è posto, e che, ragionate, permettono di comprenderlo e di operare le scelte alla base del quesito stesso. Leggendo la prefazione all’I Ching scritta da Jung nel 1949, stupisce quante attinenze vi siano tra la sua filosofia di base e il concetto di virtualizzazione: Chiunque abbia inventato l’i Ching era convinto che la coincidenza di un esagramma con il momento preciso in cui è stato ottenuto non fosse solo temporale, ma anche qualitativa. Per lui, più 199 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE ancora che la data esatta all’ora e all’anno, è l’esagramma il rappresentante del momento stesso in cui l’esagramma è stato ottenuto; esso è come un indicatore dell’essenza della situazione prevalente al momento della sua origine. La sincronicità, alla base del libro dei mutamenti, forma un punto di vista diametralmente opposto a quello della causalità. Poiché il principio di causalità ha una validità meramente statistica, e non assoluta, esso in pratica è solo un’ipotesi di lavoro su come gli eventi si evolvano l’uno nell’altro; la sincronicità invece, attribuisce alla coincidenza di eventi nel tempo e nello spazio un significato un po’ più ampio della pura manifestazione del caso, e cioè riconosce una particolare interdipendenza degli eventi oggettivi tra loro e degli stati (psichici) soggettivi dell’osservatore o degli osservatori.Se la causalità descrive la successione degli eventi la sincronicità, per il pensiero cinese, tratta della coincidenza degli eventi. Mentre il pensiero occidentale setaccia, soppesa, seleziona, classifica, isola con la massima cura, la concezione cinese del momento presente abbraccia ogni cosa, fino al dettaglio più minuto e privo di significato, perché alla formazione del momento presente contribuiscono tutti gli ingredienti. Shanghai ha alla base una metodologia di tale tipo, che ben viene spiegata dal processo di virtualizzazione: un modello è troppo statico per poterne rendere le sfumature e tutto, spazio tempo informazione, si trova a giocare in una sincronicità attuale, sottesa e definita da un processo virtuale. Il punto di arrivo di Shanghai non è una pianificazione caso per caso, che guarderebbe la globalità delle forze che agiscono su una situazione specifica, quanto il tentativo di operare sul tutto attraverso il tutto: non interessa al piano regolatore di Shanghai, scendere troppo nello specifico di una data area, gli interessano le strategie e come la loro cristallizzazione possa dare luogo ad una forma che, immersa nell’organismo urbano, lo completi e lo modifichi a sua volta in un continuum senza fine, che andrà ad interferire con il prossimo futuro e con la sua 200 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE definizione fisica. Proprio queste dinamiche di fondo portano Shanghai ad una serie di ricadute fisiche: primo fra tutte la sua configurazione spaziale decentralizzata. Se, infatti, alla base di un sistema multicentrico è una gerarchizzazione degli spazi, che porta a subordinare la periferia dei subcentri ai rispettivi centri, in relazione fra loro a formare un tutto organico, l’esasperazione di questo fattore porta alla dispersione, ove ogni singolo evento è centro e subcentro di se stesso in un continuum relazionato a formare l’organicità del tutto. Come esistono infinite storie relative alla città i Shanghai esistono infiniti centri che le sottendono, e il loro gerarchizzarsi è legato al momento attuale, nel processo di virtualizzazione che lo genera, così ha valore, in alcuni momenti, far collimare il centro di Shanghai con il suo CBD, mentre in altri, il CBD stesso si separa in un numero enorme di sub-CBD, che scendono di scala, come si è visto, sino ad investire le singole abitazioni. A spiegare l’apparente caos che, in tal modo, viene a delinearsi, viene in aiuto la scienza della complessità che mostra come l’andamento e il frastagliarsi dei centri sia retto da dinamiche di autosimilarità, quelle che stanno alla base di un frattale, che mostrano come vi sia una corrispondenza tra tutte le varie scale che permette di ritrovare non tanto uguali dinamiche, quanto simili strategie di definizione. Molte cose a Shanghai richiamano questi concetti, dal suo frazionamento ai suoi flussi di traffico che riescono, con la stessa logica, a spiegare come si muove il traffico delle expressways che corrono sopraelevate con flussi ad alta velocità sovrapponendosi e incrociandosi come le strade locali che entrano nei Lilong. A questo fatto va aggiunto che i livelli collaborano, nella loro scarsa gerarchizzazione, a questo sistema di riconfigurazione continua dove una definizione scientifica della posizione non può essere analizzata settorialmente: siamo lontani dai predeterminati movimenti a scacchiera che caratterizzavano la griglia di New York, in cui ogni posizione era eviden- 201 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE ziata da un punto e una direzione nello spazio, il sistema dei livelli shanghainesi vive ancora una volta all’interno di un flusso che si configura e si determina dalla sincronicità di infiniti parametri, regolamentati da un attrattore strano che ha una locazione in uno spazio tridimensionale che nulla ha a che vedere con i piani su cui si muovono i vettori nello spazio. Questo fattore è relazionato al fatto che le emergenze non siano più, come a New York, momenti identificativi di un ordine superiore, quanto una crescita ed una cristallizzazione dei flussi di informazione che si configurano, ancora una volta, come un sistema ibrido in uno spazio tridimensionale più che in una armonico e referenziale scenario che rimandi ad altro. Non è importante il singolo pezzo, il singolo edificio o la singola vista nel sistema Shanghainese, quanto la sincronicità di cui vivono tutti questi eventi assieme, così il rimando non è ad una idea precisa, quanto ad una sinfonia in cui ogni elemento collabora all’importanza. In questo senso si può leggere la frase scritta sulla lastra di bronzo a Liujiahuzi park in Pudong, e in questo senso è spiegabile il motivo per il quale a Shanghai non è possibile tracciare una sezione che possa essere paragonata alle sezioni newyorkesi. New York infatti moltiplica all’infinito le sezioni, Shanghai le annulla nel tutto rendendo una visione di questo genere inadeguata: ancora una volta il pensiero occidentale, e in questo caso la metropoli occidentale, setaccia, soppesa, seleziona, classifica, isola con la massima cura, mentre la metropoli cinese del momento presente abbraccia ogni cosa, fino al dettaglio più minuto e privo di significato, perché alla formazione del momento presente contribuiscono tutti gli ingredienti, creando proprio la menzionata Sinfonia Urbana. E proprio la sinfonia sta dietro all’arte tradizionale di disporre pietre su una lastra di marmo a ricreare un paesaggio naturale evoca un’altra riflessione: una metropoli che arriverà ad essere edificata per l’85 percento del suo territorio, ampio 6340 km2 non lascerà spazio alla ca- 202 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE sualità dell’ambiente naturale, tutto sarà rigidamente progettato e governato ma tutto ricadrà in dinamiche che per loro stessa natura gioche/ranno con la complessità in un dialogo che, lungi dal portare ordine nel caos, riuscirà a dominarlo grazie alle logiche e alle strategie che stanno alle spalle. La città stessa se, da un lato, progetterà lo sviluppo di tutto il suo territorio, dall’altro si è costruita secondo logiche che ricreano proprio quelle dinamiche naturali che fanno pensare ad un bosco di grattacieli e che, proprio per questo motivo, appaiono caotiche. In questo Shanghai presenta molte analogie con il Cyborg: anche lei è un organismo cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla finzione. Shanghai, in questo senso, è un organismo preedipico in cui il complesso non è risolto con la vittoria di nessun binomio, non vive dinamiche antagoniste che caratterizzano invece le città monocentriche o multicentriche, perché annulla le gerarchie e, di conseguenza, vive della sua multiformità. Qualunque luogo è, a Shanghai, al contempo, centro e periferia, esterno io interno, sopra il suolo o a livello del terreno, secondo il sistema di riferimento scelto: tutto si attualizza secondo un processo di virtualizzazione che sottende ogni momento del suo spazio-tempo. Se Lévy vedeva tre caratteristiche come determinanti per il cyberspazio, queste stesse descrizioni calzano perfettamente sulla città Shanghai: sono i messaggi di qualsiasi ordine, richiamati, imposti, allontanati, rinviati, avvicinati, messi in scena in tale o in tal’altra maniera secondo i gusti e le occasioni, a gravitare intorno ai ricettori, ormai situati al centro (inversione dell’immagine tratteggiata dei mass-media), le distinzioni stabilite tra autori e lettori, produttori e spettatori, creatori e interpreti si confondono a favore di un continuum di lettura scrittura che va dagli ideatori di macchine e reti fino ai ricettori finali, ciascuno dei quali contribuisce ad alimentare di riflesso l’azione degli altri, la separazione tra i messaggi e le “opere”, intesi come microterritori attribuiti 203 CAPITOLO 8 – CONCLUSIONE ad autori, tendono a cancellarsi. Ogni rappresentazione può diventare oggetto di campionamento, missaggio, riutilizzo ecc. Secondo la pragmatica emergente di creazione e comunicazione, distribuzioni nomadi di informazioni fluttuano su un immenso piano semiotico deterritorializzato. Se al sistema spaziotemporale di Shanghai si inserisce l’informazione, come sosteneva Virilio, questa metropoli ricalca le dinamiche virtuali: lo spazio della città si unisce al tempo e all’informazione creando, infatti, riconfigurazioni continue dei suoi spazi tali che nulla gerarchizzi nulla. Non la storia, nè la sua rappresentazione sono più importanti infatti dell’informazione, a Shanghai, in quanto la comprensione e il movimento nei suoi spazi sono possibili solo sulla base di informazioni, e delle relative rielaborazioni delle stesse. Shanghai è una stereorealtà virtuale in cui tutto convive e ha attinenze con tutto in un flusso di giochi linguistici non oggettivabili che fanno sì che la sua realtà sia completamente collassata nella sua attualità, e, lungi dall’essere importante uno degli infiniti modelli possibili, è interessante il suo processo di virtualizzazione. 204 Bibliografia Bibliografia AA.VV., Architects in cyberspace, in AD Architectural Design, Vol 68 n° 11-12,London NovembreDicembre 1998. AA.VV., Deconstruction III, Academy Editions, London 1990. AA.VV., Immagini del post-moderno, il dibattito sulla società postindustriale e l’architettura, Cluva, Venezia 1983. AA.VV., Planning Hong Kong for the 21st century, University of Hong Kong – Center of Urban Planning and Environmental Management, Hong Kong 1996. AA.VV., Reconstruction Deconstruction, Academy editions, London 1991. AA.VV.., Urban Design Manhattan. Regional Plan Association, Studio Vista, London 1969. AA.VV. AMERICA PSYCHIATY ASSOCIATION (a cura di), DSM IV, Masson, Milano 1994. AGREST D., CONWAY P., WEISMAN L.K. a cura di, The Sex of architecture, Harry N.Abrams Inc. Publishers, USA 1996. ALLEN W., Manhattan, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1982. ANTIER G., Cap au large pour Shanghai, in Cahiers de l’institut d’amanagement d’urbanisme de la region d’Ile-de-France, n° 104-105 1993, pag 94-106. ASKEW M., LOGAN W.S., Cultural Identity and urban change in Southeast Asia.Interspective essays, Deaking University Press, Geelang Victoria Australia 1994. ATTI DEL CONVEGNO, EBRA – Proceedings of the 5th internatial symposium for environment-behaviours studies, Culture, space and quality of life in urban environment,a cura di College of Architecture and Urban Planning Tongji University, Shanghai, China, Huaxia Cultural Planning Ltd., Shsnghai 23-26 Ottobre 2002. ATTI DEL CONVEGNO, Proceeding of the a Sectoral Meeting of Experts and Policy Makers on Energy- Environment Strategies for Urban Transport System, Energy Transport and the environment in Asia, a cura di The United Nations Economic and Social Commission for Asia and the Pacific, Hong Kong Maggio 1994. ATTI DEL CONVEGNO, Proceedings of 14th Europe World Planning Congress, Human Settlements towards the 21st century – Issues and challenges, Beijing 15-21 Settembre 1994. ATTI DEL CONVEGNO, Shanghai environment project, Shanghai environmental Master Plan studies, presso Shanghai Research Institute of Environmental Protection, a cura di Shanghai Municipal People’s 206 BIBLIOGRAFIA Government – Australian International Development Assistance Bureau – The World Bank, KinhillPRK Joint Venture & Research Institute of Environmental Protection, Shanghai 31 Maggio 1993. AUGÈ M., Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, Torino 1999. AUGÈ M., Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano 1993. BALFOUR A., New York, Wiley Academy, New York 2001. BALFOUR A., SHILING Z., Worldcities Shanghai, Wiley Academy, UK 2002. BATTY M., ELAN J., Information System and technology for Urban and Regional Planning in developing coun tries, in A review of UNCRD’s Research Project, United Nations Center for Regional Development, Nagay Japan 1990. BAUDRILLARD J., Cyberfilosofie, Fantascienza, Antropologia e Nuove Tecnologie, Mimesis n°14, Milano 1998. BAUDRILLARD J., Il delitto perfetto, La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996. BAUDRILLARD J., Il parossista indifferente, Conversazioni con Philippe Petit, King Kamehamea Press, Cantù 1997. BAUDRILLARD J., L’altro visto da sé, Costa & Nolan, Genova 1987. BAUDRILLARD J., L’illusione della fine, Anabasi, Milano 1982. BAUDRILLARD J., Lo Scambio Impossibile, Asterios, Trieste 2000. BELL G., TYRWHITT J., Human identity in the urban environment, Penguin Books, London 1972. BELLONE E. a cura di, L’infinito, in Le Scienze Dossier, n°8 estate 2001. BENEVOLO L., La città nella storia d’Europa, Laterza, Bari 1996. BENJAMIN A., Architectural Philosophy, The Athlone Press, New Jersey 2000. BENJAMIN A., COOKE C., PAPADAKIS A. a cura di, Deconstruction. Omnibus volume, Rizzoli New York, New York 1989. BENJAMIN A., NORRIS C., What is Deconstruction ?, Academy Editions, London 1988. BERARDI BIFO F., Mutazione e Cyberpunk, Costa & Nolan, Genova 1994. BERRY M. a cura di, The world of digital architecture, The Image Publishing Group Ltd., Australia 2001. BLAKE P., La forma segue il fiasco. Perché l’architettura moderna non ha funzionato, Alinea, Firenze 1974. BOTTERO B. a cura di, Decostruzione in architettura e filosofia, Edizioni Città Studi, Milano 1991. CAPILUPPI P. a cura di, Reti informatiche, Le Scienze Quaderni n°95, febbraio 1997. CITY PLANNING DEPARTMENT BUREAU OF PUBLIC WORKS, Introduction to Urban Planning of Taipei City, Taipei City Government, Taipei 1995. COLUMINA B. a cura di, Sexuality and Space, Princeton Architectural Press, New York 1992. 207 BIBLIOGRAFIA CULLER J., Sulla Decostruzione, Bompiani, Milano 1988. CUTHBERT A.R., Hong Kong: Ideology, space and power. Functionalist economic imperatives and the devo lution of urban formes, University of Hong Kong – Centre of urban studies & Urban Planning, Hong Kong 1984. DE KERCKHOVE D., Architettura dell’intelligenza, Testo & Immagine, Roma 2001. DE KERCKHOVE D., Brainframes. Mente, tecnologia, mercato. Baskerville, Bologna 1991. DELANDA M., Intensive science & Virtual Philosophy, Continuum, New York 2002. DELEUZE G., GUATTARY F., L’anti-Edipo, Einaudi, Torino 1975. DELEUZE G., Differenza e ripetizione, Il Mulino, Bologna 1969. DELEUZE G., La Piega, Leibniz e il barocco, Einaudi, Torino 1988. DEROSSI P. a cura di, Architettura e narratività, Edizioni Unicopoli, Milano 2000. DEROSSI P., Pensieri nelle cose e cose nei pensieri, Guerini, Milano 1993. DEROSSI P., ROVATTI P., Fare la differenza, Edizione Triennale di Milano, Milano 1999. DERRIDA J., Della Grammatologia, Jaca Book, Milano 1969. E.GROSZ, Architecture from the outside. Essays on virtual & real space, The MIT Press, Cambrige Massachussetts 2001. EAGELTON T., Le illusioni del postmodernismo, Editori Riuniti, Roma 1988. ECO U., La struttura assente, Bompiani, Milano 1968. EISENMAN P., La fine del Classico, Cluva, Venezia 1987. ELLIN N., Postmodern Urbanism, Princeton Architectural Press, New York 1996. FEYERABEND P.K., Contro Il Metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli, Milano 2002. FISHER T.R., In the scheme of Things. Alternative Thinking and the practice of architecture, University of Minnesota Press, Minneapolis 2000. FOLLI M.G., Abitare. Figure del progetto. Spazi dell’esperienza, Edizioni Unicopoli, Milano 2000. FORMAGGIO D., Estetica tempo e progetto, Clup, Milano 1990. GANDELSONAS M., X-Urbanism: Architecture and the American city, Princeton Architectural Press, New York 1999. GANDELSONAS M.a cura di, Shanghai reflections. Architecture, Urbanism, and the search for an alternative Modernity, Princeton Architectural Press, New York 2002 GAR ON YEH A., HILLS P.R., KA WING NG S. a cura di , Modern transport in Hong Kong for the 21st century, University of Hong Kong – Centre of Urban Planning and Environmental Management, Hong Kong 208 BIBLIOGRAFIA 2001. GAR ON YEH A., XUEQUIANG X., XIAOPEI Y., Urban Planning Education under Economic Reform in China, University of Hong Kong – Centre of Urban Planning and Environmental Management, Hong Kong 1997. GARVIN A., The American cities. What works, what doesn’t, Mc Graw Hill, USA 1996. GED F., Insediamento e morfologia urbana a Shanghai fra Ottocento e Novecento, in Storia Urbana: rivista di studi sulle trasformazioni della città e del territorio in età moderna, n°70 1995, pagg.99118. GIORDA C., Cybergeografia. Estensione, rappresentazione e percezione dello spazio nell’epoca dell’infor mazione, Tirrenia Stampatori, Torino 2000. GIBSON W., Il Neuromante, Editrice Nord, Milano 1980. GLEICK J., Caos. La nascita di una nuova scienza, Rizzoli, Milano 1987. HABLES GRAY C., Cyborg Citizen , Routledge, New York 2002. HARAWAY D.J., Manifesto Cyborg, Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano 1995. HARVEY D., La crisi della modernità. Alle origini dei mutamenti culturali, Il Saggiatore, Milano 1990. HAWKS POTT F.L., A short history of Shanghai, Kelly and Walsh Ltd., Shanghai 2002 (first edition 1928). HEIDEGGER M., Essere e tempo, Longanesi, Milano 1990. HOLTZMAN S.R., Digital mantras, The language of Abstract and virtual Reality, The MIT Press, Cambrige Massachussetts 1994. HOLTZMAN S.R., Digital mosaics. The Aestetics of cyberspace, Simon Shuster, New York 1998. IMPERIALE A., New Flatness. Surface Tension in Digital Architecture, Birkauser, Basel Switzerland 2000. JACOBS J., Vita e morte delle grandi città americane. Saggio sulle metropoli americane, Torino 1969. JAMESON F., Il postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti, Milano 1984. JENCKS C., Meaning in architecture, Barrie and Rockliff The Carset Press, London 1974. JENCKS C., Meaning in architecture, Barrie and Rockliff: The Cresset Press, London 1974. JENCKS C., The architecture of the jumping universe, Academy Editions, London 1995. JENCKS C., The post-modern architecture, Academy Edtions, London 1992. JENCKS C., Towards a Symbolic Architecture, Academy Edtions, London 1977. JENCKS C., What is postmodernism?, Academy Edtions, London 1996. JOHNSON P. WIGLEY M., Deconstructivist Architecture, The Museum of Modern Art, New York 1988. JUNG J., Prefazione all’I-King, Astrolabio, Roma 1949. KATZ P., The New Urbanism. Toward an architecture of community, Mc Graw Hill, New York USA 1994. 209 BIBLIOGRAFIA KLEIN N., No Logo, Baldini & Castoldi, Milano 2001. KOOLHAAS R., Delirious New York. A Retroactive Manifesto for Manhattan, Oxford University Press, New York 1978. KOOLHAAS R., MAU B., S,M,L,XL, The Monacelli Press, New York 1995. KUMAR BISWAS R. a cura di, Metropolis Now!, Springerview, New York 2000. KULTERMANN U., Il miracolo Pudong: la Cina e il ventunesimo secolo, in Controspazio: mensile di Architettura e Urbanistica, n°1 2002, pagg. 22-33. KWINTER S., Architecture of time. Towards a Theory of the event in Modernist Culture, The MIT Press, Cambridge Massachussetts 2002. LERUP L., After The city, The MIT Press, Cambridge Massachussetts 2000. LÉVY P., Il virtuale, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997. LÉVY P., Cyberculture. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, Milano 1999. LÉVY P., L’intelligenza Collettiva. Per un’antropologia del Cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996. LLOYD MORGAN C., ZAMPI G., Virtual Architects, Mc Graw Hill, New York 1995. LONCI E., La Parigi di Haussmann. La trasformazione urbanistica di Parigidurante il secondo impero, Kappa Edizioni, Roma 1982. LYOTARD J.F., La condizione Postmoderna, Feltrinelli, Milano 1979. MALDONADO T., Reale e Viruale, Feltrinelli, Milano1992. MARIANO M. a cura di, Cyberbody, Edizioni dell’Ortica, Bologna 1993. MASSEY D. a cura di, Space Place and Gender, University of Minnesota Press, Minneapolis 1994. MINERVINI C., Dieci anni di sviluppo Urbano, in Controspazio: Mensile di Architettura e Urbanistica, n°2 2002, pp. 70-79. MITCHELL W.J., City of Bits, space place and the infobahn, The MIT Press, Cambrige Massachussetts 1996. MOGNATO A., Super robot anime, Yamato Video, Milano 1999. NEGROPONTE N., Essere digitali, Sperling & krupfer, Milano 1995. NOEVER P., Architecture in transition. Between Deconstruction and New Modernism, Prestel Ed., Munich 1991. NOTTE R., Millennio Virtuale, Edizioni Seam, Roma 1996. NOVELLI L., Shanghai. Architecture and the city, between China and West, Dedalo Edizioni, Roma 1999. NOVELLI L., Shanghai, Trasformazione urbana e nuove architetture, in Spazio e Società: rivista internazionale di architettura e urbanistica, n°88 1999, pp. 100-107. PERICOLI M., Manhattan svelata, Leonardo international, Milano 2001. 210 BIBLIOGRAFIA PERNIOLA M, Il Sex appeal dell’inorganico, Einaudi, Torino 1994. POPPER K., Tutta la vita è risolvere problemi, Scritti sulla conoscenza, la storia e la politica, Rusconi, Milano 1996. PORTOGHESI P., Architettura e natura, Skira, Roma 1999. PORTOGHESI P., Dopo l’architettura Moderna, Biblioteca Universale Laterza, Bari 1980. PRESTINENZA PUGLISI L., Hyperarchitettura. Spazi nell’età dell’elettronica, Sugarco, Roma 1998. PRESTINENZA PUGLISI L., This is Tomorrow. Avanguardie e Architettura contemporanea, Testo&immagine, Torino 1999. RAMOS J.M., SAZANAMI H., Industrial Estates and regional development in selected Asian Countries, United Nations Center for Regional Development and National Institute of Development Administration, 1991. RANAULO G., Lightarchitecture. New Edge City, Testoimmagine, Roma 2001. RAY SMITH C., Post-modern e supemanierismo, Laterza, Bari 1987. RICCI M., Figure della Trasformazione, Ed’A, Modena 1996. ROWE C., Collage City, The MIT Press, Cambridge Massachussetts USA 1978. SACCHI L., UNALI M., Architettura e cultura digitale, Skira, Milano 2003. SASSEN S., The Global City. New York, London, Tokyo, Princeton University Press, New Jersey 1991. SAZANAMI H. a cura di, Metropolitan Planning and Managment, Japan Society for the Promotion of Science, Nogoya Japan 1982. SENNET R., La coscienza dell’occhio: progetto e vita sociale nelle città, Feltrinelli, Milano 1992. Shanghai metropolitan Transport White Paper, Printed and distributed by the People’s Government of Shanghai Municipality, Shanghai Aprile 2002. SHANGHAI URBAN PLANNING ADMINISTRATIVE BUREAU, , The comprehensive plan of Shanghai (1999-2020), Shanghai Urban Planning And Design Research Institute, Shanghai 1999. SIMMONS R., HACK G., Global City Regions. Their emerging forms, Spon Press, London & New York 2000. STONE A.R., The war desire & technology at the close of mechanical age, The MIT Press, Cambridge Massachussetts 1996. SUDJIC D., Shanghai: la città che esplose: Deyan Sudjic parla del futuro urbano della Cina, in Domus n°829, 2000, pagg.40-57 SUMERSON J., Il linguaggio classico dell-architettura, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1963. VATTIMO G., Introduzione a Heidegger, Editori Laterza, Bari 1980. VATTIMO G., La fine della modernità, Garzanti, Milano 1985. 211 BIBLIOGRAFIA VENTURI R., Complessità e contraddizione nell’architettura, Dedalo Edizioni, Bari 1966. VENTURI R., SCOTT BROWN D., IZENOUR S., Imparando da Las Vegas. Il simbolismo dimenticato della forma architettonica, Cluva, Venezia 1972. VERNE G., Parigi nel XX secolo, Tascabili Economici Newton, Milano 1995. VIRILIO P., L’incidente del futuro, Raffaello Cortina Editori, Milano 2002. VIRILIO P., L’orizzonte negativo. Saggio di dromoscopia, Costa & Nolan Edizioni, Genova 1986. VIRILIO P., La bomba informatica, Raffaello Cortina Editori, Milano1998. VIRILIO P., Lo spazio critico, Edizioni Dedalo, Bari 1988 WALDROP M.M., Complessità. Uomini e idee al confine tra ordine e caos, Instar Libri, Torino 1995. WARHOL A., La filosofia di Andy Warhol, Costa e Nolan edizioni, Genova 1975. WU LIANG, Old Shanghai. A lost Age, Foreign Language Press, Shanghai 2001. YATSKO P., New Shanghai. The rocky rebirth of China’s legendary city, John Wiley & sons Inc., Singapore 2001. ZEVI B., Il linguaggio moderno dell’architettura, guida al codice anticlassico, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1973. ZEVI B., Linguaggi dell’architettura contemporanea, Etaslibri, Torino 1993. ZEVI B., Saper Vedere l’architettura. Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura, Einaudi, Torino 1948. ZEVI B., Storia e controstoria dell’architettura in Italia, Newton Compton, Roma 1997. 212