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Determinazione del Cu in pigmenti
Ilenia Rossetti e Giuseppe Cappelletti
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Milano
Abstract
Gli ioni Cu2+ sono in grado di impartire una colorazione blu/verde tanto più intensa quanto
maggiore è la loro concentrazione. Diversi sali di rame sono quindi stati utilizzati storicamente per
la preparazione di pigmenti. La determinazione quantitativa del Cu2+ può essere eseguita mediante
titolazione iodometrica. Verranno quindi analizzati 5 pigmenti di varie tonalità azzurro/blu,
dissolvendo il sale di rame per separarlo dalla matrice (TiO2) e procedendo quindi alla sua
determinazione quantitativa.
Materiale occorrente:
specifici reattivi (di basso costo, eventualmente fornibili), acqua
comune vetreria di laboratorio, burette e supporti.
piastra agitante, ancoretta magnetica
Introduzione
I pigmenti si distinguono per la loro insolubilità dai coloranti, i quali sono invece solubili e vengono
applicati sotto forma di bagni di tintura, dai quali essi si fissano sulle fibre tessili. Oltre ad alcuni
requisiti comuni a quelli dei coloranti, come una buona stabilità chimica alla luce e agli agenti
atmosferici e una buona resa ottica (ossia la capacità di impartire già in piccola quantità un colore
intenso), i pigmenti devono presentare un grado di dispersione altissimo e una buona capacità di
disperdersi omogeneamente nei materiali nei quali si usano.
I pigmenti a base di rame sono stati utilizzati fin dall’antichità per impartire una colorazione verde
o azzurra. I più comuni sono la malachite ed il verderame. La malachite, anche nota come
mountain green o hungarian green, è costituita da un carbonato basico di Rame, di origine
solitamente minerale. È stata utilizzata fino al XIX secolo per impartire un colore verde bottiglia
chiaro con tutte le tecniche, ma con migliori risultati nelle tempere piuttosto che nella pittura ad
olio.
Il verderame, invece, anche noto come verdigris, verde di grecia, montpellier green, è costituito da
acetati di Rame, variamente basici ed idrati. Utilizzato dal tempo dei Greci e dei Romani fino al XIX
secolo, l’origine è sintetica ed anticamente si preparava per corrosione del rame metallico con
l'aceto (o con I’acido acetico). Impartisce una colorazione verde non intensa, con toni azzurri, ed è
utilizzato in molte tecniche, particolarmente in quelle ad olio della pittura italiana.
Il verderame è stato usato fin dall’antichità, come testimonia la denominazione nata per
deformazione del termine verde di Grecia (verdigris). È descritto tra gli altri da Plinio (I sec. d.C.) e
Cennino Cennini (fine sec. XIV). In Francia Jean-Félix Watin (1772) ne segnala una specifica e
rinomata produzione nella zona di Montpellier (da cui verde di Montpellier). Ha scarso potere
coprente e una colorazione non intensa con toni azzurri. Per raggiungere un tono verde erba era
tradizionalmente addizionato con zafferano. È stato impiegato per ottenere velature verdi, ma
scarsamente utilizzato come pigmento in sé, data la sua scarsa stabilità. Il verdigris ha trovato
inoltre ampie applicazioni per la verniciatura di superfici dorate o argentate.
Ne esiste una variante trasparente, detta verderame trasparente, Van Eyck green o resinato di
rame, ottenuto per fusione a caldo di verderame in una resina, ad esempio quella di pino. Usato
dall'VIII alla metà del XVI secolo, restituisce un colore verde intenso trasparente ed omogeneo. È
utilizzato soprattutto nelle velature, ma anche, mescolato a pigmenti bianchi, in imprimiture,
sottofondi ecc. Ha però una spiccata tendenza alla foto-decomposizione che lo scurisce (bruno
grigio), fenomeno osservabile in una grandissima quantità di dipinti a olio.
Più recentemente, la storica dell'arte Margriet van Eikema Hommes dell'Università di Amsterdam
è giunta alla conclusione che lo smalto verde contenente rame che è possibile osservare nei dipinti
a olio di artisti quali Raffaello, Tiziano e Frans Hals non veniva prodotto dissolvendo il pigmento
verderame in una lacca calda per produrre resinato di rame. L'attenta analisi di dozzine di antiche
ricette fin ad allora ignorate ha dimostrato che la vernice veniva invece prodotta a partire da
verderame finemente polverizzato e mescolato con un olio freddo. Van Eikema Hommes ha
scoperto che il mito del resinato di rame è nato all'incirca nel 1914, quando il chimico Laurie scoprì
due ricette per un colore verde nelle quali il verderame veniva dissolto in vernice calda, un
metodo che produce resinato di rame. Laurie e molti altri dopo di lui non si accorsero però che
queste due ricette si riferivano a vernici per vetri, mobili e lastre di metallo, e che ce ne erano
dozzine di altre pensate invece per i dipinti su tele o pannelli.
Titolazioni iodometriche
La reazione su cui si basa questo tipo di titolazione è quella che avviene tra lo iodio e il tiosolfato di
sodio. Come indicatore si usa la salda d’amido (o anche, talvolta, del cloroformio, CHCl3).
S4O62- + 2e- 2 S2O32I3- + 2e- 3 II2 + 2e- 2 I-
E° = 0,08 V
E° = 0,534 V
E° = 0,535 V
I2 + 2 S2O32- 2 I- + S4O62-
ΔG° = - 87,9 kJ
Le titolazioni effettuabili secondo tale procedimento, si possono suddividere in due gruppi:
1) titolazioni dirette con soluzione di iodio standard (iodimetria)
2) titolazioni indirette che utilizzano una soluzione di tiosolfato di sodio standard (iodometria)
Metodi indiretti o iodometrici
La soluzione di tiosolfato di sodio si prepara sciogliendo in acqua i cristalli del sale. Una soluzione 1
N contiene Na2S2O3 ⋅ 5 H2O / 1 = 248,2 g/L del sale idrato. Le soluzioni standard di tiosolfato
possono essere usate per titolare quasi tutte le sostanze ossidanti. Tuttavia, la titolazione viene
generalmente effettuata aggiungendo alla soluzione della sostanza ossidante un grande eccesso
(noto solo approssimativamente) di ioduro di potassio. La sostanza ossidante si riduce, liberando
una quantità equivalente di iodio e quest’ultimo viene a sua volta titolato con il tiosolfato.
meq tiosolfato = meq iodio = meq ossidante da titolare
Il potenziale della semicoppia I2/2I- è praticamente indipendente dal pH della soluzione se pH<8. A
valori superiori, lo iodio reagisce con gli ioni OH-:
I2 + OH- ↔ HIO + I-
oppure
I2 + H2O ↔ HIO + I- + H+
K = 10-13
L’ipoiodito (HIO) può in parte dismutare secondo la reazione, anch’essa favorita in ambiente
basico:
3HIO + 3 OH- ↔ IO3- + 2 I- + 3 H2O
Queste reazioni possono dare luogo a seri errori nelle titolazioni con lo iodio, in quanto l’uso del
sistema I3-/ 3I- come riducente coinvolge spesso anioni ossigenati (MnO4-, Cr2O72-, IO3-, ecc.) per i
quali solo in ambiente acido è possibile ottenere un elevato potenziale di ossidazione. In questi
casi, l’acidità può costituire una sorgente di errore in quanto essa favorisce l’ossidazione dello ione
I- da parte dell’O2 dell’aria, secondo la reazione:
4 I- + O2 + 4 H+ ↔ 2 I2 + 2 H2O
Il potenziale di riduzione dell’ossigeno aumenta notevolmente con la concentrazione di H+:
E = 1,23 + 0,059 /4 Log [O2] [H+]4
per cui, se si vuole contenere il potenziale di questo sistema interferente entro valori uguali o
inferiori a quelli del sistema I3-/ 3I-, bisogna operare in ambiente neutro oppure ridurre la
concentrazione dell’O2 nella fase gassosa, in equilibrio con la soluzione. Ciò si può realizzare
aggiungendo NaHCO3 che, liberando CO2, diminuisce la pressione parziale di O2 nella fase gassosa.
L’indicatore
L’indicatore comunemente usato è estremamente sensibile a tracce di iodio. Si usa la salda
d’amido, costituita da una sospensione acquosa di amido, che impartisce un colore blu-violaceo ad
una soluzione contenente tracce di triioduro. La specie colorata che si forma si ritiene sia dovuta
alla formazione di un complesso in cui lo iodio è trattenuto nell’interno dell’elica del polisaccaride
(in particolare il β-amilosio). A 20°C la salda d’amido rivela concentrazioni di iodio pari a 2 ⋅ 10-5
mol/L purché I- > 4 ⋅ 10-4 mol/L. Le sospensioni acquose di amido si decompongono in pochi giorni
soprattutto per attacco batterico. I prodotti di decomposizione possono consumare iodio e
alterare le proprietà dell’indicatore.
Inoltre, nelle titolazioni iodometriche la salda d’amido va aggiunta in prossimità dell’equivalenza
affinché non si determini un adsorbimento troppo profondo del complesso I3-, che renderebbe il
viraggio poco netto. È pertanto buona norma ripetere ogni titolazione 3 volte, nella prima
l’indicatore è aggiunto sin dall’inizio della titolazione per avere una prima idea del punto di
viraggio. Nelle due successive, più precise, l’indicatore si aggiunge solo in prossimità del punto di
viraggio.
Vari fattori possono influire negativamente sulla sensibilità dell’indicatore e, fra questi, i più
importanti possono essere:
a) la presenza di solventi organici (alcool etilico, ecc.) miscibili in acqua. Ad es. con alcool etilico al
50% non si ha colorazione della salda d’amido;
b) l’aumento della temperatura: a 50°C la sensibilità è circa 10 volte minore di quella a 20°C;
c) l’ambiente estremamente acido determina l’idrolisi dell’indicatore.
Per queste ragioni, le titolazioni vanno eseguite a freddo, in ambiente acquoso relativamente
acido. Nel caso in cui l’elevata acidità fosse indispensabile, la presenza di iodio può essere rivelata
con piccole quantità di un solvente immiscibile con acqua (CHCl3 o CCl4) e nel quale lo iodio sia
molto solubile.
Soluzioni di tiosolfato
Le principali variabili che influenzano la stabilità delle soluzioni di tiosolfato sono il pH, la presenza
di microrganismi e altre impurezze, la luce, la presenza di ossigeno atmosferico.
Se il pH << 5, può avvenire con velocità apprezzabile la reazione di disproporzionamento:
S2O32- + H+ ⇔ HS2O3- HSO3- + S
La sua velocità aumenta al crescere della concentrazione di H+ e in soluzione fortemente acida si
forma molto rapidamente zolfo elementare. Anche il bisolfito formatosi è ossidato dallo iodio, ma
ne consuma una quantità doppia rispetto a quella consumata dal tiosolfato da cui proviene.
La stabilità delle soluzioni di tiosolfato è massima tra pH 9 e 10: per preservare meglio le soluzioni
si aggiungono piccole quantità di Na2CO3, Na2B4O7 ⋅ 10H2O, Na2HPO4 (si dovranno, quindi,
acidificare le soluzioni di iodio in modo da neutralizzare la base aggiunta, per evitare l’idrolisi dello
iodio con parziale ossidazione del tiosolfato a solfato).
La più importante causa di instabilità del tiosolfato sono certi batteri capaci di metabolizzare il
tiosolfato a solfito, solfato e zolfo elementare. Si aggiungono sostanze come CHCl3, benzoato di
sodio, HgI2 o HgCl2 che inibiscono la crescita dei batteri.
Il tiosolfato è ossidato dall’O2 dell’aria già in ambiente neutro, ma meglio in ambiente alcalino e, in
particolare se la soluzione è esposta alla luce diretta, questo comporta una diminuzione del titolo
della soluzione.
S2O32- + 2 O2 + H2O ↔ 2 SO42- + 2 H+
Il titolo della soluzione di tiosolfato è generalmente effettuato con iodio ottenuto trattando un
numero noto di equivalenti di un ossidante standard con un eccesso di KI, in soluzione acida.
Gli ossidanti più usati sono:
a) K2Cr2O7, M.E. = M.M./ 6 = 49,036: in soluzione acida il bicromato ossida lentamente lo ioduro
secondo l’equazione:
Cr2O72- + 6 I- + 14 H+ 2 Cr3+ + 3 I2 + 7 H2O
con viraggio dal blu-viola della salda d’amido al verde dei sali di Cr3+. Perché la reazione sia
quantitativa bisogna controllare la concentrazione degli ioni H+, la concentrazione dello I- e il
tempo di reazione. A pH ≥ 5 la reazione è troppo lenta, a pH < 1 aumenta la velocità di ossidazione
dello ioduro da parte dell’ossigeno atmosferico.
b) KIO3, M.E. = M.M./ 6 = 35,667: lo ione iodato reagisce rapidamente con lo ioduro in soluzione
leggermente acida per dare iodio
IO3- + 5 I- + 6 H+ 3 I2 + 3 H2O
con viraggio da blu-viola all’incolore. Da ogni mole di iodato si formano 3 moli di iodio, I2, che
vengono poi titolati con la soluzione di tiosolfato. La M.E. dello iodato è, quindi, 1/6 della massa
molecolare che porta a un basso peso equivalente dello iodato. Si risolve il problema
sciogliendone quantità maggiori in un volume noto e diluendo poi aliquote della soluzione
ottenuta.
Tra gli altri standard primari per il tiosolfato sono anche usati:
- KMnO4 in soluzione titolata
- KBrO3
- KH(IO3)2
- K3[Fe(CN)6] (ferricianuro di potassio)
- Cu, rame metallico
La titolazione iodometrica del Cu2+
La miscelazione di soluzioni debolmente acide contenenti ioni rameici ed un eccesso di ioduro di
potassio determina la formazione di iodio molecolare e la contemporanea riduzione del rame (II) a
rame(I). Quest'ultimo precipita sotto forma di ioduro rameoso, insolubile in soluzione acquosa.
Occorre operare pertanto in largo eccesso di ioni ioduro, che deve fungere da riducente per tutto
il Cu2+ presente, da complessante per lo I2 formatosi e da controione per la precipitazione di CuI.
Cu2+ + I- → CuI + e2 Cu2+ + 5 I- → CuI + I3-
Procedura sperimentale
APPARECCHIATURA:
- Becker da 50/100 ml
- buretta graduata da 10 e 25ml
- imbuto di vetro
- carta da filtro
- bilancia analitica
- pipette pasteur e tarate (5-10 ml), tettarelle e propipette
- agitatore magnetico e ancorette.
- matraccio (100 ml)
- spatole, bacchette di vetro
REATTIVI:
-
acqua distillata
-
acido acetico (12vol%)
-
KI (polvere)
-
Salda d’amido
-
Soluzione di tiosolfato di sodio 0.1 M
PROCEDIMENTO:
Verranno forniti ai diversi gruppi 5 pigmenti azzurri/blu, contenenti diversi quantitativi di acetato
di rame. Sarà necessario dapprima isolare l’acetato di rame dalla matrice inerte (in questo caso
costituita da biossido di titanio microcristallino) mediante dissoluzione in acqua distillata.
A tal fine, si pesino esattamente ca. 3 g di pigmento in un becker da 100 ml e si aggiungano ca. 40
ml di acqua distillata e una pipettata di acido acetico (12 vol%). Attenzione a non eccedere con
l’acqua aggiunta (max. 60 ml).
Inserire l’ancoretta magnetica ed agitare per 5 minuti mediante agitatore magnetico.
Provvedere alla successiva filtrazione mediante imbuto e carta da filtro (prebagnata con acqua
distillata). Recuperare quantitativamente la frazione liquida (azzurra e trasparente) in un
matraccio da 100 ml, verificando che il solido rimasto sul filtro sia rimasto bianco.
Portare a volume la soluzione con acqua distillata.
Versare 20 ml di soluzione in un becker da 50 ml tramite pipetta a due tacche, porre sotto
agitazione, aggiungere una spatolata di KI. La soluzione da azzurra diventerà giallo ocra e torbida.
Aggiungere 3-4 gocce di salda d’amido e verificare che la soluzione diventi scura.
A questo punto riempire la buretta con la soluzione di tiosolfato (0.01 o 0.1 N, a seconda della
concentrazione del pigmento originale) ed iniziare la prima titolazione gocciolando lentamente.
Dopo il viraggio la soluzione risulta bianca-opaca.
Ripetere altre due volte la titolazione in modo più preciso aggiungendo la salda d’amido solo in
prossimità del viraggio.