E` CHE ABBIAMO FATTO L`AMORE di Francesca Scotti 1. Quel
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E` CHE ABBIAMO FATTO L`AMORE di Francesca Scotti 1. Quel
E’ CHE ABBIAMO FATTO L’AMORE di Francesca Scotti 1. Quel pomeriggio doveva essere interamente nostro. E invece, con la scusa che nessuna delle due ancora aveva la patente, Luz mi disse che sarebbe venuto a prendermi Ivan, in vespa. In realtà, da quando era apparso lui, Luz e io avevamo smesso di frequentarci. Si erano conosciuti la sera dell’ultimo concerto della stagione. Da diversi anni Luz e io facevamo le maschere al Teatro comunale: un buon modo per guadagnare qualche soldo e uscire la sera senza che i nostri genitori protestassero. La musica classica dava a tutto una patina di serietà. Quella sera avevano messo in scena la Madama Butterfly, e non era nemmeno una delle migliori esecuzioni alle quali avevo assistito. Calato il sipario, per festeggiare la fine del lavoro di un anno, decidemmo di trasferirci a casa di Davide che avrebbe messo a disposizione del jazz, qualche pizza surgelata e i divani più comodi del mondo. Era un gruppo eterogeneo nel quale Luz e io eravamo tra le più giovani. Luigi, che vantava il maggior numero di anni di servizio e di capelli bianchi ci riaccompagnava a casa ogni sera: prima portava me che abitavo in una zona abbastanza centrale e poi Luz che invece era rimasta fuori città, con i suoi genitori. Viveva nel paesino tra le risaie e i motel nel quale eravamo nate e cresciute. Mentre le pizze si scongelavano in forno e il loro odore si mescolava a quello di sigaretta arrivò un certo Ivan, perché quella era anche casa sua. Era alto, asciutto. Stivali al ginocchio, vecchi pantaloni da ufficiale e un cappotto carbone a metà coscia che abbandonò su una sedia rimanendo in camicia bianca. I suoi capelli, da un lato accuratamente rasati e dall’altro lisci fino alla mascella gli nascondevano l’orecchio. Lungo la scriminatura qualche ciocca si ribellava dandogli un aspetto meticolosamente scomposto. E poi una barba che non doveva avere nulla di soffice. Ci guardò con compassione prima di parlare “Fare i servetti solo perché non potete permettervi di andare a teatro è squallido.” Aveva sentenziato. Il silenzio era sceso su di noi in concomitanza con la fine del brano che stavamo ascoltando. Ivan si sedette sul divano a sfogliare una voluminosa rivista di moda, io andai in cucina ad assicurare le prime due mezze pizze per me e Luz. E quando tornai lui era sparito, lasciando il giornale spaginato sul pavimento. Non era corretto giudicare qualcuno dalla prima impressione, ma Ivan lo trovavo davvero odioso. Eppure qualcosa di lui doveva essermi sfuggito perché nemmeno una settimana dopo era fuori da scuola ad aspettare Luz, mollemente appoggiato a una vespa nera. “I suoi occhi hanno qualcosa di selvatico, come un bosco senza sole.” Mi aveva urlato lei mentre gli correva incontro con il cappotto svolazzante. Liquidata così la osservai lasciarmi sola in quel sabato pomeriggio che fino a quel momento era sempre stato per noi. Luz, dopo la sera in cui avevamo incontrato Ivan per la prima volta, non lo aveva più nominato. Eppure avevamo passato le giornate seguenti a chiacchierare, come sempre, del nostro gruppo di maschere, delle tresche e delle delusioni. A me il teatro mancava già, lei invece non ne faceva parola. Probabilmente non aveva avuto coraggio di raccontarmi niente di lui perché io lo avevo attaccato immediatamente: “Camicia stropicciata e dentro i pantaloni solo da una parte, atteggiamento gelido. Uno di cui si può decisamente fare a meno.” Lei aveva riso, ma forse solo per imbarazzo. 2 Luz avrebbe preferito annunciarmi di persona di aver accettato di vivere con Ivan nella sua nuova casa. Un vecchio cascinale di tre piani con spazi ampi e poco confortevoli: il riscaldamento era precario e l’acqua calda arrivava solo al piano terra. Ma poi non aveva resistito e mi aveva telefonato. “Ho appena deciso di inaugurare i miei diciotto anni andando a vivere con Ivan.” “Ma dici su serio o vuoi solo farmi paura?”risi. “Sei solo gelosa, non vuoi che io sia felice?”mi disse con tono colpevolizzante. “Gelosa io? Ti ricordo che sei stata tu a dirmi che avresti voluto trasferirti da me.” Io ero maggiorenne già da due anni e vivevo da sola in un minuscolo appartamento in città. Sin da bambine ci eravamo promesse che la prima convivenza sarebbe stata la nostra. “E’ che abbiamo fatto l’amore”mi disse. Rimasi immobile, con la cornetta premuta contro l’orecchio come se temessi potesse sfuggirmi, insieme al significato di quanto mi aveva appena detto. “Ma…” “E’ successo quando siamo andati a vedere la casa, la prima volta. Nella mansarda vuota, con solo i giornali per terra. Stavo guardando fuori dall’unica finestra, i campi e l’orizzonte. Lui mi ha raggiunta e ha cominciato a spogliarmi lentamente.” Da un lato avrei voluto abbandonare il telefono e non ascoltare il resto del racconto. Immaginavo quel ragazzo uomo che la toccava, che la divorava con quegli occhi ai quali non sfuggiva nulla. Era come se volessi distogliere lo sguardo dalla scena che mi stava raccontando. Ma Luz, con la voce bassa, continuava. “Ci siamo stesi per terra, faceva freddo ma io non lo sentivo. Lui era ancora vestito, con una giacca di velluto a costine color cannella. Aveva molte tasche e da ognuna ha estratto una conchiglia per decorarmi.” “Conchiglia?” “Sì. Sprigionavano un profumo di mare dimenticato che si mescolava a quello di polvere della stanza. Mi sono sdraiata, sentivo il seno premere sulla carta di giornale. I miei occhi seguivano gli strappi sulla tappezzeria.” “Luz, ma che…” “Non hai idea di quanto fosse coinvolgente la sua voce mentre pronunciava il nome dei gusci che mi posava sul corpo: le bivalve crestate, sbiancate dalle onde, tra le mie scapole e le cypree, che sono scure e fredde d'acqua, sulla punta di ciascuna vertebra.” Mentre lei parlava io immaginavo Ivan e la sua barba appuntita. Un brivido mi scosse le spalle. Trovavo sgradevole lui e queste sue stramberie. Ma lei era estasiata. “Ha passato le dita sulle azzurre conchiglie del pacifico prima di appoggiarle sulle fossette che ho sulla schiena. Poi ha scaldato con le labbra dei gusci rossi e traslucidi e ha sfiorato le mie cosce. A quel punto mi sono girata, facendole cadere tutte e l’ho tirato a me. Lo abbiamo fatto, ci credi?” Mi accorsi che la mia fronte era corrucciata e fui felice che Luz non potesse vedermi. “Ma ci sei ancora?” “Si si, ci sono è che…” “E non sei felice per me?” Non lo ero affatto ma mentii. E accettai di vedere la casa in cui si sarebbe trasferita. Ma a condizione di andarci subito, e in presenza di Luz soltanto. Se davvero quei due avrebbero vissuto insieme sarebbe stato meglio abituarsi all’idea. 3 Me ne stavo seduta davanti alla finestra della cucina, rigirando l’anello con un grappolo di lapislazzuli che portavo all’indice. Produceva il rumore della risacca quando la spiaggia è di ghiaia. Ivan era ovviamente in ritardo ma poi, proprio quando avevo perso le speranze, spuntò la sua vespa. Appena mi sedetti alle sue spalle mi accorsi di non avere nessuna voglia di cingergli la vita con le braccia, eppure a qualcosa dovevo pure attaccarmi. Era come se avessi paura che il solo contatto con il suo corpo potesse nuocermi. Il suo sguardo aveva qualcosa di intrusivo, la coda dell’occhio era all’ingiù. “E’ possibile che ci lasci a piedi visto che non ho avuto tempo di fare benzina.”Sembrava lo facesse apposta per mettermi a disagio. Costeggiammo campi e risaie mentre il sole di luglio si faceva di ora in ora più caldo, sprigionando quell’odore di marcio del fango che asciuga. Le mie mani si mantenevano a una sorta di distanza di sicurezza dai suoi fianchi: erano lì, a filo con la maglietta, pronte ad attaccarsi solo in situazione di estremo bisogno. Continuavo a pensare alle conchiglie, al corpo nudo di Luz e alla schiena ampia e liscia di Ivan che ora avevo davanti a me. Sentivo il suo profumo. Mi risistemai sulla sella perché le vibrazioni avevano portato le mie cosce pericolosamente vicino alle sue. Quel contatto mi aveva dato un brivido del tutto nuovo. Sbirciai l’indicatore sul cruscotto per scoprire dopo quanto saremmo rimasti a secco. Lì, in mezzo alla campagna, tra una roggia paludosa e l’altra. “Ci siamo quasi”Mi disse. “Non preoccuparti, mi fermo a casa giusto per sistemare un paio di faccende e poi vi lascio al vostro pomeriggio.” Usò un tono che non mi piacque, quello di chi sa di avere il potere di rovinare tutto e si divertirà a utilizzarlo. Quando percorremmo un lungo viale alberato fui certa che mancasse poco. La casa, con il giardino ricoperto di mobili, era inconfondibile. Alcuni imballati, altri spogli sotto il sole. C’era un tavolo rotondo con le sedie appoggiate sopra, una pendola, una lampada da studio con la struttura in ottone e un letto a baldacchino un po’sbilenco. Sembrava che avessero svuotato una casa anni trenta. Ero certa che ogni acquisto fosse stato condiviso da Luz: sosteneva che il suo nome l’avrebbe resa una perfetta diva anni trenta. Lei, affacciata alla finestra del primo piano, sventolava un copriletto verde menta sul quale si sporse agitando la mano. “Ivan non voglio neanche sentire il motore che si spegne, la fai scendere e tu riparti subito”gli disse scherzosamente. Conoscevo quella voce, quella della Luz seduttiva. Quella sua raccomandazione invece che rassicurarmi mi fece sentire a disagio. Era come se fossero solidali tra di loro ed escludessero me, quasi scherzassero con la condizione che avevo posto. Ivan si fermò davanti al cancello basso che custodiva il giardino ammobiliato e mi fece scendere, ma poi spense il motore e mise il cavalletto. Tanto lo sapevo che sarebbe andata così. Luz, scomparsa dalla finestra, riapparve sulla porta di casa, che, come in un quadretto, si trovava alla fine di un sentiero di pietre. Indossava un vestito con dei piccoli fiori rossi e violetti arricciato alla provenzale. Le spalle nude e leggermente curve le davano un’aria costantemente imbarazzata. Accanto ai suoi piedi sbucò il muso di Sybil, la sua insopportabile gatta nera. 4 Quando Luz ancora viveva con i suoi genitori, la sua gatta mi aspettava nascosta dietro le porte per piantarmi le unghie nei polpacci. Una volta salii scalza su una sedia di vimini per raggiungere un libro su una mensola in alto e Sybil mi graffiò le piante dei piedi. Era efferata. Con il tempo, però, mi accorsi di quanto la sua presenza fosse rassicurante per Luz, era il suo lato sempre in allerta e pronto ad attaccare. Fondamentale per lei che era sempre così remissiva. “Vedo che Sybil ti ha seguita”le dissi mentre guardavo la gatta tracciare il simbolo dell’infinito tra le sue caviglie, come un anatema sul varco della casa. “E’ l’unica cosa mia che ho deciso di portare qui. Niente letto, scrivania, lampade, quello sarà tutto nuovo. Solo lei sarà sempre la stessa.”E si chinò leggermente passandole la mano sulla coda come si fa con un ramoscello di lavanda per trovarsi i fiori nel pugno. Intanto Ivan indugiava intorno alla sua vespa, facendomi temere sempre di più per la sua ripartenza. Poi gli suonò il cellulare e si mise a chiacchierare seduto sulla sella. La pendola era stata caricata e, dal prato su cui era sdraiata, suonò. “E’ sinistra questa pendola, chi ha tanto buon gusto?”dissi. “E’ stata un’idea mia ovviamente, insieme alla radio d’epoca e al telefono da muro a disco. Di quelli di plastica nera. Non fa molto Mata Hari?” Più guardavo quella casa e tutti quei mobili più pensavo che fosse solo un capriccio. “Ivan, se devi entrare in casa fallo subito e chiudi il cancello che qui è pieno di cani e lo sai che non voglio”Gli urlò Luz. Ma Ivan nemmeno la ascoltava troppo immerso nella sua chiacchierata. La abbracciai e lei mi strinse forte. Penso volesse comunicarmi della gratitudine per essere venuta fino lì nonostante tutto. Non feci in tempo ad allontanarmi da lei per varcare la porta di casa che vidi Sybil schizzare dentro e imboccare la rampa di scale. Un dalmata munito di medaglietta tintinnante passò tra la mia gamba e lo stipite della porta lanciandosi alla rincorsa. Luz strillò e io, non sapendo cos’altro fare, mi gettai all’inseguimento, fino al primo piano e poi su in mansarda. Fu così che vidi per la prima volta la casa di Luz e Ivan. Il luogo dove avevano fatto l’amore. Una volta arrivata in alto Sybil non trovò una via di fuga. Arretrò fino in fondo alla mansarda, dove il soffitto toccava il pavimento. Coraggiosa gonfiò il pelo soffiando. Il cane per un istante le credette ma poi le fu addosso. E le spezzò il collo. Io non riuscii a fermarlo. Soddisfatto trotterellò giù dalle scale e infilò di corsa la porta e il cancello. Mentre Luz se ne stava immobile aspettando il mio responso. La gatta era rimasta stesa nella grande mansarda vuota. Avevo osservato la pelliccia soffice della sua pancia immobile. Senza più respiro. Dall’abbaino potevo vedere Ivan che, ancora, a capo chino e calciando qualcosa per terra, parlava al telefono sorridendo. Non si era accorto di nulla, né del cane né dell’urlo di Luz. La gatta non la toccai e scesi anch’io. “Luz, non salire.”Le dissi. Le lacrime le scendevano dagli occhi ma nella sua voce non c’era ombra del pianto. “Prendo la borsa e ce ne andiamo. Qui non ci posso rimanere un istante di più.” Fece un rapido giro per le stanze a piano terra raccogliendo i suoi vestiti, due libri e la sua agenda. Metteva via tutto alla rinfusa come se qualcuno la stesse rincorrendo. Io la osservavo immobile sulla porta, con le mani affondate nelle tasche. Non vedevo l’ora di portarla via di lì. Uscimmo di casa e lei inforcò i suoi occhiali da sole da diva ormai in declino. Nel frattempo Ivan aveva finito la sua chiacchierata. Ci venne incontro con aria interrogativa e, come al solito, supponente. “Beh, è già l’ora del gelato? Dove ve ne andate con tanta fretta?» Avrei voluto rispondergli io ma, anche se non me lo sarei mai aspettato, non ce ne fu bisogno. “Ma davvero non ti sei accorto di nulla? Del cane che è entrato dal cancello che tu hai lasciato aperto?”Lui non rispondeva. Non capiva. “Dopo quello che è successo, io qui non voglio restarci neanche un attimo”Disse Luz scandendo ogni parola con lentezza. Avevamo iniziato a dirigerci verso il viale di tigli, nella speranza che la stazione del treno fosse vicina. “Ma Luz, almeno mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?”Disse lui alzando la voce. Era troppo orgoglioso per mostrarsi preoccupato o per seguirci. “E’ uno dei tuoi capricci, ecco cos’è.» 5 La stazione era piccola, anzi, definirla stazione era quasi azzardato. Per fortuna il treno era già lì e a me parve che ci stesse aspettando. Gli scompartimenti erano vuoti ed emanavano quell’odore di plastica cotta e stoffa impolverata. Ci sedemmo una di fronte all’altra, entrambe al finestrino. Finché il treno non partì restammo in silenzio. Io pensavo a cosa dirle per consolarla e come accertarmi, senza sembrare indelicata, che quella fosse una decisione definitiva. Quando i campi e i cespugli cominciarono a scorrere lentamente davanti a noi Luz si tolse gli occhiali. Le sue ciglia erano impastate di lacrime e trucco. Stavo cercando le parole per consolarla, per dirle che secondo me, lasciando Ivan, non si perdeva assolutamente nulla. Ma lei era già oltre. “Che ne dici, ti va di andare al mare? Partiamo domani.”Mi disse. Ero entusiasta. Certo, mi spiaceva per il sacrificio di Sybil, ma Luz era tornata quella di sempre. “Mi sembra un’ottima idea! Potremmo raggiungere quelli del teatro o scegliere un posto solo per noi.” Con un movimento svelto si sedette accanto a me e mi abbracciò. Sentii l’odore della tensione che aveva vissuto. Ma non mi disturbava. “E se facessimo entrambi?”disse “qualche giorno per conto nostro e poi insieme agli altri”La sua voce stava tornando brillante. “Appena scendiamo di qui andiamo a comprarci delle tenute da spiaggia irresistibili.” Si mise del burro di cacao, si soffiò il naso e passammo il resto del breve viaggio a programmare il mare e la nostra vacanza. Tutto era tornato come prima. Arrivate in stazione le porte si aprirono su un grande viavai di bagagli e persone di fretta. Scendemmo in silenzio, dirigendoci verso l’uscita, io a passo spedito mentre Luz, piano piano, rallentava. “Non ti senti bene?” le chiesi. I suoi occhi erano diventati distratti e le sue labbra secche. “Non esattamente.” Le andai incontro, ero certa che fosse solo lo stress per quello che era successo, un leggero malore. “Respira, va tutto bene.” “Secondo te Ivan starà seppellendo Sybil? La tratterà con cura?” “Ma certo” le dissi raccogliendo con le dita le lacrime che le rigavano le guance.“Se vuoi domani lo chiamo e mi assicuro che lo abbia fatto.” La presi sotto braccio ma lei restava ferma. In quel momento mi resi conto di quello che stava per succedere, allentai la presa e lei liberò il suo braccio dal mio. Speravo di evitare quella che mi pareva una marea che si ingrossava di attimo in attimo. Lei si rimise gli occhiali. “No, è meglio che ci pensi io. Anzi, guardiamo a che ora riparte il primo treno per tornare?» Ecco, la massa d’acqua gelida mi aveva raggiunta. “Fra quaranta minuti.”Risposi dopo aver guardato tabellone luminoso.“Ma non pensare che rimanga a tenerti compagnia.” Le dissi. Aspettavo di sentire la sua voce trattenermi. Dirmi che avevo ragione e che era stata sciocca a pensare di tornare da Ivan. E invece Luz mi lasciò andare, che mi confondessi nella folla.